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E ancora verso il
niente, nuotando nel nero del mare. Bagno i capelli e
faccio colare il maquillage.
***
C’era una luce caliginosa
che fendeva il buio a lame
regolari, protratte in avanti fino ad adagiarsi sulla moquette blu
scuro del
pavimento e il ceruleo del copriletto. Le lenzuola erano spiegazzate e
arrotolate in un paio di punti, palese testimonianza
dell’intensa attività che
avevano ospitato durante la notte.
Faceva piuttosto caldo, quella
mattina. Ferragosto era da
poco passato, ma le temperature non accennavano a scendere.
Vibeke si rigirò
oziosamente nel letto, sola, circondata dal
profumo di Tom e con il suo sapore ancora in bocca. Stava iniziando ad
abituarsi a risvegliarsi in quella stanza, ormai, e la cosa non le
dispiaceva
affatto. Si sforzò di mettere a fuoco l’ora: le
due del pomeriggio passate.
Maledizione,
pensò, Kaulitz mi sta contagiando
con i
suoi orari da rockstar. E chissà dove diavolo si
è cacciato lui.
Si sfregò delicatamente
gli occhi, pregando di non stare
spargendo trucco lungo tutto il viso. Non riusciva a ricordare se ne
aveva
messo o meno, la sera precedente. Scostò le coperte con uno
sbadiglio e si
stiracchiò, guardandosi intorno alla ricerca, pezzo per
pezzo, della propria
biancheria, ma non ce n’era traccia. I casi erano quindi due:
o Tom era stato
particolarmente fantasioso nel togliergliela, o gliela aveva nascosta
chissà
dove.
Completamente nuda, si
alzò e andò all’armadio, da cui
tirò
fuori una a caso delle magliette di Tom. Fosse stato per lei, sarebbe
anche
andata a fare colazione così com’era –
Georg era a Parigi con Nicole ed Emily e
Gustav a Magdeburgo dai suoi, ed entrambi non sarebbero tornati prima
di sera –
ma Bill probabilmente avrebbe avuto qualcosa da ridire in merito,
sempre
ammesso che fosse già sveglio, e Tom anche peggio.
Ricordava ancora con estrema
nitidezza la prima volta in cui
aveva aperto gli occhi in quella casa, la sensazione di benessere che
aveva
provato nel rendersi conto che qualcosa era cambiato. Sembravano
passati anni,
quando in realtà erano passati solamente una manciata di
mesi. Mesi durante i
quali lei aveva scoperto con impensabile piacere che fare parte della
sgangherata famiglia Tokio Hotel, oltre che arrecare danni
irreversibili alla
salute psico-fisica, poteva anche rappresentare un potentissimo
toccasana per
uno spirito antisociale come lei. Aveva sempre sostenuto che non la
pagassero
abbastanza perché si prendesse cura di quattro disastrati
come loro, ma a conti
fatti, tra una cosa e l’altra, si erano presi più
cura loro di lei che non il
contrario. Perché, sì, Tom era egoista,
ingestibile e privo di pazienza, ma
nessuno sapeva farla ridere e stare bene come lui; e, sì,
Bill era una
primadonna esigente e capricciosa, ma di persone genuine e affettuose
come lui
non ne aveva mai incontrate; e, sì, Georg era un lunatico
che abitava in un
mondo suo personale, in cui il caos regnava sovrano e la
puntualità era
un’utopia, ma senza il suo buonsenso e la sua presenza
rassicurante Vibeke non
avrebbe più saputo come fare; e, sì, Gustav era
probabilmente il ragazzo più
complicato e introverso con cui avesse mai avuto a che fare, ma restava
anche
il più sensibile e generoso, e guai se qualcuno glielo
toccava.
Innamorarsi di Tom Kaulitz era stata
un’improponibile
avventura che rasentava l’azzardo.
Innamorarsi dei Tokio Hotel era stato
l’inizio di qualcosa
che lei aveva sempre dato per scontato di non poter avere: una famiglia.
E assieme a lei in quel pazzo vortice
di novità c’era finito
anche BJ, accolto a braccia aperte in quella casa come se da sempre
fosse
appartenuto al gruppo, non perché fosse suo fratello, ma
perché, semplicemente,
non si poteva entrare in contatto con BJ e non volerlo con
sé per sempre.
Vibeke sorrise fra sé.
Uscì scalza, senza
disturbarsi ad aprire le imposte. Ci
avrebbe pensato più tardi. Attraversò il
corridoio tendendo l’orecchio in cerca
di segni che denotassero attività al piano inferiore, ma
tutto taceva. Dedusse
che almeno uno dei due Kaulitz doveva essere uscito, perché
quella quiete non
era compatibile con la presenza di entrambi sotto lo stesso tetto.
Scese con calma, con una strana
sensazione addosso che le
dava il tormento. Era come se un campanello le trillasse in testa per
ricordarle qualcosa e lei non riuscisse a capire cosa. Si arrese prima
di
essere arrivata in fondo alle scale: le sarebbe venuto in mente, prima
o poi.
La cucina era luminosa, lambita dai
limpidi raggi del primo
pomeriggio, ed era decisamente più in disordine di come
avrebbe voluto
trovarla, soprattutto considerato che metà degli inquilini
erano via, ma ormai
ci aveva fatto l’abitudine. Un piacevole guizzo istintivo le
solleticò lo
stomaco nell’individuare il piccolo vaso in cotto che faceva
bella mostra di sé
sul davanzale della finestra: il regalo di Tom era nato. Avevano
piantato il
bulbo insieme il giorno stesso che lui glielo aveva donato, e lei lo
aveva
lasciato lì, delegando a Tom il compito di occuparsene in
sua assenza. E così,
dopo due mesi di attesa, aveva lentamente iniziato a spuntare un
minuscolo
germoglio verde, che era cresciuto con esasperante lentezza,
stiracchiandosi
pigramente verso l’alto, fino a che, un mattino di giugno,
Vibeke e Tom si
erano alzati e avevano trovato un bocciolo rosso che spuntava in cima
allo
stelo. Due giorni dopo, un piccolo tulipano era sbocciato praticamente
sotto ai
loro occhi. Fra le altre cose, e non senza incontrare proteste, Bill
aveva
insistito per chiamarlo Rudolf.
Rudolf il
Tulipano.
A Vibeke veniva ancora da ridere, a ripensarci. Solo
Bill…
Appena entrò,
trovò Tom, in boxer, stravaccato su una sedia
con una caffettiera davanti, un piatto di toast bruciacchiati, burro
semisciolto e un vasetto di marmellata di ciliegie. Stava leggendo una
rivista di
auto sportive.
Vibeke gli passò di fronte
e lui non diede nemmeno segno di
aver notato il suo ingresso. Non la considerò neanche quando
lei dovette
sgusciare tra lui e l’isola di cottura per prendersi una
tazza pulita.
“Si saluta,
cafone!” esclamò, propinandogli una manata sulla
nuca.
Tom emise un gemito di dolore
esagerato.
“Mi hai fatto
male!” piagnucolò, massaggiandosi il punto in
cui lei lo aveva colpito.
“Oh, scusa!”
tubò lei. “Non l’ho fatto
apposta!”
Prese il latte dal frigo e una fetta
di pane tostato dal
piatto e sedette di fronte a Tom, che si era immerso nuovamente nella
colta
lettura e ancora insisteva a non calcolarla.
“Sei stato veramente carino
a portarmi la colazione a
letto.” osservò sarcasticamente.
Sulla fronte di Tom apparvero una
serie di rughe, ma lui si
limitò ad annuire distrattamente.
“Mmh.”
“Anche la tua prestazione
di stanotte è stata grandiosa.” Insisté
lei. “Eri decisamente in forma.”
“Mmh.”
“Magari la prossima volta
ci riproviamo senza il viagra
nell’aperitivo.”
“Mmh.”
Annuì ancora Tom, completamente assente, e voltò
la
pagina. Poi, però, ad un tratto si bloccò e
sollevò gli occhi sgranati su di
lei: “Hai detto ‘viagra’?”
Vibeke sollevò
disinteressatamente le spalle.
“Ti ho visto un
po’ sottotono, ultimamente, così ho pensato
di darti una mano.” Gli sorrise candidamente. “Ma,
tranquillo, era solo mezza
pastiglia. È stato praticamente tutto merito tuo!”
La faccia di Tom divenne una maschera
di terrore puro.
“Tu hai fatto cosa?!”
sbraitò, paonazzo, scaraventando a terra la rivista e
scattando i piedi. “Vi,
ma sei impazzita?! Ho diciannove anni, non mi serve una cazzo di
pillola, per
fare sesso!”
Vibeke a quel puntò non
poté esimersi dallo scoppiargli a
ridere in faccia, e solo allora Tom capì di essere stato
preso in giro. Si
rimise a sedere, fumante di rabbia e umiliazione, e si ficcò
in bocca un toast
intero, guardando Vibeke con astio.
“Vaffanculo.” Le
ringhiò tra i denti.
“Di anni ne hai quasi
venti, comunque.” Gli fece notare lei,
versandosi del caffè nel bicchiere di latte.
“Considerato che il tuo compleanno
è tra meno di –”
Bastò quel nonnulla per
farle crepitare una scintilla in testa,
e finalmente il campanello smise di suonare.
Come se ne era potuta dimenticare?
Che stupida!
Da allegro, il suo umore
precipitò rapidamente nel furioso.
Lasciò perdere la colazione e ricambiò lo sguardo
di Tom con uno mortalmente glaciale.
Immediatamente Tom saltò in modalità difensiva:
“Che
c’è, cos’ho fatto? Perché mi
guardi così?”
Lei
incrociò severamente le
braccia.
“Hai niente da dirmi?”
“Intendi
a parte la canonica serie
di insulti e improperi?”
“Hai
niente da dirmi?” ripeté lei,
scandendo minacciosamente ogni parola.
“Dovrei?” fece lui, masticando incurante un boccone
di pane e marmellata.
I
nervi di Vibeke fremettero di
irritazione. Un impulso ferino scalpitava in lei, facendole prudere le
mani.
Avrebbe ribaltato il tavolo, se solo quello che c’era sopra
non fosse
appartenuto anche a Bill, Gustav e Georg.
“Kaulitz,”
Si sforzò, nei limiti
del possibile, di mantenere un tono calmo. “Che giorno
è oggi?”
“Il
diciannove agosto.”
“E…?”
“E
fa un caldo boia.”
“E…?”
“E
più tardi dobbiamo andare a
prendere Georg e le ragazze in aeroporto.”
“E…?”
Tom
roteò gli occhi con un rantolo
scocciato.
“Vi,
che palle, che gioco scemo è
mai questo?”
Te n’eri quasi scordata tu.
Come pretendevi che se ne
ricordasse lui?,
la biasimò la poca
razionalità che le era rimasta.
“Lo
sapevo! Lo sapevo, cazzo!” imprecò
furiosamente. “Lo sapevo che te ne saresti
dimenticato!”
Tom
batteva le palpebre
inespressivo.
“Dimenticato
di cosa, di grazia?”
farfugliò, il toast mangiucchiato che gli pendeva dalla
bocca.
Vibeke
decise che sarebbe stato
controproducente cercare di trattenersi ulteriormente.
“È
il mio compleanno, razza di
deficiente che non sei altro!”
“Ah,
davvero?” fece lui,
sollevando appena gli occhi dalla sua rivista, del tutto privo di
interesse.
“Scusami. L’anno prossimo me lo segno,
promesso.”
“Sei
un gran pezzo di stronzo!” urlò
lei, balzando in piedi. Come una furia, gli piombò davanti e
gli strappò la
rivista di mano, scaraventandola contro la parete alle sue spalle.
“Sei… Sei
un… Un…”
“Dai,
stupida, vieni qui.” Rise
lui abbracciandola, cercando di baciarla, ma lei si divincolava,
spingendolo
via.
“Non
provare a fare il cucciolone
coccoloso con me, non attacca!” lo avvertì, pur
permettendogli di attirarla a
sedere sulle sue ginocchia. “Questa non te la perdono, dico
sul serio! Sei
stato veramente un –”
Tom
la zittì, riuscendo finalmente
a tapparle la bocca con un bacio, che lei, suo malgrado, si
lasciò dare.
“Sei
un bastardo.” Piagnucolò
Vibeke, allentando lentamente la propria rigidità.
“Non
sono un bastardo.” Mormorò
Tom, accarezzandole una guancia con le labbra.
Vibeke
lo detestava, quando faceva
così. Gli era fin troppo facile mandare in tilt il suo
sistema nervoso con
l’infallibile metodo Kaulitz.
“Sì
che lo sei.” Gemette, senza
riuscire ad opporsi alle sue moine. “E bello grosso,
anche.”
Tom
le posò le mani sui fianchi e
la guardò corrucciato.
“Ma
per te conta solo come sono
dentro?”
“E
cos’altro dovrebbe contare? La
tua superlativa presenza scenica?”
“Non vorrei erroneamente passare per un superbo, ma credo che
un figo come me
sia decisamente sprecato con una che non bada minimamente
all’aspetto
esteriore.”
Vibeke
gli circondò il collo con
le braccia.
“E chi l’ha detto che non ci bado?”
replicò, e si chinò sulle sue labbra per
adagiarci un bacio leggero. Lo odiava per il gretto menefreghismo che a
volte
dimostrava, ma era vergognosamente incapace di tenergli il broncio a
lungo. “Credi
che abbia accettato di lavorare per i Tokio Hotel solo per la gloria?
La paga
farà anche schifo, ma le panoramiche offerte compensano. E
comunque ti stavo
dando dell’ignobile bastardo per aver dimenticato il mio
compleanno.”
Tom
rise morbidamente, allungandosi
in avanti per prendere a baciarle il collo con languida
tranquillità.
“Scommetto
quello che vuoi che non
sei ancora andata in sala da pranzo e non hai visto quello che
c’è sul tavolo.”
Sussurrò contro la sua pelle tra un bacio e
l’altro.
Vibeke
si scostò da lui con uno
scatto incredulo.
“No!”
“Oh,
sì.” Si compiacque Tom.
“Non
è possibile!”
“E
invece sì.”
Vibeke
sorrideva guardando Tom sorridere.
Gli
piaceva farla arrabbiare e poi
far crollare tutto, solo per il gusto di vederla raggiungere il punto
di
sopportazione massima e poi capitolare miseramente davanti a uno dei
suoi
sguardi ruffiani.
Sei una gran testa di Kaulitz.
“E
perché te ne sei rimasto qui a
farti dare del bastardo, stronzo, deficiente, eccetera?”
Tom
arricciò furbamente gli angoli
della bocca.
“Perché
sei troppo bella quando
sei incazzata.”
Cercando
invano di non assumere
un’aria troppo beata, Vibeke finse di spintonarlo.
“Sei
un vile leccaculo!”
“E
tu una vecchia ventitreenne che
non ha ancora aperto il suo regalo.”
Vibeke
si era spesso chiesta a chi
dovesse essere grata per tutte le cose belle che negli ultimi mesi le
erano
state concesse. Non credeva in dio, non credeva nel destino e,
nonostante BJ
amasse scherzarci sopra, non credeva nemmeno nel karma. Forse poteva
permettersi di credere nella teoria del caos, nella
casualità, ma poteva
davvero essere stato per caso che due persone come lei e Tom avevano
finito per
incontrarsi? Com’era possibile che un’ordinaria
ragazza proveniente da una
cittadina del sud della Norvegia incrociasse il cammino del chitarrista
di una
rockband tedesca di fama mondiale senza che ci fosse un dio, o un
destino, o di
qualche folle contrappasso karmico a volerlo?
“Certe
volte mi chiedo cosa ci
facciamo io e te insieme…” si domandò,
cercando negli occhi profondi di Tom una
risposta che già conosceva.
“Tante
belle cose.” Disse lui in
tono pratico. “Vedi la memorabile performance ultrabollente
di stanotte, o
anche –”
“A-ha,
quanto sei spiritoso.”
Commentò lei, lugubre.
“Guarda
che non stavo mica
scherzando.”
“Nemmeno
io.”
“Vi,
che domande sono?” Tom inarcò
le sopracciglia come se davvero temesse che lei non lo sapesse.
“Io e te stiamo
insieme perché nessun altro ci sopporterebbe, e comunque noi
stessi non
riusciremmo a sopportare qualcuno che ci sopporta. Ma,
soprattutto,” Con una
mano le sistemò i capelli dietro alla spalla, scoprendo poco
per volta la pelle
nuda. “Perché nessuno dei due è
così stupido a pensare che ci sia qualcun altro
al mondo che ci meriti.”
“Con
questo intendi che nessuno
merita un flagello come noi due per compagno, vero?” chiese
lei, fingendo una
baldanza che di fatto le parole e il gesto di Tom le avevano tolto.
Benché
ormai si conoscessero da
quasi otto mesi, la capacità che lui aveva di stupirla non
accennava ad
esaurirsi.
“Certo.”
“Mi
pareva…”
Tom
incrociò le mani dietro alla
schiena di Vibeke, senza badare ai capelli che gli restavano
intrecciati tra le
dita.
“Hey, le tue labbra hanno
un piega strana.” Osservò,
assottigliando attentamente gli occhi. “Hai fatto qualche
strano ritocco
chirurgico? Oh, no, aspetta… Stai sorridendo!”
Vibeke scontrò
scherzosamente la propria fronte contro la
sua.
“Scemo!” gli
intimò, lottando contro una risata per
impedirle di soffocarle le parole. “Scemo, scemo,
scemo!”
Se anche Tom, come lei, aveva lottato
contro una risata,
aveva senz’altro perso.
“Mi fa quasi tenerezza
vedere quanto sei succube della tua
adorazione per me.”
“Mi fa quasi pena vedere
quanto sei accecato dalla tua
adorazione per te.”
Sapeva che non era vero, e che lui
sapeva che lei lo sapeva.
La favola del Sex Gott spavaldo e spaccone trovava terreno fertile
nelle
ragazzine accecate dal fanatismo; a una qualsiasi analisi appena
più
approfondita che non si limitasse a sbavare per una passata di lingua
su un
piercing sarebbe stato evidente che tra personaggio e sostanza
c’era
un’abissale differenza.
“Senti,”
brontolò Tom. “Non è che
perché sei vecchia ti puoi
prendere la libertà di massacrarmi
così.”
“Non sono io ad essere
vecchia.” Puntualizzò lei. “Sei tu
che sei un –”
“Moccioso. Lo so.”
“Un moccioso molto ricco,
però.”
“Ma tu stai con me solo per
i soldi?”
Vibeke si portò
sdegnosamente una mano al petto.
“Che insinuazione scortese!” esclamò,
leziosa. “Lo sai benissimo che non è
vero! Il nostro caro Rudolf ne è la prova, no?”
“Ah,
già…” Tom si voltò e
adocchiò il tulipano sulla
finestra. “Rudolf.”
“E poi
c’è il sesso.” Aggiunse Vibeke.
“Come mi sento
stimato.”
“Se non altro adesso sai
cosa provo io quando vieni a casa e
mi dici ‘Vi, spogliati, devo sfogare una giornataccia
pesante’.”
“Ma io lo dico per
scherzare!”
“Sarà…”
fece Vibeke, trasudando scetticismo. Si rianimò
subito appena le venne in mente cosa la aspettava in sala da pranzo.
“Allora,
mi lasci andare a vedere il mio regalo?”
“Veramente mi pare di sentire qualche residuo di viagra che
chiama…” disse Tom,
dando un colpo di bacino.
“Non ti ho dato nessun viagra, e lo sai.”
Sbuffò lei, tentando di alzarsi, ma
lui la trattenne.
“Ma ormai mi sono convinto di averlo preso.”
Dichiarò, cercando un bacio che
lei non gli concesse. “È l’effetto
placebo, non posso farci niente.”
Vibeke cominciava ad avere
l’impressione che tutta quella
scenetta si stesse protraendo più a lungo del dovuto e che
Tom, per qualche
ragione, non volesse lasciarla andare.
“Non
c’è nessun regalo per me di là,
vero?” gli chiese,
mentre l’entusiasmo la abbandonava.
“Sì che c’è.”
Rispose Tom, sicuro. “È lì da una
settimana.”
“Non è vero!” sbottò Vibeke.
“L’unica cosa che c’è
lì a muffire da una
settimana è un pacco indirizzato a te, e tu non
–”
A metà frase, sul viso di
Tom era apparso un sogghigno perfidamente
gongolante.
“Overrakelske!”
esclamò, spalancando le braccia. (“Sorpresa!”)
“Guarda che si dice overraskelse.” Lo corresse lei,
afferrandogli
le mani.
“Uffa,
perché non apprezzi i miei sforzi?”
frignò lui.
“Ma sì che apprezzo.” Dato che Tom
insisteva a tenerla prigioniera, Vibeke
sollevò una gamba e si mise a cavalcioni su di lui.
“Mi dici cosa mi hai
regalato?”
“Perché non vai
a vedere tu?”
“Se tu mi mollassi…”
Ma Tom, anziché mollarla,
la intrappolò completamente tra le
proprie braccia.
“Gratulerer med
fodselsdagen, stronza.” Le bisbigliò
all’orecchio con voce roca, provocandole un inevitabile
brivido lungo tutta la
spina dorsale. (“Buon
compleanno, stronza.”)
Quasi nel medesimo istante,
però, Vibeke realizzò un
particolare non del tutto marginale che le era proprio scappato di mente.
“Oh, min gud!”
strillò. Si strappò all’abbraccio di
Tom con
uno scatto spasmodico e schizzò in piedi.
“Kaulitz, jeg har gremmet meg og min
bror! Det er også hans fodselsdag!” (“Oh, mio dio! Kaulitz,
mi sono dimenticata di mio fratello! È anche il suo
compleanno!”)
Tom la fissava con la fronte
corrugata.
“Ho capitolo solo
‘Oh, mio dio’, ‘Kaulitz’,
‘mio fratello’ e
‘compleanno’, ma penso di aver intuito il nocciolo
della questione.”
Stupida,
stupida,
stupida! Come diavolo ho fatto a dimenticarmene?! Come se non fosse una
vita
che compiamo gli anni insieme…
“Devo chiamarlo
subito!”
Vibeke si precipitò verso
il cordless appoggiato sul bancone
accanto alla porta e stava già digitando frettolosamente il
numero, ma Tom
cercò di farla ragionare:
“Vi, permettimi di farti notare che sono le due.”
Il pollice di Vibeke si
fermò appena prima di premere il
tasto della chiamata. Passando tante notti fuori casa, aveva quasi
dimenticato i
ritmi nottambuli di BJ.
“Hai ragione.”
Delusa, ripose il telefono. “Starà
dormendo.”
“Glielo hai preso un
regalo?”
Lei si appoggiò al bancone
e si raccolse i capelli su una
spalla con un sospiro. Erano due anni che aveva rinunciato a fare
regali a BJ.
A Natale si limitava a fargli arrivare simbolici pacchi formato gigante
di
biscotti allo zenzero dalla Norvegia; ai compleanni, in genere, lo
portava a
cena fuori e poi se ne andavano da qualche parte fuori
città, su un
lago o lungo un fiume, come spesso avevano fatto da adolescenti, a
Stavanger.
Lì in Germania, però, non c’erano i
fiordi e il mare. Non c’era il sole di
mezzanotte, né le aurore boreali. Lì in Germania,
d’altro canto, avevano
trovato molte altre cose da apprezzare.
“Cosa può mai regalare una sorella povera in canna
a un fratello straricco che
ha tutto?”
“Non lo so.” fece
Tom, dalla sua sedia, con una scrollata di
spalle. “Sono un fratello straricco che non sa mai cosa
regalare a un fratello
straricco, quindi temo di non poterti aiutare.”
Vibeke si era già arresa
in partenza. Fosse stata una comune
ragazza della sua età, avrebbe potuto fargli una torta, o
qualche dolce
particolare di quelli che piacevano a lui, ma era abbastanza
consapevole delle
proprie incapacità culinarie da non provarci nemmeno.
“Però a BJ piace
stare in compagnia, no?” riprese Tom, dopo
un secondo. “Se i ragazzi tornano presto, possiamo fare una
festa a sorpresa.”
“Kaulitz, non vorrei sbagliarmi, ma sembra che tu abbia
appena avuto un lampo
di genio!”
“Dovrei ridere?”
“Allora, Georg e le ragazze dovrebbero essere qui per le
cinque.” Iniziò a
calcolare lei, ignorandolo. “Se faccio uno squillo a Gustav,
sono sicura che
riuscirà a venire via un po’ prima e arrivare in
tempo. Come lo attiro qui,
BJ?”
“Digli che la Golf
è in panne, noi abbiamo litigato e non ti
va di tornare a piedi.”
“Scusa pietosa.”
Sconfortata, Vibeke tornò al tavolo,
sedendosi su Tom anziché sulla sedia. Si avvicinò
la tazza e il piatto e
riprese a mangiare da dove pochi minuti prima era stata interrotta.
“Il neurone
ti si è sovraccaricato per l’idea di
prima?”
Tom le diede un pizzicotto
indispettito sul braccio.
“Senti, o chiudi il becco,
o te lo faccio chiudere io, ok?”
Vibeke si girò verso di
lui, masticando un boccone di toast.
“Mi stai
minacciando?”
Tom sfoderò un impietoso
attacco di suadenza:
“Ti sto tentando.”
Vibeke intinse un angolo del toast
nel caffelatte,
costringendo se stessa ad ignorare le mani di Tom che scorrevano
lascive lungo
le sue cosce, insinuandosi al di sotto dell’orlo della
maglietta. Era difficile
continuare a mangiare mantenendo una certa compostezza, quando tutto
ciò che il
suo corpo le chiedeva di fare era abbandonare la colazione e concedersi
completamente a quelle effusioni.
“Dovresti metterti un
po’ a dieta.” osservò Tom a un certo
punto.
“Credevo di piacerti
così come sono.” Ribatté lei,
tagliente.
“Non è una
questione di estetica,” precisò lui.
“È che pesi
una tonnellata.”
Vibeke avrebbe replicato a modo, se
solo la mano di Tom non
si fosse spostata sul suo addome, ricordandole che non indossava
assolutamente
nulla sotto alla maglia extralarge.
“Non mi hai ancora detto
cosa mi hai regalato.” Disse, a
corto di diversivi più efficaci.
Tom le rispose, ma le sue carezze
provocanti non cessarono.
“Non indovinerai mai.”
“Dai, dimmelo!”
Vibeke si stupì nel
vederlo abbassare lo sguardo per non
incontrare i suoi occhi.
“Guarda che è una cosa stupidissima.”
Non era niente di nuovo: le cose
stupide con lui erano l’ordine
del giorno, e lei, comunque, non si era aspettata niente. Stavano
insieme solo
da nemmeno sei mesi e non avevano ancora una grande confidenza con quel
tipo di
ricorrenze. Ad essere sincera, Vibeke era già rimasta
allibita al compleanno di
gruppo di Georg, Nicole ed Emily, tutti e tre nati a marzo, quando il
loro
regalo cumulativo era stato un quadro formato gigante contenente una
foto di
loro tre addormentati l’uno addosso all’altra sul
divano del salotto di casa
Tokio Hotel addobbato con decorazioni natalizie, più un
buono da cento euro per
Emily – che Nicole aveva contestato, definendolo esagerato
– per comprarsi
qualcosa a suo piacimento. Per quell’occasione Vibeke si era
immaginata pacchi
con incarti griffati e gioielli preziosi, invece era stato stranamente
piacevole scoprire la bellezza di un pensiero così modesto e
sentito. Aveva
imparato presto che i ragazzi, perennemente circondati da lusso e vizi,
entro
le mura domestiche preferivano volentieri le cose semplici a quelle
ricercate.
“Da te non potevo certo
aspettarmi altro.” Disse a Tom,
deglutendo il toast. “Su, dimmelo!”
Era difficile prevedere cosa potesse
aver partorito la mente
di Tom. Che fosse andato nel giardino dei vicini a rubare un fratellino
per
Rudolf?
“È un
album.” Confessò invece Tom.
“Un album di chi?”
“Non un CD. Un album per fotografie.”
Vibeke ammutolì. Non
poteva nemmeno rimproverare la propria
immaginazione per non aver avuto la fantasia di arrivare a contemplare
una cosa
smile, perché in effetti un album per fotografie non era per
niente un regalo
da Tom. Ammesso che fosse vero, Vibeke aveva già in mente
una lunga serie di
foto da metterci dentro.
“Uno nuovo? Vuoto?”
“Be’, sì.” Tom non ne voleva
sapere di sollevare la testa, ma lei era pronta a
giurare di intravedere del vago rossore sulle sue guance.
“Poi dovremo
riempirlo. L’ho fatto fare in un posto che conosce Nicole,
dove usano carta
riciclata e la trasformano in cose pazzesche. Ho pensato che una
maniaca
dell’ambiente come te avrebbe apprezzato.”
Oh,
Kaulitz…,
sospirò lei dentro di sé. Il
mio stupido,
stupendo, adorabile Kaulitz…
“E infatti la maniaca
apprezza.” Confermò.
“Meno male.” Si rincuorò Tom, sollevato.
“Temevo ti aspettassi qualche cosa di
complicato e costoso.”
Vibeke inarcò ironicamente
un sopracciglio.
Anche se
fosse, non è
che avresti avuto grandi problemi a spendere qualche centinaio di
euro…
“Non è mia abitudine misurare il valore delle cose
in base al prezzo, sai?” lo
rassicurò, accarezzandogli il capelli. Non si era ancora
abituata del tutto ai
cornrows e doveva ammettere che i rasta le mancavano, ma aveva il
sospetto che
la decisione di Tom di cambiare stile fosse stata influenzata dal fatto
che, in
qualunque caso, i rasta si stessero decimando in fretta a causa del
loro
accordo: una cazzata, un rasta. In effetti
da
quando aveva i cornrows Tom aveva iniziato a comportarsi decisamente
meglio,
onde evitare di essere costretto a tagliarsi qualche treccina, ma anche
lei,
con il tempo, si era molto ammorbidita, iniziando a condonargli piccole
bravate
su cui una volta sarebbe stata intransigente.
Vibeke lo baciò, ma Tom si
ritrasse quasi subito.
“Non sei delusa,
vero?” le chiese, improvvisamente
preoccupato. “Volevi veramente un regalo più
ricercato? Sei vuoi andiamo a cercare
qualcosa di più –”
Lei gli tappò la bocca
ridendo.
“Non dire stronzate,
cretino. L’importante è che non ti sia
dimenticato del mio compleanno.”
“Devo confessarti che
è stato Gustav a ricordarmelo per
tempo.” Disse Tom, e finalmente si decise a guardarla.
“Ti giuro che me ne
sarei ricordato da solo, ma solo oggi.”
Vibeke non ne dubitava. A sentir
nominare Gustav, le era
venuto in mente che ci dovevano essere almeno un paio di messaggi
d’auguri che
attendevano di essere letti sul suo cellulare, ma per quelli avrebbe
avuto
tempo dopo. Adesso stava troppo bene lì dov’era.
Avvolse di nuovo le braccia attorno
al collo di Tom e gli
sorrise, persa in tutto quello che vedeva nei suoi occhi. Le ci era
proprio
voluto un ragazzino per farla innamorare come una ragazzina.
“Che cosa sei tu?”
Tom la prese per la vita a la strinse
a sé, restituendo mite
il sorriso.
“Che cosa sono?” le fece eco, con
un’espressione che la fece praticamente
sciogliere nel suo abbraccio. Vibeke si scoprì a trattenere
il respiro mentre
in lei si formava un pensiero per lei assolutamente nuovo.
Sono felice.
Sfiorò la punta del naso
di Tom con il proprio e inclinò
leggermente il capo.
“Sei il mio bravo Kaulitz.” sussurrò,
suscitando un repentino allargamento del
sorriso di Tom, e di conseguenza anche del proprio.
Non era così tutte le
mattine, né mai lo sarebbe stato, ma
poco importava, perché era proprio quello il bello.
E Rudolf era sulla sua finestra a
prendere il sole, e ogni
giorno, pazientemente, cresceva ancora un po’.
***
Mi purifica
l’acqua che bagna i miei vestiti, i miei capelli, e
sconvolge il mio trucco. Sono le quattro di
notte e nuoto in un mare che mi ha sempre spaventato
senza sole.
(Fluo, Isabella
Santacroce)
THE
END
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Note:
ci
siamo, gente. Pare proprio che questa volta sia veramente la fine. Si
chiude
con questo capitolo d’epilogo il secondo capitolo di una saga
cominciata per
caso, da un’idea nata dal nulla, una bambina di nome Emily e
quattro rockstar
tedesche. Ed ora eccoci qui.
Non mi voglio dilungare in struggenti
e svenevoli commiati,
ma scrivere The Truth Beneath The Rose è stato per me un
viaggio e un piacere
insieme, e non sarebbe mai stato così bello se non ci foste
stati tutti voi,
miei fedeli lettori, a farmi compagnia, con i vostri commenti, i vostri
complimenti, i vostri suggerimenti, le vostre teorie…La
metà della bellezza che
questa storia ai miei occhi la avete fatta voi, e per questo non so
più come
ringraziarvi.
Alcune di voi hanno visto nascere The
Truth, la hanno vista
e aiutata a crescere, a migliorare, ad arricchirsi, ad avere un futuro, e un grazie speciale va a voi,
sempre e comunque. Sapete chi siete. ;)
Ora non mi voglio dilungare oltre. Voglio solo chiedere a tutti voi che siete tra le
258 persone che hanno
la storia tra le preferite, le 44 che le hanno tra le seguite e le 120
che
hanno me tra gli autori preferiti, per una volta, di farmi il regalo di
spendere due minuti del loro tempo e lasciare un commento, anche
piccolo, per
questa conclusione. Ci tengo veramente molto a conoscere i vostri
pensieri
sulle mie creature, e quindi non solo la storia, ma anche i personaggi,
le
caratterizzazioni, le relazioni e interazioni tra di loro…
Qualunque cosa. Grazie,
già da ora.
Dopo un anno e un terzo, la storia
finisce qui, ma voi
tenete gli occhi aperti, perché la saga è appena
cominciata e di strada da fare
ce n’è ancora tanta. La prossima storia si
chiamerà Once In A Blue Moon,
e sarà il seguito di The Truth e di Lullaby. Vi
aspetto tutti ‘di là’. ;)
GRAZIE
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