Una sequela di parolacce si levò dalle labbra di Rui non
appena varcarono la soglia del salone, Pharart, a capo riverso sul
petto
stretto tra lui e Kert. S’impose di ignorare il calore crescente che
sentiva
espandersi contro il suo fianco da quello dell’amico, e circumnavigò le
sedie
con quanta più cautela possibile, mirando verso il tavolo al centro
della
stanza.
« Cos’è successo?! »
Espera li raggiunse preoccupata, sgranando gli occhioni
blu non appena capì cosa stesse accadendo. Al tempo stesso, non perse
un
secondo a reagire: nonostante il pallore sul viso, si rimboccò le
maniche e
cacciò giù dal tavolo le poche cose lì sopra, facendo spazio perché
Kert e Rui
potessero deporvi con cura il biondo.
« Nella dispensa, la sacca rossa, » istruì Zaur e Rui,
che annuirono convinti, « E dell’acqua calda, subito, per favore. »
Pharart esalò un sibilo di dolore quando le dita sottili
dell’aliena tastarono attorno alla ferita, da cui ancora spuntava la
freccia.
« Scusa, » la ragazza gli rivolse un sorriso
incoraggiante e dispiaciuto, « Non sarà piacevole toglierla, ti
avverto. »
« E quando mai, » boccheggiò lui, fissando il soffitto
per non guardare il sangue che persisteva a colargli lungo l’ombelico o
gli
strumenti che lei estrasse dalla bisaccia che Zaur le passò velocemente.
Rui tornò in quel momento e poggiò una bacinella accanto
alla compagna, che vi tuffò le mani e poi si scambiò uno sguardo con
l’alieno
dagli occhi neri.
« Non posso che consigliarlo. »
« D’accordo, » Pharart ansimò un’altra volta e strinse i
denti mentre il dolore s’irradiava fin dietro la schiena, « Basta che
facciate
presto. »
Espera annuì, poggiando con leggerezza i polpastrelli
attorno alla freccia: « Pronti? Uno, due, e… »
« Mi sembra pulita e non molto profonda, Ichigo-chan,
niente di cui preoccuparsi. Però continua a metterci il ghiaccio,
d’accordo? E
sta’ all’erta, se dovesse venirti mal di testa. »
« Grazie, Akasaka-san, » la rossa gli rivolse un sorriso
stanco, sfiorandosi di nuovo sovrappensiero il taglio che aveva appena
sopra
l’orecchio sinistro e che lui aveva appena terminato di medicare.
« Figurati, con quella testa dura non c’erano sicuramente
pericoli. »
Ichigo fece una smorfia dispettosa a Minto: «
Simpatica
come sempre. »
« Non ho ancora sentito
grazie, sai, piccola palla
di pelo volante. »
« Non ho proprio niente da ringraziarti se il trattamento
è questo! »
« Ragazze, per favore, » Zakuro esalò, appena divertita
ma esausta, il braccio contuso poggiato temporaneamente su un foulard
per
riposare l’articolazione e una varietà di tagli sul corpo che non
sapeva come
avrebbe spiegato alla troupe della serie tv, « È ora di andare a casa. »
« Concordo, » Purin si stiracchiò con un sonoro
scrocchiare, poi sbadigliò, « Domani tutto come al solito? »
« Solo se ce la fate. »
La biondina quasi saltellò sul posto in risposta a
Keiichiro: « Io e Taru-Taru direi di sì. »
« Tu vai a batterie nucleari, altroché. »
Rivolse una linguaccia a Kisshu – ancora a massaggiarsi una
scapola dove si stava affacciando un vistoso livido causato da una
delle radici
di Pharart – poi salutò di nuovo sottovoce le amiche e, agguantato
Taruto sotto
il braccio, si allontanò spedita dal laboratorio.
Le altre la seguirono mormorando saluti più o meno
energici, sciamando fuori in gruppo senza le forze per commentare oltre
il
disastro conclamato che quella battaglia si era dimostrata.
Non appena furono lontani da sguardi indiscreti, ma
comunque riparati tra i sentieri del parco, Shirogane passò un braccio
attorno
alle spalle di Ichigo e la strinse a sé, posando il naso tra i suoi
capelli: «
Direi che ora sei pari e patta con tutto quello che facevi a tredici
anni. »
« Mmph, che meraviglia, » rispose sarcastica lei,
poggiandogli una mano sul petto per farsi più vicina, «
In realtà mancherebbe solo che tu avessi più
di un alter ego. Come quando pensavamo che il Cavaliere Blu fossi tu. »
« L’avrei preferito, » commentò lui lugubre, poi abbassò
la voce, « Dopo mi racconti a cos’hai pensato. »
Ichigo arrossì e alzò gli occhi al cielo: « Che sciocco.
»
«
Ahio, tortorella, fai piano! Quella roba
pizzica! »
Minto sbuffò e tamponò ancora una volta con il
disinfettante il taglio che Kisshu aveva sullo zigomo destro.
« Non essere esagerato, » gli concesse una carezza, poi
afferrò una pomata lenitiva e si accomodò sul divanetto alle sue spalle
per
trattare invece il grosso ematoma che gli stava fiorendo sulla spalla,
« E poi
forse così ti ricorderai che devi stare più attento. »
Lui, seduto sul pavimento, esalò tra i denti quando le
dita lo sfiorarono con la crema fredda: « Le liane non erano nel piano,
e non
sono il mio stile di
bondage. »
La mora, automaticamente, gli diede uno scappellotto sulla
spalla opposta che gli strappò un gemito più per lamentela che per vero
fastidio;
calò poi il silenzio per un paio di minuti, lei che continuò
placidamente a
massaggiargli la scapola contusa.
« Sei arrabbiato? » domandò sottovoce dopo un po’.
Kisshu si tese appena sotto le sue mani, però sospirò e
scosse la testa: « No, » mormorò e si voltò quanto bastava per
scrutarla con la
coda dell’occhio, « Ma ogni tanto sottovaluto la tua cocciutaggine. »
« Ho dovuto farlo, altrimenti… »
« Lo so, » l’alieno si girò del tutto, « Non significa
che non valga quanto ti ho detto oggi. »
Minto annuì e socchiuse le palpebre quando la bocca del
ragazzo si posò sulla sua; le scappò un sospiro non appena dischiuse le
labbra,
e gli accarezzò un’altra volta il viso prima di allontanarsi lentamente.
« Come sta Pai? » domandò poi a bassa voce,
concentrandosi sul tubetto di crema da richiudere.
Kisshu fece ruotare la spalla: « Non è la prima volta, e
tra tutti è sicuramente quello più avvezzo alla mentalità da
siamo
in guerra,
ma… non so, forse dovrei andare a parlarci. Anche la pesciolina non mi
è
sembrata del tutto convinta. »
Minto fece un vago verso di naso, a sottolineare come
fosse un dato di fatto non essere “del tutto convinte”, poi stirò un
sorriso
stanco: « Credo faresti bene ad andare e non lasciare a Taruto tutto il
compito
di controllare come stia. Io, intanto, mi faccio una doccia e mi
preparo. »
L’alieno la scrutò un secondo di troppo prima di assentire:
« D’accordo. Non ci metto tanto, ma se ti addormenti faccio piano. »
Lei annuì e sorrise ancora, passandogli la maglietta che
lui aveva abbandonato sul pavimento e dandogli un altro bacio di
saluto. Attese
di vederlo scomparire, e poi qualche altro secondo in più, scrutando
che non
fosse per caso ancora fuori dalla finestra, prima di buttare fuori
tutta l’aria
che aveva nei polmoni e alzarsi di scatto, un brivido violento che
quasi le
fece scivolare la crema dalle dita.
Aveva agito senza pensarci troppo, poche ore prima,
spinta solo dall’istinto di andare ad aiutare le sue compagne, dal
richiamo del
loro senso Mew – ma una volta afferrata Ichigo, una volta che aveva
posato i
piedi a terra e aveva rivolto lo sguardo verso la battaglia
soprastante…
rivederli là, tutti assieme, rivedere
lui… poteva
ancora sentire la
morsa gelida in cui le si era stretta la gola, il battito frenetico del
cuore
che non le aveva lasciato la possibilità di respirare, si era sentita
di nuovo rinchiusa
in una stanza senza via di uscita, le spire buie di un potere
sconosciuto che
non le avevano lasciato scampo, e lei…
Minto fece appena in tempo ad arrivare in bagno e
inginocchiarsi davanti alla tazza del water prima che il contenuto del
suo
stomaco vi ci rovesciasse dentro, mentre lacrime altrettanto amare e
pungenti
le bruciarono gli occhi.
Per l’ennesima volta, Retasu rotolò nel letto alla
ricerca di una posizione che le facesse prendere sonno. Provava dolore
e
indolenzimento in ogni punto del corpo – e per fortuna che anche in
casa era
abituata a indossare un cardigan, vista la stagione, perché sarebbe
stato
complesso spiegare ai suoi genitori la miriade di piccole ferite che la
costellavano – e aveva le palpebre pesanti, ma il suo cervello proprio
non
voleva saperne di spegnersi per concederle un po’ di ristoro.
Eppure, l’aveva sempre saputo com’erano e come sarebbero
andate le cose.
Non rendeva viverle da
così vicino meno complesse.
Le immagini della battaglia di poche ora prima
continuavano a lampeggiarle contro gli occhi chiusi.
L’espressione determinata di Pai che non aveva mai
vacillato, men che meno quando…
Quando ha fatto ciò per cui è stato addestrato.
Strinse il lenzuolo nel pugno e strofinò la faccia contro
il cuscino. Stava davvero cercando di convincersene, era un argomento
che
avevano anche trattato in passato, ma per lei era davvero diverso,
viverle
nella pratica.
« Ci sono delle cose che io… ho fatto, che… »
« Non mi interessa. »
« Com’è possibile? »
« Perché sei tu. »(*)
Era vero, lo sapeva, era stata onesta quando gli aveva
detto quelle parole: e ora lo aveva conosciuto più a fondo, era a
conoscenza di
ogni suo dettaglio, e…
Ne sei proprio certa?
La vocetta insistente nella sua testa non voleva
lasciarla stare, causandole ancora più senso di colpa. Quando ne
avevano
parlato, lei aveva ritenuto che fosse tutto nel passato, che non si
sarebbero
mai più ritrovati in una situazione simile. Che certe parti di Pai non
sarebbero più tornate a galla.
Era consapevole che non ci fosse nessun colpevole per
esse, che le circostanze della vita di lui, così diverse dalle proprie,
lo
avessero costretto a trovare ogni espediente per sopravvivere; com’era
consapevole che lui avesse intentato ogni soluzione possibile per
cambiare, per
redimersi, soprattutto ai suoi occhi.
Però, Pai aveva anche saputo più cose di lei, di tutti
loro, aveva trattenuto informazioni vitali, aveva lasciato che di nuovo
il suo
rigore militare prendesse il sopravvento, e forse, forse quando aveva
messo la
maggior parte delle carte in tavola con lei, aveva anche posato le basi
per un
avvertimento, un’anticipata ammissione di colpevolezza.
Forse lei stava ingigantendo solo la questione, le sue
amiche non le parevano mai sconvolte tanto quanto lei; forse doveva
solo
abituarsi ancora alla nuova realtà delle cose.
Forse le serviva solo dormirci sopra.
Si raggomitolò un po’ di più, stringendo il cuscino tra
le braccia, il ricordo della conversazione di un paio di giorni prima
che le
bruciò la gola.
Zakuro soffiò sulla tisana bollente, reggendo la tazza
con una mano sola mentre si aggiustava al meglio sulla poltrona del
salotto.
Ormai provava dolore ovunque, entrambe le spalle non la smettevano di
ruggire,
e lei stava solo contando i minuti fino a quando gli antidolorifici
avrebbero
iniziato a fare effetto.
«
Here ya go. »
Joel la raggiunse e le porse il cellulare, che le aveva
recuperato dalla borsa appoggiata in ingresso; lei aveva avuto la mezza
idea di
mandare qualche messaggio per accertarsi di Minto e Retasu,
soprattutto, ma si
sentiva così esausta in quel momento che anche digitare le parole
giuste le
parve un’impresa impossibile.
« Grazie, » sospirò fiaccamente, ficcando il telefono
nello spazio tra le sue gambe e il bracciolo, « Sicuro che la dose
fosse
giusta? »
Il texano la guardò alzando solo un sopracciglio: «
Ya
sure you don’t wanna go to the hospital? »
Zakuro prese un sorso e scosse la testa, dovendosi
concentrare più del solito per scivolare sull’inglese: « Il mio fidato
medico
ha detto che non ho nulla di rotto. »
« Ho detto che lo
escluderei… »
« Ho solo bisogno di rilassarmi. Dirò che ho avuto un
incidente in bici, o qualcosa del genere. »
« Basta che non mi dipingi come il ragazzo violento. Che
è comunque molto più credibile di un’invasione aliena.
»
La modella lo guardò di sottecchi mentre lui si lasciava
cadere sul divano in fronte a lei: « Ne parli come se fosse cosa da
tutti i
giorni. »
Joel si strinse nelle spalle, la profonda cadenza del sud
che le solleticò piacevolmente l’udito: « Shirogane non ha risparmiato
dettagli
quando mi ha chiesto se volessi partecipare ufficiosamente al progetto,
in
particolare quando mi sono trasferito a Tokyo e potevamo parlarne di
persona. Era
necessario che sapessi a cosa stessi andando incontro affinché potessi
collaborare in maniera funzionale. E non sono il tipo che si fa
dissuadere da
una coda o un paio d’orecchie. Su una come te soprattutto. »
Zakuro mosse appena le sopracciglia mentre nascondeva il
viso dietro la tazza: « È la tua maniera di rivelarmi qualcosa? »
« Dipende da che vuoi farci poi, » ricambiò il sorriso
divertito che gli rivolse, e si rilassò ancora di più sul sofà, « Ma
sarà per
un’altra volta, quando non sarai imbottita di farmaci. »
« Che ancora non stanno funzionando. »
Joel le fece solo un cenno con la testa: « Come facevate…
prima? »
Lei prese un sorso più lungo della tisana calda,
accogliendone l’effetto rilassante: « Keiichiro, per la maggior parte,
per le
cose più banali. Ma tranne per la battaglia finale… non è mai stato
troppo
terribile. Non così, almeno. »
« Ora sei tu che ne parli come se niente fosse. »
Zakuro si strinse nelle spalle, notando come in effetti
il dolore pareva essersi attenuato: « Ho – abbiamo – dovuto abituarci,
o
saremmo impazzite. Normalizzare il fatto che mi spuntano le orecchie e
la coda
da lupo, renderlo davvero una parte di me, era l’unica maniera per
andare
avanti. Forse addirittura per un certo periodo mi è mancato. Ma guai a
te se lo
dici a Shirogane. »
L’uomo rise sottovoce e fece il gesto di chiudersi la
bocca con una zip e gettare via la chiave, invogliandola con un cenno
del capo
a continuare.
« Paradossalmente è meno normale stare qui a parlarne con
te. »
« Devo prenderlo come un complimento? »
Lei poggiò la testa contro lo schienale della poltrona e
lo studiò per un istante: « Non c’è mai stato nessuno di esterno con
cui poterne
discutere. Qualcuno la cui maggior parte della vita non ruota attorno a
questo,
almeno. È rinfrancante, anche non doverlo spiegare. »
Joel la guardò con una punta di soddisfazione che lei non
mancò e che le solleticò piacevolmente la spina dorsale.
« Come siamo sincere, oggi. »
« Sono chiaramente i medicinali. »
Lui rise sarcastico, alzandosi e avvicinando il viso al
suo: « E tu dicevi che non funzionavano. »
L’avrebbe persa.
L’avrebbe persa di nuovo.
L’avrebbe persa per sempre.
Non riusciva a togliersi quel pensiero dalla testa.
Aveva visto lo shock, la realizzazione, la paura nei suoi
occhi, non appena era riuscito a riabbracciarla, e ora temeva che la
sua paura
più grande potesse compiersi.
Che lei vedesse cos’era
davvero, che capisse
quanto non la meritasse.
Non si rimangiava ciò che aveva fatto, no, sapeva che era
stata l’azione giusta da compiere anche e soprattutto per proteggere
lei,
ma se solo fosse riuscito a spiegarsi…
Il
beep beep beep insistente del computer
principale gli provocò un fastidioso ronzio alle orecchie, e Pai sforzò
gli
occhi ormai secchi e iniettati di sangue per controllare le
informazioni sul
monitor.
Una ruga gli si segnò profondamente sulla fronte: perché
diamine adesso il monitoraggio della Mew Aqua segnalava di nuovo una
quantità
ingente sparita nel…
« Yo. »
Pai sobbalzò visibilmente sulla sedia quando Kisshu
comparve all’improvviso nel laboratorio, senza premurarsi di accendere
il resto
delle luci nella stanza. Lui soffiò tra i denti e si sfregò le
palpebre,
levandosi gli occhiali.
« Credevo Aizawa ti avesse fatto passare la mania di
certe pessime maniere. Che ci fai qua? »
Il minore ignorò la frecciatina e afferrò una delle sedie
libere, girandola così da posare i gomiti sul poggiatesta: « Passavo a
controllare. »
Pai continuò a massaggiarsi il volto: « Immagino tu
intenda il tuo lavoro, ma ho già passato in rassegna tutti i sistemi e
non c’è
niente da - »
« Io avrei fatto la stessa cosa, » Kisshu lo interruppe
tranquillamente, non perturbato da come il fratello stesse fingendo
noncuranza,
« Anzi. Sto ancora aspettando di averne la possibilità. »
Il maggiore rallentò il proprio movimento nervoso, ma
persistette a non guardarlo in faccia.
« La fai facile, tu, » mormorò esausto e roco dopo qualche
secondo, « Aizawa è più pragmatica su certe cose. Basta vedere cos’ha
combinato
oggi. »
« La pesciolina non è certo un’ingenua, sa benissimo in
che razza di situazione ci troviamo. Devi solo darle il tempo di
elaborare. »
« Kisshu, non mi servono le paternali. »
« Non è una paternale, ma… » il verde sbuffò e scosse la
testa prima di lasciare la sedia e alzare le mani, « D’accordo, come
vuoi tu,
era solo per venire a vedere come stavi, Mister Pezzo di Ghiaccio. Non
siamo su
Duuar, non devi farti andare bene tutto a muso duro, sai. »
«
Proprio perché non siamo su Duuar, non è – ah,
lascia perdere, » Pai fece schioccare la lingua e si riconcentrò sul
monitor, «
Non puoi capire. »
« Come no, » commentò solo Kisshu da sopra la spalla,
avviandosi verso la porta senza voltarsi, « Forse invece la tua vita
sarebbe un
pochetto più semplice, se ti mettessi in quella testaccia che
tutti
capiamo
molto di più di quanto pensi. »
Gli rispose solo il ticchettare furibondo della tastiera.
Kert, Rui e Zaur, tutti e tre le facce pallide e stanche,
saltarono in piedi non appena Espera risbucò dal bagno, dove si era
ripulita da
ogni traccia appartenente a Pharart.
« Allora?! » sberciò Kert, i pugni stretti e un nodo
nello stomaco che gli rendeva roca la voce.
« Se la caverà, » esclamò lei decisa, per poi fissare Rui
con un misto tra decisione e angoscia, « Ma deve rimanere a riposo
assoluto per
almeno dieci giorni, due settimane sarebbe ancora meglio. Ho fatto il
meglio
che potevo, ma i nostri strumenti qui sono quello che sono. »
« Assolutamente, » lui annuì convinto, « Non ho
intenzione di mettere ancor più in pericolo un mio compagno. »
Mentre Kert si risiedeva sul divano con uno sbuffo, Zaur
guardò il suo comandante: « Non sarà presa bene. »
« Non m’interessa. »
« Se possono aspettare
per lei, possono aspettare
anche più a lungo per un membro ufficiale di questa squadra. »
Rui ignorò Kert e si morse l’interno della guancia: «
Penseremo a qualcos’altro. Ora andiamo a riposare anche noi, o non
combineremo
davvero nulla. »
Espera gli si avvicinò, avvolgendolo in un abbraccio che
forse lei necessitava ancora di più, imponendosi di ignorare lo sguardo
glaciale che Kert le aveva rivolto.
Nonostante la tendenza all’ottimismo e all’energia, Purin
fu contenta che, il giorno dopo, Akasaka avesse deciso di aprire il
Caffè solo
per il turno pomeridiano. La botta della battaglia era stata più
intensa di
quanto avesse anticipato, e lei e Taruto si erano ritrovati a dormire
fin quasi
all’ora di pranzo; anche ora che stavano percorrendo il vialetto
assieme,
diretti alla struttura rosa e bianca, non si sentivano affatto riposati
quanto
avrebbero dovuto, ed ogni tanto la mewscimmia testava la capacità di
espansione
di polmoni e cassa toracica, giusto per controllare che le radici che
l’avevano
stretta non avessero causato troppi danni.
« Ehi, Reta-chan! » la sagoma della mew verde sbucò dal
lato opposto, e Purin le sorrise contenta, « Come stai? Niente di
rotto? »
L’amica accennò a un sorriso poco convinto: « Sembrerebbe
di no. Voi tutto bene? »
Taruto la studiò preoccupato, gli occhioni blu contriti e
le pesanti occhiaie sotto di essi fin troppo notevoli: « Ce la caviamo.
»
« Devo evitare i miei fratellini per un po’, » sospirò la
biondina, « O penseranno che Taru-Taru sia un poco di buono, con il
macello che
ho sul collo. »
Si scostò un po’ la sciarpa che indossava, rivelando
l’alone blu lasciatole dalla radice che le aveva stretto la gola poco
prima che
Ichigo riuscisse a intervenire, e Retasu la guardò sconsolata:
« Mi raccomando, Purin-chan, se ti serve qualcosa… anche
se pure io ormai non so cosa inventarmi con i miei. Fortuna che le
maniche
lunghe non sono fuori luogo, ormai. »
« Ma scusate, perché non abbiamo mai pensato a una base
segreta extra, » inquisì a voce alta Purin mentre s’incamminavano tutti
verso
l’ingresso, « Dove possiamo trasferirci tutti così da minimizzare
questo tipo
di interazioni. Tipo casa di Minto nee-san. »
« Fidati, tu
non vuoi convivere con Kisshu. »
« Secondo me sarebbe divertente! Poi così saremmo sempre
insieme. »
« Ripeto,
non vuoi passare tutto il tempo con i
miei fratelli. »
« Sei solo geloso, Taru-Taru. »
Retasu ridacchiò delle loro chiacchiere, ma esitò a
dirigersi insieme a loro verso gli spogliatoi; il Caffè pareva deserto,
ma
sapeva benissimo dove avrebbe trovato Pai, e non avrebbe potuto
concentrarsi
per nulla se non fosse almeno riuscita a salutarlo prima che iniziasse
il caos
del servizio.
« Ah, Purin, ti raggiungo dopo, voi intanto andate. »
« D’accordo, ti
lascio la merenda da parte allora! »
La verde annuì, girò sui tacchi mentre prendeva un
respiro e fissò le scale del seminterrato, gli ultimi gradini avvolti
nella
penombra che le sembrarono significativi del suo stato d’animo.
Su, forza e coraggio, non è mica la prima volta che ci
parli, anzi…
Strinse la ringhiera e s’incamminò lenta, ripetendosi
mentalmente le cose che avrebbe voluto – o dovuto – dire, come un
mantra di
rassicurazione, concentrandosi sul respiro e sui suoi passi così da non
capitombolare giù, attirando più attenzione di quanto avrebbe voluto.
Quando arrivò al seminterrato, notò che la porta del
laboratorio era socchiusa, e le voci di Pai, Kisshu, e Akasaka
filtravano
sottovoce.
« Non è la prima volta che il sistema fa così, » stava
esclamando Kisshu con tono scocciato, « Anche quando la tortorella…
quindi
magari è solamente un errore. »
« Non può essere un errore, te l’ho già detto, » sbottò
stanco il maggiore degli Ikisatashi, « I nostri sistemi, almeno su
questo,
non fanno errori. »
« Ma se non riescono nemmeno a localizzare i nostri
amici! »
Keiichiro si intromise tra i due, e Retasu poté
immaginarsi la ruga tra gli occhi: « Questo invece hai detto che non si
era mai
verificato? »
« Non che mi sia accorto prima, né ne ho trovato traccia
sui registri. »
Retasu stessa corrugò la fronte e cercò di avvicinarsi di
soppiatto per capire di cosa stessero parlando, i loro mormorii che si
fecero
più sordi, ma ebbe fatto tre passi che la porta del laboratorio si aprì
del
tutto, rivelando il pasticcere.
« Ah, Retasu-san, buon pomeriggio! Scusatemi, non mi sono
accorto che si era già fatta ora di apertura. Purin-san è di sopra? »
Lei non poté evitare di arrossire, sentendosi colta in
fallo anche se non aveva fatto niente di sbagliato, e annuì nervosa: «
Sì, con
Taruto-san. Io ero, uhm… »
« Pesciolina, qual buon vento, » Kisshu, lui stesso con
un viso piuttosto segnato, uscì stancamente dallo stanzone e scrocchiò
il
collo, « Non ditemi che è già ora di iniziare la tortura. »
Retasu rise e sbirciò oltre la sua spalla: « Come sei
drammatico, Kisshu-san. »
L’alieno la guardò per un istante e le sorrise: « Tutto a
posto? »
Lei si sentì fin troppo scrutata dalle iridi dorate e
riuscì solo a muovere il capo in un gesto confuso. Lui le diede un
buffetto
sulla testa e, prima di allontanarsi al piano superiore, fece in tempo
a
bisbigliarle qualcosa all’orecchio che la fece sorridere prima che Pai
comparisse corrucciato sulla soglia.
« Che ha detto? »
Retasu non seppe se il suo cuore iniziò a battere agitato
per la sua presenza o per il suo tono scontroso: « Niente, solo una
sciocchezza. »
Pai fece schioccare la lingua con fastidio, poi sospirò e
si fece da parte, lo sguardo che si addolcì posandosi sulla ragazza.
« Come stai? »
Lei scrollò le spalle: « Ammaccata, » esalò, « E stanca;
non ho dormito granché. Qui tutto bene? »
Le dita di Pai fecero per sfiorarle una gota, ma poi
ricaddero pesantemente lungo il fianco dell’alieno: « Come mai non sei
riuscita
a dormire? »
« Forse ero… troppo stanca. E non è stata una giornata
facile. »
« Retasu, » la voce scura si fece ancor più brusca mentre
Pai tentennava se avvicinarsi di più a lei o al contrario farsi
indietro, «
Dimmi la verità. »
Lei inspirò di scatto, tentando di ignorare il pulsare
del suo petto e il nervosismo crescente: « È la verità, » mormorò
sottovoce,
intrecciando forte le mani solo per tenerle ferme, « Io non… non sono
come le
ragazze, non mi è mai piaciuto combattere, e… e ieri è stato
difficile,
per
me. »
Questa volta, il passo indietro di Pai fu ben chiaro, e
la colpì come uno schiaffo, intanto che il viso del ragazzo si faceva
ancora
più cereo: « Non posso biasimarti, né chiederti di restare, se ciò che
è
successo è troppo per te. »
La Mew Mew scosse la testa: « N-non lo è, ma… cioè, sì,
d’accordo,
lo è, però… » fece un respiro profondo
e alzò lo sguardo,
rivolgendogli gli occhioni blu colmi di lacrime, « Sei sempre tu. »
L’alieno la fissò, quasi studiando ogni centimetro del
suo viso alla ricerca del più piccolo tentennamento.
« Non pensare che sia fiero di me stesso, » mormorò a
voce così bassa che Retasu faticò a comprenderlo, « Ma sono disposto a
qualsiasi cosa pur di proteggerti. E comprendo, se ciò ti provoca
disgusto. »
La verde lo guardò scioccata, avanzando verso di lui e
prendendogli il volto tra le mani: « Cos – no, Pai, non potrei mai
esserlo. Ho
solo bisogno di… di capire. Di accettare la realtà dei fatti. »
I palmi di Pai si posarono sui suoi, stringendole le dita
come se in realtà volesse allontanarla: « Non posso vivere al pensiero
che tu
abbia paura di me, Retasu. »
Lei rimase stoica, facendo ancora mezzo passo in avanti:
« Non ho paura di te. Ho paura della situazione, ho paura di perderti.
Ma di te
mai. »
Pai parve rilassarsi di una frazione, ma non cambiò
espressione, accarezzandole solo il dorso della mano con un pollice: «
Sei
troppo buona. »
« Smettila di dirlo come se fosse un insulto. »
Finalmente le rivolse l’ombra di un sorriso, inclinandosi
di più verso di lei: « Tutto il contrario. »
Anche Retasu incurvò le labbra all’insù, seppur con un
tremolio: « Possiamo… parlarne un po’? »
« Certo, » Pai annuì e le lasciò andare le mani, aprendo
appena le braccia ed espirando del tutto quando lei vi si raggomitolò
dentro,
il profumo dei suoi capelli che lo invase come una rassicurazione, « Di
tutto
quello che vuoi, per quanto vuoi. »
§§§
Il fracasso del cemento che si frantumava addosso alle
sue amiche l’assordò anche attraverso gli altoparlanti del laboratorio.
Provò
ancora l’inutilità del proprio comunicatore, dei richiami senza
risposta, quel
senso opprimente di pressione al petto che non la lasciava proprio
stare.
Poi Ichigo cominciava a cadere e lei volava così
veloce da sentire dolore in ogni singola piuma, o forse era lei che
stava
cadendo di nuovo, senza rallentare, solo il boato della battaglia come
sottofondo, e quella voce che…
Minto si tirò su di scatto e prese un respiro, piantando
bene i palmi contro al materasso per assicurarsi che no, nonostante
l’odiosa
sensazione nello stomaco, non stava cadendo, era al sicuro nel suo
letto, nella
sua stanza, illuminata e –
Perché era così illuminata?
Nonostante l’ottundimento per il sonno interrotto in
maniera così brusca, saltò giù dal letto come una furia non appena ebbe
lanciato un’occhiata alla sveglia e un’altra al suo cellulare per
accertarsi
realmente di che ore fossero. Aveva dormito ben oltre all’orario
prefissato, e
ora era in indiscutibile ed insopportabile ritardo per il suo
appuntamento con
Zakuro.
Stringendo un paio di maledizioni tra i denti –
perché
diamine Kisshu non l’aveva svegliata!? Perché se n’era andato senza
avvertirla?! – si preparò il più velocemente possibile,
senza neanche
perdere tempo ad avvisare la onee-sama con un messaggio, quasi
abbaiando che le
fosse preparata l’automobile, ignorando completamente l’elegante
colazione che,
come ogni mattina, l’aspettava nel salottino preferito.
Odiava, odiava con tutta sé stessa essere in ritardo,
soprattutto per delle stupidaggini come il poco e cattivo sonno, o per
le
mancanze altrui; e poi il lavoro era l’unica cosa in quel momento che
le dava
costanza, che le teneva lontano distrazioni poco piacevoli, pensare di
non dare
il massimo e gravare su Zakuro non era per niente accettabile.
Si dovette trattenere dall’ordinare all’autista di andare
quanto più veloce possibile, intanto che finiva di darsi gli ultimi
ritocchi
sul sedile posteriore e continuando a lanciare pensieri maligni a
destra e a
manca, dal traffico inesorabile di Tokyo a Shirogane e i suoi
esperimenti
genetici. Quando finalmente la limousine si fermò davanti all’elegante
complesso di appartamenti in cui viveva la modella, Minto si lanciò
fuori con
un ultimo commento distratto sul non aspettarla né tornare a prenderla,
il naso
infilato nella grossa borsa nera alla ricerca del mazzo di chiavi
giusto.
Salutato il portiere in maniera spicciola e sfogato metà della
sua frustrazione sul pulsante dell’ascensore, arrivò quasi senza fiato
all’ultimo
piano, davanti all’entrata del loft di Zakuro. Suonò il campanello, ma
come di
consueto infilò le chiavi nella toppa prima di ricevere risposta.
« Buongiorno onee-sama, scusa il ritardo! » esclamò ad
alta voce, « Ma non ho sentito la svegli –
ah. »
La voce le si affievolì mentre gli occhi si posavano sul
paio di scarpe chiaramente maschili riposte all’ingresso, e lei percepì
in quel
momento il rumore dell’acqua che scorreva in bagno e che evidentemente
non era
in utilizzo dalla mewwolf, la quale le comparve davanti in
quell’istante con in
mano una tazza di caffè.
« Buongiorno, Minto, non preoccuparti, » le sorrise,
facendo finta di non notare la sua espressione stizzita, « Non ti
ricordi? Le
riprese sono sospese fino alla settimana prossima. »
La mora si lasciò scappare uno sbuffo irritato mentre
l’informazione faceva effettivamente capolino dai meandri del suo
cervello.
« Ah, certo, giusto… » borbottò, scuotendo la testa, poi
si concentrò per essere più pimpante, « Allora possiamo approfittarne
per
rivedere l’agenda degli impegni futuri? So che Tanizaki-san voleva
renderti
partecipe di un paio di campagne, ma ho paura che possano coincidere
con – »
Zakuro la fermò con una mano leggera sulla spalla: «
Minto, in realtà credo che dovremmo rallentare e goderci questi giorni
di
pausa, senza andare in
overbooking. Soprattutto con
quello che sta
succedendo ultimamente, farebbe bene anche a te, non trovi? »
Il viso di Minto si accigliò di scatto e lei boccheggiò
un paio di secondi prima di esclamare: « Cosa vorresti intendere? »
« Niente. Non c’è fretta di riempire i tempi morti, siamo
già abbastanza stressate, e parlo di tutte noi. E sia come tua
assistita che
come tua amica, prenderti un respiro sarebbe – »
« Non mettere in
mezzo me se t’importa solo di passare del tempo con lui. »
Zakuro rimase stoica allo sbotto improvviso, stringendole
solo un po’ di più la spalla: « Sto cercando di aiu – »
« Che poi vorrei capire cosa ti stia passando per la
testa, con quello là, » continuò imperterrita la mora, lanciando
un’occhiataccia di fuoco oltre il corridoio d’ingresso dove ancora
sostavano, «
Ha quanto, trentun anni? E ancora deve andare a importunare le
ventenni?! »
« Minto. »
« E poi, non sappiamo
niente di lui! Metti… metti
che lo stia facendo solo per il suo lavoro, di cui abbiamo pochissimi
dettagli!
Metti che… che sia tutta una trappola, che ti voglia
studiare,
o – »
« Minto, ora basta. »
Il tono della modella la fece trasalire e zittire
d’improvviso, la bocca che si strinse in una linea severa.
« Ti sono sempre molto riconoscente del fatto che ti
preoccupi per me, anche quando la tua apprensione è mal posta, » sibilò
gelida
Zakuro, « Ma prima di dirci qualcosa di cui poi ci pentiremo, ritengo
sia
meglio tu vada. »
Le iridi color caffè tremolarono lucide, ma Minto alzò il
naso e si limitò ad annuire, le nocche strette attorno al manico della
borsa
che impallidirono.
« D’accordo, » esclamò indispettita, « Se hai bisogno sai
dove trovarmi, non ti disturbo oltre. »
Girò sui tacchi e non si voltò indietro, sforzandosi di
controllare il tremolio del proprio mento almeno fino a quando si
chiusero le
porte dell’ascensore.
Espera bussò dolcemente all’ingresso della camera che ospitava
Pharart e attese qualche istante; non udendo nessuna risposta, si
bilanciò
meglio la bacinella d’acqua contro il fianco ed aprì la porta, facendo
sbucare
solo il viso dalla fessura.
« Sono ancora vivo. »
Sorrise al fievole commento roco del ragazzo ed entrò più
decisa, raggiungendo il letto: « Ciao, come stai? »
« Come qualcuno a cui hanno perforato le budella. »
La ragazza sorrise ancora e gli sfiorò la fronte con il
palmo, assicurandosi che la temperatura non fosse salita nuovamente: «
È ora di
cambiarti di nuovo la fasciatura. Ma prometto che diventerà sempre meno
fastidioso. »
Pharart grugnì lamentoso, fissando il soffitto con
concentrazione: « Dimmi che almeno tra un po’ potrò uscire da qui. Sto
cominciando a essere inghiottito dal materasso. »
L’aliena rise e iniziò a lavorare con attenzione: « È
passata una settimana, direi che è stato il periodo più delicato. La
ferita si
sta rimarginando bene, ma voglio essere cauta. Tu come ti senti? »
« Posso mentirti e dire che voglio lanciarmi giù dal
letto? »
« Assolutamente no. »
Si scambiarono una risata, ed Espera tastò con accortezza
la cicatrice arrossata che ora gli decorava l’addome. Pharart sibilò
tra i
denti e l’aliena corrugò la fronte, concentrandosi per trasmettergli
quanta più
calma e tranquillità possibile.
« Come fai? » domandò dopo un po’ il biondo, mentre lei
intingeva una spugna nella bacinella e prendeva a lavarlo delicatamente.
Espera ci pensò su un attimo, stringendosi nelle spalle:
« Non so come spiegarlo, io vi sento e basta. A volte è come se potessi
percepire anche il colore di un’emozione, quando è molto forte. È anche
per
questo che ho voluto dedicarmi alle cure, per riuscire a spargere
quanta più
positività possibile; anche perché non è sempre semplice riuscire a
influenzare
l’umore altrui. »
« Ma non stai male? »
« Un po’, » replicò lei, iniziando a srotolare la garza
pulita, « Su Gaia è più facile. »
« Come darti torto. »
Si scambiarono un’occhiata d’intesa, poi Espera lavorò
qualche altro istante in silenzio e infine gli sorrise: « Ecco fatto.
Mi
raccomando, sai come funziona: se inizi a sentirti male, o senti che la
ferita
è calda, fai un fischio. Vado a prenderti il pranzo, intanto. »
« Manda qualcuno di quei pigroni a farmi compagnia,
magari. Kert mi deve ancora una rivincita a
shatranj(**). »
Lei annuì e lo salutò con un cenno, rassicurata di
vederlo in condizioni via via migliori. Si sbarazzò dell’acqua
intiepidita in
bagno, si risciacquò viso e mani, e infine si diresse verso il salone
principale, dove i rimanenti tre della compagnia passavano la maggior
parte del
tempo.
« Qualcuno ha pensato a mettere qualcosa sotto i denti? »
Kert, in piedi vicino al monitor principale, la guardò
storto: « Abbiamo pensieri ben più gravi. »
« Me lo ricorderò, sai, quando sentirò lamentarti, » lo
riprese lei in uno scatto d’ironia che gli fece guizzare il
sopracciglio
pallido, però poi intercettò lo sguardo preoccupato di Rui, che le
sorrise
mesto:
« Il Consiglio è un po’ stanco dei nostri aggiornamenti
speranzosi ma vacui. Stanno richiedendo di rivedere le strategie. »
Zaur fece schioccare la lingua, scocciato, e il maggiore
dei Tha lo echeggiò.
« Possibile che non gli importi nulla? »
« Ci sono interessi ben più grossi, Kert, e lo sai anche
tu. »
Lui sibilò qualcosa sottovoce, poi si rivolse di nuovo a
Espera con cattiveria: « Tu, principessina, pensi di renderti utile in
un lasso
di tempo sensato? »
La ragazza cercò di rimanere impassibile a
quell’affermazione, ben sapendo quale fosse il non detto a cui Kert
stava
riferendosi e perciò inveendogli contro silenziosamente dentro di sé;
poté
anche percepire un brivido strano che le corse lungo la schiena e che
le fece
tremolare la mano, unito alla voglia di tirargli un altro cazzotto, poi
però
un’idea le arrivò in quel momento e lei raddrizzò la schiena: forse, se
fosse
riuscita a parlarle, a spiegarle la situazione sfruttando quest’ultima
necessità…
« Io forse un’idea ce l’avrei. »
La visita non la prese del tutto alla sprovvista, ma le
fece comunque uno strano effetto trovarsi Kisshu davanti alla
portafinestra del
balcone.
« Cos’hai contro la porta d’ingresso? » l’accolse Zakuro
a voce bassa, e lui si scrollò nelle spalle:
« Questo è più veloce, e poi ci sono ottomila telecamere
in questo palazzo, devo evitare che a mio fratello venga l’ennesima
sincope. »
Lei non commentò, come decise di non commentare il fatto
che era in giro in maglietta alle dieci di una sera di fine ottobre, ma
gli
fece strada fino ai divani. Si accomodò su uno dei braccioli, ma Kisshu
rimase
in piedi circa al centro della stanza, il viso scuro e le mani poggiate
sui
fianchi:
« Vogliamo continuare a far finta che vada tutto bene? E
che sia solo questione di tempo? Finché litiga con me ancora okay, ma
con te?
Mi sembra un segnale ben chiaro. »
Zakuro si picchiettò un ginocchio con un dito,
arricciando appena le labbra: « Raramente Minto ha avuto mezze misure
riguardo
le proprie opinioni, ma questa volta ha esagerato. »
« I dettagli non mi interessano, sono fatti vostri, però
non venirmi a dire che non sei preoccupata del suo comportamento, »
Kisshu si
passò le dita tra i capelli, il ciuffo della frangia che rimase
spettinato
all’insù, « D’accordo, la tortorella è parecchio drammatica, ma – »
« Cos’è successo dopo che è andata via da qua? »
Lui sbuffò e scosse la testa: « Sono passato da lei per
cena e praticamente mi ha sbranato, accusandomi di non averla svegliata
apposta
perché la stiamo trattando tutti come se sia malata, che tu stessa non
la
ritieni capace di gestire la situazione e l’hai voluta allontanare – ti
risparmio i commenti sul tuo moroso. Quando le ho fatto notare che non
avevi
tutti i torti e che questa settimana di respiro fa bene a tutti, ha
ricominciato a dire che nessuno di noi la sta a sentire e che,
fondamentalmente, siamo tutti degli egoisti iperprotettivi. Non so se
non se ne
renda conto, o se faccia finta di niente, » aggiunse poi con un ultimo
sbuffo.
Zakuro rimase in attesa, così lui continuò il suo sfogo, incominciando
a
librare a mezz’aria a gambe incrociate:
« Dorme tantissimo, ma non dorme bene. Mi sveglio in
continuazione perché la sento che si agita, che borbotta, ho perso il
conto di
quante volte si è svegliata di colpo in piena notte – e devo far finta
di non
accorgermene, di continuare a dormire, perché se solo provo a
consolarla
s’incazza come una biscia e mi dà del pesante. E se non ci sono io,
dorme con
tutte le luci accese; non passa neanche per il corridoio se la luce è
spenta.
Poi l’hai visto pure tu come ha reagito la settimana scorsa, e non mi
pare che
la situazione stia migliorando. »
Kisshu prese un respiro, poi fece schioccare la lingua in
maniera dolorosamente sarcastica, fissando gli intricati decori del
tappeto
persiano: « E queste sono le cose che noto quando sto con lei, che è
molto meno
spesso di quanto vorrei. Perché non credo di dovertelo dire che il più
delle
volte sembra faccia pure fatica a guardarmi negli occhi, o a rivolgermi
la
parola. Per non dire altro. Sono qui a quest’ora, dopotutto. »
Calò il silenzio, rotto solo dai loro respiri. Zakuro
continuò a tamburellare sulle proprie gambe, cercando di articolare i
pensieri;
Minto non gliene aveva mai parlato, ma non le era necessario perché
sapesse che
ci fosse stato di più di quello che aveva rivelato sui loro nemici, o
che
almeno, l’impatto del suo rapimento sulla sua psiche fosse maggiore di
quanto
le piacesse dare a vedere. Ma costringere Minto in una direzione
diversa da
quella che si era prefissata non era mai stato un’impresa semplice,
perdipiù se
veniva messa in discussione la sua capacità di resistenza, o la sua
autonomia.
« Non so cosa fare, » esalò ancora Kisshu, la voce
stanca, « Se inizia a isolarsi anche da voi… »
« Dalle un po’ di tempo per sbollire, » disse infine la
modella, « E dallo anche a me. Le voglio bene, e capisco la situazione,
ma ciò
non le dà adito di dire le cose che ha detto, o almeno nella maniera in
cui lo
ha fatto. Ma non la lasceremo sola, se è ciò che ti preoccupa, neanche
se o
quando ce lo chiederà. Però, e soprattutto, non dovremmo starle
addosso,
nessuno di noi, e tu in primis. »
« Facile a dirsi, » replicò lui, « Non sei tu quella che
viene evitata come se avessi la peste. »
« Appunto, insistere ti tornerà solo indietro come un
boomerang. Quando si sentirà pronta, vedrai che sarai lei a cercarti;
nel
frattempo, possiamo spingerla
piano verso la
direzione giusta. Ti ha
ascoltato, durante l’ultima battaglia, ed è rimasta in disparte. »
« Sì, per la prima mezz’ora. »
« Meglio che niente. »
Lui fece uno sbuffo e annuì lento, facendo penzolare una
gamba nell’aria: « E se alla fine non vuole cercarmi più? »
Zakuro esitò una frazione di secondo, ma cercò di
sorridere incoraggiante: « Chi è che è parecchio drammatico, ora? »
Kisshu fece una smorfia poco divertita, poi si raddrizzò
e si scrocchiò il collo: « Torno al Caffè. È stata una giornata
infernale, e
Pai vuole un aggiornamento costante dei sistemi. Almeno lui e la
pesciolina
hanno fatto pace. »
La modella si alzò e lo seguì di nuovo alla finestra: «
C’è qualcosa da monitorare di più? »
« No, no, » la schiena rivolta a lei, Kisshu agitò solo
una mano come a dirle di non preoccuparsi, « È solo mio fratello che è
paranoico. Tutti in tema, eh? »
Lei rispose solo con un arriccio delle labbra, non del
tutto convinta, e un ultimo cenno di saluto, prima di guardarlo
teletrasportarsi via.
§§§
Che si detestassero a vicenda era un dato di fatto. Che
Seles fosse una vipera vendicativa era una novità.
Non sapeva neanche se avere più rispetto per lei, dopo
quella trovata: chiaramente era stato un gran colpaccio, un’idea
geniale, anche
perché quelle due si conoscevano così bene, Seles non poteva non averle
parlato
di
tutto, compreso quello che interessava a lui.
Però lui aveva sperato fino alla fine che il Consiglio
non approvasse il suggerimento, e anche una volta che era arrivato il
via
libera, per l’intera settimana successiva lui aveva auspicato che non
succedesse
davvero. Era diventato talmente nervoso
che pure Pharart –
seppur convalescente,
lo stronzo, aveva abbastanza
fiato per prenderlo
in giro senza sosta, e Zaur con lui – a un certo punto lo aveva trovato
insopportabile, chiedendogli di lasciarlo stare per un paio di ore.
Espera
figuriamoci, non sapeva nemmeno lui come avesse fatto a rendersi a lui
così
invisibile per quella decina di giorni, ben conscia del
danno
che aveva
provocato.
E invece no. Stava per succedere davvero, e il segnale
d’arrivo aveva appena raggiunto i loro server.
Dopo innumerevoli rotture di scatole attraverso un
ologramma perfetto, Sunao comparve davanti a loro in carne ed ossa, il
nuovo
membro della missione di Gaia sulla Terra, a dare supporto addizionale
ora che
uno di loro era ferito e, quindi, la loro efficienza si era ridotta
ulteriormente.
Rui sorrise smagliante, inclinando appena la testa verso
la nuova arrivata: « Sunamora, benvenuta. È un piacere e un onore
averti tra
noi. »
Espera non attese un istante e si lanciò al collo
dell’amica con un gridolino contento, quasi spezzandole il fiato mentre
rispondeva: « È un piacere anche per me. Credo che ci divertiremo. »
Kert alzò gli occhi al cielo a quel commento, e si limitò
a un saluto spiccio non appena lei fu libera dalla presa della mora: «
Sunamora. »
« Tha. »
Sunao gli sorrise, divertita dal suo evidente fastidio;
una frazione di secondo dopo, Pharart – che non si sarebbe per niente
perso
l’occasione – s’intromise tra di loro, porgendole la mano con
un’espressione
smagliante:
« Kyurai Pharart. Piacere di fare
finalmente la
tua conoscenza di persona. »
L’aliena rise e gli strinse la mano: « Ah, il nostro eroe
ferito in battaglia. Ho sentito molto parlare di te. »
« Solo cose irreprensibili, spero. »
Kert fece schioccare la lingua e alzò gli occhi al cielo:
« Dovresti essere a letto. »
« L’hai sentita, sono un eroe. Un eroe non si abbandona
al proprio dolore. »
«
Tu sei un imbecille. »
Espera scivolò leggera tra di loro per prendere Pharart
per le spalle prima che il tic nervoso della mascella di Kert
diventasse ancora
più evidente.
« Ha ragione, sai, » esclamò, « Torna a riposarti. »
Il biondo finse una smorfia scioccata: « Devo essere sul
punto di morte, se tu e Kert siete d’accordo. »
« Finiscila. »
Sunao rise ancora e gli fece l’occhiolino: « Avremo modo
di chiacchierare, ne sono certa. »
« Aspetterò con impazienza, » Pharart replicò con
altrettanta malizia e accennò a un inchino, nonostante il volto che
perse
velocemente colore.
Espera lo spinse un po’ più decisa verso l’uscita, quasi
trascinandolo via, mentre Kert sbuffava sonoramente e l’aliena dai
capelli
violetti continuava a ridere.
« Dargli corda non l’aiuta, se non si regge in piedi. »
Sunao alzò gli occhi al cielo: « Invece è un buon segno
se mantiene il suo spirito. »
« Quello sempre, » lui seguì la sagoma dell’amico con gli
occhi, poi esalò e si passò nervosamente una mano tra i ciuffi grigi, «
Credo
sia anche una maniera di accantonare il pensiero che in pratica
l’abbiamo
riacciuffato per un pelo. »
La ragazza lo studiò incuriosita: « Non ti vedevo così
abbattuto da un bel po’. »
« Non avevamo mai rischiato
così. »
« Scommetto che una maniera di tirarti su la trovo. »
Kert le rispose solo con un ringhio poco divertito al
doppio senso, lanciandole uno sguardo da sopra la spalla, ma le fece
comunque
un cenno mentre s’incamminava lungo il corridoio. La precedette
all’interno
della propria camera e si lasciò cadere sul divano, facendolo cigolare
lamentosamente. Sunao lo seguì svelta e gli porse una bottiglia di
vetro prima
di sedersi accanto a lui, poggiando il gomito sulla spalliera e
raccogliendo le
gambe contro di sé:
« Pacco speciale. »
Lui emise un verso di soddisfazione: « Come l’hai
motivata la cassa di
ollit? »
« Un regalo per il morale dei nostri eroi. »
Kert sbuffò, scostandosi i capelli dal viso con un cenno
del capo: « Sunamora, stai cercando di corrompermi. »
Lei ridacchiò e fece cozzare gentilmente le rispettive
bottiglie: « Mai negato il contrario. »
L’alieno prese un sorso, poi sospirò pesantemente e si
passò una mano su viso: « Il Consiglio deve ritenere che siamo in un
bel
casino, per mandare te. »
« Rui ha comunicato la prognosi suggerita da Espera, non
l’hanno ritenuta ottimale. »
«
Tsk, » lui fece schioccare la lingua, « E
figuriamoci. »
Si afflosciò di più sul divano, massaggiandosi la radice
del naso e buttando la testa all’indietro contro la spalliera mentre
Sunao
rideva sottovoce:
« Comunque grazie del complimento. »
« Sottintendevo che tu sei una grandissima rompipalle. »
« Prometto che cercherò di essere clemente con te durante
gli allenamenti. »
Kert emise uno stridulo verso di naso condito di
incredulità prima di lanciarle un’occhiataccia, poi però sbuffò: « Non
ti sto
dando ragione, né tantomeno al Consiglio, ma a volte mi chiedo se
davvero non
abbiamo sottovalutato tutto questo. Sicuramente non avevamo tutte le
informazioni necessarie, e quei Duuariani… »
Sunao si spostò appena sul divano, le dita della mano
sinistra che gli sfiorarono la spalla: « Non dirmi che sei davvero
preoccupato.
»
« I pianetini attorno a Gaia al massimo avevano una fauna
ipertrofica che non era in grado di infilzarti con la tua stessa arma.
»
« Come se non avessi avuto da discutere anche con loro, »
lo prese in giro, « Ma sei carino quando ti preoccupi per il tuo amico.
Che non
mi avevi mai presentato, tra parentesi. »
Kert la guardò di nuovo male: « Da quando te li devo
presentare io? »
L’aliena rise e bevve: « Sarebbero di fondamentale aiuto
quando diventi insopportabile. »
Lui grugnì, poi giocherellò un po’ con la bottiglia e
sospirò: « Raccontami un po’ di casa. Quali sono le chiacchiere ad Astù?
(***)»
« A parte la costante narrazione delle vostre gesta, vuoi
dire? Credo che tra un po’ il Consiglio interverrà per fare tacere
Euribe. »
Kert sbuffò al nome di sua madre: « Le manco e non vede
l’ora di rivedermi, vero? Mentre il suo
bambino e la sua
perfetta compagna sono
l’ultimo dei suoi pensieri, completamente dimenticati. »
« È fiera anche di te. Tu però un po’ la osteggi, » Sunao
allungò la mano e gli sfiorò coi polpastrelli la metà di capelli che
lui
portava rasati, « Ad esempio, quando ammetterai che quest’acconciatura
è solo
per farla infuriare? »
« Tsk, » lui schioccò la lingua e poi la guardò con
soddisfazione, accennando all’insieme di tatuaggi che gli decorava
l’intera
spalla sinistra, « Mai come questi. »
« Appunto, » lei ricambiò il sorriso divertito, bevve un
sorso ed esclamò, « Ah, a proposito, Jalant e Utha si sposano. »
Kert sbarrò gli occhi alla notizia sull’amico,
responsabile dei decori sulla sua pelle: « Che stai dicendo?! Ma se
Utha non ha
accettato un appuntamento per anni…! »
« Ha accettato poco dopo che siete partiti. »
«… e in due mesi hanno deciso di sposarsi? »
Sunao fece spallucce: « A volte la perseveranza paga. »
Kert sbuffò, mormorando qualcosa sull’essere folli, e le
lanciò l’ennesimo sguardo piccato al limitatamente velato riferimento
della sua
frase; voltandosi però verso di lei, la traiettoria del suo sguardo
dorato cadde
inevitabilmente sulle sue labbra: sempre stese nella solita smorfia
soddisfatta,
lui non si domandò nemmeno se lei l’avesse notato. Era impossibile che
Sunao
non notasse qualcosa.
Non si spostò, ma preferì fissarle la punta del naso,
anche mentre le dita della ragazza continuarono a giocherellare con i
suoi
capelli cortissimi. L’avrebbe negato perfino sotto tortura, ma la
presenza di
Sunao lo stava facendo sentire più vicino a Gaia, cullandolo in un
oblio di
normalità che in quel momento gli mancò d’impatto.
« E tu che mi dici? »
Lei lo guardò da sotto le ciglia scure e fece camminare
indice e medio come delle gambe lungo la spalla di lui: « Il Consiglio
mi tiene
impegnata. Soprattutto ora che l’attenzione è concentrata su di voi. »
« Malumori? »
« Come al solito. Qualche dissapore riguardo le nuove
regole sull’espansione delle zone abitative nella regione di Harav.
Niente di
che. La vita è un po’ noiosa ora, soprattutto a sentir parlare di te
costantemente. Senza poterne approfittare. »
Kert la scrutò di sbieco: « Ma se sei sempre stata qui a
rompere le scatole. »
« Oh, su, non è la stessa cosa e lo sai. Il divertimento
arriva
adesso. »
« Guarda che lo so cosa stai cercando di fare. »
« Non mi sembra di aver mai detto il contrario. »
Lui sbuffò e scosse la testa mentre svuotava mezza
bottiglia in un sorso.
« Come se non avessi avuto fior fiore di appuntamenti,
Sunamora. »
Sunao continuò a sorridere sorniona e gli si fece più
vicina: « L'unico che mi ha mai dato filo da torcere, » mormorò,
inclinando il
viso verso di lui mentre spostava appena le gambe così che lo spacco
laterale del
suo vestito scoprisse ancora più pelle nuda, « Sei tu. Vuoi continuare
pure
sulla Terra? »
« Sei appena arrivata in missione speciale da parte del
Consiglio. »
« Esatto, non vedo il motivo per sprecare tempo. »
Kert sospirò e ne studiò il volto
per un istante, così vicino al suo che sarebbe bastato un respiro per
sfiorarlo.
Era sempre stata la donna più bella che avesse mai conosciuto, ma era…
complicata. Lui era complicato. La loro amicizia era complicata, sempre
in
bilico su un limite che lui si era sempre imposto di non attraversare.
Non
aveva tempo per certe cose, non aveva nemmeno il tempo anche solo di
rifletterci.
E lei era
perfettamente capace di staccargli la testa a morsi, se avesse voluto.
« Dovresti
essere mia amica. »
« Lo sono, »
ribatté Sunao divertita, « Ricordami, da chi sei andato a lamentarti
appena
ricevuta la straordinaria notizia dell’onore concesso al fratellino? »
Il sorrisetto
sbruffone dell’aliena non fece che aumentare il suo disagio, pungendolo
sul
vivo. Dopo il suo vagabondare per ore, dopo che Pharart aveva cercato
di
rallegrarlo, sulla sponda del fiume, era stato lui stesso a cercare
Sunao, un
consistente numero di bottiglie con sé, e a procedere a sciorinare su
di lei
tutta la sua infinita frustrazione fino a notte inoltrata.
Probabilmente non
aveva neanche mai più parlato così tanto dopo quel frangente.
« Non ti
reggerei, altrimenti, quando ti ubriachi diventi insopportabilmente
logorroico.
»
Kert le fece una
smorfia poco divertita, e Sunao riprese il lento accarezzargli dei
capelli.
« È inutile che
me lo rinfacci ora, perché lo so che non ti è dispiaciuto. »
Gli occhi di lei
brillarono un istante: « Non credo dispiaccia neanche a te. »
Il tono di voce
così basso e carico di sfida gli provocò un deciso crampo allo stomaco
che lui
s’intestardì a ignorare finendo l’ollit in un fiato:
« È un’idea di
merda, Sunamora. Sotto molteplici punti di vista. »
« Hai mai
pensato che stai facendo tutto da solo? »
Lui controllò il
proprio riflesso nelle iridi lillà, contraendo ogni singolo muscolo per
non
sfiorarla, la mano di lei leggera che continuava a stuzzicarlo come
tante volte
prima, e come mai prima di allora.
Non era mai
stato un bugiardo, e non avrebbe iniziato a esserlo in quel momento,
convincendosi che non ci avesse pensato molte più volte di quanto gli
piaceva
ammettere, e che il problema era proprio quello, e cacciarvisi…
« Siamo sulla Terra,
» sussurrò Sunao, sfruttando il suo non ribattere, e si alzò per
portarsi
davanti a lui e farsi spazio tra le sue ginocchia aprendo con lentezza
i
bottoni laterali del vestito che indossava, « Le regole di Gaia non si
applicano qui. Perché non approfittarne? »
Gli scappò uno
strano ansito strozzato: « … abbiamo un incarico da – »
Gli occhi
violetti brillarono di divertimento mentre anche l’ultima asola veniva
liberata: « Tha, non essere troppo sicuro di te stesso. »
Kert rimase
stravaccato sul divano, le iridi che si tinsero di un tono più scuro
nell’osservare la pelle color latte che spuntava ammiccante, e
contrasse le
dita attorno alla bottiglia: « Tu vuoi rendermi la vita un inferno. »
Sunao rise di
nuovo a mezza bocca mentre il suo abito cadeva del tutto sul pavimento
con un
sottile fruscio di seta e lei gli si inginocchiava in fronte,
sfiorandogli le
cosce.
« Quindi dimmi
di no come fai di solito. »
Il suo pollice
si mosse a tracciare il contorno delle labbra della ragazza quasi
autonomamente, il respiro caldo che gli solleticò deliziosamente la
pelle.
Al diavolo.
Stava già tutto andando a puttane, poteva cacciarsi anche in questa.
« Non mordere, »
esalò, e il guizzo scaltro nelle iridi viola gli diede tutt’altro che
conferma.
(*)
Capitolo cinque,
Another spring
(**)
Dal nome persiano per il gioco
antico degli scacchi, dal sanscrito chaturanga che
si riferisce appunto
al gioco dallo stesso nome, antenato degli scacchi moderni. https://en.wikipedia.org/wiki/Shatranj
(***) Dal greco antico
(sì, lo so, aridaje) ἄστυ, che
indicava la parte bassa della polis (in
contrapposizione all’acropoli)
vero fulcro della città nel quale si svolgeva la vita quotidiana. https://it.wikipedia.org/wiki/Asty