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Autore: Hypnotic Poison    04/02/2024    0 recensioni
Erano sei anni che poteva considerare la sua vita – quasi – normale. Anche se di cose ne erano cambiate parecchie. [...]
« Beh! Che c’è, non si salutano più gli amici da queste parti? »
« Cosa ci fai tu qui! »
[...]
« Stamattina… non è scattato nessun allarme, niente di niente, ma i computer si sono riaccesi automaticamente sui dati del progetto Mew. » [...]
« Ora voi parlate. E vi conviene dire tutta la verità. »

[ATTENZIONE: STORIA IN REVISIONE. Aggiornati al 04/02/2024: 1-18]
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Mint Aizawa/Mina, Nuovo Personaggio, Ryo Shirogane/Ryan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter Eighteen – But I’m the mess that you wanted

 

 
 
 
 
 
 
 
 
Una sequela di parolacce si levò dalle labbra di Rui non appena varcarono la soglia del salone, Pharart, a capo riverso sul petto stretto tra lui e Kert. S’impose di ignorare il calore crescente che sentiva espandersi contro il suo fianco da quello dell’amico, e circumnavigò le sedie con quanta più cautela possibile, mirando verso il tavolo al centro della stanza.
« Cos’è successo?! »
Espera li raggiunse preoccupata, sgranando gli occhioni blu non appena capì cosa stesse accadendo. Al tempo stesso, non perse un secondo a reagire: nonostante il pallore sul viso, si rimboccò le maniche e cacciò giù dal tavolo le poche cose lì sopra, facendo spazio perché Kert e Rui potessero deporvi con cura il biondo.
« Nella dispensa, la sacca rossa, » istruì Zaur e Rui, che annuirono convinti, « E dell’acqua calda, subito, per favore. »
Pharart esalò un sibilo di dolore quando le dita sottili dell’aliena tastarono attorno alla ferita, da cui ancora spuntava la freccia.
« Scusa, » la ragazza gli rivolse un sorriso incoraggiante e dispiaciuto, « Non sarà piacevole toglierla, ti avverto. »
« E quando mai, » boccheggiò lui, fissando il soffitto per non guardare il sangue che persisteva a colargli lungo l’ombelico o gli strumenti che lei estrasse dalla bisaccia che Zaur le passò velocemente.
Rui tornò in quel momento e poggiò una bacinella accanto alla compagna, che vi tuffò le mani e poi si scambiò uno sguardo con l’alieno dagli occhi neri.
« Non posso che consigliarlo. »
« D’accordo, » Pharart ansimò un’altra volta e strinse i denti mentre il dolore s’irradiava fin dietro la schiena, « Basta che facciate presto. »
Espera annuì, poggiando con leggerezza i polpastrelli attorno alla freccia: « Pronti? Uno, due, e… »
 
 
 
 
« Mi sembra pulita e non molto profonda, Ichigo-chan, niente di cui preoccuparsi. Però continua a metterci il ghiaccio, d’accordo? E sta’ all’erta, se dovesse venirti mal di testa. »
« Grazie, Akasaka-san, » la rossa gli rivolse un sorriso stanco, sfiorandosi di nuovo sovrappensiero il taglio che aveva appena sopra l’orecchio sinistro e che lui aveva appena terminato di medicare.
« Figurati, con quella testa dura non c’erano sicuramente pericoli. »
Ichigo fece una smorfia dispettosa a Minto: « Simpatica come sempre. »
« Non ho ancora sentito grazie, sai, piccola palla di pelo volante. »
« Non ho proprio niente da ringraziarti se il trattamento è questo! »
« Ragazze, per favore, » Zakuro esalò, appena divertita ma esausta, il braccio contuso poggiato temporaneamente su un foulard per riposare l’articolazione e una varietà di tagli sul corpo che non sapeva come avrebbe spiegato alla troupe della serie tv, « È ora di andare a casa. »
« Concordo, » Purin si stiracchiò con un sonoro scrocchiare, poi sbadigliò, « Domani tutto come al solito? »
« Solo se ce la fate. »
La biondina quasi saltellò sul posto in risposta a Keiichiro: « Io e Taru-Taru direi di sì. »
« Tu vai a batterie nucleari, altroché. »
Rivolse una linguaccia a Kisshu – ancora a massaggiarsi una scapola dove si stava affacciando un vistoso livido causato da una delle radici di Pharart – poi salutò di nuovo sottovoce le amiche e, agguantato Taruto sotto il braccio, si allontanò spedita dal laboratorio.
Le altre la seguirono mormorando saluti più o meno energici, sciamando fuori in gruppo senza le forze per commentare oltre il disastro conclamato che quella battaglia si era dimostrata.
Non appena furono lontani da sguardi indiscreti, ma comunque riparati tra i sentieri del parco, Shirogane passò un braccio attorno alle spalle di Ichigo e la strinse a sé, posando il naso tra i suoi capelli: « Direi che ora sei pari e patta con tutto quello che facevi a tredici anni. »
« Mmph, che meraviglia, » rispose sarcastica lei, poggiandogli una mano sul petto per farsi più vicina, «  In realtà mancherebbe solo che tu avessi più di un alter ego. Come quando pensavamo che il Cavaliere Blu fossi tu. »
« L’avrei preferito, » commentò lui lugubre, poi abbassò la voce, « Dopo mi racconti a cos’hai pensato. »
Ichigo arrossì e alzò gli occhi al cielo: « Che sciocco. »
 
 
 
 
« Ahio, tortorella, fai piano! Quella roba pizzica! »
Minto sbuffò e tamponò ancora una volta con il disinfettante il taglio che Kisshu aveva sullo zigomo destro.
« Non essere esagerato, » gli concesse una carezza, poi afferrò una pomata lenitiva e si accomodò sul divanetto alle sue spalle per trattare invece il grosso ematoma che gli stava fiorendo sulla spalla, « E poi forse così ti ricorderai che devi stare più attento. »
Lui, seduto sul pavimento, esalò tra i denti quando le dita lo sfiorarono con la crema fredda: « Le liane non erano nel piano, e non sono il mio stile di bondage. »
La mora, automaticamente, gli diede uno scappellotto sulla spalla opposta che gli strappò un gemito più per lamentela che per vero fastidio; calò poi il silenzio per un paio di minuti, lei che continuò placidamente a massaggiargli la scapola contusa.
« Sei arrabbiato? » domandò sottovoce dopo un po’.
Kisshu si tese appena sotto le sue mani, però sospirò e scosse la testa: « No, » mormorò e si voltò quanto bastava per scrutarla con la coda dell’occhio, « Ma ogni tanto sottovaluto la tua cocciutaggine. »
« Ho dovuto farlo, altrimenti… »
« Lo so, » l’alieno si girò del tutto, « Non significa che non valga quanto ti ho detto oggi. »
Minto annuì e socchiuse le palpebre quando la bocca del ragazzo si posò sulla sua; le scappò un sospiro non appena dischiuse le labbra, e gli accarezzò un’altra volta il viso prima di allontanarsi lentamente.
« Come sta Pai? » domandò poi a bassa voce, concentrandosi sul tubetto di crema da richiudere.
Kisshu fece ruotare la spalla: « Non è la prima volta, e tra tutti è sicuramente quello più avvezzo alla mentalità da siamo in guerra, ma… non so, forse dovrei andare a parlarci. Anche la pesciolina non mi è sembrata del tutto convinta. »
Minto fece un vago verso di naso, a sottolineare come fosse un dato di fatto non essere “del tutto convinte”, poi stirò un sorriso stanco: « Credo faresti bene ad andare e non lasciare a Taruto tutto il compito di controllare come stia. Io, intanto, mi faccio una doccia e mi preparo. »
L’alieno la scrutò un secondo di troppo prima di assentire: « D’accordo. Non ci metto tanto, ma se ti addormenti faccio piano. »
Lei annuì e sorrise ancora, passandogli la maglietta che lui aveva abbandonato sul pavimento e dandogli un altro bacio di saluto. Attese di vederlo scomparire, e poi qualche altro secondo in più, scrutando che non fosse per caso ancora fuori dalla finestra, prima di buttare fuori tutta l’aria che aveva nei polmoni e alzarsi di scatto, un brivido violento che quasi le fece scivolare la crema dalle dita.
Aveva agito senza pensarci troppo, poche ore prima, spinta solo dall’istinto di andare ad aiutare le sue compagne, dal richiamo del loro senso Mew – ma una volta afferrata Ichigo, una volta che aveva posato i piedi a terra e aveva rivolto lo sguardo verso la battaglia soprastante… rivederli là, tutti assieme, rivedere lui… poteva ancora sentire la morsa gelida in cui le si era stretta la gola, il battito frenetico del cuore che non le aveva lasciato la possibilità di respirare, si era sentita di nuovo rinchiusa in una stanza senza via di uscita, le spire buie di un potere sconosciuto che non le avevano lasciato scampo, e lei…
Minto fece appena in tempo ad arrivare in bagno e inginocchiarsi davanti alla tazza del water prima che il contenuto del suo stomaco vi ci rovesciasse dentro, mentre lacrime altrettanto amare e pungenti le bruciarono gli occhi.
 
 
 
 
Per l’ennesima volta, Retasu rotolò nel letto alla ricerca di una posizione che le facesse prendere sonno. Provava dolore e indolenzimento in ogni punto del corpo – e per fortuna che anche in casa era abituata a indossare un cardigan, vista la stagione, perché sarebbe stato complesso spiegare ai suoi genitori la miriade di piccole ferite che la costellavano – e aveva le palpebre pesanti, ma il suo cervello proprio non voleva saperne di spegnersi per concederle un po’ di ristoro.
Eppure, l’aveva sempre saputo com’erano e come sarebbero andate le cose.
Non rendeva viverle da così vicino meno complesse.
Le immagini della battaglia di poche ora prima continuavano a lampeggiarle contro gli occhi chiusi.
L’espressione determinata di Pai che non aveva mai vacillato, men che meno quando…
Quando ha fatto ciò per cui è stato addestrato.
Strinse il lenzuolo nel pugno e strofinò la faccia contro il cuscino. Stava davvero cercando di convincersene, era un argomento che avevano anche trattato in passato, ma per lei era davvero diverso, viverle nella pratica.
« Ci sono delle cose che io… ho fatto, che… »
« Non mi interessa. »
« Com’è possibile? »
« Perché sei tu. »(*)
Era vero, lo sapeva, era stata onesta quando gli aveva detto quelle parole: e ora lo aveva conosciuto più a fondo, era a conoscenza di ogni suo dettaglio, e…
Ne sei proprio certa?
La vocetta insistente nella sua testa non voleva lasciarla stare, causandole ancora più senso di colpa. Quando ne avevano parlato, lei aveva ritenuto che fosse tutto nel passato, che non si sarebbero mai più ritrovati in una situazione simile. Che certe parti di Pai non sarebbero più tornate a galla.
Era consapevole che non ci fosse nessun colpevole per esse, che le circostanze della vita di lui, così diverse dalle proprie, lo avessero costretto a trovare ogni espediente per sopravvivere; com’era consapevole che lui avesse intentato ogni soluzione possibile per cambiare, per redimersi, soprattutto ai suoi occhi.
Però, Pai aveva anche saputo più cose di lei, di tutti loro, aveva trattenuto informazioni vitali, aveva lasciato che di nuovo il suo rigore militare prendesse il sopravvento, e forse, forse quando aveva messo la maggior parte delle carte in tavola con lei, aveva anche posato le basi per un avvertimento, un’anticipata ammissione di colpevolezza.
Forse lei stava ingigantendo solo la questione, le sue amiche non le parevano mai sconvolte tanto quanto lei; forse doveva solo abituarsi ancora alla nuova realtà delle cose.
Forse le serviva solo dormirci sopra.
Si raggomitolò un po’ di più, stringendo il cuscino tra le braccia, il ricordo della conversazione di un paio di giorni prima che le bruciò la gola.
 
 
 
 
Zakuro soffiò sulla tisana bollente, reggendo la tazza con una mano sola mentre si aggiustava al meglio sulla poltrona del salotto. Ormai provava dolore ovunque, entrambe le spalle non la smettevano di ruggire, e lei stava solo contando i minuti fino a quando gli antidolorifici avrebbero iniziato a fare effetto.
« Here ya go. »
Joel la raggiunse e le porse il cellulare, che le aveva recuperato dalla borsa appoggiata in ingresso; lei aveva avuto la mezza idea di mandare qualche messaggio per accertarsi di Minto e Retasu, soprattutto, ma si sentiva così esausta in quel momento che anche digitare le parole giuste le parve un’impresa impossibile.
« Grazie, » sospirò fiaccamente, ficcando il telefono nello spazio tra le sue gambe e il bracciolo, « Sicuro che la dose fosse giusta? »
Il texano la guardò alzando solo un sopracciglio: « Ya sure you don’t wanna go to the hospital? »
Zakuro prese un sorso e scosse la testa, dovendosi concentrare più del solito per scivolare sull’inglese: « Il mio fidato medico ha detto che non ho nulla di rotto. »
« Ho detto che lo escluderei… »
« Ho solo bisogno di rilassarmi. Dirò che ho avuto un incidente in bici, o qualcosa del genere. »
« Basta che non mi dipingi come il ragazzo violento. Che è comunque molto più credibile di un’invasione aliena. »
La modella lo guardò di sottecchi mentre lui si lasciava cadere sul divano in fronte a lei: « Ne parli come se fosse cosa da tutti i giorni. »
Joel si strinse nelle spalle, la profonda cadenza del sud che le solleticò piacevolmente l’udito: « Shirogane non ha risparmiato dettagli quando mi ha chiesto se volessi partecipare ufficiosamente al progetto, in particolare quando mi sono trasferito a Tokyo e potevamo parlarne di persona. Era necessario che sapessi a cosa stessi andando incontro affinché potessi collaborare in maniera funzionale. E non sono il tipo che si fa dissuadere da una coda o un paio d’orecchie. Su una come te soprattutto. »
Zakuro mosse appena le sopracciglia mentre nascondeva il viso dietro la tazza: « È la tua maniera di rivelarmi qualcosa? »
« Dipende da che vuoi farci poi, » ricambiò il sorriso divertito che gli rivolse, e si rilassò ancora di più sul sofà, « Ma sarà per un’altra volta, quando non sarai imbottita di farmaci. »
« Che ancora non stanno funzionando. »
Joel le fece solo un cenno con la testa: « Come facevate… prima? »
Lei prese un sorso più lungo della tisana calda, accogliendone l’effetto rilassante: « Keiichiro, per la maggior parte, per le cose più banali. Ma tranne per la battaglia finale… non è mai stato troppo terribile. Non così, almeno. »
« Ora sei tu che ne parli come se niente fosse. »
Zakuro si strinse nelle spalle, notando come in effetti il dolore pareva essersi attenuato: « Ho – abbiamo – dovuto abituarci, o saremmo impazzite. Normalizzare il fatto che mi spuntano le orecchie e la coda da lupo, renderlo davvero una parte di me, era l’unica maniera per andare avanti. Forse addirittura per un certo periodo mi è mancato. Ma guai a te se lo dici a Shirogane. »
L’uomo rise sottovoce e fece il gesto di chiudersi la bocca con una zip e gettare via la chiave, invogliandola con un cenno del capo a continuare.
« Paradossalmente è meno normale stare qui a parlarne con te. »
« Devo prenderlo come un complimento? »
Lei poggiò la testa contro lo schienale della poltrona e lo studiò per un istante: « Non c’è mai stato nessuno di esterno con cui poterne discutere. Qualcuno la cui maggior parte della vita non ruota attorno a questo, almeno. È rinfrancante, anche non doverlo spiegare. »
Joel la guardò con una punta di soddisfazione che lei non mancò e che le solleticò piacevolmente la spina dorsale.
« Come siamo sincere, oggi. »
« Sono chiaramente i medicinali. »
Lui rise sarcastico, alzandosi e avvicinando il viso al suo: « E tu dicevi che non funzionavano. »
 
 
 
 
L’avrebbe persa.
L’avrebbe persa di nuovo.
L’avrebbe persa per sempre.
Non riusciva a togliersi quel pensiero dalla testa.
Aveva visto lo shock, la realizzazione, la paura nei suoi occhi, non appena era riuscito a riabbracciarla, e ora temeva che la sua paura più grande potesse compiersi.
Che lei vedesse cos’era davvero, che capisse quanto non la meritasse.
Non si rimangiava ciò che aveva fatto, no, sapeva che era stata l’azione giusta da compiere anche e soprattutto per proteggere lei, ma se solo fosse riuscito a spiegarsi…
Il beep beep beep insistente del computer principale gli provocò un fastidioso ronzio alle orecchie, e Pai sforzò gli occhi ormai secchi e iniettati di sangue per controllare le informazioni sul monitor.
Una ruga gli si segnò profondamente sulla fronte: perché diamine adesso il monitoraggio della Mew Aqua segnalava di nuovo una quantità ingente sparita nel…
« Yo. »
Pai sobbalzò visibilmente sulla sedia quando Kisshu comparve all’improvviso nel laboratorio, senza premurarsi di accendere il resto delle luci nella stanza. Lui soffiò tra i denti e si sfregò le palpebre, levandosi gli occhiali.
« Credevo Aizawa ti avesse fatto passare la mania di certe pessime maniere. Che ci fai qua? »
Il minore ignorò la frecciatina e afferrò una delle sedie libere, girandola così da posare i gomiti sul poggiatesta: « Passavo a controllare. »
Pai continuò a massaggiarsi il volto: « Immagino tu intenda il tuo lavoro, ma ho già passato in rassegna tutti i sistemi e non c’è niente da - »
« Io avrei fatto la stessa cosa, » Kisshu lo interruppe tranquillamente, non perturbato da come il fratello stesse fingendo noncuranza, « Anzi. Sto ancora aspettando di averne la possibilità. »
Il maggiore rallentò il proprio movimento nervoso, ma persistette a non guardarlo in faccia.
« La fai facile, tu, » mormorò esausto e roco dopo qualche secondo, « Aizawa è più pragmatica su certe cose. Basta vedere cos’ha combinato oggi. »
« La pesciolina non è certo un’ingenua, sa benissimo in che razza di situazione ci troviamo. Devi solo darle il tempo di elaborare. »
« Kisshu, non mi servono le paternali. »
« Non è una paternale, ma… » il verde sbuffò e scosse la testa prima di lasciare la sedia e alzare le mani, « D’accordo, come vuoi tu, era solo per venire a vedere come stavi, Mister Pezzo di Ghiaccio. Non siamo su Duuar, non devi farti andare bene tutto a muso duro, sai. »
« Proprio perché non siamo su Duuar, non è – ah, lascia perdere, » Pai fece schioccare la lingua e si riconcentrò sul monitor, « Non puoi capire. »
« Come no, » commentò solo Kisshu da sopra la spalla, avviandosi verso la porta senza voltarsi, « Forse invece la tua vita sarebbe un pochetto più semplice, se ti mettessi in quella testaccia che tutti capiamo molto di più di quanto pensi. »
Gli rispose solo il ticchettare furibondo della tastiera.
 
 
 
 
Kert, Rui e Zaur, tutti e tre le facce pallide e stanche, saltarono in piedi non appena Espera risbucò dal bagno, dove si era ripulita da ogni traccia appartenente a Pharart.
« Allora?! » sberciò Kert, i pugni stretti e un nodo nello stomaco che gli rendeva roca la voce.
« Se la caverà, » esclamò lei decisa, per poi fissare Rui con un misto tra decisione e angoscia, « Ma deve rimanere a riposo assoluto per almeno dieci giorni, due settimane sarebbe ancora meglio. Ho fatto il meglio che potevo, ma i nostri strumenti qui sono quello che sono. »
« Assolutamente, » lui annuì convinto, « Non ho intenzione di mettere ancor più in pericolo un mio compagno. »
Mentre Kert si risiedeva sul divano con uno sbuffo, Zaur guardò il suo comandante: « Non sarà presa bene. »
« Non m’interessa. »
« Se possono aspettare per lei, possono aspettare anche più a lungo per un membro ufficiale di questa squadra. »
Rui ignorò Kert e si morse l’interno della guancia: « Penseremo a qualcos’altro. Ora andiamo a riposare anche noi, o non combineremo davvero nulla. »
Espera gli si avvicinò, avvolgendolo in un abbraccio che forse lei necessitava ancora di più, imponendosi di ignorare lo sguardo glaciale che Kert le aveva rivolto.
 
 
 
 
Nonostante la tendenza all’ottimismo e all’energia, Purin fu contenta che, il giorno dopo, Akasaka avesse deciso di aprire il Caffè solo per il turno pomeridiano. La botta della battaglia era stata più intensa di quanto avesse anticipato, e lei e Taruto si erano ritrovati a dormire fin quasi all’ora di pranzo; anche ora che stavano percorrendo il vialetto assieme, diretti alla struttura rosa e bianca, non si sentivano affatto riposati quanto avrebbero dovuto, ed ogni tanto la mewscimmia testava la capacità di espansione di polmoni e cassa toracica, giusto per controllare che le radici che l’avevano stretta non avessero causato troppi danni.
« Ehi, Reta-chan! » la sagoma della mew verde sbucò dal lato opposto, e Purin le sorrise contenta, « Come stai? Niente di rotto? »
L’amica accennò a un sorriso poco convinto: « Sembrerebbe di no. Voi tutto bene? »
Taruto la studiò preoccupato, gli occhioni blu contriti e le pesanti occhiaie sotto di essi fin troppo notevoli: « Ce la caviamo. »
« Devo evitare i miei fratellini per un po’, » sospirò la biondina, « O penseranno che Taru-Taru sia un poco di buono, con il macello che ho sul collo. »
Si scostò un po’ la sciarpa che indossava, rivelando l’alone blu lasciatole dalla radice che le aveva stretto la gola poco prima che Ichigo riuscisse a intervenire, e Retasu la guardò sconsolata:
« Mi raccomando, Purin-chan, se ti serve qualcosa… anche se pure io ormai non so cosa inventarmi con i miei. Fortuna che le maniche lunghe non sono fuori luogo, ormai. »
« Ma scusate, perché non abbiamo mai pensato a una base segreta extra, » inquisì a voce alta Purin mentre s’incamminavano tutti verso l’ingresso, « Dove possiamo trasferirci tutti così da minimizzare questo tipo di interazioni. Tipo casa di Minto nee-san. »
« Fidati, tu non vuoi convivere con Kisshu. »
« Secondo me sarebbe divertente! Poi così saremmo sempre insieme. »
« Ripeto, non vuoi passare tutto il tempo con i miei fratelli. »
« Sei solo geloso, Taru-Taru. »
Retasu ridacchiò delle loro chiacchiere, ma esitò a dirigersi insieme a loro verso gli spogliatoi; il Caffè pareva deserto, ma sapeva benissimo dove avrebbe trovato Pai, e non avrebbe potuto concentrarsi per nulla se non fosse almeno riuscita a salutarlo prima che iniziasse il caos del servizio.
« Ah, Purin, ti raggiungo dopo, voi intanto andate. »
 « D’accordo, ti lascio la merenda da parte allora! »
La verde annuì, girò sui tacchi mentre prendeva un respiro e fissò le scale del seminterrato, gli ultimi gradini avvolti nella penombra che le sembrarono significativi del suo stato d’animo.
Su, forza e coraggio, non è mica la prima volta che ci parli, anzi…
Strinse la ringhiera e s’incamminò lenta, ripetendosi mentalmente le cose che avrebbe voluto – o dovuto – dire, come un mantra di rassicurazione, concentrandosi sul respiro e sui suoi passi così da non capitombolare giù, attirando più attenzione di quanto avrebbe voluto.
Quando arrivò al seminterrato, notò che la porta del laboratorio era socchiusa, e le voci di Pai, Kisshu, e Akasaka filtravano sottovoce.
« Non è la prima volta che il sistema fa così, » stava esclamando Kisshu con tono scocciato, « Anche quando la tortorella… quindi magari è solamente un errore. »
« Non può essere un errore, te l’ho già detto, » sbottò stanco il maggiore degli Ikisatashi, « I nostri sistemi, almeno su questo, non fanno errori. »
« Ma se non riescono nemmeno a localizzare i nostri amici! »
Keiichiro si intromise tra i due, e Retasu poté immaginarsi la ruga tra gli occhi: « Questo invece hai detto che non si era mai verificato? »
« Non che mi sia accorto prima, né ne ho trovato traccia sui registri. »
Retasu stessa corrugò la fronte e cercò di avvicinarsi di soppiatto per capire di cosa stessero parlando, i loro mormorii che si fecero più sordi, ma ebbe fatto tre passi che la porta del laboratorio si aprì del tutto, rivelando il pasticcere.
« Ah, Retasu-san, buon pomeriggio! Scusatemi, non mi sono accorto che si era già fatta ora di apertura. Purin-san è di sopra? »
Lei non poté evitare di arrossire, sentendosi colta in fallo anche se non aveva fatto niente di sbagliato, e annuì nervosa: « Sì, con Taruto-san. Io ero, uhm… »
« Pesciolina, qual buon vento, » Kisshu, lui stesso con un viso piuttosto segnato, uscì stancamente dallo stanzone e scrocchiò il collo, « Non ditemi che è già ora di iniziare la tortura. »
Retasu rise e sbirciò oltre la sua spalla: « Come sei drammatico, Kisshu-san. »
L’alieno la guardò per un istante e le sorrise: « Tutto a posto? »
Lei si sentì fin troppo scrutata dalle iridi dorate e riuscì solo a muovere il capo in un gesto confuso. Lui le diede un buffetto sulla testa e, prima di allontanarsi al piano superiore, fece in tempo a bisbigliarle qualcosa all’orecchio che la fece sorridere prima che Pai comparisse corrucciato sulla soglia.
« Che ha detto? »
Retasu non seppe se il suo cuore iniziò a battere agitato per la sua presenza o per il suo tono scontroso: « Niente, solo una sciocchezza. »
Pai fece schioccare la lingua con fastidio, poi sospirò e si fece da parte, lo sguardo che si addolcì posandosi sulla ragazza.
« Come stai? »
Lei scrollò le spalle: « Ammaccata, » esalò, « E stanca; non ho dormito granché. Qui tutto bene? »
Le dita di Pai fecero per sfiorarle una gota, ma poi ricaddero pesantemente lungo il fianco dell’alieno: « Come mai non sei riuscita a dormire? »
« Forse ero… troppo stanca. E non è stata una giornata facile. »
« Retasu, » la voce scura si fece ancor più brusca mentre Pai tentennava se avvicinarsi di più a lei o al contrario farsi indietro, « Dimmi la verità. »
Lei inspirò di scatto, tentando di ignorare il pulsare del suo petto e il nervosismo crescente: « È la verità, » mormorò sottovoce, intrecciando forte le mani solo per tenerle ferme, « Io non… non sono come le ragazze, non mi è mai piaciuto combattere, e… e ieri è stato difficile, per me. »
Questa volta, il passo indietro di Pai fu ben chiaro, e la colpì come uno schiaffo, intanto che il viso del ragazzo si faceva ancora più cereo: « Non posso biasimarti, né chiederti di restare, se ciò che è successo è troppo per te. »
La Mew Mew scosse la testa: « N-non lo è, ma… cioè, sì, d’accordo, lo è, però… » fece un respiro profondo e alzò lo sguardo, rivolgendogli gli occhioni blu colmi di lacrime, « Sei sempre tu. »
L’alieno la fissò, quasi studiando ogni centimetro del suo viso alla ricerca del più piccolo tentennamento.
« Non pensare che sia fiero di me stesso, » mormorò a voce così bassa che Retasu faticò a comprenderlo, « Ma sono disposto a qualsiasi cosa pur di proteggerti. E comprendo, se ciò ti provoca disgusto. »
La verde lo guardò scioccata, avanzando verso di lui e prendendogli il volto tra le mani: « Cos – no, Pai, non potrei mai esserlo. Ho solo bisogno di… di capire. Di accettare la realtà dei fatti. »
I palmi di Pai si posarono sui suoi, stringendole le dita come se in realtà volesse allontanarla: « Non posso vivere al pensiero che tu abbia paura di me, Retasu. »
Lei rimase stoica, facendo ancora mezzo passo in avanti: « Non ho paura di te. Ho paura della situazione, ho paura di perderti. Ma di te mai. »
Pai parve rilassarsi di una frazione, ma non cambiò espressione, accarezzandole solo il dorso della mano con un pollice: « Sei troppo buona. »
« Smettila di dirlo come se fosse un insulto. »
Finalmente le rivolse l’ombra di un sorriso, inclinandosi di più verso di lei: « Tutto il contrario. »
Anche Retasu incurvò le labbra all’insù, seppur con un tremolio: « Possiamo… parlarne un po’? »
« Certo, » Pai annuì e le lasciò andare le mani, aprendo appena le braccia ed espirando del tutto quando lei vi si raggomitolò dentro, il profumo dei suoi capelli che lo invase come una rassicurazione, « Di tutto quello che vuoi, per quanto vuoi. »
 
 
 
 
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Il fracasso del cemento che si frantumava addosso alle sue amiche l’assordò anche attraverso gli altoparlanti del laboratorio. Provò ancora l’inutilità del proprio comunicatore, dei richiami senza risposta, quel senso opprimente di pressione al petto che non la lasciava proprio stare.
Poi Ichigo cominciava a cadere e lei volava così veloce da sentire dolore in ogni singola piuma, o forse era lei che stava cadendo di nuovo, senza rallentare, solo il boato della battaglia come sottofondo, e quella voce che…
Minto si tirò su di scatto e prese un respiro, piantando bene i palmi contro al materasso per assicurarsi che no, nonostante l’odiosa sensazione nello stomaco, non stava cadendo, era al sicuro nel suo letto, nella sua stanza, illuminata e –
Perché era così illuminata?
Nonostante l’ottundimento per il sonno interrotto in maniera così brusca, saltò giù dal letto come una furia non appena ebbe lanciato un’occhiata alla sveglia e un’altra al suo cellulare per accertarsi realmente di che ore fossero. Aveva dormito ben oltre all’orario prefissato, e ora era in indiscutibile ed insopportabile ritardo per il suo appuntamento con Zakuro.
Stringendo un paio di maledizioni tra i denti – perché diamine Kisshu non l’aveva svegliata!? Perché se n’era andato senza avvertirla?! – si preparò il più velocemente possibile, senza neanche perdere tempo ad avvisare la onee-sama con un messaggio, quasi abbaiando che le fosse preparata l’automobile, ignorando completamente l’elegante colazione che, come ogni mattina, l’aspettava nel salottino preferito.
Odiava, odiava con tutta sé stessa essere in ritardo, soprattutto per delle stupidaggini come il poco e cattivo sonno, o per le mancanze altrui; e poi il lavoro era l’unica cosa in quel momento che le dava costanza, che le teneva lontano distrazioni poco piacevoli, pensare di non dare il massimo e gravare su Zakuro non era per niente accettabile.
Si dovette trattenere dall’ordinare all’autista di andare quanto più veloce possibile, intanto che finiva di darsi gli ultimi ritocchi sul sedile posteriore e continuando a lanciare pensieri maligni a destra e a manca, dal traffico inesorabile di Tokyo a Shirogane e i suoi esperimenti genetici. Quando finalmente la limousine si fermò davanti all’elegante complesso di appartamenti in cui viveva la modella, Minto si lanciò fuori con un ultimo commento distratto sul non aspettarla né tornare a prenderla, il naso infilato nella grossa borsa nera alla ricerca del mazzo di chiavi giusto.
Salutato il portiere in maniera spicciola e sfogato metà della sua frustrazione sul pulsante dell’ascensore, arrivò quasi senza fiato all’ultimo piano, davanti all’entrata del loft di Zakuro. Suonò il campanello, ma come di consueto infilò le chiavi nella toppa prima di ricevere risposta.
« Buongiorno onee-sama, scusa il ritardo! » esclamò ad alta voce, « Ma non ho sentito la svegli – ah. »
La voce le si affievolì mentre gli occhi si posavano sul paio di scarpe chiaramente maschili riposte all’ingresso, e lei percepì in quel momento il rumore dell’acqua che scorreva in bagno e che evidentemente non era in utilizzo dalla mewwolf, la quale le comparve davanti in quell’istante con in mano una tazza di caffè.
« Buongiorno, Minto, non preoccuparti, » le sorrise, facendo finta di non notare la sua espressione stizzita, « Non ti ricordi? Le riprese sono sospese fino alla settimana prossima. »
La mora si lasciò scappare uno sbuffo irritato mentre l’informazione faceva effettivamente capolino dai meandri del suo cervello.
« Ah, certo, giusto… » borbottò, scuotendo la testa, poi si concentrò per essere più pimpante, « Allora possiamo approfittarne per rivedere l’agenda degli impegni futuri? So che Tanizaki-san voleva renderti partecipe di un paio di campagne, ma ho paura che possano coincidere con – »
Zakuro la fermò con una mano leggera sulla spalla: « Minto, in realtà credo che dovremmo rallentare e goderci questi giorni di pausa, senza andare in overbooking. Soprattutto con quello che sta succedendo ultimamente, farebbe bene anche a te, non trovi? »
Il viso di Minto si accigliò di scatto e lei boccheggiò un paio di secondi prima di esclamare: « Cosa vorresti intendere? »
« Niente. Non c’è fretta di riempire i tempi morti, siamo già abbastanza stressate, e parlo di tutte noi. E sia come tua assistita che come tua amica, prenderti un respiro sarebbe – »
 « Non mettere in mezzo me se t’importa solo di passare del tempo con lui. »
Zakuro rimase stoica allo sbotto improvviso, stringendole solo un po’ di più la spalla: « Sto cercando di aiu – »
« Che poi vorrei capire cosa ti stia passando per la testa, con quello là, » continuò imperterrita la mora, lanciando un’occhiataccia di fuoco oltre il corridoio d’ingresso dove ancora sostavano, « Ha quanto, trentun anni? E ancora deve andare a importunare le ventenni?! »
« Minto. »
« E poi, non sappiamo niente di lui! Metti… metti che lo stia facendo solo per il suo lavoro, di cui abbiamo pochissimi dettagli! Metti che… che sia tutta una trappola, che ti voglia studiare, o – »
« Minto, ora basta. »
Il tono della modella la fece trasalire e zittire d’improvviso, la bocca che si strinse in una linea severa.
« Ti sono sempre molto riconoscente del fatto che ti preoccupi per me, anche quando la tua apprensione è mal posta, » sibilò gelida Zakuro, « Ma prima di dirci qualcosa di cui poi ci pentiremo, ritengo sia meglio tu vada. »
Le iridi color caffè tremolarono lucide, ma Minto alzò il naso e si limitò ad annuire, le nocche strette attorno al manico della borsa che impallidirono.
« D’accordo, » esclamò indispettita, « Se hai bisogno sai dove trovarmi, non ti disturbo oltre. »
Girò sui tacchi e non si voltò indietro, sforzandosi di controllare il tremolio del proprio mento almeno fino a quando si chiusero le porte dell’ascensore.
 
 
 
 
Espera bussò dolcemente all’ingresso della camera che ospitava Pharart e attese qualche istante; non udendo nessuna risposta, si bilanciò meglio la bacinella d’acqua contro il fianco ed aprì la porta, facendo sbucare solo il viso dalla fessura.
« Sono ancora vivo. »
Sorrise al fievole commento roco del ragazzo ed entrò più decisa, raggiungendo il letto: « Ciao, come stai? »
« Come qualcuno a cui hanno perforato le budella. »
La ragazza sorrise ancora e gli sfiorò la fronte con il palmo, assicurandosi che la temperatura non fosse salita nuovamente: « È ora di cambiarti di nuovo la fasciatura. Ma prometto che diventerà sempre meno fastidioso. »
Pharart grugnì lamentoso, fissando il soffitto con concentrazione: « Dimmi che almeno tra un po’ potrò uscire da qui. Sto cominciando a essere inghiottito dal materasso. »
L’aliena rise e iniziò a lavorare con attenzione: « È passata una settimana, direi che è stato il periodo più delicato. La ferita si sta rimarginando bene, ma voglio essere cauta. Tu come ti senti? »
« Posso mentirti e dire che voglio lanciarmi giù dal letto? »
« Assolutamente no. »
Si scambiarono una risata, ed Espera tastò con accortezza la cicatrice arrossata che ora gli decorava l’addome. Pharart sibilò tra i denti e l’aliena corrugò la fronte, concentrandosi per trasmettergli quanta più calma e tranquillità possibile.
« Come fai? » domandò dopo un po’ il biondo, mentre lei intingeva una spugna nella bacinella e prendeva a lavarlo delicatamente.
Espera ci pensò su un attimo, stringendosi nelle spalle: « Non so come spiegarlo, io vi sento e basta. A volte è come se potessi percepire anche il colore di un’emozione, quando è molto forte. È anche per questo che ho voluto dedicarmi alle cure, per riuscire a spargere quanta più positività possibile; anche perché non è sempre semplice riuscire a influenzare l’umore altrui. »
« Ma non stai male? »
« Un po’, » replicò lei, iniziando a srotolare la garza pulita, « Su Gaia è più facile. »
« Come darti torto. »
Si scambiarono un’occhiata d’intesa, poi Espera lavorò qualche altro istante in silenzio e infine gli sorrise: « Ecco fatto. Mi raccomando, sai come funziona: se inizi a sentirti male, o senti che la ferita è calda, fai un fischio. Vado a prenderti il pranzo, intanto. »
« Manda qualcuno di quei pigroni a farmi compagnia, magari. Kert mi deve ancora una rivincita a shatranj(**). »
Lei annuì e lo salutò con un cenno, rassicurata di vederlo in condizioni via via migliori. Si sbarazzò dell’acqua intiepidita in bagno, si risciacquò viso e mani, e infine si diresse verso il salone principale, dove i rimanenti tre della compagnia passavano la maggior parte del tempo.
« Qualcuno ha pensato a mettere qualcosa sotto i denti? »
Kert, in piedi vicino al monitor principale, la guardò storto: « Abbiamo pensieri ben più gravi. »
« Me lo ricorderò, sai, quando sentirò lamentarti, » lo riprese lei in uno scatto d’ironia che gli fece guizzare il sopracciglio pallido, però poi intercettò lo sguardo preoccupato di Rui, che le sorrise mesto:
« Il Consiglio è un po’ stanco dei nostri aggiornamenti speranzosi ma vacui. Stanno richiedendo di rivedere le strategie. »
Zaur fece schioccare la lingua, scocciato, e il maggiore dei Tha lo echeggiò.
« Possibile che non gli importi nulla? »
« Ci sono interessi ben più grossi, Kert, e lo sai anche tu. »
Lui sibilò qualcosa sottovoce, poi si rivolse di nuovo a Espera con cattiveria: « Tu, principessina, pensi di renderti utile in un lasso di tempo sensato? »
La ragazza cercò di rimanere impassibile a quell’affermazione, ben sapendo quale fosse il non detto a cui Kert stava riferendosi e perciò inveendogli contro silenziosamente dentro di sé; poté anche percepire un brivido strano che le corse lungo la schiena e che le fece tremolare la mano, unito alla voglia di tirargli un altro cazzotto, poi però un’idea le arrivò in quel momento e lei raddrizzò la schiena: forse, se fosse riuscita a parlarle, a spiegarle la situazione sfruttando quest’ultima necessità…
« Io forse un’idea ce l’avrei. »
 
 
 
 
La visita non la prese del tutto alla sprovvista, ma le fece comunque uno strano effetto trovarsi Kisshu davanti alla portafinestra del balcone.
« Cos’hai contro la porta d’ingresso? » l’accolse Zakuro a voce bassa, e lui si scrollò nelle spalle:
« Questo è più veloce, e poi ci sono ottomila telecamere in questo palazzo, devo evitare che a mio fratello venga l’ennesima sincope. »
Lei non commentò, come decise di non commentare il fatto che era in giro in maglietta alle dieci di una sera di fine ottobre, ma gli fece strada fino ai divani. Si accomodò su uno dei braccioli, ma Kisshu rimase in piedi circa al centro della stanza, il viso scuro e le mani poggiate sui fianchi:
« Vogliamo continuare a far finta che vada tutto bene? E che sia solo questione di tempo? Finché litiga con me ancora okay, ma con te? Mi sembra un segnale ben chiaro. »
Zakuro si picchiettò un ginocchio con un dito, arricciando appena le labbra: « Raramente Minto ha avuto mezze misure riguardo le proprie opinioni, ma questa volta ha esagerato. »
« I dettagli non mi interessano, sono fatti vostri, però non venirmi a dire che non sei preoccupata del suo comportamento, » Kisshu si passò le dita tra i capelli, il ciuffo della frangia che rimase spettinato all’insù, « D’accordo, la tortorella è parecchio drammatica, ma – »
« Cos’è successo dopo che è andata via da qua? »
Lui sbuffò e scosse la testa: « Sono passato da lei per cena e praticamente mi ha sbranato, accusandomi di non averla svegliata apposta perché la stiamo trattando tutti come se sia malata, che tu stessa non la ritieni capace di gestire la situazione e l’hai voluta allontanare – ti risparmio i commenti sul tuo moroso. Quando le ho fatto notare che non avevi tutti i torti e che questa settimana di respiro fa bene a tutti, ha ricominciato a dire che nessuno di noi la sta a sentire e che, fondamentalmente, siamo tutti degli egoisti iperprotettivi. Non so se non se ne renda conto, o se faccia finta di niente, » aggiunse poi con un ultimo sbuffo. Zakuro rimase in attesa, così lui continuò il suo sfogo, incominciando a librare a mezz’aria a gambe incrociate:
« Dorme tantissimo, ma non dorme bene. Mi sveglio in continuazione perché la sento che si agita, che borbotta, ho perso il conto di quante volte si è svegliata di colpo in piena notte – e devo far finta di non accorgermene, di continuare a dormire, perché se solo provo a consolarla s’incazza come una biscia e mi dà del pesante. E se non ci sono io, dorme con tutte le luci accese; non passa neanche per il corridoio se la luce è spenta. Poi l’hai visto pure tu come ha reagito la settimana scorsa, e non mi pare che la situazione stia migliorando. »
Kisshu prese un respiro, poi fece schioccare la lingua in maniera dolorosamente sarcastica, fissando gli intricati decori del tappeto persiano: « E queste sono le cose che noto quando sto con lei, che è molto meno spesso di quanto vorrei. Perché non credo di dovertelo dire che il più delle volte sembra faccia pure fatica a guardarmi negli occhi, o a rivolgermi la parola. Per non dire altro. Sono qui a quest’ora, dopotutto. »
Calò il silenzio, rotto solo dai loro respiri. Zakuro continuò a tamburellare sulle proprie gambe, cercando di articolare i pensieri; Minto non gliene aveva mai parlato, ma non le era necessario perché sapesse che ci fosse stato di più di quello che aveva rivelato sui loro nemici, o che almeno, l’impatto del suo rapimento sulla sua psiche fosse maggiore di quanto le piacesse dare a vedere. Ma costringere Minto in una direzione diversa da quella che si era prefissata non era mai stato un’impresa semplice, perdipiù se veniva messa in discussione la sua capacità di resistenza, o la sua autonomia.
« Non so cosa fare, » esalò ancora Kisshu, la voce stanca, « Se inizia a isolarsi anche da voi… »
« Dalle un po’ di tempo per sbollire, » disse infine la modella, « E dallo anche a me. Le voglio bene, e capisco la situazione, ma ciò non le dà adito di dire le cose che ha detto, o almeno nella maniera in cui lo ha fatto. Ma non la lasceremo sola, se è ciò che ti preoccupa, neanche se o quando ce lo chiederà. Però, e soprattutto, non dovremmo starle addosso, nessuno di noi, e tu in primis. »
« Facile a dirsi, » replicò lui, « Non sei tu quella che viene evitata come se avessi la peste. »
« Appunto, insistere ti tornerà solo indietro come un boomerang. Quando si sentirà pronta, vedrai che sarai lei a cercarti; nel frattempo, possiamo spingerla piano verso la direzione giusta. Ti ha ascoltato, durante l’ultima battaglia, ed è rimasta in disparte. »
« Sì, per la prima mezz’ora. »
« Meglio che niente. »
Lui fece uno sbuffo e annuì lento, facendo penzolare una gamba nell’aria: « E se alla fine non vuole cercarmi più? »
Zakuro esitò una frazione di secondo, ma cercò di sorridere incoraggiante: « Chi è che è parecchio drammatico, ora? »
Kisshu fece una smorfia poco divertita, poi si raddrizzò e si scrocchiò il collo: « Torno al Caffè. È stata una giornata infernale, e Pai vuole un aggiornamento costante dei sistemi. Almeno lui e la pesciolina hanno fatto pace. »
La modella si alzò e lo seguì di nuovo alla finestra: « C’è qualcosa da monitorare di più? »
« No, no, » la schiena rivolta a lei, Kisshu agitò solo una mano come a dirle di non preoccuparsi, « È solo mio fratello che è paranoico. Tutti in tema, eh? »
Lei rispose solo con un arriccio delle labbra, non del tutto convinta, e un ultimo cenno di saluto, prima di guardarlo teletrasportarsi via.
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
Che si detestassero a vicenda era un dato di fatto. Che Seles fosse una vipera vendicativa era una novità.
Non sapeva neanche se avere più rispetto per lei, dopo quella trovata: chiaramente era stato un gran colpaccio, un’idea geniale, anche perché quelle due si conoscevano così bene, Seles non poteva non averle parlato di tutto, compreso quello che interessava a lui.
Però lui aveva sperato fino alla fine che il Consiglio non approvasse il suggerimento, e anche una volta che era arrivato il via libera, per l’intera settimana successiva lui aveva auspicato che non succedesse davvero. Era diventato talmente nervoso che pure Pharart – seppur convalescente, lo stronzo, aveva abbastanza fiato per prenderlo in giro senza sosta, e Zaur con lui – a un certo punto lo aveva trovato insopportabile, chiedendogli di lasciarlo stare per un paio di ore. Espera figuriamoci, non sapeva nemmeno lui come avesse fatto a rendersi a lui così invisibile per quella decina di giorni, ben conscia del danno che aveva provocato.
E invece no. Stava per succedere davvero, e il segnale d’arrivo aveva appena raggiunto i loro server.
Dopo innumerevoli rotture di scatole attraverso un ologramma perfetto, Sunao comparve davanti a loro in carne ed ossa, il nuovo membro della missione di Gaia sulla Terra, a dare supporto addizionale ora che uno di loro era ferito e, quindi, la loro efficienza si era ridotta ulteriormente.
Rui sorrise smagliante, inclinando appena la testa verso la nuova arrivata: « Sunamora, benvenuta. È un piacere e un onore averti tra noi. »
Espera non attese un istante e si lanciò al collo dell’amica con un gridolino contento, quasi spezzandole il fiato mentre rispondeva: « È un piacere anche per me. Credo che ci divertiremo. »
Kert alzò gli occhi al cielo a quel commento, e si limitò a un saluto spiccio non appena lei fu libera dalla presa della mora: « Sunamora. »
« Tha. »
Sunao gli sorrise, divertita dal suo evidente fastidio; una frazione di secondo dopo, Pharart – che non si sarebbe per niente perso l’occasione – s’intromise tra di loro, porgendole la mano con un’espressione smagliante:
« Kyurai Pharart. Piacere di fare finalmente la tua conoscenza di persona. »
L’aliena rise e gli strinse la mano: « Ah, il nostro eroe ferito in battaglia. Ho sentito molto parlare di te. »
« Solo cose irreprensibili, spero. »
Kert fece schioccare la lingua e alzò gli occhi al cielo: « Dovresti essere a letto. »
« L’hai sentita, sono un eroe. Un eroe non si abbandona al proprio dolore. »
« Tu sei un imbecille. »
Espera scivolò leggera tra di loro per prendere Pharart per le spalle prima che il tic nervoso della mascella di Kert diventasse ancora più evidente.
« Ha ragione, sai, » esclamò, « Torna a riposarti. »
Il biondo finse una smorfia scioccata: « Devo essere sul punto di morte, se tu e Kert siete d’accordo. »
« Finiscila. »
Sunao rise ancora e gli fece l’occhiolino: « Avremo modo di chiacchierare, ne sono certa. »
« Aspetterò con impazienza, » Pharart replicò con altrettanta malizia e accennò a un inchino, nonostante il volto che perse velocemente colore.
Espera lo spinse un po’ più decisa verso l’uscita, quasi trascinandolo via, mentre Kert sbuffava sonoramente e l’aliena dai capelli violetti continuava a ridere.
« Dargli corda non l’aiuta, se non si regge in piedi. »
Sunao alzò gli occhi al cielo: « Invece è un buon segno se mantiene il suo spirito. »
« Quello sempre, » lui seguì la sagoma dell’amico con gli occhi, poi esalò e si passò nervosamente una mano tra i ciuffi grigi, « Credo sia anche una maniera di accantonare il pensiero che in pratica l’abbiamo riacciuffato per un pelo. »
La ragazza lo studiò incuriosita: « Non ti vedevo così abbattuto da un bel po’. »
« Non avevamo mai rischiato così. »
« Scommetto che una maniera di tirarti su la trovo. »
Kert le rispose solo con un ringhio poco divertito al doppio senso, lanciandole uno sguardo da sopra la spalla, ma le fece comunque un cenno mentre s’incamminava lungo il corridoio. La precedette all’interno della propria camera e si lasciò cadere sul divano, facendolo cigolare lamentosamente. Sunao lo seguì svelta e gli porse una bottiglia di vetro prima di sedersi accanto a lui, poggiando il gomito sulla spalliera e raccogliendo le gambe contro di sé:
« Pacco speciale. »
Lui emise un verso di soddisfazione: « Come l’hai motivata la cassa di ollit? »
« Un regalo per il morale dei nostri eroi. »
Kert sbuffò, scostandosi i capelli dal viso con un cenno del capo: « Sunamora, stai cercando di corrompermi. »
Lei ridacchiò e fece cozzare gentilmente le rispettive bottiglie: « Mai negato il contrario. »
L’alieno prese un sorso, poi sospirò pesantemente e si passò una mano su viso: « Il Consiglio deve ritenere che siamo in un bel casino, per mandare te. »
« Rui ha comunicato la prognosi suggerita da Espera, non l’hanno ritenuta ottimale. »
« Tsk, » lui fece schioccare la lingua, « E figuriamoci. »
Si afflosciò di più sul divano, massaggiandosi la radice del naso e buttando la testa all’indietro contro la spalliera mentre Sunao rideva sottovoce:
« Comunque grazie del complimento. »
« Sottintendevo che tu sei una grandissima rompipalle. »
« Prometto che cercherò di essere clemente con te durante gli allenamenti. »
Kert emise uno stridulo verso di naso condito di incredulità prima di lanciarle un’occhiataccia, poi però sbuffò: « Non ti sto dando ragione, né tantomeno al Consiglio, ma a volte mi chiedo se davvero non abbiamo sottovalutato tutto questo. Sicuramente non avevamo tutte le informazioni necessarie, e quei Duuariani… »
Sunao si spostò appena sul divano, le dita della mano sinistra che gli sfiorarono la spalla: « Non dirmi che sei davvero preoccupato. »
« I pianetini attorno a Gaia al massimo avevano una fauna ipertrofica che non era in grado di infilzarti con la tua stessa arma. »
« Come se non avessi avuto da discutere anche con loro, » lo prese in giro, « Ma sei carino quando ti preoccupi per il tuo amico. Che non mi avevi mai presentato, tra parentesi. »
Kert la guardò di nuovo male: « Da quando te li devo presentare io? »
L’aliena rise e bevve: « Sarebbero di fondamentale aiuto quando diventi insopportabile. »
Lui grugnì, poi giocherellò un po’ con la bottiglia e sospirò: « Raccontami un po’ di casa. Quali sono le chiacchiere ad Astù? (***)»
« A parte la costante narrazione delle vostre gesta, vuoi dire? Credo che tra un po’ il Consiglio interverrà per fare tacere Euribe. »
Kert sbuffò al nome di sua madre: « Le manco e non vede l’ora di rivedermi, vero? Mentre il suo bambino e la sua perfetta compagna sono l’ultimo dei suoi pensieri, completamente dimenticati. »
« È fiera anche di te. Tu però un po’ la osteggi, » Sunao allungò la mano e gli sfiorò coi polpastrelli la metà di capelli che lui portava rasati, « Ad esempio, quando ammetterai che quest’acconciatura è solo per farla infuriare? »
« Tsk, » lui schioccò la lingua e poi la guardò con soddisfazione, accennando all’insieme di tatuaggi che gli decorava l’intera spalla sinistra, « Mai come questi. »
« Appunto, » lei ricambiò il sorriso divertito, bevve un sorso ed esclamò, « Ah, a proposito, Jalant e Utha si sposano. »
Kert sbarrò gli occhi alla notizia sull’amico, responsabile dei decori sulla sua pelle: « Che stai dicendo?! Ma se Utha non ha accettato un appuntamento per anni…! »
« Ha accettato poco dopo che siete partiti. »
«… e in due mesi hanno deciso di sposarsi? »
Sunao fece spallucce: « A volte la perseveranza paga. »
Kert sbuffò, mormorando qualcosa sull’essere folli, e le lanciò l’ennesimo sguardo piccato al limitatamente velato riferimento della sua frase; voltandosi però verso di lei, la traiettoria del suo sguardo dorato cadde inevitabilmente sulle sue labbra: sempre stese nella solita smorfia soddisfatta, lui non si domandò nemmeno se lei l’avesse notato. Era impossibile che Sunao non notasse qualcosa.
Non si spostò, ma preferì fissarle la punta del naso, anche mentre le dita della ragazza continuarono a giocherellare con i suoi capelli cortissimi. L’avrebbe negato perfino sotto tortura, ma la presenza di Sunao lo stava facendo sentire più vicino a Gaia, cullandolo in un oblio di normalità che in quel momento gli mancò d’impatto.
« E tu che mi dici? »
Lei lo guardò da sotto le ciglia scure e fece camminare indice e medio come delle gambe lungo la spalla di lui: « Il Consiglio mi tiene impegnata. Soprattutto ora che l’attenzione è concentrata su di voi. »
« Malumori? »
« Come al solito. Qualche dissapore riguardo le nuove regole sull’espansione delle zone abitative nella regione di Harav. Niente di che. La vita è un po’ noiosa ora, soprattutto a sentir parlare di te costantemente. Senza poterne approfittare. »
Kert la scrutò di sbieco: « Ma se sei sempre stata qui a rompere le scatole. »
« Oh, su, non è la stessa cosa e lo sai. Il divertimento arriva adesso. »
« Guarda che lo so cosa stai cercando di fare. »
« Non mi sembra di aver mai detto il contrario. »
Lui sbuffò e scosse la testa mentre svuotava mezza bottiglia in un sorso.
« Come se non avessi avuto fior fiore di appuntamenti, Sunamora. »
Sunao continuò a sorridere sorniona e gli si fece più vicina: « L'unico che mi ha mai dato filo da torcere, » mormorò, inclinando il viso verso di lui mentre spostava appena le gambe così che lo spacco laterale del suo vestito scoprisse ancora più pelle nuda, « Sei tu. Vuoi continuare pure sulla Terra? »
« Sei appena arrivata in missione speciale da parte del Consiglio. »
« Esatto, non vedo il motivo per sprecare tempo. »
Kert sospirò e ne studiò il volto per un istante, così vicino al suo che sarebbe bastato un respiro per sfiorarlo. Era sempre stata la donna più bella che avesse mai conosciuto, ma era… complicata. Lui era complicato. La loro amicizia era complicata, sempre in bilico su un limite che lui si era sempre imposto di non attraversare. Non aveva tempo per certe cose, non aveva nemmeno il tempo anche solo di rifletterci.
E lei era perfettamente capace di staccargli la testa a morsi, se avesse voluto.
« Dovresti essere mia amica. »
« Lo sono, » ribatté Sunao divertita, « Ricordami, da chi sei andato a lamentarti appena ricevuta la straordinaria notizia dell’onore concesso al fratellino? »
Il sorrisetto sbruffone dell’aliena non fece che aumentare il suo disagio, pungendolo sul vivo. Dopo il suo vagabondare per ore, dopo che Pharart aveva cercato di rallegrarlo, sulla sponda del fiume, era stato lui stesso a cercare Sunao, un consistente numero di bottiglie con sé, e a procedere a sciorinare su di lei tutta la sua infinita frustrazione fino a notte inoltrata. Probabilmente non aveva neanche mai più parlato così tanto dopo quel frangente.
« Non ti reggerei, altrimenti, quando ti ubriachi diventi insopportabilmente logorroico. »
Kert le fece una smorfia poco divertita, e Sunao riprese il lento accarezzargli dei capelli.
« È inutile che me lo rinfacci ora, perché lo so che non ti è dispiaciuto. »
Gli occhi di lei brillarono un istante: « Non credo dispiaccia neanche a te. »
Il tono di voce così basso e carico di sfida gli provocò un deciso crampo allo stomaco che lui s’intestardì a ignorare finendo l’ollit in un fiato: « È un’idea di merda, Sunamora. Sotto molteplici punti di vista. »
« Hai mai pensato che stai facendo tutto da solo? »
Lui controllò il proprio riflesso nelle iridi lillà, contraendo ogni singolo muscolo per non sfiorarla, la mano di lei leggera che continuava a stuzzicarlo come tante volte prima, e come mai prima di allora.
Non era mai stato un bugiardo, e non avrebbe iniziato a esserlo in quel momento, convincendosi che non ci avesse pensato molte più volte di quanto gli piaceva ammettere, e che il problema era proprio quello, e cacciarvisi…
« Siamo sulla Terra, » sussurrò Sunao, sfruttando il suo non ribattere, e si alzò per portarsi davanti a lui e farsi spazio tra le sue ginocchia aprendo con lentezza i bottoni laterali del vestito che indossava, « Le regole di Gaia non si applicano qui. Perché non approfittarne? »
Gli scappò uno strano ansito strozzato: « … abbiamo un incarico da – »
Gli occhi violetti brillarono di divertimento mentre anche l’ultima asola veniva liberata: « Tha, non essere troppo sicuro di te stesso. »
Kert rimase stravaccato sul divano, le iridi che si tinsero di un tono più scuro nell’osservare la pelle color latte che spuntava ammiccante, e contrasse le dita attorno alla bottiglia: « Tu vuoi rendermi la vita un inferno. »
Sunao rise di nuovo a mezza bocca mentre il suo abito cadeva del tutto sul pavimento con un sottile fruscio di seta e lei gli si inginocchiava in fronte, sfiorandogli le cosce.
« Quindi dimmi di no come fai di solito. »
Il suo pollice si mosse a tracciare il contorno delle labbra della ragazza quasi autonomamente, il respiro caldo che gli solleticò deliziosamente la pelle.
Al diavolo. Stava già tutto andando a puttane, poteva cacciarsi anche in questa.
« Non mordere, » esalò, e il guizzo scaltro nelle iridi viola gli diede tutt’altro che conferma.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) Capitolo cinque, Another spring

(**) Dal nome persiano per il gioco antico degli scacchi, dal sanscrito chaturanga che si riferisce appunto al gioco dallo stesso nome, antenato degli scacchi moderni. https://en.wikipedia.org/wiki/Shatranj
 
(***) Dal greco antico (sì, lo so, aridaje) ἄστυ, che indicava la parte bassa della polis (in contrapposizione all’acropoli) vero fulcro della città nel quale si svolgeva la vita quotidiana. https://it.wikipedia.org/wiki/Asty
 
 
 

 

 

   
 
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