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α g ℓ ø я ι α
«Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né fervente.
Oh,
fossi tu pur freddo o fervente!
Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente io ti vomiterò
dalla
mia bocca.
Tu dici: "Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di niente!"
Tu non sai, invece, che sei infelice fra tutti, miserabile, povero,
cieco e
nudo.
Perciò io ti consiglio di comperare da me dell'oro purificato dal
fuoco, per
arricchirti; e delle vesti bianche per vestirti e perché non appaia la
vergogna
della tua nudità; e del collirio per ungerti gli occhi e vedere. Tutti
quelli
che amo, io li riprendo e li correggo; sii dunque zelante e ravvediti.
Ecco, io
sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la
porta, io
entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me. Chi vince lo farò
sedere presso
di me sul mio trono, come anch'io ho vinto e mi sono seduto con il
Padre mio
sul suo trono.
Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese».
Accomodatosi su di un divano
foderato di
velluto rosso, Belial osservava in silenzio il profilo di Michael
muoversi al
di là di una tenda opaca.
Sospirò sconsolato e
portando un pollice alle labbra, mordendone l’unghia,
spostò pigramente lo sguardo sulla coppia di gemelli mortali sdraiata
sul suo
letto.
Erano belli, dalle labbra
ancora rosse e gonfie di peccato: caduti nella rete
di Belial, loro cupido, si erano ritrovati all’Inferno
a fare l’amore,
intrecciati in famelici baci e coinvolti in erotiche danze.
E il Re li aveva osservati,
amandoli a sua volta.
“Ribelle e Disobbediente!”
Serrò gli occhi,
riassaporando sulle sue labbra, per un istante, il seme del
maschio e la pelle dei seni della ragazza…
Dio, s’era stato un banchetto
delizioso! E l’aveva colmato nel sangue
imputridito dall’incesto… Il suo preferito.
Giacevano morti e nudi,
quindi, i due teneri fratelli, persi in eterno nel loro
peccato…
“Ribelle e Disobbediente!”
Tremò.
Ed un antico bisbiglio
rievocò peccati mai perdonati; Michael scomparve dalla
visuale dei suoi occhi resi vacui dal ricordo.
Oh, la sua… La sua non era
mai stata oscenità! No, no!
Dio s’era sbagliato.
Aveva sempre ricercato solo
l’amore, glie ne era stato donato tanto, e troppo
in fretta gli era stato crudelmente strappato…
Era divenuto la sua malattia, la sua ossessione!
In eterno, legato ai
piaceri dell’amor carnale.
Lingue di
fuoco dalla consistenza simile a fumo palpabile lo avvolgevano
delicatamente…
Oh, così dolci erano quelle carezze che cullavano con amore il
giovane
Angelo!
La sua pelle vibrava al
soffio silenzioso di quel lento calore immortale: come
un respiro lo sfiorava ovunque,
come una voce
bisbigliava al suo
orecchio parole rassicuranti.
Era un Angelo molto bello,
Belial.
Certo, non eguagliava il
compianto Lucifero, ma… I suoi occhi, le sue labbra ed
il suo volto sembravano essere stati appena modellati dagli artigiani
più
esperti.
Docile, si beava della
Luce che illuminava e riscaldava il suo corpo, godendo
appieno della benevolenza che lenta scorreva su di lui e in lui,
“Quanto ti amo, Belial.”
Non c’erano labbra ad
articolare il suono, ma proprio
le fiamme sembravano emettere dolci note vocali.
… Ed allora lo spirito di
Belial si tramutava in carne e, assumendo le
sembianze di un maschio umano, su quella stessa carne si posavano
le
attenzioni di chi l’ebbe generato.
All’organismo appena
plasmatosi venivano riservate delicatezza e cure che ne
bruciavano i sensi, inibendoli, gemiti nascevano timidi ed
impercettibili da
quelle labbra disegnate e gli splendenti occhi verdi s’appannavano di
un
piacere estatico.
“Angelo,
Angelo mio… E’ vana la condanna del tuo nome: amami
come io ti amo, dunque.”
Quella
dolce nenia era seguita da un improvviso
dolore che costringeva Belial a gridare e a gridare, fino a mutare quel
straziante lamento in affaticati sospiri di eccitazione: solo allora la
natura
delle grida cambiava ancora, colmandosi di piacere.
Un calore, quindi, lo investiva dall’interno, la soddisfazione scuoteva
le sue
membra e con lentezza il suo corpo riacquistava sembianze angeliche.
Con un ultimo, dolce gesto d’amore, lo stesso Yahweh ritornava
ad
essere il fuoco eterno che si sarebbe mostrato a Mosè.
A quel
tempo gli uomini erano semplici e l’evoluzione del mondo procedeva
lentamente;
così agli angeli ne veniva affidato lo sviluppo, affinché guidassero i
figli di
Dio sul giusto sentiero.
Giovane ed inesperto
com’era, tanti angeli (tra i quali un certo
Astaroth) si
ritrovarono a titubare sulla decisione di affidare o meno una
parte del regno del Signore a Belial.
Penava il suo animo vivace
a causa di questa cupa indecisione! Egli si riteneva
maturo, pronto e soprattutto degno a tale responsabilità! Lampeggiavano
furiosi
e frustrati i suoi occhi, e solo i rimproveri silenziosi dell’Entità da
lui amata ne calmavano le saette peccaminose.
Piangendo mortificato, i bracieri del Signore lo cullavano in
quell’estatica consolazione nella quale adorava naufragare.
Infine, dopo qualche tempo, si giunse ad un
compromesso: al dolce angelo sarebbero state date in custodia due città
che
allora nascevano su quel che sarebbe stato, poi, il Mar Morto; Sodoma e
Gomorra.
“Non
deludermi,
figlio mio: nelle tue mani è stato deposto un grande splendore… O
un’orribile
rovina.”
”Non Le potrei mai
arrecare dispiacere, Mio Signore.”
E
così Belial vegliò sulla sorte di quegli
umani.
Li studiava curioso, osservandone i comportamenti, le abitudini… E si
ritrovava
imbarazzato quando scorgeva gli uomini amare le proprie donne.
Ma non capiva…
Lui avvertiva anche il profondo affetto che gli stessi uomini provavano
verso
altri uomini… Ma allora perché non ne davano una dimostrazione?
Belial non avrebbe mai creduto di cadere in errore, mostrando ai propri
protetti quella forma d’amore che l’aveva legato alla sua Luce…
Non sapeva, povero ingenuo, che era un segreto egoisticamente celato
dal Suo
Signore,essendo l’unico modo che Egli aveva per amare angeli come
Belial.
Qualcosa di cui gli uomini non si sarebbero mai dovuti
appropriare,
poiché non comprendendone la purezza, ne avrebbero fatto uso ed abuso
in Terra,
giungendo allo scempio.
E difatti fu ciò che accadde.
“Ribelle
e disobbediente.”
La
furia Divina non aveva avuto tempo d’abbattersi sul corpo del povero
Belial; a
Sodoma viveva un discendente d’Abramo che andava salvato: Lot.
Tre angeli s’erano,
quindi, arrischiati a presentarsi alla casa dell’uomo per
avvertirlo del pericolo che correva a restare in quello squallido bordello
a cielo aperto.
Poveri angeli…
Giunti lì per la salvezza
di un misero uomo, rischiarono la condanna ed il
dolore dell’eterna umiliazione.
Nella notte, infatti, gli
uomini della città si affollarono intorno alla casa
di Lot, dicendo:
“Dove sono quegli uomini
che sono entrati da te questa notte? Falli uscire da
noi, perché possiamo abusarne!”(*)
E allora non vi fu più
neanche il tempo d’un battito di ciglia.
Fuoco, fiamme e zolfo.
Non più una traccia dei
due corrotti semi del male!
Anche se l’impronta della loro
corruzione sarebbe
sopravissuta nei secoli…
“RIBELLE!”
“Mi perdoni…”
“DISOBBEDIENTE!”
“La prego…”
“Brucia nella tua
corruzione!Nella tua blasfemia!Nella tua sacrilega oscenità!”
“Per favore…”
“E che la violenza di ciò
che hai generato ti trascini all’Inferno ad
affiancare Lucifero il Superbo!”
“Era amore! Amavano! Così
come Lei mi ha amato!”
“No, non è stato così…
Dov’era l’amore in quella massa informe di corpi nudi?”
“La supplico…”
“M’ hai deluso e m’hai
ferito. Io ti amo Belial, ma sei condannato.”
Impalato.
Ali sigillate.
Sangue.
Cosa ricordava della
caduta?
Solo il fuoco puro del suo
spirito imbrattato di peccato che, scivolando via da
quel corpo, si spegneva dopo averlo avvolto in spire dolorose.
Michael
apparve tremante dai tendaggi, stringendosi in una tunica indaco.
Sollevò lo sguardo sul suo protettore, e rimase davvero perplesso da
ciò che
vide: il Re nascondeva il volto tra le belle mani affusolate, con un
ché di
penosamente disperato.
“Signor Belial?” Lo chiamò, con fare sinceramente preoccupato.
Il Diavolo non piange.
Belial era un demone nobile, non poteva più permetterselo.
Ma lo desiderava.
Però…
A cosa serviva versare lacrime cupe e vuote, destinate a dissolversi
ancora
prima di infrangersi?
Non fu l’ingenuità a condannarti, Belial: semplicemente, fu la follia
scaturita
dalla tua ossessione per l’amore.
La figura di Raphael apparve
inizialmente
sbiadita, poi finalmente il suo corpo prese forma e consistenza… E solo
allora
Samael s’accorse che l’Arcangelo non era solo.
Seduto al suolo, teneva
poggiata sulle gambe una giovane donna dalle labbra
rosse e i capelli corvini; l’accarezzava amorevolmente, perso nella sua
giovane
bellezza, così come solo un amante avrebbe potuto.
Osservandola più
attentamente, il giovane Arcangelo che accompagnava il
Guerriero notò dei fori sulle braccia fragili della giovane.
“Cosa… Cosa sono?” Domandò ingenuamente, e il suo
volto si dipinse di
terrore, quando notò un grumoso liquido nero fuoriuscire dalla cute
della
ragazza, renderla nera e posarsi sugli abiti umani di
Raphael.
“Era un’eroinomane.” Disse semplicemente l’altro,
dando per
scontato che Samael ne conoscesse il significato.
“Che vuol dire?” Si ritrovò a chiedere, allora,
ancora più perplesso.
La ragazza sembrava morta
tra le braccia del Guaritore, ma Samael avvertiva il
soffio vitale scorrere incessante nei suoi vasi sanguigni.
“L’eroina è una droga, Samael.
E come ogni droga lacera corpo, mente e
spirito, avvelenandoli. Gli uomini non hanno più bisogno di temere le
piaghe
del Signore, se le creano di propria mano.” Intervenne Kei,
lievitando a braccia incrociate a pochi centimetri dal suolo, le ali
grandi e
bellissime spalancate; il volto privo d’occhi fieramente sollevato.
“Esattamente.” Commentò Raphael con un sorriso,
senza levare lo sguardo
sul Guerriero.
Si chinò sulla ragazza,
baciandone le labbra appena tiepide ed assaporandone la
morbidezza con la dolcezza di chi già l’ha provata e teme di perderne
l’essenza.
“Buonanotte, bocciolo di
rosa.” Bisbigliò
infine, ad un soffio da
quella bocca che lentamente andava dissolvendosi, seguita dal corpo.
L’aveva restituita ai genitori
finalmente pura.
Qualche attimo dopo il
Guaritore sollevò lo sguardo per affrontare il Guerriero
che l’aveva richiamato ed il suo accompagnatore.
Ma troncò sul nascere le
difese innalzate a giustificare la propria situazione,
quando vide il volto di Kei.
Potevano
ritenersi fortunati: lui ed i suoi sottoposti s’erano ritrovati ad
atterrare in
un regno molto vicino alla meta che si erano predisposti.
Oh si, la reggia di sua Maestà Lucifero si trovava proprio alle spalle
del
colle rosso e sabbioso del conte Astaroth.
S’era ridotto a quello il dominio del Signor Conte: la sete di potere e
vendetta aveva consumato l’atmosfera alla pari di un acido.
Cosa restava, dunque?
Solo il trono in marmo sul punto più alto del colle ove egli sedeva
immobile,
cullato dalle carezze della sua consorte Astarte.
Sul suo viso era adagiata una maschera bianca spaventosa ed
inespressiva, dai
lineamenti incredibilmente realistici.
Pareva essere stata fatta apposta per il volto del suo indossatore:
incise e
bene intarsiate erano le labbra carnose, alti e pronunciati apparivano
gli
zigomi, non v’erano fessure per le narici o per gli occhi, e ciò
rendeva quel
quadro stranamente macabro.
Astarte, seduta anch’ella sul suo trono, da brava moglie lo accudiva,
bisbigliandogli parole all’orecchio, sfiorando quella maschera e
sorridendo.
“Non c’è più sangue, non c’è
più vita, mio amato.
Tranquillo, tranquillo…
Non agitare il tuo debole cuore!Non affaticare il tuo corpo martoriato!
Sono solo insetti; li schiacceremo assieme, moriranno e i loro resti
nutriranno
il nostro terreno: le anime che periscono all’Inferno, all’Inferno
resteranno.”
Spaventoso,
quel sussurro trasportato dal vento si tramutò in un impetuoso
ammonimento
rivolto a Kei ed ai suoi angeli.
“Avanziamo.”
Ribatté il Guerriero senza
esitazioni.
Annegare.
Sarebbe stato semplice farlo
nel proprio sangue.
Le piume delle sue ali
galleggiavano sul grumoso strato rosso nel quale era
immenso e la brina che le ricopriva si scioglieva, fondendo la propria
purezza
all’arido suolo infernale.
Inizialmente non riuscì a
capire se stesse tenendo gli occhi chiusi o aperti.
C’era buio, di questo era
convinto.
La pressione sulla sua schiena
aumentava e la carne quasi non ricopriva più le
ossa delle due ali centrali.
Immobile.
Nudo.
Quell’ultimo straccio
insanguinato che l’aveva ricoperto era scivolato via… E
in quello stato onirico di doloroso dormiveglia provò vergogna.
Boris era su di lui.
Lo dominava.
“Angeli
cadono dal cielo! Raccoglili, feriscili e dona loro la dannazione, mio
Lucifero.”
Cantava
flebilmente, il Demone e la sua voce non aveva il suono soave dei cori
degli
angeli…
Sepolcrale e rude, irritava il
suo udito, accompagnando con carezze e parole
oscene il suo bisbiglio, senza staccare gli occhi dal suo lavoro.
Il sarto
dell’Inferno.
Quel soprannome non era stato
dato a caso, al carissimo Boris: il nostro
Messaggero era molto, molto
abile con ago e filo.
Quali meravigliose
composizioni di stracci umani, aveva creato! E quanti di
questi esseri deturpati camminavano all’Inferno!
Nei suoi stessi abiti da
maggiordomo scorrevano fibre tessili umane… Fossero
state queste ricavate da apparati venosi o strati sottili di cute.
E anche allora stava filando
quella che avrebbe definito la sua tela più
grandiosa!
Fil di ferro penetrava la
schiena del Guardiano.
Lentamente l’ago affondava
nella carne, scivolando con macabra naturalezza
sotto la pelle diafana; gli ultimi brandelli carnosi lasciati apposta
attaccati
alle ali servivano semplicemente per facilitarne la cucitura alla
schiena!
“Ti prego, basta…”
Sapeva che sarebbe morto
presto.
I suoi occhi erano aperti, ma
non distingueva più la luce: troppo sangue li
annebbiava.
Piangeva.
In silenzio, non visto, certo…
Ma piangeva.
Il vuoto accorreva: un freddo
diverso da quello corporale… E questo lo
spaventava, intrappolandolo in crudeli reti che, stringendolo, lo
tagliavano a
pezzi.
Le quattro ali semplicemente
spezzate erano state impalate al terreno… Oh,
nulla di cui preoccuparsi: erano recuperabili, potevano guarire! Era
questa la
sua disperata ed agonizzante speranza! Ma la tortura che strappava le
sue
carni, quelle ferite… Oh, Dio! Sarebbero state permanenti,
poiché
inflitte dall’impura abilità demoniaca d’un essere infernale.
La sua schiena era uno scempio
di carne maciullata e sangue.
La pelle quasi non respirava
sotto la strato carminio secco che continuava ad
essere alimentato dagli squarci ed, invitante, il suo odore aveva
risvegliato
la fame e la voglia che Boris aveva di quelle carni, divenute banchetto
perfetto per i Demoni.
Debolmente, tentò privo di
speranze di liberare le mani dalle catene roventi
che lo legavano ad un paletto al centro della gabbia…
Quel Diavolo s’era mosso su di
lui, iniziando a
sfiorargli la schiena in
massaggi che non avevano nulla di benefico.
Avvertì chiaramente la bocca
di Boris posarsi sulla sua pelle e la lingua
lambire le estremità di uno squarcio sulla schiena, prima di scivolare,
con
intrepida malizia, lungo la sua spina dorsale, mordendo, succhiando e
ripulendo
via il liquido ematico.
Giunto agli occhi di Venere, i due
sensuali solchi che
caratterizzavano il fondo schiena del Guardiano, Boris giocò col fil di
ferro
già cucito tra le sue carni, allentandone la morsa.
“Perché non mi uccidi..?”
La grazia della morte.
Ecco cosa significava…
Eccitato dai delicati gemiti,
che al suo udito assunsero le sfumature più
erotiche, concentrato su ciò che era il sapore di quel pregiato sangue
Angelico, il Messaggero afferrò le natiche di Yurij, stringendole
indecentemente.
“Verifichiamo… Verifichiamo
quale sesso ha deciso di donarti il Tuo
Signore.”
“Ti prego… No…”
S’alzò
il vento, turbinando e sollevando, nella sua violenza, la polvere rossa
che
ricopriva la landa desolata.
S’alzò Astaroth, imponente angelo nero mascherato.
S’alzò Kei, imperiosa
Creatura, scoprendosi all’infernale Conte.
Sorrise Astarte, dannata e
crudele vampira.
E rigidamente, come se il suo
corpo demoniaco non fosse stato fatto di carne e
sangue, Astaroth puntò un dito contro il Guerriero.
Le labbra perlacee della
maschera s’aprirono.
“Tu,
Angelo ridicolo, osi attraversare il dominio mio?”
Un
suono sepolcrale, rimasto celato per millenni, investì la schiera degli
angeli.
“Quella… Quella non è una
maschera…” Balbettò stentatamente, Anael.
Così rimase l’oscuro signore,
cinto in vita dalle amorevoli e fragili braccia
della sua contessa.
“INGIUSTIZIA!”
Scalpitava, l’angelo dai lunghissimi capelli rossi: il suo sguardo
ardente
inceneriva le catene che osavano sfiorare le sue carni per
intrappolarlo.
“Ho concesso a Belial l’arbitrio su Sodoma e Gomorra solo dopo una
decisione
unanime! Non sono l’unico responsabile.”
Oh, che essere ingenuo! Indebolito per l’inutile lotta e per le ferite
che s’erano
aperte sulle sue carni, si lasciò sopraffare; gemette e non oppose più
resistenza: sarebbe stato ancora più dannoso.
“Non possiamo condannare l’intero Consiglio… E tu ne eri il
rappresentate.”
Funeree e subdolamente veritiere, giunsero le parole dell’angelo dai
capelli
d’ebano che l’osservava dall’alto.
“Ma… Gabriel…” Fu troppo fioca la sua protesta, per essere udita.
“Questo è il volere del Signore.”
Astaroth chinò il capo, digrignando i denti in preda alla frustrazione
per
quell’ultima affermazione.
Dalla caduta di Lucifero, il Cielo Supremo era divenuto follia pura.
Ed erano state appena generate due nuove creature, definite coloro
che
avrebbero portato l’equilibrio in quel momento di puro caos.
“Ho ancora diritto affinché la mia ultima parola, nello scegliere un
successore, venga rispettata.” Disse allora, con la consapevolezza
della
sconfitta.
Gabriel s’accigliò a quella pretesa, ma non poté protestare, d’altronde
Astaroth aveva dannatamente ragione.
“ E sia.” Concesse con grande fatica.
Il volto del condannato, allora, s’addolcì nel ricercare gli occhi
fermi e feriti
del suo prediletto: sorrise, conscio del fatto che quella sarebbe stata
l’ultima espressione che si sarebbe disegnata sulle sue labbra.
“Uriel.”
Bruciando, non gridò.
Vide il suo corpo mutare e
separarsi in due entità ben distinte… Oh, sì; si
scisse, plasmando involontariamente un nuovo organismo con l’energia
spirituale
che stava liberando.
E non poté non innamorarsi all’istante della nascitura
creatura la
quale, dormiente, precipitava con lui.
L’avvicinò e, avvolgendola
nella furia della Caduta, si strinse a lei.
Ricercava l’affetto nel
fuoco freddo che tingeva il suo corpo di
caratteri maschili… E fu proprio allora che, preda del dolore e di
ultime
lacrime, si fece una promessa: mai più, mai più avrebbe usato il potere
delle sue dannose parole.
Sarebbe spettato tutto a
quella dea dai capelli di sangue.
“Astarte.”
E s’aprì l’Inferno.
La terra si sgretolava sotto i loro
piedi.
Gli angeli aprivano le ali,
certo, ma la corrosione consumava tutto.
E s’era sviluppata alle parole
dell’immobile conte.
“Astaroth non deve più paralare!”
Il grido di Kei s’era levato
assieme al doloroso coro dei suoi soldati, i
quali, improvvisamente, s’erano ritrovati le carni arrossate…
“Le sue parole ed i suoi lamenti
hanno distrutto la contea.”
Cominciarono a sanguinare…
Appena la corrosione era
penetrata più in profondità, il sangue aveva iniziato
a macchiare i volti, i corpi e gli abiti dei poveri esserini alati.
Privi di forza e, soprattutto,
di coraggio, in tanti s’accasciarono al suolo
friabile… Altri, invece, rimasero sospesi a mezz’aria.
E Kei?
Oh, il Guerriero volava veloce in direzione dell’altura ove
Astaroth era
fermo.
L’energia spirituale innalzata
a protezione del volto a stento poteva
combattere il potere del conte, ma almeno i suoi occhi erano al sicuro…
La cute implodeva.
Ogni lembo di pelle straziata
gridava pietà.
Si consumava.
Alla lama sguainata, che
appesantiva il suo povero braccio supplicante,
era stato applicato lo stesso trattamento d’energia trasferito sul
volto.
Le sue carni bruciavano.
Gli strati di cute più
superficiali scivolavano via come sporco, rendendolo
vulnerabile; ma Astaroth
era vicino: poteva
specchiarsi nell’opacità del
volto vitreo che aveva innanzi.
Oh, quell’immobilità gli faceva
pena… Ed Astarte s’aggrappava a
quella triste statua con una tale gelosia, che quasi gli si stringeva
il cuore.
Il sangue scorreva.
Nel puntare la lama contro il volto cereo del Conte, evitò di lasciar
cadere lo sguardo sulle proprie braccia: sapeva che ormai poteva
distingue fin
troppo chiaramente l’apparato
sottocutaneo.
Gli tremava il respiro.
Ed Astarte piangeva, soffocando le lacrime tra i
lunghi capelli
dell’amato.
“Sei coraggioso, Guerriero.”
Bisbigliò la donna tra i singhiozzi, confondendo
le gocce purpuree tra le crini.
“Ed il mio fragile signore è
soddisfatto.”
“L’Ingiustizia
condannò l’anima che possedevo, così come la
mia sentenza aveva proclamato la fine di due città. Parole pericolose,
quelle
da me pronunciate…
Sono Astaroth, Conte
Infernale, pronto a consumarti col veleno delle mie spine.
Astarte, la rosa mia
bella, la mia Vampira, generata dalle mie
membra,m’affianca.
Curami, dolce bambina,
l’immobilità della condanna mi corrode dall’interno.
E tu, Angelo sbruffone,
fuggi pure via… Prima che del mio pensiero muti la
natura.”
“Dov’è il mio corpo..?”
Yurij era rivestito di sangue.
“Dov’è il mio corpo..?”
Si tastò l’addome, i fianchi, il petto… Il respiro mozzato lo soffocava.
Portandosi le mani davanti gli occhi, notò che le ferite al centro dei
palmi
sembravano guarite.
Spaventato, si toccò nuovamente i pettorali, come a voler acquisire una
piena
consapevolezza del proprio corpo, ma sbiancò, sentendo la consistenza
di due
lisci e sodi seni riempirgli le mani.
D’istinto, si portò una mano al basso ventre, sfiorando con la punta
delle dita
i radi e ricciuti peli pubici appena apparsi.
Le labbra del nuovo organo formatosi vibrarono dolorosamente,
preda
degli spasmi.
Non udì il suo grido di terrore e dolore.
Non aveva emesso suono.
E questo, probabilmente, lo spaventò ancor più dell’avvertire il
proprio torace
tornare piatto.
La sofferenza prese a dilaniarlo alla base del bacino
C’era freddo, nella grande stanza indefinita .
Era coperto di sangue.
Non c’erano più ali.
Non c’erano più ferite.
Ed era bagnato.
Il
suolo della gabbia appariva ruvido.
Strusciava avanti e indietro con un lato del volto su di
questo,
succube del ritmo violento al quale accondiscendeva, immobile.
Veniva ferito da quel continuo
sfregare, che graffiava la bella pelle bianca
della sua guancia destra.
“Dov’è il mio corpo..?”
Soffrivano le sue ali.
Esplodeva ovunque il dolore
delle ferite.
Il sospiro estasiato
dell’aguzzino che stringeva le sue cosce, affondandovi gli
artigli, penetrava crudelmente l’udito
dell’Angelo, riducendo in
brandelli l’ultimo straccio di dignità del Guardiano.
“Dov’è… Il mio… Corpo..?”
Fredde mani, d’improvviso, si
strinsero attorno alle sue vincolate, sfiorandone
delicatamente gli squarci.
Fu più profondo il colpo.... Oh
si, quel demone violento aveva tutta
l’intenzione di spaccarlo!
Aprii stentatamente gli occhi,
ed il sangue si riversò d’un colpo dalle sue
labbra, assieme alla saliva e alla bile che aveva fino ad allora
trattenuto.
“C-Cassiel..?”
Pronunciò tra gli ansiti,
riconoscendo, attraverso le lacrime ed il sangue, il
volto di quell’Arcangelo morto macchiato tra le sue braccia.
“Stia tranquillo, Signore…
Finirà presto.” Disse, allora, l’umile
dannato, pieno di compassione.
Accarezzava dolcemente le mani
del Guardiano, tenendo basso lo sguardo sulle
ferite del prigioniero: non
aveva il coraggio d’alzare lo sguardo su Boris.
E, tanto meno, avrebbe potuto
fermarlo.
Osservandolo, Yurij non poté
non sorridere felicemente
disperato,
nonostante quello fosse il momento meno opportuno.
“Grazie.”
Rotto da un gemito e scosso
dai tremori, s’alzò, inaspettato, quel flebile
sussurro.
“Scorre
in me con ferocia, frantumando ciò che resta delle
mie membra.
Mi umilia, leccando via il
sangue sporco di sesso che m’ha costretto a versare.
Ed io gemo e grido e non
posso fare niente altro.
Ebbene, mio Dannato,
continua… Continua pure.”
Fine quindicesimo capitolo.
*Riprende a respirare*
Ehm…
Yurij: è.é
Ehm…
Yurij: è_é
Lo confesso sono colpevole ç_ç!
Me l’ero detto, ridetto e stradetto, ma…
Ma dopo aver perso questo schifo di capitolo per ben tre volte
anche i
miei saldi nervi saltano ed ho dovuto sfogare in qualche modo
ç_ç!
Ho combinato un casino!
…
Bhé, ma tornando seri u.ù…
Yurij: … -.-
Come già anticipato, ho trattato un po’ del sesso degli angeli.
In questa storia sono, sì, esseri asessuati, ma che assumono fattezze maschili
o femminili durante un atto d’amore puro (Belial e Dio), o un
atto
sessuale squallido (Yurij e Boris).
Boris, nascendo come demone, ha un sesso definito: è un maschio.
Gli angeli, durante la caduta, assumono la loro forma sporca
(Astaroth e
Lucifero, per esempio, sono maschi, ma Astaroth a sua volta ha generato
Astarte,
che è una donna), pur essendo immacolati.
Una volta marchiati da un Demone gli angeli non possono
restare in
Paradiso, ecco perché Cassiel è caduto.
Ecco perché Yurij cadrà –con l’aggravante di un altro motivo-.
Inoltre la situazione per il nostro caro Guardiano a livello sessuale
sarà particolare…
Ed i motivi vi saranno chiari col procedere della storia ^^!
Grazie infinitamente a:
-Drev.
-Syb.
-Pad.
-Darky
E a tutti coloro che hanno aggiunto questa storia tra i
preferiti e
le seguite!
Ci sentiamo al prossimo capitolo, mi auguro lascerete un commento
=).
Il Pezzo ad inizio cap è tratto
dall’Apocalisse.
(*)Un pezzo della Bibbia
O.ò...
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