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Autore: Iria    14/03/2010    5 recensioni
"L'invito del Diavolo arde e confonde, istiga ed uccide...
Le candide ali bagnate dal sangue dei peccatori sono la più seducente delle tentazioni.
Signore e Padrone, il banchetto è pronto."

Un'AU completamente nuova che spero apprezzerete nella sua umile forma.
Mi auguro mi lascerete un commento, anche negativo. Grazie.
Attenzione! Probabilmente questa fic subirà un mutamento a livello di genere. Al momento, aggiungo l'avvertimento shonen-ai.
Attenzione! Ho aggiunto il genere guerra.
Genere: Dark, Guerra, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Boris, Kei Hiwatari, Nuovo personaggio, Yuri
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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K ץ ø s ђ ø k υ  ~ V α ι и g ℓ ø я ץ  † V α и α g ℓ ø я ι α

 «Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né fervente. Oh, fossi tu pur freddo o fervente!
Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente io ti vomiterò dalla mia bocca.
Tu dici: "Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di niente!" Tu non sai, invece, che sei infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e nudo.
Perciò io ti consiglio di comperare da me dell'oro purificato dal fuoco, per arricchirti; e delle vesti bianche per vestirti e perché non appaia la vergogna della tua nudità; e del collirio per ungerti gli occhi e vedere. Tutti quelli che amo, io li riprendo e li correggo; sii dunque zelante e ravvediti. Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me. Chi vince lo farò sedere presso di me sul mio trono, come anch'io ho vinto e mi sono seduto con il Padre mio sul suo trono.
Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese».

Accomodatosi su di un divano foderato di velluto rosso, Belial osservava in silenzio il profilo di Michael muoversi al di là di una tenda opaca.
Sospirò sconsolato e portando un pollice alle labbra, mordendone l’unghia, spostò pigramente lo sguardo sulla coppia di gemelli mortali sdraiata sul suo letto.
Erano belli, dalle labbra ancora rosse e gonfie di peccato: caduti nella rete di Belial, loro cupido, si erano ritrovati all’Inferno a fare l’amore, intrecciati in famelici baci e coinvolti in erotiche danze.
E il Re li aveva osservati, amandoli a sua volta.
“Ribelle e Disobbediente!”
Serrò gli occhi, riassaporando sulle sue labbra, per un istante, il seme del maschio e la pelle dei seni della ragazza…
Dio, s’era stato un banchetto delizioso! E l’aveva colmato nel sangue imputridito dall’incesto… Il suo preferito.
Giacevano morti e nudi, quindi, i due teneri fratelli, persi in eterno nel loro peccato…
“Ribelle e Disobbediente!”
Tremò.
Ed un antico bisbiglio rievocò peccati mai perdonati; Michael scomparve dalla visuale dei suoi occhi resi vacui dal ricordo.
Oh, la sua… La sua non era mai stata oscenità! No, no!
Dio s’era sbagliato.
Aveva sempre ricercato solo l’amore, glie ne era stato donato tanto, e troppo in fretta gli era stato crudelmente strappato…
Era divenuto la sua malattia, la sua ossessione!

In eterno, legato ai piaceri dell’amor carnale.

Lingue di fuoco dalla consistenza simile a fumo palpabile lo avvolgevano delicatamente… Oh, così dolci  erano quelle carezze che cullavano con amore il giovane Angelo!
La sua pelle vibrava al soffio silenzioso di quel lento calore immortale: come un respiro lo sfiorava ovunque, come una voce bisbigliava al suo orecchio parole rassicuranti.
Era un Angelo molto bello, Belial.
Certo, non eguagliava il compianto Lucifero, ma… I suoi occhi, le sue labbra ed il suo volto sembravano essere stati appena modellati dagli artigiani più esperti.
Docile, si beava della Luce che illuminava e riscaldava il suo corpo, godendo appieno della benevolenza che lenta scorreva su di lui e in lui,
“Quanto ti amo, Belial.”
Non c’erano labbra ad articolare il suono, ma proprio le fiamme sembravano emettere dolci note vocali.
… Ed allora lo spirito di Belial si tramutava in carne e, assumendo le sembianze di un maschio umano, su  quella stessa carne si posavano le attenzioni di chi l’ebbe generato.
All’organismo appena plasmatosi venivano riservate delicatezza e cure che ne bruciavano i sensi, inibendoli, gemiti nascevano timidi ed impercettibili da quelle labbra disegnate e gli splendenti occhi verdi s’appannavano di un piacere estatico.

Angelo, Angelo mio… E’ vana la condanna del tuo nome: amami come io ti amo, dunque.”

Quella dolce nenia era seguita da un improvviso dolore che costringeva Belial a gridare e a gridare, fino a mutare quel straziante lamento in affaticati sospiri di eccitazione: solo allora la natura delle grida cambiava ancora, colmandosi di piacere.
Un calore, quindi, lo investiva dall’interno, la soddisfazione scuoteva le sue membra e con lentezza il suo corpo riacquistava sembianze angeliche.
Con un ultimo, dolce gesto d’amore, lo stesso Yahweh  ritornava ad essere il fuoco eterno che si sarebbe mostrato a Mosè.

A quel tempo gli uomini erano semplici e l’evoluzione del mondo procedeva lentamente; così agli angeli ne veniva affidato lo sviluppo, affinché guidassero i figli di Dio sul giusto sentiero.
Giovane ed inesperto com’era,  tanti angeli (tra i quali un certo Astaroth) si ritrovarono a titubare sulla decisione di affidare o meno una parte del regno del Signore a Belial.
Penava il suo animo vivace a causa di questa cupa indecisione! Egli si riteneva maturo, pronto e soprattutto degno a tale responsabilità! Lampeggiavano furiosi  e frustrati i suoi occhi, e solo i rimproveri silenziosi dell’Entità da lui amata ne calmavano le saette peccaminose.
Piangendo mortificato, i bracieri del Signore lo cullavano in quell’estatica consolazione nella quale adorava naufragare.
Infine, dopo qualche tempo, si giunse ad un compromesso: al dolce angelo sarebbero state date in custodia due città che allora nascevano su quel che sarebbe stato, poi, il Mar Morto; Sodoma e Gomorra.

“Non deludermi, figlio mio: nelle tue mani è stato deposto un grande splendore… O un’orribile rovina.”
”Non Le potrei mai arrecare dispiacere, Mio Signore.”

E così Belial vegliò sulla sorte di quegli umani.
Li studiava curioso, osservandone i comportamenti, le abitudini… E si ritrovava imbarazzato quando scorgeva gli uomini amare le proprie donne.
Ma non capiva…
Lui avvertiva anche il profondo affetto che gli stessi uomini provavano verso altri uomini… Ma allora perché non ne davano una dimostrazione?
Belial non avrebbe mai creduto di cadere in errore, mostrando ai propri protetti quella forma d’amore che l’aveva legato alla sua Luce…
Non sapeva, povero ingenuo, che era un segreto egoisticamente celato dal Suo Signore,essendo l’unico modo che Egli aveva per amare angeli come Belial.
Qualcosa di cui gli uomini non si sarebbero mai dovuti appropriare, poiché non comprendendone la purezza, ne avrebbero fatto uso ed abuso in Terra, giungendo allo scempio.
E difatti fu ciò che accadde.

“Ribelle e disobbediente.”

La furia Divina non aveva avuto tempo d’abbattersi sul corpo del povero Belial; a Sodoma viveva un discendente d’Abramo che andava salvato: Lot.
Tre angeli s’erano, quindi, arrischiati a presentarsi alla casa dell’uomo per avvertirlo del pericolo che correva a restare in quello squallido bordello a cielo aperto.
Poveri angeli…
Giunti lì per la salvezza di un misero uomo, rischiarono la condanna ed il dolore dell’eterna umiliazione.
Nella notte, infatti, gli uomini della città si affollarono intorno alla casa di Lot, dicendo:
“Dove sono quegli uomini che sono entrati da te questa notte? Falli uscire da noi, perché possiamo abusarne!”(*)
E allora non vi fu più neanche il tempo d’un battito di ciglia.
Fuoco, fiamme e  zolfo.
Non più una traccia dei due corrotti semi del male!
Anche se l’impronta della loro corruzione sarebbe sopravissuta nei secoli…

“RIBELLE!”
“Mi perdoni…”
“DISOBBEDIENTE!”
“La prego…”
“Brucia nella tua corruzione!Nella tua blasfemia!Nella tua sacrilega oscenità!”
“Per favore…”
“E che la violenza di ciò che hai generato ti trascini all’Inferno ad affiancare Lucifero il Superbo!”
“Era amore! Amavano! Così come Lei mi ha amato!”
“No, non è stato così… Dov’era l’amore in quella massa informe di corpi nudi?”
“La supplico…”
“M’ hai deluso e m’hai ferito. Io ti amo Belial, ma sei condannato.”

Impalato.
Ali sigillate.
Sangue
.
Cosa ricordava della caduta?
Solo il fuoco puro del suo spirito imbrattato di peccato che, scivolando via da quel corpo, si spegneva dopo averlo avvolto in spire dolorose.

Michael apparve tremante dai tendaggi, stringendosi in una tunica indaco.
Sollevò lo sguardo sul suo protettore, e rimase davvero perplesso da ciò che vide: il Re nascondeva il volto tra le belle mani affusolate, con un ché di penosamente disperato.
“Signor Belial?” Lo chiamò, con fare sinceramente preoccupato.
Il Diavolo non piange.
Belial era un demone nobile, non poteva più permetterselo.
Ma lo desiderava.
Però…
A cosa serviva versare lacrime cupe e vuote, destinate a dissolversi ancora prima di infrangersi?
Non fu l’ingenuità a condannarti, Belial: semplicemente, fu la follia scaturita dalla tua ossessione per l’amore.

La figura di Raphael apparve inizialmente sbiadita, poi finalmente il suo corpo prese forma e consistenza… E solo allora Samael s’accorse che l’Arcangelo non era solo.
Seduto al suolo, teneva poggiata sulle gambe una giovane donna dalle labbra rosse e i capelli corvini; l’accarezzava amorevolmente, perso nella sua giovane bellezza, così come solo un amante avrebbe potuto.
Osservandola più attentamente, il giovane Arcangelo che accompagnava il Guerriero notò dei fori sulle braccia fragili della giovane.
“Cosa… Cosa sono?” Domandò ingenuamente, e il suo volto si dipinse di terrore, quando notò un grumoso liquido nero fuoriuscire dalla cute della ragazza, renderla nera e posarsi sugli abiti umani di Raphael.
Era un’eroinomane.” Disse semplicemente l’altro, dando per scontato che Samael ne conoscesse il significato.
“Che vuol dire?” Si ritrovò a chiedere, allora, ancora più perplesso.
La ragazza sembrava morta tra le braccia del Guaritore, ma Samael avvertiva il soffio vitale scorrere incessante nei suoi vasi sanguigni.
“L’eroina è una droga, Samael. E come ogni droga lacera corpo, mente e spirito, avvelenandoli. Gli uomini non hanno più bisogno di temere le piaghe del Signore, se le creano di propria mano.”  Intervenne Kei, lievitando a braccia incrociate a pochi centimetri dal suolo, le ali grandi e bellissime spalancate; il volto privo d’occhi fieramente sollevato.
“Esattamente.” Commentò Raphael con un sorriso, senza levare lo sguardo sul Guerriero.
Si chinò sulla ragazza, baciandone le labbra appena tiepide ed assaporandone la morbidezza con la dolcezza di chi già l’ha provata e teme di perderne l’essenza.
“Buonanotte, bocciolo di rosa.”  Bisbigliò infine, ad un soffio da quella bocca che lentamente andava dissolvendosi, seguita dal corpo.
L’aveva restituita ai genitori finalmente pura.
Qualche attimo dopo il Guaritore sollevò lo sguardo per affrontare il Guerriero che l’aveva richiamato ed il suo accompagnatore.
Ma troncò sul nascere le difese innalzate a giustificare la propria situazione, quando vide il volto di Kei.

Potevano ritenersi fortunati: lui ed i suoi sottoposti s’erano ritrovati ad atterrare in un regno molto vicino alla meta che si erano predisposti.
Oh si, la reggia di sua Maestà Lucifero si trovava proprio alle spalle del colle rosso e sabbioso del conte Astaroth.
S’era ridotto a quello il dominio del Signor Conte: la sete di potere e vendetta aveva consumato l’atmosfera alla pari di un acido.
Cosa restava, dunque?
Solo il trono in marmo sul punto più alto del colle ove egli sedeva immobile, cullato dalle carezze della sua consorte Astarte.
Sul suo viso era adagiata una maschera bianca spaventosa ed inespressiva, dai lineamenti incredibilmente realistici.
Pareva essere stata fatta apposta per il volto del suo indossatore: incise e bene intarsiate erano le labbra carnose, alti e pronunciati apparivano gli zigomi, non v’erano fessure per le narici o per gli occhi, e ciò rendeva quel quadro stranamente macabro.
Astarte, seduta anch’ella sul suo trono, da brava moglie lo accudiva, bisbigliandogli parole all’orecchio, sfiorando quella maschera e sorridendo.

“Non c’è più sangue, non c’è più vita, mio amato.
Tranquillo, tranquillo…
Non agitare il tuo debole cuore!Non affaticare il tuo corpo martoriato!
Sono solo insetti; li schiacceremo assieme, moriranno e i loro resti nutriranno il nostro terreno: le anime che periscono all’Inferno, all’Inferno resteranno.”

Spaventoso, quel sussurro trasportato dal vento si tramutò in un impetuoso ammonimento rivolto a Kei ed ai suoi angeli.
“Avanziamo.”
Ribatté il Guerriero senza esitazioni.

Annegare.
Sarebbe stato semplice farlo nel proprio sangue.
Le piume delle sue ali galleggiavano sul grumoso strato rosso nel quale era immenso e la brina che le ricopriva si scioglieva, fondendo la propria purezza all’arido suolo infernale.
Inizialmente non riuscì a capire se stesse tenendo gli occhi chiusi o aperti.
C’era buio, di questo era convinto.
La pressione sulla sua schiena aumentava e la carne quasi non ricopriva più le ossa delle due ali centrali.
Immobile.
Nudo.

Quell’ultimo straccio insanguinato che l’aveva ricoperto era scivolato via… E in quello stato onirico di doloroso dormiveglia provò vergogna.
Boris era su di lui.
Lo dominava.
“Angeli cadono dal cielo! Raccoglili, feriscili e dona loro la dannazione, mio Lucifero.”
Cantava flebilmente, il Demone e la sua voce non aveva il suono soave dei cori degli angeli…
Sepolcrale e rude, irritava il suo udito, accompagnando con carezze e parole oscene il suo bisbiglio, senza  staccare gli occhi dal suo lavoro.
Il sarto dell’Inferno.        
Quel soprannome non era stato dato a caso, al carissimo Boris: il nostro Messaggero era molto, molto abile con ago e filo.
Quali meravigliose composizioni di stracci umani, aveva creato! E quanti di questi esseri deturpati camminavano all’Inferno!
Nei suoi stessi abiti da maggiordomo scorrevano fibre tessili umane… Fossero state queste ricavate da apparati venosi o strati sottili di cute.
E anche allora stava filando quella che avrebbe definito la sua tela più grandiosa!
Fil di ferro penetrava la schiena del Guardiano.
Lentamente l’ago affondava nella carne, scivolando con macabra naturalezza sotto la pelle diafana; gli ultimi brandelli carnosi lasciati apposta attaccati alle ali servivano semplicemente per facilitarne la cucitura alla schiena!
“Ti prego, basta…”
Sapeva che sarebbe morto presto.
I suoi occhi erano aperti, ma non distingueva più la luce: troppo sangue li annebbiava.
Piangeva.
In silenzio, non visto, certo…
Ma piangeva.
Il vuoto accorreva: un freddo diverso da quello corporale… E questo lo spaventava, intrappolandolo in crudeli reti che, stringendolo, lo tagliavano a pezzi.
Le quattro ali semplicemente spezzate erano state impalate al terreno… Oh, nulla di cui preoccuparsi: erano recuperabili, potevano guarire! Era questa la sua disperata ed agonizzante speranza! Ma la tortura che strappava le sue carni, quelle ferite… Oh, Dio! Sarebbero state permanenti, poiché inflitte dall’impura abilità demoniaca d’un essere infernale.
La sua schiena era uno scempio di carne maciullata e sangue.
La pelle quasi non respirava sotto la strato carminio secco che continuava ad essere alimentato dagli squarci ed, invitante, il suo odore aveva risvegliato la fame e la voglia che Boris aveva di quelle carni, divenute banchetto perfetto per i Demoni.
Debolmente, tentò privo di speranze di liberare le mani dalle catene roventi che lo legavano ad un paletto al centro della gabbia…
Quel Diavolo s’era mosso su di lui, iniziando a sfiorargli la schiena in massaggi che non avevano nulla di benefico.
Avvertì chiaramente la bocca di Boris posarsi sulla sua pelle e la lingua lambire le estremità di uno squarcio sulla schiena, prima di scivolare, con intrepida malizia, lungo la sua spina dorsale, mordendo, succhiando e ripulendo via il liquido ematico.
Giunto agli occhi di Venere, i due sensuali solchi che caratterizzavano il fondo schiena del Guardiano, Boris giocò col fil di ferro già cucito tra le sue carni, allentandone la morsa.
“Perché non mi uccidi..?”
La grazia della morte.
Ecco cosa significava…
Eccitato dai delicati gemiti, che al suo udito assunsero le sfumature più erotiche, concentrato su ciò che era il sapore di quel pregiato sangue Angelico, il Messaggero afferrò le natiche di Yurij, stringendole indecentemente.
“Verifichiamo… Verifichiamo quale sesso ha deciso di donarti il Tuo Signore.”
“Ti prego… No…”

S’alzò il vento, turbinando e sollevando, nella sua violenza, la polvere rossa che ricopriva la landa desolata.
S’alzò Astaroth, imponente angelo nero mascherato.
S’alzò Kei, imperiosa Creatura, scoprendosi all’infernale Conte.
Sorrise Astarte, dannata e crudele vampira.
E rigidamente, come se il suo corpo demoniaco non fosse stato fatto di carne e sangue, Astaroth puntò un dito contro il Guerriero.
Le labbra perlacee della maschera s’aprirono.
“Tu, Angelo ridicolo, osi attraversare il dominio mio?”
Un suono sepolcrale, rimasto celato per millenni, investì la schiera degli angeli.
“Quella… Quella non è una maschera…” Balbettò stentatamente, Anael.
Così rimase l’oscuro signore, cinto in vita dalle amorevoli e fragili braccia della sua contessa.

“INGIUSTIZIA!”
Scalpitava, l’angelo dai lunghissimi capelli rossi: il suo sguardo ardente inceneriva le catene che osavano sfiorare le sue carni per intrappolarlo.
“Ho concesso a Belial l’arbitrio su Sodoma e Gomorra solo dopo una decisione unanime! Non sono l’unico responsabile.”
Oh, che essere ingenuo! Indebolito per l’inutile lotta e per le ferite che s’erano aperte sulle sue carni, si lasciò sopraffare; gemette e non oppose più resistenza: sarebbe stato ancora più dannoso.
“Non possiamo condannare l’intero Consiglio… E tu ne eri il rappresentate.” Funeree e subdolamente veritiere, giunsero le parole dell’angelo dai capelli d’ebano che l’osservava dall’alto.
“Ma… Gabriel…” Fu troppo fioca la sua protesta, per essere udita.
“Questo è il volere del Signore.”
Astaroth chinò il capo, digrignando i denti in preda alla frustrazione per quell’ultima affermazione.
Dalla caduta di Lucifero, il Cielo Supremo era divenuto follia pura.
Ed erano state appena generate due nuove creature, definite coloro che avrebbero portato l’equilibrio in quel momento di puro caos.
“Ho ancora diritto affinché la mia ultima parola, nello scegliere un successore, venga rispettata.” Disse allora, con la consapevolezza della sconfitta.
Gabriel s’accigliò a quella pretesa, ma non poté protestare, d’altronde Astaroth aveva dannatamente ragione.
“ E sia.” Concesse con grande fatica.
Il volto del condannato, allora, s’addolcì nel ricercare gli occhi fermi e feriti  del suo prediletto: sorrise, conscio del fatto che quella sarebbe stata l’ultima espressione che si sarebbe disegnata sulle sue labbra.
“Uriel.”

Bruciando, non gridò.
Vide il suo corpo mutare e separarsi in due entità ben distinte… Oh, sì; si scisse, plasmando involontariamente un nuovo organismo con l’energia spirituale che stava liberando.
E non poté non innamorarsi all’istante della nascitura creatura la quale, dormiente, precipitava con lui.
L’avvicinò e, avvolgendola nella furia della Caduta, si strinse a lei.
Ricercava l’affetto nel fuoco freddo che tingeva  il suo corpo di caratteri maschili… E fu proprio allora che, preda del dolore e di ultime lacrime, si fece una promessa: mai più, mai più avrebbe usato il potere delle sue dannose parole.
Sarebbe spettato tutto a quella dea dai capelli di sangue.
Astarte.”
E s’aprì l’Inferno.

La terra si sgretolava sotto i loro piedi.
Gli angeli aprivano le ali, certo, ma la corrosione consumava tutto.
E s’era sviluppata alle parole dell’immobile conte.
“Astaroth non deve più paralare!”
Il grido di Kei s’era levato assieme al doloroso coro dei suoi soldati, i quali, improvvisamente, s’erano ritrovati le carni arrossate…
“Le sue parole ed i suoi lamenti hanno distrutto la contea.”
Cominciarono a sanguinare…
Appena la corrosione era penetrata più in profondità, il sangue aveva iniziato a macchiare i volti, i corpi e gli abiti dei poveri esserini alati.
Privi di forza e, soprattutto, di coraggio, in tanti s’accasciarono al suolo friabile… Altri, invece, rimasero sospesi a mezz’aria.
E Kei?
Oh, il Guerriero volava veloce in direzione dell’altura ove Astaroth era fermo.
L’energia spirituale innalzata a protezione del volto a stento poteva combattere il potere del conte, ma almeno i suoi occhi erano al sicuro…
La cute implodeva.
Ogni lembo di pelle straziata gridava pietà.
Si consumava.
Alla lama sguainata, che appesantiva il suo povero braccio supplicante, era stato applicato lo stesso trattamento d’energia trasferito sul volto.
Le sue carni bruciavano.
Gli strati di cute più superficiali scivolavano via come sporco, rendendolo vulnerabile; ma Astaroth era vicino: poteva specchiarsi nell’opacità del volto vitreo che aveva innanzi.
Oh, quell’immobilità gli faceva pena… Ed Astarte s’aggrappava a quella triste statua con una tale gelosia, che quasi gli si stringeva il cuore.
Il sangue scorreva.
Nel puntare la lama contro il volto cereo del Conte, evitò di lasciar cadere lo sguardo sulle proprie braccia: sapeva che ormai poteva distingue fin troppo chiaramente l’apparato sottocutaneo.
Gli tremava il respiro.
Ed Astarte piangeva, soffocando le lacrime tra i lunghi capelli dell’amato.
“Sei coraggioso, Guerriero.” Bisbigliò la donna tra i singhiozzi, confondendo le gocce purpuree tra le crini.
“Ed il mio fragile signore è soddisfatto.”
“L’Ingiustizia condannò l’anima che possedevo, così come la mia sentenza aveva proclamato la fine di due città. Parole pericolose, quelle da me pronunciate…
Sono Astaroth, Conte Infernale, pronto a consumarti col veleno delle mie spine.
Astarte, la rosa mia bella, la mia Vampira, generata dalle mie membra,m’affianca.
Curami, dolce bambina, l’immobilità della condanna mi corrode dall’interno.
E tu, Angelo sbruffone, fuggi pure via… Prima che del mio pensiero muti la natura.”

“Dov’è il mio corpo..?”
Yurij era rivestito di sangue.
“Dov’è il mio corpo..?”
Si tastò l’addome, i fianchi, il petto… Il respiro mozzato lo soffocava.
Portandosi le mani davanti gli occhi, notò che le ferite al centro dei palmi sembravano guarite.
Spaventato, si toccò nuovamente i pettorali, come a voler acquisire una piena consapevolezza del proprio corpo, ma sbiancò, sentendo la consistenza di due lisci e sodi seni riempirgli le mani.
D’istinto, si portò una mano al basso ventre, sfiorando con la punta delle dita i radi e ricciuti peli pubici appena apparsi.
Le labbra del nuovo organo formatosi vibrarono dolorosamente, preda degli spasmi.
Non udì il suo grido di terrore e dolore.
Non aveva emesso suono.
E questo, probabilmente, lo spaventò ancor più dell’avvertire il proprio torace tornare piatto.
La sofferenza prese a dilaniarlo alla base del bacino
C’era freddo, nella grande stanza indefinita .
Era coperto di sangue.
Non c’erano più ali.
Non c’erano più ferite.
Ed era bagnato.

Il suolo della gabbia appariva ruvido.
Strusciava avanti e indietro con un lato del volto su di questo, succube del ritmo violento al quale accondiscendeva, immobile.
Veniva ferito da quel continuo sfregare, che graffiava la bella pelle bianca della sua guancia destra.
“Dov’è il mio corpo..?”
Soffrivano le sue ali.
Esplodeva ovunque il dolore delle ferite.
Il sospiro estasiato dell’aguzzino che stringeva le sue cosce, affondandovi gli artigli, penetrava  crudelmente l’udito dell’Angelo, riducendo in brandelli l’ultimo straccio di dignità del Guardiano.
“Dov’è… Il mio… Corpo..?”
Fredde mani, d’improvviso, si strinsero attorno alle sue vincolate, sfiorandone delicatamente gli squarci.
Fu più profondo il colpo.... Oh si, quel demone violento aveva tutta l’intenzione di spaccarlo!
Aprii stentatamente gli occhi, ed il sangue si riversò d’un colpo dalle sue labbra, assieme alla saliva e alla bile che aveva fino ad allora trattenuto.
“C-Cassiel..?”
Pronunciò tra gli ansiti, riconoscendo, attraverso le lacrime ed il sangue, il volto di quell’Arcangelo morto macchiato tra le sue braccia.
“Stia tranquillo, Signore… Finirà presto.” Disse, allora, l’umile dannato, pieno di compassione.
Accarezzava dolcemente le mani del Guardiano, tenendo basso lo sguardo sulle ferite del prigioniero: non aveva il coraggio d’alzare lo sguardo su Boris.
E, tanto meno, avrebbe potuto fermarlo.
Osservandolo, Yurij non poté non sorridere felicemente disperato, nonostante quello fosse il momento meno opportuno.
“Grazie.”
Rotto da un gemito e scosso dai tremori, s’alzò, inaspettato, quel flebile sussurro.
“Scorre in me con ferocia, frantumando ciò che resta delle mie membra.
Mi umilia, leccando via il sangue sporco di sesso che m’ha costretto a versare.
Ed io gemo e grido e non posso fare niente altro.
Ebbene, mio Dannato, continua… Continua pure.”

Fine quindicesimo capitolo.

*Riprende a respirare*
Ehm…
Yurij: è.é
Ehm…
Yurij: è_é
Lo confesso sono colpevole ç_ç!
Me l’ero detto, ridetto e stradetto, ma
Ma dopo aver perso questo schifo di capitolo per ben tre volte anche i miei saldi nervi saltano ed ho dovuto sfogare in qualche modo ç_ç!
Ho combinato un casino!

Bhé, ma tornando seri u.ù…
Yurij: … -.-
Come già anticipato, ho trattato un po’ del sesso degli angeli.
In questa storia sono, sì, esseri asessuati, ma che assumono fattezze maschili o femminili durante un atto d’amore puro (Belial e Dio), o un atto sessuale squallido (Yurij e Boris).
Boris, nascendo come demone, ha un sesso definito: è un maschio.
Gli angeli, durante la caduta, assumono la loro forma sporca (Astaroth e Lucifero, per esempio, sono maschi, ma Astaroth a sua volta ha generato Astarte, che è una donna), pur essendo immacolati.
Una volta marchiati da un Demone gli angeli non possono  restare in Paradiso, ecco perché Cassiel è caduto.
Ecco perché Yurij cadrà –con l’aggravante di un altro motivo-.
Inoltre la situazione per il nostro caro Guardiano a livello sessuale sarà particolare
Ed i motivi vi saranno chiari col procedere della storia ^^!

Grazie infinitamente a:
-Drev.
-Syb.
-Pad.
-Darky
E a tutti coloro che hanno aggiunto questa storia tra i preferiti e le seguite!
Ci sentiamo al prossimo capitolo, mi auguro lascerete un commento =).

Il Pezzo ad inizio cap è tratto dall’Apocalisse.
(*)Un pezzo della Bibbia O.ò...

   
 
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