That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Storm in Heaven - III.003
- Il Dono
Regulus Black
Diagon Alley, Londra - dom. 19 dicembre 1971
"Regulus!"
Mi voltai, appena sentii la voce imperiosa di mio padre: a pochi passi
da me, l'aria arcigna e l’andatura molto più
marziale del solito, si avvicinava rapido, cupo come una nera notte di
tempesta, intabarrato nel suo mantello scuro con i risvolti di
pelliccia, il bastone con la testa d’argento e il cappello
ben calato sugli occhi. Solo. A vederlo così, con gli occhi
foschi che sembravano lanciare fulmini, un brivido di paura mi percorse
la schiena, e scese giù fino ad annodarmi la pancia: mio
padre mi aveva detto di attenderlo nel negozio... ed io
invece... solo in quel momento mi resi conto di aver
sbagliato e che di certo mi avrebbe punito.
"Alla buon'ora, Orion! Si può
sapere che fine avevi fatto? E Sirius? Dov'è?"
Già… dov'era mio fratello? Immaginai che la mamma
gli avesse impedito di... Lei non voleva che io… gli dessi
retta. Non voleva che mi parlasse della scuola e degli ultimi mesi. Ed
io sapevo che aveva ragione, perché era davvero vergognoso
per tutti noi che lui fosse finito a… Lui,
però… lui era un guastafeste, un odioso borioso,
una sciagura. Senza contare che per colpa sua avevo preso tante
punizioni in passato che di certo non meritavo, ma... Era anche bello
giocare con lui, aveva sempre tante idee nuove per combattere la noia
dei pomeriggi opprimenti, al 12 di Grimmauld Place, e mi coinvolgeva
sempre in certe avventure che… Forse un pò mi
costava ammetterlo, ma... mi era mancato davvero tanto in quegli ultimi
mesi… perché lui… Nonostante tutti i
suoi difetti… Era mio fratello…
"Mi sembrava fossimo d'accordo...
l'appuntamento era da Madam Malkin!"
"Hai ragione, ma... siccome non arrivavi
mai e Regulus non doveva provare dei vestiti… invece che tra
pizzi e lustrini ti abbiamo atteso qui fuori, per avvantaggiarci sulla
scelta dei regali…"
Alshain, gli occhi sornioni fissi su mio padre, mi teneva ancora la
mano sulla spalla, con presa forte e sicura: sembrava deciso a non
mollarmi nemmeno ora che, con l'arrivo di papà, erano finiti
i suoi obblighi di tutore. Mio padre, di solito, partiva per primo con
la Metropolvere, poi toccava a Sirius e infine a me, sotto la
supervisione della mamma, ma quel giorno, sapendo che dall'altra parte
c'era il mio padrino ad attenderci, aveva variato la procedura
abituale. All'inizio non avevo nemmeno pensato che potesse esserci
qualcosa di sbagliato, troppo l’entusiasmo che mi aveva
scatenato l'invito di Alshain ad attendere gli altri davanti alla
vetrina di "Articoli di Prima Qualità per il Quidditch" di
mr. Jonas Casey, ma ora mi rendevo conto che, anche se ero col mio
padrino, avevo disubbidito a mio padre e un senso
d’inquietudine e terrore sembrava non volermi lasciare
più.
"Salazar! Walburga avrebbe pensato
subito a un rapimento! Di questi tempi, poi…"
"Suvvia, Orion, calmati! Mi assumo tutta
la responsabilità… Sono il suo padrino, ricordi?
E comunque non è successo nulla! Abbiamo lasciato detto
all’elfo del negozio dove potevi trovarci… ci
siamo limitati ad attraversare la strada e ci siamo fermati in un posto
ben visibile... Andiamo… Ci siamo solo fatti un'idea sui
regali di Natale, so bene che non ami perdere tempo dietro a questioni
del genere…”
Vidi l’occhiataccia che mio padre gli riservò e,
come risposta, il sorriso pieno di Alshain: era vero, se
c’era qualcosa che mandava fuori di testa mio padre era
l'indecisione, in particolare diventava una belva quando io o mio
fratello gli facevamo perdere il suo preziosissimo tempo con quelli che
lui chiamava "i nostri capricci"! Lentamente parve tranquillizzarsi,
poi, controvoglia, fece un piccolo cenno di assenso, convenendo anche
lui che era stata la decisione migliore, rimanendo però a
lungo con un’espressione indispettita, perché
amava avere sempre l’ultima parola su tutto. Almeno quando la
controparte non era mia madre.
“Torniamo a noi,
Regulus… quel set che hai visto è perfetto,
contiene tutto quello che ti servirà per tenere pulita e
perfetta la tua scopa da Quidditch! Ma… Natale non si
celebra tutti i giorni… e ora che finalmente possiamo
entrare, sono sicuro che dentro troveremo qualcosa di più
adatto all’occasione… Allora? Ti va di seguirmi?"
Stavolta, prima di rispondere di nuovo di sì, entusiasta,
guardai mio padre, per avere il suo permesso, anche se temevo che mi
dicesse di no, solo per punirmi della disubbidienza di prima, invece,
esasperato per la nuova idea di Sherton, annuì senza fare
storie, bofonchiando quello che poteva sembrare un insulto nella lingua
del Nord. Sapevo che papà non era uomo da esprimere in un
modo tanto inelegante il proprio malcontento, perciò, quando
Alshain gli sorrise con un'aria divertita e beffarda, ed io compresi
che quello era proprio un insulto bello e buono, dalla sorpresa rimasi
per qualche istante a bocca aperta, fissandoli, poi, mentre ancora
continuavano con i loro duelli verbali e non si decidevano a entrare,
tornai ad ammirare la scopa in vetrina.
"Non mi hai ancora detto che fine ha
fatto Sirius..."
"Che fine vuoi che abbia fatto! Ha
preferito restare a casa! Lo sai anche tu com’è
fatto…"
"Oh sì, certo che lo so...
per questo immagino che abbia scelto lui di restare a casa, invece di
uscire con noi!"
Attraverso il riflesso sulla vetrina, vidi Alshain riservare a
papà un'altra occhiata gelida e lui rispondere con un'alzata
di spalle, io mi morsi appena il labbro, attonito, lo sguardo che
scivolava via dalle forme armoniose della scopa da Quidditch usata dai
giocatori della Nazionale, per salire a guardare i miei stessi occhi,
cupi di delusione. Strinsi i pugni.
Quell’inutile idiota! Lo sapevo!
Lo sapevo che avrebbe rovinato tutti i miei piani: avevo insistito
tanto con nostro padre, per settimane, perché rimandasse
fino all’ultimo quella giornata di commissioni! In questo
modo saremmo usciti insieme, avremmo passato una giornata intera a
Diagon Alley, nel pieno del clima natalizio, a comprare dolci da
dividerci poi in camera sua... e invece quello stupido…
restava a poltrire a casa! Non gli interessava di me... no, non gli
interessava per niente di me... Altrimenti sarebbe uscito... nonostante
tutto… Altrimenti sarebbe sceso in tempo per cenare con me,
la sera prima... Altrimenti... non avrebbe mai permesso a quel dannato
cappello di…
"Immagino che tu abbia letto il Daily,
stamattina: stanotte c’è stato un pò di
caos qui in città e un Auror... forse ne dovremmo parlare...
"
"Abbiamo tempo stasera, per parlare di
queste cose, Orion, ora rilassati, godiamoci questa bella giornata di
sole in pace…"
"No, a casa mia, alla festa, ci
sarà... no, stasera, non si può... è
davvero importante che ne parliamo subito..."
“Io invece voglio parlarne
più tardi…”
Alshain, perentorio, lo superò di malagrazia senza
aggiungere altro, passò in mezzo a un gruppetto di ragazzini
dallo sguardo sognante che ammiravano la divisa dei giocatori della
Nazionale, nella vana speranza di commuovere i genitori e farsi
acquistare almeno la copia di un paio di guanti, e si
assicurò che lo seguissi, fino ad arrivare al
“sancta sanctorum” del negozio e trovarci faccia a
faccia col titolare. L'uomo, sui sessanta anni, radi capelli fulvi
sparati per aria e un paio di occhialini sottili e trasparenti, il
fisico asciutto e atletico di chi ha sempre condotto una vita sana e
attiva, ci accolse con un sorriso vittorioso ben sapendo che, se
già fino a quel momento aveva avuto una giornata fruttuosa
grazie alle festività e alla chiusura della scuola, l'arrivo
del mio padrino significava notizie davvero splendide per il suo conto
alla Gringott.
"Salve Jonas, vedo che è
un’ottima giornata per i tuoi affari…
perciò non ti faremo perdere tempo... siamo qui per gli
articoli di cui ti ho parlato l'altro giorno… "
L'uomo annuì e sparì dietro dei pesanti tendaggi
di broccato rosso, io mi guardavo attorno ammirato: ero stato altre
volte in quel negozio al seguito di zio Alphard o nelle rare occasioni
in cui nostro padre aveva deciso di darci ascolto. Ovunque c'erano alti
scaffali di legno antico, ovunque vetrinette illuminate da luci
azzurrine per esaltare i dettagli di scope, caschi, guanti e boccini,
ma non ero mai entrato nel settore degli articoli da collezionismo,
autentici e rari, nel quale si muoveva solo il proprietario, senza
l'ausilio di alcun elfo. Mi guardai attorno, era talmente pieno di
oggetti meravigliosi, che avrei desiderato restare a vivere
lì per sempre. La mano di Alshain sulla mia spalla
riportò la mia attenzione al tavolo di fronte a me, dove il
signor Casey, appena ritornato, aveva deposto una scatolina e ora la
stava aprendo.
“Avanti, Regulus, provali e
dimmi che ne pensi... vedrai che sono proprio della tua
misura...”
Alshain sorridente mi porse un paio di guanti di cuoio scuro, con le
cuciture argentee e le effigi del Puddlemere stampate sui dorsi, su cui
spiccava, sempre in argento, una firma: io non potevo crederci, non
erano guanti qualsiasi, erano i guanti di Terence Desmond Appleton, il
leggendario Cercatore che aveva portato alla vittoria il Puddlemere
negli anni 40 e la cui specialità era afferrare il Boccino
appena pochi minuti dopo l’inizio della partita. Gliene avevo
parlato alcune settimane prima, non avevamo nemmeno approfondito il
discorso, gli avevo detto soltanto che Appleton era il mio mito ma
Alshain doveva essersene ricordato lo stesso e ora... Li provai, con
stupore mi accorsi che mi stavano perfettamente, anche se non era
possibile.
“Come…”
“C’è un
piccolo incantesimo di adattamento, che ti permetterà di
usare i guanti fin da adesso, e li renderà compatibili alle
tue dimensioni a mano a mano che crescerai..."
“Salazar! È
bellissimo! Grazie, davvero… io…”
“Sono sicuro che ne avrai cura
e renderai loro giustizia, con il tuo impegno, Regulus… Per
tuo fratello, invece, ho ordinato questa… J.T. Manson
è il suo eroe perciò per Natale avrà
la pluffa autografata con la quale ha atterrato il Cercatore dei
Tornados, vincendo il campionato, due anni fa… Tanto dubito
che, pigro com’è, gli articoli di vestiario
sportivo gli serviranno mai a qualcosa…”
Avevo notato che aveva lanciato uno sguardo irridente a papà
quando aveva definito Sirius pigro, ma a me ormai non importava
più niente, di nessuno, tutto lanciato com'ero nelle mie
fantasie: già immaginavo l’invidia che avrebbero
provato tutti quando avessero visto il mio nuovo regalo! Non solo...
ero più che certo che, appena avessi avuto l'età
per entrare in squadra, a Serpeverde, avrei portato alla vittoria la
mia Casa, proprio indossando quei guanti...
I guanti di una leggenda…
“E ora… prima di
andare… eccolo! Ti ringrazio Jonas, so che di solito non fai
uscire l'originale dalla Gringott, per questo volevo che ci fosse anche
Sirius… beh… sarà per un'altra
volta... Guarda Regulus: il Boccino di cui ti ho parlato tanto... La
sua superficie è solcata dalle firme di tutti i Cercatori
della Nazionale, dall'inizio dei campionati mondiali... puoi toccarlo e
ammirarlo... Immagina... immagina il giorno in cui ci sarà
anche la tua firma, su questo Boccino d'oro!"
Guardai mio padre che annuì, lo presi in mano, sentii forte
la vibrazione trasmessa dalla superficie quasi completamente increspata
da sottili firme dorate: non si vedevano bene quei nomi, almeno non
senza praticare un incantesimo “Engorgio” sul
Boccino, ma sembrava di sentirli sussurrare, tutti quanti, uno dopo
l'altro. Nomi pieni di leggenda, di onore e di gloria... più
di ogni altra cosa, avrei voluto che anche il mio, un giorno, fosse
pronunciato insieme con quello di così tanti campioni, avrei
desiderato essere ammirato per le mie imprese, diventare immortale,
proprio com’era accaduto a tutti loro. Certo, in quanto
Black, la mia persona avrebbe comunque suscitato invidia nel prossimo,
ma per la prima volta, immaginai quanto potesse essere ancor
più meraviglioso suscitare l'ammirazione per qualcosa che
fosse soltanto mio, per me stesso e per le mie qualità. Per
la mia bravura. Come diceva mia madre, anch’io un giorno
avrei dovuto contribuire a tenere alto il nome dei “Toujours
Pur” con le mie scelte: di colpo immaginai che, se mi fossi
impegnato con tutte le mie forze, il Quidditch poteva diventare
più di un semplice gioco, per me. Poteva diventare la mia
strada, la mia vita, il mio contributo alla leggenda della mia
famiglia.
*
"Allora ragazzo mio, immagino quanto
sarai emozionato... Ormai manca poco più di un
giorno…"
Appena usciti dal Ghirigoro, immersi, per strada, nella folla
frettolosa, eravamo tutti intorno a Mirzam, cui mio padre continuava a
stringere la mano e far complimenti su complimenti. Per gli Sherton,
Orion Arcturus Black non era un padrino aperto e pieno
d’iniziative come Alshain lo era per me e mio fratello, ma
era comunque evidente quanto, dietro quella corazza di disinteresse che
riservava al resto del mondo, li avesse a cuore. Con una punta di
amarezza a volte arrivavo alla conclusione che tenesse più a
loro che a noi, i suoi stessi figli, allora ricordavo le parole della
mamma, che mi diceva sempre che da un vero Black ci si aspetta anche
questo, un atteggiamento distaccato e impassibile, perché i
sentimenti sono un segno di debolezza e non ci si può
mostrare deboli agli altri, nemmeno se gli altri sono la nostra stessa
famiglia. Cercavo sempre di seppellire nel profondo
dell’anima quelle parole, perché, pur
riconoscendole giuste, mi mettevano tanta tristezza: dopo aver visto a
Herrengton la vita quotidiana degli Sherton e il rapporto che
c’era tra loro, a volte, tra me e me, mi chiedevo se
mostrarsi forti fosse sempre la cosa più importante. Usciti
dal negozio di mr. Casey, avevamo incontrato Rigel, sfuggito da
“Madame O” con lo stesso entusiasmo di un evaso da
Azkaban, perché sua madre aveva imposto a lui e a Meissa la
prova vestiti, necessari alla cerimonia e alle mondanità dei
giorni seguenti, ma lui considerava tutto questo solo una perdita di
tempo. Dopo una breve ramanzina di Alshain, interrotta un paio di volte
dai commenti ironici di mio padre, avevamo fatto rotta al Ghirigoro,
per comprare alcuni libri che Alshain voleva regalare a moglie e figli;
qui, mentre mi avventuravo con Rigel nel reparto dedicato alle leggende
del Quidditch, avevo assistito a un episodio singolare: il giovane
Sherton aveva salutato un ragazzino poco più grande di me,
mingherlino e nervoso, con un cipiglio poco amichevole stampato in
faccia, il naso grosso e incurvato, la vocetta strascicata e degli
allucinanti capelli unticci. Mi ero fermato e voltato subito, fingendo
di non essermi accorto di nulla, spaventato dalla
possibilità che Rigel mi chiamasse e mi costringesse a
salutare e a presentarmi a quel “soggetto”, poi
appena mi sentii al sicuro, appostato per bene tra gli scaffali,
studiai da lontano la situazione, avendo cura che non si accorgessero
che li stavo spiando, iniziai a prendere via via libri diversi, fingevo
di sfogliarli, in realtà, con la coda dell'occhio, seguivo
la scena e facevo le mie congetture. Quando, alla fine, Rigel si era
allontanato, avevo visto che il ragazzino era stato avvicinato da una
donna sciatta, dai lunghi capelli neri altrettanto unticci e la pelle
giallognola, con un'aria arcigna che non aveva nulla da invidiare a
quella di mio padre nei momenti migliori, la quale l'aveva trascinato
via, senza troppe cerimonie, appena si era accorta della presenza di
Alshain, cui il ragazzino non aveva mai staccato gli occhi da dosso.
Tutto questo era molto strano e inspiegabile, non vedevo che relazione
potesse esserci tra certa gentaglia e i miei amici, poi
però, pur incuriosito, immaginando che cosa avrebbe detto la
mamma di quelle persone, non mi curai oltre di loro e riemersi dagli
scaffali, prima che mio padre si accorgesse che gli ero sfuggito di
nuovo.
Usciti dal negozio, avevamo incontrato Mirzam, di ritorno dalla
Gringott, in compagnia del marito di mia cugina, Rodolphus Lestrange:
continuavo a trovarlo un personaggio losco e minaccioso,
benché ormai fosse una presenza piuttosto abituale per me,
infatti, da quando si erano sposati, Bella era venuta a farci visita a
Grimmauld Place sempre e soltanto in compagnia di quel bellimbusto.
All’inizio, prima che mio fratello partisse per la scuola,
quei fugaci incontri erano stati motivo di noia, certo, ma anche fonte
dei nostri siparietti, perché nessuno di noi due poteva
sopportarlo e Sirius era bravissimo a scimmiottarlo, lo chiamava
quell’“inutile, pomposo, stupido, pallone
gonfiato” e lo imitava nel modo di camminare e di parlare,
strappandomi tante risate. Ora però che ero da solo, mi
restava solo la sensazione spaventosa che sapesse leggermi nel
pensiero, perché ogni volta che incrociavamo lo sguardo, mi
fissava a lungo, poi mi sorrideva beffardo ed io, se non fosse stato
sconveniente, sarei volentieri scappato via, il più
possibile lontano da lui. Cercai di reprimere i brividi e mi concentrai
su Mirzam, non capivo come potesse frequentare un personaggio simile,
lui sembrava così diverso! Avevo visto diverse sue partite
nelle ultime settimane, era proprio bravo, e non ero solo io a dirlo,
inoltre, benché non fosse un tipo espansivo quanto suo
fratello, era sempre simpatico e gentile nei miei confronti. Quel
giorno però era distratto e molto nervoso: non gli piaceva
attirare troppa attenzione su di sé, lontano dai campi da
Quidditch, lo sapevo, ma sembrava addirittura preoccupato e sulle
spine, come se volesse piantarci tutti il prima possibile e fuggire.
Mentre mio padre gli faceva i complimenti, Rodolphus lo osservava
divertito, e Alshain e Rigel facevano battute, lui sembrava assente,
forse vittima dell'emozione, forse preso da qualche dubbio: a casa
avevo sentito la mamma dire più volte che stava commettendo
un errore, che un vero Sherton non si sarebbe fatto trattare a quel
modo da una ragazzetta qualsiasi, che quella Strega non era all'altezza
della loro famiglia, come a suo tempo non lo era Deidra. Mio padre, di
solito, a quel punto, chiudeva la discussione, con una serie di
colpetti di tosse secchi e risentiti e mia madre, indispettita per
l’interruzione, lo guardava male poi mi spediva a letto. Io
non capivo quei discorsi: a me Deidra piaceva, e molto, e Mirzam non mi
sembrava il tipo che si lascia convincere a fare qualcosa contro la
propria volontà. D’altra parte per lui, quelli
sarebbero stati giorni da passare interamente sotto il riflettore:
già quella sera, in qualità di padrino, mio padre
aveva organizzato per lui una cena a Grimmauld Place a cui aveva
invitato tutti i nostri parenti e gli amici comuni. Mia madre era in
ansia da giorni, tutta presa nei preparativi e, come al solito, a farne
le spese erano gli Elfi, incapaci a suo dire di combinare qualcosa di
buono, anche se a dire il vero, era lei che cambiava continuamente idea
e gli Elfi, Kreacher in testa, si ammattivano per starle dietro. A
poche ore dalla festa, non avevo idea di come sarebbe stata decorata la
nostra casa, né quale sarebbe stato il menù della
sera, solo di una cosa ero certo: a metà della festa, di
fronte a tutti, mio padre avrebbe consegnato al suo figlioccio, come
dono di nozze, una coppia di collane, due talismani rituali, fatti
realizzare apposta da messer Yuket, il Folletto da cui si servivano da
generazioni gli Sherton, usando una lega di platino, oro bianco e
argento del Nord, in cui erano incastonate diverse gemme dalle
proprietà magiche, distribuite attorno al classico smeraldo
slytherin, così da infondere a quei gioielli un forte potere
curativo. Non sapevo per quale motivo avesse commissionato quegli
oggetti tanto particolari, quando esistevano decine e decine di
reliquie Black d’inestimabile valore e indiscusso potere, che
da sempre erano donate in segno di amicizia e alleanza, in occasioni
simili, a esponenti di famiglie amiche. Da quando era stato annunciato
quello strano “fidanzamento”, mio padre sembrava
invece deciso a sorprendere tutti, persino Alshain: aveva condotto
approfondite ricerche, studiato fin nei minimi dettagli le tradizioni
più antiche del Nord, alcune delle quali, perse nella notte
dei tempi, erano ormai sconosciute persino alla maggior parte dei Maghi
della Confraternita. E alla fine i suoi sforzi erano stati ripagati,
quando aveva scoperto le proprietà di questi particolari
talismani, e le procedure per crearli: una volta, poche settimane
prima, mi aveva portato da Yuket per farmeli vedere, a lavorazione
quasi ultimata, e pur mancando ancora le pietre più
preziose, erano già i gioielli più belli che
avessi mai visto. All’improvviso, sul volto di Alshain, si
stampò un bel sorriso che attirò rapidamente
l’attenzione di tutti noi sull’oggetto del suo
interesse: appena vidi Meissa, i capelli raccolti in una treccia
corvina e stretta nel suo cappotto bianco, che si avvicinava al fianco
di sua madre, diventai rubino e fui preso da una specie di panico,
perché, già la sera precedente mi ero
già ammutolito di colpo, vedendola, ma almeno c'era
abbastanza buio da coprire il mio colorito imbarazzato, ora invece non
avevo via di scampo. Il fatto che Lestrange mi stesse guardando e
sembrasse intuire tutto quello che mi passava per la testa, peggiorava
ulteriormente la situazione. Mei, al contrario, parve non interessarsi
delle attenzioni non richieste di Lestrange e, dopo i rapidi saluti
rivolti agli adulti, si avvicinò a me sorridente, mi prese
per mano e iniziò a parlarmi a raffica, per sapere il
più possibile di quei tre mesi passati lontano. Cercai di
ritrovare rapidamente l'uso della parola, anche se era difficile dovevo
farlo, non volevo che si accorgesse che ero ancora cotto di lei come
durante l’estate, né che mi avesse rattristato
vederla tanto delusa per l’assenza di mio fratello.
“Prima di tornare a casa,
ragazzi, faremo un salto anche da “Dulcitus”!
È stato un piacere rivederti, Rodolphus, spero di avere modo
di parlarti, stasera, a Grimmauld Place…”
Alshain gli diede la mano, Rodolphus lo salutò con i soliti
modi pomposi e irritanti, poi in compagnia di un Mirzam particolarmente
restio, scivolò furtivo tra la folla, diretti ai vicoli che
portavano a Nocturne Alley, una zona malfamata in cui di solito si
facevano acquisti al limite della legge. A volte, c’ero stato
anch'io con mio padre, che periodicamente si avventurava
laggiù per acquistare alcuni ingredienti per le sue pozioni,
che altrove non erano in commercio: la prima volta che mi aveva portato
nel negozio di Burgin, quasi quattro anni prima, vedendo degli oggetti
che credevo esistessero solo nei miei incubi peggiori, avevo trattenuto
a stento un grido di terrore, e da quel giorno mi ero sempre chiesto
che tipo di pozioni preparasse mio padre nello scantinato. Da Dulcitus,
mentre gli adulti ordinavano delle ricche confezioni di dolciumi e le
facevano impacchettare in bellissime scatole o in carte da regalo,
Rigel, Meissa ed io andammo in perlustrazione, decisi a dar fondo a
tutti i nostri averi: a Herrengton, Rigel mi era sempre apparso un
ragazzino adulto, interessante proprio perché pieno di
esperienza, non mi ero mai reso conto che fosse poco più di
un bambino, più grande di me di appena tre anni, ma in quel
negozio, rapidamente, la realtà mi fu chiara, tanto era
estasiato nello scoprire e assaggiare quelle squisitezze. Anche
così, però, era bello avere uno come lui a farci
da guida: mi fece provare delle specialità di cui ignoravo
persino l’esistenza e che invece lui aveva già
apprezzato a Mielandia, il negozio leggendario, il sogno di ogni
giovane Mago o Strega, il vero motivo per cui ogni ragazzino dotato di
magia desiderasse visitare Hogsmeade.
“Assaggia queste Renne di
Zucchero, Reg: sono squisite… Sirius se le ha fatte comprare
a Mielandia un paio di settimane fa, da mio fratello… e me
ne ha regalate alcune, per me sono buonissime…”
Lo disse con un tono che apparve disgustosamente dolce alle mie
orecchie, anche se magari non era vero, e, da quel momento, decisi che
avrei odiato per l’eternità le Renne di Zucchero!
No, non era giusto! Io ero costretto a casa, ad annoiarmi con
quell’odioso precettore, e loro due potevano stare insieme,
vedersi, parlarsi, giocare, scambiarsi quelle stupide Renne! Persino
stando in due Case diverse!
“Allora? Che hai? Non dirmi
che non ti piacciono le Renne?”
“No, è che...
io… io preferisco… quelle di
cioccolata… sempre che quel tipo laggiù riesca a
lasciarne qualcuna anche agli altri!”
Indispettito e nervoso, deciso a sfogare il mio malumore su qualcuno,
le feci un cenno, verso un ragazzino paffuto, sicuramente Mezzosangue,
dai capelli simili a fili di paglia, gli occhi acquosi, con due enormi
baffi di cioccolata ai lati della bocca, per la disperazione della
madre, che cercava inutilmente, a colpi di bacchetta, di togliere
macchie di cioccolato che saltavano fuori da ogni parte, sul cappotto,
sui guanti, sul cravattino, persino sul berretto di
quell’imbranato. Meissa, però, non fece
l’espressione divertita e disgustata che immaginavo, anzi,
con mio estremo sconcerto, la vidi alzare la mano e salutare quel buffo
individuo, il quale, vedendola, con gli occhi spaventati tipici di un
topo beccato nel formaggio, divenne rosso fuoco e riuscì
giusto a squittire un patetico “ciao”, prima di
scappare a nascondersi dietro la forma inconfondibilmente babbana e
corpulenta di suo padre.
“Non vorrai dirmi che conosci
quel tipo?”
Meissa annuì, senza alcuna espressione ironica in faccia,
anzi, dal tono di voce che usò, fu subito chiaro che non mi
avrebbe sostenuto se lo avessi preso in giro per il suo Stato di
Sangue. Ero a dir poco perplesso.
“Si chiama Peter, Peter
Pettigrew... frequenta il primo anno, come me, e sta a
Grifondoro…”
“A Grifondoro? Non vorrai dire
che… Con Sirius? Con mio fratello?”
Vederla annuire fu come prendere una violenta bacchettata sulle mani:
di colpo misi a fuoco la realtà, capii quanta ragione avesse
la mamma nel disperarsi per le sorti di mio fratello, perché
solo in quel momento mi fu palese quale orrendo rischio corresse
frequentando quel postaccio. Dovevo parlargli, dovevo assicurarmi che
ascoltasse la mamma, che non desse confidenza a nessuno, che
frequentasse solo i nostri amici Serpeverde e nostra cugina Narcissa.
Quel Cappello pazzo l'aveva sbattuto lì, di sicuro per
dispetto o per errore, e ormai non potevamo farci niente, ma era nostro
compito aiutarlo, io dovevo aiutarlo, perché Sirius non
doveva sentirsi solo, e non doveva dimenticare mai chi fosse... Sirius
era e sarebbe sempre stato un Black. Sirius era e sarebbe sempre stato
mio fratello.
***
Mirzam Sherton
Nocturne Alley, Londra - dom. 19 dicembre 1971
“Sono piacevolmente sorpreso,
lo ammetto... Avevo quasi perso la speranza, e invece... Eccoci
finalmente qua... ”
Milord era in piedi, di fronte alla finestra, lo sguardo perso da
qualche parte nel paesaggio circostante, Rodolphus ed io eravamo alle
sue spalle, in piedi, a capo chino, pronti a ricevere ulteriori ordini,
o, almeno nel mio caso, una punizione. Dovevamo fare il resoconto della
notte appena trascorsa, ammettere che la ricerca non aveva dato i
frutti sperati, anzi, la missione era stata priva di senso e noi
c’eravamo salvati per il rotto della cuffia:
l’unica cosa buona, almeno dal punto di vista di Rodolphus e
di Milord, era che un Auror era rimasto ucciso, altri due, quelli che
avevamo incontrato all’inizio, era come se lo fossero e molti
altri erano stati feriti più o meno gravemente.
“È stato solo un
incidente, mio Signore… quell'uomo è caduto
durante la lotta, io… io non l'ho gettato di sotto
volontariamente… è stato… è
stato solo un tragico incidente.”
“Provvidenziale! Volevi dire
provvidenziale, vero Mirzam Sherton? Perché è
così che lo definirei io, se fossi in te...
Provvidenziale…”
Milord mi fissò, io mi ammutolii di colpo, non sapevo come
giustificare con lui i miei pensieri.
“Quanto è accaduto
questa notte ha semplificato di molto la tua vita e, in un certo senso,
anche la mia. Non mi piace avere delle preoccupazioni, non mi piacciono
le sfumature, il grigio, mi piace il bianco e mi piace il nero,
soprattutto quest’ultimo… ciò che non
tollero è l’imperfezione, l’incertezza,
il dubbio… ed io ne avevo molti su di te, di dubbi, lo sai,
Mirzam Sherton? Perciò ora rilassati... Non sei di fronte al
Wizengamot, non devi nascondere le tue capacità e svilire le
tue imprese, al contrario, è giusto esaltarle,
felicitarsene… Perché d’ora in poi
sarà tutto più semplice... te lo
prometto… dopo la prima volta... tutto è
più semplice… dico bene Rodolphus?”
Rodolphus al mio fianco ghignò appena, mentre io non
riuscivo a tenere fisso lo sguardo in un solo punto: continuavo a
guardarmi attorno, come una bestia in gabbia, volevo trovarmi lontano
da lì, all’aperto, libero, non in quella stanza
soffocante e spaventosa. L’appuntamento non era stato fissato
in un luogo protetto, ma a Nocturne Alley, nel locale di un amico
compiacente. Per la precisione, nel luogo che, ai miei occhi, era il
meno adatto a un incontro del genere: eravamo proprio nella stanza in
cui… ero già stato in quella stessa stanza, meno
di dodici ore prima… mi ero calato da quella finestra ed ero
scappato attraverso i tetti che Milord ora stava
osservando. La situazione però, ora, era
completamente diversa. Ora, la luce piena del mattino entrava dalla
finestra e rendeva le linee nette, le rendeva meno pericolose, le
rendeva comprensibili: non c’erano ombre in cui i fantasmi e
i tormenti potevano nascondersi e prenderti alle spalle, era tutto
chiaro, semplice, nitido… soleggiato. Le ombre continuavano
a esistere, esistevano eccome: ma erano tutte dentro di me, non
più intorno a me… Tutto era diverso... io ero
diverso. Non potevo ancora crederci. Col passare delle ore, a mano a
mano che l'adrenalina aveva finito d pomparmi violenta nelle vene e la
lucidità si era fatta largo in me, mi rendevo conto di
quanto era accaduto... finora ero sempre stato abile a tirarmi indietro
o abbastanza fortunato da riuscirci. Non stavolta… No, non
stavolta. Stavolta le mie azioni avevano prodotto effetti
irreversibili, per colpa mia, anche se non per mia volontà,
una famiglia che nemmeno conoscevo aveva perso una persona cara e per
quanto cercassi di dirmi che non l’avevo fatto apposta, che
mi ero solo difeso, che avevo provato ad attutire la caduta, che se non
si fosse sbilanciato come invece aveva fatto... La colpa era soltanto
mia. Milord si voltò di nuovo, di colpo, fissandomi addosso
occhi color del sangue e dell’inferno.
“La tua faccia contrita non si
addice al momento, Mirzam Sherton… né si adatta
al tuo matrimonio… Tra poche ore devi sposarti, no? E in
circostanze del genere si fanno dei regali, dico bene Rodolphus?
Perciò dovrei darti anch’io il mio
regalo… solo che... devo trovare un regalo nuovo, diverso,
adatto alla situazione… Rodolphus avrebbe dovuto darti
ciò che tiene in mano, oggi, da parte mia, come dono di
nozze... ma mi rendo conto che non è più il dono
adatto a te…”
Guardai Rodolphus avvicinarsi con il braccio teso verso di me, guardai
la sua mano guantata aprirsi, guardai l'oggetto che stava al centro del
suo palmo... il cuore perse un colpo e la mente si annebbiò
di nuovo.
No, non è possibile… Come diavolo ha...
Li fissai, prima l'uno poi l'altro, atterrito, violenta la
consapevolezza che dovevo fuggire, che era finita, che non avevo
scampo...
“Conosci questa moneta, vero,
Mirzam Sherton? So che la consoci, so che conosci i suoi significati,
la sua storia... Lo leggo dal terrore nei tuoi
occhi… No, non temere, non è più
destinata a te... Mi hai dimostrato la tua fedeltà stanotte
e sono sicuro che d’ora innanzi non avrai mai più
dubbi su te stesso, sulla nostra causa, sulla nostra amicizia... Ora
stai solo pensando... che cosa ci fa qui? L'ultima volta che l'ho vista
era a casa mia, al sicuro, nel suo sacchetto, insieme a tutte le altre
665... Anzi no… Scusami… hai ragione: sono solo
663 ora, compresa questa, adesso. Le altre 3, quelle mancanti sono
sotto sequestro, al Ministero, nell’Ufficio Misteri, in mano
a qualche Indicibile, dopo essere state rinvenute tra i resti del rogo
di casa Leach, qualche anno fa...”
Presi la moneta di Giuda senza toccarla direttamente, ma con un
fazzoletto, come avevo visto fare a Burgin, senza riuscire a capire che
cosa stesse accadendo: avevo rubato oltre tre anni prima quelle monete
introducendomi di soppiatto nel negozio di Burgin, mentre provavo quel
dannato armadio svanitore che Rodolphus mi aveva chiesto di cercare...
Avevo approfittato per muovermi nella notte, insospettabile, avevo
appiccato l'incendio a casa del Ministro, solo per fargliela pagare per
le sue leggi ai danni della Confraternita... volevo solo spaventarlo,
per questo avevo lasciato tre di quelle oscene monete... Quando avevo
finito la scuola avevo portato le monete via dalla Stanza delle
Necessità dove le avevo nascoste, per custodirle a casa, a
Inverness, una cosa del genere non poteva certo essere depositata alla
Gringott. Le avevo protette con numerosi incantesimi e avevo finito col
dimenticarmi di loro… E adesso… non capivo come
fosse riuscito a impossessarsene.
“Dovresti custodire meglio i
tuoi segreti, Mirzam Sherton! Dovresti curare
l'inviolabilità della tua dimora almeno quanto curi quella
della tua mente... perché ora nella tua casa custodirai
tesori ben più preziosi di queste monete fasulle…
una moglie e presto… dei figli…”
I suoi occhi sembravano fiammeggiare, sentii il terrore stringermi il
cuore fino a farlo scoppiare... lo sapevo che non sarebbe servito a
niente uccidere un uomo, e infatti non era servito assolutamente a
niente.
“Sei stato abile sai? Per anni
non ho mai avuto alcun sospetto su di te! Sei da ammirare, per la tua
iniziativa, per il tuo sprezzo del pericolo, per l’assoluta
capacità di non commettere errori… a parte
l’ultimo, s’intende… Recentemente sei
diventato molto meno accorto, forse hai troppi pensieri, o è
l’eccesso di sicurezza che ti rende così
incauto? Che cosa c’è che ti fa
sottovalutare tanto i tuoi nemici?”
“Io non capsico di cosa state
parlando, mio Signore… Io non ho
nemici…”
“Non ha nemici… Hai
sentito Rodolphus? Questo è ciò che si chiama
ingenuità… o sarebbe meglio dire…
follia? Se vuoi un consiglio, Mirzam Sherton, guardarti le spalle: non
c’è nulla di più pericoloso di una
strega ingannata…”
Rodolphus scambiò uno sguardo complice con Milord, poi con
me, sapevamo benissimo di chi si stava parlando, anche se ancora non
riuscivo a capire quando e come avesse fatto Bellatrix a scoprirmi.
“Perché hai deciso
di precluderci l'accesso a Hogwarts? Perché dopo aver
trovato e sperimentato l’armadio l’hai reso
inutilizzabile? Sapevi quanto era importante per noi entrare nella
scuola...”
“Io non ho…
è stato un errore, mio Signore, uno stupido
errore… Mi era stato chiesto di trovarlo, ma io…
io volevo compiacervi, mio Signore, volevo fare di più,
renderlo pronto all’utilizzo, provarlo su me stesso io,
così che né voi né…
rischiaste nei tentativi… ma... ho commesso un errore,
Milord, credo di averlo danneggiato in qualche modo e... io... io ho
avuto paura del vostro castigo mio Signore… e non ho detto
niente... ho... sempre finto con Rodolphus di non averlo nemmeno
trovato…”
“E ora dove si
trova?”
“Quando ho lasciato Hogwarts,
era ancora nella Stanza delle Necessità: non ho idea di dove
si trovi adesso, era considerato da tutti un semplice armadio
rotto…”
Milord tornò a guardare fuori, le mani strette a pugno e gli
occhi fiammeggianti che percorrevano il cielo e i tetti sotto di noi.
“Chiedi a Rabastan di
controllare, Rodolphus… ma non dirgli più del
necessario… non voglio altre iniziative
personali… ho bisogno di quella dannata spada… La
voglio! Il più presto possibile!”
“Sarà fatto , mio
Signore… Mio fratello Rabastan sarà onorato e
felice di potervi servire…”
“Devi istruirlo a dovere prima
del suo ritorno a Hogwarts… non voglio altre perdite di
tempo… puoi andare… quanto a te… tu
no, Sherton… Mi dispiace che avvenga proprio ora,
ma… devi pagare in qualche modo per questo disdicevole
inconveniente…”
Annuii, vidi Rodolphus lanciarmi uno sguardo partecipe: per la prima
volta mi chiesi se era mai stato punito, e nel caso, come facesse uno
come lui ad accettare una cosa del genere, come poteva un Lestrange
come lui, piegarsi a quel modo a un… No, dovevo trattenermi
da certi pensieri, dovevo concentrarmi e liberare la mente da tutto
quello che era pericoloso per me e i miei cari. Le rune rendevano forti
rispetto al dolore, ma non conoscevo ancora la violenza e la ferocia di
Milord, almeno non sulla mia pelle, non potevo sapere quanto si sarebbe
spinto oltre, non sapevo se sarei stato capace di difendermi dal suo
Legilimens, mentre mi torturava. Appena la porta si richiuse dietro di
lui, alzai appena lo sguardo sulla figura nera che occupava tutto il
mio campo visivo e incombeva su di me.
“È spiacevole
iniziare in questo modo la nuova fase della nostra amicizia, non credi,
Mirzam Sherton?”
“Lo merito, mio
signore…”
Chinai lo sguardo, cercando di fingere al massimo la mia devozione e il
mio dispiacere, in realtà era accettazione,
perché mi era stato insegnato che il dolore fisico diventa
più facilmente sostenibile se la mente ha il tempo, prima,
di considerarlo giusto, accettabile, se riesce a motivarlo,
giustificarlo…
“Conosco la vostra
abilità nel resistere al dolore, Sherton, e ora non ho tempo
per verificare quanto sono vere certe dicerie su di voi…
Inoltre non ho intenzione di punirti per un’azione avvenuta
tanto tempo fa: sarà la mia clemenza, il mio dono per te,
per la tua nuova vita… Ma mi dimostrerai la tua riconoscenza
tra alcune settimane a Little Hangleton: la luna sarà piena
il 30 gennaio e la notte successiva celebreremo Imbolc…
insieme… rendi sacro quel giorno per me, Sherton…
ed io ti accoglierò nella mia famiglia, stendendo la mia
protezione su tutto ciò cui tieni… Ti ho
già detto che abbiamo molto da dare l’uno
all’altro… molto… Mirzam
Sherton…”
“Sì, mio
Signore… vi ringrazio per la vostra clemenza,
e…”
“Molto bene… Ti
auguro una lunga e felice vita insieme alla tua Sile… So che
t’impegnerai in ogni modo per trasformare i tuoi sogni in
realtà…”
Si smaterializzò davanti ai miei occhi, senza aggiungere
altro. Mi ci volle qualche secondo per riprendermi, per capire che era
finita, almeno per il momento, che per stavolta me l’ero
cavata con poco, anche se le sue parole erano cariche di spaventose
minacce. Dovevo verificare se mi aveva reso le monete e trovare un modo
per disfarmene e soprattutto dovevo assolutamente affrettarmi a mettere
in atto i miei piani. Dovevo agire quella sera stessa, non potevo
aspettare il ricevimento a Herrengton. Dovevo avvicinare Sirius e
pregare che tutto andasse al proprio posto.
***
Sirius Black
12, Grimmauld Place, Londra - dom. 19 dicembre 1971
“Padrone ha atteso alle 19 in
punto, seggnore…”
Alzai gli occhi su quell’odioso Elfo che mi guardava
disgustato: di certo, per aver messo al collo un cravattino rosso-oro,
agli occhi della sua adorata padrona ero scivolato a un livello
addirittura inferiore al suo, e questo nella sua piccola mente bacata
lo autorizzava a mancarmi di rispetto, fissandomi in quel modo che mi
pareva tanto provocatorio. Ma tanto, a me, non importava più
niente di nessuno, tantomeno di lui. Mi tirai su dal letto, indolente,
la giornata alla fine era scivolata via ed io avevo avuto modo di
ragionare: non era la prima volta che dovevo passare il mio tempo in
totale silenzio, ma non era ancora capitato mai che ad accompagnarmi
fossero dei pensieri tanto spaventosi e opprimenti. Avevo riflettuto
sulle parole di mio padre, sulla sua teoria secondo la quale un Anello
del Nord, nelle mie mani, le mani di Grifondoro, potesse costituire un
problema per Alshain presso gli altri Maghi della Confraternita, ma i
suggerimenti che mi aveva dato, su come restituirlo, di nascosto, a suo
figlio, mi lasciavano piuttosto perplesso. Mi aveva anche detto che per
nessun motivo dovevo farmi avvicinare o restare da solo con il marito
di Bellatrix o con Bella stessa, e da questo avevo capito che
probabilmente eravamo stati scoperti. Ero sempre stato curioso per
quella storia, continuavo a chiedermi perché
quell’anello fosse tanto importante per Alshain, e
soprattutto, che fine avesse fatto dopo che glielo avevo riconsegnato.
Sapevo però che non avrei mai avuto risposta e iniziavo a
pensare che forse fosse meglio così. Avevo già
sentito rientrare papà e Regulus, da circa un paio
d’ore, avrei desiderato uscire dalla mia camera per bussare
alla porta di mio fratello, parlare con lui, chiedergli
com’era Diagon Alley e altre stupidaggini, ma mia madre aveva
deciso di decorare per la festa persino l’ultimo piano e
aveva voluto seguire personalmente i lavori degli Elfi sul nostro
pianerottolo: di fatto, aveva trovato un altro modo per tenermi
prigioniero in camera mia. Alla fine avevo deciso di non rischiare, con
un po’ di accortezza e altrettanta fortuna, avrei provato ad
avvicinarlo durante la festa: fino al mio arrivo, la sera prima, avevo
persino dei bei regali da dargli, per Yule o Natale che dir si voglia,
ma mia madre aveva fatto buttar via tutto, così ora non mi
restava niente. Per fortuna mio padre era riuscito a salvare almeno i
miei libri, i miei quaderni e parte dei miei vestiti, sostenendo che
non fosse il caso di “…sprecare su quello
lì anche degli altri soldi... ”. Ero rimasto a dir
poco sconcertato. Mia madre non voleva oggetti provenienti dalla torre
di Grifondoro, ma riguardo ai miei regali per Regulus, aveva sbagliato
di grosso, visto che arrivavano niente meno che da un favore che avevo
chiesto a Rigel Sherton: l’avevo pregato un paio di settimane
prima di fare acquisti per me a Hogsmeade e lui mi aveva procurato una
pipa per mio padre, un paio di orecchini per la mamma e per Regulus,
dei dolci di zucchero a forma di renna e delle piume speciali, che gli
sarebbero servite appena avesse messo piede a scuola… Ora mi
chiedevo se sarei riuscito a spedirgli almeno il mio regalo di
compleanno, l’avevo già ordinato e avevo speso
metà delle mie fortune per far contento quella
piattola… Forse era meglio chiedere ad Alshain di farglielo
avere da parte mia…
Rattristato, avevo passato tutta la giornata a scavare tra le mie cose
per cercare un oggetto che per me contasse molto e che mi facesse male
dar via ma, appunto per questo, avrebbe avuto un valore particolare
anche per mio fratello: alla fine avevo deciso che gli avrei regalato
la bella scacchiera che zio Alphard mi aveva portato da un suo viaggio
in India, fatta di legno di cedro e tessere d’osso. Avevamo
litigato diverse volte per quella scacchiera, in passato, e ora era
giunta l’occasione per non farla marcire nella mia cassapanca
abbandonata e contemporaneamente farlo contento. Richiusi la scatola
delle foto che avevo ammirato tutto il pomeriggio, avevo ritrovato la
foto di Regulus me e mio padre a Zennor, che Regulus avevo lasciato in
camera mia quando si era trasferito nell’altra stanza.
L’avevo staccata dalla cornice e l’avevo messa
dentro la scacchiera, volevo che la tenesse lui, perché era
stato lui a trovarla tra le tante e volerla sempre tenere in bella
mostra sulla scrivania. Era giusto che in mezza alla bufera che si era
abbattuta su di noi, mio fratello avesse un ricordo di ciò
che eravamo stati, e di quello che avremmo potuto essere ancora: di una
cosa ero certo, non avrei rinunciato a lui tanto facilmente, su questo
mia madre si stava sbagliando di grosso. Con un sospiro mi alzai, poi
mi lavai e mi rivestii di tutto punto, appuntando però nel
taschino interno della giacca, la spilla da Grifone: mia madre mi aveva
fatto un’ispezione completa e aveva sequestrato tutto, ma
chissà come, quella spilletta le era sfuggita. Per me quel
fatto equivaleva a un segno: evidentemente era doveroso che io la
portassi persino al cospetto dei Black, quella sera. Anche se nessuno
l’avrebbe vista, non ero ancora così coraggioso da
provarci, mi faceva sentire meno solo, mi faceva sentire i miei amici
accanto a me, mi faceva sentire accanto la mia vera famiglia.
*
Grimmauld
Place, quella sera, era bellissima. Sì, non c'erano altre
parole per descriverla: era persino più bella, colorata e
allegra, di come mi era apparsa il giorno del compleanno di Regulus, e
allestita addirittura più sontuosamente che per qualsiasi
altra festa mai organizzata lì dai nostri genitori. Me ne
resi conto appena uscii dalla mia stanza, sul pianerottolo, notando le
ricche decorazioni di fiori profumati e variopinti, e i nastri e le
luci delle candele, che nuotavano e danzavano a mezz’aria. Le
guardai a bocca aperta, al tempo stesso ammirato e perplesso,
chiedendomi chi mai e per quale motivo, secondo mia madre, si sarebbe
voluto o dovuto avventurare fin lassù, poi sorrisi tra me,
pensando che stavo cercando un briciolo di logica nella mamma, una
donna dal gusto così particolare e terrificante, da mettere
delle decorazioni tanto belle persino sulle orride teste mozzate dei
nostri Elfi. Sospirando, cercai di liberare la mia mente dall'immagine
di quei volti deformi e decisi di pensare il meno possibile a lei...
come se fosse un'impresa possibile. Placato un po' il terrore che
provavo a causa sua, mi chiusi la porta alle spalle e mossi un passo:
tanto prima o poi dovevo scendere e la cosa migliore era cercare di non
farla avvelenare più del necessario. Proprio in quel
momento, com’era già accaduto al mattino, appena
uscii dalla mia, Regulus emerse dalla propria stanza, confermando il
mio sospetto che origliasse o mi spiasse dalla serratura per poi
saltare fuori al momento più opportuno: invece di seccarmi,
come sarebbe capitato appena pochi mesi prima, sorrisi. Evidentemente,
nonostante tutti gli improperi che di sicuro nostra madre mi aveva
scaricato addosso in mia assenza, ero riuscito a
“contagiare” un po', con i miei modi, il suo
principino, che ora appariva un po' meno perfetto del solito! Mi
sorrise anche lui, gli occhi luminosi e furbi: sapevamo entrambi che i
nostri genitori sarebbero stati troppo impegnati con gli ospiti quella
sera, per starci sempre addosso, perciò bastava aspettare
con pazienza il momento giusto e avremmo potuto finalmente parlare tra
noi, in pace, come desideravamo entrambi. Ero convinto che mio fratello
morisse dalla voglia di farmi duemila domande su Hogwarts, ed io da
parte mia, volevo sapere cos'era davvero successo a casa dopo il primo
settembre. Ero stato uno stupido, sì, me ne rendevo conto
solo ora, a restare chiuso in casa, quella mattina, e non
perché avessi perso l'occasione di visitare Dulcitus o
rivedere Meissa, ma perché non avevo passato, con lui, una
serena mezza giornata, entrambi finalmente lontani da nostra madre.
“Vieni qua, piattola, hai il
cravattino allentato... ”
Non era vero, non capitava in pratica mai che Regulus si presentasse in
pubblico con qualcosa fuori posto, ma ormai era un'abitudine: fin da
piccoli, prima di uscire dalla nostra stanza, lo controllavo io,
perché apparisse, agli occhi della mamma, come lei
desiderava, una “bambola” perfetta. Solo che a
volte, in effetti… quand'eravamo più piccoli, mi
ero divertito spesso a mettergli storto il cravattino, o ad allentargli
un po' la camicia fuori dai pantaloni, o a spettinarlo, per farlo
arrabbiare, e soprattutto per far perdere la pazienza a nostra madre.
Ero stato uno stupido, forse, anzi, sicuramente, ma era così
buffo vedere il suo musetto tanto serio e composto diventare di colpo
furente! Eppure, continuava a caderci: ogni volta che mi avvicinavo a
lui, benché ci fosse un'alta probabilità che alla
fine ci ritrovassimo entrambi in punizione, Regulus mi lasciava fare.
Forse sapeva che gli volevo bene e che quello era solo il mio modo di
condividere qualcosa con lui, qualcosa che fosse solo suo e mio, che ci
rendesse diversi da tutti gli altri della nostra famiglia. Qualcosa che
ci ricordasse che eravamo, ancora, solo dei bambini. Anche quella sera,
con una certa sorpresa e un notevole sollievo, benché
fossimo entrambi cresciuti e mia madre dovesse avergli fatto le stesse
pesanti pressioni che stava facendo a me, instillandogli il dubbio che
io non fossi più nemmeno un vero Black, vidi che mi lasciava
fare. Che si fidava, ancora, di me. Avrei voluto
abbracciarlo, con quel trasporto e quella naturalezza che invidiavo
tanto agli Sherton, per fargli capire quanto mi fosse mancato e quanto
fossi felice di averlo di nuovo vicino a me, di poterlo di nuovo
guardare senza dover ricorrere agli stupidi sotterfugi di quel
mattino. Eravamo, però, due Black e probabilmente
non avrebbe gradito o non avrebbe capito, di certo l'avrei turbato,
così decisi di passargli semplicemente la mano sulla spalla
sentenziando
“Ora sei a posto”, poi lasciai che i
miei occhi indugiassero nei suoi. Non era passato molto tempo, eppure
notai subito che mio fratello era già un po' diverso, non
solo perché era appena un po' più alto e i suoi
capelli erano pettinati indietro con ancora più rigore del
solito: aveva una luce nuova nello sguardo, una nota più
adulta, che contrastava con la morbidezza ancora bambina dei suoi
tratti. Mi chiesi preoccupato che cosa avesse dovuto sopportare in quei
pochi mesi di lontananza, temendo, per la prima volta, che la mamma se
la fosse presa anche con lui, a causa mia.
“Va tutto bene, Reg?”
“Va tutto bene, certo, se ci
decidiamo a scendere… È già tardi, e
se non ti muovi, li faremo arrabbiare… di nuovo...”
Annuii, era vero, era meglio farci vedere, prima che i nostri genitori
iniziassero a inquietarsi: dai piani bassi sentivo salire delle voci,
che non riuscivo ancora a riconoscere, di sicuro c’erano
almeno due uomini e un paio di donne, ma non si trattava dei nostri
genitori. Tesi bene l’orecchio, sperando di cogliere la voce
di Alshain o di qualcuno della sua famiglia, invano: sapevo che se
fossero stati presenti al nostro ingresso, non ci sarebbe capitato
nulla di traumatico, perché in pubblico la mamma al massimo
ci avrebbe fissato con una delle sue occhiatacce minacciose, ma non
avrebbe detto niente di sconveniente. Quando arrivammo in fondo alle
scale, incrociammo nostro padre che entrava nella stanza attigua alla
Sala dell'Arazzo, reggendo con entrambe le mani una specie di ampio
vassoio avvolto in quello che sembrava un lenzuolo: appena ci vide, la
sua espressione da assorta e normalmente disinteressata si fece
arcigna, nascose dietro di sé l'involucro misterioso, poi
rapido tirò fuori la bacchetta e la puntò verso
di me, con un colpo lieve di polso mi annodò la cravatta
più stretta e con un altro rese diritte e perfette le pieghe
dei miei pantaloni, infine si rivolse a Regulus ma, trovandolo
già in ordine, non gli fece niente.
“Mi sembrava che vi fosse
stato ordinato di scendere cinque minuti fa, o sbaglio? I vostri nonni
sono già arrivati! Vi avverto: questa sera ci saranno tutti,
parenti e amici importanti... Se non vi comporterete come si conviene a
dei Black... tutti e due... domani resterete qui da soli con Kreacher e
al mio ritorno farete i conti con me! Tutto chiaro, Sirius?
Vale ancora quello che ti ho detto questa mattina! E ora... via! Andate
a salutare gli ospiti!”
Mio fratello non se lo fece ripetere, io annuii riluttante: mio padre
mi fissò con uno sguardo talmente gelido e duro che mi
convinsi all'istante di aver solo sognato o delirato, la notte
precedente, quando avevo creduto di averlo visto entrare nelle nostre
stanze per darci la buonanotte. Lo guardai riprendere il misterioso
“vassoio”, entrare nella stanza e richiudersi la
porta alle spalle. Non mi aspettavo che mi colpissero tanto le
sue parole, erano sempre le stesse ed io avevo smesso da tempo di
starlo a sentire, ma quella sera... Aveva davvero chiesto
anche a me di comportarmi da Black? Avevo temuto per mesi che non mi
avrebbe nemmeno riammesso a casa e, dopo quanto successo al mio
ritorno, con la mamma, non credevo che mi permettessero di mettere il
naso fuori dalla stanza, figurarsi partecipare a una festa in cui
c’erano tutti! Tra l'altro le mie non erano paure
prive di fondamento, o relative alle reazioni estremiste della mamma:
mio padre era stato molto chiaro, prima della mia partenza, sul fatto
che il diritto di essere trattato come uno della famiglia decadeva
appena si mancava di rispetto verso i dettami dei “Toujours
Pur”. E se non ero andato io contro le regole di
famiglia, finendo smistato a Grifondoro... Un brivido di paura
mi percorse la schiena. Se ormai ero troppo imperfetto, ai loro occhi,
per mantenere i diritti naturali di un Black, al punto che mia madre mi
aveva fatto chiaramente intendere che valevo meno della tovaglia logora
che indossava Kreacher, perché mio padre continuava a
impormi tutti i doveri che competevano ai membri della mia odiosa
famiglia? Era solo per evitare ulteriori chiacchiere su tutti noi, o
forse credeva, al contrario della mamma, che ci fosse ancora una via
d'uscita per me? Che potessi ancora redimermi? Magari pensava che ci
fosse una giustificazione per quel cravattino, che quanto era accaduto
non dipendesse da me e dalla mia volontà, ma fosse solo un
tragico sbaglio? A volte volevo crederlo anch’io, ma sapevo
che non era così: all'inizio ero rimasto sconvolto e spesso
ero ancora spaventato dalle conseguenze, perché vedevo come
mi guardavano e mi trattavano tutti, però, giorno per
giorno, stava rafforzandosi in me la consapevolezza che ero finito
proprio dove volevo stare, che Grifondoro era la mia vera
casa. Quando riflettevo nel buio del mio baldacchino, mi
rendevo conto che quella era solo una tappa di un lungo cammino
intrapreso già da tempo, da quando avevo sentito, in me, la
volontà di essere diverso, più vivo,
più vero, di tutti loro. Da quando avevo percepito
l'odio che scorreva nelle vene degli altri, insieme al sangue puro, e
avevo deciso che non avrei mai voluto nutrirmene anch'io. Con
un certo disagio, temendo che entrando gli altri potessero leggermi
negli occhi questa verità esaltante e spaventosa, seguii
Regulus nella Sala dell'Arazzo: ad attenderci, oltre la porta, con i
primi ospiti, c’era nostra madre, bellissima e terribile come
al solito. Repressi per quanto possibile il desiderio di fare
marcia indietro e nascondermi di nuovo, affrontai quel momento,
ripetendo la promessa che mi ero fatto: non gliela avrei più
data vinta, non avrei più pianto per lei. Mai
più.
Per fortuna nemmeno ci vide entrare, presa com'era dagli ultimi
dettagli: stava infatti rimproverando un'Elfa perché i
centritavola non erano perfettamente centrati. Mi guardai attorno,
sollevato: le voci che avevo sentito si rivelarono quelle dei nonni e
di zia Lucretia. Notai anche gli effetti dei lavori di magia messi in
opera da papà per accogliere i nostri numerosi ospiti:
doveva aver ridotto le dimensioni e il volume della stanza attigua per
allungare e allargare la Stanza dell'Arazzo di oltre una buona
metà. Non era la prima volta che lo vedevo compiere
un'operazione simile e sapevo che lo faceva sempre con un'aria
disgustata stampata in faccia. Anche se un Black non doveva mai
mostrare le proprie emozioni, avevo capito che lui odiava Grimmauld
Place almeno quanto la odiavo io, seppur per motivi diversi: col tempo
avevo intuito che, fosse dipeso da lui, noi saremmo nati e cresciuti a
Zennor, dove lui avrebbe passato giornate intere a caccia o nascosto
nei sotterranei, per non incrociare nessun altro della nostra famiglia.
La mamma, invece, nonostante la vicinanza dei Babbani, era estremamente
orgogliosa del 12 di Grimmauld Place, al punto che aveva preteso da
nostro padre che la attrezzasse con una miriade di congegni antiBabbani
e tutta un'altra serie di diavolerie oscure che non avevo nemmeno idea
di cosa servissero. Il motivo di tanto ardore era davanti a
me: l'arazzo raffigurante l'albero genealogico dei Black, intessuto con
la magia e capace di ampliarsi da solo per adattarsi alle
novità anagrafiche della nostra famiglia, come matrimoni,
nascite e lutti. Non poteva essere spostato da lì, in alcun
modo, sarebbe rimasto per sempre attaccato a quelle pareti grazie agli
incantesimi di permanenza che, nel 1500, un nostro lontano avo,
Eridanus Nigellus Black, aveva imposto a quella stanza. La
mamma, col matrimonio, aveva ereditato da nonno Pollux la casa e
l'arazzo: sapevo che, secondo lei, il fatto che Phineas Nigellus Black
l'avesse lasciata in eredità a suo figlio Cygnus, padre di
nonno Pollux, invece che a uno degli altri suoi figli, dimostrava che
quel ramo della famiglia Black fosse più puro e
più Black di tutti gli altri, persino di quello di mio padre
che, essendo come lei pronipote di Phineas, era suo cugino di secondo
grado. Mia madre teneva a quella casa perché era,
ai suoi occhi, l'emblema della purezza dei Black e per questo dovevamo
tutti portarle rispetto, quasi fosse un essere vivente. Io, al
contrario, odiavo e temevo quella casa, che mi scatenava incubi fin da
quando ero solo un bambino: sognavo sempre che nessuno di noi, al pari
di quell'arazzo, potesse sfuggire a quella prigione, bloccati a quelle
pareti come fantasmi alle proprie catene. Crescendo, pochi
mesi prima, avevo scoperto che in realtà una via d'uscita
esisteva, l'avevo visto con i miei occhi il giorno in cui mio padre
aveva bruciato il volto e il nome di mia cugina Andromeda da quel
tessuto per tutti tanto sacro: mia cugina era uscita dall'arazzo e
dalla nostra vita, guadagnando così, finalmente, la tanto
agognata libertà.
“Ragazzi!”
Ritornai rapidamente in me, seppur ancora turbato e confuso. Nonno
Arcturus si stava avvicinando, era strano che lo facesse, di solito non
si curava in alcun modo di noi, restava sempre a parlare con i miei
genitori o con gli zii, mai con me o con mio fratello: da come mi
fissava compresi che il motivo del suo inusuale interesse fossi
io. Quando lo vidi metter mano al panciotto in cerca di
qualcosa, addirittura iniziai a temere che volesse punirmi
lì, davanti a tutti: sapevo che mio padre, da ragazzo, aveva
sperimentato più volte la sua severità, tanto che
portava ancora delle profonde cicatrici da scudiscio su entrambe le
gambe e sulla schiena.
“Questi sono per voi, per
Yule: cercate di fare acquisti oculati, non pensate solo a giocattoli e
dolcetti... siamo intesi?”
Regulus ed io ci guardammo stupiti: non era mai accaduto che il nonno
ci regalasse del denaro, di solito ci consegnava qualche vecchia
reliquia di famiglia o dei libri, mentre per quanto riguardava i
galeoni, lui e tutti gli altri nostri parenti li depositavano
direttamente alla Gringott, così che avessimo da parte un
bel gruzzolo quando fossimo diventati grandi.
“... e ora, Regulus, per
favore, va da tua nonna, perché ho bisogno di parlare con
tuo fratello...”
Regulus annuì e mi rivolse un'occhiata interrogativa,
sconcertato almeno quanto me, mentre io mi sbiancavo, temendo che il
nonno avesse architettato qualcosa di addirittura peggiore della festa
di bentornato che mi aveva preparato la mamma, la sera prima.
“Seguimi...”
Le occhiate perplesse con cui nonna Melania e nonna Irma mi fissarono,
non fecero altro che inquietarmi pure di più, nonno Pollux,
silenzioso, si allontanò da zia Lucretia e da suo marito per
seguirci, tutti e tre diretti nella stanza in cui avevo visto
scomparire mio padre. Salazar, era forse un oscuro oggetto di tortura
da usare durante un processo, quel vassoio misterioso che mio padre
teneva nascosto sotto il lenzuolo? Nonno Arcturus bussò ed
entrò senza aspettare che mio padre gli rispondesse, io
cercai di concentrarmi sui dettagli della stanza, effettivamente
ridotta a un terzo delle sue dimensioni abituali, per non far vedere
loro quanto avessi paura in quel momento. Papà ci
aspettava nella penombra, rotta appena dalla luce fioca di alcune
candele disposte qua e là e riscaldata da un fuoco
scoppiettante che faceva assomigliare il caminetto a un oscuro baratro
su cui si apriva un ghigno spaventoso; aveva sistemato tre poltrone,
disposte a semicerchio, vicino al fuoco, e sul tavolino di fronte, in
un vassoio d'argento, aveva preparato due bottiglie di Firewhisky, uno
dei migliori servizi di cristallo di Boemia e un paio di portacenere
d'argento a forma di serpente. Sì, era davvero un
processo, il mio processo: lo capii mentre loro si sedevano indolenti
ed io rimanevo in piedi di fronte a loro, non sapevo cosa fare,
disperato e incapace di nascondere la mia paura.
“Non stare lì, in
piedi, come un bamboccio, Sirius, mettiti seduto qui di fronte a
noi...”
Nonno Arcturus attirò un'altra poltrona di fronte a
sé, così che fossi pericolosamente in mezzo a
loro e potessero esaminarmi con comodo, centimetro per centimetro, con
i loro occhi inquietanti simili a quelli dei rapaci notturni: nonno
Pollux, il naso aquilino e le labbra sottili che sembravano sparire del
tutto quando parlava, era il più inquietante dei tre, non
aveva ancora detto una sola parola e questo di solito era un pessimo
segno. Con un sospiro fondo mi sedetti sotto i loro sguardi indagatori,
li vidi soffermarsi tutti sulle mie mani, concentrandosi in particolare
sull'anello che mi aveva regalato Alshain Sherton. Salazar,
perché erano tutti fissati con quel benedetto anello?
“Abbiamo discusso molto a
proposito di te, in questi tre mesi, Sirius, inutile spiegartene le
ragioni, le conosci più che bene. Possiamo arrivare a una
conclusione, però, solo dopo aver sentito cosa hai da dire
tu in proposito... Anche Phineas, stasera, è qui per dire la
sua...”
Mi voltai sulla sedia cercando lungo le pareti il ritratto del nostro
augusto antenato, trovandolo invece appoggiato su una poltrona dietro
di me, come fosse un altro giudice: fingeva di sonnecchiare nella
cornice, come suo solito, in realtà ci teneva tutti sotto
controllo, con il suo ghigno arcigno, identico a quello di nonno
Pollux. Ecco dunque cos'era la misteriosa “tavola”
che mio padre aveva portato nella stanza nascosta sotto i
drappi! Perfetto! Ora mancava solo la mamma, con la schiera di
Elfi pronti a strigliarmi davanti a tutti!
“Tuo padre dovrebbe averti
detto tutto quello che un Black deve sapere sulla propria famiglia, a
cominciare dai doveri e dalle aspirazioni...”
Fissai papà, che restava muto mentre suo padre, mio nonno,
mi braccava: per un istante, dall'occhiata che nonno Pollux rivolse a
tutti e due, ebbi la sensazione che in quella stanza non fossi io
l'unico imputato, che per tutti, responsabile di quello che era
successo a Hogwarts, oltre me, fosse proprio mio padre. Mi chiesi,
smarrito, perché fossero convinti di questo.
“... e se, per caso, per
qualche oscuro motivo, non l'avesse fatto lui, di certo
l'avrà fatto tua madre... quindi è impensabile
che tu sia arrivato a Hogwarts ignaro di quello che tutti noi ci
aspettiamo da te... Pertanto ti chiedo di spiegarci, perché
io proprio non lo riesco a capire, e nemmeno gli altri ci riescono...
che cosa è andato storto…”
Lo fissai ammutolito, incapace, per la paura, di spiccicare una sola
parola, anche perché non sapevo da dove cominciare, che cosa
dire per non farli infuriare.
“Sirius... voglio sapere che
cosa è successo il primo settembre, che cosa ti ha detto il
Cappello Parlante prima di emettere la sua sentenza... Che domande ti
ha fatto? Perché...”
“Allora? Sei forse sordo e
stupido, ragazzino?”
Alla fine era intervenuto anche nonno Pollux, incalzandomi con occhi
fiammeggianti e i suoi modi spicci, poco cerimoniosi: ora mi fissavano
tutti, ed io sapevo che non sarei mai riuscito a mentire a tutti loro,
e al tempo stesso che non potevo permettermi di dire loro tutta la
verità.
“Il Cappello... il Cappello ha
detto che in me... in me… c'erano tutte le
qualità di un Serpeverde ma...”
“Ma? Cosa significa
“ma”? Cosa diavolo significa
“ma”?”
“Pollux calmati, per favore,
lasciamolo finire, prima...”
“... ha detto che... che in
me... ha visto anche coraggio e... incoscienza, qualità che
superavano di gran lungo tutto il resto...”
“Qualità?
Qualità? Le ha chiamate Qualità! Queste sarebbero
le qualità per quel dannato Cappello!”
“Salazar! Sirius che cosa...
perché... Perché non ti sei opposto con tutte le
tue forze? Ragazzo mio... Perché non gli hai…
”
“E gli chiedi anche
perché, Arcturus? Non l'hai ancora capito? Guardalo! Io lo
dico da quando è venuto al mondo che questo qui è
nato sbagliato! Qualità! Belle qualità!
Qualità di cui andare fieri, adatte a quelle risse da
bettola che piacevano tanto a quello stramaledetto filobabbano!
Salazar! Come potete ancora credere che questo idiota, così
influenzabile, possa guidare un giorno la nostra famiglia?”
Non avevo mai visto mio nonno Pollux perdere le staffe in quel modo,
davanti a tutti: era balzato in piedi prendendomi per il bavero,
completamente fuori di sé, gli occhi iniettati di sangue e
la bocca che sputava parole e veleno, quasi volesse uccidere me per
eliminare il fantasma stesso di Godric Grifondoro.
“Salazar Pollux, moderati!
É nostro nipote!”
“Sarà tuo nipote,
Arcturus, il mio non lo è di certo!”
Ero terrorizzato, come non mi era capitato mai nella vita: nonno
Arcturus gli arpionò l'avambraccio con la mano, imponendogli
di recuperare la calma e lasciarmi andare, nonno Pollux mi
liberò, poi si sistemò la cravatta verdeargento,
si versò un altro Firewhisky e s'immerse nella penombra, a
distanza di sicurezza, borbottando da solo. Mio padre, per tutto il
tempo, non mosse un muscolo, rimase seduto al suo posto, in silenzio, a
guardare il fuoco e lisciarsi con le dita la barba e i baffi, come se
tutto ciò che lo circondava nemmeno lo riguardasse.
“Sirius...”
Alzai gli occhi, ero riuscito per lo meno a ricacciare indietro le
lacrime, ma sentivo ancora un formicolio fastidioso che andava su e
giù e si concentrava nella gola, pronto a farmi piangere e
impedirmi di parlare. Nonno Arcturus era tutto proteso verso di me, un
bicchiere pieno d'acqua in mano e un'espressione accomodante, anche se
percepivo tutta la tensione repressa e lo sforzo che faceva per non
perdere la pazienza a sua volta. Con tutta la falsa gentilezza
di cui era capace mi convinse a bere, poi riprese a parlare, con calma.
“Siamo una delle famiglie
magiche più antiche d'Inghilterra, Sirius, ci siamo gloriati
per secoli della nostra purezza e della nostra assoluta adesione e
dedizione ai principi di Salazar. Siamo Slytherin da sempre, come da
sempre abbiamo questi occhi, questo cuore e questo sangue. Tu sai
quanto siete importanti tu e tuo fratello per il nostro futuro: siete i
nostri due unici eredi maschi, solo attraverso voi due i Black potranno
continuare a sopravvivere nei secoli a venire. Per questo non possiamo
permetterci di commettere errori... Te ne rendi conto?”
Annuii, quel discorso l'avevo sentito mille volte e mille volte ancora,
fino alla nausea, e non ne potevo sinceramente più, lo
guardai, così accomodante e premuroso, ma sapevo quanto
fosse falsa quell'espressione partecipe con cui mi osservava.
“Vorrei che mi dicessi chi
sono i tuoi compagni di stanza, Sirius...”
“Che cosa? Io... io non
capisco... perché? Che cosa c'entrano loro...”
“Lo vedi? È
più preoccupato per quelle insulse canaglie che per se
stesso... già li protegge, come farebbe un qualsiasi altro
disgustoso Grifondoro... Questo per voi è un
Black?”
“Non hai nulla da temere,
Sirius…”
“No, non hai nulla da temere
per loro, stupido ragazzino, vogliamo solo sapere i nomi dei luridi
Sanguesporco con cui passi il tuo tempo, perché forse
così tuo padre aprirà gli occhi e si
deciderà a fare quello che deve...”
Guardai mio padre, sprofondato nella sua poltrona, pallido come un
cencio: che diavolo volevano che facesse quei pazzi?
“Pollux per favore, calmati...
non è questo il modo giusto per...”
“Calmarmi? Credi davvero di
ottenere qualcosa con questa recita, Arcturus? Noi non possiamo
permettere che il presunto erede dei Black rimanga ancora a contatto
con quella feccia! Già solo il fatto che gli parlino...
Tutta questa buffonata è inutile, chiamare lui qui
è inutile, sei tu, Arcturus, sei tu che devi far capire a
questo idiota di tuo figlio qual è l'unica decisione che va
presa, ora e subito!”
“Quali decisioni?
Io...”
“Tu stai zitto! Parlerai solo
quando sarai interpellato, moccioso!”
“Ora basta! Basta! Ho
già preso la mia decisione sul suo futuro mesi fa e nulla mi
farà cambiare idea...Vuoi dirgli quello che deve fare,
Pollux? Avanti, fai pure! Ricordagli quali sono i suoi doveri,
minaccialo quanto ti pare, ma ricordati che il padre sono io e a
decidere del suo futuro sono io ed io soltanto... Per quanto mi
riguarda la questione è chiusa!”
“Ti sbagli, Orion, questi sono
fatti che ci riguardano tutti... Sirius deve lasciare Hogwarts! Subito!
Prima che i danni siano irreversibili! Devi mandarlo a Durmstrang, dove
lo raddrizzeranno, visto che qui nessuno di noi
c’è riuscito... E devi tenerlo lontano da Regulus,
perché non possiamo permetterci che sia influenzato anche
lui! Ti sto dicendo quello che tutti pensano ma che nessuno ha il
coraggio di dirti. Lo ripeto da mesi, lo sapete tutti bene quanto me
che queste sono le sole decisioni giuste da prendere!”
“Io non toglierò
Sirius da Hogwarts... non darò altre soddisfazioni a
Dumbledore, non lascerò che per colpa sua e di quel dannato
Cappello i Black siano ancora derisi... perchè è
di questo che si tratta... solo di questo... L'ho deciso il due di
settembre e sosterrò le mie idee fino alla morte: mio figlio
non ha nulla di diverso da tutti noi, quello che è accaduto
è un chiaro segno che in quella scuola sta accadendo
qualcosa di strano, ma se credono di avere la meglio si sbagliano di
grosso. Mio figlio, un Black, nella casa di Grifondoro, sarà
una grande opportunità per tutti noi: faremo vedere che le
macchinazioni di quel vecchio pazzo sono inutili, che i veri valori
sono più potenti di questi patetici stratagemmi, che noi
siamo più forti e non ci piegheremo, non ci faremo
influenzare, non perderemo la nostra identità, nemmeno in
quel covo di Sanguesporco!”
“Sei solo un illuso, Orion, se
pensi che il male venga da fuori… Sai bene che è
tra noi… Ti prego, fai qualcosa, Arcturus, è
evidente che tuo figlio è di nuovo impazzito... Non puoi
lasciare che ci faccia correre tutti un rischio simile!”
“Come fai essere
così sicuro, Orion? Cosa ti fa credere che non saremo
travolti tutti? Se avessi delle prove... io…”
“Perché
sarò io a piegarlo fino a spezzargli la schiena con le mie
mani, se sarà necessario... ”
Mio padre mi fissò, un'espressione indecifrabile nello
sguardo: non si trattava delle sue solite minacce, quelle che rivolgeva
a mio fratello e a me per chiudere subito una situazione fastidiosa,
per zittirci rapidamente. In gioco non c'erano solo il sangue e
l'onore, ma qualcosa di più, d’inafferrabile,
qualcosa tra me e lui, che escludeva tutti gli altri, qualcosa che
affermava, nel più feroce e drammatico dei modi, che io ero
suo.
Solo suo. Come non ero stato mai.
“Orion... già tua
moglie... se non accetti consigli... Se la metti
così... Pollux ed io... in questo modo le
responsabilità saranno solo ed esclusivamente tue, te ne
rendi conto?”
“Sirius è mio
figlio... chi altri si dovrebbe assumere queste
responsabilità? Sirius resterà dove si trova e
d'ora in poi mi assicurerò personalmente che farà
sempre e soltanto quello che gli sarà detto di fare,
sarà il degno erede di questa famiglia, e presto tutti si
renderanno conto di quanto sia diventato insignificante, di questi
tempi, il colore di quel cravattino...”
Si scambiarono un'occhiata eloquente, mentre nonno Pollux mugugnava
nella penombra e Phineas, che aveva taciuto fino a quel momento,
continuava imperterrito a fingere di dormire.
“Spero per te che a settembre
non avremo altre brutte sorprese, Orion... A te sta bene,
Pollux?”
“Siete due pazzi e ve ne
pentirete... tutti e due... Ve ne pentirete...”
Nonno Pollux se ne andò, sbattendosi dietro la porta, nonno
Arcturus sospirò, poi ci lasciò soli; io ero
rimasto impietrito sulla poltrona, senza il coraggio di guardare
direttamente mio padre che, lo scorgevo con la coda dell'occhio,
continuava a contemplare le fiamme morenti nel caminetto.
“Sirius...”
Alzai lo sguardo su di lui, deglutendo: mi bastò incrociare
i suoi occhi appena un istante per capire che avevo di fronte l'uomo
che era entrato nelle nostre stanze quella notte, un uomo ben diverso
dal padre che ero stato abituato a conoscere in quasi dodici anni di
vita. Con una sensazione strana nel petto, un misto di
curiosità, speranza, paura, elaborai l’idea che
quell’uomo, di cui mi aveva parlato anche Alshain, esistesse
davvero.
“Lo dico per il tuo bene,
Sirius... Non farmi pentire della mia decisione... Sei ancora un
ragazzino e non comprendi appieno la serietà di tutto
questo, ma ti assicuro che non è uno scherzo…
Questa è la tua vita, Sirius... Qui c'è in gioco
la tua vita, non solo il futuro della nostra famiglia. Tu non sei come
gli altri, tu sei un Black e il destino ha voluto mettere sulle tue
spalle il futuro di tutti noi... come a suo tempo l'ha messo sulle
mie... So per esperienza che un errore, anche un solo,
piccolo, insignificante errore, può travolgere tutti noi e
soprattutto può rovinare te... può privarti di
ciò che ami... di chi ami... per sempre... senza
possibilità di rimediare, in alcun modo. È mio
dovere essere severo con te, ma più di ogni altra
cosa… io non voglio che ti succeda mai qualcosa di male...
io non voglio vederti costretto a rinunciare al futuro che sogni e alle
persone che ti vogliono bene... Hai troppo da perdere, Sirius... forse
ancora non immagini nemmeno quanto... perciò te lo
dirò ora, una sola volta... Ti prego... fai molta
attenzione... rifletti bene... non farti condizionare...
perché danneggeresti te stesso, prima ancora che tutti
noi... ”
Mi aveva fissato, più di quanto fosse per noi lecito,
riempiendomi di speranza che da quel momento in avanti potesse essere
tutto diverso tra noi, che ci fosse la possibilità di
parlarsi e capirsi. Tutte le mie speranze di averlo ancora con
me, di avere le risposte alle domande che mi galoppavano in testa,
s’infransero però all’istante,
perché subito si riscosse e ritornò in
sé, nel suo mondo, riprese le vesti dell'uomo freddo ed
enigmatico che ben conoscevo. Mi fece un cenno sbrigativo con cui capii
che voleva restare da solo, dovevo togliermi dai piedi: uscendo, lo
vidi avvicinarsi al ritratto di Phineas con un bicchiere in mano e mi
parve che il nostro caro avo smettesse di fingere di dormire e gli
sussurrasse qualcosa. Riemersi nel corridoio, scosso per tutto quello
che era accaduto: mi avevano davvero permesso di assistere a una loro
discussione! Erano ancora così sconvolti dal mio smistamento
che non erano d'accordo nemmeno tra loro su come comportarsi nei miei
confronti: la mamma e nonno Pollux, se avessero potuto, avrebbero
ballato sul mio cadavere, come su quello di un qualsiasi altro
Grifondoro, nonno Arcturus probabilmente considerava ottima l'idea di
spedirmi a Durmstrang, ma temeva le chiacchiere che ne sarebbero
seguite, se l'avessero fatto sul serio. E mio padre... mi
avevano sconvolto il suo silenzio e, ancora di più, alla
fine, vedere come mi aveva difeso, come aveva sottolineato che fossi
suo figlio... non l'aveva fatto mai.
Perché lo fa proprio ora?
Ero triste, pieno di domande, consapevole che non avrei mai avuto
risposte: aveva parlato di esperienza personale, mi chiesi quali errori
avesse commesso lui, quali colpe avesse scontato e in che
modo... Inoltre quel discorso... era così
inquietante, e così vero, così dannatamente vero:
se fossi stato diverso dagli altri Black, sarei stato libero, ma questo
significava anche dover rinunciare a molte cose, a molte persone, a
Regulus prima di tutto, e forse anche ad Alshain e ai progetti che
avevo con lui e... Non sapevo cosa volevo… no, non lo sapevo
più. Mio padre uscì dalla stanza poco dopo,
infilandosi in tasca due cofanetti che probabilmente contenevano i
preziosi doni di nozze per Mirzam, il suo figlioccio, poi si
unì a tutti noi, chiacchierando con suo cognato di politica
come se nulla fosse. Dopo poco arrivò via caminetto
Bellatrix con suo marito ed io feci in modo, come mi era stato
consigliato da mio padre, di tenermene alla larga, evitando come la
peste di essere coinvolto nei loro discorsi e cercando persino di
sfuggire alle loro occhiate. Quando mi avvicinai per salutare
zio Cygnus, zia Druella e Narcissa, però, Bellatrix, com'era
prevedibile, mi apostrofò con i suoi soliti modi gentili e
la classica voce flautata, ma per mia fortuna mi venne in soccorso zio
Alphard, che coinvolse me e Regulus, in attesa degli ultimi ospiti, in
un interessante discorso sulle straordinarie creature magiche che aveva
visto durante il suo ultimo viaggio in Oriente, per conto del
Ministero. Il caminetto iniziò a illuminarsi di continuo,
per l'arrivo di diversi altri amici e parenti: in particolare
assistetti allo sgradito arrivo di Lestrange senior con il suo
diabolico secondogenito, Rabastan, dei parenti Rosier con l'odioso
“cugino” maggiore, Evan, che
m’istigò contro suo fratello James, al punto che
quest’ultimo, come tutti i bambini, iniziò a
prendermi in giro cantilenando che fossi un Grifondoro, ed io mi
trattenni più volte, a stento, dal dargli una
lezione. C’erano poi gli onnipresenti Malfoy, ancora
più pomposi e appiccicosi del solito, e molti altri, tra
cui, per peggiorare ulteriormente la serata, gli Yaxley, con il viscido
Evan, compagno serpeverde di Meissa, tutto galvanizzato all'idea di
poterla rivedere e passare con lei la serata. Via via dovetti
affiancare i miei genitori mentre accoglievano tutti gli ospiti, la
maggior parte di loro mi fece venire il mal di stomaco per come mi
salutarono schifati, quasi non avessi il diritto io, a casa mia, di
stare tra loro... cercai di curarmene il meno possibile, tutto preso
dai miei pensieri e dall'emozione che presto, finalmente presto avrei
rivisto i miei amici. Alla fine, il caminetto si
colorò di verde per far passare gli ultimi invitati: uno
dopo l'altro, gli Sherton fecero il loro ingresso ed io, dopo appena
una giornata che mi era sembrata lunga un secolo, rividi finalmente
Meissa. La mia felicità durò
però appena un istante, il tempo di vedere l'occhiata che
mia madre rivolse a lei e a mio fratello e il modo in cui
riuscì a estromettermi dai saluti. Capii subito la
vera portata del discorso di mio padre, su quanto avevo da perdere, e
quanto impegno avrebbe messo la donna che mi aveva messo al mondo,
d’ora in poi, per farmi del male.
*
Mi ero nascosto, stanco di sentire tutte quelle voci, quei discorsi,
l'odore di tabacco e i profumi intensi dei nostri ospiti, volevo stare
da solo e preferibilmente sparire dalla faccia della terra. Non avevo
retto quando mia madre aveva chiamato tutta gioviale Regulus per far da
cavaliere a Meissa e aveva fatto in modo che nemmeno riuscissi a
salutarla.
Buonasera Cenerentolo...
Avevo sorriso amaro, ripensando alle buffe espressioni di Remus che,
con la sua ampia cultura che spaziava tutto lo scibile magico e
babbano, mi aveva aperto gli occhi sulla tragica storia di Cenerentola
e della sua odiosa matrigna... Solo che la mia non era una matrigna...
“Perché sei
qui?”
“Secondo te?”
Nemmeno alzai lo sguardo, mentre Regulus si richiudeva la porta dietro
le spalle e mi raggiungeva sul divano, di fronte al caminetto e alle
poltrone su cui si era tenuto il “processo”.
“Quello non è il
quadro di Phineas?”
“Già…”
“E che fine ha fatto
lui?”
“Che ne so! Sarà
tornato a dormire nello studio del Preside, a
Hogwarts…”
“Per colpa di
questa?”
Mi voltai, mio fratello tendeva verso di me una mano e tra le dita
aveva la spilla da Grifondoro che avevo mostrato, inferocito, pochi
minuti prima a Phineas, facendolo fuggire spiritato e sconvolto come se
avesse visto un demone a cento teste. E che poi avevo cercato di
nascondere tra i cuscini quando avevo visto aprirsi di scatto la porta
di quella stanza.
“Attento, potresti pungerti e
diventare un Grifondoro pure te…”
Sghignazzai, mentre il viso di mio fratello diventava blu di rabbia e
paura, miste insieme.
“Non fai affatto ridere,
sai?”
“Io non volevo farti ridere,
pulce…”
“Come hai fatto a portarla
qui? La mamma…”
“La mamma era troppo impegnata a
strepitarmi contro e a ululare alle Elfe che mi lavassero via la
polvere di Grifondoro, per accorgersi che questa mi era caduta dai
pantaloni… Evidentemente nemmeno lei è
infallibile…”
“La dovresti smettere
sai?”
“Di fare cosa?”
“Di comportarti
così!”
“Io sono così,
Regulus… Io… sono…
così!”
“No, non è vero!
Non è vero! Tu sei mio fratello… è
questo quello che sei… Tu sei mio
fratello…”
“E sono un
Grifondoro…”
Balzò su come una furia, pensavo volesse saltarmi addosso e
azzuffarsi, invece rimase in piedi davanti a me, con uno sguardo serio
da persona adulta, lo stesso cipiglio che aveva la mamma quando era
concentrata e pronta per un discorso importante.
“Sei solo uno stupido, Sirius!
Uno stupido! Ma non capisci? Se continuerai a esserne così
fiero… loro… loro…”
La voce gli morì in bocca, si voltò tutto agitato
e si allontanò da me, andando a rifugiarsi vicino al
caminetto, io lo raggiunsi, gli misi una mano sulla spalla e lui
scattò, liberandosi dal mio tocco come se gli avessi
trasmesso la scossa.
“Che cosa ti succede,
Regulus?”
Non rispose, io cercai di voltarlo verso di me, ma lui mi resistette,
allora gli passai davanti e gli alzai la faccia per guardarlo bene, lui
si divincolò ed io rischiai di prendermi uno schiaffo. Stava
piangendo e per nessuna ragione al mondo avrebbe voluto che lo vedessi
in quelle condizioni.
“Che cosa significa?”
“Io non voglio che ti mandino
via. Io… non… voglio!”
“Regulus…”
“È tutta colpa
tua… È sempre tutta colpa tua… Fai
sempre questi disastri… perché sei uno stupido,
uno stupido…”
“Regulus…
calmati… non mi manderanno da nessuna parte…
Regulus…”
“Bugiardo! È da
quando sei partito che litigano tutti i giorni… Vogliono
mandarti via… a Durmstrang…”
“Papà non mi
manderà da nessuna parte, Regulus, mi dispiace per te ma
dovrai sopportare questo tuo stupido fratello ancora per molto,
moltissimo tempo…”
Alzò gli occhi arrossati e tristi su di me, mi
scrutò aspettandosi di vedere il mio ghigno di derisione o
le mie lacrime: era lo stesso, perché entrambe avrebbero
testimoniato la mia menzogna. Io però rimasi
tranquillo, sostenni il suo sguardo, fino a convincerlo.
“Non partirai… Vuoi
dire che davvero non partirai?”
“Certo che
partirò… per Hogwarts, appena saranno finite le
vacanze di Natale… Poi tornerò a casa per
l’estate, appena avrò finito gli esami, o forse,
chissà, anche prima, in primavera, non so ancora come
funziona…”
“Davvero non ti manderanno
via?”
“Sei sordo? Ti ho detto di
no… Per ora, almeno, pare di no…”
“Allora… allora mi
ha ascoltato…”
Tornò a sedersi, tutto concentrato, perso in qualche ricordo
di cui non sapevo niente. Come sospettavo, non ero l’unico ad
aver subito le conseguenze di un fatto tanto sorprendente, e ancora di
più sentii crescere in me una rabbia sorda verso mia madre,
perché se io ero responsabile delle mie scelte, non era
giusto che coinvolgesse anche Regulus nella guerra che aveva deciso di
fare a me.
“Che cosa vuoi dire? Chi ti ha
ascoltato?”
“Eravamo andati a vedere una
partita del Puddlemere, una bella partita, ma… io avevo
sentito nonno dire alla mamma che dovevano spedirti lontano da
casa… e…”
“Non ti sarai mica messo a
piangere per me davanti a tutti, vero, moccioso?”
Cercai di risollevarlo un po’, punzecchiandolo,
così che l’orgoglio spazzasse via quella tristezza.
“Certo che no! Ero solo
sovrappensiero e quando Deidra mi ha accompagnato da Mirzam per un
autografo, mi ha chiesto che cosa avessi ed io…”
“Tu gli hai detto di essere
triste per me, perché non volevi che mi mandassero
via…”
Regulus annuì e mi confermò che Deidra gli aveva
detto di non preoccuparsi, perché conosceva bene nostro
padre, sapeva che avrebbe preferito tagliarsi un braccio da solo che
vedersi portare via uno di noi due, perciò non
c’era nulla di cui aver paura.
“Per sicurezza,
però, l’altro giorno, mentre andavamo a provare i
vestiti a Diagon Alley, ho detto a papà che per
quest’anno l’unico regalo che volevo era che
rimanessi a casa, che non ti mandasse via…”
“Che stupido che sei, Regulus!
Te l’ho detto mille volte… I regali di Natale non
si contrattano mai! Mai, hai capito? Mai…”
Scoppiai a ridere, per prenderlo di nuovo in giro e allentare la
tensione di quel momento, lui mi guardò storto e
m’insultò a voce bassa, poi, però,
sorrise anche lui, finalmente sollevato al pensiero che la sua paura
più grande si fosse sciolta come neve al sole. Io non ero
altrettanto sicuro che fossimo in salvo, ma per non far vedere i miei
turbamenti, me lo tirai addosso, abbracciandolo: sapevo che non si
doveva fare, ma in quel momento non m’importava niente di
cosa fosse conveniente per un Black.
“Ed è per me, per
paura che sparissi per sempre, che sei qui e non alla festa? Con tutti
quei begli ospiti e tutto quel cibo…”
“Li ho visti fin troppo
spesso, gli ospiti, in questi mesi…”
“Ma Narcissa non
l’hai vista e nemmeno Rigel Sherton…”
“Narcissa sta parlando con
quel pallone gonfiato di Malfoy…e Rigel… non so
che cos’ha… ha un muso, è nervoso
e…”
Non stentavo a crederlo, perché pur molto giovane e
circondato da un sacco di ragazze, da quanto avevo visto a scuola,
pareva che fosse cotto a puntino di mia cugina, ma purtroppo per lui,
lei nemmeno si rendeva conto della sua esistenza.
“… Bella ormai sta
sempre con i grandi, tutta presa dalla politica… e
quel… quel Lestrange…
Salazar…”
“Vedo con piacere che
benché ti abbia lasciato qui da solo, non sono riusciti a
convertirti… sai, la mia paura più grande era che
potessi aver fatto amicizia con lui, durante la mia
assenza…”
“Con chi? Con
Lestrange?”
Il suo sguardo inorridito e schifato era a dir poco eloquente: uno dei
momenti che più mi erano mancati, lontano di casa, erano i
siparietti che avevamo spesso messo in piedi ai danni di quel pallone
gonfiato, di sera, in camera nostra, prima di addormentarci.
“E gli altri?”
“Mirzam e suo padre stanno
ancora parlando di politica con gli altri ospiti, mentre le streghe
spettegolano e cercano di carpire a Deidra qualche anticipazione sulla
festa di domani…”
“Beh ma è normale
che gli adulti non diano spago a te, che sei un bambino… ma
gli altri ragazzi? Perché non parli o giochi con loro?
C’è Meissa, no? Ricordo bene quanto ti piaceva
parlare con lei…”
“E perché non lo
fai tu?”
“Io sono un Grifondoro, in una
tana di Serpeverde… tu sei l’erede dei
Black… dovresti approfittarne… non è
questo che vuole da te, la mamma?”
Regulus si rabbuiò di colpo, io pensavo di farlo sorridere
parlando di Meissa, invece...
“Che ti succede
adesso?”
“Ha chiesto di te, questa
mattina, era delusa e triste quando ha capito che non eri venuto con
noi… a quanto pare le tue renne erano particolarmente
buone…”
Mi fulminò con uno sguardo rancoroso, a me veniva da ridere.
Salazar! Quel moscerino era uno spasso, era geloso di me, ma anche
così leale nei miei confronti, da non approfittare della mia
assenza per starle vicino.
“Ti ricordo che di solito i
Black non sono leali con i fratelli maggiori Grifondoro e senza
speranza…”
“Non sono mai esistiti
fratelli maggiori Grifondoro, Sirius… e comunque…
I Black non si umiliano cercando chi non li vuole…
ancora…”
Mi fissò, di nuovo… ecco, ora lo riconoscevo.
“Credo che ora dovremmo
ritornare dagli altri… e fai sparire quella spilla, o
avrò sprecato per niente il mio regalo di
Natale…”
“Non vuoi chiedermi
niente?”
“Che cosa dovrei
chiederti?”
“Com’è
Hogwarts? Di cosa parla il Cappello? Perché sono finito
lì?”
“Che sei uno stupido lo so
già, Sirius… non c’è altra
spiegazione al fatto che sei finito lì… per il
resto… so già che non mi dirai mai la
verità, farai come Bellatrix e mi racconterai che dentro il
Cappello c’è il fantasma di Godric, pronto ad
affettarmi con la sua spada o un cespuglio di
ortiche…”
“In realtà
c’è un geranio zannuto pronto a morderti le
orecchie… fossi in te, mi procurerei un bel paraorecchie per
il primo settembre, le hai un po’ a sventola ricordi?
Ahahah…”
“Io non ho le orecchie a
sventola… e non ho più nemmeno cinque
anni!”
“Ahahahah…
Salazar! Quante zuffe avevamo fatto in camera nostra, certi piovosi
pomeriggi, quando lo stuzzicavo dicendogli che aveva le orecchie a
sventola e lui, piccolo, ci credeva e ci restava male!
“Hai finito?”
“Ahahahah”
“Non fai
ridere…”
“Tu, invece,
sì… ahahah… Sei ancora così
rosso che…”
“O…
scusate…”
Ci riprendemmo subito, appena sentimmo una voce emergere dalla penombra
e una sagoma umana riempire tutto l’arco della porta.
“… credevo che qui
ci fosse il bagno…”
“No il bagno
è… in fondo al corridoio, a
sinistra…”
“Ah ecco, mi sono
confuso… Ma voi che cosa fate nascosti qui, ragazzi? Vostra
madre ha iniziato a cercarvi, credo fareste bene a raggiungere gli
altri, il prima possibile…”
“Andiamo subito, muoviti
Regulus… Grazie… Milord…”
“Puoi chiamarmi Rodolphus,
Sirius Black… infondo… ormai siamo…
parenti…”
Mi tese la mano, io deglutii terrorizzato: non sapevo che cosa fare,
mio padre era stato categorico, non dovevo in alcun modo farmi toccare
da lui, né dovevo guardarlo negli occhi, ma lui era
lì, a un passo da me, sapevo che era entrato con una scusa,
che non cercava il bagno ma noi, e stava inscenando quel siparietto
solo per fregarmi.
Che
cosa faccio adesso?
Mentre riflettevo e lui restava lì, come un ostacolo
insormontabile tra noi e la nostra unica via di fuga, dicendo una marea
di sciocchezze che non interessavano a nessuno, la porta si
aprì di nuovo e stavolta, strappandomi un sospiro di
sollievo, vidi entrare Mirzam.
“Orion, sei qui?”
“Mirzam!”
“Rodolphus? Che cosa ci fai
qui?”
“Cercavo il bagno…
e invece… ho trovato… loro…”
“Reg, Sirius…
vostra madre vi cerca, io stavo cercando vostro padre…
l’avete visto?”
Regulus fece di nuovo no con la testa, io sollevato cercai di
allontanarmi da Lestrange, certo che ormai fossimo fuori pericolo, lui
però mi anticipò vedendo sfuggire
l’opportunità di avermi così facilmente
tra le grinfie, mi afferrò rapido l’avambraccio
sinistro e mi sollevò la mano verso la luce.
“Hai visto Mirzam?
L’ho notato prima, quando ci siamo salutati al mio
arrivo… Che ne dici? Non è un anello del Nord,
quello che ha in mano il figlio maggiore di Orion?”
Deglutii nervoso, mentre Mirzam, sorpreso, si avvicinava. Se
non fossi stato preparato, sarei morto dalla paura, perché
non immaginavo che Lestrange si sarebbe comportato così, che
avrebbe messo in atto quella specie di agguato, credevo avrebbe cercato
di ottenere ciò che voleva con le lusinghe,
non… Guardai Regulus, non aveva idea del pasticcio
in cui si trovava coinvolto ed io mi scoprii spaventato per lui. Doveva
andarsene, subito.
“Reg… Tu vai,
dì che io sto con Mirzam, almeno non si
arrabbiano!”
Reg, ignaro di cosa stava per accadere, trovò
l’idea accettabile e attraversò la porta,
lasciandomi lì, da solo. Ero spaventato ma al tempo
stesso sicuro che Mirzam mi avrebbe protetto: ero convinto che ad
avvertirci fosse stato lui, di certo suo padre non avrebbe spedito una
lettera anonima, visto che nei guai c’eravamo finiti per
aiutarlo a riprendersi quel dannato anello.
“Posso vederlo,
Sirius?”
Annuii, Rodolphus mollò la presa sul mio polso ed io mi
sfilai delicatamente l’anello, e glielo porsi, facendo finta
che non trovassi affatto strana quella richiesta.
“Me l’ha dato tuo
padre quando siamo partiti da Herrengton, l’estate
scorsa…”
“Sì, è
un anello del Nord, Rodolphus… della nostra famiglia: ci
sono incise le rune che rappresentano gli Sherton, le stesse che
portiamo al collo.”
Espose la pelle del collo alla luce della candela e riconobbi lo stesso
disegno che era inciso dentro la fedina.
“C’è
qualche problema? Con l’anello intendo…”
“No, nessun problema,
Sirius… Credo che Rodolphus fosse solo curioso, dico bene?
Se è un dono di mio padre, Sirius ha tutto il diritto di
tenerlo, anche se…”
“Anche se?”
“Beh… non
è il mio pensiero, Sirius, lo sai, ma… alcuni
Maghi del Nord potrebbero non… apprezzare…
diciamo così… che un anello simile stia sulle
mani di un…”
“Di un...?”
Mirzam mi posò la mano sulla spalla, io lo guardai inquieto,
Rodolphus continuava a rigirarsi l’anello tra le dita, come
un gatto fa con la sua preda: sembrava lo stesse studiando, e allora
capii, cercava di ricordare se era proprio l’anello che aveva
tenuto a lungo suo padre e che io…
“Lo sai, lo sanno
tutti… A nessuno fa piacere che un Black sia finito nella
casa di Godric Grifondoro, ma per loro, per i Maghi del Nord, questo
è un fatto oltremodo grave, perché la
Confraternita è devota a Salazar fin dalla notte dei
tempi… Forse dovresti rendere questo anello,
ragazzino... prima che il tuo adorato padrino passi dei guai
con i suoi amici, a causa tua, dico bene, Mirzam?”
“No, Rodolphus,
l’anello è di Sirius… e mio padre non
vuole vedersi imporre l’altrui
volontà…”
“Beh…
ma… resterebbe una cosa tra noi, dico bene, Sirius? Se te lo
chiedesse, tu potresti dire ad Alshain Sherton che hai
semplicemente… perso… il suo prezioso
anello… In questo modo lo toglieresti
dall’imbarazzo di dovertelo chiedere e… dai guai
in cui lo metteresti se i suoi amici sapessero di
quest’anello in mani…
inadatte…”
“Lui l’ha affidato a
me, non voglio passare per un incapace che non sa mantenere un
impegno... ”
“Non credo che qualcuno si
aspetti più molto da te, ragazzo… ahahah...
”
“Lestrange…
smettila! Sirius… in questo momento non so ancora cosa sia
meglio fare… non sapevo che avessi tu questo
anello… facciamo così, finché non so
come si comporterebbero gli altri, lo terrò io…
ma te lo renderò appena si saranno calmate le acque,
d’accordo? Te lo prometto… Per adesso,
però, se te lo dovesse chiedere… dovresti dire a
tuo padre o al mio che l’hai lasciato nel baule, a
Hogwarts…”
“Di sicuro hanno visto quando
sono arrivato, che l’avevo con me…”
“Allora dirai che
l’hai perso qui in casa, stasera, così quando lo
riavrai, non dovrai inventarti troppe scuse… ora
però, per favore, posso chiederti di prestarmi il tuo
anello?”
Lo fissai… l’avevano già,
perché dovevo concedere loro il permesso di tenerselo?
“D’accordo…”
“Troverai la ricompensa delle
tue buone azioni quando meno te l’aspetti, Sirius
Black… per ora… grazie…”
Mirzam se ne andò, portandosi dietro quell’idiota
di Lestrange: lo odiavo, odiavo tutte le persone che quella sera mi
avevano trattato come uno straccio e odiavo Rodolphus come simbolo di
tutti loro… Ora non avevo più nemmeno
l’anello di Alshain, l’unico simbolo di quel futuro
che ero stato a un passo da vivere e che ormai, ne ero certo, non mi
sarebbe appartenuto più. Misi la mano nella tasca,
per leggere l’ora dall’orologio che mi aveva
regalato zio Alphard, per il mio ultimo compleanno: quando lo estrassi,
sentii cadere qualcosa a terra, mi chinai, raccolsi qualcosa di verde
che brillava acceso dalle luci ormai smorte del caminetto. Era
una pietra, una pietra verde, di forma quasi completamente sferica, uno
smeraldo, in tutto e per tutto simile, ma di dimensioni ridotte, a
quello che campeggiava tra le fauci dei serpenti a Herrengton sullo
stemma di pietra degli Sherton.
Troverai la
ricompensa delle tue buone azioni quando meno te l’aspetti,
Sirius Black…
Era davvero stato Mirzam Sherton a darmelo, materializzandolo quando mi
aveva messo la mano sulla spalla? E se sì,
perché l’aveva fatto? Che significato
aveva quello smeraldo? Lo rigirai tra le dita, pieno di
domande, sicuro che difficilmente avrei avuto risposte.
Non dire mai
a nessuno che ora è in mano tua… Proteggilo a
costo della vita, qualsiasi cosa accada…
Ricordati… devi proteggerlo a costo della
vita…
Phineas sparì di nuovo dalla cornice, per un attimo mi
chiesi se l’avessi sentito davvero o l’avessi solo
sognato. Rientrai nella sala, mio padre era impegnato con Alshain e i
suoi amici, Regulus finalmente parlava con Meissa, ma lei, appena si
accorse di me, non mi staccò più gli occhi da
dosso per tutto il resto della sera. Rodolphus, eccitato come
un bambino la mattina di Natale, teneva banco parlando di politica con
la sua combriccola, Bella, come sempre, fissava con odio gli Sherton,
Rigel sospirava spiando Narcissa, corteggiata da Lucius, mia madre
infastidiva Deidra. Tutto sembrava come sempre uguale e immutabile.
Solo dentro di me, avevo la percezione che tutto stesse correndo
velocemente, verso il compimento di un misterioso destino
già scritto.
*continua*
NdA:
ciao a tutti, volevo avvisarvi che ho iniziato a scrivere lo spin-off
riguardante l'età dei fondatori, in cui vedremo
più da vicino alcune delle stranezze degli Sherton, come la
loro storia si sia legata a Salazar, ecc ecc. Ho preferito la forma
dello spin-off a quella dell'intermezzo così la narrazione
di That Love non resterà bloccata per mesi e io
potrò aggiornare le storie con calma. Se vi interessa, "That
Love - Old Tales" si trova qui.
L'immagine
a inizio capitolo è di LM Rourke. E
ora, con i consueti ringraziamenti a quanti hanno letto e recensito,
aggiunto a
preferiti, seguiti, ricordati, ecc… vi
saluto... a presto.
Valeria
Scheda
Immagine
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