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Autore: Terre_del_Nord    10/06/2010    32 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is
Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Storm in Heaven - III.003 - Il Dono

III.003


Regulus Black
Diagon Alley, Londra - dom. 19 dicembre 1971

    "Regulus!"

Mi voltai, appena sentii la voce imperiosa di mio padre: a pochi passi da me, l'aria arcigna e l’andatura molto più marziale del solito, si avvicinava rapido, cupo come una nera notte di tempesta, intabarrato nel suo mantello scuro con i risvolti di pelliccia, il bastone con la testa d’argento e il cappello ben calato sugli occhi. Solo. A vederlo così, con gli occhi foschi che sembravano lanciare fulmini, un brivido di paura mi percorse la schiena, e scese giù fino ad annodarmi la pancia: mio padre mi aveva detto di attenderlo nel negozio... ed io invece...  solo in quel momento mi resi conto di aver sbagliato e che di certo mi avrebbe punito.

    "Alla buon'ora, Orion! Si può sapere che fine avevi fatto? E Sirius? Dov'è?"

Già… dov'era mio fratello? Immaginai che la mamma gli avesse impedito di... Lei non voleva che io… gli dessi retta. Non voleva che mi parlasse della scuola e degli ultimi mesi. Ed io sapevo che aveva ragione, perché era davvero vergognoso per tutti noi che lui fosse finito a… Lui, però… lui era un guastafeste, un odioso borioso, una sciagura. Senza contare che per colpa sua avevo preso tante punizioni in passato che di certo non meritavo, ma... Era anche bello giocare con lui, aveva sempre tante idee nuove per combattere la noia dei pomeriggi opprimenti, al 12 di Grimmauld Place, e mi coinvolgeva sempre in certe avventure che… Forse un pò mi costava ammetterlo, ma... mi era mancato davvero tanto in quegli ultimi mesi… perché lui… Nonostante tutti i suoi difetti… Era mio fratello…

    "Mi sembrava fossimo d'accordo... l'appuntamento era da Madam Malkin!"
    "Hai ragione, ma... siccome non arrivavi mai e Regulus non doveva provare dei vestiti… invece che tra pizzi e lustrini ti abbiamo atteso qui fuori, per avvantaggiarci sulla scelta dei regali…"

Alshain, gli occhi sornioni fissi su mio padre, mi teneva ancora la mano sulla spalla, con presa forte e sicura: sembrava deciso a non mollarmi nemmeno ora che, con l'arrivo di papà, erano finiti i suoi obblighi di tutore. Mio padre, di solito, partiva per primo con la Metropolvere, poi toccava a Sirius e infine a me, sotto la supervisione della mamma, ma quel giorno, sapendo che dall'altra parte c'era il mio padrino ad attenderci, aveva variato la procedura abituale. All'inizio non avevo nemmeno pensato che potesse esserci qualcosa di sbagliato, troppo l’entusiasmo che mi aveva scatenato l'invito di Alshain ad attendere gli altri davanti alla vetrina di "Articoli di Prima Qualità per il Quidditch" di mr. Jonas Casey, ma ora mi rendevo conto che, anche se ero col mio padrino, avevo disubbidito a mio padre e un senso d’inquietudine e terrore sembrava non volermi lasciare più.

    "Salazar! Walburga avrebbe pensato subito a un rapimento! Di questi tempi, poi…"
    "Suvvia, Orion, calmati! Mi assumo tutta la responsabilità… Sono il suo padrino, ricordi? E comunque non è successo nulla! Abbiamo lasciato detto all’elfo del negozio dove potevi trovarci… ci siamo limitati ad attraversare la strada e ci siamo fermati in un posto ben visibile... Andiamo… Ci siamo solo fatti un'idea sui regali di Natale, so bene che non ami perdere tempo dietro a questioni del genere…”

Vidi l’occhiataccia che mio padre gli riservò e, come risposta, il sorriso pieno di Alshain: era vero, se c’era qualcosa che mandava fuori di testa mio padre era l'indecisione, in particolare diventava una belva quando io o mio fratello gli facevamo perdere il suo preziosissimo tempo con quelli che lui chiamava "i nostri capricci"! Lentamente parve tranquillizzarsi, poi, controvoglia, fece un piccolo cenno di assenso, convenendo anche lui che era stata la decisione migliore, rimanendo però a lungo con un’espressione indispettita, perché amava avere sempre l’ultima parola su tutto. Almeno quando la controparte non era mia madre.

    “Torniamo a noi, Regulus… quel set che hai visto è perfetto, contiene tutto quello che ti servirà per tenere pulita e perfetta la tua scopa da Quidditch! Ma… Natale non si celebra tutti i giorni… e ora che finalmente possiamo entrare, sono sicuro che dentro troveremo qualcosa di più adatto all’occasione… Allora? Ti va di seguirmi?"

Stavolta, prima di rispondere di nuovo di sì, entusiasta, guardai mio padre, per avere il suo permesso, anche se temevo che mi dicesse di no, solo per punirmi della disubbidienza di prima, invece, esasperato per la nuova idea di Sherton, annuì senza fare storie, bofonchiando quello che poteva sembrare un insulto nella lingua del Nord. Sapevo che papà non era uomo da esprimere in un modo tanto inelegante il proprio malcontento, perciò, quando Alshain gli sorrise con un'aria divertita e beffarda, ed io compresi che quello era proprio un insulto bello e buono, dalla sorpresa rimasi per qualche istante a bocca aperta, fissandoli, poi, mentre ancora continuavano con i loro duelli verbali e non si decidevano a entrare, tornai ad ammirare la scopa in vetrina.

    "Non mi hai ancora detto che fine ha fatto Sirius..."
    "Che fine vuoi che abbia fatto! Ha preferito restare a casa! Lo sai anche tu com’è fatto…"
    "Oh sì, certo che lo so... per questo immagino che abbia scelto lui di restare a casa, invece di uscire con noi!"

Attraverso il riflesso sulla vetrina, vidi Alshain riservare a papà un'altra occhiata gelida e lui rispondere con un'alzata di spalle, io mi morsi appena il labbro, attonito, lo sguardo che scivolava via dalle forme armoniose della scopa da Quidditch usata dai giocatori della Nazionale, per salire a guardare i miei stessi occhi, cupi di delusione. Strinsi i pugni.

    Quell’inutile idiota! Lo sapevo!

Lo sapevo che avrebbe rovinato tutti i miei piani: avevo insistito tanto con nostro padre, per settimane, perché rimandasse fino all’ultimo quella giornata di commissioni! In questo modo saremmo usciti insieme, avremmo passato una giornata intera a Diagon Alley, nel pieno del clima natalizio, a comprare dolci da dividerci poi in camera sua... e invece quello stupido… restava a poltrire a casa! Non gli interessava di me... no, non gli interessava per niente di me... Altrimenti sarebbe uscito... nonostante tutto… Altrimenti sarebbe sceso in tempo per cenare con me, la sera prima... Altrimenti... non avrebbe mai permesso a quel dannato cappello di…

    "Immagino che tu abbia letto il Daily, stamattina: stanotte c’è stato un pò di caos qui in città e un Auror... forse ne dovremmo parlare... "
    "Abbiamo tempo stasera, per parlare di queste cose, Orion, ora rilassati, godiamoci questa bella giornata di sole in pace…"
    "No, a casa mia, alla festa, ci sarà... no, stasera, non si può... è davvero importante che ne parliamo subito..."
    “Io invece voglio parlarne più tardi…”

Alshain, perentorio, lo superò di malagrazia senza aggiungere altro, passò in mezzo a un gruppetto di ragazzini dallo sguardo sognante che ammiravano la divisa dei giocatori della Nazionale, nella vana speranza di commuovere i genitori e farsi acquistare almeno la copia di un paio di guanti, e si assicurò che lo seguissi, fino ad arrivare al “sancta sanctorum” del negozio e trovarci faccia a faccia col titolare. L'uomo, sui sessanta anni, radi capelli fulvi sparati per aria e un paio di occhialini sottili e trasparenti, il fisico asciutto e atletico di chi ha sempre condotto una vita sana e attiva, ci accolse con un sorriso vittorioso ben sapendo che, se già fino a quel momento aveva avuto una giornata fruttuosa grazie alle festività e alla chiusura della scuola, l'arrivo del mio padrino significava notizie davvero splendide per il suo conto alla Gringott.

    "Salve Jonas, vedo che è un’ottima giornata per i tuoi affari… perciò non ti faremo perdere tempo... siamo qui per gli articoli di cui ti ho parlato l'altro giorno… "

L'uomo annuì e sparì dietro dei pesanti tendaggi di broccato rosso, io mi guardavo attorno ammirato: ero stato altre volte in quel negozio al seguito di zio Alphard o nelle rare occasioni in cui nostro padre aveva deciso di darci ascolto. Ovunque c'erano alti scaffali di legno antico, ovunque vetrinette illuminate da luci azzurrine per esaltare i dettagli di scope, caschi, guanti e boccini, ma non ero mai entrato nel settore degli articoli da collezionismo, autentici e rari, nel quale si muoveva solo il proprietario, senza l'ausilio di alcun elfo. Mi guardai attorno, era talmente pieno di oggetti meravigliosi, che avrei desiderato restare a vivere lì per sempre. La mano di Alshain sulla mia spalla riportò la mia attenzione al tavolo di fronte a me, dove il signor Casey, appena ritornato, aveva deposto una scatolina e ora la stava aprendo.

    “Avanti, Regulus, provali e dimmi che ne pensi... vedrai che sono proprio della tua misura...”

Alshain sorridente mi porse un paio di guanti di cuoio scuro, con le cuciture argentee e le effigi del Puddlemere stampate sui dorsi, su cui spiccava, sempre in argento, una firma: io non potevo crederci, non erano guanti qualsiasi, erano i guanti di Terence Desmond Appleton, il leggendario Cercatore che aveva portato alla vittoria il Puddlemere negli anni 40 e la cui specialità era afferrare il Boccino appena pochi minuti dopo l’inizio della partita. Gliene avevo parlato alcune settimane prima, non avevamo nemmeno approfondito il discorso, gli avevo detto soltanto che Appleton era il mio mito ma Alshain doveva essersene ricordato lo stesso e ora... Li provai, con stupore mi accorsi che mi stavano perfettamente, anche se non era possibile.

    “Come…”
    “C’è un piccolo incantesimo di adattamento, che ti permetterà di usare i guanti fin da adesso, e li renderà compatibili alle tue dimensioni a mano a mano che crescerai..."
    “Salazar! È bellissimo! Grazie, davvero… io…”
    “Sono sicuro che ne avrai cura e renderai loro giustizia, con il tuo impegno, Regulus… Per tuo fratello, invece, ho ordinato questa… J.T. Manson è il suo eroe perciò per Natale avrà la pluffa autografata con la quale ha atterrato il Cercatore dei Tornados, vincendo il campionato, due anni fa… Tanto dubito che, pigro com’è, gli articoli di vestiario sportivo gli serviranno mai a qualcosa…”

Avevo notato che aveva lanciato uno sguardo irridente a papà quando aveva definito Sirius pigro, ma a me ormai non importava più niente, di nessuno, tutto lanciato com'ero nelle mie fantasie: già immaginavo l’invidia che avrebbero provato tutti quando avessero visto il mio nuovo regalo! Non solo... ero più che certo che, appena avessi avuto l'età per entrare in squadra, a Serpeverde, avrei portato alla vittoria la mia Casa, proprio indossando quei guanti...

    I guanti di una leggenda…

    “E ora… prima di andare… eccolo! Ti ringrazio Jonas, so che di solito non fai uscire l'originale dalla Gringott, per questo volevo che ci fosse anche Sirius… beh… sarà per un'altra volta... Guarda Regulus: il Boccino di cui ti ho parlato tanto... La sua superficie è solcata dalle firme di tutti i Cercatori della Nazionale, dall'inizio dei campionati mondiali... puoi toccarlo e ammirarlo... Immagina... immagina il giorno in cui ci sarà anche la tua firma, su questo Boccino d'oro!"

Guardai mio padre che annuì, lo presi in mano, sentii forte la vibrazione trasmessa dalla superficie quasi completamente increspata da sottili firme dorate: non si vedevano bene quei nomi, almeno non senza praticare un incantesimo “Engorgio” sul Boccino, ma sembrava di sentirli sussurrare, tutti quanti, uno dopo l'altro. Nomi pieni di leggenda, di onore e di gloria... più di ogni altra cosa, avrei voluto che anche il mio, un giorno, fosse pronunciato insieme con quello di così tanti campioni, avrei desiderato essere ammirato per le mie imprese, diventare immortale, proprio com’era accaduto a tutti loro. Certo, in quanto Black, la mia persona avrebbe comunque suscitato invidia nel prossimo, ma per la prima volta, immaginai quanto potesse essere ancor più meraviglioso suscitare l'ammirazione per qualcosa che fosse soltanto mio, per me stesso e per le mie qualità. Per la mia bravura. Come diceva mia madre, anch’io un giorno avrei dovuto contribuire a tenere alto il nome dei “Toujours Pur” con le mie scelte: di colpo immaginai che, se mi fossi impegnato con tutte le mie forze, il Quidditch poteva diventare più di un semplice gioco, per me. Poteva diventare la mia strada, la mia vita, il mio contributo alla leggenda della mia famiglia.

*

    "Allora ragazzo mio, immagino quanto sarai emozionato... Ormai manca poco più di un giorno…"

Appena usciti dal Ghirigoro, immersi, per strada, nella folla frettolosa, eravamo tutti intorno a Mirzam, cui mio padre continuava a stringere la mano e far complimenti su complimenti. Per gli Sherton, Orion Arcturus Black non era un padrino aperto e pieno d’iniziative come Alshain lo era per me e mio fratello, ma era comunque evidente quanto, dietro quella corazza di disinteresse che riservava al resto del mondo, li avesse a cuore. Con una punta di amarezza a volte arrivavo alla conclusione che tenesse più a loro che a noi, i suoi stessi figli, allora ricordavo le parole della mamma, che mi diceva sempre che da un vero Black ci si aspetta anche questo, un atteggiamento distaccato e impassibile, perché i sentimenti sono un segno di debolezza e non ci si può mostrare deboli agli altri, nemmeno se gli altri sono la nostra stessa famiglia. Cercavo sempre di seppellire nel profondo dell’anima quelle parole, perché, pur riconoscendole giuste, mi mettevano tanta tristezza: dopo aver visto a Herrengton la vita quotidiana degli Sherton e il rapporto che c’era tra loro, a volte, tra me e me, mi chiedevo se mostrarsi forti fosse sempre la cosa più importante. Usciti dal negozio di mr. Casey, avevamo incontrato Rigel, sfuggito da “Madame O” con lo stesso entusiasmo di un evaso da Azkaban, perché sua madre aveva imposto a lui e a Meissa la prova vestiti, necessari alla cerimonia e alle mondanità dei giorni seguenti, ma lui considerava tutto questo solo una perdita di tempo. Dopo una breve ramanzina di Alshain, interrotta un paio di volte dai commenti ironici di mio padre, avevamo fatto rotta al Ghirigoro, per comprare alcuni libri che Alshain voleva regalare a moglie e figli; qui, mentre mi avventuravo con Rigel nel reparto dedicato alle leggende del Quidditch, avevo assistito a un episodio singolare: il giovane Sherton aveva salutato un ragazzino poco più grande di me, mingherlino e nervoso, con un cipiglio poco amichevole stampato in faccia, il naso grosso e incurvato, la vocetta strascicata e degli allucinanti capelli unticci. Mi ero fermato e voltato subito, fingendo di non essermi accorto di nulla, spaventato dalla possibilità che Rigel mi chiamasse e mi costringesse a salutare e a presentarmi a quel “soggetto”, poi appena mi sentii al sicuro, appostato per bene tra gli scaffali, studiai da lontano la situazione, avendo cura che non si accorgessero che li stavo spiando, iniziai a prendere via via libri diversi, fingevo di sfogliarli, in realtà, con la coda dell'occhio, seguivo la scena e facevo le mie congetture. Quando, alla fine, Rigel si era allontanato, avevo visto che il ragazzino era stato avvicinato da una donna sciatta, dai lunghi capelli neri altrettanto unticci e la pelle giallognola, con un'aria arcigna che non aveva nulla da invidiare a quella di mio padre nei momenti migliori, la quale l'aveva trascinato via, senza troppe cerimonie, appena si era accorta della presenza di Alshain, cui il ragazzino non aveva mai staccato gli occhi da dosso. Tutto questo era molto strano e inspiegabile, non vedevo che relazione potesse esserci tra certa gentaglia e i miei amici, poi però, pur incuriosito, immaginando che cosa avrebbe detto la mamma di quelle persone, non mi curai oltre di loro e riemersi dagli scaffali, prima che mio padre si accorgesse che gli ero sfuggito di nuovo.
Usciti dal negozio, avevamo incontrato Mirzam, di ritorno dalla Gringott, in compagnia del marito di mia cugina, Rodolphus Lestrange: continuavo a trovarlo un personaggio losco e minaccioso, benché ormai fosse una presenza piuttosto abituale per me, infatti, da quando si erano sposati, Bella era venuta a farci visita a Grimmauld Place sempre e soltanto in compagnia di quel bellimbusto. All’inizio, prima che mio fratello partisse per la scuola, quei fugaci incontri erano stati motivo di noia, certo, ma anche fonte dei nostri siparietti, perché nessuno di noi due poteva sopportarlo e Sirius era bravissimo a scimmiottarlo, lo chiamava quell’“inutile, pomposo, stupido, pallone gonfiato” e lo imitava nel modo di camminare e di parlare, strappandomi tante risate. Ora però che ero da solo, mi restava solo la sensazione spaventosa che sapesse leggermi nel pensiero, perché ogni volta che incrociavamo lo sguardo, mi fissava a lungo, poi mi sorrideva beffardo ed io, se non fosse stato sconveniente, sarei volentieri scappato via, il più possibile lontano da lui. Cercai di reprimere i brividi e mi concentrai su Mirzam, non capivo come potesse frequentare un personaggio simile, lui sembrava così diverso! Avevo visto diverse sue partite nelle ultime settimane, era proprio bravo, e non ero solo io a dirlo, inoltre, benché non fosse un tipo espansivo quanto suo fratello, era sempre simpatico e gentile nei miei confronti. Quel giorno però era distratto e molto nervoso: non gli piaceva attirare troppa attenzione su di sé, lontano dai campi da Quidditch, lo sapevo, ma sembrava addirittura preoccupato e sulle spine, come se volesse piantarci tutti il prima possibile e fuggire. Mentre mio padre gli faceva i complimenti, Rodolphus lo osservava divertito, e Alshain e Rigel facevano battute, lui sembrava assente, forse vittima dell'emozione, forse preso da qualche dubbio: a casa avevo sentito la mamma dire più volte che stava commettendo un errore, che un vero Sherton non si sarebbe fatto trattare a quel modo da una ragazzetta qualsiasi, che quella Strega non era all'altezza della loro famiglia, come a suo tempo non lo era Deidra. Mio padre, di solito, a quel punto, chiudeva la discussione, con una serie di colpetti di tosse secchi e risentiti e mia madre, indispettita per l’interruzione, lo guardava male poi mi spediva a letto. Io non capivo quei discorsi: a me Deidra piaceva, e molto, e Mirzam non mi sembrava il tipo che si lascia convincere a fare qualcosa contro la propria volontà. D’altra parte per lui, quelli sarebbero stati giorni da passare interamente sotto il riflettore: già quella sera, in qualità di padrino, mio padre aveva organizzato per lui una cena a Grimmauld Place a cui aveva invitato tutti i nostri parenti e gli amici comuni. Mia madre era in ansia da giorni, tutta presa nei preparativi e, come al solito, a farne le spese erano gli Elfi, incapaci a suo dire di combinare qualcosa di buono, anche se a dire il vero, era lei che cambiava continuamente idea e gli Elfi, Kreacher in testa, si ammattivano per starle dietro. A poche ore dalla festa, non avevo idea di come sarebbe stata decorata la nostra casa, né quale sarebbe stato il menù della sera, solo di una cosa ero certo: a metà della festa, di fronte a tutti, mio padre avrebbe consegnato al suo figlioccio, come dono di nozze, una coppia di collane, due talismani rituali, fatti realizzare apposta da messer Yuket, il Folletto da cui si servivano da generazioni gli Sherton, usando una lega di platino, oro bianco e argento del Nord, in cui erano incastonate diverse gemme dalle proprietà magiche, distribuite attorno al classico smeraldo slytherin, così da infondere a quei gioielli un forte potere curativo. Non sapevo per quale motivo avesse commissionato quegli oggetti tanto particolari, quando esistevano decine e decine di reliquie Black d’inestimabile valore e indiscusso potere, che da sempre erano donate in segno di amicizia e alleanza, in occasioni simili, a esponenti di famiglie amiche. Da quando era stato annunciato quello strano “fidanzamento”, mio padre sembrava invece deciso a sorprendere tutti, persino Alshain: aveva condotto approfondite ricerche, studiato fin nei minimi dettagli le tradizioni più antiche del Nord, alcune delle quali, perse nella notte dei tempi, erano ormai sconosciute persino alla maggior parte dei Maghi della Confraternita. E alla fine i suoi sforzi erano stati ripagati, quando aveva scoperto le proprietà di questi particolari talismani, e le procedure per crearli: una volta, poche settimane prima, mi aveva portato da Yuket per farmeli vedere, a lavorazione quasi ultimata, e pur mancando ancora le pietre più preziose, erano già i gioielli più belli che avessi mai visto. All’improvviso, sul volto di Alshain, si stampò un bel sorriso che attirò rapidamente l’attenzione di tutti noi sull’oggetto del suo interesse: appena vidi Meissa, i capelli raccolti in una treccia corvina e stretta nel suo cappotto bianco, che si avvicinava al fianco di sua madre, diventai rubino e fui preso da una specie di panico, perché, già la sera precedente mi ero già ammutolito di colpo, vedendola, ma almeno c'era abbastanza buio da coprire il mio colorito imbarazzato, ora invece non avevo via di scampo. Il fatto che Lestrange mi stesse guardando e sembrasse intuire tutto quello che mi passava per la testa, peggiorava ulteriormente la situazione. Mei, al contrario, parve non interessarsi delle attenzioni non richieste di Lestrange e, dopo i rapidi saluti rivolti agli adulti, si avvicinò a me sorridente, mi prese per mano e iniziò a parlarmi a raffica, per sapere il più possibile di quei tre mesi passati lontano. Cercai di ritrovare rapidamente l'uso della parola, anche se era difficile dovevo farlo, non volevo che si accorgesse che ero ancora cotto di lei come durante l’estate, né che mi avesse rattristato vederla tanto delusa per l’assenza di mio fratello.

    “Prima di tornare a casa, ragazzi, faremo un salto anche da “Dulcitus”! È stato un piacere rivederti, Rodolphus, spero di avere modo di parlarti, stasera, a Grimmauld Place…”

Alshain gli diede la mano, Rodolphus lo salutò con i soliti modi pomposi e irritanti, poi in compagnia di un Mirzam particolarmente restio, scivolò furtivo tra la folla, diretti ai vicoli che portavano a Nocturne Alley, una zona malfamata in cui di solito si facevano acquisti al limite della legge. A volte, c’ero stato anch'io con mio padre, che periodicamente si avventurava laggiù per acquistare alcuni ingredienti per le sue pozioni, che altrove non erano in commercio: la prima volta che mi aveva portato nel negozio di Burgin, quasi quattro anni prima, vedendo degli oggetti che credevo esistessero solo nei miei incubi peggiori, avevo trattenuto a stento un grido di terrore, e da quel giorno mi ero sempre chiesto che tipo di pozioni preparasse mio padre nello scantinato. Da Dulcitus, mentre gli adulti ordinavano delle ricche confezioni di dolciumi e le facevano impacchettare in bellissime scatole o in carte da regalo, Rigel, Meissa ed io andammo in perlustrazione, decisi a dar fondo a tutti i nostri averi: a Herrengton, Rigel mi era sempre apparso un ragazzino adulto, interessante proprio perché pieno di esperienza, non mi ero mai reso conto che fosse poco più di un bambino, più grande di me di appena tre anni, ma in quel negozio, rapidamente, la realtà mi fu chiara, tanto era estasiato nello scoprire e assaggiare quelle squisitezze. Anche così, però, era bello avere uno come lui a farci da guida: mi fece provare delle specialità di cui ignoravo persino l’esistenza e che invece lui aveva già apprezzato a Mielandia, il negozio leggendario, il sogno di ogni giovane Mago o Strega, il vero motivo per cui ogni ragazzino dotato di magia desiderasse visitare Hogsmeade.

    “Assaggia queste Renne di Zucchero, Reg: sono squisite… Sirius se le ha fatte comprare a Mielandia un paio di settimane fa, da mio fratello… e me ne ha regalate alcune, per me sono buonissime…”

Lo disse con un tono che apparve disgustosamente dolce alle mie orecchie, anche se magari non era vero, e, da quel momento, decisi che avrei odiato per l’eternità le Renne di Zucchero! No, non era giusto! Io ero costretto a casa, ad annoiarmi con quell’odioso precettore, e loro due potevano stare insieme, vedersi, parlarsi, giocare, scambiarsi quelle stupide Renne! Persino stando in due Case diverse!

    “Allora? Che hai? Non dirmi che non ti piacciono le Renne?”
    “No, è che... io… io preferisco… quelle di cioccolata… sempre che quel tipo laggiù riesca a lasciarne qualcuna anche agli altri!”

Indispettito e nervoso, deciso a sfogare il mio malumore su qualcuno, le feci un cenno, verso un ragazzino paffuto, sicuramente Mezzosangue, dai capelli simili a fili di paglia, gli occhi acquosi, con due enormi baffi di cioccolata ai lati della bocca, per la disperazione della madre, che cercava inutilmente, a colpi di bacchetta, di togliere macchie di cioccolato che saltavano fuori da ogni parte, sul cappotto, sui guanti, sul cravattino, persino sul berretto di quell’imbranato. Meissa, però, non fece l’espressione divertita e disgustata che immaginavo, anzi, con mio estremo sconcerto, la vidi alzare la mano e salutare quel buffo individuo, il quale, vedendola, con gli occhi spaventati tipici di un topo beccato nel formaggio, divenne rosso fuoco e riuscì giusto a squittire un patetico “ciao”, prima di scappare a nascondersi dietro la forma inconfondibilmente babbana e corpulenta di suo padre.

    “Non vorrai dirmi che conosci quel tipo?”

Meissa annuì, senza alcuna espressione ironica in faccia, anzi, dal tono di voce che usò, fu subito chiaro che non mi avrebbe sostenuto se lo avessi preso in giro per il suo Stato di Sangue. Ero a dir poco perplesso.

    “Si chiama Peter, Peter Pettigrew... frequenta il primo anno, come me, e sta a Grifondoro…”
    “A Grifondoro? Non vorrai dire che… Con Sirius? Con mio fratello?”

Vederla annuire fu come prendere una violenta bacchettata sulle mani: di colpo misi a fuoco la realtà, capii quanta ragione avesse la mamma nel disperarsi per le sorti di mio fratello, perché solo in quel momento mi fu palese quale orrendo rischio corresse frequentando quel postaccio. Dovevo parlargli, dovevo assicurarmi che ascoltasse la mamma, che non desse confidenza a nessuno, che frequentasse solo i nostri amici Serpeverde e nostra cugina Narcissa. Quel Cappello pazzo l'aveva sbattuto lì, di sicuro per dispetto o per errore, e ormai non potevamo farci niente, ma era nostro compito aiutarlo, io dovevo aiutarlo, perché Sirius non doveva sentirsi solo, e non doveva dimenticare mai chi fosse... Sirius era e sarebbe sempre stato un Black. Sirius era e sarebbe sempre stato mio fratello.

***

Mirzam Sherton
Nocturne Alley, Londra - dom. 19 dicembre 1971

    “Sono piacevolmente sorpreso, lo ammetto... Avevo quasi perso la speranza, e invece... Eccoci finalmente qua... ”

Milord era in piedi, di fronte alla finestra, lo sguardo perso da qualche parte nel paesaggio circostante, Rodolphus ed io eravamo alle sue spalle, in piedi, a capo chino, pronti a ricevere ulteriori ordini, o, almeno nel mio caso, una punizione. Dovevamo fare il resoconto della notte appena trascorsa, ammettere che la ricerca non aveva dato i frutti sperati, anzi, la missione era stata priva di senso e noi c’eravamo salvati per il rotto della cuffia: l’unica cosa buona, almeno dal punto di vista di Rodolphus e di Milord, era che un Auror era rimasto ucciso, altri due, quelli che avevamo incontrato all’inizio, era come se lo fossero e molti altri erano stati feriti più o meno gravemente.

    “È stato solo un incidente, mio Signore… quell'uomo è caduto durante la lotta, io… io non l'ho gettato di sotto volontariamente… è stato… è stato solo un tragico incidente.”
    “Provvidenziale! Volevi dire provvidenziale, vero Mirzam Sherton? Perché è così che lo definirei io, se fossi in te... Provvidenziale…”

Milord mi fissò, io mi ammutolii di colpo, non sapevo come giustificare con lui i miei pensieri.

    “Quanto è accaduto questa notte ha semplificato di molto la tua vita e, in un certo senso, anche la mia. Non mi piace avere delle preoccupazioni, non mi piacciono le sfumature, il grigio, mi piace il bianco e mi piace il nero, soprattutto quest’ultimo… ciò che non tollero è l’imperfezione, l’incertezza, il dubbio… ed io ne avevo molti su di te, di dubbi, lo sai, Mirzam Sherton? Perciò ora rilassati... Non sei di fronte al Wizengamot, non devi nascondere le tue capacità e svilire le tue imprese, al contrario, è giusto esaltarle, felicitarsene… Perché d’ora in poi sarà tutto più semplice... te lo prometto… dopo la prima volta... tutto è più semplice… dico bene Rodolphus?”

Rodolphus al mio fianco ghignò appena, mentre io non riuscivo a tenere fisso lo sguardo in un solo punto: continuavo a guardarmi attorno, come una bestia in gabbia, volevo trovarmi lontano da lì, all’aperto, libero, non in quella stanza soffocante e spaventosa. L’appuntamento non era stato fissato in un luogo protetto, ma a Nocturne Alley, nel locale di un amico compiacente. Per la precisione, nel luogo che, ai miei occhi, era il meno adatto a un incontro del genere: eravamo proprio nella stanza in cui… ero già stato in quella stessa stanza, meno di dodici ore prima… mi ero calato da quella finestra ed ero scappato attraverso i tetti che Milord ora stava osservando. La situazione però, ora, era completamente diversa. Ora, la luce piena del mattino entrava dalla finestra e rendeva le linee nette, le rendeva meno pericolose, le rendeva comprensibili: non c’erano ombre in cui i fantasmi e i tormenti potevano nascondersi e prenderti alle spalle, era tutto chiaro, semplice, nitido… soleggiato. Le ombre continuavano a esistere, esistevano eccome: ma erano tutte dentro di me, non più intorno a me… Tutto era diverso... io ero diverso. Non potevo ancora crederci. Col passare delle ore, a mano a mano che l'adrenalina aveva finito d pomparmi violenta nelle vene e la lucidità si era fatta largo in me, mi rendevo conto di quanto era accaduto... finora ero sempre stato abile a tirarmi indietro o abbastanza fortunato da riuscirci. Non stavolta… No, non stavolta. Stavolta le mie azioni avevano prodotto effetti irreversibili, per colpa mia, anche se non per mia volontà, una famiglia che nemmeno conoscevo aveva perso una persona cara e per quanto cercassi di dirmi che non l’avevo fatto apposta, che mi ero solo difeso, che avevo provato ad attutire la caduta, che se non si fosse sbilanciato come invece aveva fatto... La colpa era soltanto mia. Milord si voltò di nuovo, di colpo, fissandomi addosso occhi color del sangue e dell’inferno.

    “La tua faccia contrita non si addice al momento, Mirzam Sherton… né si adatta al tuo matrimonio… Tra poche ore devi sposarti, no? E in circostanze del genere si fanno dei regali, dico bene Rodolphus? Perciò dovrei darti anch’io il mio regalo… solo che... devo trovare un regalo nuovo, diverso, adatto alla situazione… Rodolphus avrebbe dovuto darti ciò che tiene in mano, oggi, da parte mia, come dono di nozze... ma mi rendo conto che non è più il dono adatto a te…”

Guardai Rodolphus avvicinarsi con il braccio teso verso di me, guardai la sua mano guantata aprirsi, guardai l'oggetto che stava al centro del suo palmo... il cuore perse un colpo e la mente si annebbiò di nuovo.

    No, non è possibile… Come diavolo ha...

Li fissai, prima l'uno poi l'altro, atterrito, violenta la consapevolezza che dovevo fuggire, che era finita, che non avevo scampo...

    “Conosci questa moneta, vero, Mirzam Sherton? So che la consoci, so che conosci i suoi significati, la sua storia...  Lo leggo dal terrore nei tuoi occhi… No, non temere, non è più destinata a te... Mi hai dimostrato la tua fedeltà stanotte e sono sicuro che d’ora innanzi non avrai mai più dubbi su te stesso, sulla nostra causa, sulla nostra amicizia... Ora stai solo pensando... che cosa ci fa qui? L'ultima volta che l'ho vista era a casa mia, al sicuro, nel suo sacchetto, insieme a tutte le altre 665... Anzi no… Scusami… hai ragione: sono solo 663 ora, compresa questa, adesso. Le altre 3, quelle mancanti sono sotto sequestro, al Ministero, nell’Ufficio Misteri, in mano a qualche Indicibile, dopo essere state rinvenute tra i resti del rogo di casa Leach, qualche anno fa...”

Presi la moneta di Giuda senza toccarla direttamente, ma con un fazzoletto, come avevo visto fare a Burgin, senza riuscire a capire che cosa stesse accadendo: avevo rubato oltre tre anni prima quelle monete introducendomi di soppiatto nel negozio di Burgin, mentre provavo quel dannato armadio svanitore che Rodolphus mi aveva chiesto di cercare... Avevo approfittato per muovermi nella notte, insospettabile, avevo appiccato l'incendio a casa del Ministro, solo per fargliela pagare per le sue leggi ai danni della Confraternita... volevo solo spaventarlo, per questo avevo lasciato tre di quelle oscene monete... Quando avevo finito la scuola avevo portato le monete via dalla Stanza delle Necessità dove le avevo nascoste, per custodirle a casa, a Inverness, una cosa del genere non poteva certo essere depositata alla Gringott. Le avevo protette con numerosi incantesimi e avevo finito col dimenticarmi di loro… E adesso… non capivo come fosse riuscito a impossessarsene.

    “Dovresti custodire meglio i tuoi segreti, Mirzam Sherton! Dovresti curare l'inviolabilità della tua dimora almeno quanto curi quella della tua mente... perché ora nella tua casa custodirai tesori ben più preziosi di queste monete fasulle… una moglie e presto… dei figli…”

I suoi occhi sembravano fiammeggiare, sentii il terrore stringermi il cuore fino a farlo scoppiare... lo sapevo che non sarebbe servito a niente uccidere un uomo, e infatti non era servito assolutamente a niente.

    “Sei stato abile sai? Per anni non ho mai avuto alcun sospetto su di te! Sei da ammirare, per la tua iniziativa, per il tuo sprezzo del pericolo, per l’assoluta capacità di non commettere errori… a parte l’ultimo, s’intende… Recentemente sei diventato molto meno accorto, forse hai troppi pensieri, o è l’eccesso di sicurezza che ti rende così incauto?  Che cosa c’è che ti fa sottovalutare tanto i tuoi nemici?”
    “Io non capsico di cosa state parlando, mio Signore… Io non ho nemici…”
    “Non ha nemici… Hai sentito Rodolphus? Questo è ciò che si chiama ingenuità… o sarebbe meglio dire… follia? Se vuoi un consiglio, Mirzam Sherton, guardarti le spalle: non c’è nulla di più pericoloso di una strega ingannata…”

Rodolphus scambiò uno sguardo complice con Milord, poi con me, sapevamo benissimo di chi si stava parlando, anche se ancora non riuscivo a capire quando e come avesse fatto Bellatrix a scoprirmi.

    “Perché hai deciso di precluderci l'accesso a Hogwarts? Perché dopo aver trovato e sperimentato l’armadio l’hai reso inutilizzabile? Sapevi quanto era importante per noi entrare nella scuola...”
    “Io non ho… è stato un errore, mio Signore, uno stupido errore… Mi era stato chiesto di trovarlo, ma io… io volevo compiacervi, mio Signore, volevo fare di più, renderlo pronto all’utilizzo, provarlo su me stesso io, così che né voi né… rischiaste nei tentativi… ma... ho commesso un errore, Milord, credo di averlo danneggiato in qualche modo e... io... io ho avuto paura del vostro castigo mio Signore… e non ho detto niente... ho... sempre finto con Rodolphus di non averlo nemmeno trovato…”
    “E ora dove si trova?”
    “Quando ho lasciato Hogwarts, era ancora nella Stanza delle Necessità: non ho idea di dove si trovi adesso, era considerato da tutti un semplice armadio rotto…”

Milord tornò a guardare fuori, le mani strette a pugno e gli occhi fiammeggianti che percorrevano il cielo e i tetti sotto di noi.

    “Chiedi a Rabastan di controllare, Rodolphus… ma non dirgli più del necessario… non voglio altre iniziative personali… ho bisogno di quella dannata spada… La voglio! Il più presto possibile!”
    “Sarà fatto , mio Signore… Mio fratello Rabastan sarà onorato e felice di potervi servire…”
    “Devi istruirlo a dovere prima del suo ritorno a Hogwarts… non voglio altre perdite di tempo… puoi andare… quanto a te… tu no, Sherton… Mi dispiace che avvenga proprio ora, ma… devi pagare in qualche modo per questo disdicevole inconveniente…”

Annuii, vidi Rodolphus lanciarmi uno sguardo partecipe: per la prima volta mi chiesi se era mai stato punito, e nel caso, come facesse uno come lui ad accettare una cosa del genere, come poteva un Lestrange come lui, piegarsi a quel modo a un… No, dovevo trattenermi da certi pensieri, dovevo concentrarmi e liberare la mente da tutto quello che era pericoloso per me e i miei cari. Le rune rendevano forti rispetto al dolore, ma non conoscevo ancora la violenza e la ferocia di Milord, almeno non sulla mia pelle, non potevo sapere quanto si sarebbe spinto oltre, non sapevo se sarei stato capace di difendermi dal suo Legilimens, mentre mi torturava. Appena la porta si richiuse dietro di lui, alzai appena lo sguardo sulla figura nera che occupava tutto il mio campo visivo e incombeva su di me.

    “È spiacevole iniziare in questo modo la nuova fase della nostra amicizia, non credi, Mirzam Sherton?”
    “Lo merito, mio signore…”

Chinai lo sguardo, cercando di fingere al massimo la mia devozione e il mio dispiacere, in realtà era accettazione, perché mi era stato insegnato che il dolore fisico diventa più facilmente sostenibile se la mente ha il tempo, prima, di considerarlo giusto, accettabile, se riesce a motivarlo, giustificarlo…

    “Conosco la vostra abilità nel resistere al dolore, Sherton, e ora non ho tempo per verificare quanto sono vere certe dicerie su di voi… Inoltre non ho intenzione di punirti per un’azione avvenuta tanto tempo fa: sarà la mia clemenza, il mio dono per te, per la tua nuova vita… Ma mi dimostrerai la tua riconoscenza tra alcune settimane a Little Hangleton: la luna sarà piena il 30 gennaio e la notte successiva celebreremo Imbolc… insieme… rendi sacro quel giorno per me, Sherton… ed io ti accoglierò nella mia famiglia, stendendo la mia protezione su tutto ciò cui tieni… Ti ho già detto che abbiamo molto da dare l’uno all’altro… molto… Mirzam Sherton…”
    “Sì, mio Signore… vi ringrazio per la vostra clemenza, e…”
    “Molto bene… Ti auguro una lunga e felice vita insieme alla tua Sile… So che t’impegnerai in ogni modo per trasformare i tuoi sogni in realtà…”

Si smaterializzò davanti ai miei occhi, senza aggiungere altro. Mi ci volle qualche secondo per riprendermi, per capire che era finita, almeno per il momento, che per stavolta me l’ero cavata con poco, anche se le sue parole erano cariche di spaventose minacce. Dovevo verificare se mi aveva reso le monete e trovare un modo per disfarmene e soprattutto dovevo assolutamente affrettarmi a mettere in atto i miei piani. Dovevo agire quella sera stessa, non potevo aspettare il ricevimento a Herrengton. Dovevo avvicinare Sirius e pregare che tutto andasse al proprio posto.

***

Sirius Black
12, Grimmauld Place, Londra - dom. 19 dicembre 1971

    “Padrone ha atteso alle 19 in punto, seggnore…”

Alzai gli occhi su quell’odioso Elfo che mi guardava disgustato: di certo, per aver messo al collo un cravattino rosso-oro, agli occhi della sua adorata padrona ero scivolato a un livello addirittura inferiore al suo, e questo nella sua piccola mente bacata lo autorizzava a mancarmi di rispetto, fissandomi in quel modo che mi pareva tanto provocatorio. Ma tanto, a me, non importava più niente di nessuno, tantomeno di lui. Mi tirai su dal letto, indolente, la giornata alla fine era scivolata via ed io avevo avuto modo di ragionare: non era la prima volta che dovevo passare il mio tempo in totale silenzio, ma non era ancora capitato mai che ad accompagnarmi fossero dei pensieri tanto spaventosi e opprimenti. Avevo riflettuto sulle parole di mio padre, sulla sua teoria secondo la quale un Anello del Nord, nelle mie mani, le mani di Grifondoro, potesse costituire un problema per Alshain presso gli altri Maghi della Confraternita, ma i suggerimenti che mi aveva dato, su come restituirlo, di nascosto, a suo figlio, mi lasciavano piuttosto perplesso. Mi aveva anche detto che per nessun motivo dovevo farmi avvicinare o restare da solo con il marito di Bellatrix o con Bella stessa, e da questo avevo capito che probabilmente eravamo stati scoperti. Ero sempre stato curioso per quella storia, continuavo a chiedermi perché quell’anello fosse tanto importante per Alshain, e soprattutto, che fine avesse fatto dopo che glielo avevo riconsegnato. Sapevo però che non avrei mai avuto risposta e iniziavo a pensare che forse fosse meglio così. Avevo già sentito rientrare papà e Regulus, da circa un paio d’ore, avrei desiderato uscire dalla mia camera per bussare alla porta di mio fratello, parlare con lui, chiedergli com’era Diagon Alley e altre stupidaggini, ma mia madre aveva deciso di decorare per la festa persino l’ultimo piano e aveva voluto seguire personalmente i lavori degli Elfi sul nostro pianerottolo: di fatto, aveva trovato un altro modo per tenermi prigioniero in camera mia. Alla fine avevo deciso di non rischiare, con un po’ di accortezza e altrettanta fortuna, avrei provato ad avvicinarlo durante la festa: fino al mio arrivo, la sera prima, avevo persino dei bei regali da dargli, per Yule o Natale che dir si voglia, ma mia madre aveva fatto buttar via tutto, così ora non mi restava niente. Per fortuna mio padre era riuscito a salvare almeno i miei libri, i miei quaderni e parte dei miei vestiti, sostenendo che non fosse il caso di “…sprecare su quello lì anche degli altri soldi... ”. Ero rimasto a dir poco sconcertato. Mia madre non voleva oggetti provenienti dalla torre di Grifondoro, ma riguardo ai miei regali per Regulus, aveva sbagliato di grosso, visto che arrivavano niente meno che da un favore che avevo chiesto a Rigel Sherton: l’avevo pregato un paio di settimane prima di fare acquisti per me a Hogsmeade e lui mi aveva procurato una pipa per mio padre, un paio di orecchini per la mamma e per Regulus, dei dolci di zucchero a forma di renna e delle piume speciali, che gli sarebbero servite appena avesse messo piede a scuola… Ora mi chiedevo se sarei riuscito a spedirgli almeno il mio regalo di compleanno, l’avevo già ordinato e avevo speso metà delle mie fortune per far contento quella piattola… Forse era meglio chiedere ad Alshain di farglielo avere da parte mia…
Rattristato, avevo passato tutta la giornata a scavare tra le mie cose per cercare un oggetto che per me contasse molto e che mi facesse male dar via ma, appunto per questo, avrebbe avuto un valore particolare anche per mio fratello: alla fine avevo deciso che gli avrei regalato la bella scacchiera che zio Alphard mi aveva portato da un suo viaggio in India, fatta di legno di cedro e tessere d’osso. Avevamo litigato diverse volte per quella scacchiera, in passato, e ora era giunta l’occasione per non farla marcire nella mia cassapanca abbandonata e contemporaneamente farlo contento. Richiusi la scatola delle foto che avevo ammirato tutto il pomeriggio, avevo ritrovato la foto di Regulus me e mio padre a Zennor, che Regulus avevo lasciato in camera mia quando si era trasferito nell’altra stanza. L’avevo staccata dalla cornice e l’avevo messa dentro la scacchiera, volevo che la tenesse lui, perché era stato lui a trovarla tra le tante e volerla sempre tenere in bella mostra sulla scrivania. Era giusto che in mezza alla bufera che si era abbattuta su di noi, mio fratello avesse un ricordo di ciò che eravamo stati, e di quello che avremmo potuto essere ancora: di una cosa ero certo, non avrei rinunciato a lui tanto facilmente, su questo mia madre si stava sbagliando di grosso. Con un sospiro mi alzai, poi mi lavai e mi rivestii di tutto punto, appuntando però nel taschino interno della giacca, la spilla da Grifone: mia madre mi aveva fatto un’ispezione completa e aveva sequestrato tutto, ma chissà come, quella spilletta le era sfuggita. Per me quel fatto equivaleva a un segno: evidentemente era doveroso che io la portassi persino al cospetto dei Black, quella sera. Anche se nessuno l’avrebbe vista, non ero ancora così coraggioso da provarci, mi faceva sentire meno solo, mi faceva sentire i miei amici accanto a me, mi faceva sentire accanto la mia vera famiglia.


*

Grimmauld Place, quella sera, era bellissima. Sì, non c'erano altre parole per descriverla: era persino più bella, colorata e allegra, di come mi era apparsa il giorno del compleanno di Regulus, e allestita addirittura più sontuosamente che per qualsiasi altra festa mai organizzata lì dai nostri genitori. Me ne resi conto appena uscii dalla mia stanza, sul pianerottolo, notando le ricche decorazioni di fiori profumati e variopinti, e i nastri e le luci delle candele, che nuotavano e danzavano a mezz’aria. Le guardai a bocca aperta, al tempo stesso ammirato e perplesso, chiedendomi chi mai e per quale motivo, secondo mia madre, si sarebbe voluto o dovuto avventurare fin lassù, poi sorrisi tra me, pensando che stavo cercando un briciolo di logica nella mamma, una donna dal gusto così particolare e terrificante, da mettere delle decorazioni tanto belle persino sulle orride teste mozzate dei nostri Elfi. Sospirando, cercai di liberare la mia mente dall'immagine di quei volti deformi e decisi di pensare il meno possibile a lei... come se fosse un'impresa possibile. Placato un po' il terrore che provavo a causa sua, mi chiusi la porta alle spalle e mossi un passo: tanto prima o poi dovevo scendere e la cosa migliore era cercare di non farla avvelenare più del necessario. Proprio in quel momento, com’era già accaduto al mattino, appena uscii dalla mia, Regulus emerse dalla propria stanza, confermando il mio sospetto che origliasse o mi spiasse dalla serratura per poi saltare fuori al momento più opportuno: invece di seccarmi, come sarebbe capitato appena pochi mesi prima, sorrisi. Evidentemente, nonostante tutti gli improperi che di sicuro nostra madre mi aveva scaricato addosso in mia assenza, ero riuscito a “contagiare” un po', con i miei modi, il suo principino, che ora appariva un po' meno perfetto del solito! Mi sorrise anche lui, gli occhi luminosi e furbi: sapevamo entrambi che i nostri genitori sarebbero stati troppo impegnati con gli ospiti quella sera, per starci sempre addosso, perciò bastava aspettare con pazienza il momento giusto e avremmo potuto finalmente parlare tra noi, in pace, come desideravamo entrambi. Ero convinto che mio fratello morisse dalla voglia di farmi duemila domande su Hogwarts, ed io da parte mia, volevo sapere cos'era davvero successo a casa dopo il primo settembre. Ero stato uno stupido, sì, me ne rendevo conto solo ora, a restare chiuso in casa, quella mattina, e non perché avessi perso l'occasione di visitare Dulcitus o rivedere Meissa, ma perché non avevo passato, con lui, una serena mezza giornata, entrambi finalmente lontani da nostra madre.

    “Vieni qua, piattola, hai il cravattino allentato... ”

Non era vero, non capitava in pratica mai che Regulus si presentasse in pubblico con qualcosa fuori posto, ma ormai era un'abitudine: fin da piccoli, prima di uscire dalla nostra stanza, lo controllavo io, perché apparisse, agli occhi della mamma, come lei desiderava, una “bambola” perfetta. Solo che a volte, in effetti… quand'eravamo più piccoli, mi ero divertito spesso a mettergli storto il cravattino, o ad allentargli un po' la camicia fuori dai pantaloni, o a spettinarlo, per farlo arrabbiare, e soprattutto per far perdere la pazienza a nostra madre. Ero stato uno stupido, forse, anzi, sicuramente, ma era così buffo vedere il suo musetto tanto serio e composto diventare di colpo furente! Eppure, continuava a caderci: ogni volta che mi avvicinavo a lui, benché ci fosse un'alta probabilità che alla fine ci ritrovassimo entrambi in punizione, Regulus mi lasciava fare. Forse sapeva che gli volevo bene e che quello era solo il mio modo di condividere qualcosa con lui, qualcosa che fosse solo suo e mio, che ci rendesse diversi da tutti gli altri della nostra famiglia. Qualcosa che ci ricordasse che eravamo, ancora, solo dei bambini. Anche quella sera, con una certa sorpresa e un notevole sollievo, benché fossimo entrambi cresciuti e mia madre dovesse avergli fatto le stesse pesanti pressioni che stava facendo a me, instillandogli il dubbio che io non fossi più nemmeno un vero Black, vidi che mi lasciava fare. Che si fidava, ancora, di me. Avrei voluto abbracciarlo, con quel trasporto e quella naturalezza che invidiavo tanto agli Sherton, per fargli capire quanto mi fosse mancato e quanto fossi felice di averlo di nuovo vicino a me, di poterlo di nuovo guardare senza dover ricorrere agli stupidi sotterfugi di quel mattino. Eravamo, però, due Black e probabilmente non avrebbe gradito o non avrebbe capito, di certo l'avrei turbato, così decisi di passargli semplicemente la mano sulla spalla sentenziando “Ora sei a posto”, poi lasciai che i miei occhi indugiassero nei suoi. Non era passato molto tempo, eppure notai subito che mio fratello era già un po' diverso, non solo perché era appena un po' più alto e i suoi capelli erano pettinati indietro con ancora più rigore del solito: aveva una luce nuova nello sguardo, una nota più adulta, che contrastava con la morbidezza ancora bambina dei suoi tratti. Mi chiesi preoccupato che cosa avesse dovuto sopportare in quei pochi mesi di lontananza, temendo, per la prima volta, che la mamma se la fosse presa anche con lui, a causa mia.

    “Va tutto bene, Reg?”
    “Va tutto bene, certo, se ci decidiamo a scendere… È già tardi, e se non ti muovi, li faremo arrabbiare… di nuovo...”

Annuii, era vero, era meglio farci vedere, prima che i nostri genitori iniziassero a inquietarsi: dai piani bassi sentivo salire delle voci, che non riuscivo ancora a riconoscere, di sicuro c’erano almeno due uomini e un paio di donne, ma non si trattava dei nostri genitori. Tesi bene l’orecchio, sperando di cogliere la voce di Alshain o di qualcuno della sua famiglia, invano: sapevo che se fossero stati presenti al nostro ingresso, non ci sarebbe capitato nulla di traumatico, perché in pubblico la mamma al massimo ci avrebbe fissato con una delle sue occhiatacce minacciose, ma non avrebbe detto niente di sconveniente. Quando arrivammo in fondo alle scale, incrociammo nostro padre che entrava nella stanza attigua alla Sala dell'Arazzo, reggendo con entrambe le mani una specie di ampio vassoio avvolto in quello che sembrava un lenzuolo: appena ci vide, la sua espressione da assorta e normalmente disinteressata si fece arcigna, nascose dietro di sé l'involucro misterioso, poi rapido tirò fuori la bacchetta e la puntò verso di me, con un colpo lieve di polso mi annodò la cravatta più stretta e con un altro rese diritte e perfette le pieghe dei miei pantaloni, infine si rivolse a Regulus ma, trovandolo già in ordine, non gli fece niente.

    “Mi sembrava che vi fosse stato ordinato di scendere cinque minuti fa, o sbaglio? I vostri nonni sono già arrivati! Vi avverto: questa sera ci saranno tutti, parenti e amici importanti... Se non vi comporterete come si conviene a dei Black... tutti e due... domani resterete qui da soli con Kreacher e al mio ritorno farete i conti con me! Tutto chiaro, Sirius?  Vale ancora quello che ti ho detto questa mattina! E ora... via! Andate a salutare gli ospiti!”

Mio fratello non se lo fece ripetere, io annuii riluttante: mio padre mi fissò con uno sguardo talmente gelido e duro che mi convinsi all'istante di aver solo sognato o delirato, la notte precedente, quando avevo creduto di averlo visto entrare nelle nostre stanze per darci la buonanotte. Lo guardai riprendere il misterioso “vassoio”, entrare nella stanza e richiudersi la porta alle spalle. Non mi aspettavo che mi colpissero tanto le sue parole, erano sempre le stesse ed io avevo smesso da tempo di starlo a sentire, ma quella sera... Aveva davvero chiesto anche a me di comportarmi da Black? Avevo temuto per mesi che non mi avrebbe nemmeno riammesso a casa e, dopo quanto successo al mio ritorno, con la mamma, non credevo che mi permettessero di mettere il naso fuori dalla stanza, figurarsi partecipare a una festa in cui c’erano tutti! Tra l'altro le mie non erano paure prive di fondamento, o relative alle reazioni estremiste della mamma: mio padre era stato molto chiaro, prima della mia partenza, sul fatto che il diritto di essere trattato come uno della famiglia decadeva appena si mancava di rispetto verso i dettami dei “Toujours Pur”. E se non ero andato io contro le regole di famiglia, finendo smistato a Grifondoro... Un brivido di paura mi percorse la schiena. Se ormai ero troppo imperfetto, ai loro occhi, per mantenere i diritti naturali di un Black, al punto che mia madre mi aveva fatto chiaramente intendere che valevo meno della tovaglia logora che indossava Kreacher, perché mio padre continuava a impormi tutti i doveri che competevano ai membri della mia odiosa famiglia? Era solo per evitare ulteriori chiacchiere su tutti noi, o forse credeva, al contrario della mamma, che ci fosse ancora una via d'uscita per me? Che potessi ancora redimermi? Magari pensava che ci fosse una giustificazione per quel cravattino, che quanto era accaduto non dipendesse da me e dalla mia volontà, ma fosse solo un tragico sbaglio? A volte volevo crederlo anch’io, ma sapevo che non era così: all'inizio ero rimasto sconvolto e spesso ero ancora spaventato dalle conseguenze, perché vedevo come mi guardavano e mi trattavano tutti, però, giorno per giorno, stava rafforzandosi in me la consapevolezza che ero finito proprio dove volevo stare, che Grifondoro era la mia vera casa. Quando riflettevo nel buio del mio baldacchino, mi rendevo conto che quella era solo una tappa di un lungo cammino intrapreso già da tempo, da quando avevo sentito, in me, la volontà di essere diverso, più vivo, più vero, di tutti loro. Da quando avevo percepito l'odio che scorreva nelle vene degli altri, insieme al sangue puro, e avevo deciso che non avrei mai voluto nutrirmene anch'io. Con un certo disagio, temendo che entrando gli altri potessero leggermi negli occhi questa verità esaltante e spaventosa, seguii Regulus nella Sala dell'Arazzo: ad attenderci, oltre la porta, con i primi ospiti, c’era nostra madre, bellissima e terribile come al solito. Repressi per quanto possibile il desiderio di fare marcia indietro e nascondermi di nuovo, affrontai quel momento, ripetendo la promessa che mi ero fatto: non gliela avrei più data vinta, non avrei più pianto per lei. Mai più.
Per fortuna nemmeno ci vide entrare, presa com'era dagli ultimi dettagli: stava infatti rimproverando un'Elfa perché i centritavola non erano perfettamente centrati. Mi guardai attorno, sollevato: le voci che avevo sentito si rivelarono quelle dei nonni e di zia Lucretia. Notai anche gli effetti dei lavori di magia messi in opera da papà per accogliere i nostri numerosi ospiti: doveva aver ridotto le dimensioni e il volume della stanza attigua per allungare e allargare la Stanza dell'Arazzo di oltre una buona metà. Non era la prima volta che lo vedevo compiere un'operazione simile e sapevo che lo faceva sempre con un'aria disgustata stampata in faccia. Anche se un Black non doveva mai mostrare le proprie emozioni, avevo capito che lui odiava Grimmauld Place almeno quanto la odiavo io, seppur per motivi diversi: col tempo avevo intuito che, fosse dipeso da lui, noi saremmo nati e cresciuti a Zennor, dove lui avrebbe passato giornate intere a caccia o nascosto nei sotterranei, per non incrociare nessun altro della nostra famiglia. La mamma, invece, nonostante la vicinanza dei Babbani, era estremamente orgogliosa del 12 di Grimmauld Place, al punto che aveva preteso da nostro padre che la attrezzasse con una miriade di congegni antiBabbani e tutta un'altra serie di diavolerie oscure che non avevo nemmeno idea di cosa servissero. Il motivo di tanto ardore era davanti a me: l'arazzo raffigurante l'albero genealogico dei Black, intessuto con la magia e capace di ampliarsi da solo per adattarsi alle novità anagrafiche della nostra famiglia, come matrimoni, nascite e lutti. Non poteva essere spostato da lì, in alcun modo, sarebbe rimasto per sempre attaccato a quelle pareti grazie agli incantesimi di permanenza che, nel 1500, un nostro lontano avo, Eridanus Nigellus Black, aveva imposto a quella stanza. La mamma, col matrimonio, aveva ereditato da nonno Pollux la casa e l'arazzo: sapevo che, secondo lei, il fatto che Phineas Nigellus Black l'avesse lasciata in eredità a suo figlio Cygnus, padre di nonno Pollux, invece che a uno degli altri suoi figli, dimostrava che quel ramo della famiglia Black fosse più puro e più Black di tutti gli altri, persino di quello di mio padre che, essendo come lei pronipote di Phineas, era suo cugino di secondo grado. Mia madre teneva a quella casa perché era, ai suoi occhi, l'emblema della purezza dei Black e per questo dovevamo tutti portarle rispetto, quasi fosse un essere vivente. Io, al contrario, odiavo e temevo quella casa, che mi scatenava incubi fin da quando ero solo un bambino: sognavo sempre che nessuno di noi, al pari di quell'arazzo, potesse sfuggire a quella prigione, bloccati a quelle pareti come fantasmi alle proprie catene. Crescendo, pochi mesi prima, avevo scoperto che in realtà una via d'uscita esisteva, l'avevo visto con i miei occhi il giorno in cui mio padre aveva bruciato il volto e il nome di mia cugina Andromeda da quel tessuto per tutti tanto sacro: mia cugina era uscita dall'arazzo e dalla nostra vita, guadagnando così, finalmente, la tanto agognata libertà.

    “Ragazzi!”

Ritornai rapidamente in me, seppur ancora turbato e confuso. Nonno Arcturus si stava avvicinando, era strano che lo facesse, di solito non si curava in alcun modo di noi, restava sempre a parlare con i miei genitori o con gli zii, mai con me o con mio fratello: da come mi fissava compresi che il motivo del suo inusuale interesse fossi io. Quando lo vidi metter mano al panciotto in cerca di qualcosa, addirittura iniziai a temere che volesse punirmi lì, davanti a tutti: sapevo che mio padre, da ragazzo, aveva sperimentato più volte la sua severità, tanto che portava ancora delle profonde cicatrici da scudiscio su entrambe le gambe e sulla schiena.

    “Questi sono per voi, per Yule: cercate di fare acquisti oculati, non pensate solo a giocattoli e dolcetti... siamo intesi?”

Regulus ed io ci guardammo stupiti: non era mai accaduto che il nonno ci regalasse del denaro, di solito ci consegnava qualche vecchia reliquia di famiglia o dei libri, mentre per quanto riguardava i galeoni, lui e tutti gli altri nostri parenti li depositavano direttamente alla Gringott, così che avessimo da parte un bel gruzzolo quando fossimo diventati grandi.

    “... e ora, Regulus, per favore, va da tua nonna, perché ho bisogno di parlare con tuo fratello...”

Regulus annuì e mi rivolse un'occhiata interrogativa, sconcertato almeno quanto me, mentre io mi sbiancavo, temendo che il nonno avesse architettato qualcosa di addirittura peggiore della festa di bentornato che mi aveva preparato la mamma, la sera prima.

    “Seguimi...”

Le occhiate perplesse con cui nonna Melania e nonna Irma mi fissarono, non fecero altro che inquietarmi pure di più, nonno Pollux, silenzioso, si allontanò da zia Lucretia e da suo marito per seguirci, tutti e tre diretti nella stanza in cui avevo visto scomparire mio padre. Salazar, era forse un oscuro oggetto di tortura da usare durante un processo, quel vassoio misterioso che mio padre teneva nascosto sotto il lenzuolo? Nonno Arcturus bussò ed entrò senza aspettare che mio padre gli rispondesse, io cercai di concentrarmi sui dettagli della stanza, effettivamente ridotta a un terzo delle sue dimensioni abituali, per non far vedere loro quanto avessi paura in quel momento. Papà ci aspettava nella penombra, rotta appena dalla luce fioca di alcune candele disposte qua e là e riscaldata da un fuoco scoppiettante che faceva assomigliare il caminetto a un oscuro baratro su cui si apriva un ghigno spaventoso; aveva sistemato tre poltrone, disposte a semicerchio, vicino al fuoco, e sul tavolino di fronte, in un vassoio d'argento, aveva preparato due bottiglie di Firewhisky, uno dei migliori servizi di cristallo di Boemia e un paio di portacenere d'argento a forma di serpente. Sì, era davvero un processo, il mio processo: lo capii mentre loro si sedevano indolenti ed io rimanevo in piedi di fronte a loro, non sapevo cosa fare, disperato e incapace di nascondere la mia paura.

    “Non stare lì, in piedi, come un bamboccio, Sirius, mettiti seduto qui di fronte a noi...”

Nonno Arcturus attirò un'altra poltrona di fronte a sé, così che fossi pericolosamente in mezzo a loro e potessero esaminarmi con comodo, centimetro per centimetro, con i loro occhi inquietanti simili a quelli dei rapaci notturni: nonno Pollux, il naso aquilino e le labbra sottili che sembravano sparire del tutto quando parlava, era il più inquietante dei tre, non aveva ancora detto una sola parola e questo di solito era un pessimo segno. Con un sospiro fondo mi sedetti sotto i loro sguardi indagatori, li vidi soffermarsi tutti sulle mie mani, concentrandosi in particolare sull'anello che mi aveva regalato Alshain Sherton. Salazar, perché erano tutti fissati con quel benedetto anello?

    “Abbiamo discusso molto a proposito di te, in questi tre mesi, Sirius, inutile spiegartene le ragioni, le conosci più che bene. Possiamo arrivare a una conclusione, però, solo dopo aver sentito cosa hai da dire tu in proposito... Anche Phineas, stasera, è qui per dire la sua...”

Mi voltai sulla sedia cercando lungo le pareti il ritratto del nostro augusto antenato, trovandolo invece appoggiato su una poltrona dietro di me, come fosse un altro giudice: fingeva di sonnecchiare nella cornice, come suo solito, in realtà ci teneva tutti sotto controllo, con il suo ghigno arcigno, identico a quello di nonno Pollux. Ecco dunque cos'era la misteriosa “tavola” che mio padre aveva portato nella stanza nascosta sotto i drappi! Perfetto! Ora mancava solo la mamma, con la schiera di Elfi pronti a strigliarmi davanti a tutti!

    “Tuo padre dovrebbe averti detto tutto quello che un Black deve sapere sulla propria famiglia, a cominciare dai doveri e dalle aspirazioni...”

Fissai papà, che restava muto mentre suo padre, mio nonno, mi braccava: per un istante, dall'occhiata che nonno Pollux rivolse a tutti e due, ebbi la sensazione che in quella stanza non fossi io l'unico imputato, che per tutti, responsabile di quello che era successo a Hogwarts, oltre me, fosse proprio mio padre. Mi chiesi, smarrito, perché fossero convinti di questo.

    “... e se, per caso, per qualche oscuro motivo, non l'avesse fatto lui, di certo l'avrà fatto tua madre... quindi è impensabile che tu sia arrivato a Hogwarts ignaro di quello che tutti noi ci aspettiamo da te... Pertanto ti chiedo di spiegarci, perché io proprio non lo riesco a capire, e nemmeno gli altri ci riescono... che cosa è andato storto…”

Lo fissai ammutolito, incapace, per la paura, di spiccicare una sola parola, anche perché non sapevo da dove cominciare, che cosa dire per non farli infuriare.

    “Sirius... voglio sapere che cosa è successo il primo settembre, che cosa ti ha detto il Cappello Parlante prima di emettere la sua sentenza... Che domande ti ha fatto? Perché...”
    “Allora? Sei forse sordo e stupido, ragazzino?”

Alla fine era intervenuto anche nonno Pollux, incalzandomi con occhi fiammeggianti e i suoi modi spicci, poco cerimoniosi: ora mi fissavano tutti, ed io sapevo che non sarei mai riuscito a mentire a tutti loro, e al tempo stesso che non potevo permettermi di dire loro tutta la verità.

    “Il Cappello... il Cappello ha detto che in me... in me… c'erano tutte le qualità di un Serpeverde ma...”
    “Ma? Cosa significa “ma”? Cosa diavolo significa “ma”?”
    “Pollux calmati, per favore, lasciamolo finire, prima...”
    “... ha detto che... che in me... ha visto anche coraggio e... incoscienza, qualità che superavano di gran lungo tutto il resto...”
    “Qualità? Qualità? Le ha chiamate Qualità! Queste sarebbero le qualità per quel dannato Cappello!”
    “Salazar! Sirius che cosa... perché... Perché non ti sei opposto con tutte le tue forze? Ragazzo mio... Perché non gli hai… ”
    “E gli chiedi anche perché, Arcturus? Non l'hai ancora capito? Guardalo! Io lo dico da quando è venuto al mondo che questo qui è nato sbagliato! Qualità! Belle qualità! Qualità di cui andare fieri, adatte a quelle risse da bettola che piacevano tanto a quello stramaledetto filobabbano! Salazar! Come potete ancora credere che questo idiota, così influenzabile, possa guidare un giorno la nostra famiglia?”

Non avevo mai visto mio nonno Pollux perdere le staffe in quel modo, davanti a tutti: era balzato in piedi prendendomi per il bavero, completamente fuori di sé, gli occhi iniettati di sangue e la bocca che sputava parole e veleno, quasi volesse uccidere me per eliminare il fantasma stesso di Godric Grifondoro.

    “Salazar Pollux, moderati! É nostro nipote!”
    “Sarà tuo nipote, Arcturus, il mio non lo è di certo!”

Ero terrorizzato, come non mi era capitato mai nella vita: nonno Arcturus gli arpionò l'avambraccio con la mano, imponendogli di recuperare la calma e lasciarmi andare, nonno Pollux mi liberò, poi si sistemò la cravatta verdeargento, si versò un altro Firewhisky e s'immerse nella penombra, a distanza di sicurezza, borbottando da solo. Mio padre, per tutto il tempo, non mosse un muscolo, rimase seduto al suo posto, in silenzio, a guardare il fuoco e lisciarsi con le dita la barba e i baffi, come se tutto ciò che lo circondava nemmeno lo riguardasse.

    “Sirius...”

Alzai gli occhi, ero riuscito per lo meno a ricacciare indietro le lacrime, ma sentivo ancora un formicolio fastidioso che andava su e giù e si concentrava nella gola, pronto a farmi piangere e impedirmi di parlare. Nonno Arcturus era tutto proteso verso di me, un bicchiere pieno d'acqua in mano e un'espressione accomodante, anche se percepivo tutta la tensione repressa e lo sforzo che faceva per non perdere la pazienza a sua volta. Con tutta la falsa gentilezza di cui era capace mi convinse a bere, poi riprese a parlare, con calma.

    “Siamo una delle famiglie magiche più antiche d'Inghilterra, Sirius, ci siamo gloriati per secoli della nostra purezza e della nostra assoluta adesione e dedizione ai principi di Salazar. Siamo Slytherin da sempre, come da sempre abbiamo questi occhi, questo cuore e questo sangue. Tu sai quanto siete importanti tu e tuo fratello per il nostro futuro: siete i nostri due unici eredi maschi, solo attraverso voi due i Black potranno continuare a sopravvivere nei secoli a venire. Per questo non possiamo permetterci di commettere errori... Te ne rendi conto?”

Annuii, quel discorso l'avevo sentito mille volte e mille volte ancora, fino alla nausea, e non ne potevo sinceramente più, lo guardai, così accomodante e premuroso, ma sapevo quanto fosse falsa quell'espressione partecipe con cui mi osservava.

    “Vorrei che mi dicessi chi sono i tuoi compagni di stanza, Sirius...”
    “Che cosa? Io... io non capisco... perché? Che cosa c'entrano loro...”
    “Lo vedi? È più preoccupato per quelle insulse canaglie che per se stesso... già li protegge, come farebbe un qualsiasi altro disgustoso Grifondoro... Questo per voi è un Black?”
    “Non hai nulla da temere, Sirius…”
    “No, non hai nulla da temere per loro, stupido ragazzino, vogliamo solo sapere i nomi dei luridi Sanguesporco con cui passi il tuo tempo, perché forse così tuo padre aprirà gli occhi e si deciderà a fare quello che deve...”

Guardai mio padre, sprofondato nella sua poltrona, pallido come un cencio: che diavolo volevano che facesse quei pazzi?

    “Pollux per favore, calmati... non è questo il modo giusto per...”
    “Calmarmi? Credi davvero di ottenere qualcosa con questa recita, Arcturus? Noi non possiamo permettere che il presunto erede dei Black rimanga ancora a contatto con quella feccia! Già solo il fatto che gli parlino... Tutta questa buffonata è inutile, chiamare lui qui è inutile, sei tu, Arcturus, sei tu che devi far capire a questo idiota di tuo figlio qual è l'unica decisione che va presa, ora e subito!”
    “Quali decisioni? Io...”
    “Tu stai zitto! Parlerai solo quando sarai interpellato, moccioso!”
    “Ora basta! Basta! Ho già preso la mia decisione sul suo futuro mesi fa e nulla mi farà cambiare idea...Vuoi dirgli quello che deve fare, Pollux? Avanti, fai pure! Ricordagli quali sono i suoi doveri, minaccialo quanto ti pare, ma ricordati che il padre sono io e a decidere del suo futuro sono io ed io soltanto... Per quanto mi riguarda la questione è chiusa!”
    “Ti sbagli, Orion, questi sono fatti che ci riguardano tutti... Sirius deve lasciare Hogwarts! Subito! Prima che i danni siano irreversibili! Devi mandarlo a Durmstrang, dove lo raddrizzeranno, visto che qui nessuno di noi c’è riuscito... E devi tenerlo lontano da Regulus, perché non possiamo permetterci che sia influenzato anche lui! Ti sto dicendo quello che tutti pensano ma che nessuno ha il coraggio di dirti. Lo ripeto da mesi, lo sapete tutti bene quanto me che queste sono le sole decisioni giuste da prendere!”
    “Io non toglierò Sirius da Hogwarts... non darò altre soddisfazioni a Dumbledore, non lascerò che per colpa sua e di quel dannato Cappello i Black siano ancora derisi... perchè è di questo che si tratta... solo di questo... L'ho deciso il due di settembre e sosterrò le mie idee fino alla morte: mio figlio non ha nulla di diverso da tutti noi, quello che è accaduto è un chiaro segno che in quella scuola sta accadendo qualcosa di strano, ma se credono di avere la meglio si sbagliano di grosso. Mio figlio, un Black, nella casa di Grifondoro, sarà una grande opportunità per tutti noi: faremo vedere che le macchinazioni di quel vecchio pazzo sono inutili, che i veri valori sono più potenti di questi patetici stratagemmi, che noi siamo più forti e non ci piegheremo, non ci faremo influenzare, non perderemo la nostra identità, nemmeno in quel covo di Sanguesporco!”
    “Sei solo un illuso, Orion, se pensi che il male venga da fuori… Sai bene che è tra noi… Ti prego, fai qualcosa, Arcturus, è evidente che tuo figlio è di nuovo impazzito... Non puoi lasciare che ci faccia correre tutti un rischio simile!”
    “Come fai essere così sicuro, Orion? Cosa ti fa credere che non saremo travolti tutti? Se avessi delle prove... io…”
    “Perché sarò io a piegarlo fino a spezzargli la schiena con le mie mani, se sarà necessario... ”

Mio padre mi fissò, un'espressione indecifrabile nello sguardo: non si trattava delle sue solite minacce, quelle che rivolgeva a mio fratello e a me per chiudere subito una situazione fastidiosa, per zittirci rapidamente. In gioco non c'erano solo il sangue e l'onore, ma qualcosa di più, d’inafferrabile, qualcosa tra me e lui, che escludeva tutti gli altri, qualcosa che affermava, nel più feroce e drammatico dei modi, che io ero suo.

    Solo suo. Come non ero stato mai.

    “Orion... già tua moglie...  se non accetti consigli... Se la metti così... Pollux ed io... in questo modo le responsabilità saranno solo ed esclusivamente tue, te ne rendi conto?”
    “Sirius è mio figlio... chi altri si dovrebbe assumere queste responsabilità? Sirius resterà dove si trova e d'ora in poi mi assicurerò personalmente che farà sempre e soltanto quello che gli sarà detto di fare, sarà il degno erede di questa famiglia, e presto tutti si renderanno conto di quanto sia diventato insignificante, di questi tempi, il colore di quel cravattino...”

Si scambiarono un'occhiata eloquente, mentre nonno Pollux mugugnava nella penombra e Phineas, che aveva taciuto fino a quel momento, continuava imperterrito a fingere di dormire.

    “Spero per te che a settembre non avremo altre brutte sorprese, Orion... A te sta bene, Pollux?”
    “Siete due pazzi e ve ne pentirete... tutti e due... Ve ne pentirete...”

Nonno Pollux se ne andò, sbattendosi dietro la porta, nonno Arcturus sospirò, poi ci lasciò soli; io ero rimasto impietrito sulla poltrona, senza il coraggio di guardare direttamente mio padre che, lo scorgevo con la coda dell'occhio, continuava a contemplare le fiamme morenti nel caminetto.

    “Sirius...”

Alzai lo sguardo su di lui, deglutendo: mi bastò incrociare i suoi occhi appena un istante per capire che avevo di fronte l'uomo che era entrato nelle nostre stanze quella notte, un uomo ben diverso dal padre che ero stato abituato a conoscere in quasi dodici anni di vita. Con una sensazione strana nel petto, un misto di curiosità, speranza, paura, elaborai l’idea che quell’uomo, di cui mi aveva parlato anche Alshain, esistesse davvero.

    “Lo dico per il tuo bene, Sirius... Non farmi pentire della mia decisione... Sei ancora un ragazzino e non comprendi appieno la serietà di tutto questo, ma ti assicuro che non è uno scherzo… Questa è la tua vita, Sirius... Qui c'è in gioco la tua vita, non solo il futuro della nostra famiglia. Tu non sei come gli altri, tu sei un Black e il destino ha voluto mettere sulle tue spalle il futuro di tutti noi... come a suo tempo l'ha messo sulle mie...  So per esperienza che un errore, anche un solo, piccolo, insignificante errore, può travolgere tutti noi e soprattutto può rovinare te... può privarti di ciò che ami... di chi ami... per sempre... senza possibilità di rimediare, in alcun modo. È mio dovere essere severo con te, ma più di ogni altra cosa… io non voglio che ti succeda mai qualcosa di male... io non voglio vederti costretto a rinunciare al futuro che sogni e alle persone che ti vogliono bene... Hai troppo da perdere, Sirius... forse ancora non immagini nemmeno quanto... perciò te lo dirò ora, una sola volta... Ti prego... fai molta attenzione... rifletti bene... non farti condizionare... perché danneggeresti te stesso, prima ancora che tutti noi... ”

Mi aveva fissato, più di quanto fosse per noi lecito, riempiendomi di speranza che da quel momento in avanti potesse essere tutto diverso tra noi, che ci fosse la possibilità di parlarsi e capirsi. Tutte le mie speranze di averlo ancora con me, di avere le risposte alle domande che mi galoppavano in testa, s’infransero però all’istante, perché subito si riscosse e ritornò in sé, nel suo mondo, riprese le vesti dell'uomo freddo ed enigmatico che ben conoscevo. Mi fece un cenno sbrigativo con cui capii che voleva restare da solo, dovevo togliermi dai piedi: uscendo, lo vidi avvicinarsi al ritratto di Phineas con un bicchiere in mano e mi parve che il nostro caro avo smettesse di fingere di dormire e gli sussurrasse qualcosa. Riemersi nel corridoio, scosso per tutto quello che era accaduto: mi avevano davvero permesso di assistere a una loro discussione! Erano ancora così sconvolti dal mio smistamento che non erano d'accordo nemmeno tra loro su come comportarsi nei miei confronti: la mamma e nonno Pollux, se avessero potuto, avrebbero ballato sul mio cadavere, come su quello di un qualsiasi altro Grifondoro, nonno Arcturus probabilmente considerava ottima l'idea di spedirmi a Durmstrang, ma temeva le chiacchiere che ne sarebbero seguite, se l'avessero fatto sul serio. E mio padre... mi avevano sconvolto il suo silenzio e, ancora di più, alla fine, vedere come mi aveva difeso, come aveva sottolineato che fossi suo figlio... non l'aveva fatto mai.

    Perché lo fa proprio ora?

Ero triste, pieno di domande, consapevole che non avrei mai avuto risposte: aveva parlato di esperienza personale, mi chiesi quali errori avesse commesso lui, quali colpe avesse scontato e in che modo... Inoltre quel discorso... era così inquietante, e così vero, così dannatamente vero: se fossi stato diverso dagli altri Black, sarei stato libero, ma questo significava anche dover rinunciare a molte cose, a molte persone, a Regulus prima di tutto, e forse anche ad Alshain e ai progetti che avevo con lui e... Non sapevo cosa volevo… no, non lo sapevo più. Mio padre uscì dalla stanza poco dopo, infilandosi in tasca due cofanetti che probabilmente contenevano i preziosi doni di nozze per Mirzam, il suo figlioccio, poi si unì a tutti noi, chiacchierando con suo cognato di politica come se nulla fosse. Dopo poco arrivò via caminetto Bellatrix con suo marito ed io feci in modo, come mi era stato consigliato da mio padre, di tenermene alla larga, evitando come la peste di essere coinvolto nei loro discorsi e cercando persino di sfuggire alle loro occhiate. Quando mi avvicinai per salutare zio Cygnus, zia Druella e Narcissa, però, Bellatrix, com'era prevedibile, mi apostrofò con i suoi soliti modi gentili e la classica voce flautata, ma per mia fortuna mi venne in soccorso zio Alphard, che coinvolse me e Regulus, in attesa degli ultimi ospiti, in un interessante discorso sulle straordinarie creature magiche che aveva visto durante il suo ultimo viaggio in Oriente, per conto del Ministero. Il caminetto iniziò a illuminarsi di continuo, per l'arrivo di diversi altri amici e parenti: in particolare assistetti allo sgradito arrivo di Lestrange senior con il suo diabolico secondogenito, Rabastan, dei parenti Rosier con l'odioso “cugino” maggiore, Evan, che m’istigò contro suo fratello James, al punto che quest’ultimo, come tutti i bambini, iniziò a prendermi in giro cantilenando che fossi un Grifondoro, ed io mi trattenni più volte, a stento, dal dargli una lezione. C’erano poi gli onnipresenti Malfoy, ancora più pomposi e appiccicosi del solito, e molti altri, tra cui, per peggiorare ulteriormente la serata, gli Yaxley, con il viscido Evan, compagno serpeverde di Meissa, tutto galvanizzato all'idea di poterla rivedere e passare con lei la serata. Via via dovetti affiancare i miei genitori mentre accoglievano tutti gli ospiti, la maggior parte di loro mi fece venire il mal di stomaco per come mi salutarono schifati, quasi non avessi il diritto io, a casa mia, di stare tra loro... cercai di curarmene il meno possibile, tutto preso dai miei pensieri e dall'emozione che presto, finalmente presto avrei rivisto i miei amici. Alla fine, il caminetto si colorò di verde per far passare gli ultimi invitati: uno dopo l'altro, gli Sherton fecero il loro ingresso ed io, dopo appena una giornata che mi era sembrata lunga un secolo, rividi finalmente Meissa. La mia felicità durò però appena un istante, il tempo di vedere l'occhiata che mia madre rivolse a lei e a mio fratello e il modo in cui riuscì a estromettermi dai saluti. Capii subito la vera portata del discorso di mio padre, su quanto avevo da perdere, e quanto impegno avrebbe messo la donna che mi aveva messo al mondo, d’ora in poi, per farmi del male.

*

Mi ero nascosto, stanco di sentire tutte quelle voci, quei discorsi, l'odore di tabacco e i profumi intensi dei nostri ospiti, volevo stare da solo e preferibilmente sparire dalla faccia della terra. Non avevo retto quando mia madre aveva chiamato tutta gioviale Regulus per far da cavaliere a Meissa e aveva fatto in modo che nemmeno riuscissi a salutarla.

    Buonasera Cenerentolo...

Avevo sorriso amaro, ripensando alle buffe espressioni di Remus che, con la sua ampia cultura che spaziava tutto lo scibile magico e babbano, mi aveva aperto gli occhi sulla tragica storia di Cenerentola e della sua odiosa matrigna... Solo che la mia non era una matrigna...

    “Perché sei qui?”
    “Secondo te?”

Nemmeno alzai lo sguardo, mentre Regulus si richiudeva la porta dietro le spalle e mi raggiungeva sul divano, di fronte al caminetto e alle poltrone su cui si era tenuto il “processo”.

    “Quello non è il quadro di Phineas?”
    “Già…”
    “E che fine ha fatto lui?”
    “Che ne so! Sarà tornato a dormire nello studio del Preside, a Hogwarts…”
    “Per colpa di questa?”

Mi voltai, mio fratello tendeva verso di me una mano e tra le dita aveva la spilla da Grifondoro che avevo mostrato, inferocito, pochi minuti prima a Phineas, facendolo fuggire spiritato e sconvolto come se avesse visto un demone a cento teste. E che poi avevo cercato di nascondere tra i cuscini quando avevo visto aprirsi di scatto la porta di quella stanza.

    “Attento, potresti pungerti e diventare un Grifondoro pure te…”

Sghignazzai, mentre il viso di mio fratello diventava blu di rabbia e paura, miste insieme.

    “Non fai affatto ridere, sai?”
    “Io non volevo farti ridere, pulce…”
    “Come hai fatto a portarla qui? La mamma…”
   “La mamma era troppo impegnata a strepitarmi contro e a ululare alle Elfe che mi lavassero via la polvere di Grifondoro, per accorgersi che questa mi era caduta dai pantaloni… Evidentemente nemmeno lei è infallibile…”
    “La dovresti smettere sai?”
    “Di fare cosa?”
    “Di comportarti così!”
    “Io sono così, Regulus… Io… sono… così!”
    “No, non è vero! Non è vero! Tu sei mio fratello… è questo quello che sei… Tu sei mio fratello…”
    “E sono un Grifondoro…”

Balzò su come una furia, pensavo volesse saltarmi addosso e azzuffarsi, invece rimase in piedi davanti a me, con uno sguardo serio da persona adulta, lo stesso cipiglio che aveva la mamma quando era concentrata e pronta per un discorso importante.

    “Sei solo uno stupido, Sirius! Uno stupido! Ma non capisci? Se continuerai a esserne così fiero… loro… loro…”

La voce gli morì in bocca, si voltò tutto agitato e si allontanò da me, andando a rifugiarsi vicino al caminetto, io lo raggiunsi, gli misi una mano sulla spalla e lui scattò, liberandosi dal mio tocco come se gli avessi trasmesso la scossa.

    “Che cosa ti succede, Regulus?”

Non rispose, io cercai di voltarlo verso di me, ma lui mi resistette, allora gli passai davanti e gli alzai la faccia per guardarlo bene, lui si divincolò ed io rischiai di prendermi uno schiaffo. Stava piangendo e per nessuna ragione al mondo avrebbe voluto che lo vedessi in quelle condizioni.

    “Che cosa significa?”
    “Io non voglio che ti mandino via. Io… non… voglio!”
    “Regulus…”
    “È tutta colpa tua… È sempre tutta colpa tua… Fai sempre questi disastri… perché sei uno stupido, uno stupido…”
    “Regulus… calmati… non mi manderanno da nessuna parte… Regulus…”
    “Bugiardo! È da quando sei partito che litigano tutti i giorni… Vogliono mandarti via… a Durmstrang…”
    “Papà non mi manderà da nessuna parte, Regulus, mi dispiace per te ma dovrai sopportare questo tuo stupido fratello ancora per molto, moltissimo tempo…”

Alzò gli occhi arrossati e tristi su di me, mi scrutò aspettandosi di vedere il mio ghigno di derisione o le mie lacrime: era lo stesso, perché entrambe avrebbero testimoniato la mia menzogna. Io però rimasi tranquillo, sostenni il suo sguardo, fino a convincerlo.

    “Non partirai… Vuoi dire che davvero non partirai?”
    “Certo che partirò… per Hogwarts, appena saranno finite le vacanze di Natale… Poi tornerò a casa per l’estate, appena avrò finito gli esami, o forse, chissà, anche prima, in primavera, non so ancora come funziona…”
    “Davvero non ti manderanno via?”
    “Sei sordo? Ti ho detto di no… Per ora, almeno, pare di no…”
    “Allora… allora mi ha ascoltato…”

Tornò a sedersi, tutto concentrato, perso in qualche ricordo di cui non sapevo niente. Come sospettavo, non ero l’unico ad aver subito le conseguenze di un fatto tanto sorprendente, e ancora di più sentii crescere in me una rabbia sorda verso mia madre, perché se io ero responsabile delle mie scelte, non era giusto che coinvolgesse anche Regulus nella guerra che aveva deciso di fare a me.

    “Che cosa vuoi dire? Chi ti ha ascoltato?”
    “Eravamo andati a vedere una partita del Puddlemere, una bella partita, ma… io avevo sentito nonno dire alla mamma che dovevano spedirti lontano da casa… e…”
    “Non ti sarai mica messo a piangere per me davanti a tutti, vero, moccioso?”

Cercai di risollevarlo un po’, punzecchiandolo, così che l’orgoglio spazzasse via quella tristezza.

    “Certo che no! Ero solo sovrappensiero e quando Deidra mi ha accompagnato da Mirzam per un autografo, mi ha chiesto che cosa avessi ed io…”
    “Tu gli hai detto di essere triste per me, perché non volevi che mi mandassero via…”

Regulus annuì e mi confermò che Deidra gli aveva detto di non preoccuparsi, perché conosceva bene nostro padre, sapeva che avrebbe preferito tagliarsi un braccio da solo che vedersi portare via uno di noi due, perciò non c’era nulla di cui aver paura.

    “Per sicurezza, però, l’altro giorno, mentre andavamo a provare i vestiti a Diagon Alley, ho detto a papà che per quest’anno l’unico regalo che volevo era che rimanessi a casa, che non ti mandasse via…”
    “Che stupido che sei, Regulus! Te l’ho detto mille volte… I regali di Natale non si contrattano mai! Mai, hai capito? Mai…”

Scoppiai a ridere, per prenderlo di nuovo in giro e allentare la tensione di quel momento, lui mi guardò storto e m’insultò a voce bassa, poi, però, sorrise anche lui, finalmente sollevato al pensiero che la sua paura più grande si fosse sciolta come neve al sole. Io non ero altrettanto sicuro che fossimo in salvo, ma per non far vedere i miei turbamenti, me lo tirai addosso, abbracciandolo: sapevo che non si doveva fare, ma in quel momento non m’importava niente di cosa fosse conveniente per un Black.

    “Ed è per me, per paura che sparissi per sempre, che sei qui e non alla festa? Con tutti quei begli ospiti e tutto quel cibo…”
    “Li ho visti fin troppo spesso, gli ospiti, in questi mesi…”
    “Ma Narcissa non l’hai vista e nemmeno Rigel Sherton…”
    “Narcissa sta parlando con quel pallone gonfiato di Malfoy…e Rigel… non so che cos’ha… ha un muso, è nervoso e…”

Non stentavo a crederlo, perché pur molto giovane e circondato da un sacco di ragazze, da quanto avevo visto a scuola, pareva che fosse cotto a puntino di mia cugina, ma purtroppo per lui, lei nemmeno si rendeva conto della sua esistenza.

    “… Bella ormai sta sempre con i grandi, tutta presa dalla politica… e quel… quel Lestrange… Salazar…”
    “Vedo con piacere che benché ti abbia lasciato qui da solo, non sono riusciti a convertirti… sai, la mia paura più grande era che potessi aver fatto amicizia con lui, durante la mia assenza…”
    “Con chi? Con Lestrange?”

Il suo sguardo inorridito e schifato era a dir poco eloquente: uno dei momenti che più mi erano mancati, lontano di casa, erano i siparietti che avevamo spesso messo in piedi ai danni di quel pallone gonfiato, di sera, in camera nostra, prima di addormentarci.

    “E gli altri?”
    “Mirzam e suo padre stanno ancora parlando di politica con gli altri ospiti, mentre le streghe spettegolano e cercano di carpire a Deidra qualche anticipazione sulla festa di domani…”
    “Beh ma è normale che gli adulti non diano spago a te, che sei un bambino… ma gli altri ragazzi? Perché non parli o giochi con loro? C’è Meissa, no? Ricordo bene quanto ti piaceva parlare con lei…”
    “E perché non lo fai tu?”
    “Io sono un Grifondoro, in una tana di Serpeverde… tu sei l’erede dei Black… dovresti approfittarne… non è questo che vuole da te, la mamma?”

Regulus si rabbuiò di colpo, io pensavo di farlo sorridere parlando di Meissa, invece...

    “Che ti succede adesso?”
    “Ha chiesto di te, questa mattina, era delusa e triste quando ha capito che non eri venuto con noi… a quanto pare le tue renne erano particolarmente buone…”

Mi fulminò con uno sguardo rancoroso, a me veniva da ridere. Salazar! Quel moscerino era uno spasso, era geloso di me, ma anche così leale nei miei confronti, da non approfittare della mia assenza per starle vicino.

    “Ti ricordo che di solito i Black non sono leali con i fratelli maggiori Grifondoro e senza speranza…”
    “Non sono mai esistiti fratelli maggiori Grifondoro, Sirius… e comunque… I Black non si umiliano cercando chi non li vuole… ancora…”

Mi fissò, di nuovo… ecco, ora lo riconoscevo.

    “Credo che ora dovremmo ritornare dagli altri… e fai sparire quella spilla, o avrò sprecato per niente il mio regalo di Natale…”
    “Non vuoi chiedermi niente?”
    “Che cosa dovrei chiederti?”
    “Com’è Hogwarts? Di cosa parla il Cappello? Perché sono finito lì?”
    “Che sei uno stupido lo so già, Sirius… non c’è altra spiegazione al fatto che sei finito lì… per il resto… so già che non mi dirai mai la verità, farai come Bellatrix e mi racconterai che dentro il Cappello c’è il fantasma di Godric, pronto ad affettarmi con la sua spada o un cespuglio di ortiche…”
    “In realtà c’è un geranio zannuto pronto a morderti le orecchie… fossi in te, mi procurerei un bel paraorecchie per il primo settembre, le hai un po’ a sventola ricordi? Ahahah…”
    “Io non ho le orecchie a sventola… e non ho più nemmeno cinque anni!”
    “Ahahahah…

Salazar! Quante zuffe avevamo fatto in camera nostra, certi piovosi pomeriggi, quando lo stuzzicavo dicendogli che aveva le orecchie a sventola e lui, piccolo, ci credeva e ci restava male!

    “Hai finito?”
    “Ahahahah”
    “Non fai ridere…”
    “Tu, invece, sì… ahahah… Sei ancora così rosso che…”
    “O… scusate…”

Ci riprendemmo subito, appena sentimmo una voce emergere dalla penombra e una sagoma umana riempire tutto l’arco della porta.

    “… credevo che qui ci fosse il bagno…”
    “No il bagno è… in fondo al corridoio, a sinistra…”
    “Ah ecco, mi sono confuso… Ma voi che cosa fate nascosti qui, ragazzi? Vostra madre ha iniziato a cercarvi, credo fareste bene a raggiungere gli altri, il prima possibile…”
    “Andiamo subito, muoviti Regulus… Grazie… Milord…”
    “Puoi chiamarmi Rodolphus, Sirius Black… infondo… ormai siamo… parenti…”

Mi tese la mano, io deglutii terrorizzato: non sapevo che cosa fare, mio padre era stato categorico, non dovevo in alcun modo farmi toccare da lui, né dovevo guardarlo negli occhi, ma lui era lì, a un passo da me, sapevo che era entrato con una scusa, che non cercava il bagno ma noi, e stava inscenando quel siparietto solo per fregarmi.

    Che cosa faccio adesso?

Mentre riflettevo e lui restava lì, come un ostacolo insormontabile tra noi e la nostra unica via di fuga, dicendo una marea di sciocchezze che non interessavano a nessuno, la porta si aprì di nuovo e stavolta, strappandomi un sospiro di sollievo, vidi entrare Mirzam.

    “Orion, sei qui?”
    “Mirzam!”
    “Rodolphus? Che cosa ci fai qui?”
    “Cercavo il bagno… e invece… ho trovato… loro…”
    “Reg, Sirius… vostra madre vi cerca, io stavo cercando vostro padre… l’avete visto?”

Regulus fece di nuovo no con la testa, io sollevato cercai di allontanarmi da Lestrange, certo che ormai fossimo fuori pericolo, lui però mi anticipò vedendo sfuggire l’opportunità di avermi così facilmente tra le grinfie, mi afferrò rapido l’avambraccio sinistro e mi sollevò la mano verso la luce.

    “Hai visto Mirzam? L’ho notato prima, quando ci siamo salutati al mio arrivo… Che ne dici? Non è un anello del Nord, quello che ha in mano il figlio maggiore di Orion?”

Deglutii nervoso, mentre Mirzam, sorpreso, si avvicinava. Se non fossi stato preparato, sarei morto dalla paura, perché non immaginavo che Lestrange si sarebbe comportato così, che avrebbe messo in atto quella specie di agguato, credevo avrebbe cercato di ottenere ciò che voleva con le lusinghe, non… Guardai Regulus, non aveva idea del pasticcio in cui si trovava coinvolto ed io mi scoprii spaventato per lui. Doveva andarsene, subito.

    “Reg… Tu vai, dì che io sto con Mirzam, almeno non si arrabbiano!”

Reg, ignaro di cosa stava per accadere, trovò l’idea accettabile e attraversò la porta, lasciandomi lì, da solo. Ero spaventato ma al tempo stesso sicuro che Mirzam mi avrebbe protetto: ero convinto che ad avvertirci fosse stato lui, di certo suo padre non avrebbe spedito una lettera anonima, visto che nei guai c’eravamo finiti per aiutarlo a riprendersi quel dannato anello.

    “Posso vederlo, Sirius?”

Annuii, Rodolphus mollò la presa sul mio polso ed io mi sfilai delicatamente l’anello, e glielo porsi, facendo finta che non trovassi affatto strana quella richiesta.

    “Me l’ha dato tuo padre quando siamo partiti da Herrengton, l’estate scorsa…”
    “Sì, è un anello del Nord, Rodolphus… della nostra famiglia: ci sono incise le rune che rappresentano gli Sherton, le stesse che portiamo al collo.”

Espose la pelle del collo alla luce della candela e riconobbi lo stesso disegno che era inciso dentro la fedina.

    “C’è qualche problema? Con l’anello intendo…”
    “No, nessun problema, Sirius… Credo che Rodolphus fosse solo curioso, dico bene? Se è un dono di mio padre, Sirius ha tutto il diritto di tenerlo, anche se…”
    “Anche se?”
    “Beh… non è il mio pensiero, Sirius, lo sai, ma… alcuni Maghi del Nord potrebbero non… apprezzare… diciamo così… che un anello simile stia sulle mani di un…”
    “Di un...?”

Mirzam mi posò la mano sulla spalla, io lo guardai inquieto, Rodolphus continuava a rigirarsi l’anello tra le dita, come un gatto fa con la sua preda: sembrava lo stesse studiando, e allora capii, cercava di ricordare se era proprio l’anello che aveva tenuto a lungo suo padre e che io…

    “Lo sai, lo sanno tutti… A nessuno fa piacere che un Black sia finito nella casa di Godric Grifondoro, ma per loro, per i Maghi del Nord, questo è un fatto oltremodo grave, perché la Confraternita è devota a Salazar fin dalla notte dei tempi… Forse dovresti rendere questo anello, ragazzino...  prima che il tuo adorato padrino passi dei guai con i suoi amici, a causa tua, dico bene, Mirzam?”
    “No, Rodolphus, l’anello è di Sirius… e mio padre non vuole vedersi imporre l’altrui volontà…”
    “Beh… ma… resterebbe una cosa tra noi, dico bene, Sirius? Se te lo chiedesse, tu potresti dire ad Alshain Sherton che hai semplicemente… perso… il suo prezioso anello… In questo modo lo toglieresti dall’imbarazzo di dovertelo chiedere e… dai guai in cui lo metteresti se i suoi amici sapessero di quest’anello in mani… inadatte…”
    “Lui l’ha affidato a me, non voglio passare per un incapace che non sa mantenere un impegno... ”
    “Non credo che qualcuno si aspetti più molto da te, ragazzo… ahahah... ”
    “Lestrange… smettila! Sirius… in questo momento non so ancora cosa sia meglio fare… non sapevo che avessi tu questo anello… facciamo così, finché non so come si comporterebbero gli altri, lo terrò io… ma te lo renderò appena si saranno calmate le acque, d’accordo? Te lo prometto… Per adesso, però, se te lo dovesse chiedere… dovresti dire a tuo padre o al mio che l’hai lasciato nel baule, a Hogwarts…”
    “Di sicuro hanno visto quando sono arrivato, che l’avevo con me…”
    “Allora dirai che l’hai perso qui in casa, stasera, così quando lo riavrai, non dovrai inventarti troppe scuse… ora però, per favore, posso chiederti di prestarmi il tuo anello?”

Lo fissai… l’avevano già, perché dovevo concedere loro il permesso di tenerselo?

    “D’accordo…”
    “Troverai la ricompensa delle tue buone azioni quando meno te l’aspetti, Sirius Black… per ora… grazie…”

Mirzam se ne andò, portandosi dietro quell’idiota di Lestrange: lo odiavo, odiavo tutte le persone che quella sera mi avevano trattato come uno straccio e odiavo Rodolphus come simbolo di tutti loro… Ora non avevo più nemmeno l’anello di Alshain, l’unico simbolo di quel futuro che ero stato a un passo da vivere e che ormai, ne ero certo, non mi sarebbe appartenuto più. Misi la mano nella tasca, per leggere l’ora dall’orologio che mi aveva regalato zio Alphard, per il mio ultimo compleanno: quando lo estrassi, sentii cadere qualcosa a terra, mi chinai, raccolsi qualcosa di verde che brillava acceso dalle luci ormai smorte del caminetto. Era una pietra, una pietra verde, di forma quasi completamente sferica, uno smeraldo, in tutto e per tutto simile, ma di dimensioni ridotte, a quello che campeggiava tra le fauci dei serpenti a Herrengton sullo stemma di pietra degli Sherton.

    Troverai la ricompensa delle tue buone azioni quando meno te l’aspetti, Sirius Black…

Era davvero stato Mirzam Sherton a darmelo, materializzandolo quando mi aveva messo la mano sulla spalla? E se sì, perché l’aveva fatto? Che significato aveva quello smeraldo? Lo rigirai tra le dita, pieno di domande, sicuro che difficilmente avrei avuto risposte.

    Non dire mai a nessuno che ora è in mano tua… Proteggilo a costo della vita, qualsiasi cosa accada… Ricordati… devi proteggerlo a costo della vita… 

Phineas sparì di nuovo dalla cornice, per un attimo mi chiesi se l’avessi sentito davvero o l’avessi solo sognato. Rientrai nella sala, mio padre era impegnato con Alshain e i suoi amici, Regulus finalmente parlava con Meissa, ma lei, appena si accorse di me, non mi staccò più gli occhi da dosso per tutto il resto della sera. Rodolphus, eccitato come un bambino la mattina di Natale, teneva banco parlando di politica con la sua combriccola, Bella, come sempre, fissava con odio gli Sherton, Rigel sospirava spiando Narcissa, corteggiata da Lucius, mia madre infastidiva Deidra. Tutto sembrava come sempre uguale e immutabile. Solo dentro di me, avevo la percezione che tutto stesse correndo velocemente, verso il compimento di un misterioso destino già scritto.


*continua*



NdA:
ciao a tutti, volevo avvisarvi che ho iniziato a scrivere lo spin-off riguardante l'età dei fondatori, in cui vedremo più da vicino alcune delle stranezze degli Sherton, come la loro storia si sia legata a Salazar, ecc ecc. Ho preferito la forma dello spin-off a quella dell'intermezzo così la narrazione di That Love non resterà bloccata per mesi e io potrò aggiornare le storie con calma. Se vi interessa, "That Love - Old Tales" si trova qui.
L'immagine a inizio capitolo è di LM Rourke. E ora, con i consueti ringraziamenti a quanti hanno letto e recensito, aggiunto a preferiti, seguiti, ricordati, ecc… vi saluto... a presto.
Valeria



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