Capitolo 26
Proprio
in quel momento si udirono urla disumane provenire dal
corridoio, non lontano dalla sua stanza.
Benji trasalì spaventato. Il pensiero volò subito
a Rachel e alla strana maniera in cui Straker, l’Uomo Calvo,
si era misteriosamente dileguato nel nulla.
Quelle urla terrificanti aumentarono d’intensità.
Paralizzato dalla paura e lento nei movimenti per via del dolore,
rinculò verso il muro, nascondendosi parzialmente sotto il
letto, incurante della traccia di sangue che si disegnò sul
pavimento. Rimase in ascolto, tremando come una foglia. Cosa stava
succedendo? Chi stava urlando così
selvaggiamente? E
perché?
Udì dei colpi violenti, poi uno scalpiccio frettoloso. Dove
era andato Straker? Gli sembrò assurdo ma collegò
le due cose. Era sicuro che Rachel stava bene perché quello
che stava urlando era un ragazzo, o almeno così sembrava.
AAAaaahhh!!! No!! Nooo!! Lasciatemi!! Aiutooo!! LASCIAAATEMI
ANDAAAAREEEE!!!
-Oh mio Dio! – guaì Benji e si nascose meglio
sotto il letto, tappandosi le orecchie per non sentire quelle urla
strazianti.
Ancora colpi, ma meno violenti. Ancora urla. E quelle purtroppo erano
ancora a volume stereofonico. Altro scalpiccio di suole di gomma.
Alcune voci. Gli sembrò di udire la voce di Valerie,
l’altra capoinfermiera, e distinse anche il vocione di
Loughran, l’unico infermiere nero del reparto, alto quasi un
metro e novanta, con due braccia simili a colonne, che metteva tutti i
colleghi in soggezione per via della sua mole. Sapeva fare bene il suo
lavoro. Benji l’aveva visto solo una volta e mai da vicino,
quando l’avevano portato nell’ufficio del dottor
Kay. Erano passati davanti alla sala infermiere, lui scortato da Jeff e
un altro inserviente, con Doreen dietro che li seguiva.
Loughran li aveva sentiti passare e aveva alzato lo sguardo, fissandolo
dritto in faccia per qualche secondo, poi aveva rivolto un cenno di
saluto a Doreen.
Probabilmente, se ci fosse stato anche Loughran quel giorno con Jeff,
non avrebbe nemmeno tentato la fuga, ferendo il dottor Kay col
fermacarte di vetro.
Le urla sembravano essersi finalmente placate, e con esse anche il
brusio e i passi lungo il corridoio. Il silenzio era tornato di nuovo
in tutto il reparto. Qualcuno doveva essere schizzato di brutto la
fuori, ma i bravi medici lo avevano curato a dovere e imbottito di
calmanti o chiuso nella cella imbottita.
Benji si ritrovò a pensare queste cose ancora nascosto sotto
il letto. Non osava venire fuori, nel caso che qualche camice bianco
che ancora si aggirava in corridoio, notasse le sue ferite e decidesse
di dare l’allarme. Sarebbe comunque bastato guardare i muri e
il pavimento per capire che, mentre loro erano impegnati altrove, anche
nella Stanza Azzurra era successo un bel casino.
Potrebbe succedere anche a me? - si chiese sempre
più
atterrito - O magari è già successo?
Com’è che ci si accorge di essere diventati pazzi?
Ci si rende conto del passaggio o tutto avviene in sordina e solo chi
ti sta intorno lo nota?
-Oh mio Dio! – ripeté e la sua voce gli
sembrò strana, aliena - anche io sono pazzo?
Gli sfuggì un gemito dalla gola serrata. Faticava a
respirare, col cuore che martellava nel petto e la posizione scomoda e
angusta sotto il letto che lo schiacciava a terra. Ma non osava uscire
dal suo nascondiglio, non ancora. Non finché non avrebbe
scoperto la verità. Ma qual’era la
verità? L’angoscia che provò in quei
terribili attimi fu indescrivibile. Poi, improvvisa luce in tutto quel
caos di tenebre, gli giunse da molto lontano la voce di sua sorella.
No! Non gli devi permettere di insinuare il dubbio. Non farlo
entrare
nella tua mente, ti annienterà! Scaccialo dalla tua testa!
Ebbe un fremito. Rachel, sei tu?! Non ottenne
risposta. Gli
sembrò che la presenza di Straker fosse ancora percepibile.
Allora era tornato, ed era reale. Udì una risatina
contenuta. Sì, era proprio lui.
Sentì qualcosa ghermirgli una gamba. Emise un grido
strozzato. Qualcuno lo aveva afferrato e cercava di farlo uscire da
sotto il letto. O si trattava di Straker, oppure gli infermieri si
erano accorti di lui. Qual’era il minore dei mali?
Riuscì a fatica a liberare la gamba e si
raggomitolò il più lontano possibile. La risata
beffarda dell’Uomo Calvo risuonò quasi divertita.
Che ci fai li sotto ragazzo? Esci fuori subito, non vorrai
passare per
codardo.
Un dolore simile alla punta di un cacciavite gli trafisse le tempie.
Alzò la testa di scatto per contrastarlo, ma finì
per sbatterla contro la traversa del letto. Fu costretto a riabbassarla
lentamente, mugolando per il dolore insopportabile.
Tua sorella non ti ha dato un buon consiglio, stavolta. La tua
mente mi
appartiene già quando io voglio, e anche la sua, quindi esci
da lì senza tante storie o vengo io a tirarti fuori.
Benji era spaventato ma anche arrabbiato. Non gli piaceva aver paura in
quel modo, né tantomeno essere manipolato o comandato a
bacchetta. Lui gli aveva quasi fatto dubitare di essere pazzo.
-Vattene! Vattene via! – gli gridò di rimando da
sotto il letto.
Straker rise divertito. Benji gemette terrorizzato, le mani sulle
orecchie per non sentire quella risata folle.
Con te non ci si annoia mai, eh Benji? D’accordo,
l’hai voluto tu. E non dire che non ti avevo avvertito.
Non ebbe nemmeno il tempo di rispondergli. Straker lo
afferrò mentre tentava di allontanarsi dalla sua portata.
Benji non urlò, stavolta. Era troppo concentrato ad avere la
meglio. Voleva sconfiggere Straker, lui non era un codardo!
Eccoti qui.
Benji lo fronteggiò con uno sguardo terribile.
-Adesso basta. Esci dalla mia testa. Non ti permetterò
più di farmi del male.
Non voglio infierire ancora, Benji, per cui ti consiglio di
stare zitto.
-No. Ora basta. Te ne vai di qui adesso.
Non aveva alcuna intenzione di cedergli. Non aveva più nulla
da perdere, ormai.
Il dolore alla testa aumentò. Divenne insostenibile. Cadde
sul pavimento con un verso strozzato, piegato ma non sconfitto.
Benji lo sapeva e così Straker. La morsa di dolore non si
placò. Strinse i denti e tenne duro. L’Uomo Calvo
tornò alla carica, oscura ombra minacciosa:
In piedi, guardami.
Benji, ancora in ginocchio con le mani a terra, scosse la testa in
segno di diniego. Parlare gli sarebbe costato troppo.
Questa tua ribellione ti costerà cara, ragazzo mio,
lo sai,
vero?- Straker era quasi gentile. In fondo ammirava quel suo
straordinario coraggio e lo rispettava - Anche se ora me ne
vado, lo
sai che tornerò.
Sì, lo sapeva. Ma non gliene importava. Per colpa sua ora
avrebbe dovuto affrontare i medici che lo credevano pazzo. Era stato un
incosciente ad affrontarlo e ne avrebbe di sicuro pagato a caro prezzo
le conseguenze, ma in quel momento non gli importava. Era solo
importante vincere.
La tensione aumentò, così come il dolore. Con un
rapido movimento inarcò la schiena all’indietro,
sollevando la testa. Le mani volarono alle tempie doloranti.
Con quanto fiato aveva in gola, comando: - ESCI DALLA MIA TESTA!!
Rimase così per qualche secondo, prima di ricadere di nuovo
a terra, completamente svuotato e dolorante. Straker, l’Uomo
Calvo, era rimasto in silenzio. Benji lo aveva sfidato e
aveva vinto, stavolta.
Sono molto colpito da questo tuo gesto, ma non pensare di
avermi
sconfitto. Hai osato disubbidirmi e sfidarmi. Ora la pagherai cara.
Rise divertito prima di sferrare un poderoso calcio che
colpì la sua piccola vittima nelle costole, togliendogli il
fiato. Benji udì qualcosa scricchiolare. Probabile che quel
bastardo gli avesse spezzato qualche costola. Il dolore che
provò fu terribile.
Questo solo per ricordarti chi comanda … il resto
lo faranno
i dottori.
L’ultima cosa che Benji percepì prima di perdere i
sensi, fu quella tristemente nota risata malvagia che si dissolveva,
poi il buio.
Sarebbe rimasto svenuto diverso tempo, prima che i medici si
accorgessero di lui.
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