Parte
VI - Handcuffs//Deception
Non
le rimisero più quelle insopportabili manette.
Tifa
non capiva perché.
Non
riusciva a comprendere il motivo per cui gliele avesse tolte solo
adesso, dopo tutti quei giorni, tutte quelle settimane.
A
che scopo levargliele? Forse Rufus era sicuro che non avrebbe
più tentato la fuga? A che scopo obbligarla a tenerle
fino
a quel momento, se non le permetteva neanche di schiudere la porta
della sua stanza? Se la sorvegliava in continuazione e non smetteva di
minacciarla di sequestrarle la chiave?
Era
una cosa che aveva notato da relativamente poco tempo, ma rimuginando,
sfogliando le pagine di Loveless - lo aveva letto
e riletto almeno una ventina di volte ormai - aveva iniziato ad
intravedere nei suoi gesti dei sospetti messaggi
cifrati, sentire parole non dette, scorgere cose che lui
sembrava volerle tenere nascoste.
Ma
erano quelle manette, quei cerchi rossi leggermente sbiaditi che
ancora le turbavano la pelle bianca dei polsi a renderla sospettosa.
Forse
in fondo, ciò che l'aveva tenuta lì andava
aldilà dell'enorme ritardo di quel maledetto Presidente.
Rufus
entrò nella sua stanza senza bussare, come al solito. Le
chiese se aveva mangiato, se voleva qualcosa in particolare, poi
uscì
chiudendosi la porta alle spalle.
Tornò
a sera tarda, per darle la buonanotte, come ai bambini.
Tifa
gli aveva permesso di comportarsi in quel modo sin da quando si
era stancata di combattere e aveva iniziato a sopportare passivamente,
senza reagire.
Ma
quella sera non aveva intenzione di andare a letto presto, di spegnere
la luce quando veniva lui a premere l'interruttore.
Si
alzò dal letto con uno slancio incontrollato, qualche
istante
dopo averlo visto richiudersi la porta alle spalle per lasciarla
dormire. Le avevano sciolto i capelli e le avevano fatto indossare un
abito di un colore scuro che si coordinava armoniosamente ai suoi
occhi, ma non le importava più nulla. Lasciò che
la vestaglia
trasparente frusciasse intorno alle sue caviglie e spalancò
la porta,
correndogli incontro a piedi nudi, inseguendolo, cercando di indovinare
la direzione che avevano preso i suoi passi.
Voleva
delle risposte. Voleva capire esattamente cosa stesse
accadendo in quel posto di cui vedeva solo quattro mura, una finestra,
un letto.
Quando
lo raggiunse, fece appena in tempo a sgusciare in una stanza
sconosciuta assieme a lui, accelerando la veloce chiusura della porta
poggiandoci sopra la schiena.
Clack.
Chiusa.
La
sala era ampia e ancora buia, l'unica fioca luce proveniva dalla
luna pallida che filtrava oltre l'enorme finestra di fronte
all'entrata; gli unici elementi di mobilia erano un divano, un tavolo
da lavoro ed una lunga libreria. Sembrava un ufficio.
Spiò
le spalle larghe di Rufus che la sovrastavano, chiedendosi se
stesse semplicemente giocando a tenerla sulle spine. Era impossibile
che non si fosse accorto di lei.
Non
gli diede il tempo di accendere la luce o di pronunciare una singola
parola:
«
Ora tu mi ascolterai, Rufus ShinRa.» scandì a voce
alta, la gola che le vibrava.
«
Non mi sono mai rifiutato di farlo.» rispose lui
semplicemente,
voltandosi a guardarla. Sul suo volto non c'era alcun tipo di sorpresa.
«
Voglio che tu mi parli sinceramente.» aggiunse, minacciosa,
facendo
qualche passo verso di lui. Non le importava di essere in vestaglia, di
essere mezza svestita, di avere un abito adatto solo alle tende
discrete del suo letto da principessa. Non le importava di essere
così
vulnerabile, piccola e bassa in confronto a lui. Voleva delle risposte
e le avrebbe ottenute in un modo o nell'altro. Non poteva dare pugni o
calci, ma poteva graffiare.
Lui
non arretrò di un solo passo, rimase immobile nella luce
lunare, aspettando.
«
Non ricordo di averti mai mentito prima d'ora. Almeno...»
sembrò
sorridere appena, nella penombra «...non l'ho mai fatto di
proposito.
Mai per ferire i tuoi sentimenti.»
«
Non lo faresti mai, vero?» lei completò la frase
con sarcasmo, la
voce tremante che cominciava a riprendere il suo vecchio calore, quello
che le aveva infiammato la gola durante quei giorni in
cella.
«
Mai.»
Sembrava
in qualche modo sincero, ma Tifa non aveva intenzione di farsi
interrompere o ingentilire. Inspirò fino a riempirsi
completamente i
polmoni.
«
E allora, dimmi, signor ShinRa.» scandì
perfettamente le sillabe,
una ad una « Perché tuo padre non è
ancora qui? Perché hai cercato di
eludere l'argomento in tutti questi giorni? Voglio una
risposta!»
Il
suo urlo bisbigliato venne inghiottito da un silenzio pesantissimo.
Dapprima
sul viso di Rufus non apparve alcun tipo di emozione. I
suoi lineamenti rimasero immoti, la bocca ferma nell'atto di dire
qualcosa. I suoi occhi, per il maledetto Pianeta,
i suoi occhi brillavano come pietre preziose, liquidi e pericolosi come
il mercurio, un alternarsi continuo di azzurro, verde, ambizione,
egoismo, divertimento.
Tifa
resistette. Stoicamente.
«
Credo sia arrivato il momento di spiegarti qualcosa, Tifa.»
cedette lui infine, mentre un sorriso rassegnato gli increspava le
labbra. Un rimpianto falso quasi quanto la gentilezza delle sue parole,
un sentimento artificiale che neppure gli sfiorava gli occhi.
Lei
intrecciò le braccia sul petto, in attesa, le unghie che le
si
conficcavano nei palmi fino quasi a farli sanguinare. Ormai era ovvio
che i suoi sospetti fossero certezza.
«
Sono tutt'orecchi.» annunciò, respirando
profondamente.
Rufus
ebbe un'ultima esitazione prima di riprendere. Si stava divertendo.
Si stava divertendo troppo e non avrebbe permesso che tutto quello
finisse troppo in fretta.
«
Da dove potrei iniziare...» si finse soprappensiero per un
attimo,
massaggiandosi svogliatamente il collo «...come
dire.» alzò di colpo
gli occhi verso di lei, una luce spaventosa ad illuminarglieli
« Mio
padre ha sempre odiato i ritardi. Li considera inappropriati.»
Tifa
batté le palpebre, confusa.
«...cosa
vuol dire?»
Rufus
sorrise. Un sorriso tagliente, un sorriso che sfiorava il sadico.
Tifa strinse forte i denti.
«
Significa che mio padre non si concede alcun tipo di ritardo.
Semplicemente, non verrà mai a vederti.» scosse il
capo nel ripetere «
Mai.»
Tifa
si morse un labbro, affondando i canini nella carne e nel rossetto che
sapeva di ciliegia. Attese che lui finisse.
Il
principe parve voler studiare la sua reazione prima di
riprendere. Era così maledettamente disgustoso e seducente
il modo in
cui piegava la testa di lato, la forma della sua bocca che la
scherniva, il modo suggestivo con cui i raggi lunari mostravano e
nascondevano il taglio elegante delle sopracciglia e degli occhi. Tifa
si morse anche la lingua.
«
Il Presidente non verrà per un semplice motivo.»
quelle parole
suonarono come una condanna « Ispezioni a nord. Impegni,
appuntamenti.
Gli rimane giusto il tempo necessario a delegare al suo giovane vicepresidente
di adempiere ai compiti che lui, sfortunatamente,
non può portare a termine.»
Tifa
rimase immobile. Il suo cuore perse un battito.
Rufus
si lasciò andare in quella risata tranquilla che aveva
trattenuto fino a quel momento: durò giusto un istante.
«
Toccava a me giudicarti. In questo caso, toccava a me. E l'ho
fatto.»
sollevò le sopracciglia in un'espressione ingenua
« Ti ho liberata il
giorno stesso in cui ti ho vista là distesa in quella cella.
Sei libera
da allora.»
Tifa
aprì la bocca, sconvolta, ma lui la precedette, guardandola
fisso negli occhi:
«
Potevi andartene da allora.» fece una pausa, il suo sorriso
divenne terribilmente malizioso « Ma sei rimasta.
Sbaglio?»
E
poi accadde.
Tifa
scoppiò. Tutta la rabbia, tutta la vergogna, tutto il
dolore, tutto
ciò che aveva accumulato, trattenuto e soppresso dentro di
sé durante
quei giorni, le esplose nel petto con una furia tale che le parve di
poter vedere le sue mani bruciare assieme ai vestiti.
Senza
più riuscire a distingue la parte razionale da quella
irrazionale, si lanciò contro Rufus, gli afferrò
con rabbia una manica
dell'abito, tirandolo così forte che avrebbe potuto
strappare la
stoffa. Lo strattonò, la voce che le gorgogliava in gola, lo
spinse con
tutta la sua forza contro lo stretto divano di pelle nera.
Lui
non si oppose, la lasciò fare, ricadde pesantemente sui
cuscini,
il volto tanto tranquillo da sembrare quasi soddisfatto, compiaciuto;
la attendeva, seduto scompostamente sul divano, attendeva solo che lei
lo raggiungesse.
E
lei non si fece attendere.
Si
avventò su di lui, a piedi nudi sulla pelle liscia e scura
come
la notte, intrappolò le sue gambe fra le proprie,
afferrandogli con
foga e furia combinate il bavero bianco della giacca. Lo avrebbe
colpito con tutta la sua forza.
Avrebbe
davvero voluto farlo.
Le
loro labbra si scontrarono violentemente, affamate, bollenti,
arrabbiate, in una ricerca ossessiva e continua di farsi male e
soddisfarsi a vicenda. Quelle di lui la provocavano, la invitavano, si
impossessavano di lei improvvisamente, la guidavano e si lasciavano
guidare per prenderla in giro. Quelle di lei lo rincorrevano,
reclamavano con prepotenza la sua attenzione, cercavano di morderlo per
fargli male ma poi si smarrivano e lo baciavano semplicemente.
Lo
baciavano con rabbia, con rimpianto, con dolore, bruciando di un
amore morboso e carnale che la consumava dall'interno, facendole
sentire solo un disperato ed insensato bisogno di ricevere quello
stesso amore in cambio del proprio, riceverlo e donarlo, donarlo e
riceverlo all'infinito.
Sentì
improvvisamente le braccia di Rufus cingerle i fianchi,
possessive, cercare la sua schiena, cercare quel contatto fisico che
gli aveva negato così strenuamente fino ad allora. E non si
era neppure
resa conto di aver già avvolto le sue braccia al suo collo
con lo
stesso identico vigore, le mani che si insinuavano fra i suoi capelli,
glieli tiravano fino quasi a strapparglieli, una vendetta dolce, lenta
e crudele.
Si
avvicinò ancora a lui, stringendo le gambe ai suoi fianchi,
guidata solo dal desiderio incontrollato che i loro corpi si
toccassero. Anche quel vestito da camera, quell'abito tanto sottile da
sembrare quasi trasparente, quello attraverso il quale lui poteva
sentire ogni cosa di lei, non era mai stato così comodo come
in quel
momento.
Tifa
trattenne il respiro mentre lasciava che le labbra di lui
dischiudessero le sue, intensificassero la passione ed il bisogno con
cui le loro bocche si univano e si allontanavano, si assaggiavano a
vicenda senza fermarsi mai a riprendere fiato. Gemette appena mentre
seguiva la curva della sua mascella tesa, intrecciava ancora le dita
alle ciocche bionde sulla sua nuca, si rendeva conto di averlo
desiderato con quello stesso rovente tormento fin dal primo sguardo,
dalle prime parole, dal primo istante.
Poi
furono costretti ad interrompersi, con rammarico, con la stessa rabbia
con cui si erano uniti.
Il
volto in fiamme, la gola scossa da bassi sospiri, Tifa lo
cercò
nella penombra, consapevole solo delle sue mani grandi e calde sulla
sua pelle, del suo ansimare accaldato che le sfiorava il collo.
E
lui era lì, cercava lei, gli occhi socchiusi ed un sorriso
stanco
sulle labbra, un sorriso che sapeva di soddisfazione, autocompiacimento
ed irrequietezza.
«
Ero preparato ad affrontare la tua rabbia assassina...»
glielo
bisbigliò all'orecchio, con voce un po' roca
«...ma questo in fondo è
molto meglio.»
Lei
si chinò sulla sua spalla, arcuando appena la schiena contro
le sue
dita che continuavano a cercarla, avide, incontentabili, sempre
più
lente; si nascondevano oltre i lembi del suo vestito, le sfioravano il
collo, si insinuavano dolcemente tra i suoi capelli, discendevano le
sue braccia scoperte, rasentavano lembi di pelle proibiti lasciandola
senza fiato.
Nascose
il volto nell'incavo del suo collo, chiudendo gli occhi, mordendosi le
labbra per ritrovare quel poco del suo sapore che
vi era rimasto sopra.
Ormai
sapeva di appartenere a quelle mani, sapeva di essere sua
e di non poter più scappare, sapeva che gli avrebbe donato
tutta sé stessa senza che lui dovesse chiedere nulla. Ora
non servivano le manette a tenerla prigioniera.
Gemette
ancora, sommessamente, cercando la sua bocca. Lui si mosse appena per
facilitarla, carezzandole il naso con una guancia.
«
Sei un maledetto, imperdonabile bastardo.»
glielo disse
in un basso rantolo, con le labbra sovrapposte alle sue, tesa come le
corde di un violino nel momento in cui venivano pizzicate dal
musicista.
Sentì
solo qualche parola confusa e fioca prima di accogliere ancora
il suo respiro dolce fra le labbra, desiderando solo che quel secondo
bacio durasse più a lungo, fosse più intenso e
più straziante.
«
...ma tu puoi sopportarlo, vero...?»
Tifa
si strinse con più forza alle sue spalle, corrugando la
fronte,
colmandosi di lui fino a che non le parve che il cuore potesse
scoppiarle in petto.
Era
una risposta abbastanza chiara.
[End]