Fin dal primo
momento che l’aveva visto, se n’era innamorato. I suoi capelli grigio-neri, la
sua camminata particolare con quel portamento elegante e fiero, il suo viso
bellissimo e bianco… E quella voce da fare impazzire. Takao
era completamente cotto di quel ragazzo del corso di lingue straniere, Kei. Conosceva il suo nome solo per sentito dire, avendolo
chiesto a delle ragazze che frequentavano il suo stesso corso. Tutto era
cominciato una mattina di Ottobre, quando Takao,
appena arrivato in aula, si dispose a ripassare la lezione di economia del
turismo sul libro di testo. Mentre studiava le righe, la porta si aprì,
rivelando la figura di un bellissimo ragazzo. Kei,
appunto.
-Scusa… è
questa l’aula di letteratura americana?-
-…-
-Eh?-
-…N..no, questa è l’aula di economia del turismo. La tua è più
in fondo.-
-Grazie. Ciao!-
Non ebbe il
tempo di replicare, che il ragazzo con i capelli grigi si eclissò dietro la
porta a doppio battente. Takao rimase folgorato da
quell’incontro. Sette parole, non una di più, bastarono ad ammaliarlo, tanto
che nei giorni seguenti non faceva altro che pensare a lui. La notte non
riusciva a dormire, e studiava con la mente annebbiata.
“Sarà gay? Non
sarà gay? Ma certo che lo è, si vede lontano un miglio! Se lui non è gay io
sono la Regina Elisabetta.
Sì ma… anche se lo è.. gli piacerei? Non gli piacerei?”
Si riferiva al
fatto che ultimamente aveva accumulato un po’ di ciccia… Non era obeso, però
era piuttosto in carne. Tuttavia, con i vestiti larghi, sembrava anche
abbastanza appetibile. Almeno così pensavano i suoi amici, avventori del Gay Village.
Ora lui si
trovava da solo, a passeggiare per Roma. La città era così silenziosa, mentre
dormiva, e pensò che se avesse avuto Kei al suo
fianco, sarebbe stata una notte davvero romantica. Camminava tranquillamente
con le mani in tasca, confortato dal rumore dei suoi passi sul marciapiede…
Decise che avrebbe vagato fino a che non fosse stato stanco, dato che per un
motivo preciso, non riusciva a prendere sonno.
“Kei… Quanto vorrei che tu mi aiutassi a riprendere sonno.”
Pensava,
camminando.
*****
Perso nei suoi
pensieri, seduto al posto di guida del suo taxi, Lorenzo guardava nel vuoto. La
giornata era stata particolarmente pesante, ma lui non aveva alcuna voglia di
tornare a casa. Poco gli importava se c’era lì sua madre ad aspettarlo,
probabilmente abbioccata sul divano mentre guardava un programma alla
televisione, tanto lo sapeva che ormai anche lei era persa da qualche parte con
la testa… Proprio come lui.
Buttò
un’occhiata al portaoggetti della vecchia Fiat Brava. Con un gesto lo aprì e
tirò fuori una revolver Smith & Wesson calibro 38. Aprì il tamburo, che era vuoto, quindi
lo fece girare con un dito. Il rumore che produceva era simile a quello di una
roulette, forse era per quello che i giochi suicidi venivano chiamati “Roulette
Russa”… Lo richiuse, quindi osservò l’arma. Era una
pistola relativamente piccola, più adatta alla difesa personale che all’offesa
vera e propria, ma – suo padre gli aveva detto – comunque letale.
Da suo padre
aveva ereditato una moglie ubriacona e scansafatiche (sua madre) e il suo taxi,
nonché la passione per la letteratura. Prima che il vecchio morisse di infarto,
appena un anno prima della pensione, Lorenzo stava per terminare gli studi di
lettere e filosofia alla Sapienza, sognando di diventare scrittore o
giornalista… Sfortunatamente, la morte prematura del padre e il conseguente
impoverimento dovuto alla mancanza di fondi per il sostentamento, costrinsero
il povero Lorenzo ad implorare il padrone di suo padre per trasferirgli la
licenza di tassista. Così, da tre anni lui girava per le strade scarrozzando
gente di qua e di là.
Lorenzo era
anche stato innamorato, una volta. Sì, lo ricordava. Lo ricordava troppo bene…
Il suo fidanzato
si chiamava Lucas. Il ragazzo più bello e gentile del mondo, che per due anni
l’aveva fatto vivere nella completa tranquillità, illudendolo che l’amore fosse
senza fine. Infatti, da un giorno all’altro, Lucas scaricò Lorenzo senza troppi
complimenti, e a nulla servì implorarlo di tornare. Lucas aveva preso la sua
decisione, e Lorenzo poteva tranquillamente attaccarsi al tram.
Sospirò,
ripensando al ricordo dei bei giorni passati con il suo Lucas… Giorni ormai
lontani, eppure così dolorosi per il suo cuore. A distanza di sei mesi, ancora
pensava a lui, ancora sognava di stringerlo fra le braccia, di assaporare le
sue labbra di ragazzo italo-brasiliano… Ma lui
niente. Lui non c’era più, sparito dalla circolazione come una banconota fuori
corso.
Ed ora era
Lorenzo, che voleva sparire. Per sempre, come se non fosse mai esistito… Lo
voleva da quando Lucas l’aveva lasciato, e ancor di più da quando aveva capito
che nel mondo non c’era posto per lui, così maledettamente fuori forma e così
fottutamente romantico che non riusciva a trovare un ragazzo che lo
sopportasse.
Con la mano
destra sollevò la pistola, portandosela alla bocca.
Inizialmente
tremò come un disperato. Nonostante il suo desiderio di cancellarsi fosse così
intenso, aveva paura.
“C…coraggio vecchio.
D..Di che cos’hai p..paura? …Quest’arnese è scarico. Non potrà certo farti del male.”
E la sua bocca
si deformò in un sorriso, prima che dalla sua gola venisse fuori una risata.
Una risata allegra, divertita, che in breve si trasformò in una risata
isterica, stridula ed alta.
“…Immagina di
essere qui da solo. E lo sei. Sei qui solo al mondo, ma non c’è nessuno a cui
chiedere aiuto, nessuno che può tirarti fuori dallo stato d’animo in cui ti
trovi. E allora cosa fai? Semplice, prendi la porta e te ne
vai.”
Quella voce
che sentiva nella testa era quella di Lucas. Ribatté con la sua voce.
“..Ma… e se domani fosse un altro giorno?”
“Domani è già oggi. E non sta succedendo niente. Allora, vuoi stare
qui a guardare un altro giorno uguale a quelli passati oppure vuoi…”
“No.
D’accordo.”
“E allora
fallo. Tira quel grilletto, e sarai libero.”
Senza
ribattere più nulla a quel soliloquio interiore, Lorenzo premette il grilletto.
La
deflagrazione fu assordante, nel piccolo abitacolo. La pistola che avrebbe dovuto
essere scarica, esplose un colpo nella bocca di Lorenzo, che si addormentò ad
occhi aperti in quell’abitacolo dai vetri ora colorati di rosso vermiglio e
grigio, mentre fuori suonava un cicalino.
BI-BI-BI-BI-BIP!
BI-BI-BI-BI-BIP!
BI-BI-BI-BI-BIP!
Madido di
sudore, Lorenzo si svegliò di soprassalto nella sua stanza da letto, spaventato
dal suono improvviso della sveglia e dall’incubo che aveva fatto.
“Gesù, un
altro incubo…. Cristo, non ce la faccio più.”
Si strofinò
gli occhi, trattenendo l’impulso di piangere. Stringendo i denti, spense quella
sveglia infernale, correndo verso il bagno per prepararsi ad una nuova
giornata.
*****
Alla stessa
ora, il dottor Kyosuke Kasuga
stava per finire il suo turno di notte al Pronto Soccorso, di cui era responsabile.
“Ancora un
minuto e poi potrò andarmene a letto… puff. Non vedo
l’ora.”
Finì di
firmare dei moduli di ricovero, poi si alzò dalla poltrona e velocemente si
tolse il camice, appendendolo all’attaccapanni. Senza di esso, dimostrava ancor
meno dei sui trentuno anni… Mentalmente tracciò la
scaletta di quello che avrebbe fatto una volta sveglio: Riordinare casa, andare
al supermercato, pagare le bollette… e….
“…Andarlo a
trovare.”
Già, perché
“lui” lo stava aspettando. Un brivido gli percorse la
schiena, e un sorriso comparve sulla sua faccia.
“Chissà cosa
mi racconterà oggi…”
Rincuorato dal
pensiero di quella persona, il dottor Kyosuke si
incamminò verso casa a bordo della sua Volvo.