That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Storm in Heaven - III.006
- Storm in Heaven (1)
Mirzam Sherton
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971
Jarvis fissò attentamente il colletto
della mia tunica poi, per l’ennesima volta, si
allontanò di un passo per controllare l’abito
nella sua interezza: mi aspettavo che iniziasse di nuovo a girarmi
attorno, lentamente, indicando all'Elfa gli ultimi dettagli che ancora
non lo convincevano, imponendomi di stare dritto e tenere una posa da
modello, stavolta invece si fece da parte e mi permise di guardarmi
allo specchio.
“Ce l’abbiamo fatta!
Stavolta sei pronto! Ora possiamo scendere, ma prima vorrei
ricordarti... ”
Io, però, non gli prestavo già più
attenzione, la stanza, intorno a me, era sparita, tutta la mia
concentrazione andava alle vesti che avevo indossato: le avevo provate
molte volte ma... quando mi guardai, fui travolto
dall’emozione perché, finalmente, tutto stava per
compiersi. Mi controllai da vicino il viso: Jarvis mi aveva aiutato e
ora, grazie a Incantesimi e Pozioni, non si vedevano più
segni, tagli o lividi a testimoniare la terribile nottata appena
trascorsa, di diverso dal solito c'erano solo i capelli, che arrivavano
appena a sfiorarmi le spalle, -non ricordavo di averli mai portati
tanto corti dopo la fine della scuola- e la sensazione strana del volto
di nuovo privo di baffi e barba, dopo le ultime settimane passate a
farli crescere solo per il Rito. E quella sottile linea di Rune
lì, proprio al centro del mento! Andai a toccarla: le Rune
erano visibili, ma al tatto non erano in rilievo come tutte le altre.
“Sono lisce, così
la barba ti crescerà normale, senza segni strani, anche se
ci sono sotto le Rune.”
Lo guardai e sorrisi: a chi importava della barba? Quelle erano le Rune
che già sentivo di amare più di tutte, come
quelle alle mani che mi legavano a mia sorella e alla mia sposa: non mi
sarei più fatto crescere la barba, mai più,
volevo che si vedessero, che tutti vedessero quei segni, testimoni
delle responsabilità che mi ero assunto di fronte a
Herrengton, come un vero uomo. Scesi con lo sguardo lungo la mia
figura, mi guardai le mani, le maniche della tunica, i sottili
dettagli: avevo sempre amato gli abiti tradizionali e quello era per me
il più bello, forse perché l'avevo sospirato a
lungo, arrivando spesso a disperare di poterlo mai indossare per la
donna che avevo nel cuore. Secondo la Tradizione del Nord, l'abito
nuziale non prevedeva pantaloni, ma io li avevo voluti ugualmente,
verde smeraldo, rifiniti ai bordi e ai lati con leggere decorazioni in
argento; sopra, a pelle, andava la classica tunichetta di seta avorio,
che arrivava appena a metà coscia, aderente e scollata,
tutta ricamata con analoghe rifiniture, sopra la quale c'era la tunica
cerimoniale, lunga fino ai piedi, anch'essa verde slytherin, di cui
alla fine sarebbero stati visibili solo l'alto colletto ricamato e le
maniche dai polsini e dagli avambracci rifiniti con le stesse
decorazioni in argento. Sopra, a memoria dell'epoca in cui eravamo
sempre in guerra, andava indossata la cotta d'argento Elfico, nascosta
sotto un'altra tunica di seta verde di tonalità
più chiaro, semitrasparente, semplice e liscia, ampia, senza
maniche e con lo scollo circolare, fermata ai fianchi da un'alta fascia
di seta argento. Completava il tutto la tradizionale
“zimarra”, il soprabito da Mago che lasciava
intravvedere solo in parte gli strati sottostanti, anch'essa verde
smeraldo, ampia, con le grandi maniche lunghe fin quasi a terra, e
tutte le bordature rifinite di argento, chiusa in vita dalla cintura a
dischi d'argento che reggeva anche il ricco fodero e la spada di
Hifrig; lateralmente la sommità delle maniche era ornato da
un sobrio coprispalle di pelliccia, da cui scendeva il mantello
slytherin: entrando nella Sala di Habarcat, avrei dovuto sollevare il
cappuccio, mantenendo così il viso coperto per tutta la
durata della cerimonia, finché il celebrante non avesse
completato le formule rituali e avesse dichiarato me e Sile marito e
moglie. Ai piedi avevo degli stivali alti, di pelle di Nero delle
Ebridi, al collo avrei indossato il medaglione di Orion Black e
all'anulare sinistro, in aggiunta agli anelli che portavo sempre,
quello che mi aveva donato la sera prima mio padre, una fedina
semplice, di oro bianco, con incastonati due smeraldi disposti ai lati
di una H e una S d’argento, intrecciate: faceva parte di
quelle reliquie di famiglia che erano tramandate non per via ereditaria
ma come dono personale, mio nonno l'aveva regalato a mio padre per le
sue Rune dei ventuno anni e mio padre a me per il matrimonio. Un giorno
l'avrei donato anch’io a uno dei miei figli, in un'occasione
importante. Ripensai al bambino delle mie visioni e l'emozione mi
travolse definitivamente.
“Andiamo, Mirzam, si sta
facendo tardi… è ora di scendere dagli
ospiti… ”
“Aspetta, prima devo indossare
il medaglione dei Black, ma non ricordo dove l’ho
messo…”
Mi guardai attorno come un predatore a caccia, osservando la stanza
ridotta a un campo di battaglia, con la bacchetta, estratta dalla
zimarra, buttai per aria tutto ciò che si era depositato
sulle poltrone e sulle coperte del mio baldacchino, muovendomi
lentamente tra i mobili, inseguito da Kreya che, zampettando qua e
là, cercava disperata di sistemarmi le ampie maniche della
veste, o i bordi del mantello, perché stavo di nuovo
alterando la perfezione del vestito, conquistata con molta
difficoltà. Sbuffai innervosito dal contrattempo e guardai
fuori dalla finestra: il sole pallido era già salito lungo i
costoni di roccia e faceva capolino sopra le punte innevate degli
alberi, ricordandomi che mancava poco, tragicamente poco, all'inizio
della Cerimonia; Jarvis, da bravo testimone, mi aveva tranquillizzato,
ma la verità era che avevo riposato troppo di ritorno dalla
grotta, avevamo impiegato troppo tempo durante la Vestizione e ora
eravamo in spaventoso ritardo.
“Calmati, saranno qui,
nascosti da qualche parte, sotto le custodie dei vestiti! O, magari, li
ha già presi tuo padre, per consegnarne uno a Sile. Ora
però stai fermo, faccio io, o finirai col rovinare
l’abito!”
“Mio padre non è
ancora ritornato dalla grotta, Jarvis, e i medaglioni erano qui al
nostro arrivo!”
“Allora sono qui dentro:
è tutto a posto, Mirzam, un bell'Accio ed è tutto
risolto! Ma stai buono!”
Warrington aveva ragione, dovevo affrontare la situazione con calma e
razionalità, i medaglioni non potevano essere spariti da
soli e, seppur poco, c'era ancora tempo prima di dover affrontare gli
ospiti. Quello che provavo era un autentico attacco di panico, la
prospettiva di arrivare in ritardo o di fare qualcosa di sbagliato e
imbarazzante, mi aveva già riempito di ansia e ora un
problema pratico e oggettivo, come la scomparsa degli astucci con i
gioielli, peggiorava la situazione: quando Jarvis recitò tre
volte l’Incantesimo e dei cofanetti non apparve traccia,
ricominciai a sudare freddo.
“D'accordo, ora ragioniamo con
calma... potrebbe averli presi Fear, vuole farne dei potenti Amuleti.
Forse si è già messo all'opera... Lo conosci, se
non s’impiccia, non è soddisfatto!
Eheheh!”
“C'è poco da
ridere, Jas! Se non saltano fuori prima dell'arrivo di Walburga Black,
non basteranno tutti gli Amuleti del mondo per salvarmi, mi
lancerà addosso le sue simpatiche Fatture! E nemmeno tu la
passerai liscia: sei il mio testimone, ti riterrà
responsabile, trascinerà all'inferno anche te, con le sue
urla!”
Nonostante tutto, l’agitazione, l’ansia, la
tensione, a quel punto riuscii a ghignare: Warrington aveva cambiato
atteggiamento all'istante, una nota di preoccupazione sincera a
oscurare la faccia da schiaffi con cui si rivolgeva a me da quando
l'avevo nominato mio testimone di nozze, perché la nomea di
donna spietata e vendicativa che seguiva Lady Black era ben nota anche
a lui e, citandola, mi ero assicurato il suo assoluto sostegno per
ritrovare quei benedetti gioielli. Certo, l'idea che i cofanetti
fossero in mano a Fear... Non ci avevo pensato fino a quel momento, ma
di colpo timore si aggiunse a timore: tornati al Manor, mentre
riposavo, Fear era sparito, benché dovesse assistere alla
Vestizione, insieme a Jarvis. Mi chiesi ansioso cosa stesse combinando,
solo, in giro per il castello, senza il controllo di mio padre: di
sicuro, quando l'avessero scoperto, i miei non ne sarebbero stati per
niente contenti. Di colpo, però, Fear fu l’ultimo
dei miei pensieri: mi bloccai senza fiato davanti al letto, una fitta
dolorosa a un fianco, la sensazione di una morsa opprimente alle
costole che non mi faceva respirare.
“Dannata cotta!
L’hai stretta troppo, Jas, non riesco a respirare,
né a muovermi! Fai qualcosa!”
Quando mi ero infilato la tunica e la cotta, Warrington era passato
dietro di me per aiutarmi a chiuderla, ma aveva serrato troppo le
cinghie di cuoio che la bloccavano, impedendomi quasi di respirare.
“Quanti lamenti, Sherton! Lo
sai, la cotta deve donare allo sposo un aspetto austero,
perché è sconveniente che un Mago del Nord,
qualunque età abbia, si sposi con l'aria scanzonata di un
ragazzino imberbe! Inoltre, se è vero che tu dovrai
arrovellarti per ore, per venire a capo dei trucchi del vestito della
sposa, cercando di evitare le deliziose trappole che in questo momento
le damigelle stanno disseminando tra le sue vesti, tradizione vuole che
anche la sposa debba soffrire un po', prima di ottenere i tuoi favori.
Perciò basta con i lamenti e ricorda, niente scorciatoie:
per una lunga vita prospera e feconda, non potrete aiutarvi con la
Magia, queste vesti ne sono immuni, e persino i veli, domattina,
dovranno essere intatti!”
Mi guardò malizioso ed io mi ritrovai la faccia in fiamme:
avevo visto molti amici del Nord sposarsi, a un paio avevo anche fatto
da testimone, sapevo che la Vestizione era un momento fatto di
complicità e stupide battute, dette per allentare la
tensione, ma non immaginavo fosse tanto diverso vivere la stessa
esperienza a ruoli invertiti. Cercai di respirare, di distrarmi, senza
troppo successo, Jarvis mi sorrise e provò a
tranquillizzarmi con la bonarietà e la pazienza di chi ci
è già passato e sa affrontare quel turbinio di
emozioni diverse.
“Dai... Volevo solo farti
sorridere! Cosa ti agita tanto? Non sarai mica preoccupato per...
“quello”?”
“Non ho mica dodici anni, Jas! Io… non lo
so… Credo che le mie siano paure molto più
immediate: fare tardi, fare o dire qualche sciocchezza, avere l'aspetto
livido di chi sta per soffocare!”
“Prima del mio matrimonio, a
tal proposito, mi hanno semplicemente detto: “Ragazzo mio,
per la cotta esiste un solo trucco: stai calmo e buono, e l'ossigeno ti
basterà almeno per dire “Sì”,
che è l'unica cosa che tutti vogliono e si aspettano da te,
al resto ci penserà tua moglie!””
Jarvis era diventato porpora nel tentativo di non ridermi in faccia,
ripetendomi le stesse parole che gli avevo detto io al suo matrimonio
mentre Augustus lo trascinava nella tenda a vestirsi e lui si
ribellava: l'avrei volentieri schiantato sul posto, come aveva cercato
di fare lui all'epoca, ma mi trattenni per non perdere altro tempo,
consapevole del vero senso del detto “la vendetta va
consumata fredda”; in effetti, mi era sembrato strano che
Warrington non avesse esagerato alla mia festa di addio al celibato,
ora mi rendevo conto che aveva deciso di sfruttare la ghiotta occasione
di farsi beffe di me e vendicarsi quando sarei rimasto solo con lui, in
sua balia, nella mia stanza, lontano da testimoni. Dovevo ammettere
che, a suo tempo, mi ero comportato da autentica capra: prima del suo
matrimonio, l'avevo canzonato senza pietà, per settimane e
mesi, torturandolo perché gli era stata destinata una cugina
che detestava, altezzosa e piantagrane, dimostrando una totale
indifferenza per i patemi e le paure del mio amico; e ora scoprivo che
Warrington non solo non aveva dimenticato, ma si stava rifacendo alla
grande: la cosa assurda era che glielo avevo permesso io, mettendomi
volontariamente nelle sue mani, quando gli avevo chiesto di farmi da
testimone. Mentre ripensavo alle mie colpe, Jarvis fece stringere
ancora le cinghie con un leggero colpo di bacchetta, sorridendomi
satanico, ed io, rimasto senza fiato, iniziai a tossire, sempre
più livido.
“Vigliacco! Ti giuro che me la
pagherai, Warrington! Salazar, ma che ti prende, oggi? Se avessi saputo
che mi sarei ritrovato lo stesso con un buffone, pazzo scatenato e pure
assassino, avrei chiesto a Rodolphus Lestrange di farmi da
testimone!”
Jarvis, ghignando, mi squadrò con un'altra occhiataccia
malvagia, io ero ormai convinto che sarei presto caduto svenuto e che
il matrimonio sarebbe andato a monte; invece, forse per
pietà o, molto più probabilmente, per rispetto
verso Sile, che rischiava di scendere dagli ospiti senza trovarmi ad
attenderla o di diventare vedova prima del tempo, alla fine
allentò la morsa, permettendomi di riprendere fiato.
“Ti salvi solo
perché l’ultima cosa che voglio è
essere paragonato a quel pavone di Lestrange!”
“Non corri rischi, Warrington,
tu sei molto peggio di lui, fidati! Con Rodolphus almeno uno sa cosa
aspettarsi, tu invece… non avevo idea che tu fossi
così malefico e falso...”
“Però vesto meglio
di lui, ammettilo! Sai, l’ho visto una settimana fa da
Burgin, sembrava un faro che risplende nella notte… Povero
Rod, che triste sorte…”
Ci guardammo e, pensando che, tra tutti noi, alla fine, fosse stato
proprio Rodolphus Lestrange, il celebrato dongiovanni, a finire
incastrato, di sua spontanea volontà per giunta, con una
Strega incredibilmente ricca e bella, certo, ma pericolosa e infida
come poche, scoppiammo a ridere; io, a dire il vero, avevo ancora
qualche difficoltà a respirare e il volto mi
diventò di nuovo, velocemente, porpora.
“Salazar, Sherton! Respira!
Respira a fondo, dai... Così... Perfetto... Meglio cambiare
discorso e cercare i medaglioni…”
“Cercherai tu Fear e i
cofanetti, Warrington, io ti starò a miglia di distanza! Sei
una minaccia, ecco cosa sei! Meglio se corro da Sile!”
“Porta male vederla con
l'abito da sposa prima della Cerimonia! E se le ronzerai attorno prima
del tempo, suo padre e il suo seguito ti defenestreranno, e questo non
è solo un modo di dire!”
”Lasciami passare, Jas,
prometto che di quel dannato abito non mi curerò per
niente!”
Lo guardai e Jarvis mi rimandò indietro uno sguardo
esasperato, poi per sicurezza, sapendo che sarei stato abbastanza pazzo
da passare rapidamente dalle parole ai fatti, si frappose tra me e la
porta.
“Togliti di lì,
Sile ed io siamo sposati ormai, non accetterò altre
interferenze, soprattutto da te!”
“Non siete affatto sposati,
ancora! E se ti lasciassi andare, non ci sarebbe più nessun
matrimonio, per oggi! Finireste col barricarvi nella sua stanza e non
uscireste più, così dovremmo ricominciare da
capo, fissare una nuova data per le nozze, richiamare gli invitati:
scommetto che anche tuo padre sarebbe molto entusiasta di avere di
nuovo tutte quelle cariatidi imbellettate in giro per il
castello!”
“Hai finito? Puoi non
credermi, Jarvis, ma non sono più un quindicenne preda degli
ormoni! Sile aveva un brutto taglio alla gamba, sono ore che vorrei
andare da lei solo per sapere come sta!”
“Che non sei preda degli
ormoni l'hai dimostrato chiaramente quando l'hai quasi soffocata,
giù alla grotta! Andiamo, Sherton, chiunque al tuo posto
perderebbe la testa! É normale! E comunque... Sile
sta bene, ci ha pensato tua madre a lei: mi sono informato sulle sue
condizioni, prima, mentre tu riposavi…”
“IO - NON - RIPOSAVO! Sei tu
che mi hai Schiantato per impedirmi di uscire da qui!”
Jarvis sorrise indulgente, io avrei voluto saltargli alla gola, ma
quella dannata cotta mi faceva muovere con l'agilità di un
pinguino: di ritorno dalla grotta, al mio primo tentativo di evasione,
dopo aver provato invano a convincermi, Warrington mi aveva reso
inoffensivo con un leggero Stupeficium ed io, colto alla sprovvista,
ero svenuto con la sorpresa negli occhi, risvegliandomi poi solo dopo
un bel pezzo.
“Non farmi ripetere la cosa,
per favore! Ci manca solo uno sposo rintronato che stenta a dire
“Sì” o pronunciare bene il nome della
sposa! Una scena che, conoscendolo, Donovan apprezzerebbe
molto!”
“Non si ripeterà,
non mi farò più cogliere impreparato, non da te!
Piuttosto, guardati le spalle!”
Jarvis sospirò e, sorridendo, si appoggiò alla
porta, facendomi capire che dovevo rassegnarmi o combattere: se fosse
stato solo il mio testimone, di sicuro mi avrebbe lasciato passare,
stanco di sopportare le mie intemperanze, consapevole che non avrei
fatto niente di male, che desideravo solo abbracciare Sile, prostrarmi
ai suoi piedi, venerarla come una dea, grato che stesse realizzando
tutti i miei sogni; Warrington però, dopo la storia della
Cancelleria, aveva ripreso a frequentare con regolarità
Sile, ricoprendo di nuovo il ruolo di suo migliore amico e confidente
che gli era stato proprio a Hogwarts, così quando avevamo
deciso di sposarci con un Rito Tradizionale, si era offerto come
“Portatore della Sposa”, impegnandosi a
proteggerla, a costo della vita, nel difficile viaggio per mare da
Doire a Herrengton. Il suo compito ora era finito ma sapevo che avrebbe
continuato a vegliare su di lei, arrivando a proteggerla da tutto e da
tutti, anche da me e dalle mie follie e paure, finché non
fossimo stati dichiarati marito e moglie e non ce ne fossimo andati
dalla festa, per vivere finalmente la nostra vita.
“Ora basta giocare, Sherton...
Quando ti sarai calmato, usciremo da qui, cercheremo quei medaglioni e
scenderemo di sotto! Ho appena visto il segnale, ora le Passaporte e i
Camini sono attivi: so che non sei portato per le mondanità,
ma tu affronterai questa Cerimonia come si richiede a uno Sherton,
chiacchierando, sorridendo, bevendo senza esagerare e, soprattutto,
rilassandoti. Questo è l'ultimo piccolo sacrificio che ti
separa dalla donna che ami e desideri, tra meno di un'ora Sile
sarà tua moglie e tutto il resto non avrà
più importanza! Sempre che tu non abbia dei ripensamenti.
Non li hai, vero?”
“Ripensamenti? Sei pazzo?
Certo che non ne ho! Sono solo un po’ emozionato, un po'...
tanto...”
“Beh, questo è
normale, anche Sile si sente come te, non preoccuparti! Ed è
bello essere così, emozionati e sinceri, innamorati. Per un
attimo, ho temuto che fossi preda di uno dei tuoi soliti momenti di
sfiducia e sconforto, che di nuovo non ti rendessi conto di avere
tutto, l'amore di Sile, il sostegno delle vostre famiglie, la
benedizione di Herrengton...”
“Visti i miei precedenti,
forse lo teme pure Sile, ma quello è il passato, un passato
che non tornerà mai più, Jas… Lo
dimostrerò a tutti... So quanto forte è il
sentimento che ci lega, so che insieme possiamo affrontare tutto! Ne ho
avuto prova questa notte… Dovrei ringraziarti per avermi
parlato del Rito, io…”
“Io non c'entro: sapevo che
Sile sarebbe riuscita a metterti un po' di sale in quella zucca vuota,
pare che tu stia iniziando a sentire gli effetti della sua vicinanza!
Segui la rotta, Mir, e la tua vita diventerà semplice,
vedrai...”
“Hai sempre avuto ragione,
Jas, e non solo su Sile, ma su molte altre cose...”
“Ne parleremo in seguito,
Mirzam, ora non hai più tempo per le parole, né
per me. Andiamo...”
Gli diedi la mano e annuii, lui sorrise e mi abbracciò, poi
mi scortò fuori, passando davanti alla camera destinata a
Sile: mi percorse un brivido mentre la immaginai presa da pizzi e veli,
acconciature e fiori, lacrime e tremori; feci un respiro fondo, fermo
davanti alla sua porta, Jarvis mi guardava, poco distante, ma non era
più preoccupato che facessi una follia, né io
aspettai che mi esortasse a muovermi, lo raggiunsi presso uno specchio
lungo il corridoio, dove il mio riflesso mi apparve infine calmo e
sereno.
“Ora mi sento
pronto.”
“Ora sei pronto! Guarda,
arriva anche Fear e ha il tuo medaglione, quel vecchio matto!”
Mi voltai, vidi il Mago uscire dalla stanza di Sile con uno dei
cofanetti di Orion, ci sorrise e mi diede l'astuccio, lo aprii, dentro
c'era uno dei medaglioni che cercavo, lo misi al collo, sistemandolo
sopra la veste: i bagliori dello smeraldo, al centro di quella
composizione di pietre potenti, mi affascinarono.
“Scusami se non ti ho
assistito, ma avevo un compito urgente da svolgere: mi sono permesso di
aumentare la portata di questo Talismano, immergendolo nel vostro
Sangue, sciolto in Habarcat: tu e Sile dovrete portarli a pelle, in
corrispondenza del cuore: vi proteggeranno dalle malattie e dalle
maledizioni, faranno da scudo anche contro altri tipi di minacce! Ma
ricordati: non dovrete separarvene mai!”
Lo guardai carico di domande, ma non riuscii a dire altro che
“grazie”, né a reagire quando vidi il
vecchio e Jarvis scambiarsi un'occhiata complice, perché mi
coinvolsero subito nei loro discorsi sulle Tradizioni Antiche e sul
matrimonio, così, pur ripromettendomi di chiedere
spiegazioni, in breve non ci pensai più, considerando la
faccenda solo una delle tante bizzarre fissazioni di quel vecchio
matto. Infine, scortato da entrambi, scesi l'ampia scalinata e mi
ritrovai nel salone che si apriva sul Cortile delle Rose, dove mi
aspettavano mio padre e tutti i nostri illustri ospiti.
***
Sirius Black
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971
“Ora penserai anche tu che
siamo dei barbari, vero Sirius? Chissà la faccia di tua
madre, se avesse visto apparire gli sposi ridotti a mendicanti vestiti
di stracci! Sarebbe svenuta sul colpo! Ahahah.”
Mi scappò una smorfia, al pensiero di mia madre:
sì, Rigel aveva ragione, se avesse visto l'arrivo di Mirzam
e Sile, la mamma sarebbe svenuta all'istante e in seguito avrebbe
spettegolato per anni! A me, invece, dopo lo spavento
iniziale, era rimasto nel cuore solo un senso di pace,
perché quello che si era celebrato era un Rito d'amore: i
miei pensieri erano corsi a Meda, mi ero chiesto che volto avesse il
suo Nato Babbano, se fossero stati altrettanto raggianti, il giorno
delle loro nozze, e se mia cugina, a distanza di mesi, fosse ancora
felice accanto a lui, lontana da tutti noi, o avesse dei rimpianti. Con
un sospiro di nostalgia annuii, mentre il pallido sole del Nord si
specchiava negli occhi d'acciaio di Rigel, ravvivandone ancora di
più l'espressione irridente: sembrava aver scordato anche
lui la tensione provata poche ore prima durante il Rito, eppure
percepivo nei suoi modi qualcosa d’inconsueto.
“L'ho trovato bello, ma...
spero che i matrimoni del Nord non siano sempre così...
pericolosi!”
Lo dissi guardando lontano, pentendomene subito, perché
Rigel scoppiò a ridere, malizioso; presi fuoco, titubante
provai a correggermi con un poco credibile “voglio dire... lo
spero per voi”, che lo fece ridere ancora di più,
poi, con fare complice, mi mise il braccio sinistro attorno alle
spalle, recuperando la calma: i suoi occhi continuarono,
però, a luccicare a lungo ed io, altrettanto a lungo,
continuai ad arrossire.
“No, non sono tutti
così... Mio padre addirittura ha strepitato a lungo,
cercando di convincere mio fratello a evitare rischi inutili, ma Mirzam
è più cocciuto di un mulo! Secondo lui il
matrimonio in questo modo è più sacro,
perché a unire non è la burocrazia del Ministero,
ma la Sacra Ritualità del Nord, la Fiamma di Habarcat, i
Nostri Antenati: tutte quelle stronzate che gli piacciono tanto! Vedi,
Sirius, la verità è che mio fratello è
solo un dannato pallone gonfiato! Un fissato… su troppe
cose, tutte troppo sbagliate!”
Lo guardai, turbato: raramente Rigel parlava a sproposito e se qualcosa
non andava, tendeva ad azzuffarsi apertamente con l'avversario,
compresi i suoi fratelli, ma non parlava mai alle loro spalle. Mai. Non
voleva mai dar soddisfazione a Mirzam, un po' come accadeva tra me e
Regulus, ma durante l’estate mi ero accorto che ci teneva, e
tanto, a suo fratello, infatti, quando lui e Mei non potevano sentirlo,
ne esaltava di continuo le virtù, dimostrando di ammirarlo e
di volergli assomigliare, una volta adulto. Mi chiesi se fosse
lo spavento provato durante la notte a farlo sparlare e in che senso
Mirzam fosse un fissato: pensai alla sua amicizia con Lestrange e alle
“fisse” di Bella, ma ricordando come Mirzam mi
aveva difeso da Rodolphus a Grimmauld Place, un paio di sere prima, mi
sembrò improbabile che ne condividesse la follia; inoltre
Rigel era amico di Rabastan, il problema perciò non doveva
essere quello. Qualcosa non tornava: probabilmente Rigel sfogava su suo
fratello qualche altra preoccupazione, forse era stato rimproverato da
suo padre, di nuovo, per le note vicende della zuffa nei Sotterranei.
Restammo per un bel pezzo in silenzio, lasciandoci strapazzare dai
venti che scendevano da nord, i capelli sempre più
scompigliati, in attesa dell'inizio della Cerimonia, seduti su una
delle panchine che si affacciavano sullo strapiombo, a poca distanza da
dove avevo consegnato ad Alshain l'anello conservato a Lestrange Manor,
in disparte rispetto a tutti gli altri, che osservavano delle gare su
scope da Quidditch di alcuni giovani Maghi della Confraternita; Rigel
guardava l'orizzonte, in maniche di camicia, dopo essersi sfilato la
lunga tonaca indaco che aveva indossato nelle tende, io mi stringevo
nel mio mantello, e nel mio caldo abito scuro, cercando di non fargli
capire che stavo morendo dal freddo, per non farmi cacciare da
lì.
“Posso... farti una domanda...
un po'... personale?”
“Personale? Certo, se ti
assumi l'esclusiva e piena responsabilità delle mie risposte
davanti a tua madre! Non voglio passare per il disgraziato che ha
traviato uno dei suoi preziosissimi principini Black!”
Mi guardava con un barlume malizioso negli occhi, io mi accesi di
vergogna e lui scoppiò a ridere.
“No... io... mia madre non
c’entra… Mi chiedevo solo perché... non
sei con gli altri, a volare... ”
“Chissà cosa mi
credevo... Mio padre mi ha requisito le scope per un anno, per quella
faccenda di Slughorn... Sarò fortunato se non
chiederà a Dumbledore che la punizione sia estesa anche a
scuola... ”
“Credevo che quella fosse una
storia chiusa ormai... ”
“Non per lui... Con lui, le
storie non si chiudono… mai…”
Laconico, bevve un altro sorso dalla bottiglia, tenuta nascosta nella
tasca interna del suo mantello, piegato al suo fianco: aveva detto che
era una birra babbana acquistata a Londra, era uscito apposta per
comprarla, furtivamente, di primo mattino; con fare cospiratorio, me ne
aveva offerto un po': aveva un colore ambrato e il sapore era
così intenso che l'avevo sputata subito, sotto i suoi occhi
divertiti.
“Battesimo della Birra
celebrato! Appena sarai più grande, celebreremo tutti gli
altri! Ahahah!”
Un po' confuso, risi con lui, chiedendomi a quali altri battesimi si
riferisse: un brivido di eccitazione mi scivolò per la
schiena, perché immaginai che si trattasse, senz'altro, di
qualcosa che avrebbe fatto inorridire mia madre e la sola idea mi rese
euforico e impaziente. La sua risata, però, ancora una
volta, si spense rapida e capii che qualsiasi cosa lo turbasse era
molto più importante di una stupida gara con le scope da
Quidditch; presi coraggio e lo assediai di nuovo.
“E sulla spiaggia, prima...
perché hai dato retta a mio padre, se nessuno era pronto a
farlo?”
“Tuo padre ha sempre un ottimo
intuito, Sirius, i suoi argomenti erano logici: io ho agito di
conseguenza. D'altra parte, eravamo gli unici svegli, in mezzo a tutte
quelle cariatidi "imbacucchite" di litanie e incensi! E gli unici cui
non importava niente se il maledetto vegliardo si fosse
infuriato!”
“Stai parlando di
Fear?”
“Non avevi detto di volermi
fare una sola domanda? Con questa siamo già a
tre...”
Divenni porpora e mi morsi un labbro, Rigel, incupito,
continuò a guardare lontano, poi si voltò verso
di me, con occhi di sfinge: si limitò ad annuire, sembrava a
disagio come a Hogwarts, quando mi ero presentato a lui con il nome di
Fear sulle labbra e un pezzo di carta con disegnate le sue Rune.
“Quando a scuola ti ho
raccontato il mio sogno... Tu lo sapevi... sapevi che parlavo di
lui!”
“L'ho sospettato,
sì, e ti ho mentito, scusami, ma... Non sapevo cosa potevo
dirti, dovevo chiedere a mio padre prima, così ti ho
rifilato le prime sciocchezze che mi sono venute in mente…
Mi dispiace.”
“Non c'è nessun
fantasma dei MacPherson in giro per i sotterranei del castello,
vero?”
“No, quelli ci sono, eccome!
Quella è l'unica parte vera di tutta la storia, Black; i
MacPherson, però, non sono affatto estinti: come vedi, lui
è ancora qui, tra noi, purtroppo!”
“Io non capisco:
perché tanti misteri? Quando Fear è apparso,
papà ce l’ha detto subito che si trattava del
vecchio maestro di tuo padre, “un Mago molto potente, noto a
tutti come Fear”. Io non…”
“Il maestro di mio padre... e
Orion vi ha anche detto che cosa insegnava? Vi ha detto che Fear
è un Mago Oscuro? Anzi, per la precisione, l'ultimo vero
Mago Oscuro che vive in seno alla Confraternita?”
“Un... Mago Oscuro? Ma... Che
significa? Che cosa ci fa un Mago Oscuro con tuo padre,
Rigel?”
Rise, una risata tutt'altro che allegra.
“Non ne ho idea! E a dire il
vero, non voglio nemmeno saperlo... Io non voglio entrarci in queste
storie, in queste vecchie tradizioni decadenti, in queste stupide
lotte... Per non dormire la notte, mi basta sapere che molti al
Ministero definiscono Mago Oscuro persino mio padre e una delle cause
è proprio il suo legame con quel dannato vecchio! Io non so
che cosa abbia in mente, Black, e spero di non doverlo scoprire mai...
ma quell'uomo è pericoloso, davvero pericoloso... L'ho
sentito di persona: quando ti prende la mano, sembra penetrarti la
carne e graffiarti l'anima, ti legge dentro e quando ti lascia, non ti
senti più come dovresti essere. Porterà solo
problemi, Black, ne sono sicuro ... e oggi ci sarà
anche...”
Pendevo dalle sue labbra, in stato quasi catatonico, affascinato e al
contempo spaventato da quelle parole che spiegavano tanto, pur senza
dire molto, quando mi lasciò così, con il fiato
in sospeso, come uno stupido: non finì la frase, ed io,
sorpreso, mi voltai a guardarlo, sembrava aver di colpo dimenticato
tutto, i timori, la rabbia, la tensione, il suo volto si era aperto in
un sorriso ebete e impacciato. Seguii la direzione dei suoi occhi e
capii subito che cosa l'avesse distratto: attraverso le siepi, tagliate
secondo figure cabalistiche, riuscivamo a vedere chi si materializzava
con le Passaporte o via Camino, e in quel momento era apparsa mia madre
seguita dai miei zii. E, naturalmente, da Narcissa.
“Facciamo sparire la birra,
avanti, e andiamo da tua madre! Ti scorterò io,
così non ti perdi!”
“Guarda che io non mi
perdo… e comunque... a mia madre non importerebbe poi
molto…”
“Per colpa del
cravattino?”
Vidi pena nel suo sguardo e questo mi fece infuriare: io non volevo la
compassione di nessuno, tanto meno per colpa di quella donna, ma non
feci in tempo a reagire, perché Rigel mi passò di
nuovo un braccio attorno alle spalle e mi trascinò via quasi
di peso; attratto come una falena dalla luce, mi scortò fino
al cospetto di mia cugina e del resto dei Black, dicendomi a un tratto,
a bassa voce, poco prima di consegnarmi al mio fosco parentame, solo
poche, intense, parole, un lampo di luce in tanta oscurità.
“Ricorda, Sirius Black, se mai
dovessi “perderti” davvero, a Herrengton i
cravattini non contano.”
Poi con un inchino aveva salutato me e gli altri Black, per correre
subito via, veloce, da suo padre.
***
Regulus Black
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971
“Che faccia tosta! Non posso
credere che sia venuto davvero! E Alshain... dev'essere
impazzito!”
Seguii con lo sguardo l'oggetto dell'interesse sprezzante di mia madre
e mi sorpresi anch'io nel vedere il Ministro della Magia avanzare
sorridente tra gli altri invitati: alto, dal fisico asciutto ed
energico, calvo, con due maestosi baffi candidi che gli ornavano il
viso e una barba corta e ben curata, Everard Longbottom era un uomo di
circa settanta anni, stretto in un elegante abito scuro, circondato da
un nutrito gruppetto di personaggi cupi e nervosi, tra i quali
riconobbi senza difficoltà Bartemious Crouch, capo della
sezione Aurors, di cui avevo conosciuto anche la moglie e il figlio
Barty jr. al matrimonio di Bella, ospiti dei Lestrange.
“Laggiù ci sono i
Parkinson! Svelta, Walburga, andiamo da loro! E non fissarlo! Ci manca
solo dover salutare un maledetto... ”
Mio padre si morse la lingua, ma tutti capimmo che avrebbe voluto
chiudere la frase con la parola “Grifondoro”
pronunciata in modo tagliente; forse la presenza di Sirius a pochi
passi da lui gli impedì di esprimersi, ma mio fratello
divenne comunque anche più taciturno di prima, mentre la
mamma assunse un'espressione astiosa che non lasciava ben sperare
riguardo alle sorti di Sirius, una volta tornati a casa. Stordito da
tutta quella gente, mi accodai ai miei genitori, di fianco a mio
fratello: avevamo partecipato a molte feste, ma nemmeno al matrimonio
di Bella c'erano stati così tanti invitati, Maghi e Streghe
del Nord, personaggi del mondo del Quidditch, esponenti di blasonate
famiglie Corvonero, funzionari del Ministero e membri del Wizengamot,
sconosciute famiglie irlandesi e francesi, MediMaghi colleghi della
sposa, oltre ai soliti amici e parenti Slytherin presenti a ogni
occasione mondana. Nel breve spazio che ci divideva dai Parkinson,
ripensai velocemente ai fatti delle ultime ore: dopo aver percorso
tutto il sentiero, avevamo ripreso le nostre vesti nelle tende e
avevamo completato il tragitto fino al Manor via Passaporta,
ritrovandoci nel Cortile delle Rose insieme a tutti i Maghi e le
Streghe del Nord; avevo così ammirato, entusiasta, il
maniero di Herrengton, trovandolo addirittura più bello,
grazie alla neve e alle decorazioni sistemate ovunque, di quando
l'avevamo lasciato, al termine dell'estate: spinto dalla nostalgia e
dalla voglia di rivedere Meissa, avrei voluto gironzolare per quei
luoghi noti, ma temevo di non essere presente quando fosse arrivata la
mamma, perciò restai con papà. Non dovetti
attendere a lungo: alle 10.30 in punto, furono aperti i Camini e
attivate le Passaporte e da quel momento gli altri ospiti iniziarono a
raggiungerci, materializzandosi in gruppi più o meno
nutriti. Mio fratello, al contrario, aveva seguito Rigel in giardino, a
chiacchierare sopra lo strapiombo e a guardare i ragazzi più
grandi che facevano un gioco strano, pericoloso e affascinante con le
scope da Quidditch: si lanciavano dai costoni in picchiata e viravano
di nuovo verso l'alto solo dopo aver toccato con i piedi l'acqua del
mare; io, dal salone, non riuscivo a vederli bene, sentivo solo le urla
d’incitamento degli altri ragazzi e, morendo di
curiosità, speravo che una volta arrivata la mamma, avessi
ancora del tempo per poterli ammirare anch’io; in
realtà non andò così: appena corse
voce che mancava poco alla Cerimonia, tutti smontarono dalle scope, e a
me non restò che sperare che riprendessero dopo il
banchetto. Sirius e Rigel tornarono indietro quando apparvero la mamma
e gli zii: erano stati silenziosi con tutti, di ritorno dalla grotta, e
non sembrarono molto più loquaci nemmeno quando si riunirono
a noi ed io, incuriosito, mi arrovellai immaginando di cosa potessero
aver confabulato, guardandomi bene dal chiedere spiegazioni, per non
fare con Sirius la solita figura del fratello piccolo, piattola e
ficcanaso. Mia madre me l'aveva spiegato molto bene: come non si
potevano mostrare i propri sentimenti in pubblico, per non esser
considerati deboli, non era opportuno nemmeno mostrarsi curiosi; anche
perché stavo diventando grande e tutti mi osservavano con
attenzione, soprattutto ora che “Sirius è andato
incontro a un tragico fallimento personale che non deve in alcun modo
coinvolgere il resto della nostra famiglia: questo dipenderà
in gran parte da te, da come ti comporterai, agli occhi del mondo
magico!” Ed era vero, ormai ero diventato grande: contavo
impaziente i giorni, meno di un mese, che mi separavano dal mio
compleanno e dalla lettera da Hogwarts che aspettavo con impazienza.
Salutato il giovane Sherton, che fuggì via da suo padre, mia
madre controllò con un’occhiata inquisitoria le
condizioni del mio abito, dei miei capelli, della mia faccia, al
contrario fece finta di non accorgersi della presenza di mio fratello:
col fiato in sospeso, temendo lo riprendesse in pubblico, mi sentii
diviso tra il senso di colpa per l'indifferenza di cui Sirius era
vittima, ancor più spaventosa se confrontata con le
attenzioni rivolte a me, e la gratitudine verso mia madre che, a modo
suo, mi faceva sentire il suo favore e il suo... amore. A lungo, la
situazione nel salone si mantenne piuttosto tranquilla e noiosa: Mirzam
e il suo testimone si facevano desiderare, come Meissa, sua madre e il
seguito della sposa, tutti ingannavamo l'attesa tra chiacchiere e
convenevoli, Alshain e Rigel accoglievano calorosamente gli invitati,
anche se furono trattenuti a lungo, dall'altra parte dell'ampio salone,
da una “vecchia marmotta pelosa”, -così
zio Alphard, rivolgendo a papà un cenno divertito, aveva
definito Griselda Marchbanks, membro del Wizengamot, una Strega
talmente anziana da essere stata insegnante persino del preside
Dumbledore - . Noi Black, infine, in attesa dei ritardatari Lestrange,
ci eravamo divisi per interessi: papà, gli zii e i nonni
parlavano della misteriosa festa tenutasi a Manchester poche ore prima,
mio fratello ed io rimanemmo con le zie, le nonne e la mamma, impegnate
nei loro pettegolezzi, di cui capii poco o nulla. Narcissa rimase in
disparte e non rivolse la parola a nessuno, tanto meno a Sirius o a me,
guardandosi attorno impaziente: quando apparve la famiglia Malfoy,
però, il suo volto diventò radioso, soprattutto
quando zio Cygnus si allontanò dalla nostra comitiva per
raggiungere l'altero Abraxas, scambiare con lui sorrisi eloquenti e
appartarsi a chiacchierare. Notai anche la trepidazione con cui zia
Druella salutò Lucilla e suo figlio Lucius, lo sguardo cupo
con cui Rigel, dall'altro lato della stanza, assistette alla scena, e i
bisbigli d'invidia della maggior parte degli altri invitati: tutti
immaginavano che il matrimonio di Mirzam Sherton sarebbe stato una
delle ultime occasioni mondane alle quali i Black e i Malfoy avrebbero
partecipato separatamente e, in effetti, a Grimmauld Place non passava
sera senza che la mamma ripetesse, con soddisfazione, che a Hogmanay
avremmo festeggiato il più ricco e illustre fidanzamento
degli ultimi anni, “un’occasione unica per lavare
definitivamente l'onta che infanga la nostra famiglia a causa di una
svergognata traditrice del Sangue Puro e di quell'altro
disgraziato”, come ormai chiamava mio fratello, le rare volte
che lo menzionava.
In realtà, però, anche quel giorno, non era solo
l'ammirazione, il motivo di tanta attenzione nei confronti dei Black:
la presenza di Sirius non passò inosservata, anche se i
più si guardarono bene dal fare apertamente dei commenti;
quando, però, i nonni andarono a salutare i Rosier e zio
Alphard si allontanò con una misteriosa Strega irlandese, ci
ritrovammo da soli con Bellatrix e suo marito, i quali non ebbero
scrupoli a manifestare di fronte alla mamma ciò che molti
Slytherin sussurravano a mezza voce. Bersagliato con discorsi sui
traditori del Sangue, sui rinnegati e su leggende che volevano i
“luridi Grifondoro” morire inceneriti davanti a
Habarcat, mio fratello riuscì a non reagire, forse
perché pietrificato dall'espressione accusatoria di nostra
madre o dall'occhiata feroce con cui papà gli imponeva di
restare zitto al suo posto, affrontando da Black, le conseguenze
negative della sua ribellione. Io volevo bene a Bellatrix, la adoravo,
ma, pur considerando sacrosanti e giusti quegli insulti ai danni dei
Grifondoro, non riuscivo a condividere quell’odio, preda
dell'angoscia nel vedere Sirius in difficoltà: avrei voluto
tendergli la mano e ripetere davanti a tutti “Tu sei sempre
mio fratello!” Se non ci fosse stato Rodolphus, forse, avrei
avuto coraggio e ci sarei riuscito, il marito di Bella,
però, era sempre più inquietante: durante le cene
di famiglia, avevo studiato le sue occhiate strane rivolte a mio padre,
il suo muoversi come un lupo a caccia, la sua risata che faceva gelare
il sangue, l’abilità con cui piombava alle spalle
del prossimo, spiando le altrui conversazioni e tramando
nell’ombra. Da quando Sirius se n'era andato, non riuscivo
più a ridere della sua pomposità né ad
affrontarlo con una certa arrogante spensieratezza, al contrario,
spesso mi sentivo a disagio quando mi fissava: lo percepivo come un
pericolo, per questo mi ero sentito in colpa un paio di sere prima,
quando avevo lasciato mio fratello solo con lui, c'era Mirzam, vero, ma
sentivo che non dovevo abbandonarlo; invece, alla fine, avevo
approfittato della via di fuga che mi aveva offerto Sirius ed ero
scappato via. In silenzio, abbassai lo sguardo davanti alla lotta, ora
tacita, fatta di occhiate di fuoco, tra Bella e mio fratello, e divenni
rosso come un peperone, consapevole della mia vigliaccheria, presente e
passata. Rodolphus aveva poi interrotto quel gioco ridendo e
sussurrando a Bella “Arrosto di Grifone?”,
indicandole con un cenno del capo il Ministro e la sua scorta, arrivati
via Passaporta; mia madre, colta di sorpresa nel trovarsi davanti ad un
personaggio simile, aveva perso la sua altezzosa indifferenza e
papà ci aveva suggerito una ritirata strategica, per
sottrarci all'obbligo di doverlo salutare. Lestrange e Bella, che
gironzolava con indosso la mantellina nera che le copriva completamente
l'abito, come facevano solo le Streghe del Nord, si allontanarono per
unirsi ai McNair, mentre noi, diretti dai Parkinson, fummo intercettati
da Alshain, che si era liberato per correre da noi, baciare, galante,
la mano della mamma, e abbracciare Sirius e me, come aveva
già fatto nella radura delle tende.
“Walburga cara, scusami per
non averti salutato subito degnamente! Hai fatto buon
viaggio?”
“Sì, Alshain, non
ti preoccupare, di sicuro migliore dell'ultima volta, ma... ”
“Ma? Qualcosa non va? La
Passaporta Ministeriale aveva difetti? Farò immediato
reclamo!”
“No, non si tratta del
viaggio, Alshain, Walburga ed io non ci capacitiamo di un rumore
sinistro!”
“Rumore sinistro? Di quale
rumore stai parlando, Orion? Non c'è alcun rumore!”
Mio padre lo fissò enigmatico, sorseggiò
svogliato il nettare ambrato che era appena stato offerto ai nostri
genitori da un Elfo solerte, poi, in volto un'espressione ironica mai
vista, iniziò a fischiettare un motivetto beffardo; Alshain,
sorpreso quanto noi, fu colto da un'intensa crisi di riso, nostra
madre, rossa in volto, guardò entrambi indignata, sconvolta
nel vedere due nobili Purosangue comportarsi in un modo così
disdicevole in pubblico, Sirius ed io, meravigliati, ci scambiammo
occhiate incredule.
“Salazar, Orion, solo tu
riesci a sbronzarti con un solo sorso di “Moon's
Tear”! Ahahah...”
“Quale Moon's Tear! Davvero
non ricordi? Tuo padre fischiettava questo motivetto ogni volta che
doveva rimediare a una delle tue follie! E ora, pover'uomo, si
starà rivoltando nella tomba, vedendo un Ministro della
Magia, Grifondoro per giunta, entrare nella sacra casa di Hifrig,
seguito dai suoi sgherri!”
Alshain rise ancora di più, attirando anche le occhiate
incuriosite di alcuni ospiti, che già trovavano bizzarro che
tenesse il braccio destro attorno alle spalle di mio fratello: un
Black, certo, ma un Black che quasi tutti consideravano prossimo a
essere diseredato e cancellato dall'Arazzo.
“Sul fatto del Ministero non
posso darti torto, Orion... Si starà sicuramente rivoltando,
ma...”
E qui fulmineo sorrise prima a Sirius poi a me, quindi fissò
i miei genitori come per sfidarli.
“Sul fatto dei Grifondoro o
dei Corvonero o dei Tassorosso... dovresti sapere che per me conta solo
ciò che c'è nell'anima, il colore di un
cravattino è sempre stato e resterà una questione
irrilevante!”
Mio padre lo guardò con la solita faccia impenetrabile, mia
madre non mascherò il disappunto che provava, ma il rigido
rispetto dell'etichetta la frenò dal dirgli apertamente
quello che pensava, così trovò una scusa per
lasciarli e raggiungere Druella, imponendomi di seguirla; io ubbidii
ma, con l'ingenuità dei miei dieci anni, ero felice per
Sirius, pieno di speranza, perché sapevo quanto ci teneva
all'affetto di Alshain e sentire il nostro padrino dire in pubblico
quello che pensava davvero di quella dannata storia... Era
ciò su cui avevo riflettuto a lungo, in quelle settimane
tremende: mia madre ora considerava mio fratello irrecuperabile e mio
padre non si era mai curato di noi neanche prima, perciò mi
ero convinto che, solo se fosse stato appoggiato e guidato da un uomo
come Sherton, mio fratello si sarebbe salvato dall'influenza nefasta di
quei delinquenti di Grifondoro, sarebbe stato un vero Black, meno
ortodosso di come avrebbe voluto la mamma, forse, e per questo, a casa,
il clima sarebbe tornato normale molto lentamente, ma non sarebbe mai
diventato un traditore del Sangue e tutto, prima o poi, si sarebbe
risolto. L'importante era che la mia famiglia avesse al
più presto la prova che il cappello pulcioso di Godric aveva
commesso un errore nell'interpretare la volontà di Sirius,
così poi, anche noi, oltre a Sherton, ci saremmo uniti
nell'aiutarlo a riconoscere la sua vera natura. Fissai Sirius,
forse comprese la mia preoccupazione e le mie speranze
perché, appena la mamma gli diede le spalle, mi fece un
sorriso raggiante, mentre io mi allontanavo e lui restava con
papà e Alshain. Poco dopo, stretto tra gli zii, i
nonni e la mamma, vidi Sherton allontanarsi da loro, seguito a distanza
da mio fratello e mio padre, vagamente cupo, per dirigersi all'ingresso
del salone e accogliere con Rigel, finora trattenuto dagli Emerson, il
suo primogenito: anticipato da Fear e dal suo testimone, Mirzam era
irriconoscibile, rispetto a poche ore prima si presentava in gran
forma, felice e raggiante, persino più bello del solito,
nella lunga veste cerimoniale del Nord. Con l'eleganza innata
degli Sherton, attirò su di sé gli sguardi
ammirati di tutti, persino quello di mia madre, di nuovo serena: appena
lo vide, si riempì d'orgoglio e soddisfazione, gli sorrise
come mai aveva fatto, ammirando il medaglione che Mirzam portava al
collo, donatogli da nostro padre, segno tangibile, sotto gli occhi di
tutti, della reciproca stima e del profondo legame che univa le nostre
famiglie. Il suo sorriso soddisfatto celava, in
realtà, le ardite trame che tesseva sul futuro di tutti noi,
l'unico motivo per cui guardava il giovane Sherton, che “ha
offeso la nostra famiglia rifiutando Bellatrix per sposarsi con
un’irlandese qualunque, Slytherin e purosangue, certo, ma
senza una sola goccia di sangue nobile quanto il nostro nelle
vene”, senza provare quell'odio da cui altrimenti nulla
l'avrebbe salvato. Mirzam fece un rapido giro di saluti,
emozionato e un po' frastornato, senza però trattenersi a
lungo con nessuno, sollecitato dal suo testimone perché la
Cerimonia aveva già accumulato del
ritardo. Alshain, rassicurato sulle condizioni del figlio, si
allontanò di nuovo per andare incontro a un vecchio Mago
minuto, che si era appena materializzato via Passaporta: vestiva una
lunga toga dorata e un particolare cappello a tre punte di colore
analogo, il viso piccolo e smagrito nascosto dietro a spessi
occhialetti tondi che lo facevano assomigliare a un topino impaurito.
“Rufus O'Brien! Non posso
crederci! Alshain ha pensato proprio a tutto: portare a Herrengton il
celebrante che ha unito lui e Deidra ventidue anni fa, a Doire... Quale
migliore augurio per suo figlio?”
Mi voltai per guardare meglio il vecchio, senza trovare in lui nulla di
notevole, mio padre, con un sorriso soddisfatto in faccia, si era
subito allontanato per raggiungere il nuovo arrivato, la mamma
osservava la scena con occhi poco entusiasti: quando riflettei sul
fatto che non conoscevamo nessuna persona con quel cognome, compresi
che quell'uomo proveniva da un ambiente che non era alla nostra
altezza, motivo sufficiente a giustificare l'espressione scocciata e
inacidita della mamma. Infine, guidati da Alshain e dal
vecchio celebrante, davanti a Jarvis e a un Mirzam emozionato che
teneva la destra sulle spalle di Rigel, parlando fitto fitto con lui,
uscimmo dal salone, attraversammo gli archi del Cortile delle Rose e
percorremmo i portici, entrando nella lunga galleria che conduceva alla
Sala di Habarcat, dove si sarebbe tenuta la Cerimonia.
***
Meissa Sherton
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971
“Dove credi di andare,
Mei?”
Rimasi bloccata sulla porta, inchiodata dalla voce di mia madre che mi
raggiunse nella penombra del corridoio: era dal nostro ritorno al
maniero che cercavo di sgattaiolare via dalla mia stanza, per ammirare
gli ultimi preparativi e scendere incontro a mio padre, ma non c'era
stato nulla da fare, la mamma non aveva sentito ragione, mi aveva
imposto di riposarmi, dopo la notte impegnativa, e di attendere con
pazienza l'arrivo di Leda, la nuova Elfetta, che mi avrebbe preparato
per il ricevimento. Mi ero rassegnata anche a non vedere la Vestizione
della sposa: l'ultima volta, al matrimonio di Maille, una lontana
cugina irlandese, mia madre mi aveva cacciato dicendo che ero troppo
piccola per certi discorsi ed io, che sapevo già, dai
racconti ascoltati di nascosto a casa di zia Rebecca, che le damigelle
gettavano Incantesimi particolari sul vestito della sposa, per fare dei
dispetti allo sposo, la prima notte di nozze, ero stata travolta ancora
di più dalla curiosità. Alla fine, esausta, ero
sprofondata nel mio baldacchino, dopo aver ammirato dalla finestra
Herrengton immersa nelle prime luci del giorno, simile a una reggia di
neve e ghiaccio: tutte le finestre delle torri erano state addobbate
con gli stendardi della Confraternita; dall'alto il Cortile delle Rose,
che avrebbe accolto la Materializzazione degli ospiti, era una
composizione di archi argentei ingentiliti da bouquet di fiori, con al
centro il braciere che garantiva la protezione degli ospiti e della
tenuta; i portici, che conducevano alla Sala di Habarcat e al salone
del banchetto, erano un tripudio di fiaccole dai mille colori e piante
in piena fioritura; di là dei colonnati, infine, si aprivano
i giardini che si affacciavano sul mare, da cui avremmo ammirato i
fuochi magici alla fine di quella lunga giornata di festa. Allora
Mirzam si sarebbe smaterializzato con Sile, per iniziare la vita che
tanto agognavano. Mi ero addormentata con il volto disteso in un
sorriso: sentivo nel mio cuore che sarebbe stato possibile, un giorno,
anche per me... anch’io, un giorno, avrei atteso con la
stessa trepidazione e la stessa felicità, le mie nozze...
anche nel mio futuro, ci sarebbe stato un principe, un vero principe,
accanto al quale vivere una vita fatta di amore vero, lo stesso che
legava i miei e che univa Sile a Mirzam. Sapevo di conoscere
già il nome e il volto di quel principe. Del mio principe.
Quando lo guardavo... tra noi ci sarebbe sempre stato un legame magico
ed eterno.
Leda entrò per aiutarmi a vestirmi, ed io stavo ancora
sognando più o meno a occhi aperti: il senso di benessere e
di felicità al pensiero che presto l'avrei rivisto, mi
restò incollato addosso anche durante quell'incombenza, che
consideravo uno dei rituali più noiosi cui potessero
sottopormi. Alla fine mi ammirai allo specchio: secondo la tradizione,
durante un matrimonio del Nord, le Streghe dovevano indossare, a pelle,
lunghe tuniche di seta pervinca, semplici e diritte, con le rifiniture
argentee, sopra le quali andavano indossate le vesti cerimoniali da
Strega, rigorosamente di raso indaco, anch’esse con tutte le
rifiniture argentate, composte di un corpetto dal collo alto,
impreziosito da pizzi e perle intessute, con maniche altrettanto
elaborate, su cui s’innestavano gonne lisce o drappeggiate,
di solito ampie; sopra si doveva indossare la zimarra, un soprabito da
Strega, nera, con tutte le rifiniture in argento, le maniche ampie,
lunghe fino a terra, e sbeccate così che si vedessero i
ricami delle maniche della veste sottostante, aperta sul davanti con
uno scollo ampio, per mostrare il corpetto e la gonna indossate sotto,
chiuso in vita con dei bottoncini o una fascia di seta argento. Si
aggiungeva infine il mantello scuro con il cappuccio, da indossare
durante la Cerimonia. I capelli potevano restare sciolti o essere
intrecciati con nastri colorati, escluso il verde, il bianco e
l’avorio, colori concessi solo agli sposi e preclusi persino
agli invitati esterni alla Confraternita: questi ultimi non avevano
altri tipi di limitazioni, per quanto riguardava l'abbigliamento, ma in
genere tutti si presentavano in eleganti abiti scuri, o in vesti
tradizionali dalle varie tonalità di blu, rispettando
così la Tradizione del Nord. Un paio di scarpe basse e
chiare completavano l’abito cerimoniale da Strega del Nord,
cui erano concessi, come gioielli, solo gli anelli e i ciondoli che
portava abitualmente: la mamma indossò solo la fede nuziale,
e a me fu consentito l'anello che papà mi aveva imposto di
portare sempre al dito. Appena Leda mi aveva lasciata andare, mi ero
fiondata fuori della mia stanza, ma la mamma mi attendeva al varco,
anche lei elegantemente vestita con una zimarra simile alla mia, ma dal
taglio meno serioso, che ne esaltava il fisico ancora un po' morbido
dell'ultima maternità; i suoi capelli rossi erano
intrecciati ad arte con dei fiori, in alto, lasciando scoperto il collo
candido, uno dei particolari che più attiravano lo sguardo
innamorato di mio padre, rendendo invisibile ai suoi occhi qualunque
altra donna.
“Credevo di essere stata
chiara! Oggi non farai di testa tua, come al solito!”
“Volevo soltanto scendere da
papà e salutare i miei amici prima di... ”
“Nei prossimi giorni avrai
altre occasioni per frequentare gli amici, oggi no, c'è
troppa gente che tuo padre ed io avremmo preferito non invitare, ma che
purtroppo dobbiamo sopportare. Cerca di rispettare i nostri ordini,
Mei, e domani stesso sarai premiata… altrimenti resterai in
punizione, come tuo fratello, per tutto il resto delle vacanze...
è tutto chiaro?”
Annuii, ricordando che mio padre si era arrabbiato molto con me, come
non faceva in pratica mai, al matrimonio di Bellatrix,
perché mi ero allontanata e persa: immaginai che il problema
fosse, come al solito, la presenza dei Lestrange, di cui
papà non si fidava, o dei Malfoy, che mettevano paura anche
a me. Non ebbi però il coraggio di chiedere a mia madre se
sarebbe stato presente anche il misterioso ospite di zio Abraxas:
quell'uomo, di cui, per quanto mi concentrassi, continuavo ad avere dei
ricordi parziali e confusi, immaginandolo fantasiosamente con tratti
serpenteschi e occhi fiammeggianti, era un ottimo motivo per ubbidire e
non allontanarmi mai dai miei familiari.
“Ora seguimi: farai parte
anche tu del corteo che annuncia la sposa... ”
“Il corteo? Io?
Perché? Non saprei nemmeno cosa fare!”
“Devi solo reggere una
fiaccola, mantenendo un passo lento e misurato, come ti ho insegnato
per la Cerimonia del Vischio: la zia ed io cammineremo davanti, Doirenn
al tuo fianco, devi solo imitarci... Saresti troppo piccola, ma Fiona,
stanotte, è stata colta dalle doglie, perciò tu
prenderai il suo posto... ”
Registrai, sorpresa, l'informazione, un po' in ansia all'idea del
corteo, eppure felice perché sarei stata tra le prime a
vedere la sposa; inoltre, in questo modo, non avrei dovuto sopportare
Rigel: stare accanto al mio fratello stupido, pronto a fare scherzi
cretini, era la peggiore delle punizioni, perché non
riuscivo mai a resistere alle sue provocazioni e alla fine mi mettevo
sempre nei guai, per colpa sua! Quando entrai nella stanza in cui la
sposa era stata curata e assistita dalla mamma, per poi essere lasciata
alle damigelle per la Vestizione, trovammo Sile seduta, circondata da
quattro Elfe esauste e cinque ragazze mai viste prima, esclusa la
cugina Doirenn, che se la contendevano, con parole bisbigliate
intercalate da sonore risate che la facevano arrossire o illuminare gli
occhi, la facevano ridere e agitare, costringendo le Elfe a riprendere
dall'inizio il complicato lavoro sui suoi lunghi capelli corvini.
Intorno a lei c'era un trionfo di fiori, soprattutto delicati tulipani
dalle tonalità del bianco e del rosa, i suoi preferiti:
Mirzam aveva fatto arrivare i bulbi dall'Olanda per lei, curandoli per
mesi di persona, in una serra dietro il Cortile delle Rose realizzata
apposta, servendosi di Magie particolari perché quei fiori
meravigliosi sbocciassero tutti insieme, proprio quel mattino, con
oltre quattro mesi di anticipo. Tornai ad ammirare Sile, stupenda
già solo con indosso la sottoveste di seta verde chiaro,
dalle bordature in argento, la scollatura profonda e le maniche di
pizzo lunghe al gomito, che copriva quella aderente di pizzo, avorio,
la cui vista era concessa solo alle Elfe e allo sposo, la prima notte
di nozze. In quel momento le stavano acconciando i capelli, che
sarebbero rimasti sciolti sulle spalle, in morbide onde, intrecciati
con un sottile nastro verde che partiva dalla tempia sinistra, e
soffusi da una pioggia di minuscoli fiorellini d'argento: in ultimo, si
sarebbe aggiunto un diadema antico, appartenente agli Sherton da
generazioni, dono personale di mio padre alla sua “nuova
figlia”. Non era previsto che la sposa si presentasse molto
truccata, così la pelle era stata solo massaggiata con una
polvere iridescente che le avrebbe donato luminosità a
lungo, rendendo le Rune ancora più nitide. Su un manichino,
in attesa di esser indossato, c'era il magnifico abito da sposa, in
raso di seta avorio, il corpetto era finemente ricamato, con una
scollatura ampia e rifinita, non molto profonda, che
s’innestava su una gonna larga, liscia, lunga fino a terra,
con appena un accenno di strascico, le maniche, infine, lunghe, erano
decorate con motivi slytherin dai polsi fino all'avambraccio. Accanto,
c'era la sopravveste verde smeraldo con le rifiniture in argento, che
s’indossava aperta per mostrare il corpetto e la gonna
sottostanti, chiusa in vita da una cintura di piccoli dischi d'argento,
le maniche erano ampie, lunghe fino a terra, aperte e sbeccate, per
lasciare in vista i ricami dell'abito avorio. Al contrario di tutte
noi, non si sarebbe avvolta in un mantello, ma avrebbe coperto il capo
e le spalle durante la Cerimonia, con un velo di pizzo argenteo, lungo
fino alle mani. Appena i capelli furono acconciati e il diadema
sistemato, Sile si alzò, le Elfe l’aiutarono a
indossare la veste nuziale, che si chiudeva da dietro con un numero
infinito di bottoni e nastri, calzò delle scarpine basse di
color avorio ricamato, infine, visibilmente tremante,
s’infilò anche la sopravveste verde: a quel punto
la mamma le mise al collo il medaglione di Orion, che brillò
magnifico sulla pelle nivea.
Quando sentimmo bussare alla porta e vedemmo apparire sulla soglia la
figura imponente di Donovan Kelly, in un elegante abito tradizionale
blu scuro, la lunga e folta criniera lisciata all'indietro e fermata in
una coda bassa, in mano un bouquet di rose bianche e avorio per la
sposa, Leda e Kreya presero dall'ultima scatola il delicato velo e
insieme alle altre tre Elfe lo sistemarono sul capo di Sile, con
amorevole cura, la mamma infine controllò gli ultimi
dettagli poi sentenziò che la sposa era pronta. Due Elfetti
solerti entrarono con delle sottili fiaccole accese e le diedero alla
mamma, alla zia e a Doireen, alle damigelle e a me, ci distribuimmo a
coppie in un breve corteo e iniziammo ad avanzare nel corridoio, mia
madre e la zia davanti, io subito dietro con mia cugina, poi le quattro
damigelle e la sposa. Doirenn era arrivata quel mattino, accolta come
una carissima amica da Sile, mentre io non sospettavo nemmeno che si
conoscessero: scoprii quel giorno che, in realtà, era stata
proprio lei, in primavera, a organizzare l'evento che aveva permesso a
Sile e a mio fratello di rivedersi e di ritrovarsi. Scendemmo con
trepidazione le scale, in silenzio, mantenendo da subito il ritmo che
avremmo dovuto tenere in pubblico: potevo sentire, poco dietro di me,
il respiro di Sile rotto dall'emozione, mentre bisbigliava appena
qualche parola con suo padre e lui, di solito burbero e minaccioso, che
le rispondeva con estrema dolcezza; mi voltai un paio di volte e vidi
nei loro sguardi la stessa complicità che ci scambiavamo
papà ed io, soprattutto nei momenti più
importanti. Quando finalmente arrivammo nel salone, gli altri se
n'erano già andati, ma nell'aria, mischiato all'odore dei
fiori e degli incensi, si poteva sentire ancora la scia di profumi
preziosi e carichi delle dame e quello dei sigari e delle pipe dei
lord, che erano stati lì fino a poco prima: mia madre si
voltò verso Sile, con un sorriso incoraggiante, poi avuta la
conferma che si sentiva pronta, attraversò gli archi del
cortile, entrò nel portico e da lì nella lunga
galleria al termine della quale ci aspettavano tutti gli altri.
All’avanzare della mamma, nei calici retti dai puttini
d'argento distribuiti ovunque come ornamento, iniziò a
scorrere acqua, proveniente dalla Sorgente di Herrengton, nell'aria si
diffuse una leggera melodia; luci e petali si materializzarono
nell'aria, magicamente, volando davanti a noi, ad annunciare agli
ospiti che la sposa stava arrivando; tutta la galleria, che il mattino
precedente mi era apparsa spoglia e vuota, prese colore e vita, con i
fiori che spuntavano dalle pareti e dal pavimento, lungo il tappeto
slytherin che si dispiegava ai piedi della sposa, richiamati dalla
Magia del Nord. Giunte davanti alla Sala, lasciammo
all'ingresso, una dopo l'altra, le fiaccole, quindi, con il capo
coperto dal cappuccio, entrammo al seguito della mamma: il salone era
magnifico, illuminato, dal fondo della stanza, da fiaccole e bracieri,
gli ospiti erano sistemati lungo due ampie file di eleganti sedili di
rovere antica, alle pareti l'arazzo con gli alberi genealogici di tutte
le famiglie purosangue, davanti a noi, su un alto braciere d'argento,
la Fiamma di Habarcat irradiava ogni cosa di un'intensa luce verde.
Tra noi e il braciere s’innalzava un piccolo altare, accanto
al quale, ad attenderci, c'era un Mago minuto in una veste dorata e il
buffo cappello a tre punte; Mirzam, emozionato, era in piedi di fronte
al vecchio, accanto a lui c'era Warrington, radioso, mentre
papà e Rigel erano subito dietro, venivano poi tutti gli
altri: i miei zii e i cugini materni, la famiglia Malfoy e i McMillan,
che erano i nostri parenti paterni più prossimi, gli Emerson
e i più importanti esponenti della Confraternita, i Black e
i Lestrange, legati agli Sherton da rapporti d'amicizia. Al nostro
passaggio vidi un po' di confusione tra le file dei Black, sul volto di
Orion c’era un'espressione accigliata, ma ero troppo
impegnata a tenere il passo per capire che cosa stesse accadendo.
Dietro di loro, c'erano via via altre famiglie importanti, cui eravamo
più o meno legati, gli esponenti del Ministero e del
Wizengamot, esclusi il Ministro e la sua scorta, seguivano infine gli
amici più vicini a Mirzam, che, in conformità
all'etichetta, dovevano essere messi in secondo piano rispetto ai
personaggi che gli stavano meno a cuore, ma che sulla carta erano
più “nobili”: compagni di Quidditch,
amici di Doire e di Inverness, compagni di Serpeverde dai nomi meno
altisonanti; dall'altra parte, tra i parenti di Sile, brillavano per
l'assenza solo Liam e sua moglie, impegnati a far nascere il loro primo
figlio, seguivano gli amici e coloro che avevano rapporti d'affari con
Donovan Kelly e, più indietro, il Ministro Longbottom e la
sua scorta, i colleghi di Sile e le sue amiche. Tutti si voltarono a
guardarci ammirati, finché la mamma scivolò
accanto a mio padre, io, la zia e Doireen accanto a Rigel, mentre le
damigelle si sedevano attorno ai cugini di Sile. Alla fine rimase
davanti a Habarcat e al Celebrante solo la sposa al braccio di suo
padre: Donovan le baciò leggero il capo, conducendola
accanto a mio fratello, poi rapido si ritirò al suo posto.
Dalla mia posizione vantaggiosa riuscivo a vedere Mirzam di profilo,
gli occhi luminosi per la luce di Habarcat e per la
felicità, Sile vibrava leggermente, colta dall'emozione. Il
Celebrante si avvicinò, salutò con le formule di
Rito gli ospiti, i testimoni, i parenti, gli sposi, poi fece un rapido
discorso, in una voce alta e sicura, che sembrava inadatta a un corpo
così minuto e fragile: ricordò l'importanza dei
sentimenti e in particolare dell'amore e del reciproco aiuto, della
forza che scaturisce da essi, definendola la “Magia
più grande”, ricordò come, oltre venti
anni prima, avesse sposato, in una cornice più modesta, i
miei genitori e come ritrovasse nei giovani che aveva davanti lo stesso
spirito, la stessa forza, la stessa convinzione di allora, infine
augurò a mio fratello e a Sile la stessa lunga vita fatta di
amore, prosperità e felicità che finora aveva
baciato i miei genitori. Iniziò quindi a recitare le formule
che, dalla notte dei tempi, erano pronunciate per legare le famiglie
Purosangue, arricchendole di dettagli che caratterizzavano i matrimoni
slytherin, anche se, alle mie orecchie, la celebrazione della Purezza
di Sangue o della forza della Magia Antica, sembrava molto meno
accorata dell'esaltazione del vero Amore fatta fino a pochi istanti
prima: quando sentii alcuni brusii alle mie spalle, ebbi la certezza
che non fosse solo una mia impressione, allora guardai mio padre e lo
vidi compiaciuto e disinteressato a quello che accadeva dietro di noi
nella sala, mentre teneva forte la mano della mamma nella sua e le
scoccava calde occhiate piene d'amore. Infine ascoltai la
formula di chiusura, più articolata di quella recitata al
matrimonio di Bella e Rodolphus: Sile giurò
fedeltà e rispetto al suo sposo, impegnandosi a sostenerlo
sempre e a dargli una discendenza che preservasse dalle insidie della
storia la nostra millenaria famiglia, mio fratello recitò le
parole suggerito dal Celebrante, con cui s’impegnò
a prendersi cura di lei, garantire a lei e agli eventuali figli
sicurezza, salute e felicità, ma aggiunse, di suo, anche la
promessa di eterna fedeltà, che fece ulteriormente vibrare
la figura di Sile, sorridere Jarvis e accendere gli occhi dei miei.
Oltre a far borbottare qualcosa d’incomprensibile a Rigel, al
mio fianco: mi voltai verso di lui, decisa a riprenderlo con uno
sguardo rancoroso, ma quando gli stampai addosso il mio tacito
rimprovero, vidi che, proprio come me, anche quello stupido di mio
fratello aveva una luce sognante a illuminargli la faccia, anche lui
stava subendo il fascino di quella Cerimonia, evidentemente, di fronte
ai fatti importanti, riusciva a essere meno stupido di quanto credessi.
Cercai di voltarmi un poco per guardare Sirius, ma Rigel mi
sgomitò deciso ed io fui costretta a rimettermi composta.
Jarvis diede al Celebrante le fedi e il vecchio le cosparse
d’incensi e dell'acqua della Sorgente, recitando le canoniche
formule d’indissolubilità, mio fratello prese
delicatamente la destra di Sile e, pur emozionato, le infilò
senza esitazioni l'anello, una fede d'argento e platino con uno
smeraldo al centro, realizzato anch'esso, come il meraviglioso anello
di fidanzamento su cui i folletti avevano lavorato per oltre due anni,
da messer Yuket; Sile a sua volta gli mise al dito un anello identico,
facendosi cogliere dall'emozione quando stava per lasciargli la mano,
allora Mirzam, anche se non avrebbe dovuto, la riprese nella sua,
stringendola ancora più forte. Mio padre si
avvicinò all'ara, seguito da Fear che, finora, era rimasto
lontano da tutti gli altri, in fondo alla sala, e iniziò a
parlottare con il Celebrante, poi si voltò e fece un cenno a
Mirzam e Sile: la giovane era spaesata per l'emozione, mentre Mirzam
aveva la sicurezza tipica di chi sa già cosa sta per
accadere, tra gli ospiti c'era una notevole concentrazione, soprattutto
tra quanti non facevano parte della Confraternita, io seguivo carica di
apprensione perché non avevo mai visto quel Rito in vita
mia. Il Celebrante salmodiò nella lingua del Nord,
sollevando i tre pugnali che avevo già visto il giorno prima
sull'ara, poi li passò uno dopo l'altro a Fear che
recitò altre formule in gaelico e, a quel punto, le
offrì a mio padre; papà prese un pugnale per
volta, immergendoli in Habarcat, che reagì intensificando il
verde della sua luce, poi utilizzò la prima lama sul palmo
di Sile, la seconda su quello di Mirzam, e l'ultima sul proprio, con
Fear, dietro di lui, che cauterizzava i tagli con l'immancabile acqua
della Sorgente, dopo aver raccolto le stille di sangue in due ampolline
di cristallo: in una cadde solo il sangue degli sposi, nell'altra,
riempita per metà di una sostanza argentata, raccolse anche
quello di mio padre. Papà, infine, prese l'ampolla con la
sostanza argentea e la immerse in Habarcat: quando la estrasse, la
sollevò in alto perché tutti vedessimo che il
miscuglio era diventato un fluido opalescente, dalle striature verde
argento, che si muovevano nel piccolo contenitore come creature vive,
quindi ci diede le spalle e si avvicinò al muro, intinse il
mignolo sinistro nell’ampolla e con mano ferma
andò a scrivere il nome di Sile sull'arazzo degli Sherton,
accanto a quello di Mirzam. L'altro miscuglio, quello che conteneva
solo il sangue degli sposi, fu intanto versato dal Celebrante in
Habarcat, che di colpo cambiò il suo colore in un rosso
intenso, simile a sangue, andando a risplendere caldo e vitale
sull'argento del nome degli sposi, appena scritto. Mio padre si
voltò e sorrise: Habarcat aveva appena confermato davanti a
tutti, ciò che già Herrengton aveva decretato
sulla spiaggia ai soli Maghi della Confraternita. Allora il Celebrante
chiuse la Cerimonia recitando l'ultima formula con cui dichiarava i due
giovani marito e moglie, gli ospiti iniziarono ad applaudire, e Mirzam
si scoprì il capo, sollevò delicatamente il velo
di Sile e, stringendola a sé, la baciò, un lungo
bacio misto di tenerezza e passione: sotto la luce verde di Habarcat, i
loro visi erano bagnati da lacrime di sollievo e felicità.
Finalmente avevano realizzato il loro sogno.
***
Sirius Black
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971
In piedi, accanto alla finestra, ammiravo la sala, dove molti
discutevano ancora di affari e politica, e l'ampio giardino, allestito
a festa, pieno di ospiti, soprattutto di giovani impegnati in una delle
tradizionali danze irlandesi che riempivano l'aria di calore e passione
e stampavano sdegno e riprovazione sui volti arcigni dei più
tradizionalisti. Scivolai con lo sguardo tra la gente e vidi da lontano
Alshain, nella veste cerimoniale, che applaudiva tenendo il ritmo,
incurante di tutto ciò che non fosse musica e festa, mio
padre, stranamente rilassato, che parlava con Deidra e la mamma, Mirzam
e Sile con Jarvis e sua moglie, mio fratello con zio Alphard e i nonni,
mentre degli altri, di Meissa e Rigel in particolare, non sapevo nulla.
Mi spostai, scivolando indifferente lungo la parete, uscii dalla stanza
e m’immersi nella penombra del corridoio, andando a osservare
l'oscurità profonda che ormai aveva preso piede, avanzando
dal mare, fagocitando il giardino posteriore, immerso nella neve: per
quel giorno, una strana Magia permetteva ai fiocchi di toccare terra
solo in quelle porzioni del castello che non erano coinvolte nei
festeggiamenti, e faceva così coesistere stranamente inverno
e primavera. Aprii la porta e uscii, affondando nella coltre morbida,
resa grigia dall’oscurità: la giornata, lunga e
affascinante, volgeva ormai al termine, Alshain aveva detto a mio padre
di aver chiesto al Ministero il permesso di usare una specie di
“super Passaporta”, per questo il Ministro si
trovava lì, doveva verificare di persona che non ci fossero
usi impropri, da un momento all'altro gli sposi sarebbero
perciò stati convocati nello studio di Sherton e si
sarebbero smaterializzati per ricomparire dopo oltre un mese, la
destinazione era nota a pochissime persone. Avevo anche scoperto dalla
rapida conversazione che aveva tanto sconvolto mio padre, che
Longbottom avrebbe approfittato di quell’invito per parlare
con Emerson e altri Maghi del Nord della riforma interna della
Congrega, e della volontà di Alshain di ritornare a vivere a
Londra, lasciando la guida effettiva delle Confraternita ad altri, per
ricoprirne solo un ruolo formale. Mi ero chiesto tutto il giorno che
cosa significassero quelle novità, sospirando spesso: non
ero stanco, ma immalinconito, quello sì, temevo di nuovo che
il Cammino del Nord mi fosse precluso per quelle scelte, e soprattutto
ero triste perché non avevo ancora potuto scambiare nemmeno
una parola con Meissa, né con gli altri, ero rimasto sempre
con i miei, ignorato da tutti, eccetto nonna Melania e zio Alphard, gli
unici che sembravano non condividere l'ostruzionismo di cui ero
vittima, fatto di silenzi e di barriere che m’impedivano
persino di avvicinarmi a mio fratello.
Il ricevimento, il banchetto, la musica, i balli, tutto era stato
magnifico, proprio come lo erano stati tutti i Riti di quella lunga
giornata, eppure c’erano stati anche momenti ed episodi
particolari e nefasti: quando furono serviti piatti di deliziosa cucina
francese, per esempio, al nostro tavolo Bellatrix uscì con
l'infelice battuta
“Tu che la conosci meglio di tutti noi, Rodolphus, non era un
francese l'ex fidanzato della sposa?” che le
valse un'occhiata gelida di mio padre, certo, ma che diede anche vita a
una serie infinita di spiacevoli pettegolezzi da parte degli zii. Mia
madre, che pur sapevo poco convinta delle scelte del giovane Sherton,
in quell’occasione non affondò il dito nella
piaga, anzi, parve molto indispettita dall'atteggiamento di Bella,
sempre più simile a un’invasata, e di Rodolphus,
che ogni tanto si alzava per brindare, rendendo omaggio la sola sposa
invece della coppia, ed io capii che non aveva cambiato idea su Mirzam,
solo temeva che quel comportamento irrispettoso potesse portare
discredito a tutta la nostra famiglia; io lanciai un'occhiata eloquente
a Regulus e mi misi buono e calmo in attesa di vedere gli sviluppi,
guardandomi bene dal fare o dire qualsiasi cosa potesse coinvolgermi
nella burrasca che, lo sentivo, si stava addensando all'orizzonte.
Appena iniziarono le danze, avevo perciò approfittato della
confusione per svicolare verso il giardino, deciso a mettere
più distanza possibile tra me e gli altri: da lontano avevo
ammirato Meissa che, come me, non era riuscita a sfuggire al controllo
della famiglia per quasi tutto il giorno, ed era costretta ad annoiarsi
ballando con William Emerson, indispettito almeno quanto lei. Rigel
doveva far da balia a una delle giovani figlie di Pucey ma, nel suo
caso, la piccola piattola sembrava ben lieta di averlo tutto per
sé; Regulus era l’unico a non sembrare scocciato,
tutto preso com’era dai giochi con gli odiati cugini Rosier,
che a me davano l’orticaria soltanto a sentirli parlare.
Mirzam e Sile non si erano allontanati mai l'uno dall'altra, parlavano
con gli ospiti, certo, ma per lo più si trattenevano solo
con il testimone e sua moglie, o con le amiche di Sile, o con pochi
ristretti parenti, Alshain e Deidra cercavano di far da filtro il
più possibile tra gli sposi e gli ospiti, d’altra
parte non ci voleva molto a capire che non vedevano niente di quanto li
circondava, esistevano solo l’uno per l’altra e
contavano i minuti che li separava ormai dalla libertà e
dall’amore. Sorrisi: mio padre diceva che la
felicità si ottiene facendo convergere i desideri col
dovere, ma quei due erano felici per un motivo molto più
semplice, non ci voleva molto a capire che erano davvero innamorati.
“E bravo Black... Sempre
pronto a nasconderti nella neve, ai ricevimenti degli
Sherton!”
Mi voltai, sorpreso, subito un sorriso pieno si fece largo sul mio
volto: Meissa era a pochi passi da me, accanto alla porta, un sorriso
ironico stampato in faccia, stupenda nel suo mantello caldo da Strega
in miniatura.
“Mei!”
Risi e tesi la mano verso di lei, Mei si avvicinò e la
prese, poi iniziammo a camminare in silenzio, inoltrandoci sempre di
più in quella coltre bianca, tra i sedili di pietra e i
cespugli dalle forme strane, fin quasi a raggiungere gli strapiombi e a
sentire il mare che ululava sotto di noi.
“Non sei a festeggiare e
ballare con gli altri?”
“Non ne posso più
di balli e di William Emerson: davanti a suo padre diventa un
leccapiedi insopportabile!”
“O forse fa così
perché qui non c’è la bella
Marlene!”
Meissa ghignò, poi si fece seria e cupa.
“Mio fratello è
appena andato con Sile, papà e il Ministro nello studio:
credo non li vedremo nemmeno partire…”
“Tuo fratello è
felice, lo vedono tutti che sono fatti per stare insieme... e alla fine
ritorneranno da tutti voi… perciò non devi essere
triste…”
“Lo so... e sono felice per
lui, per entrambi… dico davvero… ma…
mi manca già…”
La fissai, vidi chiaramente i suoi occhi riempirsi di lacrime: anche
lei mi era mancata e tanto, benché fosse stata tutto il
giorno a pochi passi da me, perciò capivo quello che
sentiva. Chinò il capo per sfuggire ai miei occhi, io smisi
di guardarla, sapevo quanto odiasse farsi vedere debole, quanto disagio
provasse nel mostrarsi mentre le sfuggiva una lacrima, eppure mi
entrava ancora di più nel cuore quando la vedevo per
com’era davvero, forte e al tempo stesso fragile. Le strinsi
la mano: avrei voluto abbracciarla, così non mi sarebbe
sfuggita più, e non ci sarebbe più stato spazio
per qualche damerino biondo che voleva ballare con lei.
“Ti va di venire con me,
Sirius? Laggiù ci sono dei gradini, c’è
una piccola scalinata che porta a una specie di terrazza a picco sul
mare, potremo vedere meglio degli altri i fuochi magici, senza tutta la
confusione e…”
“Ma i tuoi si arrabbieranno se
sparisci così…”
“Faremo in modo che anche loro
ci vedano, basterà attirare la loro
attenzione…”
“Non lo so… non mi
sembra una buona idea, sai… oggi tua madre ha fatto di tutto
per non perderti mai di vista… secondo me dovremmo ritornare
dagli altri…”
“Non fare il guastafeste,
Black! Probabilmente mia madre mi metterà in punizione anche
solo per essere stata qui, quindi… tanto vale divertirsi
almeno… ahahah…”
Si mise a correre, io rimasi un po’ interdetto, in quella
direzione sembrava che tutto fosse avvolto
nell’oscurità, si vedevano i profili degli alberi,
certo, e il muretto di pietra, ma secondo me c’erano alte
probabilità di farsi del male, anzi mi meravigliavo che
corresse così, poi mi accorsi di alcune pallide luci che
segnavano il cammino, a mano a mano che lei avanzava nella neve.
“Non vale, questa è
Magia del Nord!”
“No, nessuna Magia, si
attivano quando sentono una semplice pressione sul terreno…
Fai un passo: vedrai che si attivano anche con te… si
attivano pure con i gatti!”
Avanzai, un po’ perplesso ma vidi subito che era vero: vidi e
raggiunsi i gradini, con attenzione scendemmo la scalinata, fino a
raggiungere la terrazza inferiore, chiusa tra il bosco e la roccia su
un lato, sospesa sull’oceano dall’altro e
aggrappata con contrafforti di pietra al resto del castello, per la
precisione a una delle torri principali.
“Guarda, gli altri sono
laggiù! Possiamo gridare e ci vedranno!”
“Aspetta…”
Trattenni Mei per una manica, lei si voltò indispettita, io
le feci cenno di fare silenzio, poi con la testa indicai verso la zona
più buia e isolata della terrazza, talmente a ridosso della
torre da essere completamente buia e invisibile fuorché, in
parte, dalla nostra posizione: con la coda dell’occhio,
appena scesi gli scalini, avevo visto qualcosa muoversi
nell’oscurità, e ora che avevo fatto alcuni passi,
aguzzando la vista, percepivo distintamente la forma di due persone
avvinghiate.
“La tua idea era buona, Mei,
ma la terrazza è già stata prenotata da qualcun
altro… a quanto pare… e non credo che, viste le
loro finalità, vogliano condividere con noi questo bel
nascondiglio…”
“Che cosa vorresti
dire?”
“Vuoi forse beccarti qualche
fastidiosa fattura per aver infastidito due che stanno amoreggiando? Io
no, non credo saranno felici quando si accorgeranno di noi! Dovremmo
rientrare…”
“Se li minaccio di dire che li
abbiamo visti… se ne andranno e non ci faranno
problemi!”
“Mei!”
“Non fare il fifone, Black!
Questo è il mio terrazzo ed io voglio vedere i
fuochi…”
Aveva alzato appena la voce, il tanto che bastò ai due
amanti per capire che non erano più soli: la figura
più bassa, femminile, cercò rapidamente di
ricomporsi e di nascondersi dietro l’uomo, lui fece in modo
di proteggere la sua compagna e di celare la propria
identità ma, rendendosi conto che aveva di fronte solo due
bambini, non sembrò preoccuparsi più di tanto; io
morivo dalla curiosità di capire chi fossero,
c’era qualcosa di familiare in quell’ombra altera,
ma ero anche a disagio, volevo andar via di lì, avrei fatto
qualsiasi cosa per convincere Meissa a desistere. Fu in quel momento
che iniziarono a scoppiare i fuochi magici e il castello
s’illuminò di bagliori stupendi, che si
riflettevano sulla pietra bianca delle forti mura e
sull’inchiostro impenetrabile del mare sottostante, dalla
folla si levarono risate e grida di festa, un lampo azzurrino in mezzo
ai giardini svelò la partenza di Mirzam e Sile, allora
riprese anche la musica, ancora più ottenebrante e
avvolgente, i fuochi incendiavano il cielo e a terra le danze degli
irlandesi bruciavano il sangue. Mi voltai, le due ombre avevano
approfittato della confusione dei fuochi per dileguarsi, ritornare
indietro, confondersi con il resto degli ospiti, Mei ed io invece
eravamo soli: mi dimenticai subito di loro, pensai soltanto che fosse
uno spettacolo meraviglioso e fu tutto ancora più bello
quando Meissa, senza che me ne accorgessi, salì in punta di
piedi e fulminea mi scoccò un bacio sulla guancia sinistra,
poi mi fissò con occhi irridenti e mi stampò un
caldo bacio sulle labbra schiuse dallo stupore. La guardai, sembravamo
sospesi tra nuvole, gli occhi illuminati dalle luci variopinte e dalla
felicità, le mani strette le une nelle altre, il desiderio
innocente di continuare a sentire quella specie di farfalla che mi
volteggiava nello stomaco, ogni volta che il suo respiro e il suo
calore mi accarezzavano la pelle, quel brivido ignoto che si formava
alla base della mia testa e scendeva giù, sempre
più giù, lungo la schiena, risvegliando ogni
terminazione del mio corpo. Mi sentivo perso in un languore
sconosciuto, in uno struggimento strano, tanto potente da arrivare a
spaventarmi; strappai una rosa fiorita magicamente tra i cespugli che
ornavano la terrazza e gliela sistemai sul mantello, con la fibbia
argentea che aveva appuntata all’altezza del cuore.
“Mei…”
La voce, supplice, non sembrava più nemmeno la mia, le
accarezzai il viso, gli occhi perduti nei suoi, volevo ripetere quello
che avevo tentato a scuola, quando con il mio abbraccio fin tropo goffo
di bambino irruento l’aveva fatta fuggire, sperando in
maggiore grazia e fortuna, ma la sua espressione cambiò
completamente, sembrava atterrita.
“Sirius!”
“Che cosa? Che succede, Mei?
“Lassù,
guarda… lassù… qualcuno sta
combattendo… stanno…”
Mi voltai, guardando nella sua stessa direzione e, di colpo, le mie
gambe si fecero di burro, miei sogni si stavano trasformando in tragica
realtà: due figure avvolte nel buio si stavano affrontando
in cima alla torre principale, se ne potevano percepire i fluidi
movimenti dei mantelli e i capelli mossi dal vento, ma da quella
posizione e da quella distanza non riuscivo a riconoscerne i volti,
né a sentire le voci, solo i lampi di luce rossa indicavano
in maniera inequivocabile che lassù qualcuno stava
combattendo. Proprio come nel mio sogno…
“Dobbiamo avvisare gli altri
Mei… dobbiamo avvisare tuo padre, perché gli
altri non riescono a vedere quella torre dai giardini!”
Non attesi la sua risposta, iniziai a correre, senza voltarmi,
rassicurato dai passi lievi di Meissa che udivo dietro di me, il sibilo
soffice dei suoi stivaletti che affondavano nella neve, poi i sottili
colpi secchi con cui colpiva ritmicamente le pietre dei pavimenti
millenari. Mancava poco per raggiungere la base di quella torre, la
torre che ospitava le stanze private della famiglia Sherton, presto
avremmo dovuto decidere se salire o prendere il corridoio e avvisare
gli altri: io ero veloce e Meissa, lo sentivo dal suo passo
distanziato, non riusciva a starmi dietro facilmente, era meglio che
fosse lei ad andare da suo padre, avvisarlo, mentre io avrei iniziato a
risalire la torre. Proprio come nel mio maledetto sogno… Mi
voltai, per suggerire a Meissa di dividerci, ma lei era rimasta molto
indietro.
“Meissa…”
Feci due passi avanti, dovevo assolutamente raggiungere la torre, non
c’era tempo da perdere. Mi voltai ancora per chiamarla: che
fine aveva fatto? Perché era rimasta tanto indietro?
“Meissa…”
Ormai doveva avermi raggiunto… Tornai indietro per alcuni
passi, ripercorrendo il tragitto appena fatto, preda del timore che
fosse caduta e si fosse ferita, ma anche dalla speranza che avesse
preso una scorciatoia che io non conoscevo, ma sapevo che in quel caso
mi avrebbe avvertito.
“Meissa!”
Ero tornato ancora più indietro, cercando un passaggio, una
porta, che non avessi visto prima, invano.
“Meissa! Meissa!”
I miei occhi percepirono nell’oscurità qualcosa
che brillava a terra, mi misi a correre, la bacchetta sfoderata in
mano, feci Lumos e riconobbi la fibbia d’argento che Mei
portava sul cuore fino a pochi minuti prima; mi chinai a raccoglierla e
il cuore si fermò, all’istante, pensieri
tumultuosi di orrore e disperazione nella mente, quando vidi, poco
distante dalla fibbia, sulla pietra scura, la rosa macchiata da gocce
di sangue rubino.
“MEISSA!!”
***
Orion Black
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971
“Che diavolo ti è
saltato in mente, me lo spieghi? Ti rendi conto che tutti ti avrebbero
visto, conciata in quel modo? Non hai pensato a cosa avrebbero detto di
tutti noi? É stato uno scherzo stupido e di pessimo gusto,
Bella! Una buffonata che poteva mettere in ridicolo non solo te ma
anche il nome che porti! Salazar! La nostra famiglia non ha certo
bisogno anche di questo, soprattutto non ora: pensa al danno che potevi
arrecare a tua sorella!”
Ero riuscito ad attirarla con una scusa in un punto appartato sulla
terrazza: avevo aspettato per tutto il giorno, con pazienza, il momento
giusto e alla fine avevo agito quando suo marito sembrava essersi dato
alla macchia e la mia famiglia era completamente presa dai soliti,
dannati, pettegolezzi. Mia nipote mi aveva seguito tranquilla, ma dalla
sua espressione irridente avevo capito subito che aveva intuito le mie
intenzioni: anche adesso, mi guardava con occhi carichi di derisione,
giocherellando infantile con il calice di Moon’s Tears che
teneva in mano. Io, invece, cercavo di nascondere dietro la facciata di
severità e autorevolezza, tipica di un vero Black, il
disagio che mi coglieva ormai ogni volta che avevo a che fare con
lei. Era ridicolo, lo sapevo, ma mia nipote
m’intimoriva. D’altra parte non potevo
più esimermi dall'affrontarla, dovevo tutelare il buon nome
dei Toujours Pur: quella mattina mi era quasi preso un colpo quando
l'avevo vista togliersi il mantello al passaggio di Sile, restando
davanti a tutti in un succinto abito verde, il colore concesso durante
la Cerimonia solo agli sposi, sotto gli occhi divertiti di quell'altro
disgraziato di suo marito. Poteva essere uno scandalo, e non sarebbe
stato nemmeno il primo: colto alla sprovvista, nemmeno io credevo a
quanto stessi vedendo, poi avevo capito che dovevo intervenire subito,
avevo serrato rapidamente la mano sulla bacchetta nel mantello e avevo
fatto un Incantesimo silenzioso che aveva tramutato permanentemente il
verde in blu, cercando di non farmi notare da nessuno. Mia nipote,
naturalmente, aveva compreso all'istante che ero stato io ad agire e mi
aveva sorriso con un'espressione che l'educazione mi permetteva di
definire solo “disdicevole”. Per tutto il resto del
giorno non avevo fatto altro che tenerla d'occhio: ero certo che stesse
tramando qualcosa, bruciava d'odio per Mirzam e per la sua famiglia, e
conoscendola, non si sarebbe certo limitata a una buffonata come
quella! Era sempre stata un tipo ribelle, mia nipote, impossibile da
domare e guidare: avevo ringraziato gli dei di essere solo suo zio e
non suo padre, perché il lavoro di Cygnus con lei era stato
difficile, per non dire disperato e i risultati… beh,
piuttosto inconsistenti. Quando i Lestrange se l'erano presa in casa,
avevo perciò tirato un sospiro di sollievo e, ne ero certo,
non ero stato l'unico, nella nostra famiglia, a festeggiare per quella
liberazione: i problemi, però, non erano finiti, anzi,
durante i primi mesi avevo temuto che Lestrange la ripudiasse,
gettandoci in un nuovo scandalo, visto il comportamento folle che Bella
aveva tenuto anche in pubblico; poi il rapporto tra i due sposi aveva
iniziato a funzionare, o per lo meno sembrava meno problematico, eppure
la situazione per certi versi era persino peggiorata. Bella, infatti,
era tutt'altro che propensa a comportarsi come una rispettabile donna
sposata, interessandosi di bambini, pettegolezzi, feste e quant'altro,
al contrario amava frequentare la fosca combriccola di Rodolphus e,
sospettavo, la cerchia più ristretta di Milord; i suoi modi,
già piuttosto ruvidi e discutibili, erano degenerati
ulteriormente, il rispetto per le convenzioni sociali e i precetti
familiari si era fatto via via più effimero. Ero turbato
all'inverosimile, perché l'esaltazione che da sempre provava
per le imprese di Milord, ora non era più mediata dalle
regole della nostra famiglia, anzi si coniugavano a una deleteria
libertà d'azione e a una capacità magica che
aumentava di forza e di spregiudicatezza, ogni giorno di
più. Mossa dall'intima condivisione dei progetti e dei fini
di quel temibile Mago Oscuro, sapevo che non si sarebbe mai fermata di
fronte a niente e a nessuno. La famiglia Black naturalmente condivideva
quell’ideologia: per il benessere dei Purosangue non
c’eravamo mai tirati indietro, eravamo fieri della nostra
purezza e vivevamo nel rispetto dei precetti di Salazar, tanto che
ognuno di noi, soprattutto da giovane, non aveva mai disdegnato certi
passatempi. Io stesso mi ero dato alle cacce al Babbano, da ragazzo,
senza provare vergogna, rimorso, o turbamento, anche se avevo preferito
vivere l'aspetto goliardico di quelle esperienze, piuttosto che dare
sfogo alla mia sete di sangue e alle mie perversioni su quegli esseri
inferiori: per me e per molti di noi la caccia era un semplice Rito di
passaggio da affrontare per ribadire davanti a tutti la nostra
identità, come già avveniva una prima volta a
undici anni con lo smistamento a Serpeverde. Crescendo, era con
l’esercizio della nostra influenza nei centri del potere,
piuttosto che attraverso gesti materiali e sanguinari, che cercavamo di
ristabilire lo stato naturale delle cose nel Mondo Magico. Bella era
diversa, in un certo senso era più avanti di tutti noi,
perché non si limitava più alle parole, era
già passata ai fatti, voleva guidare la liberazione del
nostro mondo, non attendere, come la maggior parte della nostra
indolente famiglia, che fosse il mondo a cambiare per miracolo, o per
piccoli passi, che il nostro ruolo ci fosse riconosciuto
spontaneamente, senza dover lottare per riaverlo indietro. Bella era
sempre stata così, da piccola diceva “un giorno
sarò io soltanto, non sarò la figlia o la moglie
di qualcuno”: nessuno di noi l'aveva presa sul
serio, invece quella era la sua filosofia e giorno per giorno, stava
trasformando i suoi propositi in realtà, servendosi persino
del matrimonio. Aveva trovato in Rodolphus Lestrange, infatti, non
colui che l’avrebbe piegata, ma la sua vera metà,
un uomo che condivideva il suo fuoco, i suoi istinti, le sue
aspirazioni: si erano riconosciuti come simili e ora si esaltavano
reciprocamente in un percorso fatto di Magia e Oscurità. Di
fronte a lei, mi sentivo ancora più piccolo e meschino,
persino invidioso, sì, invidioso, per quella sua
libertà sfacciata ed esibita per la quale io, al contrario,
non ero stato capace di battermi. E anche in quel momento, in mezzo
alla festa, nella tranquillità di quel giardino innevato,
non sapere che cosa stesse architettando mi mandava fuori di testa,
insieme al dubbio che non avrei avuto armi sufficienti a fermarla, se
fosse stato necessario, se me la fossi, un giorno, trovata contro:
potevo usare solo le parole, con lei, parole di cui Bellatrix,
irridente, non si era curata mai.
“Le azioni di ciascuno di noi,
Bella, ricadono sempre sul resto della famiglia, non scordarlo, anche
se ora sei una Lestrange, il tuo sangue è e
resterà sempre quello di un Black!”
La vidi annuire e sorridermi, abbassò persino gli occhi,
cercando di assumere un’espressione pentita e sottomessa ed
io, sciocco, per un attimo mi lasciai persino convincere: quando
però alzò di nuovo il suo sguardo su di me, vidi
tutta la sua feroce derisione verso la mia pochezza, pervasa
com’era da un'aria pericolosa e oscura che mi
turbò nel profondo.
“Avete detto bene, zio caro,
sono una Lestrange, e lo sono anche per merito vostro, oltre che dei
vostri cari amici Sherton. Riguardo al buon nome dei Black, compete ora
ai vostri figli e a voi, che dovete educarli, la difesa del nostro
Casato pertanto, fossi in voi, penserei alla cravatta che porta al
collo il vostro primogenito, invece degli abiti di vostra nipote! Ne
riparleremo, però, vedo che il nostro gentile ospite vi sta
cercando, immagino che, al solito, avrà interessanti piani
da proporvi. Con permesso... ”
Se ne andò con la consueta faccia da schiaffi, intercettando
Alshain a pochi passi da me, scambiò con lui poche
sussurrate parole, che non sentii, ma che sembrarono lasciarlo turbato,
poi ridendo gli diede le spalle, mettendogli in mano il bicchiere di
Moon’s Tears con cui aveva giocherellato per tutto il tempo,
senza nemmeno assaggiarlo. Io... Era terribile il pensiero che avevo
scoperto in me, da tempo, nei suoi confronti. La odiavo, sì,
la odiavo. Come avrei dovuto odiare persino Walburga, se ne fossi stato
capace, se il peso della colpa e l'amore che ancora nutrivo per lei, la
donna che avevo imparato a conoscere e che avevo distrutto con la mia
debolezza, non me l’avessero reso impossibile. Non potevo far
altro che odiare Bella, per il veleno che riversava su Sirius, per come
girava il coltello nella piaga, per come aizzava la madre contro il
figlio, per i comportamenti simili a quello che aveva tenuto tutto il
giorno. Quando avevo mosso rapido la bacchetta per cambiare i colori
del suo abito, io… Un'idea atroce, eppure appagante, mi era
balenata nel cervello. Perché no? Lì tra tante
persone, in quella penombra… Perché no?
Perché no? Bastava volerlo, volerlo davvero, e Merlino solo
sapeva se non l'avevo desiderato con tutta l’anima, quando
lei e suo marito avevano deriso mio figlio. Dovevo mettere a tacere
certi pensieri, erano pericolosi e malvagi, proprio come lei. Avevo
bisogno di aria, di qualcosa che mi calmasse, dello sguardo dei miei
figli, del loro abbraccio: ero riuscito a stringerli a me per quasi un
giorno intero, con l'amore e il trasporto che mi ero imposto di non
dimostrare loro mai, coprendo i miei sentimenti con la scusa del
doverli proteggere. Sciocco, miserabile, patetico, cuor di coniglio!
Avrei voluto che quel giorno non finisse, avrei voluto fuggire per
sempre da Grimmauld Place, avrei…
“Hai proprio deciso di non
rivolgermi più la parola, a quanto vedo... ”
Mi voltai verso Alshain, in tempo per vederlo portarsi alle labbra,
sovrappensiero, il calice di Moon’s Tears.
***
Alshain Sherton
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971
Era da un po' che avevo l'intenzione di avvicinarmi di soppiatto a
Orion, con stampata in volto la mia migliore espressione canzonatoria,
sicuro di ricevere una degna “accoglienza”: per
tutto il giorno, infatti, mantenendo nei miei confronti un
atteggiamento ostile, aveva cercato di evitarmi. Dopo averlo cercato
per un po', l'avevo visto da lontano, sulla terrazza, elegantissimo in
un bel completo tradizionale nero e antracite, con sobri ricami argento
slytherin, i capelli pettinati con cura all'indietro, in morbide onde
leggermente brizzolate che arrivavano a sfiorargli la base del collo,
le mani cariche d'anelli e la faccia atteggiata a un’austera
disapprovazione verso il mondo intero. Ero rimasto a osservarlo a lungo
sulla porta che immetteva nel giardino, mentre discuteva pieno
d’inusuale animosità con sua nipote: dovevano
avere un diverbio su qualcosa, ma non capivo di cosa si trattasse,
quando si aveva a che fare con due sfingi simili, era molto difficile
comprendere quale fosse il problema, a meno di non trasformarsi in una
mosca e volare a spiare i loro discorsi. Alla fine, vedendomi, Bella si
era allontanata con la solita espressione irridente, capace di mandare
ai pazzi persino i Santi, lui era rimasto lì, a osservare lo
spettacolo dei balli irlandesi: probabilmente vagava con la memoria
lontano nel tempo e nello spazio, ricordando i suoi anni turbolenti di
ragazzo scapestrato e quelli più maturi e intensi del suo
sfortunato amore per Walburga. Non era giusto, no, non lo era: d'altra
parte, la vita raramente era giusta, anche con chi, come noi, avrebbe
avuto le carte in regola per attraversare l'esistenza indenne, senza
mai incrociare il dolore.
“Milord... ”
La voce di Bellatrix mi riportò in me, la osservai venirmi
incontro con movenze feline e maliziose: aveva un abito strano, molto
strano per una Cerimonia, un abito troppo corto e troppo scollato, che
non lasciava molto all'immaginazione, di un bizzarro blu cobalto, con
sopra una specie di velo nero a farle da mantellina, gli occhi truccati
pesantemente, che davano al suo viso niveo un aspetto emaciato. Una
bellezza intensa, esibita, malata, capace di turbare chiunque. In
genere io non guardavo le donne, non con quell’insistenza
almeno, ma Bella... Bella era una giovane Strega che si faceva
guardare, quasi con violenza. Per l'ennesima volta mi dissi che avevo
fatto bene a intervenire su Mirzam, anni addietro, in maniera poco
ortodossa, perché quella Strega poteva portare solo
turbamento e guai nella nostra famiglia.
“Lady Lestrange... ”
Mi chinai a farle uno dei miei soliti baciamano: in effetti, ogni volta
che avevo a che fare con giovani Streghe che avevo visto nascere e
crescere, mi sembrava ridicolo comportarmi in quel modo formale e
galante, mi faceva sentire vecchio, persino più del vedere
mio figlio finalmente sposato. Deidra lo sapeva e di solito mi
derideva per giorni; immaginai che mi stesse osservando anche in quel
momento, pronta a prendermi in giro appena fossimo rimasti soli ed io,
allora, mi sarei vendicato della sua sfrontatezza, approfittando in
maniera deliziosa delle sue grazie. Sorrisi tra me, con
tenerezza, come ogni volta che pensavo alla nostra straordinaria
complicità.
Quando però Bella mi puntò addosso il suo sguardo
strano, il sorriso mi morì subito sulle labbra. Era inutile
raccontarsi favole: quella Strega mi metteva a disagio, in un modo
diverso da tutte le altre, per quel suo modo di guardarmi, particolare,
insistente, provocante, a volte persino indecente, che mi metteva una
strana sensazione di pericolo addosso. Me n'ero accorto la prima volta
a Lestrange Manor, pochi mesi prima, quando i suoi occhi penetranti mi
avevano turbato persino più dello schiaffo di Milord, e da
allora si era ripetuto, sempre più insistente, ogni volta
che l'avevo incrociata: sembrava leggermi dentro, anche se avevo eretto
un muro impenetrabile attorno ai miei pensieri più intimi e
segreti. Non era Legilimanzia, però, sapevo bene, purtroppo,
di cosa si trattasse, per questo mi ammonivo da solo, nella mia testa,
invano, ripetendomi che dovevo evitare di alimentare quella mia assurda
debolezza. Anche se non volevo ammetterlo, e non l'avrei ammesso mai,
nemmeno sotto tortura, sapevo di esserne in qualche modo attratto, e
temevo che lei l'avesse capito prima di me e ora agisse di conseguenza,
perché interessata, o più probabilmente per
prendersi gioco di me o per farci del male. Il fatto di amare Deidra
non mi aveva mai reso cieco, d'altra parte la capacità di
riconoscere e apprezzare la bellezza quando la incontravo non mi aveva
mai spinto a dimenticare cosa contasse davvero nella mia vita,
né pensare a certe eventualità mi aveva mai
distolto dal rispetto dei miei veri sentimenti. Sapevo però
che occorrevano costantemente prudenza e controllo perché,
lo vedevo in molti, il passaggio tra il pensiero e l'azione spesso era
fin troppo breve... e la debolezza sempre in
agguato. Sospirai, mi sentivo ridicolo, sì,
ridicolo, perso in quelle fantasie e quelle paure stupide,
così strane per me: da quando io, Alshain Sherton, mi
lasciavo turbare dal semplice sguardo di una ragazzina?
“I balli irlandesi sono
così meravigliosi: caldi, passionali... sensuali... Per
tutto il giorno mi sono chiesta se... ricordo che siete un ballerino
provetto, Milord... posso sperare in un vostro invito?”
“Ero un buon ballerino,
Milady, ma alla vostra età: ora non posso certo reggere il
confronto con questi giovani pieni di energia, grazia ed entusiasmo...
”
“Lo sapete bene quanto me,
Milord: in molte cose, l'esperienza conta più della forza...
quanto all'entusiasmo... ci sono molti modi per
riaccenderlo...”
Non feci in tempo a risponderle a tono: Bella aveva già
posato la mano sul mio avambraccio sinistro, con assoluta indifferenza,
stringendo appena la presa, e strusciando lieve il tessuto esattamente
sopra le Rune che avevo marchiate sotto. La guardai, stupefatto per
tanta sfrontatezza, lei mi stampò addosso, dannatamente
seria, due occhi neri come la perdizione: non avevo dubbi, sapeva bene
quale effetto facesse una carezza simile sulle nostre Rune. Mi
lasciò così, senza parole, per scivolare via,
nell'oscurità del giardino,irridente e soddisfatta del mio
turbamento, mettendomi il suo bicchiere in mano, e
un’incredibile confusione in testa. Feci un sospiro fondo per
snebbiarmi i pensieri: stavo diventando troppo vecchio e troppo
stupido, dovevo smetterla di bere come avevo fatto per tutto il giorno
e dovevo evitare quella Strega ad ogni costo. Mi avvicinai falsamente
baldanzoso a Orion, sperando che due chiacchiere con lui mi
riportassero il buon umore, così lo apostrofai con una delle
mie migliori espressioni leggere e canzonatorie
“Hai proprio deciso di non
rivolgermi più la parola, a quanto vedo...”
Poi trangugiai in un solo sorso il Moon's Tears, per placare l'ansia e
la sete, mentre Orion si voltava verso di me.
***
Rigel Sherton
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971
Fidanzati. Anzi no, peggio: ufficialmente fidanzati. E non
più tardi della festa di Hogmanay!
Il mio stomaco era entrato in subbuglio già da qualche
tempo, da quando avevano iniziato a girare voci di un simile orrore, ma
il mio senso di nausea era giunto a livelli intollerabili da un paio di
giorni, perché in ogni salotto che avevo frequentato da
quando avevo lasciato Hogwarts, il discorso era stato ripetuto e
confermato. Ora, sentire una parte dei pettegolezzi divertiti e
orgogliosi sul fidanzamento del secolo, proprio tra Walburga Black e
Belvina Pucey, mi aveva dato il colpo di grazia. Mi ero
guardato intorno, disperato, avevo cercato, tra la folla festante, una
prova che non fosse vero, che fosse solo una chiacchiera come tante, o
almeno, che si trattasse di un fidanzamento imposto dalle famiglie, -
come se ci potesse essere una qualche consolazione nel saperla infelice
per il resto della sua vita, costretta con la forza a vivere per sempre
accanto a quel maiale! Invece no, assolutamente no, nemmeno quel
“conforto”, perché spaziando con lo
sguardo, alla fine, ancora una volta, l'avevo vista, bella e fredda
come una mattina d'inverno: Narcissa Black, semplicemente meravigliosa,
una stella scesa sulla terra per ordine degli dei a portare luce nel
nostro mondo privo di speranza, stava ballando, con le fiamme
dell'amore negli occhi, stretta a lui, un essere falso e meschino,
indegno persino di strisciare ai piedi di una creatura tanto perfetta.
Ero rimasto lì, impietrito, a osservarli, preda di
sentimenti contrastanti, diviso tra l'odio per lui, il desiderio acerbo
e disperato di lei e il rancore, sì, anche il rancore,
perché Narcissa non si ribellava, non apriva gli occhi,
sembrava non capire. E infine la disperazione, per il mio
stupido sogno ormai ridotto in cenere e per il destino, che io
immaginavo orrendo, che attendeva quella figura angelica. Dovevo
salvarla in qualche modo, me lo ripetevo ormai in continuazione, ma
come fare? Avrei potuto battermi in duello con lui, e con
qualche trucchetto imparato da Mirzam, potevo pure uscirne bene, dargli
una lezione, infondo l'avevo già messo in
difficoltà in passato. Vedendoli così,
però, solo un pazzo non avrebbe capito che non sarebbe
servito a niente: Narcissa non voleva essere salvata, non aveva bisogno
di essere salvata. Mentre la mia mente volava dietro arditi piani senza
senso, in cui io, coraggioso come un eroe antico, con la forza e con
l'ingegno, salvavo Cissa da un Mago Oscuro molto più forte
di me, li avevo visti allontanarsi con garbo, scivolare tra la gente,
ritrarsi tra le ombre. Io non potevo crederci, no, non potevo crederci.
Non lei, non la mia Narcissa! La mia...
Come privo di volontà, li avevo seguiti. Lei era
così stregata da lui, da non vedere ciò che era
chiaro come il sole: per me, il nome e il denaro dei Malfoy non erano
sufficienti nemmeno a elemosinare un suo sorriso, a lei, invece,
sembrava bastare molto meno, appena una promessa, per concedergli
addirittura se stessa. Mi veniva da piangere, riscoprendomi
così ridicolo, stupido, infantile, nella mia
ingenuità. Un senso di tragedia mi aveva consumato l'anima,
mentre seguivo nella penombra dei corridoi quelle figure, divertite e
leggere, che bruciavano già di passione, il passo emozionato
eppure sicuro di lei, pronta a dar voce e forma e vita al desiderio: lo
sentivo nella sua voce rotta, nella sua risata strana, che la sordida
richiesta di Lucius alla fine era condivisa da lei. Ora concedersi non
appariva più ai suoi occhi qualcosa di desiderabile ma
increscioso e spudorato, ora si ammantava di legittimità e
decenza, grazie alla benedizione delle famiglie e al plauso della
società. Nell'oscurità si erano fermati, avevo
visto il bastardo stringere con bramosia quel corpo delicato a
sé, spingerla famelico contro il muro come fosse
l’ennesima preda, e affondare la bocca sul suo collo esile,
marchiandolo di vergogna, la voce di Narcissa che sussurrava appena,
affannata. Quando però lei mi parve sfuggirlo, il cuore mi
era balzato nel petto e si era aperto alla speranza: potevo
intervenire, era palese che lei cercasse di liberarsi, aveva bisogno
che qualcuno la salvasse da quella belva ed io ero pronto a essere il
suo eroe! Poi, però, poi avevo capito. L'avevo visto con i
miei occhi: Narcissa non cercava affatto la libertà, ma solo
un posto più sicuro e nascosto in cui appartarsi con lui e
diventare sua. Per sempre. Ridendo bramoso, lui l'aveva seguita
nell'oscurità del giardino. A me, privo di forze e di
speranza, era crollato il mondo addosso. Non potevo far altro che
fuggire da me stesso, cercare di non pensare, di dimenticarla, di
togliermi il suo sorriso dalla testa, insieme a quell'idea assurda, che
mi scavava dentro da troppo tempo, che potessi avere almeno una
speranza con lei, un giorno, grazie al nome che portavo.
“Sono solo stupidi sogni, Rigel! Sei troppo piccolo, lei
nemmeno sa che esisti!”
Ogni volta cercavo di fare una spacconata più grossa della
precedente, sperando di farmi notare e dimostrandomi invece ancora
più bambino. Avevo corso forsennatamente per i corridoi
oscuri del castello, scendendo sempre di più, cercando
invano di cancellare fantasie orribili fatte di angeli trasformati e
divorati come semplice carne, perdendomi tra quelle mura, come mi stavo
perdendo in me stesso. Alla fine mi ero fermato, privo di fiato,
giù, in quella specie di museo in cui mio padre conservava i
cimeli di famiglia, mi ero abbandonato contro un muro, scivolando con
la schiena lungo la parete fino a terra ed ero rimasto così,
come un sacco vuoto e disfatto, mentre le lacrime bollenti diventavano
a poco a poco gelo sulla mia faccia e il mio corpo, scosso dai brividi
e dai singhiozzi, smetteva di vibrare, privo di qualsiasi
volontà e dignità. La giornata era quasi
conclusa, a me sembrava che fosse finita tutta la mia vita. Volevo
restarci in eterno, laggiù, lasciarmi morire, non
m’interessava più nulla, figurarsi quella stupida
festa, quegli stupidi balli, quella stupida gente, o peggio ancora mio
fratello!
Mio fratello...
Immaginai la sua faccia se mi avesse visto ridotto così: mi
avrebbe guardato con disgusto, mi avrebbe dato del bambino, mi avrebbe
ricordato i doveri di quelli come noi, di un vero Sherton. Dentro di me
sapevo che non ce l'avrei più fatta a sopportarlo, lui e
tutti i suoi dannati discorsi: senza uno scopo da raggiungere, senza
Narcissa per cui combattere, che senso avevano? Che me ne facevo
dell'orgoglio, del Sangue, se non servivano nemmeno a ottenere lei? Che
senso aveva alzarsi da terra e continuare a vivere? Mi rovistai nelle
tasche del mantello, non avevo più nemmeno quella dannata
birra babbana con me, avrei potuto continuare a nascondermi, ma senza
sbronzarmi: ero condannato a pensare. La sola idea mi fece scoppiare in
lacrime. Potevo solo piangere, volevo solo piangere... come un
bambino...
“Qualsiasi cosa accada, Rigel, non dare mai a nessuno la
soddisfazione di vederti piangere!”
Pensai a tutte le volte che mia madre, da piccolo, con un bacio sulla
fronte e scompigliandomi i capelli, mi aveva ripetuto quelle parole,
quando cadevo e mi facevo male: mi bastava sentire il suo profumo e il
suo calore, la dolcezza della sua voce gentile, quel timbro che pareva
avesse sempre e solo quando si rivolgeva a me, e subito il dolore
diventava meno intenso, e le lacrime, rapide, si asciugavano sulle mie
guance. No, non avrei pianto, no. E non perché fossi uno
Sherton, e come tale dovessi sempre mostrarmi forte davanti agli altri,
ma perché ero figlio di mia madre e, nelle mie vene,
scorreva la sua stessa semplice dignità. No, non avrei dato
a Malfoy o a Narcissa la soddisfazione di vedermi a terra per loro,
mai. Mi asciugai gli occhi con la manica del mantello, tirai su col
naso, passai la mano tra i capelli, arruffandoli come facevo sempre,
per ridarmi un’aria spavalda, feci un sospiro fondo, quindi
mi alzai, deciso a tornare dagli altri, senza far trapelare nulla del
dolore che avevo nell’anima, rimettendo la mia maschera di
piantagrane, così che nessuno si accorgesse di niente. Fu
allora che, improvvisa, la porta alle mie spalle si aprì,
con un cigolio oscuro e sommesso, io mi voltai, sorpreso, aguzzai gli
occhi nella penombra, mi acquattai dietro le colonne e le teche e,
trattenendo il respiro, vidi una figura misteriosa che si muoveva
guardinga tra le ombre rosse dei bracieri.
***
Alshain Sherton
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971
“Hai proprio deciso di non
rivolgermi più la parola, a quanto vedo... ”
“Non sono votato al martirio,
lo sai! Solo un pazzo rivolgerebbe la parola a un dannato bastardo,
idiota e falso, che ha deciso di buttarsi in un pozzo e trascinare i
suoi cari con sé!”
Tornò a guardare i balli irlandesi, gli occhi restarono
fissi su quello spettacolo che era un inno all'istinto e alla
passionalità, quanto di più lontano dai precetti
che gli erano stati inculcati a forza fin da quando era un bambino,
generando in lui una sete mai sopita di vita vera. Una sete che aveva
provato a soddisfare, arrivando quasi a distruggersi.
“La tua tendenza al melodramma
migliora con gli anni, Orion! Lo dico sempre, avresti dato il meglio di
te, calcando le scene nei teatri del Regno!”
Le sue labbra si piegarono appena in una smorfia sprezzante,
tipicamente Black, ma la sua voce perse la morbidezza e l'eleganza
propria dei salotti che era solito frequentare per indurirsi in un
epiteto poco “raffinato” nei miei confronti, nella
rozza lingua del Nord; per il resto, al solito, sembrava privo di
emozioni: c'era solo una vena sulla fronte che pulsava violenta, a
testimoniare la presenza di un'anima ancora viva imprigionata in quel
suo corpo di cera, da cui non riusciva in alcun modo a liberarsi.
“L’ho sempre detto,
non c'è nulla meglio della mia lingua per dissacrare la
sacra e nobile eleganza dei Black!”
Si voltò: i suoi occhi erano cupi come una notte d'inverno,
di colpo sembrò che gli anni fossero scivolati a terra, che
fossimo ritornati indietro, quando al mio fianco c'era un giovane
caparbio e ingegnoso, pieno di ardore e insofferente alle regole,
quello con cui avevo condotto una gioventù al limite del
buonsenso, affrontando tutto di petto, calpestando ogni ipocrisia e
convenienza. All'ultimo ostacolo, però, io avevo spezzato la
catena che m’imprigionava al mio destino, anelando
libertà e vita, Orion invece era caduto e non si era
più rialzato.
“Che cosa voleva da te mia
nipote?”
“Bella? Nulla
d’importante, mi ha chiesto di ballare... ”
Vidi il suo sopracciglio alzarsi dubbioso, poi ritornò come
al solito imperscrutabile.
“Tieniti lontano dai guai,
Sherton! Ne hai già a sufficienza... Mia nipote è
avvelenata e cerca di vendicarsi di tutti voi, e tu... tu le renderai
il gioco facile, se le presterai il fianco! Non fare stupidaggini, ci
sono migliaia di altre donne con cui spassarsela senza pagarne
conseguenze tanto pesanti...”
“Salazar, Orion, ma cosa dici?
Ti ho sentito dire cazzate gigantesche, ma mai enormi quanto questa! Mi
ha solo chiesto di ballare! Sei sordo o sei impazzito?”
“Se lo dici tu...”
Mi mossi verso il balcone, così che l'oscurità mi
circondasse: il mio volto era una maschera d’imbarazzo, colto
alla sprovvista nello scoprire quanto fosse riuscito a leggermi dentro.
Dannato
inglese!
“Sono gli stolti che ridono
affrontando a occhi chiusi l'orlo di un baratro: che tu vada a picco,
Sherton, lo sai, non m'interessa, ma non permetterò che i
ragazzi e Deidra paghino per la tua incapacità di usare il
cervello, ammesso tu ne abbia ancora uno! Già scopro con
disappunto che te la fai col Ministro, un maledetto Grifondoro,
Traditore del Sangue. Non ti pare sufficiente come cazzata dell'anno?
Io mi chiedo, dove diavolo hai la testa? Perché invitarlo
qui, oggi, mostrando a tutti la vostra insolita confidenza? Non ti
accorgi che hai messo nei guai i tuoi figli e tua moglie? E il
compromesso che volevi fare per proteggerli? Che fine ha fatto? Come
pensi di essere credibile a qualcuno, adesso? Lui sarà
informato del tuo voltafaccia stasera stessa! E non gli servivano certo
scuse per farti la guerra apertamente, lo sai... quando
accadrà, perché accadrà, tu e tutto il
tuo mondo sarete travolti! E la colpa sarà tua
soltanto!”
Lo lasciai sfogare, mi aspettavo una reazione simile da quando avevo
deciso di invitare Longbottom al matrimonio, e puntuale Orion non mi
deluse: sapevo quanto fosse preoccupato per le sorti dei suoi figliocci
e di Deidra, e sapevo che le sue obiezioni erano sacrosante, eppure
quella era la sola strada da intraprendere, l'unica che mettesse al
sicuro tutti, al diavolo quello che sarebbe capitato a me.
“La tua agitazione
è priva di senso, Orion: il Ministro è qui solo
per consegnare una Passaporta. So che potresti obiettare che finora la
Confraternita ha sempre usato i propri mezzi senza chiedere il permesso
a nessuno, hai ragione, ma all'estero sono molto preoccupati per certe
vicende che interessano la Gran Bretagna ed io non voglio che Mirzam e
Sile abbiano dei problemi, ne hanno già passate abbastanza!
Con un visto del Ministero potranno muoversi, senza che nessuno abbia
da ridire. Tra meno di un'ora raggiungeranno una località
che conosciamo solo Longbottom, Crouch, Mirzam ed io e per quanto mi
riguarda, le conseguenze di questa giornata e delle mie azioni
finiranno lì!”
“E non potevi fartela dare a
Londra? Perché portarti qui quel babbanofilo e i suoi
dannati sgherri?”
“Longbottom è stato
socio di mio zio, Tobias Meyer, lo conosco da quando ero un ragazzino.
Sei maestro di buone maniere, Orion, era sconveniente chiedere un
favore al Ministro e non invitarlo alla Cerimonia: io mi sono limitato
al mio dovere, lui ha accettato, non è colpa mia se
è venuto davvero...”
“Oh, sì,
l’etichetta, la convenienza: da quando in qua
t’interessano quelle che hai sempre chiamato stronzate? Chi
credi di prendere in giro? Il Ministro e i suoi sgherri pulciosi
potevano rifiutarsi di venire qui: cos'è, una barzelletta?
Non gli sarà sembrato vero potersi infiltrare e
spiarti!”
“Salazar, Orion, non fare il
bambino! Crouch non ha certo bisogno di venire fin qui per scoprire i
miei segreti! Io non capisco cosa temi, non mi sono dilungato con
nessuno di loro, li ho trattati come tutti, anzi, non ci ho nemmeno
veramente parlato!”
“Certo, perché hai
lasciato a Emerson il lavoro sporco! Tu stai giocando col fuoco,
Alshain, sottovaluti troppo l'intelligenza dei tuoi nemici e
sopravvaluti troppo te stesso!”
“A parte te, Emerson e pochi
altri, tutte persone su cui metterei la mano sul fuoco, nessuno
sa. Vorresti farmi intendere che saresti capace di tradirmi
tu, solo perché non ti convincono le mie idee? Non ci
crederei nemmeno se ti vedessi, Orion!”
“Ti preoccupi per me?
Ridicolo! Piuttosto… per quanto pensi di riuscire a
nascondere che Longbottom gode del sostegno dei Maghi del Nord ai danni
di Lodge? Tu sei pazzo, Sherton! E quello che è peggio,
ritirandoti a Londra, priverai la tua famiglia dell'unica protezione
seria che possedete!”
Avevamo raggiunto già da un pezzo una posizione ancora
più appartata, lontano da orecchie indiscrete, e avevamo
mantenuto la voce molto bassa, nonostante la discussione fosse accesa,
mi appoggiai al recinto di pietra di una delle fontane, mentre la sua
figura, tremante di rabbia, incombeva su di me, minacciosa: sembrava
pronto a prendermi a pugni, era il genere di situazioni che riusciva a
suscitare in lui le reazioni più incontrollate, come
avveniva spesso molti anni prima. E all'epoca, di solito, a uscirne
conciato per le feste ero sempre io.
“Qualsiasi decisione io
prenda, la mia famiglia ed io saremmo sempre in pericolo, Orion! Riddle
non ci lascerà in pace finché non avrà
ottenuto Herrengton, e a quel punto non avrà più
bisogno di lasciarci in vita, anzi, saremmo solo un intralcio! Nemmeno
il più degradante dei compromessi potrà cambiare
le cose, lo so, ma io devo prendere tempo, fargli credere che non ho
ancora quell'anello e che lo sto cercando io stesso e, soprattutto, che
mi fido delle sue parole e della sua protezione tanto da comportarmi
persino in modo “sconsiderato” sotto gli occhi di
tutti! So che devo sporcarmi con lui, ma lo farò solo il
tempo necessario a me stesso o a qualcun altro per trovare una strada
che lo fermi definitivamente, Orion... Il piano è e
resterà sempre quello: deve restare lontano dalle Terre del
Nord e dalle testimonianze del suo illustre antenato, a costo della mia
vita, perché solo così il suo potere
può essere contrastato! Se cadesse Herrengton, oltre a
entrare in possesso di una Magia che lo renderebbe ancora
più potente, tutti capirebbero che è il legittimo
Erede di Salazar e allora persino i più moderati si
piegherebbero al suo volere: a quel punto il nostro mondo, tutto
ciò in cui crediamo, scomparirebbe, i tuoi stessi sacrifici,
Orion, non sarebbero valsi a niente perché finiremmo tutti
schiavi di un lurido Mezzosangue, Orion! Di un Mezzosangue, lo capisci?
È questo che vuoi?”
L'avevo colpito, lo vedevo: se non avesse creduto alla bontà
delle mie insinuazioni, alla fine avrebbe dato credito al Signore
Oscuro, che aveva già irretito molte famiglie antiche come
le nostre con promesse favolose di ricchezza, di potere personale e di
un futuro radioso per i nostri figli, lontani dalla contaminazione
della feccia. Ero però riuscito a instillare in lui il
sospetto che ci fosse qualcosa d’inconfessabile nel passato
di quel Mago potente, e questo spingeva Orion ad agire con prudenza,
restando favorevole alla Sua ideologia, certo, ma senza legarsi
apertamente a Lui.
“Non intendi venir meno alle
promesse che hai fatto finora, d'accordo, ma come possono integrarsi i
due piani? Se tu lasciassi la Confraternita... ”
“Se voglio che mi creda
convinto, devo fornirgli delle prove, Orion: dovrò fare
scelte che non si adattano alla mia natura e a quanto ho sempre preteso
dalla mia gente. Se devo, prenderò persino il Marchio, ma
non intendo seguire Milord restando a capo della Confraternita, non
voglio che gli altri condividano il mio destino. Inoltre se Longbottom
vedrà nella mia gente un valido appoggio, non
sospetterà di loro, a causa mia, e se io dovessi cadere,
nessun altro resterebbe coinvolto... ”
Rise. È questo che Orion Black fece a quel punto: rise. Una
risata priva di gioia ma vera, come non la sentivo più da
anni.
“O sei un ingegnoso
macchinatore, che si guarda bene dal rivelarmi quale sia la sua carta
vincente, o sei stupido, pazzo e pericolosamente ingenuo! Punto primo,
questo Ministro cadrà, Sherton, con le buone o le cattive
non lo so, ma cadrà e in tempi brevi: vuoi farmi credere che
sputtaneresti la credibilità della Confraternita per
qualcuno che ha i giorni contati? Se sei preoccupato per la sorte delle
Terre, dovresti allearti con Lodge, è lui il cavallo su cui
puntare: dagli ciò che vuole e non ti creerà
problemi, al diavolo la coerenza! Punto secondo, sei l'erede di Hifrig:
come puoi pensare di andare dalla tua gente e dire “Da oggi
in poi io vado per la mia strada, voi per la vostra!”? Come
puoi illuderti che non facciano le tue stesse scelte? E infine... chi
dovrebbe prendere il tuo posto, Alshain? Emerson è pieno di
soldi ma senza un briciolo di carisma, un Corvonero che le Serpi non
accetterebbero mai; inoltre lo abbiamo incontrato a Malfoy Manor: chi
ti assicura che non si sia già legato a Milord a tua
insaputa? Tuo figlio, invece, ha il sangue di Hifrig come te e avrebbe
un suo seguito, ma per quanto io voglia bene a Mirzam, so che non ha
ancora le “palle” che hai tu ed è anche
più pazzo di te, già ora gli manca tanto
così dal cadere in pasto a Milord! Chi ti assicura che non
darebbe al Lord tutto ciò che vuole, causando la morte di
tutti voi?”
“Ho preso le mie contromisure,
Orion, non temere! Quello che sto facendo ora è solo
un'analisi: devo verificare quanto è fattibile il mio piano
e in che tempi attuarlo...”
“Il piano non è
fattibile, Alshain: punto! Prendi il Marchio se devi, ma non lasciare
Herrengton, né la Confraternita! Se vuoi, possiamo studiare
un piano insieme, in fondo basterebbe che Mirzam...”
“Mirzam lascialo fuori da
questa storia: lui non sa ancora e non voglio che sappia!”
“Bene, vedo che come al solito
ognuno di voi fa le cazzate di testa propria all'insaputa
dell'altro!”
Lo guardai turbato da quella sua espressione di contenuta
superiorità: che cosa voleva insinuare? Di quale
cazzata stava parlando?
“Mirzam deve pensare a Sile e
al Quidditch, deve occuparsi solo della sua vita e di nient'altro,
voglio che sia lasciato in pace, libero di vivere con la donna che ama,
senza altri pensieri che non sia come rendersi felici a vicenda!
Promettimi che lo lascerai in pace anche tu...”
““Fai in modo che
Sirius dia il suo anello a Rodolphus: i Lestrange hanno già
capito che lo scambio l'hai fatto tu!”: me l'ha
scritto due mattine fa, all'alba, io ho cercato di dirtelo per tutto il
giorno, a Diagon Alley, ma tu eri troppo occupato a fare il padrino
generoso con mio figlio! Dalla tua faccia capisco che non ne sapevi
nulla, te lo spiego io: avete il fiato di Milord sul collo, e per
quanto ne sappia, tu non hai ancora cavato un ragno da quel maledetto
Libro! Ti sembra ancora una buona idea lasciare Herrengton? E,
soprattutto, sei proprio sicuro di saper tutto ciò che devi
su tuo figlio?”
Non lo ascoltavo nemmeno più, preda dei dubbi:
perché mio figlio mi aveva nascosto una cosa tanto
importante? Negli ultimi giorni, l'avevo visto nervoso e preoccupato,
ma credevo fosse solo la tensione per i preparativi ad agitarlo,
l'emozione per il matrimonio: come avevo fatto a essere così
superficiale? E com'era possibile che mio figlio, dopo quanto era
già accaduto in passato, sentisse ancora la
necessità di agire alle mie spalle?
“Sirius ha già dato
l'anello a Lestrange? Gliel'ha dato, Orion?”
“Gli ho detto di farlo, se
l'avessero reclamato, e di fingersi tranquillo, solo un po' sorpreso:
ho visto che non ce l'ha più addosso, presumo che se lo
siano preso... Non ci metteranno molto a verificare che nemmeno quello
è l'anello giusto!”
“Salazar, Orion! Mi stai
dicendo che l'hai lasciato così, da solo, nelle mani di
quell'uomo? Come hai potuto?”
“C'era Mirzam con lui e almeno
io, finora, non ho mai avuto motivo di non fidarmi di tuo
figlio...”
Riflettei: che cos'era accaduto? Che cosa significava tutto questo?
Vedendo una reazione tranquilla in un ragazzino tanto giovane,
probabilmente Rodolphus si era convinto che i Black non fossero in
alcun modo coinvolti, che quell’anello fosse solo un dono
personale di un padrino al suo figlioccio e una volta verificato che
l'anello non aveva proprietà particolari... Immaginai che
Mirzam, semplicemente, non avesse fatto in tempo ad avvisarmi, forse
aveva scoperto qualcosa durante la serata dell'addio al celibato e
aveva sentito la necessità di agire subito, senza perdersi
in chiacchiere, era vitale per tutti noi che i sospetti su Orion si
sciogliessero subito. Aveva agito bene dovevo ammetterlo, ora, almeno i
Black, sarebbero stati lasciati in pace.
“Lo vedo che sei preoccupato
quanto me, che ti arrampichi sugli specchi per cercare un
motivo!”
“Sono turbato
perché sono più avanti di quanto credessi, ma su
mio figlio, Orion, io non ho dubbi: era bene agire subito, inoltre
anche le mie reazioni dovevano essere spontanee. Loro non si fidano di
me, almeno quanto io non mi fido di loro! Dov'è la
novità? Ci studiano, studiano ogni mossa e ogni respiro...
”
“Ammesso che Mirzam fosse in
buona fede, non credi che ora anche tua figlia sia in pericolo? Se sono
arrivati a immaginare che tu ti sia servito di Sirius, penseranno lo
stesso di lei... ”
“Mei è al sicuro,
qui, con me e sarà al sicuro anche a Hogwarts, con
Dumbledore...”
“Possono aggredirla come hanno
fatto con Sirius!”
“Si occuperà Rigel
di lei!”
“Rigel? Un ragazzino di
tredici anni? Andiamo Alshain! Fai la cosa giusta per una volta! Non
coinvolgere oltre la bambina! Riprenditi l'anello e custodiscilo qui,
qui dove nessuno può arrivare senza un tuo invito!
Perché non lo vuoi qui? Rispondimi! Quale dannato motivo
può farti sacrificare così Meissa? A meno che...
Salazar! Temi che possa prenderlo lui, proprio Mirzam... È
così, vero? Rispondi!”
Mi morsi un labbro per non rispondere: odiavo quando era
così perspicace, quando mi metteva di fronte a una
realtà che mi disgustava. Era vero, c'era stato un tempo in
cui avevo avuto paura di mio figlio, di scoprire che non era dalla mia
parte, che potesse venderci per pazzia o per incoscienza,
com’era già stato sul punto di fare. Nonostante
tutti gli sforzi, nonostante avessi cercato di perdonare e dimenticare,
non ero più riuscito a fidarmi ciecamente di lui, non dopo
tutto quello che era successo a Doire e al processo. Per questo non lo
mettevo a parte di tutti i miei progetti. Glielo avevo persino detto,
non ero stato così meschino da illuderlo: quando per amore
di sua madre, alla nascita di Wezen, gli avevo chiesto di ritornare a
vivere con noi, gli avevo spiegato chiaramente che la sua decisione di
seguire le orme di Milord lo poneva in una condizione
“sospesa”. E ora, scoprire che mi aveva tenuto
all'oscuro di un dettaglio tanto importante... Eppure, anche se preso
alla sprovvista, questa volta ero intimamente convinto che Mirzam
avesse agito secondo coscienza, per il bene di tutti noi: forse
perché lo vedevo così felice con Sile, non potevo
vedere in lui odio e falsità. No, stavolta aveva agito per
il bene della sua famiglia
“Padrone...”
Mi voltai, Doimòs si avvicinava di gran carriera, le
orecchie penzolanti e la solita espressione radiosa e compita, con cui
si rivolgeva sempre a me, fin da quando ero solo un ragazzino.
“È successo
qualcosa, Doimòs?”
“Ministro voglia andarsena,
padrone, signor Cruccia dice che è momento de Passaporta,
padrona me mandato parche aspettendo solo voia!”
“Salazar, ma come diavolo
parla? Questo Elfo peggiora ogni giorno di più!”
Grato a Doimòs che veniva a togliermi da un momento tanto
difficile, fulminai Orion con uno sguardo glaciale: lui, come la
maggior parte dei nobili Purosangue, non capiva che i rapporti con gli
Elfi potevano essere più complessi e soddisfacenti se non si
basavano solo sull'uso di frusta e bastone. Gli sussurrai un
bel saluto in gaelico poi, senza più degnarlo della mia
attenzione, un po' preoccupato, seguii il mio Elfo. Avevo bisogno di
parlare con Mirzam, farmi spiegare per bene che cosa stesse accadendo,
forse facevo ancora in tempo prima che partisse: certo non era mia
intenzione rovinargli la giornata, ma non potevo lasciare che se ne
andasse così, con un dubbio terribile che mi devastava la
mente. Di fronte al Ministro, feci cenno a Mirzam perché mi
seguisse, lasciando intendere a tutti che fossero le ultime
raccomandazioni di un padre prima di consegnarlo alla sua nuova vita,
ma Crouch ci interruppe prima che riuscissi ad allontanarmi con lui,
perché non c'era più tempo, la Passaporta stava
per attivarsi e quei pochi minuti servivano a Longbottom per ricordare
ai ragazzi alcune direttive importanti sul comportamento da tenere in
terra straniera. Mi ritrovai così nella saletta che avevo
allestito vicino alla Sala dell'Arazzo, per non dover ospitare Crouch e
gli Aurors della scorta nel mio vero ufficio, all'ultimo piano della
torre più alta. Mi guardai attorno, quella strana congrega,
in quella stanza squallida e opprimente, creava un'atmosfera ben
diversa dall'armonia che aveva caratterizzato il resto della giornata,
ed io sentivo una sensazione strana, un peso opprimente sul cuore, un
dolore reale, fisico, che mi saliva dal braccio e sembrava
intensificarsi sempre di più. Dovevo essermi
lasciato suggestionare da Orion, lo sapevo, eppure... Eppure percepivo
un pericolo reale e silenzioso che incombeva su tutti noi, il sentore
acre del tradimento che aleggiava sinistro tutto intorno a me.
***
Rigel Sherton
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971
“Chi diavolo
è?”
Nonostante alcuni, in realtà pochi, bracieri accesi, era
buio, troppo buio, per capire chi fosse l’intruso: sapevo
soltanto che, per colpa mia, per non aver toccato la porta con le Rune,
dopo essere entrato, qualcuno era riuscito a penetrare in quella
stanza, una delle più preziose per mio padre. Pregai che,
per lo meno, non fossero di nuovo i due amanti: ci mancava pure vedere
Malfoy all’opera, mentre materialmente si prendeva Narcissa
in mezzo alle reliquie dei miei avi, davanti ai miei occhi; il solo
pensiero mi provocò un altro conato di vomito, che repressi
a stento. Mi ci volle poco a capire che no, non era Malfoy, e presto mi
trovai nelle condizioni di non pensare più a lui: la figura
oscura aveva appena evocato un silenzioso “Lumos” e
ora avanzava lenta tra colonne e teche, esaminandole in cerca di
qualcosa. Possibile che tra gli invitati ci fosse un ladro, deciso ad
approfittare della situazione e della confusione per mettersi
all'opera? Non avevo idea di chi fosse, ma ne sapevo già
abbastanza, anche senza averlo visto in faccia: per essere
lì, doveva conoscere di Herrengton molte cose, ma non
abbastanza, sapeva come muoversi e dove cercare, ma ignorava certe
regole elementari, ben note a qualsiasi Mago del Nord. Un qualunque
membro della Confraternita, infatti, trovando la porta Disincantata,
avrebbe intuito la presenza di uno Sherton e, ammesso avesse avuto
l'indecenza e l’ardire di entrare comunque, avrebbe agito con
maggior circospezione e prudenza. Come dovevo comportarmi a quel punto?
Avvisare mio padre e gli altri, ruotando l’anello e
chiamandoli in mio soccorso sarebbe stata la soluzione più
sensata, se, come un idiota, non avessi lasciato l’anello in
camera, dicendomi che nel castello non ne avrei avuto bisogno, anzi mi
poteva ostacolare, nel caso avessi superato i controlli di mio padre e
fossi riuscito a procurarmi una scopa da Quidditch, per lanciarmi con
gli altri, per sfida, dalla rupe. E comunque, anche potendo,
difficilmente avrei chiesto aiuto: ero così pronto alla
rissa e deciso a sfogare su qualcuno la mia violenza, che avevo
tramutato in rabbia legittima verso quell'intruso, tutto l'inferno che
sentivo in me a causa di Lucius Malfoy. Ora, da brava serpe, dovevo
riflettere ed elaborare un piano, perciò mi acquattai
nell'oscurità, la bacchetta serrata nel pugno, studiando
l’estraneo, pronto a intervenire appena avessi avuto la
certezza assoluta di quali fossero le sue intenzioni. Pur flebile,
infatti, c’era ancora una possibilità che mi
stessi sbagliando, che si trattasse di qualcuno, che poteva contare su
un permesso particolare di mio padre per entrare, o di un idiota che
era stato colto da improvvisa e inopportuna curiosità o,
peggio ancora, di uno degli Aurors di scorta al Ministro, che
gironzolava alla ricerca di reperti oscuri per incriminare mio padre:
mi rilassai, se fosse stato uno degli sgherri di Crouch, là
dentro, non avrebbe trovato nulla di compromettente, non come nei
sotterranei, per esempio, ma quello era un altro discorso. Chiunque
fosse, dovevo capire bene la situazione, prima di prendere qualsiasi
iniziativa: se avessi commesso un errore, infatti, avrei fatto
infuriare mio padre ancora di più e in quel periodo, dopo le
risse e gli scherzi vari, non me lo potevo proprio permettere.
L'ombra, coperta da un lungo mantello nero, il cappuccio alzato sul
capo così da non farsi riconoscere, avanzò
tentoni, leggendo con cura le Rune che si trovavano su molti reperti:
sembrava non trovasse ciò che stava cercando, o forse si
sentiva talmente sicuro di sé, da attardarsi più
del dovuto. Lo lasciai fare, finché non giunse in
prossimità dello scudo di Hifrig e delle altre reliquie
più preziose: a quel punto, ritenni che non ci fosse molto
da fraintendere, ormai mi risuonavano in testa mille campanelli
d’allarme. Mi alzai in piedi e scivolai tra le
colonne, per non perderlo di vista, facendo in modo di essere tra il
ladro e l'uscita quando avesse cercato di scappare: dovevo trovare il
modo di coglierlo di sorpresa, per poi contare sui pochi istanti di
smarrimento successivi per attaccarlo, sfogarmi finalmente su qualcuno,
fare bella figura con la mia famiglia e gli ospiti, e mercanteggiare
poi, con mio padre, le recenti punizioni che avevo rimediato. Mentre
ripetevo tra me i consigli che papà mi aveva dato durante le
prime lezioni di duello, l'ombra sollevò la bacchetta sulla
teca di una delle spade, la agitò per aria, borbottando
qualcosa d’incomprensibile, e nello stesso istante sentii il
suono inconfondibile, ma soffocato, del vetro che
s’infrangeva, quindi vidi la spada di Hifrig uscire volando
dal suo giaciglio, in cui mio padre l’aveva già
fatta riporre da Doimòs dopo la Cerimonia, per fermarsi
nelle mani guantate di nero dello sconosciuto. Possibile che
Doimòs non avesse protetto accuratamente la spada? L'unica
altra possibilità era che lo sconosciuto avesse imparato un
Incantesimo capace di superare le misure di sicurezza di mio padre, il
che era praticamente impossibile. Lo osservai bene, era un individuo
non molto alto e piuttosto esile, scorsi con la mente i giovani che
erano stati invitati, convinto che si trattasse solo di un ragazzino
come me, uno che, magari, aveva scoperto un Incantesimo interessante
nel Reparto Proibito e aveva provato a verificarne l'efficacia.
Sì, e solo per pura fortuna gli era andata bene... Giudicare
dall’aspetto chi avevo davanti, però, mi
portò a sottovalutare l’avversario e mi rese
imprudente: mi avvicinai, restando nell'oscurità, poi balzai
fuori urlando “Fermati,
ladro!” e gli lanciai contro uno “Stupeficium”.
Non era un giovane senza esperienza, però... lo capii,
certo, ma troppo tardi… Pur presa alla sprovvista, l'ombra
riuscì non solo a farsi scudo senza perdere la spada ma,
anche senza vedermi, lanciò contro di me un violento
“Reducto”, che mi mancò per poco e fece
andare in frantumi il tavolo vicino alla mia posizione, in un bagliore
che gli rivelò con precisione dove mi trovassi. Subito
partì il secondo colpo, uno
“Stupeficium” potente e ben mirato: mezzo
abbagliato dal primo scoppio, ebbi la prontezza di gettarmi a terra per
nascondermi, invece di provare a resistere o attaccare di nuovo,
così fui colpito solo di striscio dai vetri della teca
esplosa dietro di me. Rimasi a terra alcuni istanti, per non farmi
colpire dal terzo Incantesimo, un “Petrificus”,
rotolai tra le basi delle teche, mentre il ladro mi faceva rovinare
addosso mobilio e pezzi d’intonaco che io feci esplodere
prima che mi seppellissero; quando tutto il materiale scagliato contro
di me fu ridotto in cenere, mi risollevai e mi guardai attorno: era
fuggito ed io dovevo sbrigarmi a inseguirlo o l'avrei perso nel dedalo
oscuro di corridoi e sale.
Mi lanciai nella galleria di corsa e avanzai nel buio, a guidarmi
sentivo il fruscio leggero e appena percettibile dell'ombra qualche
metro davanti a me che correva, non molto velocemente, a causa della
spada pesante; io, al contrario, conoscevo quei corridoi come le mie
tasche e mio padre aveva già iniziato a insegnarmi a
muovermi nell'oscurità o con gli occhi bendati, quindi
avanzavo abbastanza velocemente. Non capivo cosa volesse fare con la
spada: era troppo nota per essere trafugata e rivenduta e chiunque
fosse stato scoperto a mercanteggiare o a possedere quella reliquia,
avrebbe subito la vendetta di mio padre e di tutta la Confraternita.
Inoltre, pur preziosa e antica, in quella stanza c'erano oggetti dal
potere magico di gran lunga superiore perché utilizzabile da
chiunque, mentre il pieno potere della spada di Hifrig poteva
manifestarsi nelle sole mani di uno Sherton o in quelle di un
discendente di Salazar. Correvo tenendomi sempre al riparo, dietro
spigoli e colonne, perché ogni tanto, sentendo il mio passo
affrettato avvicinarsi, il ladro gettava alle sue spalle un
Incantesimo, sempre impreciso di appena pochi centimetri, che serviva
non a ferirmi ma a confondermi e a rallentarmi. Non sembrava seriamente
intenzionato a farmi del male, per questo presi coraggio e continuai a
seguirlo, ancora più determinato.
Risalita tutta la scalinata, ci
ritrovammo nel portico del Cortile delle Rose: da sinistra si sentivano
provenire le musiche e le risate di amici e parenti che stavano per
assistere alla partenza di Mirzam e della sua sposa, a destra c'era il
lungo corridoio che portava all'ala destinata agli ospiti e al patio
con la vasca piena di acqua della Sorgente, di fronte a noi, si ergeva
la torre più alta di Herrengton, dove si svolgeva la maggior
parte delle nostre attività quotidiane. Cercai di colpire il
ladro da dietro le colonne e le siepi di rose, mentre avanzava tra gli
archi d'argento allestito per il matrimonio: si stava infilando in un
vicolo cieco, deciso a penetrare nella torre, benché il
salone, da cui era entrato insieme a tutti gli altri invitati, avesse
ancora i camini chiusi e non ci fosse alcun modo di Smaterializzarsi,
non senza aver prima ottenuto il permesso di mio padre. Se stava
cercando di nascondersi, non si sarebbe salvato mai: nella torre
c'erano i miei fratelli più piccoli e mio padre aveva
gettato degli Incantesimi tali che nessun estraneo sarebbe riuscito ad
aprire mai una qualsiasi porta che immettesse in una qualunque stanza
della torre, al massimo poteva arrivare in cima alla terrazza merlata,
ma non era facile, la spada, per le ripide scale che avevamo davanti,
gli sarebbe stata d'intralcio. All'improvviso fece una finta
che mi portò allo scoperto, si fermò e si
voltò rapido verso di me.
“Stifling!”
“Finitem Incantatem!”
Mi colpì con un Incantesimo soffocante, che riuscii a
bloccare quand’era oramai quasi troppo tardi: rimasi sfinito
a terra, incapace di respirare, il ladro mi distanziò di
nuovo, sentii i suoi passi nella ghiaia dirigersi lontano da me, io
strisciai tossendo fin dietro alla base degli archi argentei, per
evitare un altro colpo terribile, se e quando avesse deciso di
sferrarlo, maledicendomi di nuovo per aver rinunciato al mio anello per
uno stupido gioco. Mi sentivo male, avevo davvero bisogno di aiuto, non
avevo più forze. Da lontano, con la coda dell'occhio, lo
vidi alzare improvviso, di nuovo, la bacchetta. Tremai.
"Avada Kedavra!”
Rimasi pietrificato dall’orrore quando lo udii rivolgere
quelle parole a qualcuno davanti a me, con voce metallica e innaturale,
poi sentii il suono cupo, sordo, incombente, che mio padre chiamava “la Voce della
Morte”, infine il sottile fruscio di un corpo
leggero che cadeva a terra. Il cuore mi martellò nel petto,
pesante di paura. Che cosa stava succedendo? Perché? Non
potevo credere che qualcuno potesse arrivare a tanto, non per uno
stupido ferro vecchio! Nessuno che conoscessi aveva mai fatto una cosa
del genere, erano orrori che si leggevano solo sui giornali, opera di
pazzi squilibrati che vagavano di notte a Nocturne Alley. Gli stessi
che mio fratello mostrava di stimare tanto...
Salazar...
Una smorfia di sconforto, mista a disgusto e terrore per un atroce
presentimento mi deformò il volto: possibile?
Possibile che...
Mi stavo perdendo dietro a un pensiero orribile, quando vidi una
macchia scura cadermi addosso, dall’alto: urlai
raccapricciato, raggelato quando mi resi conto di cosa fosse,
scrollandomi di dosso il corpo privo di vita di Deluin, il giovane
Elfetto che doveva rimpiazzare Kreya, destinata a seguire mio fratello
nella nuova casa. Era rimasto solo lui in quell’ala del
castello, tutti gli altri domestici stavano servendo gli ospiti, a
Deluin, al contrario, era stato ordinato da mio padre di mantenere
acceso il braciere al centro del cortile. E ora era
lì, accanto a me, a terra, stecchito, con lo sguardo velato,
rigido di morte.
“Maledetto!”
Non so dove trovai il coraggio e la forza, forse era solo pazzia e
disperazione: mi alzai urlando e scaricai addosso al ladro tutta la mia
furia, cercando di colpirlo, con una serie di Incantesimi rabbiosi,
affrettati, imperfetti. Lui, al contrario, era un Mago abile,
troppo abile per un ragazzino di appena tredici anni, che ancora non
conosceva quasi per niente la Magia che s’imparava a scuola,
né aveva sufficiente dimestichezza con il potere delle Rune
e il controllo sulla Magia Innata. Avevo le lacrime agli occhi, furia e
dolore si univano, mentre il ladro resisteva ai miei assalti senza
fatica, anzi mi rideva addosso, calmo, come se all’improvviso
fuggire non avesse più alcuna importanza per lui.
Perché?
Perché si tratteneva lì? Perché
giocava con me? Perché non la faceva finita e basta? Forse
sapeva che non era possibile uccidere uno Sherton a Herrengton con un
semplice “Avada”, ma sapevo bene che esistevano
cose peggiori della morte, e se aveva usato una Maledizione come
“l'Anatema che Uccide” con tanta leggerezza, non
doveva certo essere tipo da tirarsi indietro davanti a una
“Cruciatus”. Nulla di quanto stava avvenendo aveva
senso, nulla. Poi un brivido mi percorse la schiena, appena il barlume
della comprensione si fece largo un po' alla volta nella mia mente:
l'Elfo morto bruciava le essenze nel braciere per tenere acceso un
fuoco magico, un fuoco che serviva a mantenere lo scudo a protezione
della tenuta e dei nostri ospiti, non solo contro fenomeni atmosferici,
ma anche contro eventuali attacchi oscuri. E noi quel giorno ospitavamo
niente di meno che il Ministro della Magia! Ora capivo: non era un
semplice furto, no, era in atto un piano! L’intruso
aveva dei complici, fuori o magari anche dentro il castello, pronti a
colpire. In quel preciso istante, senza l'Elfo che lo alimentava, lo
scudo si stava ritirando attimo dopo attimo: non potevo trattenermi
lì, dovevo avvisare mio padre, non potevo permettere che lo
scudo restasse privo di energia, consentendo ai probabili complici di
penetrare a Herrengton. Doveva essersi accorto durante la giornata che
non portavo l'anello, doveva sapere che mio fratello era appena andato
via, o stava per andarsene, ed era evidente che mio padre non poteva
accorgersi di quanto stava accadendo, un'intera ala del castello gli
copriva la vista del braciere! Iniziavo a intuire anche
perché avesse rubato la spada: anche se non avesse potuto
servirsene personalmente, ciò che gli interessava era
lasciare mio padre privo del suo aiuto potente, grazie a lei, infatti,
nel corso della storia, nonostante pericoli e guerre, almeno un ramo
della nostra famiglia era sempre riuscito a scampare alla rovina
completa.
Chi diavolo c'è dietro a quest'attacco? Chi tra i presenti
è coinvolto?
Preda della paura e della confusione, tremando, vidi infine l'ombra
voltarsi verso di me in uno svolazzare di tessuti neri, mossi dal
vento: levò il braccio destro per sollevare con la mano,
delicatamente, il tessuto dall’avambraccio sinistro e
mostrarmi così una specie di orrendo tatuaggio nero e
vivido, a forma di teschio sulla sua pelle nivea. Alzò poi
il viso verso la luce: il suo volto, colpito da un raggio di luna, era
nascosto sotto una maschera d'argento, riuscivo a vedere solo i vividi
occhi oscuri mentre, da una feritoia all’altezza della bocca,
risuonava una risata metallica, fredda di morte. Non avevo
più dubbi: sapevo chi avevo davanti e conoscevo il mio
destino, il destino di tutti noi. Sapevo abbastanza delle cronache da
non aver dubbi circa l'identità del mio avversario, era uno
degli uomini del Signore Oscuro: i Mangiamorte erano entrati a
Herrengton. Sconvolto e terrorizzato, il primo pensiero andò
a mio fratello, a lui che ne esaltava tanto le imprese, sostenendo che
fosse il nostro unico futuro possibile. Era coinvolto anche lui in
tutto questo? Aveva infine deciso di passare ai fatti, di non limitarsi
più alle sue stupide chiacchiere, dimostrando la sua
fedeltà al Signore Oscuro tradendoci tutti, tradendo la sua
stessa famiglia? No, non potevo crederci, non volevo crederci:
nonostante tutto, Mirzam era uno di noi, era mio fratello e amava la
mamma e nostra sorella più della sua stessa vita. Il
Mangiamorte, infine, sollevò la bacchetta verso di me ed io
rimasi bloccato lì, davanti a lui, con il fiato in sospeso,
pronto ad ascoltare la sentenza. Il tempo delle ipotesi
lasciò spazio alla verità, mentre io capivo quale
fosse il passo successivo da compiere.
***
Orion Black
Herrengton Hill, Highlands - mar. 21 dicembre 1971
“Come può pensare
di uscire dalla Confraternita, me lo spieghi? Ne sai niente, tu, di
questa nuova dannata follia di Alshain?”
Il vecchio mi guardò con quei suoi intensi occhi color
mercurio, l'espressione indecifrabile, sorseggiando il suo
Moon’s Tears, indolente, poi spaziò di nuovo per
la sala, come se io fossi solo un insulso moscerino indegno della sua
considerazione.
“Guardati le mani, Orion
Arcturus Black, e rispondimi: vedi sulla tua pelle delle Rune? No... A
che titolo, quindi, dovrei dire a te cosa penso di questioni che
riguardano la MIA Confraternita? Il fatto che tu sia, senza particolari
meriti, amico della mia Guida, non ti rende degno della mia
confidenza!”
“Che fossi solo un vecchio
caprone stupido, Fear, lo sapevo già, non mi servono certo
altre conferme! Io sono solo preoccupato per Alshain e per la sua
famiglia, della VOSTRA dannata Confraternita non me ne...”
Non finii la frase, di colpo la mia attenzione fu tutta per lui, per
mio figlio, che pallido come un morto entrava in quel momento nella
sala, di corsa, sconvolto, spaventato, scompigliato come un Black non
dovrebbe mai presentarsi in pubblico. Nemmeno dopo un pomeriggio
passato in punizione con sua madre l'avevo mai visto così.
Il vecchio percepì la mia preoccupazione e mi
seguì, mentre io attraversavo la sala con ampie falcate per
andare incontro a Sirius: doveva essere successo qualcosa, mi guardai
attorno, con un sospiro di sollievo vidi che Walburga stava
spettegolando con mia sorella Lucretia e Regulus era preso da una
partita a Sparaschiocco con alcuni ragazzini nei pressi del caminetto;
Deidra e Alshain stavano ricevendo i complimenti del Ministro per la
cerimonia e gli sposi. Non c'erano tracce però né
di Meissa né di Rigel. Un senso di disagio, di cupo
presentimento mi afferrò il cuore, quando mi resi conto che
mancavano anche alcune persone di cui non mi fidavo e di cui temevo
trame e crudeltà.
“Che cosa ti prende? Ti pare
il modo di…”
“Meissa... un duello, la
torre... è sparita... non c'è tempo!”
“Per Merlino e tutti i
Fondatori, ragazzo, calmati e facci capire! Che cosa sta succedendo?
Dov'è Meissa?”
Fear aveva preso Sirius per un braccio, scuotendolo senza tante
cerimonie, per ottenere la sua attenzione, ma Sirius pareva quasi
assente, sotto shock, vidi che serrava la mano con forza, teneva nel
pugno chiuso qualcosa, io gliela presi senza troppa gentilezza: con
qualche difficoltà riuscii ad aprirla e infine vidi la
spilla che Meissa portava sul vestito e le dita di mio figlio sporche
di sangue.
“È
sparita...”
“Sparita? Come sarebbe
sparita? Dicci piuttosto che cosa diavolo le hai fatto?”
Fear estrasse la bacchetta con impeto e afferrò mio figlio
con violenza, fulminandolo con occhi spiritati; la maggior parte delle
persone intorno a noi, ancora prese dai commenti carichi di stupore e
ammirazione per lo spettacolo dei fuochi e per il modo, favoloso, con
cui gli sposi si erano appena smaterializzati, si ritrassero
spaventati, allarmati, sgomenti, accorgendosi dell'espressione
sconvolta di mio figlio e della bacchetta sguainata del vecchio.
“Calmati, Fear! Sirius...
Dimmi che cosa è successo a Meissa!”
“È colpa mia, io
non dovevo lasciarla indietro! Eravamo sulla terrazza, abbiamo visto
due persone che duellano sulla torre, ci siamo messi a correre per
avvertirvi, mi sono girato e Meissa era sparita! Ho trovato solo
questo!”
“Piccola canaglia bugiarda!
Che cosa significa questo sangue? Perché ne sei sporco, se
era dietro di te, se tu correvi e non hai visto niente?”
La folla che si era raccolta attorno a noi fu percorsa e separata in
due ali frementi, proprio in quel momento, dall'arrivo di Alshain,
attirato dalle voci concitate e allarmato dei più; dietro di
lui, a breve distanza, c'erano Deidra, il Ministro e la sua scorta,
oltre a vari curiosi. Io non capivo, ero sconvolto per Meissa ma anche
per mio figlio: che cosa diavolo stava succedendo?
“Che cosa sta succedendo qui?
Fear? Che cosa significa questa bacchetta contro il mio
figlioccio?”
“Questo dannato Grifondoro ha
fatto qualcosa a tua figlia! Ecco che cosa succede! Io te l'avevo
detto...”
Alshain mi guardò come per scusarsi del vecchio, come me,
non poteva nemmeno accarezzare l'idea che Sirius avesse fatto qualcosa
di male a Meissa, nemmeno per sbaglio o per scherzo. Lessi nei suoi
occhi, però, la mia stessa angoscia, la stessa urgenza di
sapere, di capire. Il vecchio appariva sempre più rabbioso,
Sirius era sul punto di piangere, non per la paura, ma
perché nessuno pareva capire che quello che ci stava dicendo
era la verità e, soprattutto, perché stavamo
perdendo tempo prezioso con inutili chiacchiere.
“Sirius, per favore, puoi
spiegarmi...”
“C'è qualcuno sulla
torre principale, sono almeno in due e si stanno combattendo... Meissa
ed io stavamo venendo ad avvertirvi, lei era dietro di me, correva, ho
sentito il suono dei suoi stivali sulla neve e poi sulla pietra, ma
arrivati al corridoio, quando mi sono voltato, lei non c'era
più, sono ritornato indietro e ho trovato solo questa spilla
e una rosa che le avevo regalato, insanguinata, a terra!”
Alshain si sbiancò anche più di quanto
già non fosse: negli ultimi minuti, forse per l'emozione di
veder suo figlio partire, per la stanchezza, per l'alcool e il ricco
banchetto, mi era sembrato farsi sempre più
pallido e poco presente, aveva qualcosa di strano, avrei detto che non
si sentisse bene. Quella notizia non poteva che peggiorare le cose.
Deidra si affiancò a lui, sorreggendosi al suo braccio: fu
allora che Sherton parve riprendersi appena, come se la sua paura
scomparisse davanti alla necessità di proteggere Dei dal
dolore.
“Orion, Donovan, per favore,
andate con Sirius nel corridoio in cui è sparita Meissa e
cercate di capire cosa sta succedendo; Kenneth, tu vieni con me al
cortile, saliamo a controllare la torre! Per evitare che si scateni il
panico e sorgano problemi, è meglio se il Ministro, le
nostre ospiti e i ragazzi se ne vadano al più presto: Dei,
tu e Fear per favore occupatevi dei camini, apritene uno soltanto,
così da controllare gli ospiti uno per volta!”
“Non è una buona
idea!”
“Fear, ti prego non abbiamo
tempo per le discussioni, dobbiamo muoverci in fretta!”
“No! Lui da qui non se ne
va!”
Il vecchio doveva essere impazzito: invece di collaborare e aiutarci a
risolvere la situazione, si lanciò come una furia verso il
Ministro, minacciandolo con la bacchetta, causando ulteriore
confusione, con gli Aurors che di colpo si serrarono per difendere
Longbottom e misero sotto mira tutti noi altri, impedendoci di muoverci
e di iniziare le ricerche.
“Arrestatelo!”
In tre, i Ministeriali gli balzarono addosso, mentre Crouch,
personalmente, andò a sincerarsi delle condizioni del
Ministro che si era spaventato, poi tornò verso Fear,
già bloccato e immobilizzato su una sedia.
“Maledetto bastardo! Era un
tuo piano per attaccare il Ministro, non è
così?”
Fear si divincolò sulla sedia, ruggendo quasi, si
slanciò, pur legato, e centrò Crouch in piena
faccia con uno sputo, insultandolo in gaelico; l’Auror si
pulì con la manica e gli rifilò un potente
schiaffo in pieno volto, mentre il vecchio continuava a urlare a chi
poteva capirlo che stavano perdendo tempo, che la bambina era in
pericolo e che gli Aurors e il Ministro non dovevano andarsene,
perché servivano lì a Herrengton per aiutare
Alshain a ritrovarla. Crouch, temendo stesse impartendo gli ordini ai
suoi, alzò la bacchetta, deciso a Schiantarlo o peggio,
quando Longbottom ripresosi dallo spavento, si frappose.
“No… No,
Bartemious! Il vecchio Duncan ha ragione: dobbiamo aiutarli a ritrovare
la bambina! Tu e i tuoi uomini siete i più potenti Aurors a
disposizione del Ministero, metteremo queste abilità al loro
servizio!”
Crouch, innervosito e ancora poco sicuro sul da farsi, diede le spalle
al vecchio e parlò con i suoi uomini, Longbottom
cercò di rassicurare e consolare Deidra, che appariva
raggelata di fronte a quella verità orribile, incapace di
reagire, io lanciai un'occhiata ad Alshain, che mi rispose in modo
eloquente: a nessuno dei due piaceva lasciarla così,
entrambi volevamo restare con Dei, per consolarla e sostenerla, ma ora
eravamo entrambi più utili nella ricerca di Meissa, la cosa
più importante era ritrovarla, scoprire cosa stesse
accadendo. Ero sicuro che la situazione fosse grave, molto grave, ero
fermamente convinto che Meissa fosse solo uno dei problemi, non volevo
far preoccupare Deidra dicendo apertamente quali fossero i miei
sospetti, ma, appena fossimo rimasti da soli, dovevo parlare ad Alshain
del fatto che non vedevo Rigel da nessuna parte e ormai da parecchio
tempo. Perché non era con noi?
“Andiamo Alshain! Dobbiamo
trovarla, tu sali alla torre, io vado al corridoio, la troveremo! Ne
sono certo! Ora che possiamo contare anche sull'aiuto degli Aurors,
forse sarebbe meglio se Donovan organizzasse con Deidra le squadre e
assistesse alle partenze al camino; magari lei, Ministro, invece,
potrebbe andare... non si sa mai...”
Alshain annuì, Donovan si affiancò a Deidra e
insieme iniziarono a parlare con Crouch e gli Aurors, io, Kenneth e
Sirius uscimmo con Sherton nel corridoio. Guardai il mio amico, non mi
sembrava molto sicuro. No. Non sembrava nemmeno presente: era troppo
strano, ora che ci pensavo, che non avesse mostrato nessuna reazione,
di solito per molto meno, se era coinvolta Meissa, faceva fuoco e
fiamme! Era strano anche che avesse detto a me di correre a cercarla,
di solito l'avrebbe fatto di persona. Che cosa stava
succedendo? Afferrai per un braccio Sirius e cercai di farmi dare da
lui altri dettagli preziosi, mentre avanzavamo di buon passo lungo la
galleria, Alshain ed Emerson erano al nostro fianco, parlavano
concitatamente tra loro, anzi, a essere precisi, era Emerson a parlare,
mentre Alshain restava silenzioso e stranamente pareva avesse
difficoltà a tenere il nostro passo. Rallentai per
chiedergli che cosa avesse, mi voltai, per sapere quale fosse il
problema, se avesse pensato a un piano alternativo, se gli fosse venuta
in mente un'altra idea. Ma non lo vidi al mio fianco.
Incredulo, non riconobbi nemmeno come mia la voce che urlava. Il mio
cervello aveva difficoltà a comprendere il significato
dell'immagine che avevo di fronte. Dell’immagine impressa
nella mia retina. Dell'immagine che non volevo e non potevo accettare.
Che non avrei accettato mai. Come una bomba che esplodeva nella mia
testa, rividi un bicchiere di Moon’s Tears cambiare di
mano... Alshain che sorseggiava quel nettare ambrato sovrappensiero,
turbato. Su quel bicchiere si sovrappose l’immagine di
Kenneth che cercava inutilmente di far reagire un corpo disteso a
terra. Mi sentii venir meno vedendo mio figlio in lacrime.
Alshain Sherton, il mio migliore amico, era a terra, pallido,
immoto…
Morto.
*continua*
NdA:
Ringrazio al solito per le letture, le preferenze, le recensioni, le
mail ecc ecc.
Valeria
Scheda
Immagine:
non sono ancora riuscita a risalire alla fonte di quest'immagine
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