8° CAPITOLO
Il corpo di Konoka, dopo che la polizia ebbe fatti tutti i rilievi, venne
portato via chiuso in un sacco.
Un agente di nome Matsuda stava interrogando la persona che aveva trovato il
corpo.
“Come ha detto che si chiama?”
“Sono Setsuna Sakurazaki” rispose una ragazza sui diciotto anni.
“Mi ripeta cosa è successo e chi è lei” ordinò il poliziotto tirando fuori un
taccuino.
“Io sono l’accompagnatrice della signorina Konoe. Suo padre, il signor Eishun,
mi aveva dato da poco questo incarico e la signorina ancora non si era abituata
a me. Oggi pomeriggio dovevo andare a prenderla per portarla a Kyoto, nella
villa di famiglia. Il signor Eishun riteneva che la figlia stesse troppo male, e
ha pensato di farle cambiare aria.
Sono arrivata verso le cinque e cinquantaquattro, ho bussato e non ha
risposto nessuno. Ho provato col cellulare e l’ho sentito squillare dentro la
casa, ancora senza ricevere risposte. Ho chiesto al portinaio e per quanto ne sapeva
lui la signorina era ancora dentro casa. Allora mi sono preoccupata, sono
passata dal retro, ho sfondato un vetro del bagno per entrare e l’ho trovata sul
suo letto, morta. Aveva la pistola in mano e un foglietto sul comodino”.
“E in casa non c’era nessuno?”
“Non ho visto nessuno, cosi come i vicini. La porta era chiusa dall’interno”.
“E la pistola?”
“Era della signorina Konoe. Il padre gliela aveva data per difesa personale,
con tanto di cartucce di riserva”.
“Lei ha affermato che la signorina Konoe stava troppo male. Perché? Ha idea
di cosa possa averla spinta al suicidio?”
“Forse la vicenda di una sua amica, Asuna Kagurazaka. Non conosco i dettagli
e non so molto della signorina. Come le ho detto, il mio incarico è cominciato
da poco, quindi io e la signorina Konoe non abbiamo avuto il tempo di diventare
amiche”.
“Va bene. Si tenga sempre disponibile per ulteriori domande”.
L’agente andò da uno degli ufficiali, Soichiro Yagami, e gli consegnò il
taccuino.
“Signore, ecco la deposizione dell’unica testimone”.
“Bene” disse Soichiro, uomo di mezz’età robusto, con baffi, occhiali e
abbigliamento impeccabile. Aveva appena letto anche i rapporti di altri
agenti. “Dunque, la pistola era della vittima, nella casa non ci sono segni di
effrazione o di lotta. Nessuno ha sentito lo sparo, ma questo appartamento è
insonorizzato, per tutelarsi dai frastuoni di città. C’è una finestra aperta che
però risulta schiusa dall’interno, ad opera della testimone, e il portinaio
afferma che la vittima era da sola. Anche se lui si sposta in continuazione
dalla portineria per svolgere varie commissioni degli inquilini. Quindi non può
assicurare che nessuno sia salito fin qui. C’è un foglietto con una frase da
suicida, ‘Asuna, mi dispiace davvero, per tutto’ che sicuramente l’analisi dei
nostri esperti confermerà essere stata scritta con la grafia della vittima. E
sono sicuro che sul foglio troveranno solo le impronte digitali della Konoe.
Insomma, sembra un tragico suicidio. Eppure non mi convince”.
Matsuda l’osservò attentamente. “E perché?”
“Sembra che questa morte sia collegata al caso di Takahata Takamichi e Asuna
Kagurazaka. Ma in che modo? Risulta che la signorina Konoe ha accompagnato la
Kagurazaka alla famosa festa”.
“Poteva sentirsi in colpa per questo” ipotizzò l’agente.
“Ma non mi sembra un fatto capace di generare un rimorso tale da vedere come
unica soluzione il suicidio. E’ più probabile che la signorina sapesse qualcosa
su questo caso. E se lo sapeva…”
Soichiro guardò Matsuda, poi troncò il discorso: “Queste sono solo illazioni.
Sbrigatevi ad effettuare subito tutti i rilievi necessari. Il corpo verrà
portato all’obitorio e ordinerò che effettuino l’autopsia domani mattina. Fino
ad allora, deve restare isolato. Tra l’altro, la signorina Konoka apparteneva ad
una famiglia molto importante, ovvio quindi che vorranno evitare qualunque
pettegolezzo”.
“Bene, signore” rispose il giovane poliziotto facendo un lieve saluto miliare
prima di andarsene.
Prima di uscire dall’appartamento, l’ufficiale Yagami mandò un sms.
La sala dell’obitorio era grande e silenziosa.
Decine di corpi erano conservati in piccole celle frigorifere, ciascuna con
un lettino scorrevole su cui era adagiato il cadavere, e allineate sui due muri
contrapposti di una grande stanza.
C’era tuttavia una cella speciale, con un solo posto, situata in una
piccola e spoglia stanza affianco di quella grande.
Vi erano custoditi i cadaveri che per un motivo o per un altro erano ‘particolari’.
Non era usata molto ma aveva comunque i suoi clienti.
Come Konoka Konoe.
Qualcuno entrò nella stanza e tirò fuori il corpo, chiuso in un sacco nero.
Aprì il sacco ed esaminò il cadavere.
Konoka aveva la bocca socchiusa e gli occhi aperti.
Il qualcuno esaminò prima la ferita da arma da fuoco alla tempia destra.
Poi esaminò le dita.
Infine chiuse gli occhi di Konoka.
Nonostante il congelamento, il rigor mortis era ancora agli inizi, quindi fu
facile.
La persona chiuse il sacco ed uscì dalla stanza.
A quell’ora non c’era molta gente nell’edificio con l’obitorio, e perciò
nessuno si accorse di quella figura non vestita da poliziotto, che uscì da una
porta secondaria.
E una volta fuori, si mise in bocca un leccalecca.
“Non è possibile” esclamò Asuna con gli occhi lucidi.
Era giunto il giorno del processo e Negi, con sua madre, era tornato a
visitare Asuna, dovendo purtroppo darle la terribile notizia.
“Mi dispiace… mi dispiace tanto” le disse Negi mettendo una sua mano su
quella di Asuna.
“La mia amica… la mia amica… ma come è potuto succedere?”
“Alcuni dicono che è stato suicidio” affermò la madre di Negi.
“Stronzate! Oh, mi scusi, signora Springfield. Comunque non ci credo, Konoka
non era il tipo da suicidarsi”.
“Lo crediamo, comunque dovremo lasciare le indagini a chi è competente”.
“Chissà se è collegato al tuo caso” osservò Negi.
“Al mio caso?”
“Be, il processo deve cominciare oggi, no? Konoka era l’unica testimone a tuo
favore”.
Asuna rimase sbigottita: in effetti le era venuto in mente che qualcuno
l’avesse incastrata.
Perché se non era stata lei, allora chi aveva ucciso quel porco di Takamichi?
Ma era un’idea che rigettava subito, visto che lei era solo un’orfana.
Però ora era davvero sospetto che l’unica persona capace di testimoniare a
suo favore, venisse uccisa proprio il giorno prima del processo.
“Questa situazione è assurda. Non so proprio cosa pensare. Certo adesso le
possibilità di essere assolta in tribunale si riducono ancora di più”.
“Asuna, no!” esclamò Negi.
La ragazza gli sorrise. “Sta tranquillo. Io sono ancora sicura che andrò
tutto bene. Ma vada come vada, tu devi essere forte. Ricordati sempre che non
sarai mai solo”.
Asuna mandò uno sguardo alla madre del suo piccolo amico, che annuì.
“Assolutamente” confermò baciando il figlio sulla testa.
In quel momento entrò un poliziotto. “Scusate. E’ arrivato l’avvocato della
signorina”.
“Devo prepararmi per andare in scena” dichiarò Asuna abbracciando i suoi due
visitatori.
Madre e figlio, uscendo e incamminandosi per il corridoio, svoltarono
l’angolo pochi attimi prima che potessero vedere, ed essere visti, dall’avvocato
Obata che giungeva dalla direzione opposta.
“Konoka si è davvero suicidata?”
Negi osservò insistentemente L, accucciato su una sedia e intento a mangiare
dei cioccolatini a forma di cuore.
Sua madre aveva detto di doversi occupare di un affare, del tutto diverso dai
soliti.
Il figlio l’aveva assicurata dicendo che sarebbe andato dal suo nuovo amico.
“Cosa ti hanno detto gli altri a proposito?” domandò L.
“Be, Asuna e mia madre non lo credono possibile. E neanche io”.
“Allora perché lo chiedi se è stato o no un suicidio?”
“Non lo è stato dunque?”
“Tu che credi?”
“Che non lo è stato”.
“Allora non lo è stato”.
Negi sbuffò. “L, ti prego”.
“Scusa, è che sono rimasto sorpreso. Il caso si è dimostrato ancora più
complesso di quello che credevo. Stamattina ho riunito alcuni fili, diverse cose
coincidono, ma altre sono inattese”.
L osservò delle foto sul tavolo davanti a se: erano foto di un biglietto
largo e stretto, con solo una riga scritta sopra.
E sul suo computer il detective aveva delle foto del medesimo foglio, però
ingrandite.
“E allora parla! Asuna in questo momento è sotto processo. Spero che
quell’avvocato, Teru Obata, cosi ha detto Asuna, faccia un buon lavoro”.
“Non preoccuparti. Sono sicuro che finirà bene. La giustizia prevarrà” lo
rassicurò L sfoggiando un sorriso fiducioso che quasi faceva tenerezza, visto
che sembrava quello di un bambino.
Il detective prese una fetta di torta al caffè.
Negi schioccò le dita. “Un terzo complice!”
“Esatto. E questa è una cosa inattesa. Comunque c’è pure un’altra cosa che
non mi convince”.
“Cosa?”
“Il movente”.
“Ma l’hai detto che Konoka aveva scritto una confessione”.
“Infatti. Ma questa confessione, era davvero pericolosa? E se invece…”
L buttò senza preavviso il cucchiaio con cui mangiava la torta contro Negi,
che d’istinto lo afferrò al volo.
L sorrise a quella vista.
Arrivata infine la sera, Takada rientrò a casa stanca morta.
“Uff, che fatica questa giornata. Ci mancava anche la visita di cortesia ai
Konoe, che seccatura” sbottò la donna buttando la borsetta su un divano.
La sua irritazione arrivò al massimo quando proprio allora il suo cellulare
suonò.
Visto il modo in cui le telefonate l’assillavano per tutta la giornata, a
volte aveva il sospetto che quel tipo di telefono fosse stato inventato da
qualche divinità capricciosa per tormentarla.
La donna rispose con una certa acidità: “Chi è?!”
Udita la risposta, si rasserenò: “Oh, sei tu. Che sorpresa. Si, tutto bene.
Sai, all’inizio disapprovavo la tua iniziativa, ma vedendo come si sono
sviluppate le cose, mi sono tranquillizzata. Non vedo l’ora che tutta questa
storia sia finita. D’accordo, ci sentiremo quando sarà più adatto. A proposito,
auguri per il tuo attuale incarico”.
Con queste parole, Takada si lasciò scappare una risatina.
“Hai ragione, so essere anche piuttosto spiritosa. Ciao” e concluse la
telefonata mandando un bacio.
Dopo tutto quello stress le serviva una bella doccia e una lunga dormita.
Quindi poggiò il cellulare sul tavolo del soggiorno.
Si ricordò che doveva cancellare quel numero, insieme al registro delle
chiamate, come faceva sempre.
Però non sarebbe cambiato niente se prima si faceva la doccia e poi cenava.
Tanto, nessuno le correva dietro.
Una moto di grossa cilindrata si fermò ad un incrocio.
Silenzioso e vuoto come tutte le strade di provincia quando ormai è notte
fonda.
La moto era guidata da una splendida donna bionda, con indosso un attillata
tuta rossa.
La pilota si tolse il caso e tirò fuori un cellulare.
“Sono io. Sapessi quanto mi mancava la tua voce contraffatta. Allora, ho il
numero di cellulare che volevi. Spero davvero che ne valga la pena, dato che mi
hai disturbata nel bel mezzo di un incontro galante e mi hai costretta a
precipitarmi da quella lì”.
La donna tirò fuori un foglietto e lesse il contenuto.
“Ok. Senti, se siamo ad una svolta, quando li devo andare a smontare i
microfoni in casa di quella Kiyomi? Ah, devo aspettare ancora? Va bene.
D’altronde dopo tutta la fatica che ho fatto per montarli di nascosto, farli
durare solo tre giorni sarebbe uno spreco. Si, il numero lo distruggo subito.
Non preoccuparti, sono una professionista. Quando vuoi, sai come contattarmi, L.
Bye”.
La motociclista si rimise il casco e sfrecciò via nella notte.
Adesso era la secondogenita della famiglia Kenwood ad aver voglia di una
bella doccia e di una buona cena.
L rimase per un po’ a fissare il cellulare.
Anche in quello si distingueva: lo reggeva per un’estremità usando solo la
punta di due dita.
Era molto comodo avere dei collaboratori. Del resto neppure lui poteva fare
tutto.
Tuttavia doveva sempre ricordarsi che avere dei collaboratori non significava
dover rinunciare all’azione in prima persona, pena la poltroneria.
Accucciato sulla sedia, L digitò sul suo computer quel numero.
Poi entrò nel sito del ministero delle comunicazioni.
Tirò fuori un vasetto pieno di nocciole, immerse nel miele, e un dischetto,
infilò quest’ultimo nel computer e ne scaricò il programma.
Digitò alcuni tasti e in pochi minuti l’hacking del sito fu completato.
“Anche questo sarebbe stato un ottimo esempio per te, Negi, di come le cose
necessarie, possano essere anche sbagliate, quindi non da imitare. E con me
l’elenco sarebbe lungo. Ma credo di essere riuscito a proteggerti da un
eccessiva ammirazione per me. E credo anche di averti divertito almeno un
pò”.
D’altronde, proprio per quel motivo aveva voluto che lo seguisse nelle
indagini.
Dopo un po’ apparve la foto della persona cui apparteneva il numero.
L, che aveva iniziato a mangiare le nocciole nel miele usando un cucchiaino,
non la conosceva.
Quando apparve il nome, le cose cambiarono.
“Bingo, Negi”.