Crossover
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Autore: Darik    31/10/2010    2 recensioni
Un omicidio chiaro. Tutto indica chi è il colpevole. Ma quel colpevole è una delle persone più care al mondo per Negi. Chi può aiutarlo nel tentativo di scagionarla? Forse un misterioso e abilissimo detective.
Genere: Generale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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8° CAPITOLO

Il corpo di Konoka, dopo che la polizia ebbe fatti tutti i rilievi, venne portato via chiuso in un sacco.

Un agente di nome Matsuda stava interrogando la persona che aveva trovato il corpo.

“Come ha detto che si chiama?”

“Sono Setsuna Sakurazaki” rispose una ragazza sui diciotto anni.

“Mi ripeta cosa è successo e chi è lei” ordinò il poliziotto tirando fuori un taccuino.

“Io sono l’accompagnatrice della signorina Konoe. Suo padre, il signor Eishun, mi aveva dato da poco questo incarico e la signorina ancora non si era abituata a me. Oggi pomeriggio dovevo andare a prenderla per portarla a Kyoto, nella villa di famiglia. Il signor Eishun riteneva che la figlia stesse troppo male, e ha pensato di farle cambiare aria.

Sono arrivata verso le cinque e cinquantaquattro, ho bussato e non ha risposto nessuno. Ho provato col cellulare e l’ho sentito squillare dentro la casa, ancora senza ricevere risposte. Ho chiesto al portinaio e per quanto ne sapeva lui la signorina era ancora dentro casa. Allora mi sono preoccupata, sono passata dal retro, ho sfondato un vetro del bagno per entrare e l’ho trovata sul suo letto, morta. Aveva la pistola in mano e un foglietto sul comodino”.

“E in casa non c’era nessuno?”

“Non ho visto nessuno, cosi come i vicini. La porta era chiusa dall’interno”.

“E la pistola?”

“Era della signorina Konoe. Il padre gliela aveva data per difesa personale, con tanto di cartucce di riserva”.

“Lei ha affermato che la signorina Konoe stava troppo male. Perché? Ha idea di cosa possa averla spinta al suicidio?”

“Forse la vicenda di una sua amica, Asuna Kagurazaka. Non conosco i dettagli e non so molto della signorina. Come le ho detto, il mio incarico è cominciato da poco, quindi io e la signorina Konoe non abbiamo avuto il tempo di diventare amiche”.

“Va bene. Si tenga sempre disponibile per ulteriori domande”.

L’agente andò da uno degli ufficiali, Soichiro Yagami, e gli consegnò il taccuino.

“Signore, ecco la deposizione dell’unica testimone”.

“Bene” disse Soichiro, uomo di mezz’età robusto, con baffi, occhiali e abbigliamento impeccabile. Aveva appena letto anche i rapporti di altri agenti. “Dunque, la pistola era della vittima, nella casa non ci sono segni di effrazione o di lotta. Nessuno ha sentito lo sparo, ma questo appartamento è insonorizzato, per tutelarsi dai frastuoni di città. C’è una finestra aperta che però risulta schiusa dall’interno, ad opera della testimone, e il portinaio afferma che la vittima era da sola. Anche se lui si sposta in continuazione dalla portineria per svolgere varie commissioni degli inquilini. Quindi non può assicurare che nessuno sia salito fin qui. C’è un foglietto con una frase da suicida, ‘Asuna, mi dispiace davvero, per tutto’ che sicuramente l’analisi dei nostri esperti confermerà essere stata scritta con la grafia della vittima. E sono sicuro che sul foglio troveranno solo le impronte digitali della Konoe. Insomma, sembra un tragico suicidio. Eppure non mi convince”.

Matsuda l’osservò attentamente. “E perché?”

“Sembra che questa morte sia collegata al caso di Takahata Takamichi e Asuna Kagurazaka. Ma in che modo? Risulta che la signorina Konoe ha accompagnato la Kagurazaka alla famosa festa”.

“Poteva sentirsi in colpa per questo” ipotizzò l’agente.

“Ma non mi sembra un fatto capace di generare un rimorso tale da vedere come unica soluzione il suicidio. E’ più probabile che la signorina sapesse qualcosa su questo caso. E se lo sapeva…”

Soichiro guardò Matsuda, poi troncò il discorso: “Queste sono solo illazioni. Sbrigatevi ad effettuare subito tutti i rilievi necessari. Il corpo verrà portato all’obitorio e ordinerò che effettuino l’autopsia domani mattina. Fino ad allora, deve restare isolato. Tra l’altro, la signorina Konoka apparteneva ad una famiglia molto importante, ovvio quindi che vorranno evitare qualunque pettegolezzo”.

“Bene, signore” rispose il giovane poliziotto facendo un lieve saluto miliare prima di andarsene.

Prima di uscire dall’appartamento, l’ufficiale Yagami mandò un sms.


La sala dell’obitorio era grande e silenziosa.

Decine di corpi erano conservati in piccole celle frigorifere, ciascuna con un lettino scorrevole su cui era adagiato il cadavere, e allineate sui due muri contrapposti di una grande stanza.

C’era tuttavia una cella speciale, con un solo posto, situata in una piccola e spoglia stanza affianco di quella grande.

Vi erano custoditi i cadaveri che per un motivo o per un altro erano ‘particolari’.

Non era usata molto ma aveva comunque i suoi clienti.

Come Konoka Konoe.

Qualcuno entrò nella stanza e tirò fuori il corpo, chiuso in un sacco nero.

Aprì il sacco ed esaminò il cadavere.

Konoka aveva la bocca socchiusa e gli occhi aperti.

Il qualcuno esaminò prima la ferita da arma da fuoco alla tempia destra.

Poi esaminò le dita.

Infine chiuse gli occhi di Konoka.

Nonostante il congelamento, il rigor mortis era ancora agli inizi, quindi fu facile.

La persona chiuse il sacco ed uscì dalla stanza.

A quell’ora non c’era molta gente nell’edificio con l’obitorio, e perciò nessuno si accorse di quella figura non vestita da poliziotto, che uscì da una porta secondaria.

E una volta fuori, si mise in bocca un leccalecca.


“Non è possibile” esclamò Asuna con gli occhi lucidi.

Era giunto il giorno del processo e Negi, con sua madre, era tornato a visitare Asuna, dovendo purtroppo darle la terribile notizia.

“Mi dispiace… mi dispiace tanto” le disse Negi mettendo una sua mano su quella di Asuna.

“La mia amica… la mia amica… ma come è potuto succedere?”

“Alcuni dicono che è stato suicidio” affermò la madre di Negi.

“Stronzate! Oh, mi scusi, signora Springfield. Comunque non ci credo, Konoka non era il tipo da suicidarsi”.

“Lo crediamo, comunque dovremo lasciare le indagini a chi è competente”.

“Chissà se è collegato al tuo caso” osservò Negi.

“Al mio caso?”

“Be, il processo deve cominciare oggi, no? Konoka era l’unica testimone a tuo favore”.

Asuna rimase sbigottita: in effetti le era venuto in mente che qualcuno l’avesse incastrata.

Perché se non era stata lei, allora chi aveva ucciso quel porco di Takamichi?

Ma era un’idea che rigettava subito, visto che lei era solo un’orfana.

Però ora era davvero sospetto che l’unica persona capace di testimoniare a suo favore, venisse uccisa proprio il giorno prima del processo.

“Questa situazione è assurda. Non so proprio cosa pensare. Certo adesso le possibilità di essere assolta in tribunale si riducono ancora di più”.

“Asuna, no!” esclamò Negi.

La ragazza gli sorrise. “Sta tranquillo. Io sono ancora sicura che andrò tutto bene. Ma vada come vada, tu devi essere forte. Ricordati sempre che non sarai mai solo”.

Asuna mandò uno sguardo alla madre del suo piccolo amico, che annuì. “Assolutamente” confermò baciando il figlio sulla testa.

In quel momento entrò un poliziotto. “Scusate. E’ arrivato l’avvocato della signorina”.

“Devo prepararmi per andare in scena” dichiarò Asuna abbracciando i suoi due visitatori.

Madre e figlio, uscendo e incamminandosi per il corridoio, svoltarono l’angolo pochi attimi prima che potessero vedere, ed essere visti, dall’avvocato Obata che giungeva dalla direzione opposta.


“Konoka si è davvero suicidata?”

Negi osservò insistentemente L, accucciato su una sedia e intento a mangiare dei cioccolatini a forma di cuore.

Sua madre aveva detto di doversi occupare di un affare, del tutto diverso dai soliti.

Il figlio l’aveva assicurata dicendo che sarebbe andato dal suo nuovo amico.

“Cosa ti hanno detto gli altri a proposito?” domandò L.

“Be, Asuna e mia madre non lo credono possibile. E neanche io”.

“Allora perché lo chiedi se è stato o no un suicidio?”

“Non lo è stato dunque?”

“Tu che credi?”

“Che non lo è stato”.

“Allora non lo è stato”.

Negi sbuffò. “L, ti prego”.

“Scusa, è che sono rimasto sorpreso. Il caso si è dimostrato ancora più complesso di quello che credevo. Stamattina ho riunito alcuni fili, diverse cose coincidono, ma altre sono inattese”.

L osservò delle foto sul tavolo davanti a se: erano foto di un biglietto largo e stretto, con solo una riga scritta sopra.

E sul suo computer il detective aveva delle foto del medesimo foglio, però ingrandite.

“E allora parla! Asuna in questo momento è sotto processo. Spero che quell’avvocato, Teru Obata, cosi ha detto Asuna, faccia un buon lavoro”.

“Non preoccuparti. Sono sicuro che finirà bene. La giustizia prevarrà” lo rassicurò L sfoggiando un sorriso fiducioso che quasi faceva tenerezza, visto che sembrava quello di un bambino.

Il detective prese una fetta di torta al caffè.

“Ho capito alcune cose. Konoka amava e odiava Asuna. Da quello che mi hai raccontato, l’ha sempre protetta sin da quando era piccola, l'è sempre stata affianco. Ma anche l’altruismo, se eccessivo, alla lunga risulta fastidioso. Konoka si sentiva oppressa dalla presenza di Asuna, perché ha finito per tenerla sempre nell’ombra, facendola apparire come una rammollita, incapace di fare alcunché da sola. E quindi ha deciso di vendicarsi. Come ho già detto, non certo facendola violentare o accusare di omicidio. Doveva trattarsi di uno scherzo, di cattivo gusto, anzi orribile, ma per una volta sarebbe stata Asuna quella bisognosa, e Konoka la salvatrice.

Una sorta di rivalsa, organizzata con la complicità di un’amica fidata, ovvero Takada Kiyomi, come dimostrano le tante foto che raffigurano le due insieme. Non so chi delle due ha avuto l’idea della scherzo, probabilmente Takada e Konoka c’è cascata. Ha consegnato l’amica ad un mostro credendo che sarebbe stata solo una finta.

Ovvio quindi il suo dolore quando le cose sono precipitate.

Stando alle analisi col guanto di paraffina e alla balistica, è stata Konoka a sparare.

Questo fa pensare al suicidio, tuttavia una persona si suicida quando ritiene la situazione irrimediabile e non quando è possibile rimediare”.

“E come avrebbe potuto rimediare?”

“Intanto confessando che si trattava di un piano ordito da Takada, coinvolgendola maggiormente. Immagino che quella donna abbia cercato di consolare Konoka affermando che non conosceva il lato oscuro di Takamichi. Perché io penso che Konoka abbia scritto, appunto, una confessione. Il biglietto d’addio è molto piccolo, termina poco sotto quell’unica frase. Ma si tratta di un foglio da stampante, che è stato volutamente accorciato con un taglierino. Secondo te una persona suicida si preoccupa che il foglio col messaggio d’addio non sia troppo lungo? Inoltre le dita di Konoka erano sporche di inchiostro. Troppo inchiostro per qualcuno che ha scritto solo una frase”.

“Dunque è stata uccisa. Ma da chi? Da Takada?”

“No. Perché stamattina si è svolta l’autopsia, la morte si colloca tra le cinque e quaranta e le cinque e cinquanta del pomeriggio. A quell’ora, Takada era in diretta nazionale, su un TG. E sono sicuro che anche il suo fedele assistente era con lei. Quindi…”

Negi schioccò le dita. “Un terzo complice!”

“Esatto. E questa è una cosa inattesa. Comunque c’è pure un’altra cosa che non mi convince”.

“Cosa?”

“Il movente”.

“Ma l’hai detto che Konoka aveva scritto una confessione”.

“Infatti. Ma questa confessione, era davvero pericolosa? E se invece…”

L buttò senza preavviso il cucchiaio con cui mangiava la torta contro Negi, che d’istinto lo afferrò al volo.

L sorrise a quella vista.


Arrivata infine la sera, Takada rientrò a casa stanca morta.

“Uff, che fatica questa giornata. Ci mancava anche la visita di cortesia ai Konoe, che seccatura” sbottò la donna buttando la borsetta su un divano.

La sua irritazione arrivò al massimo quando proprio allora il suo cellulare suonò.

Visto il modo in cui le telefonate l’assillavano per tutta la giornata, a volte aveva il sospetto che quel tipo di telefono fosse stato inventato da qualche divinità capricciosa per tormentarla.

La donna rispose con una certa acidità: “Chi è?!”

Udita la risposta, si rasserenò: “Oh, sei tu. Che sorpresa. Si, tutto bene. Sai, all’inizio disapprovavo la tua iniziativa, ma vedendo come si sono sviluppate le cose, mi sono tranquillizzata. Non vedo l’ora che tutta questa storia sia finita. D’accordo, ci sentiremo quando sarà più adatto. A proposito, auguri per il tuo attuale incarico”.

Con queste parole, Takada si lasciò scappare una risatina.

“Hai ragione, so essere anche piuttosto spiritosa. Ciao” e concluse la telefonata mandando un bacio.

Dopo tutto quello stress le serviva una bella doccia e una lunga dormita.

Quindi poggiò il cellulare sul tavolo del soggiorno.

Si ricordò che doveva cancellare quel numero, insieme al registro delle chiamate, come faceva sempre.

Però non sarebbe cambiato niente se prima si faceva la doccia e poi cenava.

Tanto, nessuno le correva dietro.


Una moto di grossa cilindrata si fermò ad un incrocio.

Silenzioso e vuoto come tutte le strade di provincia quando ormai è notte fonda.

La moto era guidata da una splendida donna bionda, con indosso un attillata tuta rossa.

La pilota si tolse il caso e tirò fuori un cellulare.

“Sono io. Sapessi quanto mi mancava la tua voce contraffatta. Allora, ho il numero di cellulare che volevi. Spero davvero che ne valga la pena, dato che mi hai disturbata nel bel mezzo di un incontro galante e mi hai costretta a precipitarmi da quella lì”.

La donna tirò fuori un foglietto e lesse il contenuto.

“Ok. Senti, se siamo ad una svolta, quando li devo andare a smontare i microfoni in casa di quella Kiyomi? Ah, devo aspettare ancora? Va bene. D’altronde dopo tutta la fatica che ho fatto per montarli di nascosto, farli durare solo tre giorni sarebbe uno spreco. Si, il numero lo distruggo subito. Non preoccuparti, sono una professionista. Quando vuoi, sai come contattarmi, L. Bye”.

La motociclista si rimise il casco e sfrecciò via nella notte.

Adesso era la secondogenita della famiglia Kenwood ad aver voglia di una bella doccia e di una buona cena.


L rimase per un po’ a fissare il cellulare.

Anche in quello si distingueva: lo reggeva per un’estremità usando solo la punta di due dita.

Era molto comodo avere dei collaboratori. Del resto neppure lui poteva fare tutto.

Tuttavia doveva sempre ricordarsi che avere dei collaboratori non significava dover rinunciare all’azione in prima persona, pena la poltroneria.

Accucciato sulla sedia, L digitò sul suo computer quel numero.

Poi entrò nel sito del ministero delle comunicazioni.

Tirò fuori un vasetto pieno di nocciole, immerse nel miele, e un dischetto, infilò quest’ultimo nel computer e ne scaricò il programma.

Digitò alcuni tasti e in pochi minuti l’hacking del sito fu completato.

“Anche questo sarebbe stato un ottimo esempio per te, Negi, di come le cose necessarie, possano essere anche sbagliate, quindi non da imitare. E con me l’elenco sarebbe lungo. Ma credo di essere riuscito a proteggerti da un eccessiva ammirazione per me. E credo anche di averti divertito almeno un pò”.

D’altronde, proprio per quel motivo aveva voluto che lo seguisse nelle indagini.

Dopo un po’ apparve la foto della persona cui apparteneva il numero.

L, che aveva iniziato a mangiare le nocciole nel miele usando un cucchiaino, non la conosceva.

Quando apparve il nome, le cose cambiarono.

“Bingo, Negi”.

 

  
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