That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Chains - IV.001
- Vigilia di Natale (1)
James Potter
Ottery St. Catchpole, Devon - ven. 24 dicembre 1971
Con un “bop” sommesso, ci
materializzammo ai piedi di una collinetta, in mezzo al placido
turbinio dei fiocchi di neve, trasportati da leggere folate di vento:
il cielo color tortora ci sovrastava, carico, come un mantello sospeso
ad alcuni metri dal suolo, annunciando una bufera
imminente. La mamma mi fece cenno di seguirla e insieme ci
accodammo a papà, che con la bacchetta proiettava un
incantesimo ancora a me sconosciuto e apriva su su, fino a raggiungere
la cima della collina, un sentiero nella neve, caduta abbondante
durante tutta la notte. Sulla sommità, sentii prepotente il
freddo spirare dal mare oltre l'altopiano, correre per quelle terre
brulle e salire fino a me, per infilarsi insistente tra le strette
trame del mio mantello; mi calzai meglio il berrettino di pelo sulla
testa, raddrizzai gli occhiali e spaziai con lo sguardo sulla distesa
ai miei piedi: dall'alto, il mondo sembrava un mare candido e
tranquillo, in trepidante attesa della tormenta che stava arrivando,
solo un folto boschetto di alberi spogli, disposti lungo i margini
serpentini di un fiume ghiacciato, rompeva quel candore ininterrotto.
Dovevamo scendere fino al fiume e raggiungere gli altri, che ci
aspettavano confusi tra i profili frastagliati della boscaglia: i
Babbani naturalmente non lo sapevano, perché dei potenti
incantesimi respingenti li confondevano e li tenevano alla larga, ma
lì, nel Devon, tra le colline prossime a Ottery St.
Catchpole, vivevano numerose famiglie magiche e in quella selva antica
c’era uno dei nostri luoghi più sacri. La
mamma mi fece cenno di muovermi, mi ero fermato a guardare indietro chi
fosse arrivato dopo di noi, quando avevo sentito il
“bop” di altre materializzazioni, subito recuperai
il leggero distacco correndo, meravigliato nel vedere che la neve, che
mio padre faceva “evanescere” dinanzi a noi, subito
si ricreava, intatta, alle nostre spalle. Una volta scesi dalla
collina, il bosco mi apparve molto più esteso di quanto
sembrasse guardandolo dall'alto: doveva essere anche quello un trucco
per ingannare le percezioni e limitare la curiosità dei
Babbani; appena ci inoltrammo tra gli alberi, superando gli incantesimi
di protezione, la mamma mi abbracciò, stringendomi al suo
fianco, così che non mi perdessi né mi ferissi:
la neve aveva ammantato ogni cosa, celando alberi spezzati, radici,
rami caduti, pertanto, per uno che si distraeva sempre, come me, il
rischio di inciampare in un ostacolo era piuttosto
elevato. Nonostante la mia disattenzione, però,
difficilmente, avrei corso il rischio di perdermi: la selva era
percorsa da un uggiolio, che saliva dal fiume rafforzandosi a ogni
nostro passo, permeando ogni fibra di quel mondo altrimenti silenzioso,
in cui persino la natura taceva. Qualcuno stava piangendo.
Guardai mia madre, stretta nel suo mantello scuro e mi bastò
un solo sguardo per capire. Potevamo esserci lei ed io, quella mattina,
a piangere lì, in quel modo... lei ed io... Mi percorse un
brivido e mi strinsi ancora di più a lei, come quando ero
molto più piccolo, serrandomi addosso il mio caldo mantello,
consapevole che per allontanare quel gelo dell'anima non sarebbero
bastate tutte le vesti del mondo, era necessario il suo sorriso e la
sua carezza. La sua rassicurazione. Solo il caso, o
il destino o il favore della divinità, infatti, aveva fatto
sì che, anche questa volta, mio padre fosse riuscito a
tornare a casa, da noi. Turbato, seguii a capo chino e in silenzio
papà: benché fossi poco più di un
bambino, quel giorno non potevo comportarmi da moccioso, dovevo
ripetere quello che vedevo fare ai miei genitori e resistere, anche se
desideravo trovarmi il più lontano possibile da
lì, anche se avrei dato tutto per non dover assistere al
dolore di quelle persone che conoscevo da anni. Tremando leggermente,
strinsi i denti e rimasi al fianco dei miei, mentre porgevano le
condoglianze ufficiali alle mogli di Richard Higgins, di Clark Cooper e
di Alfred Podmore e ai loro figli: evitai di fissarli per non mancare
loro di rispetto e, soprattutto, per non perdere il controllo.
All’inizio, per quella mattina, era prevista al Ministero, a
Londra, solo una cerimonia pubblica in ricordo di Alfred Podmore, dopo
il funerale privato che si era tenuto a Winchester. Un paio di notti
prima, però...
Non avevo sentito con le mie orecchie il racconto completo di mio
padre, di ritorno dalla scorta al Ministro Longbottom, e non ero
riuscito a leggere nessun giornale in quei due giorni, papà
li requisiva tutti per analizzarli fino allo sfinimento, nella
solitudine del suo studiolo, fin da subito però avevo
intuito che durante quell'ultima missione doveva essere scoppiato
l'inferno: mi era bastato guardare i suoi occhi, già turbati
dopo quanto era accaduto a Podmore una settimana prima. Era
ritornato a casa con oltre mezza giornata di ritardo, nel primo
pomeriggio, al termine di una missione durata oltre un giorno intero,
aveva mangiato in silenzio, poi si era subito ritirato nella sua
stanza, senza quasi rivolgere la parola né a me,
né alla mamma: non si era mai comportato così.
Non l'avevo visto neanche a cena e mia madre, per rassicurarmi, aveva
detto che era solo stanco, che non chiudeva occhio da due giorni, che
l'indomani sarebbe stato tutto diverso. Quella sera,
però, giù in cucina, quando credevano stessi
già dormendo, avevo sentito la mamma piangere e, pur senza
comprendere tutto, papà pronunciare le parole
“tradimento” e “morte”, con una
nota sconosciuta nella voce, fatta d’incredulità,
rabbia e disperazione. Ero ritornato in camera mia, spaventato
e infreddolito, mi ero nascosto nel tepore delle coperte, senza
riuscire a dormire, senza capire: non era questo che avevo immaginato
quando, a scuola, avevo pensato alle vacanze di Natale, le prime dopo
la mia partenza per Hogwarts, avevo sognato di giocare e ridere con
papà, di raccontargli le cose buffe che succedevano a
scuola... Invece quella prima settimana a casa era stata un
incubo…
Il giorno dopo essere tornato da Hogwarts, per la prima volta nella mia
vita, avevo compreso fino in fondo quanto potesse essere pericoloso il
lavoro di mio padre: benché io e la mamma avessimo pregato a
lungo, benché papà e il suo collega fossero
usciti solo per una ronda a Diagon Alley, Alfred Podmore non ce l'aveva
fatta e mio padre era ritornato “diverso” da quella
missione. A volte non sembrava più nemmeno lui,
così nervoso, taciturno, triste... Nell'ultima settimana, la
mamma aveva parlato spesso a bassa voce con lui, la sera appena andavo
a letto, o la mattina, prima che mi alzassi, per questo non avevo
un’idea precisa degli avvenimenti, li avevo sentiti dire che
Podmore era caduto da un muraglione ed era morto. Appena avevo avuto
l'occasione di restare da soli, avevo chiesto qualcosa di
più alla mamma e lei aveva cercato di tranquillizzarmi
parlandomi di un tragico incidente, ma ora che mi trovavo in quel
boschetto, a dare l'ultimo saluto ad altri due colleghi di
papà… No, non potevo più credere a
quelle favole: Alfred non era caduto, l'avevano spinto di sotto! I tre
colleghi di mio padre, morti negli ultimi giorni, e Roger
O’Connor, di cui non si trovava nemmeno il corpo, nonostante
le intense ricerche, erano stati uccisi dai Mangiamorte, gli ormai
tristemente noti seguaci di Lord Voldemort, il malefico Mago Oscuro che
stava facendo ripiombare il Mondo Magico in un terrore che non aveva
avuto uguali dall'epoca di Grindelwald. Identici erano l'odio,
la crudeltà, persino l'ideologia: il desiderio di sterminare
tutti quelli che non erano nati Purosangue e chi, come la mia famiglia,
non considerava la purezza di sangue un elemento valido su cui basare
il giudizio del prossimo. Era per colpa loro, ne ero certo, era per
colpa di quei pazzi assassini se Alfred Podmore, un uomo che
frequentava la mia casa da quando avevo ricordi, che il giorno del mio
sesto compleanno mi aveva insegnato a giocare con gli aquiloni come
facevano i bambini babbani, era morto. Era per colpa loro se tremavo,
ormai, ogni volta che mio padre andava al lavoro.
All'apparire del Ministro e della sua scorta personale, guidata da
Bartemius Crouch, il capo di papà, e chiusa da Alastor Moody
in persona, una leggenda vivente, per me, al punto che ritagliavo gli
articoli delle sue imprese come quelle dei campioni dei Tornados,
lasciai da parte i miei pensieri confusi e con i miei genitori e tutti
i presenti ci disponemmo in circolo attorno al celebrante e ai quattro
uomini che rendevano gli onori agli Aurors caduti nell'ultima
imboscata. Fu allora che, dai discorsi appena sussurrati da un
paio di Streghe dietro di noi, appresi che responsabile del fallito
attentato al Ministro era un vecchio Auror in pensione, Gilbert
Williamson, ora membro del Wizengamot: ne rimasi a dir poco sconvolto,
sapevo bene chi fosse quell’uomo, perché era stato
uno degli istruttori di mio padre all’epoca
dell’addestramento. Immaginai che per papà, che
aveva una fiducia viscerale in quell’uomo e nell'istituzione
che serviva ormai da un’intera vita, questo dovesse essere
stato l'ennesimo duro colpo. Era questa la vera faccia del
Male, l’incubo capace di turbare e abbattere anche persone
coraggiose e indomite come mio padre: un amico che tradisce gli amici,
un Auror che rinnega tutti i Valori in cui ha sempre
creduto... O forse… quelli erano valori in cui
Williamson aveva solo finto di credere per tutta la
vita... Tremando, iniziai a pensare che se diventare grandi
significava questo, dover scoprire, accettare, convivere con questi
aspetti della realtà, allora crescere non era bello come
avevo sempre immaginato: da sempre volevo crescere in fretta
perché papà mi aveva promesso che le mie stupide
paure sarebbero scomparse, da grande non avrei più avuto
timore, proprio come lui, il mio eroe… Ora
però, giorno per giorno, mi accorgevo che nel mondo degli
adulti esistono mostri persino più terribili dei Lupi
Mannari e più pericolosi dei Giganti, mostri che si muovono
giorno per giorno accanto a noi, con noi, che ci sorridono, che ci
lusingano, per poi pugnalarci alle spalle.
Com'è possibile? Com'è possibile fingersi un
amico e rivelarsi un traditore? Come può un amico tradire?
Mio padre mi aveva insegnato che gli amici sono il tesoro
più prezioso, l'ancora cui aggrapparsi nel pieno della
tempesta, che “l'amicizia è un legame a volte
persino più forte di quello del sangue”: me lo
ripeteva spesso da piccolo quando, di ritorno da una casa piena di
bambini, mi vedeva triste perché il destino mi stava facendo
crescere da solo, senza fratelli o sorelle, come solo era cresciuto
anche lui. Allora mi raccontava degli amici che aveva trovato a scuola
e che un giorno avrei incontrato anch'io, mi diceva che sarei diventato
un uomo insieme e grazie a loro, che a Hogwarts non avrei solo studiato
per diventare un vero Mago, ma avrei conosciuto le persone
più importanti della mia vita, la mia seconda
famiglia. Era per questo, per andare incontro al dono che il
destino mi doveva, per ricompensarmi di un'infanzia passata in
solitudine, che ero partito per la scuola carico di entusiasmo: per
loro, quei “fratelli” sconosciuti che non vedevo
l'ora di incontrare, quei “fratelli” che aspettavo
da undici anni. Nel grigiore e nel freddo di quel mattino,
dove il dolore e l’angoscia superavano qualsiasi altra
sensazione, pensai ai miei compagni di stanza, ai tre ragazzini con cui
sarei cresciuto: già mi mancavano, il pensiero dei loro
volti era stato in quei giorni tristi la mia isola di
felicità, lontano dalle paure e dalla preoccupazione per mio
padre e per il mondo oscuro che cercava di strapparmelo via ogni volta
che doveva allontanarsi da me. Sì, quei tre ragazzini
promettevano bene, stavamo diventando amici, avevamo già
compiuto delle piccole imprese, piccole ma importanti per
me. Ero fiducioso, sognavo che tra noi sarebbe stato sempre
tutto perfetto, che ci avrebbe uniti per la vita un affetto sincero e
profondo, che niente e nessuno ci avrebbe mai messo in discussione, e
per crederci mi bastava pensare alla luce che vedevo guardandoli negli
occhi: saremmo sempre stati un'anima sola, una forza sola, avremmo
vinto qualsiasi battaglia ci attendesse nella vita.
Insieme...
Mentre mi estraniavo dalla Cerimonia aggrappandomi al pensiero dei miei
amici, il Celebrante invocò la protezione della
divinità sulle anime dei defunti ed eseguì i
classici Riti di Commiato, poi lasciò spazio al discorso del
Ministro Longbottom che si avvicinò, per parlare ai
presenti: osservai quell’uomo così importante,
cercai in lui qualche elemento, qualche somiglianza con Frank, ma vidi
solo un vecchio totalmente annichilito e sconvolto
dall’orrore e dallo sgomento. Fece un discorso sbrigativo,
ufficiale, senza sentimento, lo pronunciò senza mai staccare
gli occhi da terra, la voce bassa non tanto per l'emozione quanto,
forse, per il senso di colpa. Lo ascoltai mentre diceva che il
Ministero non avrebbe mai dimenticato il sacrificio degli uomini caduti
e non avrebbe mai lasciato sole le famiglie che avevano perso
così tanto: guardai mio padre, manteneva un'espressione
turbata, che non riuscivo a interpretare, da qualche mormorio tra i
presenti compresi che molti lo ritenevano responsabile e quelle parole
troppo formali e distaccate. Scivolai con lo sguardo sulle persone che
avevo davanti, incrociai quelli di Sturgis, un paio d'anni
più grande di me, studente di Grifondoro: sembrava non
rendersi conto di quello che gli stava accadendo attorno, gli occhi
fissi sulla neve, rigido come un ramo piantato a terra. Il
corpo esile della madre era aggrappato al suo, a quel figlio che era
per lei, ormai, l’unica ragione per non soccombere al
dolore. Distolsi gli occhi, quando, nella mia fantasia, i
capelli biondi di Sturgis diventarono scuri e scompigliati e il volto
di sua madre mi apparve troppo simile a quello della mia mamma: mi
guardai attorno, furtivo, trattenendo una lacrima, mentre calavano
nella terra gelida di quell’antico cimitero magico i due
Aurors. Non capivo se fossero passati pochi minuti, un'ora o
la mia intera esistenza, sembravano imprigionati tutti in una bolla
d’irrealtà in cui lo scorrere regolare del tempo
era sospeso: ci ridestammo però quando il cielo ruppe la sua
tregua e i leggeri fiocchi di neve, che ci avevano accompagnato per
tutta la mattina, diventarono via via più grandi, scendendo
su di noi veloci e fitti. La mamma si rivolse a Virginia
Podmore e a suo figlio, invitandoli a passare qualche giorno da noi,
poi fece cenno a me e a papà di muoverci, mio padre,
però, non parve nemmeno ascoltarla, immobile e in silenzio,
fisso in un mondo tutto suo. Alla fine, lentamente, mi
passò il braccio attorno alle spalle, gli occhi bassi e la
voce sofferta, come se fosse di colpo invecchiato talmente tanto da
aver bisogno di me per sostenersi.
“James... ”
Non riuscì a continuare, però, dovette
interrompere quello che, lo sentivo, sarebbe stato uno dei suoi
discorsi importanti, una delle sue lezioni di vita: mentre tutti ormai
si smaterializzavano dal bosco, Bartemius Crouch, il mantello e la
bombetta completamente imbiancati di neve, si avvicinò e
mise una mano sul braccio di mio padre per attirare la sua attenzione.
“Ci siamo, Charlus... Alastor
ha già pronta una squadra, andiamo ad arrestarlo...
”
“Arrestarlo? Che cosa dici?
Con quali prove? Io non sono sicuro di quello che ho visto, era buio ed
ero distante... Non possiamo andarlo a prendere all'estero senza
qualcosa di concreto... ”
“Non si trova all'estero,
Potter! Ci ha ingannato, ha attirato il Ministro con la scusa di quel
viaggio lungo e impegnativo, ma non si è mai allontanato
dalle Terre! Ho analizzato i traffici delle Passaporte:
benché fosse predisposta, nessuno ha ancora valicato i
confini... Al contrario è stato attivato un collegamento
illecito per Maillag... Andiamo Charlus! L'assassino di Alfred ci
aspetta, dobbiamo assicurare Sherton alla giustizia, prima che scappi
davvero... ”
Mio padre lo fissò turbato ma, alla fine, pur poco convinto,
fece un segno di assenso, senza una parola, senza guardarmi, mi
accompagnò da mia madre e mi affidò alle sue
cure. Io, impietrito e spaventato per la
pericolosità di quella nuova improvvisa missione, lo guardai
smaterializzarsi nella neve, mentre nelle orecchie la voce di Bartemius
Crouch rimbombava, ripetendo all'infinito il nome del nemico.
Sherton…
***
Sirius Black
12, Grimmauld Place, Londra - ven. 24
dicembre 1971
Stavo sognando beato, non so più bene
cosa, probabilmente Herrengton o Meissa, quando un'ondata di luce
penetrò nella stanza attraverso le tende parzialmente tirate
del mio baldacchino. Subito immersi la testa sotto il cuscino, con un
grugnito: detestavo con tutta l’anima essere svegliato dalla
vocetta biascicata e irritante di Kreacher, dal suo
“zompettante” buongiorno, fatto di elogi e
salamelecchi rivolti alla mia “augusta” genitrice,
e da quel lungo, salmodiante elenco di virtù della mia
Antica e Nobile Casata, che non m’interessava né
volevo sentire. Soprattutto se stavo ancora sognando qualcosa di
infinitamente più importante e più bello.
“In piedi! Muoviti!”
Già sorpreso nel sentire quell’ordine secco,
impartito da una voce imperiosa, ben diversa da quella del nostro
vecchio elfo, rimasi sotto shock quando le coperte si sollevarono via
da me, lasciandomi inerme e infreddolito in mezzo al
letto. Con gli occhi ancora semichiusi e la bocca impastata
dal sonno, cercai di scendere dal letto evitando di cadere e provai a
mettere a fuoco il mio aggressore, ma non avevo ancora nemmeno capito
da che parte fosse nella stanza, che sentii l'effetto di un incantesimo
pulente in faccia e il corpo fu spogliato del pigiama e rivestito da
una delle tuniche da Mago che portavo in casa. Infine, con un
altro incantesimo, mi sistemò i capelli per guardarmi per
bene in faccia. Di fronte a me, con la consueta aria arcigna e
distaccata, un’elegante toga scura e la bacchetta in mano,
troneggiava mio padre, evidentemente pronto per ricevere ospiti o per
uscire.
“Tra poco avremo visite...
finisci di prepararti e scendi di sotto… il prima
possibile!”
“Padre…”
Mi ero rivitalizzato al pensiero che stesse per arrivare uno degli
Sherton, anche se era impossibile, ma mio padre, con una delle sue
occhiate truci e infastidite, mi fece capire che dovevo stare in
silenzio e sbrigarmi, e che probabilmente non si trattava di una visita
di piacere.
“… Non è
successo nulla a Meissa, vero?”
Mio padre mi fissò, mentre m’infilavo le scarpe
che aveva evocato davanti a me e armeggiavo con la cintura che mi
serrava la tunica addosso, aveva un’espressione strana in
faccia, sembrava volesse dirmi qualcosa, ma era combattuto se farlo o
meno: oramai era una scena che si stava ripetendo fin troppo spesso, da
quando ero tornato a casa, infatti, mio padre con me, giorno dopo
giorno, aveva un comportamento sempre più bizzarro.
“Il nostro ospite
arriverà tra poco, ti aspetto di sotto entro cinque minuti
e… porta con te tutto ciò che ti sei tolto dalle
vesti l'altra mattina, di ritorno da Herrengton... e lo sottolineo, per
il tuo bene... voglio che porti proprio tutto... Ora muoviti,
tua madre sta per tornare e vorrei evitare di coinvolgere anche lei e
tuo fratello in questa fastidiosa faccenda!”
Varcò la porta col suo solito incedere imperioso: anche se,
da Black, non voleva dimostrarlo, sentivo che era preoccupato per
qualcosa e mi chiesi se, per caso, la visita che avremmo ricevuto di
lì a poco, non fosse quella di Bartemius Crouch o, peggio
ancora, di Rodolphus Lestrange. La mamma era ritornata da Manchester
piuttosto tardi, la sera precedente, dicendoci che le condizioni di
Bellatrix, curata a casa degli zii, erano ancora piuttosto gravi,
mentre suo marito si era già ripreso e si trovava a Londra,
ospite dei Rookwood: naturalmente, con mio sommo disgusto, lei
l’aveva invitato a soggiornare da noi o almeno a venire
qualche volta a pranzo a Grimmauld Place. Avevo visto mio padre
impallidire a quelle parole e farfugliare una serie incredibile di
scuse ridicole per sostenere che l’ospitalità dei
Rookwood fosse senz’altro più opportuna della
nostra; la mamma l'aveva fulminato con uno sguardo carico di disprezzo,
ma alla fine aveva lasciato cadere il discorso, di certo non
perché mio padre l’avesse convinta, piuttosto per
non mostrare quanto erano in disaccordo su questa faccenda alla
presenza di Regulus e me. Mi ero chiesto per tutta la notte
che cosa significasse veramente quel
teatrino… Avevo preso tutto: guardai l'involto che
avevo nascosto negli stivaletti, non avevo ancora avuto modo di
controllarlo, a causa della presenza costante dell’Elfo, poi
osservai la stanza intorno a me, chiedendomi dove potessi nasconderlo,
un posto sicuro a prova di Kreacher e della mamma... Infine,
raccattai tutto quello che avevo in tasca al mio ritorno da Herrengton,
compresa la pietra che mi ero ritrovato in tasca sere prima a Grimmauld
Place, e m’infilai di trafugo in camera di mio fratello,
ispezionai per bene il suo armadio e scovai la vecchia scatola di latta
in cui teneva dei pupazzetti con cui non giocava più da
tanto tempo: aveva un sottofondo che s’incastrava,
l’aprii e misi l’involto lì sotto.
Quella sera stessa avrei potuto recuperare il mio tesoro senza essere
scoperto, era ormai la vigilia di Natale e la nostra casa si sarebbe
riempita di odiosi ospiti, nessuno dei quali si sarebbe curato di me,
il Grifone dei Black.
Soddisfatto della mia idea geniale, richiusi l'armadio avendo cura di
rimettere tutto al suo posto: mio fratello era di una pignoleria
assurda e se avessi commesso anche un minimo errore, avrebbe capito
subito che avevo frugato tra le sue cose. Scesi le scale,
infine, chiedendomi dove diavolo mia madre avesse portato Regulus tanto
presto: quando, però, passai davanti al pendolo sul secondo
pianerottolo, vidi che erano già le 11.20 e mi sorpresi
ancora di più, perché mio padre detestava le
persone pigre, lui stesso, pur amando la vita comoda, non si alzava mai
più tardi delle 7 e di solito strepitava e ci puniva quando
Regulus ed io ci attardavamo in camera oltre le 7.30. Che cosa gli
stava succedendo? Perché mi aveva lasciato dormire fino a
tardi?
“Padrone attenda padroncino in
Sala dell'Arazzo…”
La voce di Kreacher emerse alle mie spalle, e subito tremai chiedendomi
se per caso non mi avesse spiato e mi avesse visto entrare nella camera
di Regulus, poi però mi tranquillizzai, quando lo vidi
dirigersi verso la cucina, sgambettando solerte davanti a me:
sì, mio padre doveva avergli ordinato di occuparsi del
nostro misterioso ospite, perciò non poteva aver avuto tempo
di spiare me. Dopo essermi risistemato i capelli e spianato le
pieghe della tunica, curioso di capire chi avesse messo tanto in
agitazione mio padre, entrai: la Sala dell'Arazzo, quando non
ricevevamo ospiti, era sempre immersa nella penombra perché,
anche se eravamo magicamente invisibili in quella casa dotata di tutti
i migliori ritrovati “respingi e confondi” Babbani,
non venivano accesi i candelieri e le tende erano tenute tirate, per
non vedere la “feccia” che viveva così
prossima a noi. Quel giorno, nonostante la presenza di un
ospite, tutto ciò che di solito era acceso per mostrare la
magnificenza della nostra famiglia agli estranei, era stranamente
spento e l’oscurità era spezzata solo dal fuoco
nel caminetto e da un paio di candelieri sistemati vicino
all’Arazzo. Una figura, completamente vestita di
scuro, con il mantello antracite ancora indosso e il cappuccio che gli
copriva buona parte del volto, stava in piedi e osservava la parte
più antica del tessuto, assorto, come se ci fosse sopra
un’informazione di vitale importanza; in mano reggeva una
tazza fumante da cui si spandeva per la stanza un intenso aroma di the
e chiodi di garofano, che nascondeva appena lo stravagante odore
d’incenso che proveniva dalla sua persona. Lanciai
uno sguardo interrogativo a mio padre che fece finta di non essersi
accorto di me.
“Hai ragione, Black... seppur
alla lontana, siamo imparentati, ma questo per me non... ”
Sgranai gli occhi quando riconobbi quella voce: il cuore si mise a
galoppare impazzito al pensiero di quali fossero i motivi che avevano
portato il temibile Fear a Grimmauld Place, perché volesse
vedermi, perché volesse parlarmi… Un
senso d’inquietudine mi prese: ecco perché mio
padre era tanto agitato, ecco perché non vedeva
l’ora che l’ospite se ne andasse, prima ancora del
suo arrivo… Mi chiesi che cosa si fossero detti quando li
avevo lasciati soli per seguire Emerson. Il vecchio si voltò
verso di me, i suoi occhi chiari sembravano balenare sinistri
dall’oscurità del cappuccio, io sentii i peli
della schiena rizzarsi come quando Bellatrix, ci raccontava spaventose
storie di fantasmi nei pomeriggi estivi passati a Zennor, mentre fuori
si scatenava la tempesta.
“Vedo che finalmente il
principino ci degna della sua presenza... mi era giunta voce che uno
dei tuoi figli fosse interessato al Cammino del Nord, Black...
evidentemente non si tratta di questo: le nostre Tradizioni mal si
adattano ai mocciosi che dormono fino a mezzogiorno... ”
“Non siamo qui per questo,
Fear... Chiedi al ragazzo ciò che devi e ... ”
Il vecchio Mago del Nord lo squadrò con
un’occhiataccia in tralice, un misto di derisione e parole
offensive, mio padre, quasi gli avesse letto nella mente, strinse la
mano intorno alla bacchetta e lo osservò minaccioso, ma Fear
tornò subito a fissare me, restando immobile presso
l’arazzo.
“Certo…
certo… Non perdiamo tempo… Sono qui per un motivo
preciso: devo farti delle domande, ragazzino... e ti sarei molto grato
se volessi rispondermi con il massimo della sincerità...
”
Papà, che dal mio ingresso, si era avvicinato a me, in
maniera impercettibile, fino a mettersi in mezzo, come per proteggermi
persino dallo sguardo del vecchio, mi ordinò di svuotarmi le
tasche sul tavolo, rivelando così a entrambi il loro
contenuto.
“Spero per te che ci sia
davvero tutto…”
Cercai di sostenere lo sguardo di mio padre e annuii, ma dal modo in
cui mi fissò il vecchio, compresi che non mi credeva per
niente e che probabilmente avrebbe colto presto un’occasione
per mettermi in difficoltà, dovevo perciò fare
molta attenzione; per il momento mi lasciò stare e
iniziò a toccare e studiare gli oggetti che avevo messo sul
tavolo, finché, nel silenzio teso, la sua voce si
levò di nuovo, improvvisa, stavolta calda e ammaliatrice,
quasi ipnotizzante.
“Vorrei che mi raccontassi che
cosa è successo dopo che Emerson ti ha riportato da tua
madre, gli istanti precedenti a quando Alshain ha ripreso i sensi... e
vorrei che fossi sincero e preciso, perché dalle tue parole
può dipendere la scelta della cura migliore per lui...
”
“Volete dire che non sta
ancora bene?”
Papà tossicchiò irato per
quell’improvvisa mancanza di rispetto, ma il vecchio parve
non curarsene, anzi lasciò da parte i suoi modi arroganti e
sbrigativi e si mise seduto sul divano di fronte me, che restavo in
piedi, mi fissò con i grandi occhi d'acciaio che parevano
sempre sondare l'anima del prossimo, questa volta però, non
avevano un’espressione malevola e minacciosa.
“Ho ascoltato la testimonianza
di quasi tutti i presenti, Sirius Black, le giustificazioni che mi sono
state date sono per lo più fantasiose e poco convincenti, mi
manca solo la tua... di solito non mi fido dei ragazzini... sono spesso
stupidi, imprecisi, paurosi… ma è evidente che
nutri per Alshain Sherton un affetto autentico, confido in questo per
conoscere la verità... ”
“Io... io non ho idea di cosa
sia accaduto, io… ”
“Non devi aver paura di
parlare... anche un dettaglio insignificante può essermi
utile…”
“Io non gli ho fatto niente,
però… Alshain si è ripreso per un po'
quando gli ho stretto la mano... poi è svenuto di nuovo
quando mi sono allontanato: Abraxas Malfoy mi ha imposto di togliermi
dai piedi e forse Alshain si è alterato con lui, a causa
mia... ”
“Malfoy? Nessuno mi ha parlato
di lui! Era presente dunque… Si è avvicinato ad
Alshain? L'ha toccato? Gli ha parlato? Gli...”
“No... io… io
ho… ho osservato ogni suo gesto: Alshain non ha toccato
nulla che fosse prima passato nelle mani di quel Mago e
Malfoy... non ha avuto modo né di toccarlo
né di parlargli… Sta molto male, ancora? Non si
è ancora ripreso?”
Il vecchio non mi rispose, tutto preso, ora, da qualcosa che brillava
sul tavolo.
“Questa pietra, io... Che
cosa... Dove l'hai presa, ragazzo?”
Guardai la pietra verde, probabilmente uno smeraldo, che mi ero
ritrovato in tasca dopo aver parlato con Mirzam, anche mio padre la
fissava, sbalordito e incredulo, notai che le sue mani tremavano appena.
“Ti conviene rispondere,
subito, Sirius! So per certo che questo smeraldo appartiene
all’anello di Meissa... quello che le è stato
rubato l’altra notte... per quale motivo ce l'hai
tu?”
“L'anello di Meissa? No, ti
sbagli… non è il suo... non faceva parte del suo
anello… Meissa aveva il suo anello quando abbiamo visto i
fuochi sulla terrazza... mentre io ho ricevuto questa pietra molto
prima... qui, a Grimmauld Place…”
“Hai ricevuto questa pietra,
qui? Quando? Da chi?”
Tremai per le voci ansiose dei due Maghi, sembravano entrambi
spaventati, o per lo meno preoccupati, soprattutto mio padre era quasi
fuori di sé; deglutii, ripensai alle parole di Phineas, si
era raccomandato di averne cura, di proteggerla, non sapevo che cosa
dovessi fare... se potevo fidarmi almeno di mio padre… e di
Fear…
“La sera della festa per
Mirzam... lui mi ha chiesto indietro l'anello che mi ha regalato
Alshain... Rodolphus Lestrange aveva insistito tanto per vederlo
e… diceva che non avevo diritto di
tenerlo…”
“Mirzam Sherton ti ha detto
che non avevi diritto di tenere il tuo anello?”
“No, non lui…
è stato Lestrange… Mirzam anzi mi ha detto che lo
prendeva per poi ridarmelo, appena si fosse sistemato tutto…
quando se ne sono andati... io… mi sono ritrovato quella
pietra in tasca...”
“Te la sei ritrovato in tasca!
Certo! Come no? A chi vuoi darla bere, ragazzino?Sono tuo padre, e non
sono nato ieri! È meglio per te se dici la verità
o ti giuro…”
“Calma, Orion... calma... so
che sembra strano, ma sono sicuro che tuo figlio ora sia
sincero… Tu avevi perciò quest’anello
in tasca... Ti ha chiesto Mirzam di portarlo con te?”
“No... lui non me ne ha mai
parlato chiaramente, andandosene mi ha solo detto “avrai la
tua ricompensa quando meno te
l’aspetti…” non ha citato anelli o
pietre… mi è caduto dalla tasca e quando
l’ho raccolto, è stato Phineas a dirmi che dovevo
averne cura...”
“Phineas? Come sarebbe? Che
c’entra quel vecchio intrigante? Phineas! PHINEAS!”
“Aspetta, Orion... questo
è un punto importante, molto importante… voglio
capire... tu avevi questo smeraldo in tasca casualmente
l’altra sera? Volevi darlo ad Alshain? Phineas ti ha detto
di...”
“Volevo solo capire
perché Phineas mi avesse detto di averne cura…
volevo capire cosa fosse e me lo sono portato dietro... ma forse volevo
solo una scusa per parlare con Alshain...”
Fear e mio padre si scambiarono un’occhiata piena di
significato, ma non aggiunsero altro, il vecchio anzi fece finta che di
colpo il mio coinvolgimento in quella storia, per lui, fosse chiarito e
non fosse necessario parlarne più.
“Parlerò con Mirzam
per chiarire gli ultimi dubbi… per ora tenete la pietra e
cercate di non perderla, non parlatene con nessuno, nemmeno con i
vostri familiari, se non vi chiedo troppo... sarebbe meglio tenerla al
sicuro, protetta dalla Magia, se capisci cosa intendo,
Orion… poi, quando starà meglio, sarà
Alshain a decidere cosa farne…”
Il Mago del Nord rimase in silenzio, assorto, poi fissando
l’arazzo continuò, impassibile.
“Non è che, per
caso, in tasca o da qualche altra parte avevi anche un anello di
ferro... piuttosto antico, insignificante e tutt’altro che
prezioso né bello...”
“Non crederai che mio figlio!
Io... non...”
Non ascoltai le rimostranze di mio padre, ero sbiancato a quella
descrizione, lo sapevo, perché anche se era da diverso tempo
che non lo vedevo più, all’incirca sei mesi,
conoscevo molto bene un anello simile a quello descritto.
“Lasciami fare, Black! Allora,
ragazzo? Hai o hai visto un anello simile quella sera?”
Guardai mio padre, chiesi il suo aiuto con gli occhi, si trattava
proprio dell'anello che mi aveva fatto rubare a Roland Lestrange, lo
capivo dall'espressione atterrita e al tempo stesso fosca con cui mi
fissava: non dovevo parlarne con nessuno, l’avevo giurato,
tanto meno con Fear... D’altra parte poteva essere
importante e infondo il vecchio mi aveva chiesto solo di quella sera,
non era necessario raccontare tutta la storia.
“In
realtà… Sì, credo proprio di aver
visto un anello simile quella sera...”
“Dove? È molto
importante per Alshain…”
“In questo momento, se non
gliel’ha preso nessuno, credo si trovi al dito di
Alshain… mio padre aveva dato a Emerson l’anello
del Nord di Sherton, perché lo ruotasse e vi chiamasse,
quando è svenuto nei corridoi... così, quando
nella Sala di Habarcat si è saputo che Rigel aveva bisogno
di aiuto, prima di raggiungervi, Deidra ha visto che non
l’aveva più e ha preso un anello che aveva tra le
vesti e gliel'ha messo al dito... poi mi ha detto di ruotarlo per
comunicare con gli altri…”
“Questo è
impossibile! Che cosa diavolo ci faceva l’anello tra le vesti
di Dei?”
“Dopo, Orion, dopo…
continua per favore… Deidra ha detto qualcosa
sull’anello, oltre a come ruotarlo?”
Lo fissai, ci pensai a lungo, infine ricordai.
“Sì… ha
detto... “questo è l'anello che Mirzam mi ha
affidato prima di prendere l'anello nuziale...” poi mi ha
spiegato come ruotarlo e se n’è andata con gli
altri…”
“Perciò
l’anello era al dito di Alshain quando tu gli hai stretto la
mano, e in tasca c’era la pietra… per questo
Habarcat ha subito la trasformazione che ho visto e Alshain si
è ripreso… ”
“Si tratta
dell’anello di Salazar, vero? Solo quell’anello
domina Habarcat… è grazie a questo che Alshain ha
ripreso i sensi… Dovete prendere la pietra e riunirla
all’anello… solo così Sherton si
salverà… prendete…”
I due Maghi mi guardarono e si guardarono tra loro, c’erano
diverse cose poco chiare in quella storia, ma la verità
delle mie parole era evidente a tutti: mi chiesi però
perché Meissa avesse quell’anello, come e chi
gliel’avessero sottratto e diviso in due parti, e
perché Mirzam, perché ero sicuro che fosse
coinvolto, avesse dato la pietra a me e il metallo a sua
madre… Non capivo e dalle espressioni smarrite,
anche mio padre e Fear avevano le idee poco chiare.
“Che cosa dobbiamo fare, Fear?
È stato Alshain a dividere l’anello? E credi che
davvero sia per l’anello che…”
“Devo parlare con Alshain e
con Mirzam, ho idea che abbiano agito l’uno
all’insaputa dell’altro, anche se per i medesimi
scopi… o almeno lo spero… qualcuno ha rapito
Meissa per rubarle l’anello, credendo fosse quello
vero… presto scopriranno che non funziona…
perciò… dobbiamo fare qualcosa per tuo figlio,
Orion, e sistemare l’anello al sicuro… Dovrei
occuparmi anche di te: quest’anello, anche se diviso,
può suscitare interessi morbosi, non possiamo sapere che
cos’altro potrebbero fare per ottenerlo…
perciò… ti consiglio di rendere i vostri
ricordi… adatti a qualsiasi tranello… non so se
mi spiego…”
“Preferisco che lo tenga tu,
Fear… Non voglio più avere nulla a che fare con
quell’anello… Quanto alla nostra mente…
hai molta più abilità di me con certi incantesimi
oscuri… ti autorizzo a usare la tua Magia su di
noi… tutto pur di non restare
coinvolti…”
“Io non voglio dimenticare! Io
voglio capire da Alshain che cosa…”
Fear mi fissò, poi sorrise, un sorriso strano, enigmatico,
pieno di mistero… mi sentii mancare il respiro.
“Sei ancora troppo giovane,
Sirius Black… Comprendo il fuoco dell’orgoglio e
del coraggio, sei un Grifondoro… ma è troppo
presto… troppo, troppo presto, per te… Alshain ha
visto giusto… Per questo non mi perdonerebbe mai se ti
lasciassi correre certi pericoli… forse un giorno, se e
quando prenderai le tue Rune… capirai…”
La sua voce si abbassò di colpo, quasi perdendosi in un
sussurro, il suo corpo iniziò a tremare, di una vibrazione
appena percettibile, solo all’ultimo vidi che i suoi palmi,
tenuti bassi, si alzavano lentamente verso di me: cercai di sottrarmi,
ma sentii il corpo irrigidirsi e mi ritrovai incapace di muovermi e di
parlare… Tutto era diventato freddo, i suoni attutiti,
c’era solo quella voce morbida e melodiosa, mi sembrava quasi
di vederla materializzarsi, simile a spire sottili, che mi legavano in
quella malia come fossero catene leggere, mi permeò la pelle
e mi danzò nel sangue, si fissò alla base del
cervello e nascose i miei ricordi, a me stesso e a chiunque mi avesse
guardato dentro.
“Chiudi i tuoi ricordi al
mondo, Sirius Black, conserva nell’antro più
segreto della tua anima la chiave di ciò che sei e di
ciò che sai… La tua mente si svelerà
di nuovo, nella sua completezza, a te e a te solo, se e quando il
Cammino del Nord ti metterà in grado di scorgere la
verità…”
Alla fine mi sentii svuotato, incapace di reggermi in piedi, la testa
confusa, mio padre mi sorresse, poi Fear, sorridendogli, si
avvicinò a lui, appoggiò le labbra al suo
orecchio: in un ultimo impeto di lucidità e di dubbio per
quanto stava accadendo, papà cercò di sottrarsi,
invano…
“Non ribellarti
Orion… abbi fiducia in me e ti garantirò la
salvezza, tua e dei tuoi cari…”
Gli occhi di mio padre diventarono improvvisamente assenti e, nello
stesso istante, sentii la mia testa girare in un turbinio folle e
sconvolgente, dopodiché, tutto divenne buio e silenzio.
***
Rodolphus Lestrange
Old Shotton, County Durham - ven. 24 dicembre 1971
I nostri passi risuonavano pesanti nel lungo corridoio di pietra,
spoglio e oscuro, un timido chiarore si librava solo dal fondo di
quella teoria di colonne rovinate e capitelli antichi, di alti
finestroni dai vetri spezzati, da cui entrava, spirando gelido, il
vento del mare del Nord. Nell’oscurità, sotto di
me, dormivano ignari valli e villaggi, quel mondo pieno di Babbani
schifosi che volevo sterminare, bruciare, annientare, soprattutto in
una notte come questa, una delle loro notti più sacre, una
notte in cui la mia anima oscura poteva librarsi più alta,
nutrendosi di puro odio e desiderio di distruzione. Non
sarebbe stata una notte di sangue, però: sarebbe stata solo
una notte di penitenza.
La mia penitenza.
Un senso di oppressione m’impediva quasi il respiro, avrei
dato tutto pur di non trovarmi lì, non perché
avessi timore, sapevo di dovermi assumere le mie
responsabilità, e che non sarebbe stata di certo una
passeggiata… non era nemmeno per la vergogna o per
l’orgoglio ferito, mi ero esposto tanto, avevo proposto
tanto, mi ero impegnato tanto, e il risultato era stato un disastro
quasi totale. No, non era per il timore, lecito, della
punizione, anche se sarebbe stata feroce, inesorabile, devastante: lo
meritavo, era giusto che fossi ripreso e punito, ed ero pronto a
ricevere il mio castigo. Era per lei. Era per lei, che giaceva in quel
letto tanto grande, le labbra di solito rosse e vogliose, ora pallide
ed esangui, i lunghi capelli corvini appiccicati al volto da un gelido
sudore mortale. Era per lei, per l’immagine di lei,
così fragile, che non riuscivo nemmeno a
respirare. Non sopportavo di vederla così, non lei
che era fuoco e vita, lei che era rabbia e furore e passione; non
potevo sopportare che fosse inerme in quel letto, a causa mia e della
mia incapacità! Non riuscivo a respirare
perché il cervello si macerava in quella voce, quella voce
dentro di me che mi tormentava, per quanto cercassi di zittirla in ogni
modo… Dentro di me… quella
voce… No, non c’era bisogno di
ascoltarla, lo sapevo bene anche da me.
Io, Rodolphus Roland Lestrange, sono solo un piccolo uomo, meschino e
debole. Tutto ciò che credevo di me stesso, tutte
le mie certezze, tutto il mio sprezzo, la mia sicurezza, la mia totale
indifferenza… tutto è caduto ai miei piedi,
lassù, al freddo di quella stupida torre, nei boschi delle
Highlands… Mi è bastato stringere
Bellatrix, esanime, tra le mie braccia… Che cosa mi sta
succedendo? Che cosa? Non io… non a me… Salazar,
no… non a me… Io non sono
così… debole… miserabile…
fallace… Io non devo essere così,
l’ho giurato a me stesso… Io non ho un
cuore, io non ho paura, io non mi faccio travolgere…
Io cavalco la vita, libero dagli stupidi orpelli, rido di
fronte alla vita e alla morte… Addirittura sono io,
spesso, la vita e la morte… del prossimo…
Perché io? Perché a me? Perché quel
singulto dell’anima? Ho giurato di seppellirla, quella mia
anima… Di divorare a morsi la vita, di mettere me
stesso sopra ogni altra cosa… sopra qualsiasi altra
cosa… Sono potere, sono furia, sono istinto, sono
desiderio, sono piacere… Sì, io sono
questo… sono voglia e piacere… sono assenza di
regole, assenza di limiti… Io sono colui che tutto
può, che tutto prende, che tutto sbrana… Noi
siamo solo carne ed io mi nutro di essa, soddisfo me stesso, non
m’importa di null’altro: ho sempre agito
così… io sono così…
Perché dunque ora dovrebbe essere diverso?
Perché? Che senso ha provare questo brivido lungo
la schiena? Che senso ha questa voce che mi spinge a
pregare? No, io non prego… io ho pregato una sola
volta, e non lo farò mai più! Pregare
non ha senso, la preghiera è per chi è debole,
spaventato, incapace… Io sono sopra queste
cose… avevo sedici anni quando ho giurato che sarei sempre
stato sopra a queste cose… Io non sarò mai
più quel genere di uomo…
Il mio Signore aveva ragione: Bellatrix era per me una pericolosa
debolezza, una meravigliosa, intrigante, disperata
debolezza… L’avevo desiderata per il suo
corpo, per il suo nome, per il suo sangue per quasi già
metà della mia vita e ora potevo prenderla e possederla ogni
volta che ne avevo voglia, potevo averla come mai nessuno
l’aveva avuta prima di me. Come nessuno
l’avrebbe avuta mai, dopo di me… Ma
finiva lì… non c’era altro tra
noi… C’era solo il suo dovere di darmi un
figlio… Allora cos’era quel…
dolore? Cos’era quella paura? Non certo quella di
restare solo, potevo averne mille altre come lei…
E invece no… No, perché non
c’è nessun’altra come
lei… Cos’è, Bella?
Cos’è quest’incantesimo che mi hai
lanciato addosso? Con quale malia mi hai maledetto?
Morirei se ti perdessi, sì, morirei! È questa la
verità che non mi fa respirare… Io,
proprio io, Rodolphus Lestrange! Posso negarlo quanto voglio, ma darei
tutto per te!
Che cosa mi hai fatto Bella? Come mi sei entrata così
profondamente nel sangue e nel cervello? La mia bocca si apre
e ti prega, Morte, ti prega…
Perché… Perché
lei… non puoi prendermi anche lei…
Strinsi le mani a pugno e rallentai il passo… sentivo il
cuore accelerare e poi rallentare in modo turbinoso, la
necessità di sorreggermi al muro, di forzare
l’aria a entrare dentro di me, per non cadere a terra,
svenire, come uno stupido moccioso impaurito. Vidi Augustus,
accanto a me, fermarsi: immaginai l’espressione derisoria che
gli illuminava il volto, là, sotto la maschera e il
cappuccio, immaginai come avrebbero goduto tutti nel vedermi piegato e
umiliato, come avrebbero banchettato sognando di poter salire al mio
posto nelle preferenze del mio Signore. Era giusto che fosse
così… o meglio… sarebbe stato davvero
giusto, se… Mi ero fatto fregare così, come un
pollo, da quella ragazzina, da Black… e da mia
moglie… E ora avrei chinato il capo di fronte al mio
Signore, non per essere punito del mio fallimento, perché,
personalmente, io non avevo fallito, ma della mia debolezza: meritavo
di essere punito, sì, perché avevo lasciato che
il mio stupido cuore battesse, come quello di un insignificante,
piccolo, debole, uomo qualunque.
Rookwood scivolò davanti a me, nella penombra di quella
stanza priva di soffitto, lì nell’antica villa
abbandonata, teatro dei nostri fugaci incontri nella contea di Durham:
rami innevati penetravano tra le pareti in rovina e lontani, nel buio,
si sentivano le voci delle creature della notte. Alcuni
attendevano già raccolti in gruppetti di tre o quattro
persone, sparuti e infreddoliti, stretti nei loro mantelli, le maschere
a celare i loro volti; da terra, la luce dei fuochi nei bracieri
illuminava quelle figure, dando loro un’aria di demoniaca
minaccia. Spaziai con gli occhi su di loro, Milord non era
ancora arrivato, lo capivo da quel chiacchiericcio sottile, da quella
totale mancanza di contegno: poi, all’improvviso, la folla si
divise davanti a me per lasciar passare un uomo, alto e autoritario,
completamente avvolto nel suo mantello fatto di notte, il cappuccio che
gli celava completamente il volto pallido: dalla tunica emergevano
appena le sue mani, la destra serrata con grazie attorno alla
bacchetta. Mi preparai a subire all’istante una
Cruciatus, ma il mio Signore, forse intuendo, forse sperando, si
fermò davanti a me, avvicinandosi lentamente, ancora,
percorrendo leggeri cerchi, delle spire avvolgenti, fino a troneggiare
a un solo passo da me; io mi tolsi la maschera e chinai il capo davanti
a lui, ma con un cenno secco Milord m’impose di guardarlo in
faccia.
“Ti sei ripreso,
finalmente… sei di nuovo tra noi, Rodolphus…
voglio sentire dalla tua voce le notizie della missione a
Herrengton…”
Tremai, impercettibilmente, ma non abbastanza perché non se
ne accorgesse, non capivo il perché di quella commedia,
erano passati quasi due giorni, ormai tutti sapevano qual era stato il
risultato della nostra missione, cercai di resistere al suo sguardo, ai
suoi occhi rossi d’ira, sembrava volesse incenerirmi solo
osservandomi, ed io volevo sprofondare, annegare, svanire nel
nulla.
“Mio Signore… sono
infinitamente dispiaciuto di come…”
“Non m’interessa
sapere quanto tu sia dispiaciuto, Lestrange… voglio sapere
il perché… perché non ho ricevuto le
notizie che mi auguravo? Perché, Rodolphus…
Perché? Perché nessuno mi ha portato la testa del
Ministro, come mi avevi promesso? Perché nessuno mi ha
portato la bambina, come ti avevo chiesto? Perché
l’anello di Salazar Slytherin non è al mio
dito?”
“Mio Signore… a
tutto il resto no… ma a questo… posso porre
rimedio immediatamente…”
Lord Voldemort mi fissò, come se l’aria del mare
gli avesse portato la mia voce distorta all’orecchio: quello
che avevo appena detto era impossibile, incredibile, ai più,
ma in fondo lui sapeva che era la verità; i suoi occhi si
riempirono non di sospetto, ma di meraviglia e di bramosia,
perché l’espressione afflitta e colpevole, sul mio
volto, lasciò subito spazio alla soddisfazione per aver,
ancora una volta, io, il discepolo a Lui più vicino, evitato
di deludere il mio Signore.
“Mio Signore… non
è stato possibile portarvi qui la bambina, vero,
perché non è stato possibile smaterializzarci
dalle Terre, come per voi non è stato possibile
entrarvi… Non so come sia stato possibile, ma…
qualcosa o qualcuno ha impedito che cadesse la protezione di
Habarcat sul maniero di Herrengton… io, però, mio
Signore… ho provato a portare a termine il mio compito per
vie traverse… non potendo portare lei, ho prelevato i
ricordi della ragazzina… li ho conservati, qui,
nell’ampolla, per Voi… ed ecco qui… per
Voi, mio Signore… l’anello che Meissa Sherton
aveva al suo dito, prima che io la sottraessi alle cure della sua
famiglia…”
Sentii rumoreggiare attorno a me, sentii chiaramente il bastone di
Abraxas Malfoy colpire il terreno, preda di stupore e al tempo stesso
di risentimento: il mio fallimento poteva risultare, per la sua
famiglia, un’ottima occasione per scalzarmi dal mio posto;
sapevo che, da mesi, s’incontrava segretamente con il mio
Signore, solo per cantargli le lodi di suo figlio, di Lucius,
sostenendo che sarebbe stato un valido Mangiamorte, al termine degli
studi, che avrebbe servito in maniera più che soddisfacente
il Signore Oscuro, che avrebbe dimostrato quanto la causa fosse
importante, per la famiglia Malfoy, molto più che per
chiunque altro dei suoi discepoli… No, io non avrei lasciato
che quella manica di damerini… Mi prostrai davanti al mio
Signore, inginocchiandomi quasi, chinando il capo e porgendogli sopra
la mia testa l’ampolla con i ricordi e il piccolo anello: era
davvero semplice, con una sola pietra verde, uno smeraldo, come la
tradizione antica narrava da circa mille anni.
“Alzati, Rodolphus…
e seguimi…”
Con un sorriso, senza guardare nessuno degli altri,
m’incamminai dietro il mio Signore, mentre tutti i presenti
si aprivano in due ali e restavano interdetti, incerti se fermarsi o
seguire me e il Signore Oscuro all’interno della villa,
là dove Abraxas Malfoy aveva posto in precedenza
l’antico bacile del pensatoio per studiare i pensieri, per lo
più, d’impiegati e funzionari del Ministero.
“Come hai prelevato questi
ricordi alla ragazzina? Sai che il dolore può alterare i
ricordi…”
“Mio Signore… voi
mi avevate chiesto di portare la ragazzina integra al vostro cospetto
ed io… ho rispettato le vostre indicazioni…
sarebbe stata qui accanto a me se solo fossi
riuscito…”
“Va bene, Rodolphus, lo so, mi
avresti accontentato qualsiasi cosa ti avessi chiesto… so
bene, che potrei chiederti qualsiasi cosa, davvero qualsiasi cosa! Ora
fammi vedere questi ricordi!”
“Sono molto interessanti, mio
Signore… pare abbiamo commesso un errore nel giudicare gli
Sherton… va contro il mio interesse dirlo, lo so,
ma… voi lo apprenderete comunque molto presto… Io
credo che se non fossimo intervenuti, vi avrebbero personalmente ceduto
l’anello…”
“Credi veramente a quanto
dici, Rodolphus? Credi davvero a questi ricordi?”
“Mio Signore…
Sherton ha un solo vero interesse, nella sua vita conta solamente la
sua famiglia… se avesse temuto per i suoi cari…
se avesse pensato di poter garantire loro la salvezza, cedendo
quell’anello, io credo davvero che ve l’avrebbe
donato…”
Milord guardò fuori dalla finestra, nel buio gelido di una
notte piena di stelle, vidi le sue labbra sottili arricciarsi appena in
un sorriso sinistro, immaginai, conoscendo le sue teorie sui
sentimenti, che stesse ridendo dell’assurda debolezza che
aveva Sherton, uno dei pochi Maghi che forse potevano avere sufficienti
conoscenze per contenere econtrastare la Magia del mio
Signore. Con un brivido, riflettei sulla mia condizione,
comprendendo quanto fosse temibile per un Mago provare dei sentimenti,
quanto una debolezza simile esponesse a errori, ricatti, fallimenti.
“Lascia qui
l’ampolla e l’anello, Rodolphus… Avevo
deciso di punirti, per questa battuta d’arresto nei nostri
piani: avevo creduto di potermi liberare del Ministro, questa volta, e
invece… quel buono a nulla di Williamson… Si
è fatto scoprire, quello stolto ha avuto anche la prontezza
di farsi prendere, per sfuggire alla mia ira! Ma non uscirà
dal carcere, puoi credermi… farò in modo che non
possa in alcun modo parlare, non otterrà favori vendendo la
propria collaborazione… Ora vai… domattina saprai
cosa ho deciso per te…”
“Mio
Signore…”
“Che cosa vuoi ancora,
Rodolphus?”
“Mio Signore…
lasciatemi porre in parte rimedio alla delusione che vi ho provocato
l’altra notte… lasciate a me il compito di
liberarvi di quel piccolo, fastidioso problema…”
Lo fissavo, la mia voce si librava emozionata, Milord mi
osservò, mi scandagliò con un sorriso
compiaciuto, i suoi occhi vibravano di benevolenza, di piacere, di
soddisfazione.
“Chiuderò un occhio
sulla mancata visita a Herrengton, per questa volta… ti
auguro una piacevole vigilia di Sangue, mio caro
Rodolphus…”
Mi fece cenno di allontanarmi, in uno svolazzare sinistro del suo ampio
mantello si avvicinò al pensatoio e lo vidi versare il
liquido madreperla nell’antico bacile, io mi ritrassi senza
dargli le spalle, fino a raggiungere il corridoio, Rookwood era
lì, in trepidante attesa, voleva sapere le ultime
novità, ma io non avevo di certo tempo da sprecare con lui.
Il richiamo del sangue mi portava lontano da lì. Alla fine,
contro ogni mia previsione, a soddisfare la più piacevole
delle mie attuali speranze, quella sarebbe stata davvero una notte di
delirio e furore, di sangue e perdizione. Il modo migliore per
soffocare le voci della mia mente. Il modo migliore per
ricordare a me stesso quanto fosse oscura e perduta la mia anima.
*continua*
NdA:
Eccomi qua, so che la mia caratterizzazione di James può
suonare strana, che può sembrare troppo
“adulto” soprattutto perché,
abitualmente, si pensa a James Potter solo come a un ragazzino viziato,
che aveva tutto per essere felice e non aveva alcun turbamento,
però da brava figlia unica ricordo che non è
tutto rose e fiori e che certi pensieri sono possibili quando un
bambino cresce da solo, in particolare riguardo alle aspettative che si
riversano sull’amicizia. Anche riguardo a Rodolphus,
alcuni passaggi possono sembrare bizzarri, soprattutto
riguardo ai sentimenti combattuti per Bella e il discorso della
preghiera, ma fa parte della caratterizzazione che ne sto facendo un
po' per volta. Passo ora ai consueti ringraziamenti a quanti hanno
letto e recensito, aggiunto a preferiti, seguiti, ricordati,
ecc…
Un bacione a tutti, alla prossima!
Valeria
Scheda
Immagine
|