C07
Declaimer:
Questa
storia è stata scritta senza alcun scopro di lucro. I
personaggi
di Castiel e di Sally Sparrow non mi appartengono, ma sono
proprietà
di Eric Kripke (autore dell'universo di Supernatural) e Steven Moffat
(geniale sceneggiatore di molti episodi della serie passate Doctor
Who e showrunner dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver
plagiato nessuno, se l'ho fatto è stato in modo del tutto
inconsapevole. Segnalate e provvederò a rimuovere la storia.
Note: Alt!
Se avete aperto questa pagina attreveso il link >Ultimo
capitolo< saltate indietro di una pagina. Questo è un
doppio aggiornamento. ;)
IX
Per
un attimo, Sally ebbe l'orribile impressione che l'agente Henrich si
stesse sgonfiando. Sì, proprio sgonfiando. Sgonfiando e
restringendo. Gli abiti si appiattirono, le braccia si accorciarono.
Tutte le membra parvero rimpicciolirsi, in uno scricchiolio di ossa
misto ad altri rumori viscidi e sordi, schiocchi di pelle e di
muscoli tirati e poi compressi. I tratti del viso si contrassero come
quelli di una maschera di cera impastata. Quando si distesero di
nuovo, i lineamenti erano completamente mutati.
L'agente
Henrich non c'era più.
Era
una donna quella sul divanetto, abbigliata di nero e seduta in una
posa lasciva, con le gambe accavallate.
Un
lungo vestito le fasciava il corpo, mettendone in risalto le generose
curve del seno, della vita e dei fianchi. Una chioma di capelli
corvini e ondulati le ricadeva sul petto. Le spalle e la braccia
erano nude e la spacco della gonna metteva generosamente in mostra le
gambe tornite e slanciate. Lo strascico del vestito ricadeva sul
pavimento: un sottile lembo di stoffa, arrotolato come un serpente
accanto ai piedi della donna. Lucide e nere erano anche le scarpe dal
tacco alto. Si sarebbe potuto definire un corpo perfetto se solo le
braccia non fossero state martoriate da un intricato disegno di
piccole cicatrici bianche. Erano fitte e numerose attorno ai polsi e
si facevano più rade e meno marcate man mano che salivano verso il
gomito. Era impossibile indovinare l'età della donna: il suo viso
possedeva una bellezza tutta particolare, la bellezza vorace e
soffocante di un colorato fiore esotico, dal profumo intenso e il
succo velenoso. I grandi occhi verdi, sormontati da sopracciglia erte
e leggermente arcuate, erano in incantevole contrasto con il colore
ambrato della pelle. Il naso era dritto e stretto, la mascella forte
eppure femminile, le labbra piene, scarlatte e ben disegnate.
«Sorpresa»
disse la sconosciuta. E sorrise. Era un sorriso cattivo, un sorriso
da strega.
Il
termine sorpresa era quanto mai riduttivo per descrivere quel
che stava provando Sally. La sua costernazione aveva raggiunto un
livello tale da non riuscire più nemmeno ad essere espressa in modo
visibile. Aprì la bocca un paio di volte e non le riuscì di
spiccicare una sola parola.
«Sono
o non sono brava con i travestimenti?» continuò la donna, senza
smettere di sorridere. Ad ascoltarla bene, la voce non era affatto
bella come lo era l'aspetto. Il tono era dolce e carezzevole, ma del
tutto innaturale: era come ascoltare una serpe che tenta di imitare
il canto di un usignolo.
La
donna si alzò, con un gesto lento ed eleganza, un gesto adatto alla
languida eroina di un melodramma.
Sally
indietreggiò d'istinto.
La
donna era alta, più alta di lei.
Sally
chiuse le mani a pugno. Calma, doveva restare calma e lucida. E
pensare, ragionare, capire.
«Tu
non sei un essere umano» affermò.
«Bambina
intelligente» sospirò l'altra, soave.
Sally
deglutì.
«Chi
sei?»
«Fossi
in te non mi preoccuperei tanto del chi sono, ma del perché sono
qui».
Sally
fece un altro passo indietro.
Parlava
con un lentezza nervosa, prendendo un respiro ad ogni pausa.
«Bene...
allora, che cosa vuoi da me?»
La
reazione della sconosciuta le fece saltare il cuore in gola.
I
lineamenti della donna si indurirono, gli occhi si infiammarono di
rabbia. Fece un passo verso Sally. «Io!» urlò la donna. La
voce non era stridula, ma altisonante. «Io volere qualcosa da te?
Cosa credi che possa volere io da un piccolo, patetico,
insignificante esemplare di essere umano come te?» All'improvviso,
la donna abbassò la testa e chiuse gli occhi, premendo le mani,
strette a pugni, contro le tempie. «Tu sei come lui!» strillò, in
preda a quello che sembrava un attacco d'isteria. «Sarete la rovina
della mia felicità!» Strillava e muoveva le testa, come un serpente
agonizzante sotto gli artigli di un rapace.
Sally
trattenne il fiato, impietrita, con la mente che faticosamente
annaspava alla ricerca di una mossa intelligente da fare.
«P-perché
ti sei...» cominciò la ragazza, in un balbettio insicuro.
La
donna abbassò le mani per guardare Sally. Sembrava essersi calmata.
Gli occhi avevano perso la scintilla di pazzia.
«Perché
ti sei finta un poliziotto?» riuscì a domandare Sally.
La
sconosciuta le sorrise. Era nuovamente quel sorriso serafico e
inquietante.
«Perché
voi umani siete così portati a parlare apertamente con gli uomini
che indossano una divisa» disse, col tono gentile di chi si sta
rivolgendo a una bambina. «Avevo bisogno di informazioni e quello
era il modo più semplice per ottenerle. Oh, certo, anche la tortura
era un opzione, ma» sollevò una mano sfiorandosi la fronte con un
gesto leggiadro, «ho i nervi delicati io. Le urla e i pianti proprio
non li sopporto».
«Quali
informazioni?» continuò Sally, adocchiando la porta
dell'appartamento con la coda dell'occhio.
La
donna guardò Sally inarcando le sopracciglia in un'espressione di
candida sorpresa.
«Sciocchina,
dovevo pur essere sicura che fossi la ragazza giusta».
«Giusta?»
«Sì,
quella giusta da uccidere».
«Ah».
Non
fu un grido quello di Sally, solo una vocale pronunciata piano, e a
mezza bocca.
Che
qualcuno mi svegli, stava pregando inorridita la ragazza.
Lassù
dovevano aver un pessimo senso dell'umorismo. Lei desiderava un po'
di movimento nella propria vita e in che cosa finiva con l'incappare?
In cruenti omicidi, in fantasmi centenari, in strambi viaggiatori nel
tempo e, per ultimo, in una non ben specificata creatura, palesemente
squilibrata, con il vizio del travestimento e il pallino
dell'omicidio. Tutti nella stessa giornata. La tragedia stava
scivolando nel ridicolo.
«Beh,
sta a sentire, mister Hyde... » Sally prese ad indietreggiare
verso la porta, un passo dopo l'altro. «Trovati qualcun altro da
uccidere, perché io con i mostri e morti per oggi sono davvero a
posto...»
La
donna rise di cuore. Aveva un'argentina risata da bambina. Orribile
da sentir uscire dalle labbra di una donna.
Quel
che accadde subito dopo Sally lo avrebbe sempre ricordato come una
sequenza confusa.
Ebbe
a mala pena il tempo di notare il movimento della mano della donna.
Poi si sentì strappare a forza da terra e sollevare in alto, come se
fosse afferrata da tante mani invisibili. Finì dall'altra parte
della stanza, scagliata contro la parete. L'urto tra la schiena e il
muro fu così forte e doloroso da mozzarle il fiato. Ricadde
pesantemente sul pavimento, sbattendo il fianco e la testa. E restò
lì, stordita, con la testa che le faceva così male da renderla
quasi incapace di pensare. I passi della donna che attraversava il
soggiorno erano un suono lontano e ovattato. La sconosciuta si fermò
di fronte a Sally. Si accovacciò sul pavimento, piegandosi sui
talloni. Sally si sentì scostare i capelli dal viso, con un
amorevole cura. E udì la donna parlare, in un impeto di tenerezza.
«Dopotutto,
mi dispiace ucciderti».
La
sconosciuta costrinse Sally a sollevare il busto da terra e a
mettersi seduta. A dispetto dell'apparente corporatura esile, la
creatura era molto forte. Teneva la ragazza ferma per le braccia. Le
belle mani affusolate avevano una presa di ferro; era come essere
tirati su da due tenaglie.
«Ma
devi riconoscere che non ti ho costretta io a fare la puttanella per
quell'angelo. In tempi bui come questi che altro si può fare se non
pensare alla propria felicità, alla propria sopravvivenza?
Mors tua, vita mea».
Il
dolore alla testa aveva annebbiato i sensi di Sally. Il discorso
della sconosciuta, pronunciato con voce tanto dolce, non aveva per
lei più senso del ringhiare di un cane. Ma per frastornata che
fosse, Sally conservava abbastanza coscienza da rendersi conto di
essere a un passo dalla morte. Sapeva che sarebbe morta senza mai
saperne il motivo. Sotto le palpebre socchiuse, i suoi occhi castani
si erano fatti lucidi.
«E
poi, io ho così tanta fame»
sussurrò la donna. Sally vide la donna sorridere, famelica, mentre
sentiva la mano di lei scivolarle lungo il collo, dove pulsava la
vena calda del cuore spaventato.
Fu
in quello stesso istante che si udì uno scoppio e poi uno sfrigorio:
il neon del lampadario era appena esploso in una cascata di scintille
elettriche.
Ma
tutto si aquietò presto, e al suono di un frullare di ali, la luce
nella stanza era tornata debole e livida.
«Che
cosa vuoi?» chiese la donna, a voce alta, in tono annoiato, ma senza
smettere di sorridere. Non si voltò, continuava a tenere le sottili
dita strette attorno al collo di Sally.
«Lo
sai» rispose una voce bassa e roca, estranea a qualsiasi traccia di
turbamento.
La
donna ritirò la mano dal collo di Sally. La ragazza riuscì a fatica
a mantenere la testa sollevata, mentre la sconosciuta si alzava in
piedi.
Castiel
era nella stanza, accanto alla finestra. I suoi occhi blu, seri
e pieni di un controllato astio, erano fissi sulla misteriosa donna
bruna. Le tende bianche si stavano riadagiando leggere al loro
posto, come se fossero appena state mosse da un soffio di vento.
«E
come potrei mai saperlo?» cinguettò la sconosciuta, con melliflua
sorpresa. Si era spostata di qualche passo e ora Sally poteva vederla
di profilo. La donna abbassò leggermente il mento e sorrise,
civettuola, accarezzando con entrambe le mani una lunga ciocca dei
suoi lucidi capelli. «Credevo di piacerti davvero tanto, visto che
hai deciso di seguirmi attraverso il tempo, ma...» parlava con un
tono di altezzosa ironia, « ...vedo che mi hai già sostituita con
un'altra». La donna imbronciò le labbra, fingendosi offesa, mentre
si voltava a guardare Sally, la quale, confusa e spaventata, se ne
stava ancora seduta sul pavimento con la testa che le pulsava per il
dolore e il cuore che le batteva forte.
Anche
Castiel, senza muovere la testa, portò il proprio sguardo sulla
ragazza. Ma fu uno sguardo volutamente sfuggevole e rapido, così
rapido che Sally non riuscì ad incrociarlo.
«Da
quando ti piaccio bionde e umane?»
se ne uscì la donna bruna, tornando a guardare Castiel. Subito dopo
batté le palpebre e si sfiorò le labbra con le dita, in un gesto di
sorpresa. «Oh, a meno che...» la mano sollevata scivolò sul petto
e la donna guardò Sally, impietosita. «Povera cara, gli angeli sono
così cattivi ed egoisti». Si rivolse a Castiel e scosse la testa
con aria di rimprovero. «Usare la povera ragazza per trovare me,
vergogna Castiel! E ora che mi hai trovata e lo hai fatto, come
presumo, per uccidermi, non vorrai almeno negarmi un ultimo pasto.
Tutti i condannati a morte hanno diritto a un ultimo pasto». La
melensa dolcezza che la donna infondeva alla voce era irritante.
Tutto in lei sapeva di artefatto e sarcastico; un continuo farsi
beffe dei suoi interlocutori, che si rivolgesse a Castiel o a Sally.
Con
un scrocchio secco, la donna voltò il lungo collo verso Sally. Lei
vide di nuovo quel sorriso simile al ghigno di un lupo affamato. Ebbe
uno spasmo di spavento, come se non riuscisse a più a respirare.
Guardò Castiel, ma lui non guardava Sally. Non si muoveva e non
parlava. Non c'era né timore né preoccupazione sul suo viso severo.
Castiel si limitava a starsene semplicemente lì, in piedi, con
indosso il suo impermeabile chiaro, ad
osservare
la sconosciuta.
Come
se avesse capito i pensieri di Sally, la donna disse:
«Non
riporre in lui tanta speranza. Non ti salverà. Tu, per quelli della
sua specie, sei poco più una scimmietta ammaestrata».
E
poi fu un attimo.
Nel
preciso, medesimo istante in cui la donna chiuse la bocca, Castiel
scomparve da accanto alla finestra per ricomparire nel bel mezzo
della stanza, frapponendosi tra la carnefice e la vittima: ora, senza
dire una parola o fare un solo movimento, Castiel fronteggiava la
sconosciuta, dando le spalle a Sally.
La
donna rise di una risatina bassa e soddisfatta.
«Ho
trovato un bambino geloso del suo giocattolino» cantilenò,
avvicinandosi a Castiel.
Con
un movimento svelto, come un gatto che allunga la zampa per graffiare
il muso del cane che gli ringhia contro, la donna si accostò a
Castiel. Gli passò una mano dietro al collo e con l'altra strinse la
stoffa dell'impermeabile sulla spalla. Il volto di lei era tanto
vicino a quello di lui da sfiorargli quasi la guancia con la propria.
Sally non poteva vedere l'espressione di Castiel, ma quella della
donna sì: ed era un'espressione di vittoriosa malizia. La vide
schiudere le labbra cresimi per mormorare qualcosa all'orecchio di
Castiel, ma Sally non riuscì a udire nemmeno una sillaba.
La
donna arretrò, con la stessa rapidità con la quale si era
avvicinata, e Castiel crollò in ginocchio sul pavimento. Sally si
premette una mano contro le labbra. La donna rideva senza fiato.
«Povero
il mio bell'angelo, ti hanno tarpato le ali! Sei debole! Se perfino
più debole dell'ultima volta». La donna calmò l'eccesso di
risa, svoltolandosi una mano davanti al viso. Poi socchiuse le
palpebre, intrecciò le dita e portò le mani unite sotto al mento.
«Il viaggio. È stato il viaggio, non è vero? Non riesci a
viaggiare nel tempo senza indebolirti. Salti indietro di un anno e
tanto basta a fiaccarti. Stai perdendo i tuoi poteri».
Tuttavia
Castiel si era già ripreso. Le dita della mano sinistra stringevano
la stoffa dell'impermeabile all'altezza del cuore, ma lui si stava
rimettendo in piedi.
«Ne
ho ancora abbastanza per fermarti».
La
donna non sembrava minimamente intimorita.
«Fermarmi?
Perché, cosa sto mai facendo di male?» chiese, delicata.
Castiel
la fissò.
«Gli
omicidi».
La
donna reagì a quella risposta come aveva fatto poco prima con Sally.
Ebbe un scatto da isterica. Alzò la voce, scossa da un tremore
convulso.
«Ma
da quale pulpito!» soffiò, come una furia. Sally si ritrasse
istintivamente, scivolando verso la parete dietro di lei. Castiel,
invece, era impassibile. «A un anno da qui, la tua famiglia
sta gettando il mondo tra le braccia dell'Apocalisse e tu sei qui,
a darmi il tormento per qualche necessaria requisizione di anime?»
«Le
anime. A cosa ti servono le anime delle persone che fai uccidere?»
continuò Castiel, imperturbabile nella voce e nell'atteggiamento.
La
donna – la pazza, con questo termine cominciava a chiamarla Sally,
dentro di sé – si era avvicinata al muro, a pochi centimetri dalla
finestra. Premeva le mani contro la parete, come se avesse bisogno di
un sostegno. Aveva smesso di urlare. Quando rispose, lo fece in un
sussurro dolce, con l'espressione rapita e malinconica di chi ascolta
una voce, o una musica triste, in lontananza.
«Non
immagini quanto sia alto il prezzo dei ricordi» mormorò. Guardava
fuori dalla finestra, con i grandi occhi verdi fissi su chissà cosa.
«E tu...» si voltò verso Castiel, guardandolo con stupita
dolcezza. «E tu, perché tu hai bisogno che io mi fermi? Ah, no!»
Si staccò dal muro con una leggera spinta. «Non tentare di prendere
in giro me! Tu fingi di avere a cuore le anime di quelle persone, o
l'anima di chiunque altro. Ma il motivo per cui mi stai dando la
caccia è un altro, io lo so bene». Fece una pausa, la bocca piegata
in una smorfia di disprezzo. «Tu sei alla ricerca di qualcosa. Di
Qualcuno. Lo stai cercando disperatamente. Cercare. Non puoi far
altro che cercare, cercare, cercare e ancora cercare». Si mosse di
un passo più vicina a Castiel. «Ma se mai la ricerca dovesse
rivelarsi infruttuosa, allora che cosa ti resterebbe? Solo il rimorso
di aver davvero perso tutto per nulla. Solo la consapevolezza
di aver sopportato inutilmente tutto il dolore e la solitudine. Oh,
la solitudine di un angelo caduto. Nessuno degli esseri umani dai quali
sei circondato riuscirebbe mai a comprenderla. Ma adesso hai smarrito
l'unica bussola in grado di guidarti nella ricerca. Credi che lo
abbia preso io, l'amuleto?»
«
No. Non lo credo. Ne sono sicuro » fu la risposta asciutta di
Castiel.
La
donna rise di nuovo, piano, tirando indietro la testa.
«Oh,
certo che lo sei...»
Venne
interrotta dalla voce roca ma decisa di lui.
«Come
sei arrivata in questo tempo?»
«Sono
potente».
«Non
così potente. Tu non hai il potere di spostarti nel tempo. Come ci
sei riuscita? Che cosa hai fatto?»
La
donna rivolse a Castiel uno sguardo di disprezzo.
«Smettila
di usare quel tono di accusa» gli intimò. «Io non ho fatto nulla.
Non mi sarei mai messa di proposito in cerca di un modo per arrivare
fin qui. Non mi piace la dimensione dei vivi. Qui nessuno mostra più
un briciolo di rispetto per quelli come me» Per un attimo,
spostandosi verso la finestra, riprese l'aria assente e distratta.
«Solo i morti mi amano ancora. Mi sono rimasti fedeli, loro».
«Come
hai fatto a tornare indietro nel tempo?» insistette Castiel,
risoluto.
La
donna gli lanciò un'occhiata di traverso.
«Ho
solo guardato. Ho guardato attraverso la crepa e ho visto questa
città, in questo tempo. E ho capito. Ho capito che mi era possibile
tornare agli splendori dei tempi antichi... così l'ho attraversata».
Ci
fu una pausa.
Per
Sally quella tra Castiel e la sconosciuta era una conversazione senza
capo né coda. L'unica cosa che la ragazza aveva capito era di essere
finita tra l'ordito di una storia la cui trama era già iniziata,
chissà quando e chissà dove. E nel mentre non si era dimenticata di
pensare alla propria incolumità. Pur a fatica, si era appena rimessa
in piedi, aiutandosi con una mano appoggiata alla parete. Si era resa
conto che le tremavano le gambe, ma non avrebbe saputo dire se il
tremore fosse per lo spavento o per il dolore. E quando aveva avuto
un giramento di testa, si era confusamente chiesta quali fossero i
sintomi di una commozione celebrale. Camminando accanto al muro, si
era spostata fino ad arrivare dietro al divano, dove ora se ne stava,
in piedi, ferma, con le mani appoggiate sopra ai cuscini ad ascoltare
i discorsi tra Castiel e la pazza, bellamente ignorata da entrambi.
«Hai
attraversato cosa?» domandò Castiel alla donna. E per la prima
volta, da quando era comparso nella stanza, Sally credette di
scorgere una rauca nota di insicurezza nella voce di lui.
«La
crepa, stupido asino impiumato!» sbottò la donna. Poi si accostò
alla finestra e mentre riprendeva a parlare, guardava in strada. «C'è
una crepa nella mia dimensione dei morti che si affaccia su quella
dei vivi. È nell'Erebo, lungo un maestoso pilastro nel palazzo del
Sonno... Oh, non che sia realmente lì, su quel
pilastro. Suppongo che la crepa esisterebbe anche se non ci fosse
alcun pilastro. La crepa è il confine tra le epoche e i mondi, un
confine che si indebolisce sempre di più».
Voltò
il capo e guardò prima Sally e poi Castiel.
«E
voi, non vi state accorgendo di nulla».
Il suo sguardo e le sue parole erano sporcate di un amaro
divertimento. « Gli
esseri umani sono ottusi e limitati. Gli angeli, altrettanto ottusi,
sono troppo occupati a farsi la guerra con i demoni. Tutti i vostri
sguardi sono puntati sulle vicende di questo piccolo pianeta e
restate cechi davanti al resto dell'Universo» Tornò a guardare
fuori dalla finestra. «Ma io sono antica abbastanza da avvertire le
ferite dell'Universo. L'Universo langue, ha bisogno di cure».
Sollevò il mento e guardò verso il cielo nuvoloso. Sally avrebbe
giurato che stesse sorridendo. «Credo che l'Universo abbia bisogno
di un dottore... » Infine la donna voltò la schiena alla
finestra. «Castiel» chiamò «se io muoio, nessun altro saprà
dirti dove si trova il tuo prezioso amuleto, quindi non ostacolarmi
più. E per quanto riguarda la tua cara scimmietta, lei morirà molto
preso, che tu lo voglia oppure no».
«Hai
bisogno anche della sua anima?»
«Anima?
Chi ha detto che sono interessata alla sua anima? Mi è sufficiente
che smetta di vivere».
La
donna allargò le braccia e il vetro della finestra dietro di lei
vibrò come scosso dal rombo di un tuono. Vibrò e scricchiolò,
mentre si ricopriva di una ragnatela di sottili venature.
Sally
comprese al volo quel che stava per accadere. Si accucciò sui
talloni, nascondendosi dietro al divano appena in tempo. Udì il
rumore del vetro che andava in frantumi e la stanza fu invasa da
un'esplosione di schegge. I piccoli e appuntiti frammenti di vetro
schizzarono ovunque, si conficcarono sulle superfici morbide e
rimbalzarono pericolosamente su quelle rigide, in un impazzito
tintinnio. Si conficcarono nei cuscini del divano, si piantarono
nella carta da parati, graffiarono il legno e la plastica dei mobili.
Ma
durò poco. Pochi secondi e tutto tornò tranquillo.
Sally
abbassò le braccia da sopra la testa. Illesa ma scossa, si azzardò
a rimettersi cautamente in piedi. Il pavimento era coperto di
frammenti di vetro. La stanza si stava riempiendo di aria fredda e
umida: il vetro della finestra era stato completamente sbriciolato.
Le tende bianche svolazzavano leggere. Della donna bruna non c'era
più traccia. Castiel invece era ancora lì: stava in piedi davanti
alla finestra rotta. Guardava fuori. In lui la sola vittima della
pioggia di vetro sembrava essere la manica dell'impermeabile, quella
del braccio con il quale doveva essersi riparato il viso. Non aveva
un graffio, né sul volto né sulle mani.
Da
lontano arrivò il suono smorzato di una sirena. Tic tac, tic tac,
continuava imperterrito l'orologio della cucina.
Sally,
confusa, dolorante e ancora vittima dei postumi dello spavento, puntò
lo sguardo su Castiel, che seguitava a darle le spalle.
«Ehm...
ok...» mormorò Sally. «Io... io sto bene. Non preoccuparti per
me». E si strinse una mano attorno al braccio destro: le faceva
male, ci era caduta sopra.
L'udito
di Castiel era di gran lunga migliore della sua sensibilità.
«Non
mi sto preoccupando per te» precisò. Non lo aveva detto con
cattiveria. Aveva parlato come se Sally avesse fatto un'affermazione
sbagliata e fosse necessario correggerla, ignaro di quanto
sconfortante potesse essere per Sally sentirsi dare una simile
risposta.
«Sì,
l'ho visto...» sussurrò Sally con debole filo di voce, continuando
a stringere il braccio. Ora si sentiva dolorante, spaventata e
triste; una tristezza amara che pungeva sul fondo del suo cuore di
essere umano.
Sally
lo stava ancora guardando quando Castiel si degnò di voltarsi verso
di lei. Osservò la ragazza con un cipiglio confuso. Negli occhi
chiari c'era qualcosa di simile all'esitazione, ma per Sally era
impossibile capire cosa passasse nelle mente di lui.
Poco
prima, la misteriosa donna, con quel suo modo di fare beffardo, aveva
lasciato intuire la sua convinzione che Castiel avesse a cuore Sally.
La verità era che la donna si sbagliava. Castiel non aveva nessuna
particolare predilezioni per la ragazza. Lei non gli era cara. Lei
non era sua amica. Sally Sparrow era un essere umano e gli esseri
umani erano la
preziosa opera del Padre di Castiel. Sally era dunque preziosa, ma
non più preziosa di chiunque altro.
Davvero
poco conosceva Castiel delle complesse e sfaccettate emozioni che
allietano e tormentano il genere umano. Egli era una creatura che
aveva vissuto per secoli nel silenzio dei sentimenti, senza conoscere
altro che la muta obbedienza e la cieca fedeltà. Così tante volte
gli era stato difficile sopportare il peso del dubbio e
dell'incertezza, della paura e della sofferenza. Era un essere
millenario, ma per capire i sentimenti aveva bisogno di osservare gli
uomini dalla breve vita. E, a modo suo, si sforzava di comportarsi
seguendo l'esempio dei soli esseri umani ai quali era stato tanto
vicino da poter imparare qualcosa sull'umanità tutta.
Così,
in quel momento, Castiel comprese la paura di Sally. Vide che
era paura quella che tratteneva la ragazza dietro al divano, timorosa
di farsi più vicina. Riconobbe la paura nell'ansare silenzioso che
animava quel caduco corpo di donna. La riconobbe nel piccolo petto
che si alzava e si sollevava, nel tentativo di calmare un respiro
ancora affannato dallo spavento. La riconobbe nel modo apprensivo e
insicuro con il quale Sally teneva il capo basso, seppure i grandi
occhi castani restassero coraggiosamente puntati su di lui.
«Se
ne è andata» disse Castiel. E così come la piccola tremolante luce
di un fiammifero tenta di rendere meno minaccioso il buio, allo
stesso modo la calma con cui lui aveva pronunciato quelle poche
parole avrebbe voluto lenire lo spavento dell'essere umano.
Sally
poggiò le mani sul divano e fece scivolare le unghie sulla stoffa
ruvida. Proprio come era successo nel parco, quando una situazione
reale cominciava a perdersi nei meandri di un'assurdità quasi
onirica, il contatto fisico con gli oggetti aiutava Sally a scacciare
l'ipotesi di essere davvero in un sogno. Respirava ora con più
leggerezza.
Castiel
sollevò lo sguardo. Guardò Sally. Lei capì che stava per dirle
qualcosa e non chiedeva altro. Ora che la paura si era affievolita,
era impaziente di sapere. Di capire. Ed era un'impazienza quasi
dolorosa.
Castiel
parlò.
«Hai
incontrato un cane?»
Sally
restò di stucco. Dapprima fissò Castiel a bocca aperta. Poi sbatté
le palpebre e chiuse la bocca. Infine, la riaprì.
«Ho
incontrato un... cosa?»
CONTINUA.
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