E’ molto che non aggiorno… nonostante il
capitolo fosse pronto da mesi! Ben, per chi sta ancora seguendo… questo
capitolo rappresenta un punto di svolta. Forse sembrerà un
po’… onirico e forse incasinato ma con i prossimi capitoli
diventerà tutto più chiaro. Con questo… buona lettura!
Sdraiata sul mantello,
gentile concessione di Amelia mossa a pietà dalla drammatica situazione
dei miei vestiti, osservavo in silenzio la volta
celeste. Le braccia incrociate dietro alla testa, mi accarezzavo
con le dita il collo e le corte
ciocche della mia nuova acconciatura, in un gesto di auto consolazione
infantile alla lunga ipnotico che, unito al monotono frinire dei grilli, al
frusciare sommesso delle foglie degli alberi intorno a noi, mosse dolcemente
dalla brezza leggera e allo scoppiettio del fuoco, mi procuravano un senso di
pacifico torpore, conciliandomi il sonno.
Brandelli sconnessi della
conversazione avuta durante la cena, le congetture con Zelgadiss
e Amelia sui piani di Xelloss, le spiegazioni di Eloise, le parole rassicuranti di Gourry
mi tornavano alla mente in modo frammentario, a volte sovrapponendosi, segno
che stavo per addormentarmi.
Sentivo le palpebre farsi
sempre più pesanti mentre ricordavo distrattamente di aver taciuto la
storia della Spada di Luce, senza saperne bene il motivo quando…
Qualcosa mi colpì
sulla spalla.
Sussultai con violenza
emettendo un urlo strozzato.
Voltai di scatto la testa,
girandomi di lato con le mani pronte alla difesa, seppur nella sorpresa e nella
confusione di chi viene colto completamente alla
sprovvista con la guardia abbassata, per trovarmi faccia a faccia con Pokota. No, con Posel. La mia
mascella cadde a terra… poi il dubbio, perché c’era qualcosa
di assurdo e sbagliato nella presenza di Posel visto
e considerato che il suo corpo era stato distrutto
dall’ennesima (permettetemi la gocciolona)
risurrezione di Ruby Eye Shabranigdu.
Eppure era lì, in carne ed ossa e mi stava
guardando.
“Po… Pokota?” il ragazzino mi fissava, gli occhi verdi
socchiusi, come se si fosse trovato in un momento di profonda riflessione.
“Lina… Inverse,” scosse la testa facendo tintinnare il grosso
cerchio dorato che aveva all’orecchio mentre i lunghi capelli fluttuanti
gli frustavano la schiena. “Non so come dirtelo.” Sorrise, di un
sorriso malvagio che avevo già visto dipinto
sul volto di un altro bambino che bambino non era.
Il gelo della paura mi
strinse in una morsa lo stomaco. Ero in pericolo?
Sveglia, Lina! Devi fare
qualcosa!
Questo non era Pokota, non era Posel, non era…
Non sapevo cosa fosse ma di certo non
era niente di buono. Alzai le mani, richiamando la formula Bomb
de Wind con l’intento di allontanare il più possibile
quell’essere. Mi serviva un incantesimo potente e preciso, che
quantomeno indebolisse quella creatura
della cui natura malvagia non dubitavo (visto e considerato, in un’ultima
analisi, l’uso infausto del famoso ‘Lina Inverse’ che il vero
Pokota non aveva mai usato).
Il ragazzino capì al volo le mie intenzioni e mi bloccò,
spingendomi con violenza a terra, facendomi cozzare con la dura terra e schiaffandomi una mano sulla bocca in modo talmente
repentino che non riuscii neanche ad accorgermi del movimento. Ecco, se non
fosse stato per la maledizione di Eloise
non mi sarei ritrovata con le gambe rigide come pezzi di legno e la cosa si sarebbe presa subito un calcio
dove era possibile che gli facesse più male. (Dopotutto
anche Xelloss aveva creato la sua figura umana
talmente bene che quello era un punto sensibile anche per lui. Provare per
credere).
Il palmo della sua mano,
caldo e umidiccio, premeva con incredibile forza sulle mie labbra togliendomi
la possibilità di usare la magia. Essendo a cavalcioni su di me, una
posizione che non avrei approvato neanche in tempi migliori, la
sue gambe erano una morsa ferrea che mi inchiodava le braccia lungo i fianchi.
Mugolai e mi divincolai, furiosa e impotente.
“Quello che volevo
dirti e che ascolterai,” mi sussurrò, abbassandosi fino a sfiorare il
mio orecchio, “è che non ti devi preoccupare di quello che ti sta
succedendo… perché non è reale.”
Il coso si allontanò un po’, per guardarmi ancora negli
occhi. “Io non esisto davvero, qui, in questo momento. Ti dirò di
più: noi non ci siamo mai incontrati.” Si interruppe un attimo, pensoso. “ I tuoi
amici… neanche loro non sono in questo posto con te. Qui…”
indicò col mento, “non esiste.” Arricciò le labbra
nella parodia di un sorriso. “Tu sei sola.”
Cercai di liberarmi di lui,
muovendo il corpo e la testa con rabbia. Riuscii ad estrarre un braccio, reso scivoloso dal sudore, tentando
subito di centrarlo con un pugno. Non era possibile che la sua mano fosse
incollata alla mia bocca eppure sembrava fosse così, in più si
spostava troppo in fretta, come se prevedesse i miei movimenti, e non solo non
riuscivo a colpirlo ma neanche a sfiorarlo.
Posel scosse la testa, la sua espressione piena di
disappunto.
“Perché ti agiti
così? Questo non sta succedendo, io ti sto solo facendo un favore…”
In quel momento mi resi conto
che i colori della foresta stavano assumendo toni più chiari, poi
più scuri, alternandosi in modo sempre più veloce e ritmico fino
a sembrare macchie confuse.
Posel scelse quel preciso istante per concludere
il suo inquietante e folle discorso. “Questo non sta succedendo
perché… non hai mai lasciato il Mare del Caos!”
“COSA???”
pensai e dissi ad alta voce. Cosa stava dicendo? Io mi
ero salvata, grazie a Gourry e per intercessione di L-sama. Ero tornata sulla Terra e avevo conosciuto Filia, combattuto contro Dark Star, incontrato Wizer e Pokota… Le sue
parole erano ingannevoli e finte. Finte!
Posel sorrise ancora, mettendo in mostra una fila di dentini perfetti, il
capo ora coronato da una sorta di aureola purpurea. “Guardati intorno Lina
Inverse… tutto questo non è reale.” Con un gesto del
braccio, che riluceva adesso della stessa luce rossastra che aleggiava intorno
alla sua testa, indicò quello che ci circondava, il cielo che si
sfaldava, gli alberi che si fondevano col cielo, io e Posel
soli, a galleggiare in un mare di nulla dai colori vividi.
“Tu sei qui da
secoli… sola nel centro del nulla più profondo!”
Aprii gli occhi di scatto,
con il cuore mi batteva all’impazzata contro lo sterno, la gola secca e
il respiro spezzato, nelle orecchie ancora le parole di Posel.
Un incubo. Era stato un
incubo.
Come avevo fatto a non
capirlo? Un brutto sogno, tutto qui. Giorni e giorni di sfortuna imperante e
ferite più o meno gravi dovevano avermi
sconvolta ad un livello piuttosto profondo. Tutto qui. Niente di preoccuparsi.
Lina Inverse non ha paura di niente. Di niente!
Mi asciugai il sudore dalla
fronte, rabbrividendo mentre una folata di vento mi incollava
addosso gli abiti fradici. Respirai a fondo, sedendomi e massaggiandomi le
braccia piene di pelle d’oca per il freddo… e… e basta. No, non
mi ero spaventata. Sudore e pelle d’oca uno per il
caldo e uno per il vento. E non osate contraddirmi!
Intorno a me nessun Pokota, nessun Posel.
Solo i miei amici (e meno amici, vedi alla voce Eloise ed Emma) che dormivano. Qualcuno russava in modo più o meno convinto (Gourry,
che alternava respiri pesanti a veri e propri grugniti), qualcuno si rigirava
forse in cerca di una posizione più comoda (Amelia), qualcuno giaceva
silenzioso (Zelgadiss, Eloise
ed Emma).
Può sembrare strano
che nessuno montasse la guardia ma quelli erano i boschi intorno a Mahen e nei boschi intorno a Mahen non c’era anima viva. Aleksander ‘Sasha’ aveva sterminato i banditi e questi non
avevano osato tornare ad infestare la zona. Da voci orecchiate in paese da Zel sembrava si fosse sparsa una
qualche leggenda sul giustiziere della foresta… Nessuno, neanche i
residenti che sapevano cosa fosse accaduto, osavano bivaccarci. In ogni caso
Amelia e Zel avevano sorvolato la zona, mentre la mia
schiena finiva di guarire grazie al Recovery ed erano
tornati dalla ricognizione confermando la totale assenza di briganti o anche
solo di esseri umani, elfi, demoni o quant’altro.
Avevamo stabilito di dormire
mentre Zel, che aveva bisogno di meno sonno degli
altri, avrebbe tenuto le orecchie aperte. Al momento mi sembrava sdraiato ma in effetti non potevo dire con certezza se fosse sveglio o
meno… certo non aveva fatto una piega quando mi ero messa a sedere e se
(e speravo di non averlo fatto) avevo detto qualcosa mentre mi agitavo nel
sonno.
Non volevo però andare
a vedere se fosse o meno sveglio né parlare
dell’incubo che avevo fatto. Lo sciamano non era persona che amasse
tenere le manine degli altri né io desideravo qualcuno che lo facesse.
Avrei magari scambiato due chiacchiere, se lo avessi visto quantomeno seduto
davanti al fuoco, così invece non mi andava di raywingarmi
fino a lui e poi magari beccarlo assopito. (Cosa per cui avrei potuto prenderlo
in giro in modo simpatico il giorno
dopo, vero anche questo… allora quasi quasi…)
Alla fine chi prima chi dopo,
tutti (tranne Zel?) erano crollati. La giornata si
era rivelata davvero faticosa per tutti e a causa delle mie ferite non avevamo
potuto lasciare la foresta per cui l’unica soluzione era stata passare la
notte all’addiaccio. Poco male, eravamo abituati… ma io volevo un
letto vero! Non merita forse una povera ragazza mezza ustionata
un posto comodo dove dormire? E non dite che mi sono fatta male solo per
colpa mia! Se proprio volete saperlo, questa storia della maledizione attira-sfortuna non era solo una seccatura… stava
diventando un lavoro a tempo pieno. Ovunque andassi, qualsiasi cosa facessi, mi
si ritorceva contro facendo in modo che mi ferissi in modo più
o meno grave. E la cosa sembrava peggiorare. A più livelli ero
diventata una specie di catalizzatore di sfortuna e tutti subivano le
conseguenze. Questa cosa era decisamente odiosa. Per
una che ha sempre voluto essere indipendente, ero diventata una specie di peso.
Gli sguardi dei miei amici contenevano sempre più espressioni di preoccupazione
e qualche volta di seccatura (sì, Zel, sto
parlando di te) e devo dire che era impossibile dar loro torto.(Era impossibile mentalmente, mai e poi mai avrei concesso
loro di condividere ad alta voce quel genere di pensiero. La famosa maga-genio
Lina Inverse non può e non deve avere la fama di attira-sfortuna!)
Ero finita pugnalata, avvelenata e quasi morta
dissanguata, paralizzata, quasi pugnalata, rapita (bè,
anche l’intervento di Xelloss lo si poteva
infilare nelle disavventure), assordata e ustionata. Non sapevo cos’altro
poteva capitarmi e non volevo neanche provare ad
immaginarlo. Cercavo in ogni modo di non levitare vicino a famiglie di cactus,
nel caso. Dovevo assolutamente trovare un modo non cruento (sono una ragazza
generosa, lo so) per spezzare quella maledizione.
A causa dell’esplosione
e dell’incendio i miei preziosi capelli (lacrimuccia di commozione) erano
finiti nel vento e adesso mi ritrovavo con i corte
ciocche flosce e… come se non bastasse, avevo dovuto salutare per sempre
anche il mantello e… bè, la mia tunica.
Per pudore, per curarmi la schiena bruciata, Amelia aveva solo allargato quello
che ne rimaneva… ma il fatto era che non potevo più usarla. A meno che mi andasse andare in giro con un’enorme e
frastagliata presa d’aria sulla schiena. Per tamponare la mia mancanza di
abiti, la principessa aveva sacrificato
il suo mantello bianco ed Eloise mi aveva prestato
gli abiti che aveva portato come ricambio. Sì, a diciannove anni mi
andavano a pennello mi stavano un
po’ grandi gli abiti di una quasi quindicenne. Problemi? Ero io ad averli, i problemi. Si poteva dire
tutto di Eloise, tranne che avesse buon gusto nel
vestire. Ecco come ero vestita (e non dite che la
colpa è solo mia perché sono andata ad infilarmi in un posto ad altissimo
rischio di incendio!!!):
Magliettina con boccioli di
rosa su sfondo verde, calzoni marroni a zampa di
elefante decorati con altri boccioli di rosa su ogni maledetta cucitura e sandaletti
in cuoio coordinati. Avevo cercato di infilarmi gli stivali ma… facevo
più ridere ancora.
…
Ma dai! La grande Lina Inverse! La bellissima
maga-genio! Colei che sconfisse Shabranigdu e altri
due signori dei demoni! (Bè, più o meno gli altri due ma insomma, perché
sottilizzare!)
Vestita così!!!
Intendiamoci… non è che disprezzi gli abiti femminili, per
carità, più che altro non sono comodi né pratici e non mi
ci sento a mio agio… ma viaggiare con abiti a fiorellini mi turba
seriamente il sonno. Ah! Ecco spiegato l’incubo allora! Visto? Tutta
colpa di Eloise!
Ecco. Fantastico. Il sonno mi
era passato del tutto al pensiero di come ero conciata
(sigh) e di come la
gente mi avrebbe vista. (Suona un po’ alla Zel, vero? Sì, ci sono problemi più gravi nel
mondo… ma anche la dignità ha un certo peso nella mia scala dei
valori!) Eppure dovevo dormire… non potevo pensare di usare la magia
(anche solo per trasportarmi qua e là) con quel poco cibo che avevo
mangiato (per lo più bacche e radici ottenute unendo le esigue scorte
mie e di Zel e un pezzettino del cinghiale catturato
da Gourry) e per di
più senza aver chiuso occhio. Oltretutto non con appesa sulla mia
graziosa testina la maledizione attira-sfortuna di Eloise.
Mi girai su un fianco, col
volto rivolto al fuoco e un braccio sotto alla testa.
Presi un respiro profondo e chiusi gli occhi. Amelia mugugnò qualcosa
nel sonno ed Eloise rispose con un grugnito. Rimasi
immobile cercando di svuotare la mente e riempirmi di nuovo le orecchie con i
suoni della notte, che poco prima mi avevano cullata,
sperando che mi aiutassero a dormire (senza altri incubi, grazie). Rimasi
immobile un sacco di tempo, fino ad avere il braccio insensibile, sveglia come
un grillo. Ad un certo punto decisi di cambiare
posizione quando un rumore inaspettato mi surgelò. Uno schiocco e poi
un’imprecazione sussurrata.
“Maledizione!”
Era la voce di Zel! Che dovesse andare a fare i suoi
bisogni? Dopotutto non era detto che le bacche che avevamo ingurgitato non
avessero qualche piccolo effetto collaterale… oh bè,
ma se così fosse stato non sarebbe toccato a
me, volare nella foresta tenendomi la pancia???
Socchiusi gli occhi. Lo
sciamano stava tentando di muoversi silenziosamente. Che carino, non voleva
svegliarci… Già, come no, tutto circospetto poi… come se non
svegliarci fosse della massima importanza… un po’ troppo rispetto
agli standard di convivenza alla quale eravamo abituati, eh? Oh, Zel, cosa stai combinando?
“Raywing!”
Eh, bè…
Zelgadiss se la stava svignando. IO potevo castare
un Raywing se avessi dovuto correre nella foresta in
preda a funesti crampi ma… Zel? Eh, caro Zelly! La bellissima maga-genio non solo
non sta dormendo ma questa non se la lascia scappare… soprattutto
perché il buon Zelgadiss stava filando come un
razzo in direzione Mahen. E
io sapevo cosa c’era a Mahen che poteva spingerlo
ad andarci nel cuore della notte, senza dirlo a nessuno. Perché non
lasciarlo andare da solo? Bè… se davvero
ci fosse stato qualcosa nella ‘villa di Aleksander’ mi sembrava giusto sovrintendere ai
lavori! Dopotutto la posta poteva essere abbastanza alta se in mezzo agli
incendi aveva mollato Amelia da sola a spegnerli e lui era tornato a dare una
buona occhiata… Già, non mi ero bevuta neanche per un secondo la frottola che era stato il fumo a
dividerli… forse Amelia con tutta la buona fede del caso (e
l’evidente cotta per lo sciamano) poteva lasciarla passare, magari
addirittura crederci… ma a me non la faceva neanche per scherzo. Lo
sciamano era una persona seria ma quando si profilava una possibile cura per la
maledizione di Rezo (infondo eravamo un po’
tutti maledetti, eh?) poteva succedere di tutto…
Mi misi seduta, guardandomi
intorno. Gourry aveva smesso di russare ma sembrava
ancora profondamente addormentato e così gli altri. Contavo sul fatto
che la piccola sortita mia alle calcagna di Zel non
sarebbe stata lunga. Immaginavo che lo sciamano non pensasse di passare fuori
tutta la notte (né eventualmente di squagliarsela, visto e considerato che era nostro amico, nonché guardia
scelta da Phil per proteggere sua figlia e soprattutto
che aveva lasciato indietro… il suo sacchetto di monete! Ah, Zelly, sei davvero di fretta per dimenticare il danaro!) perché altrimenti avrebbe lasciato qualcosa
di scritto però… non si poteva mai sapere. Raccattai un a pietra abbastanza pesante per fermare il foglio di
carta strappato al mio prezioso libro degli incantesimi e, con la mia piuma
d’oca da viaggio un po’ spuntata, scribacchiai un veloce
“Torniamo subito.” Sopprimendo il desiderio di dare
un’occhiatina (ooooh,
del tutto innocente! Solo per sapere con quanti soldi viaggia e se Phil gli ha
dato il sigillo di Saillune!) al
‘borsello’ di Zel, misi la pietra
al centro del mantello di Amelia, ben visibile.
“Raywing!”
Eccomi
sfrecciare sopra agli alberi, il mantello svolazzante di Zel
un punto lontano a farmi da guida.
Finito il bosco
lo vidi atterrare ed io iniziai a scendere un po’ prima di lui, in modo
da osservarlo a distanza, senza essere vista. O almeno, questo sarebbe stato il
piano. Se non fosse che quando arrivai a terra, venni
investita da un missile che mi centrò esattamente in mezzo alla schiena,
scaraventandomi diversi metri avanti, a faccia in giù non senza avermi
strappato un grido da far gelare il sangue nelle vene, riecheggiato a lungo da
uno stormo di corvi incazzati neri (dei quali condividevo i sentimenti
negativi) per il brusco risveglio.
Mentre avevo ancora il naso
ben piantato nel suolo avvertii chiaramente che
qualcuno si stava lamentando… e non ero io. Alzai il viso, sfregandolo
con foga per togliere la terra che avevo perfino in bocca.
“Ma sei… scema???” mi aggredì Eloise,
massaggiandosi la fronte. Cos…?
Io strabuzzai gli occhi, poi
con molta calma, mi infuriai.
“Che-diavolo-ci-fai-qui?!”
La mezza elfa
strinse gli occhi, mettendosi le mani sui fianchi. “Ti seguivo, mi sembra
ovvio!”
“E perché mai???” strillai indignata. Ma adesso pure dovevo essere
perseguitata a questa maniera???
“Ah, ma non è
possibile…” sospirò una seconda voce, alle mie spalle. Non
dovetti neanche girarmi. Beccata.
Eloise scosse la testa. “Ecco, mia nonna mi ingabbia una maledizione per far soffrire te, rapisce il
tuo fidanzato che ti ama e tu ti incontri clandestinamente con ‘ragazzo
pietroso’!”
Cosa???????
“Ragazzo… ragazzo pietroso?” Zelgadiss
ci raggiunse, strabuzzando gli occhi. “Come mi hai chiamato,
ragazzina?” Sembrava non aver gradito l’appellativo. Come dargli
torto? Detto poi dalla ex nanetta
malefica con quell’arietta da saputella… No, niente Dragon Slave,
mi sembrava esagerato e poi lo sciamano si sapeva benissimo difendere da solo.
“Eloise…”
la richiamai con tono di avvertimento. “Guarda che non hai
capito…” proseguii con tono scocciato.
“Già, Lina, mi
piacerebbe davvero tanto sapere cosa ci fa lei
qui.” Lo sciamano mi lanciò un’occhiataccia. “Ma soprattutto,”
aggiunse, “che cosa ci fai TU.”
“Lei qui presente ha un nome.” Rimbeccò Eloise alzando il mento con fare strafottente.
“Detto da una che mi ha
chiamato… ‘ragazzo pietroso’, poi...
il massimo della coerenza, eh?” Si accigliò Zel.
“Uh,
che suscettibile… va bene, ZERUDIGAS. Contento? So il tuo nome!” Eloise alzò le spalle poi tornò a guardare me.
“Questo è il colmo, Lina! Davvero, dopo tutto quello che hai passato tradisci il tuo
ragazzo…” La mezza elfa scosse
l’indice, alla Amelia.
“E’ Zel-ga-diss!” Urlò lo
sciamano mentre una grossa vena iniziava a pulsare in modo evidente sulla sua
fronte. “E non dire eresie!”
“Piantala
con ‘sta storia!!!” Ti Dragonslavizzooooooooo!
“Guarda che ti prendo
in giro… ma se ti arrabbi così magari non
ho poi sbagliato di tanto.” Continuò la mezza elfa
sorridendomi in modo maligno.
“Eloiiiiiise!”
Davvero, a tirarle il collo ci avrei solo guadagnato.
“Ok, calmiamoci.”
Disse Zelgadiss tra i denti, alzando le mani. Non
sembrava molto calmo a guardarlo bene ma almeno non urlava più. Io mi
stavo mordendo le labbra per evitare di pronunciare la formula che avrebbe
fatto saltare in aria tutta la foresta e mezza Mahen.
Eloise ci studiava a braccia incrociate con
l’espressione di una che la sa lunga.
“Tu,”
mi apostrofò Zel, “cosa ci fai qui? Non è che mi stavi seguendo… vero?”
“Ahahah!” risi cercando di assumere la mia migliore
espressione da agnellino, “ma cosa vai a pensare, Zel? Ti pare che ti pedinerei nel cuore
della notte?” Spalancai gli occhi e li sbattei.
“Visto? Stai flirtando! Mi deludi, Lina…” intervenne ancora Eloise. Non aveva capito quanto fosse pericoloso il suo
comportamento… era il caso di darle una lezione, vero? Vero???
“Chiudi il
becco!” le dicemmo all’unisono io e lo sciamano. Poi Zel tornò a guardami.
“Allora, Lina?”
“E va
bene…” risposi grattandomi la guancia con l’indice, “ti
seguivo per vedere se stessi andando alla ‘villa di Aleksander’…”
misi da parte il tono ‘intimidito’
“perché è lì che stavi andando vero, Zel?”
Lo sciamano sospirò,
abbassando la testa.
“Tutti alla
‘villa di Aleksander!” gridai alzando il
pugno. Eloise mi fissò stranita e poi
alzò il pugno a sua volta.
“Evviva.”
Borbottò lo sciamano e io feci finta di
ignorare il suo tono scocciato.
Zelgadiss sbuffò, poi mi guardò fissa negli occhi,
ignorando completamente Eloise. “In ogni modo
non possiamo entrare a Mahen volando. Quando la
città andava a fuoco ho colto commenti che
parlavano della malvagia strega che dopo aver rapito ‘il Campione’
avrebbe chiamato i suoi amici demoni per incendiare la
città…”
Alzai gli occhi al cielo.
Stupidi paesani.
“Quindi,” continuò lo sciamano, “dobbiamo
trovare un modo per entrare in paese senza farci notare troppo. Anche se io
continuo a non volervi tra i piedi.” Sottolineò poi, mugugnando in modo comunque udibile.
Io lo capivo, davvero. Eloise era una vera seccatura.
Ah, io sarei stata inclusa nel suo discorso? Ma non
diciamo scemenze!
Eloise alzò la mano. “Io e te
portiamo il nostro fratellino ubriaco a casa. Che te ne
pare?” Mi scoccò un’occhiata. “Lina, sei tu il
fratellino. Sei la più bassa, sembri un maschio… tutto perfetto
quindi.”
Sembro… sembro un maschio???
Stavo per aprire la bocca
quando Zel mi precedette. Ah! Qualcuno mi difendeva!
“Direi che il nostro
fratellino ha dei gusti strani in fatto di vestiti… non ci sono un
po’ troppe roselline su quel vestito?”
Ecco, non era esattamente
quello che avrei definito una difesa di mio gradimento.
Eloise alzò le spalle. “Allora la nostra
sorellina, la tua ragazza, quello che ti pare.”
“Scusate,
eh? Non varrebbe
la pena di consultarmi?” replicai piccata.
Zel mi freddò con lo sguardo. “Lina, non
vorrei farti notare che anche solo il fatto di portarti con me potrebbe dare origine ad una
catastrofe. Cerca di non complicare le cose.” Strinse le labbra.
“In ogni modo io non voglio
portarvi con me. Ci sono costretto, sia chiaro. Se succede qualche disastro io non vi conosco.”
“Ah, Zelgadiss, mi
ferisci,” mi precedette Eloise.
“Come potresti abbandonare una povera ragazzina e una paralitica da sole
nel bosco?” Come… come mi
aveva chiamata?
“Mettimi alla prova,” sibilò lo sciamano.
“Dai, basta
litigare!” dissi sfoggiando il mio miglior sorriso. “Ormai siamo
d’accordo di andare quindi… in marcia!” Entrambi si
azzittirono e mi guardarono. Poi Zel lasciò
andare un lungo sospiro mentre Eloise annuiva in modo
esagerato.
In effetti la soluzione
proposta da Eloise, per quanto odiosa, calzava. Non
potevo camminare ma se la mezza elfa e lo sciamano mi
avessero retto avrei potuto passare semplicemente per
sbronza.
E così fu che uscimmo
dalla foresta come tre amici di cui uno pesantemente ubriaco. Attraversammo per
alcune centinaia di metri la città addormentata, passammo davanti a
qualche bettola e poi ci fu il primo ‘ostacolo’. Fino a quel momento
nessuno aveva fatto particolarmente caso a noi ma sicuramente era impossibile
non trovare qualche cittadino zelante…
“Ragazzi! Che succede?” mentre mi guardavo le punte dei sandali,
mollemente appoggiata a Zel ed Eloise,
mi raggiunse la voce di un vecchio. “Il vostro amico sta
male?”
Poco dopo un paio di zoccoli occuparono il mio campo visivo. “Povero
ragazzino… ancora un bambino e già così ubriaco. I giovani d’oggi…”
Sentii Eloise
sussultare. Stava… ridendo? Mentre Eloise si
contorceva, cercando di non far rumore in preda alla ridarella, il vecchio
continuava la sua tiritera. “Ahhhh, questi
giovani… non si regge in piedi.” Ok,
continuava a darmi del maschio, con un tono di fastidiosa riprovazione nella
voce. Va bene, la zona non era molto illuminata, magari non vedeva le roselline
ma per Ceiphied! Non sembro un ragazzo!
“Non si preoccupi,” Zel cercò tagliare
corto di pararci le chiappe, per quanto possibile, “adesso lo portiamo a
casa.”
Un momento di silenzio e il
vecchio riprese. “Che brutto colorito che hai, ragazzo mio!”
Avvertii distintamente lo sciamano irrigidirsi. “Anche tu non stai mica
bene!”
Eloise intanto tentava in tutte le maniere di trattenersi.
Le pizzicai con forza il braccio e lei mi mollò un calcio, facendo
traballare la nostra già precaria posizione. Il vecchio si piazzò
vicino al mio viso.
“Stai attenta, carina.
Mi sa che sta per vomitare!” annusò l’aria vicino alla mia
bocca. “Mamma mia che puzza! Ma cos’ha
bevuto?” Coooooooooosa? Cosa vorrebbe dire questo vecchio imbecille? “Romilda!
Romilda, vieni qui che ci
sono dei ragazzi in difficoltà!”
Il vecchio iniziò a
zoppicare verso casa sua e verso ‘Romilda’.
Appena ci diede le spalle Eloise prese a ridere senza
ritegno.
“Dobbiamo
filarcela.” Disse tra i singhiozzi.
Zel era completamente ammutolito e
io ero furiosa.
“Zel-ga-di-ss,” lo richiamò la mezza elfa,
“vedi di volare altrimenti non so come andrà a finire.”
Lo sciamano si riscosse e,
scoccandole un occhiataccia, richiamò il Raywing. Una bolla ci avvolse e ci alzammo in aria, sempre
più in alto. Vidi il vecchio tornare, seguito da un’enorme donna
in grembiule. Si guardarono entrambi in giro, senza vederci e poi lei
iniziò ad inseguirlo con un mattarello gridando
qualcosa che somigliava tanto a ‘brutto vecchio ubriacone’.
“Bè,
se potevi volare in una bolla d’aria, allora avresti potuto usarla da
subito.” Eloise sapeva davvero irritare i nervi
come poche persone al mondo.
“Tu non dovevi neanche
essere qui,” le disse Zel
in tono piatto, “non credo accetterò consigli da te.”
Nonostante avesse impostato
la voce a simulare indifferenza, si vedeva da lontano che era seccato. E non
poco. Lo sciamano si mise a guardare in lontananza mentre il cielo nero
sembrava inghiottirci.
Non era difficile capire
perché non avesse voluto volare fino alla Villa… anche a questa altezza un occhio fine ci avrebbe visto, a causa dei
colori chiari degli abiti di Zel e soprattutto di
quelli bianchi indossati da Eloise. In più
sulla bolla si riflettevano i colori scintillanti, in caso di
incendio o anche solo il fuoco di un bivacco, ci avrebbero subito
individuato. E una folla inferocita poteva fare un sacco di danni, soprattutto
se tu per primo non potevi farla saltare in aria.
Per nostra fortuna, arrivammo
alla Villa senza altri inconvenienti. Stranamente, ed è proprio il caso
di sottolinearlo, nessuno ci vide e non c’erano
stupidi paesani con torce e forconi ad attenderci.
In realtà della Villa
in sé non rimaneva molto… solo macerie bruciacchiate. Mi voltai
verso Zel con sguardo interrogativo. Lo sciamano
indicò un punto non lontano da noi.
“Il sotterraneo
è più o meno integro… in
realtà non c’è niente se non una strana botola. E’
quella che mi interessa.”
“Zel,
per caso hai usato un Bomb
de Wind?” Non era probabile che il sotterraneo fosse sgombro ma a
guardare in quel momento sembrava che qualsiasi cosa avesse contenuto fosse
stata spazzata da un ciclone.
Lo sciamano si incamminò senza rispondere. Eloise
mi caricò in spalla. “Ehi!”
“Mi sembra che quando
usi la magia per il volo ti stanchi molto.” Sollevai le sopracciglia.
“Se arrivano i contadini infuriati preferirei
non essere nelle mani solo di quello là. Quindi
ti risparmio la fatica.” Tacqui mentre proseguivamo seguendo la schiena
della chimera.
Quando fummo davanti alla
famosa botola, Zelgadiss si inginocchiò
e ne accarezzò i bordi con fare pensoso. “Non c’è
modo di aprirla.” Sospirò poi.
“Cos’hai provato?” Era chiaro che aveva tentato con la
magia… anche se non riuscivo a percepire nulla di strano in quella zona. Potere,
sì, ma non capivo di che genere ma non ero certa se fosse legata da un
incantesimo (anche se era probabile) né di che tipo.
“Forse è il caso
che rimanga chiusa…” interruppe Eloise.
Le sue parole erano anche sagge, visto tutto quello che poteva accadere in casi
simili, ma lo sciamano non aveva intenzione di darle retta. E
io neanche.
“Non vedo ragioni
perché tu rimanga qui, puoi tornare al campo se non trovi di tuo
gradimento quello che sono venuto a fare.” Zel
la guardò strizzando gli occhi, poi si rivolse di nuovo a me. “Ho
provato il Flow Break ma senza risultati. Ho tentato anche di far esplodere il
suolo ma nonostante sia saltato in aria tutto, quella è rimasta al suo
posto. E sempre chiusa.”
“Che suggerisci?”
Visto che ero qui, tanto valeva tentare qualcosa.
“Un piede di
porco?” si inserì Eloise.
Giuro che mi parve di sentir uscire dalla bocca dello sciamano un ‘già provato’ detto a mezza voce, poi
però rispose in modo udibile.
“Laguna Blade.” Wow, addirittura? L’arma che poteva
tagliare il Piano Astrale… per una botola?
“Scusate ma se è
una porta, non basta bussare?” così dicendo Eloise
si chinò, e io con lei, e battè
col pugno sulla botola.
“Se vuoi fare la spiritosa vai da un’altra part…” le parole
di Zel si interruppero perché in quel preciso
istante la botola si aprì e una forza potentissima iniziò ad
attirarci al suo interno. Un vento furioso mi sferzava il viso mentre cercavo
di aggrapparmi alla mano dello sciamano, che si reggeva a stento al bordo del
buco nero sotto di noi. La mezza elfa gridava, anche
se non capivo neanche un parola di quello che stava
dicendo. La pressione era sempre più intensa fino a che mi parve di
venire letteralmente strappata da Zelgadiss. Lo vidi poi
cadermi addosso ed Eloise emise un unico urlo, acuto.
Precipitavo. L’aria
fredda mi colpiva il viso mentre cadevo e cadevo,
diretta verso una superficie scintillante, di un bianco tanto intenso da
ferirmi gli occhi .
“Forza del…”
scossi la testa “forze… forze
del…” Inutili i tentativi di castare un
qualsiasi incantesimo, le parole si sovrapponevano, aggrovigliandosi in frasi
senza senso. Ad ogni sbaglio sentivo la frenesia e il
panico afferrarmi con dita gelide mentre lo specchio crudele di quello che
sembrava un lago ghiacciato era ormai su di me e io su di lui.
L’impatto del mio corpo
ruppe la crosta sottile e io sprofondai. Mi inabissai e il freddo intenso delle acque avvolse il mio
corpo in un abbraccio mortale, spezzandomi il fiato e trascinandomi con
sé nel silenzio siderale del nulla. Mentre i corti capelli fluttuavano
intorno alla mia testa, il suono ovattato di una voce estranea al mondo di
giada che ormai era la mia casa ghiacciata, mi reclamava verso l’alto
dove un cielo scuro richiamava la mia presenza, la mia vita.
All’altezza dei miei
occhi una piccola sfera rossastra prese vita, crepitando. Allungai le dita per
sfiorarla e quando lo feci si posò sulla mia
mano. A dispetto della situazione mi trovai a fissarla ipnotizzata.
In quel momento mani
invisibili ma delicate iniziarono a sospingermi verso l’alto mentre la
mia bocca si apriva, affamata d’aria. Non potevo ancora respirare ma
dovevo farlo. Il mondo sottomarino non era la mia casa, non era la mia casa, non era la mia casa.
Improvvisamente fui su una
sabbia bagnata e appiccicosa, boccheggiando e vomitando, i polmoni in fiamme e
la mente che lottava per tornare alla lucidità.
Quando smisi di tossire e il
mio respiro fu di nuovo regolare, alzai gli occhi verso un cielo nero come
l’inchiostro, dove una luna argentea enorme sembrava nuotare placida,
attorniata dalla sua corte di stelle brillanti.
Faceva freddo e i miei abiti
zuppi non aiutavano. Avevo un vago ricordo di come fossi giunta in quello
strano posto e del fatto che non fossi stata in grado di volare ma solo di
cadere. Stringendomi le braccia al corpo, girai la testa per cercare di
orientarmi in quel mondo alieno eppure misteriosamente familiare e allora la
vidi.
La casa.
Una casa che mi ricordava
un'altra casa, un posto che avevo sì conosciuto anche
se non sapevo quando, né dove. Sapevo però che avrei
dovuto raggiungerla e allora, solo allora, sarei stata al sicuro. Da dove mi
venisse quella certezza non avevo idea ma ero
consapevole di dover andare là e spingere i battenti scheggiati,
aggrappati alle mura annerite. Sapevo che la facciata non era che un riflesso,
che la sua sagoma imponente, seppur in rovina, non era
che un eco.
Mi alzai in piedi, impacciata
dalle lunghe vesti incollate alle mie gambe e barcollai sul ghiaietto che
conduceva alla porta, slittando sulle suole scivolose delle mie scarpe, mentre
le lunghe ciocche gelide dei miei capelli, sfuggite allo chignon, sgocciolavano
sul collo, facendomi rabbrividire ancora una volta. Ma ecco che i primi
gradini, che mi avrebbero condotta al luogo del mio
riposo, si profilavano. Il quarzo scintillava alla luce della luna mentre
osservavo che altre orme umide avevano preceduto le mie.
Quando alzai lo sguardo, la
porta si aprì.
“Benvenuta.”
Disse la sua voce mentre il suo corpo si protendeva verso di me, nel gesto che
mi era tanto familiare. Il mio cuore si scaldò e gli sorrisi. “Dammi il mantello e accomodati. Sarai trattata con
ogni cura, come al solito.” Mi tese la mano.
I suoi lineamenti,
stranamente evanescenti, si facevano man mano sempre più nitidi, mentre
solo qualche ricciolo ribelle sfumava nell’aria. Era sempre stato bello,
anche se davanti a lui non lo avrei mai ammesso, ma adesso mi sembrava quasi
più attraente del solito. I tratti che ricordavo severi si stemperavano
nell’espressione dolce mentre mi tendeva la mano. Forse era il tempo
passato senza di me a renderlo così? Quanto tempo
lontani…
La afferrai,
le sue dita sempre più solide tra le mie. Al suo fianco potevo tutto,
ogni mio desiderio diveniva realtà, ogni mio capriccio, legge. Sarei rimasta
al suo fianco per sempre. Avrei dimenticato il tradimento e condiviso il
potere. Potevo farlo. Volevo farlo.
Ero la sua piccola straniera,
lo ero sempre stata. Ebe,
la coppiera degli Dei. Lo ero mentre mi accomodavo sulla poltrona, i miei
capelli asciutti e morbidi tra le sue dita, la sua bocca sul mio orecchio. Era
quello che desideravo, bramavo il suo calore e le sue mani su di me e lui lo sapeva. Mi conosceva così bene. Con le dita tracciava
sentieri tortuosi sulla mia schiena, strappandomi brividi di piacere mentre
entrambi pregustavamo quello che sarebbe venuto dopo.
Le sue labbra sulle mie,
morbide. Gourry.
Battei le palpebre. Qualcosa
di strano stava capitando. Lui mi guardava adesso con occhi languidi e
continuava a sfiorarmi la mascella. Era quello che desideravo, ovviamente, eppure…
Gourry?
Scossi la testa aggrottando
le sopracciglia. Nella mia testa, invece del desiderio per lui, era spuntato
quel nome. Nella mia mente si andava ripetendo, come un mantra che alla fine
perde il suo senso e diventa una serie di suoni. Gourry Gourry Gourry…
perché quel nome interferiva?
In quel momento mi svegliai.
Mi svegliai davvero.
Muri scrostati grigiastri mi
circondavano mentre stringevo convulsamente un tavolo tarmato. Caddi sulle
ginocchia, battendole con violenza sul pavimento lercio e rovinato. Faceva un freddo cani e non c’era un punto del mio corpo a
non lamentarsi di dolori vari.
Avevo le mani insanguinate,
sporche di terra e ghiaia, che si erano amabilmente infilate nelle ferite. Anche
le braccia erano graffiate in vari punti e i pantaloni strappati. Puzzavo di
alga marcia e in bocca avevo un retrogusto nauseabondo, come se avessi bevuto
melma. Tossii e sputacchiai in preda al disgusto.
Dove diavolo ero?
Dove erano gli altri?
Ma soprattutto… chi diavolo era l’essere che mi aveva accolta e
incantata?
Non me lo ero sognato, era
impossibile. Qualcosa mi aveva attratta nella casa, la
stessa cosa aveva creato un’illusione tanto potente da riuscire per breve
tempo a confondermi… e poi… quando ero riuscita a uscire dal sogno,
era svanito tutto. Eppure potevo quasi risentire il fiato caldo di
quell’… uomo… nell’orecchio.
Strinsi i pugni, sussultando
alla fitta di dolore delle mie povere nocche spellate e gridai.
“Dove sei?”
Nessuno rispose eppure ero
certa che chiunque fosse, qualunque cosa fosse, era in ascolto.
“DOVE SEI?”
Se solo mi fosse venuto in
mente il suo nome… perché ero sicura che nella mia mente fosse
apparso, accanto alle di lui gesta e brame.
“VIENI FUORI!”
Dovevo capire cosa stava
succedendo. Pensa, Lina. Pensa.
Una botola. Un botola che si apre come una porta, dopo aver bussato.
Una botola che si apre…
su una realtà fittizia, su un mondo… parallelo?
Un mondo parallelo ma
instabile.
Un mondo magico o retto su un
incantesimo.
Un ponte.
La villa di Aleksander aveva una porta di accesso a…
La villa dove ero entrata era
uguale nell’aspetto alla villa di Aleksander.
Le due ville erano collegate.
Ma… che tipo di incantesimo teneva attivo il ponte e “questo”
mondo?
E… chi era il padrone
di casa?
Allungai le mani.
Potevo provare con il Ferious Breed… richiamare
un volatile dal mondo reale per spezzare l’illusione… meglio di niente.
Chiusi gli occhi,
concentrandomi. L’incantesimo fluiva spedito, le sue parole nitide nella
mia mente.
“Ferio…”
Una morsa di fuoco mi strinse
mani e braccia, mozzandomi il fiato.
Caddi a faccia in avanti,
resa muta dallo shock, ansimando pesantemente.
Le mani pulsavano, in fiamme.
Un dolore sordo attraversava
entrambi i polsi, arrampicandosi fino ai gomiti.
“No, no, no… non
si usa la magia.”
La sua voce non era
più gioviale, non era più sensuale. La sua voce era seccata.
“Chi sei?”
gridai, accecata dalle lacrime. Il dolore a mani e braccia era a malapena
sopportabile.
La sua sagoma riapparve
davanti ai miei occhi e il mondo cambiò, tornando ad
essere caldo e illuminato, vagamente opulento. Il fuoco scoppiettava nel
camino, il tappeto era morbido sotto alle mie gambe.
Le mie mani, le braccia non sanguinavano più. I capelli erano di nuovo
lunghi. Potevo alzarmi. Sapevo che se mi fossi alzata, non sarei caduta. Ma il
dolore causato dall’aver provato ad usare la
magia, quello rimaneva, vivo e acuto come non mai.
Quella cosa faceva parte o
aveva creato l’illusione più potente al mondo.
“Mia piccola straniera,
mi spiace che tu debba soffrire… ma non puoi spezzare l’equilibrio
del mondo di sotto. Qui quel tipo di magia non si usa.”
I suoi lineamenti si
ricomponevano più lentamente, adesso. Era un uomo alto, alto come Gourry, dal fisico
longilineo e atletico. I ricci neri scendevano come una tenda davanti al suo
viso, leggermente abbassato, nascondendomi gli occhi. Solo il naso, affilato,
faceva capolino tra le onde e le sue labbra, arricciate in un sorriso ricurvo.
Alzò la testa, permettendomi di vedere i suoi occhi,
di un blu così profondo da sembrare neri. Occhi seri, intensi, non
raggiunti dalla piega allegra delle labbra.
Non lo conoscevo. Non avevo
la minima idea di chi potesse essere.
“Io ti ho dato quello
che tu desideravi…” fece una piroetta a braccia aperte, lasciando
dietro di sé una scia luminosa che seguiva il movimento.
“Dopotutto questa è la casa dei desideri!”
“La casa…” bè, ci stava. L’illusione del camminare…
dei capelli… erano tutte cose che desideravo. Ma…
ehi! Aspetta un attimo. Lui… lui stava cercando di… Sentii una
vampata mentre arrossivo furiosamente.
Strinsi i pugni.
“Desideri, eh? I MIEI, giusto?”
“Certo.” Rispose
con voce calma.
“IO NON CREDO DI AVER
MAI DESIDERATO CERTI TIPI DI EFFUSIONI!” sputacchiai. Un modo sicuro per
alterarmi? Questo. Era stato davvero lesto a scoprirlo.
“Puoi mentire a te
stessa ma non a me, piccola straniera. Io leggo il tuo animo.”
Avvertivo chiaramente che
avevo raggiunto il limite. E non dite che lo raggiungo in fretta… non mi
era mai capitato di incappare in una rogna dopo l’altra e tutto questo
grazie ad Eloise. (E non dite che se non avessi
insistito per andare ad Ehltarien
non sarebbe successo niente).
“Non-chiamarmi-piccola-straniera!” sbraitai,
avanzando minacciosa. “E poi: io non desidero quel tipo di contatto con
nessuno –zitti!- tantomeno con TE!”
A quelle parole il sempre
misterioso uomo alzò le sopracciglia. “Me?” disse
indicandosi il petto, in un gesto che mi ricordò Gourry
facendomi provare un involontario moto di nostalgia. Ceiphied,
eravamo via solo da qualche ora! O forse no… come funzionava il tempo in
quella casa?
Prima di poter porre la
domanda, mi ritrovai col viso dell’uomo ad un
palmo dal mio. Feci un salto indietro per la sorpresa.
“Meeeeee?”
ridisse, con tono orripilato. Anche i suoi lineamenti
adesso riflettevano il turbamento interiore.
Annuii decisa, con gli occhi
a fessura e le braccia incrociate. Sbuffai mentre piccole lacrime apparivano
agli angoli dei suoi occhi. Provai di nuovo a chiedere del tempo nella casa ma
ancora una volta non riuscii neanche ad aprire bocca.
“Hai visto ME? Me e non un bel ragazzo biondo?”
Il rossore sul mio viso si intensificò. Cos’era quel caldo fastidioso?
Faceva davvero troppo caldo in quel posto.
“Ho visto te.”
Sorvolai su il ragazzo biondo.
Un secondo dopo la casa era
di nuovo fredda e spoglia, puzzolente e sporca. Dall’angolo più
buio proveniva un pianto sommesso.
Ah, dimenticavo di menzionare il fatto che ero di nuovo piombata a terra.
“Buuuuuuuuuu….
Sono pessimoooooooo….” Singhiozzò
la voce in tono lagnoso per poi aggiungere in tono lugubre, “La mia magia
si sta esaurendo…”
“Errrr…”
Non sapevo davvero se essere furiosa o mettermi a ridere istericamente.
“Senti…”
Nello spazio di un attimo mi
ritrovai nuovamente in piedi, a volteggiare in una sala splendidamente
arredata, abbigliata con un abito all’Amelia, i capelli raccolti in
morbidi riccioli. Della musica soave riempiva la stanza e decine di ballerini
danzavano a tempo insieme a noi.
“E adesso…”
sussurrò l’uomo, che mi teneva una mano sul fianco. I suoi capelli
ricci erano ora di un ridicolo colore biondo ma i connotati erano ancora i
suoi.
Strinsi gli occhi. “No.
E piantal…”
BAM.
A terra di nuovo. Da sola.
Buio. Freddo. Puzza.
“Devi piantarlaaaaaaaaaa! Torna qui razza di demente!”
Apparve al mio fianco, testa
bassa e gambe incrociate. I viso era coperto dai
capelli.
Ero stufa dei giochetti. Casa
dei desideri o no volevo andarmene e ritrovare Zel ed Eloise.
“Senti…”
Non avevo idea di come si chiamasse. Ne come fosse
lì. Né dove fosse il suo corpo fisico, se mai ce ne fosse stato
ancora uno. Tutte cose che mi intrigavano, in modo
scientifico, anche se sapevo che avevamo lasciato al campo Gourry
e Amelia e che dovevamo andare presto da loro.
Alle mie parole l’uomo
aveva girato leggermente la testa nella mia direzione. Come se avesse letto nei
miei pensieri, rispose. “Sono Louis.” I suoi occhi adesso erano
tristi, come quelli di un cagnolino preso a calci. “Sono, Louis… Eb…” Si bloccò, mettendosi una mano
davanti alla bocca e poi riprese a fissarmi, le labbra tirate.
Nella mia mente apparve
l’immagine di un bel ragazzo, i lunghi ricci raccolti in una coda bassa.
Sorrideva in modo obliquo mentre gli occhi blu scintillavano. Era la versione
“solida” dell’uomo evanescente di fianco a me.
Improvvisamente mi ricordava qualcuno… anche se non capivo chi.
Provai un improvviso e
imbarazzante senso di… affetto. Affetto? Mi stava di nuovo confondendo?
“Sono il custode della
casa dei desideri…” Il ragazzo nella mia mente camminava veloce su
una strada lastricata che si andava coprendo di neve. “O almeno…
questo è il primo nome che è stato attribuito a questo
posto.” I fiocchi intrappolati nei suoi ricci si scioglievano bagnandogli
la testa ma lui non se ne curava. All’orizzonte apparve la villa dove ci eravamo scontrati con Aleksander.
L’esterno era uguale a prima dell’intervento di Zel. “Ma
c’è molto di più…”
Il modo in cui camminava, in
cui i capelli gli incorniciavano il viso… perché tutto d’un tratto mi erano tanto familiari? Poteva davvero
incantarmi con la sua magia, così? Adesso non mi sentivo in preda a
qualche sortilegio… eppure… come potevo spiegarlo?
“Non mi è
permesso di andare via.” Louis appoggiava la mano sull’intonaco
screpolato vi faceva scorrere le dita, lasciando un segno nero, mentre
l’aria si riempiva di un odore acre di bruciato. La gola del ragazzo
vibrava di parole in una lingua arcaica, a me sconosciuta. Quando entrò
nel salone principale, il buio lo inghiottì. Sembrava non ci fosse nulla
da vedere ma lui sapeva che doveva solo aspettare. “E tu… forse
potresti sapere di cosa parlo... anche se…”
Pian piano il pulviscolo
iniziò ad addensarsi, luminoso, creando una figura di donna. Lei fece un
cenno, e lui la seguì. Lo stava conducendo nei sotterranei ma pur di
avere quello che desiderava, era disposto ad andare ovunque lei volesse.
La piccola botola era aperta.
Nella mia mente sentii Louis fare una domanda. “E’
laggiù?” La donna luminosa sorrise, senza rispondere.
“E’ laggiù quello che desidero?” Lei annuì e
Louis si affacciò alla botola.
Mi voltai verso l’uomo.
“E questo cosa vuol dire?” Sembrava che
fosse rimasto prigioniero, dopo che il suo desiderio di… di cosa? Lo
aveva spinto fino alla villa. Chi era la figura di donna che era apparsa?
Perché lo aveva condotto fino alla botola? Dov’era finita? Troppe
domande… troppe supposizioni che non mi stavano piacendo per niente.
Dopotutto nonostante avesse frignato come una bambina, era anche quello che mi
aveva punita per l’uso della magia. Non era
innocuo come cercava di sembrare… o era solo uno dei tanti pazzi che
regolarmente capitavano sulla mia strada? O forse… no, non poteva
essere… che anche qui c’entrasse la magia attira sfortuna di Eloise?
Louis sospirò. “Voglio dire che la mia sete di conoscenza mi ha spinto fino
a qui… e mi sono trovato ad assumere il ruolo di custode della
casa… ho richiamato lo spirito della casa e lei è uscita da qui, abbandonando la casa… ma la casa
non può sopravvivere senza il suo guardiano. Così sono
dovuto rimanere.” Mi guardò fisso negli occhi. Ancora una volta mi
parve di essere sul punto di ricordare qualcosa. Quella sensazione iniziava a
disturbarmi. Era evidente che non
potevo conoscerlo. No?
“Scusa…
ma a te cosa importava? E’ una casa basata sull’illusione… è come
un parco giochi, no?” Non capivo.
“Io
ero un mago e un alchimista.
Sapevo che qui c’era una cosa molto importante… e volevo
consultarla. Non sapevo che avrei dovuto bussare per accedere alla conoscenza.
Bastava quello. Avevo scoperto una formula che poteva richiamare il custode e
indurlo a lasciarmi entrare.” Sorrise mentre il
suo sguardo si perdeva in lontananza.
“D’accordo. Qui
c’era una cosa importante e tu hai erroneamente attirato fuori il guardiano
della casa… che ha deciso di non tornare… ma…”
Scosse la testa. “No, non è che lo abbia deciso. Io l’ho attirato
fuori… e lei è svanita a contatto con il nostro mondo. Non prima
di essersi assicurata che io ne prendessi il posto,
invitandomi ad entrare.”
“Continuo a non capire.
All’inizio hai detto che questa è la casa dei desideri. Poi che
una volta eri un mago e a causa della tua ambizione hai commesso un errore ti
sei ritrovato qui a fare il guardiano. Le due cose non mi sembra
vadano d’accordo. Cosa c’è di tanto importante che non hai potuto abbandonare?”
Louis mi fissò da
sotto alle lunghe ciglia nere. “Claire Bible… ti dice qualcosa?”
Sussultai. Mi diceva
qualcosa. Ma la vera Claire Bible
era sui Monti Kaatart. Io l’avevo consultata.
“La
Claire Bible non è qui. Non la vera Claire Bible.”
“Sì e no. Qui
c’è la Claire Bible.”
Feci per ribattere ma lui alzò le mani, per indurmi a tacere. “Non
esiste una sola Claire Bible. Luce e Ombra, bene e
male, Shinzoku e Mazoku.
Esiste una Bibbia per ognuno di loro. La Claire Bible dei Monti Kaatart,
custodita dai Draghi Dorati, è solo una versione dei fatti… quella
che custodisco si chiama Dark…”
Lo interruppi come una furia.
“Non esiste una versione dei
fatti!” Mi inalberai. “Alcuni fatti hanno
una sola versione!” Strinsi i denti. “La Claire
Bible dei Monti Kaatart non
rappresenta una parte. E’ razionale e obiettiva. Narra i fatti per quelli
che sono. E poi… se c’è una versione oscura della Claire Bible, se quella
versione è nascosta qui, perché chiami questo posto ‘casa
dei desideri’ e ti atteggi a bravo ragazzo che esaudisce per il tempo in
cui stiamo qui i nostri desideri?”
Sorrise. E il suo sorriso non
mi piacque. Il fatto però della versione oscura della
Claire Bible collimava col modo in cui aveva
negato la mia magia. Non era esattamente tipico della
magia ‘buona’ una cosa simile.
“I desideri hanno un
prezzo. Tu dovresti saperlo bene.”
E questo
cosa…?
Improvvisamente nella mia
mente fu di nuovo inverno. Non vedevo più il mondo da spettatrice ma ne
ero partecipe. Io, nel corpo in cui ero, decisamente
femminile a giudicare dall’abito frusciante e dalle scarpine eleganti
camminavo con passo veloce. Sentivo il cuore battermi con violenza contro le
costole, rabbia e paura mischiate insieme che mi spezzavano il fiato.
“Louis!” La voce che usciva dalla mia bocca era acuta.
“Merda!” Stavo per piangere. In chi
diavolo ero finita??? Giunsi alla villa dei ricordi di Louis e battei un pugno
sul muro. Nella mia mente condivisa il pensiero di quello che poteva aver fatto
Louis diventava una certezza. Mi aveva battuta sul
tempo! Avanzai verso l’interno della casa, quasi inciampando nei preziosi
tappeti persiani. Un fuoco ardeva nel camino, riflesso dallo specchio dorato
che occupava quasi l’intera parete di fronte.
Mi avvicinai allo specchio
con crescente orrore. L’orrore era mio, di Lina Inverse. Un paio di occhi
color rubino mi fissava da sotto una frangia di capelli rossi legati in uno
chignon che era in punto di sciogliersi. La ragazza che aveva seguito Louis
era… identica a me. Uguale identica a me.
In quel momento venni colta da una vertigine. Il mondo si muoveva in modo
veloce intorno a me mentre le gonne mi si attorcigliavano alle gambe.
Ricordi, Ebe? Sai
perché sei qui? Sai perché mi sono mostrato a te?
Venni scaraventata in aria e poi su, sempre più in
alto, sempre più veloce, fuori dalla botola, tra i detriti.
Anche questo nome mi piace. Il nome che hai adesso
è dolce… Non mi piace il biondo che leggo nel tuo pensiero…
ma posso capire, piccola straniera, dopo tanto tempo… hai smesso di
cercarmi.
Mi misi seduta, guardandomi
intorno, ansimando. La notte era silenziosa, a parte il frinire pigro dei
grilli. Poco lontano da me una figura immota avvolta in un
mantello color sabbia.
Ma tu… sei la coppiera degli
Dei…ecco perché adesso e qui sei una giovane maga così
potente…
Mi strinsi le mani sulle
orecchie. La voce farneticante che mi invadeva la
mente mi stava spingendo sull’orlo della follia. Concentrai i miei occhi
sulla figura pietrosa da me così ben conosciuta. E la voce sfumò.
“Zel!”
mi alzai in piedi e corsi verso di lui. A metà corsa mi
si torse lo stomaco e le ginocchia mi cedettero. Mi accasciai. Eloise era a fianco dello sciamano, pallida, una chiazza
scura sotto al suo corpo. Ceiphied!
Battei un pugno a terra. “Eloise… Eloise!!!” Balzai di nuovo
verso la botola e ci picchiai sopra con tutta la forza che avevo.
Spalancai gli occhi, che non
mi ero accorta di aver mai chiuso.
Ero ancora nella casa.
“Eloise?”
sussurrai. La mezza elfa galleggiava davanti a me,
sorridendo appena. Qualcosa… qualcosa nel suo aspetto non quadrava. I
capelli lunghi e biondi, il corpo flessuoso, gli occhi socchiusi che lasciavano
intravedere il loro color giad… no, un attimo.
Per un attimo il verde era diventato blu. Ne ero sicura… Alzai la mano
per cercare di sfiorare il fantasma che mi stava davanti, sapendo in partenza
che era inutile. E che non era Eloise.
Le labbra di Eloise si
schiusero un po’ di più, mostrando una fila di denti candidi mentre
il colore degli occhi si assestava su quel blu profondo che purtroppo ormai
conoscevo fin troppo bene.
Ceiphied se mi stavo
arrabbiando… C’erano molte cose capaci di mandarmi in bestia ma
niente era come prendermi in giro, giocare con me. E qualcuno lo stava facendo.
In quella casa, in quella
Villa, qualsiasi cosa essa fosse, chiunque Louis fosse realmente, mi stava
facendo impazzire. Avete presente le teiere quando l’acqua è
pronta? Avete presente quando iniziano a fischiare? Ecco, nelle orecchie sentivo
lo stesso rumore e forse, a guardare bene, del vapore mi usciva con violenza
perché sentivo il viso che scottava. Tale e quale ad
una teiera.
“Louis!” ruggii.
Il volto ghignante di Eloise si trasformò in quello di Louis, rimanendo
sul corpo della ragazzina. Lentamente anche il resto riprese le sembianze
dell’uomo fino a formare la sua figura completa, la leggera luminescenza
rosata che solitamente avevo visto aleggiare intorno al suo
corpo adesso più densa e scura, sanguigna.
Superfluo dire che la
situazione non mi piaceva.
Più guardavo
quell’essere, più i miei dubbi e la rabbia aumentavano. Aveva dei
momenti in cui sembrava una sorta di spiritello domestico, una macchietta
simpatica e un po’ pasticciona. Il guardiano di una specie di casa dei
desideri opportunamente occultata che però non aveva la capacità,
o la aveva perduta, di veicolare l’energia che
teneva in piedi la baracca con tutte le sue (innocue) illusioni. E poi invece
ecco che arrivavano i momenti in cui sembrava mostrare l’altro suo volto,
più inquietante e minaccioso, più simile ad
un mazoku o ad una qualche altra forma di vita poco
raccomandabile. Momenti in cui era in grado di bloccare completamente la mia
magia e farmi provare un dolore fisico tale che nessuna illusione poteva realmente
creare.
La casa e anche lui erano
instabili. E poi… mi prendeva in giro deliberatamente o era tutto causato
dall’instabilità? E cos’era l’immagine di quella
ragazza identica a me? Illusione? E perché allora provavo quello strano
senso di familiarità? Era la sua magia che mi confondeva?
“Mia piccola Ebe,” risposte Louis, il cui volto sembrava adesso
assottigliarsi, la pelle tesa sul teschio, l’aura sempre più cupa,
“provo un incontenibile desiderio di smettere di giocare con te...”
Mi fu
addosso, la sua bocca sulla mia, le sue dita sottili che mi artigliavano la
spalla destra. Mi morsicò a sangue, fulmineo, lacerandomi con i denti la
carne tenera del labbro inferiore.
Sbattei le palpebre una
volta, poi un’altra.
Giacevo su un fianco, sdraiata
su una superficie fredda e dura. Intorno a me il buio.
Mi portai una mano alla
testa, confusa. Il labbro inferiore era gonfio e passandoci sopra la lingua mi
accorsi che dovevo averlo morsicato profondamente. I bordi irregolari di una
ferita frastagliata, quasi rimarginata, sanguinavano ancora un pochino
lasciandomi in bocca uno sgradevole sapore metallico.
Dovevo aver battuto la nuca
perché mi faceva un male cani. Nella mia mente danzavano immagini di
strani uomini dall’aura luminescente ma non riuscivo a ricordare. Si
sogna da svenuti? Perché era quello che doveva essere successo…
Io, Zel ed Eloise eravamo stati risucchiati dalla botola sotto alla villa dove
si nascondeva Aleksander… e dovevo aver perso i
sensi durante la caduta, oppure nell’impatto.
Poco male. Sarei andata con
ordine. Primo, mettere a posto la testa e la bocca.
Secondo, accendere un Lighting e cercare gli altri.
Non mi fidavo a gridare i loro nomi, non in quella fitta oscurità che Ceiphied sono sapeva cosa poteva
celare. Se qualcuno doveva attaccarmi (visto come sono
ridotta? Ormai vivo con la certezza che qualcuno voglia farmi la pelle), che almeno lo vedessi in volto.
Alzai le mani, che sembravano
anchilosate, e le misi sulla nuca. Ceiphied, che
dolore! Anche solo sfiorare quella zona mi faceva vedere le stelle.
“Recov…
Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah!”
Una fiammata mi avvolse la mani e le strinse in una morsa ferrea, spasmi
incandescenti che si arrampicavano fino ai polsi, come se fossero stati
ingabbiati nel filo spinato. Almeno, questo è quello che pensai quando
riuscii di nuovo a pensare in modo coerente.
Rannicchiata, le braccia
incrociate al petto, cullai le mie povere mani mentre
copiose lacrime mi scendevano sulle guance. Odiavo piangere ma non riuscivo a
farne a meno, la sofferenza era troppo acuta, non mi ero mai rotta mani e polsi
ma la sensazione che provavo doveva essere strettamente parente. Mi veniva da
vomitare.
Per un tempo infinito
respirai dal naso, tenendo la bocca serrata e gli occhi chiusi, cercando di
contenere il dolore, sperando che passasse il più in fretta possibile.
Il grido non ero riuscito a evitarlo né a
trattenerlo, alla faccia della segretezza eppure era possibile che in quel
momento fossi davvero sola perché al mio grido non aveva risposto niente
e nessuno. Il silenzio e il buio erano compatti e pesanti come una cappa.
Nessun odore che potesse darmi un’indicazione della natura del luogo,
solo il contatto gelido del pavimento, quasi sicuramente in marmo, a giudicare
da quanto sembrasse liscio. Questo poteva essere un indizio. Non era una
segreta, una cella. Di solito il pavimento di posti del
genere era freddo, sì, ma molto più grezzo. Le celle poi, puzzavano. Certo c’era da considerare che era facile che non fossi in un posto normale, visto come ci
ero arrivata.
Le mani e i polsi facevano
meno male, adesso, solo una specie di pulsazione sorda li attraversava
ma… quello che mi era accaduto era legato alla magia. Qualcosa aveva
reagito alla mia magia, negandola. E questo era male. Molto male. Dovevo
muovermi, capire dove fossi e dove si trovassero Zel
ed Eloise. Se al mio urlo non si era presentato nessuno era possibile che il luogo in cui mi trovavo fosse
deserto eppure non sapevo se rischiare…
Non potevo spostarmi usando
la magia per cui ero costretta a strisciare. Pian piano iniziai ad avanzare
facendo forza su gomiti e braccia, il resto del mio corpo inerte che mi
zavorrava, ingombrante e inutile. Stesi la mano di fronte a
me, con circospezione, aspettandomi di incontrare qualche ostacolo o forse
sperandolo. Mi inquietava l’idea di
trovarmi in un enorme posto vuoto… magari al centro di una stanza
mastodontica, senza sapere quale direzione prendere, impossibilitata ad
aiutarmi, a difendermi, con la magia. Non avevo neanche la spada, nulla. Se
qualcuno mi avesse attaccata avrei dovuto usare solo
la forza delle braccia… o morsicare. Bè,
i denti non erano male come alternativa dopotutto.
Continuai ad avanzare fino a
perdere completamente il senso del tempo… erano 5
minuti che muovevo o un’ora? Dove ero arrivata? Possibile che non avesse
sbattuto contro neanche un muro? Possibile che il pavimento scorresse sotto di
me senza nessuna minima variazione? Liscio, nulla che potesse aiutarmi
nell’orientarmi in quel posto. Mi fermai tendendo le orecchie e il solito
silenzio mi avvolse. Improvvisamente un pensiero mi colpì. Avevo
già provato la stessa sensazione di nulla… di vuoto… solo
che il mio corpo era sospeso… ma… dove era successo?
Quella totale assenza di
suoni e di odori…sembrava…
Il mare del caos!
Non appena lo pensai il
pavimento scomparve, emettendo il primo suono che sentivo da quando ero
lì, una sorta di crepitio, come di una lastra sottile frantumata…
eppure rimasi sospesa, come se fosse stato ancora sotto di me, anche se non lo avvertivo
più, a farmi da sostegno.
Il mare del caos… ma
cosa andavo a pensare…
Mi è familiare eppure sconosciuto…
Turbina intorno a me, nei suoi colori scintillanti, tutti i colori che esistono nei
quattro mondi, li distinguo ad uno ad uno mentre si fondono in un unico manto
scintillante…
La parte umana che è in me recede, la coscienza
si allontana da questa cosa troppo grande, troppo potente, questa parte
infinita che brucia…
Lingue incandescenti e insieme ghiacciate lambiscono
il corpo che abito…
E prima di sprofondare per sempre nel
nulla i suoi occhi umani riescono a vederlo un’ultima volta,
mentre tenta di avvicinarsi per afferrarla… anche se è
tardi…
E’ troppo tardi…
Il Caos che è in me, il Caos che racchiudo, la
sta avvolgendo…
Il Caos mi reclama…la reclama…
Scossi la testa, sconvolta.
Non avevo mai ricordato il Mare del Caos né quello che vi era successo. Non
attraverso i miei occhi, figurarsi attraverso quelli di L.o.N.
Per me dal momento in cui avevo iniziato a perdere il
controllo del Giga Slave a quando mi ero svegliata tra le braccia di Gourry, in piedi sulle rovine di Sairaag,
era un grandissimo buco nero. Mi rimaneva solo una sensazione, piuttosto dolce
a dire il vero e che non sapevo in nessuna maniera spiegare ma niente altro. Qualsiasi ricordo, sensazione, odore…
qualsiasi cosa legata a quei momenti era custodita indelebilmente in qualche
parte remota del mio cervello oppure era stata completamente cancellata. E
adesso… adesso improvvisamente quelle parole, quelle sensazioni, pena,
paura, confusione, straniamento… tutto veniva a galla legato al luogo dove mi trovavo adesso.
Ma… questo posto non era il Mare del Caos. Non
poteva esserlo. Non poteva esserlo, vero? Io ero andata via da là…
ero tornata sulla Terra. Con Gourry.
“Io sono
tornata…” mi trovai a sussurrare con voce tremante, in preda a
brividi.
In quel momento si accese una
luce fioca, rossastra, dritto davanti a me.
Sospesa a mezz’aria,
brillava solitaria e beffarda, come se fosse sempre stata lì davanti al
mio naso.
Mi spinsi in avanti, ancora e
ancora, fino a raggiungerla. Non intendevo toccarla (e non potevo toccarla,
visto che era parecchio al di là della portata
del mio braccio) ma volevo vedere se riusciva ad illuminare abbastanza da darmi
indicazioni. In realtà sapevo già che era troppo debole per permettermi davvero di scorgere qualcosa di utile ma non
avevo poi molte alternative.
Non appena la raggiunsi, la
luce si abbassò al livello del miei occhi e
lì rimase, galleggiando. Adesso che ero così vicina, potevo
sentire il leggero crepitio che produceva, come un Lighting
di basso livello, modificato perché sembrasse un piccolo tizzone. Ero in
grado di crearne uno così anche io, la magia si
poteva modificare per piccoli e grandi esperimenti, alcuni utili, altri meno. A
volte solo per ‘gioco’, per creare
qualcosa di simpatico più che altro.
Eppure quello non era un
semplice Lighting modificato. Si muoveva troppo, il
suo nucleo era troppo evanescente e nessuno lo aveva castato.
La magia andava chiamata usando la voce e qualcuno che invocasse un incantesimo
non sarebbe passato inosservato…
Allungai un dito verso la
piccola sfera luminosa, sempre intenzionata a non toccarla, e quella si
alzò, ingrandendosi e crepitando sempre più forte. Piccoli punti
di colore scuro si addensavano sulla sua superficie, trasformandosi in linee
che parevano inseguirsi, lottando col colore rosso per diventare predominanti.
Quando il processo fu completo, la sfera smise di crescere e rimase a levitare
a quella che se avessi potuto alzarmi sarebbe stata l’altezza del mio
stomaco.
In quel momento mi
sembrò di essere più leggera, come se fino a prima le mie gambe
fossero state di cemento. Incredula mossi il piede destro… e il piede destro si mosse. Mi sollevai, facendo forza col le mani sulla coscia destra e spingendo con la gamba
sinistra e in un attimo mi trovai in piedi, come se le mie gambe avessero
sempre funzionato. Il pavimento, che non c’era più, mi resse. Era
inquietante come, cercando di toccarlo con le mani avvertissi il nulla sotto di
me, mentre quando ero in piedi mi sembrava di sentire
qualcosa di solido sotto le suole degli stivali.
Ero felice di essere in piedi
però… la situazione non mi piaceva. Ero prigioniera? Ero in
trappola? Perché mi trovavo in quel posto silenzioso,
da sola, impossibilitata ad usare la magia in compagnia di una palla
rossa e nera, turbinante e crepitante? Mi avvicinai lentamente e quella si
spostò, gettando una leggera luce su una superficie riflettente…
dietro alla quale… No. NO! Non ancora… non ancora!
Mi girai di scatto,
ansimando, le corte ciocche in faccia e le budella in subbuglio. Non poteva
essere, non un’altra volta. Questo doveva essere un incubo. Dovevo essere
svenuta. Ero ancora svenuta, dopo la caduta, in un punto misterioso di quello
che collegava la casa del mondo dove venivo a questo posto… doveva essere
così. Doveva. Doveva!
Strinsi i pugni, che
ripresero a pulsare in modo fastidioso, e mossi velocemente il mio corpo verso
quello che avevo visto. Non aveva senso nascondere la testa dentro la sabbia.
Davanti a me, fiocamente illuminati, c’erano dei cristalli. E nei
cristalli c’erano Zelgadiss, Eloise e Pokota. Ma non
l’animaletto che era costretto ad essere…
il ragazzino che era stato prima che ci incontrassimo.
Mi avvicinai ancora. I visi
dei tre ragazzi erano distesi… avevano gli occhi chiusi ma stavano
sorridendo. Stavano proprio sorridendo, come cullati da un sogno meraviglioso.
Appoggiai la mano al cristallo di Zelgadiss e lo
attraversai. Non… non era solido! La superficie sembrava di vetro ma in
realtà era di un materiale gelatinoso, che aveva inglobato la mia mano
tornando alla forma originale quando l’avevo ritratta di scatto. Dovevo
liberare Zel ed Eloise da
lì… ma come potevo fare, senza magia, senza armi? Per Posel non sapevo cosa fare… il suo corpo in teoria
non doveva neanche più esistere… Sospirai e infilai entrambe le
mani nella sostanza che custodiva lo sciamano.
Quando le mie mani furono
immerse fino ai polsi, una forza invisibile ma continua iniziò ad
attirarmi completamente al suo interno. “Merda!” Tentai di liberare
le mani, divincolandomi e dopo diversi sforzi riuscii ad
estrarre la destra. Con le dita piene di quella strana sostanza gelatinosa mi
afferrai il braccio sinistro e lo strattonai fuori, cadendo sul pavimento-non
pavimento che come prima mi sorresse. Voltai la testa e allora lo vidi.
In un cristallo, separato
dagli altri, c’era un uomo. Lunghi capelli neri, ondulati, vestito
elegantemente… Louis? Questo
nome mi balzò nella mente, insieme a immagini confuse di… un
ballo? Un sorriso? Non riuscivo a capire!
Cos’era successo a Zelgadiss? Perché lui ed Eloise
erano intrappolati?
Perché c’era
anche il corpo di Posel?
E chi era Louis?
“Usami.”
Feci un salto di lato, col
cuore in gola.
Nel profondo silenzio,
davanti alle figure dei miei amici, una voce aveva parlato. Ma…
da dove veniva?
“Chi
c’è?” il mio tono era vagamente isterico.
“Usami…” la voce… proveniva dalla sfera?
“Usala…” Di fianco a me Eloise, evanescente, mi cingeva la
vita col braccio. Il suo corpo era ancora nel cristallo. Mi irrigidii.
“Usala, Lina…” anche Zel adesso era vicino
a me, trasparente e insidioso come mai lo avevo visto nella realtà.
“Usala…” Posel mi aveva afferrato il polso e cercava di spingerlo
verso la sfera. Nonostante fosse incorporeo sembrava
riuscire a stringere con una certa forza.
Davanti a
me, con solo la sfera a separarci, anche il misterioso Louis. Lui era più solido degli altri e mi fissava
senza parlare, le labbra socchiuse a mostrare le punte dei denti scintillanti.
Alzò il braccio sinistro e di riflesso anche il mio braccio destro si
sollevò. Scintillava anche esso della strana
luce rossastra che circondava la sfera… solo che non era l’aura
della sfera che avvolgeva il mio braccio, piuttosto il mio braccio… Cosa
stava succedendo! Cercai di opporre resistenza, senza successo. Con decisione
mise la mano sulla sfera… e contemporaneamente, sempre spinta
da una forza misteriosa che andava al di là della mia volontà, la
toccai anche io.
Il nostro tocco combinato
produsse un’improvvisa luce purpurea che aveva come centro la sfera e che
ci inghiottì completamente, nelle mie orecchie un urlo lancinante che
proveniva dalla mia stessa gola.