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Autore: Bishoujo Tensai Madoushi    27/10/2011    3 recensioni
Lina, Gourry, Amelia e Zel si stanno dirigendo verso Saillune... ma sarà un cammino molto, molto lungo! Ex fidanzate, vendette, eventi passati e futuri... di tutto e di più affliggerà i nostri protagonisti ma soprattutto... si chiariranno i sentimenti di una certa maga verso lo spadaccino che si è autoproclamato sua guardia del corpo? Leggete e scoprite...
Genere: Commedia, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gourry Gabriev, Lina Inverse, Personaggio originale, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sdraiata sul mantello gentilmente offertomi da Amelia, osservavo in silenzio la volta celeste

 

E’ molto che non aggiorno… nonostante il capitolo fosse pronto da mesi! Ben, per chi sta ancora seguendo… questo capitolo rappresenta un punto di svolta. Forse sembrerà un po’… onirico e forse incasinato ma con i prossimi capitoli diventerà tutto più chiaro. Con questo… buona lettura!

 

 

 

Sdraiata sul mantello, gentile concessione di Amelia mossa a pietà dalla drammatica situazione dei miei vestiti, osservavo in silenzio la volta celeste. Le braccia incrociate dietro alla testa, mi accarezzavo con le dita il collo e  le corte ciocche della mia nuova acconciatura, in un gesto di auto consolazione infantile alla lunga ipnotico che, unito al monotono frinire dei grilli, al frusciare sommesso delle foglie degli alberi intorno a noi, mosse dolcemente dalla brezza leggera e allo scoppiettio del fuoco, mi procuravano un senso di pacifico torpore, conciliandomi il sonno.

 

 

Brandelli sconnessi della conversazione avuta durante la cena, le congetture con Zelgadiss e Amelia sui piani di Xelloss, le spiegazioni di Eloise, le parole rassicuranti di Gourry mi tornavano alla mente in modo frammentario, a volte sovrapponendosi, segno che stavo per addormentarmi.

 

 

Sentivo le palpebre farsi sempre più pesanti mentre ricordavo distrattamente di aver taciuto la storia della Spada di Luce, senza saperne bene il motivo quando…

 

 

Qualcosa mi colpì sulla spalla.

 

 

Sussultai con violenza emettendo un urlo strozzato.

 

 

Voltai di scatto la testa, girandomi di lato con le mani pronte alla difesa, seppur nella sorpresa e nella confusione di chi viene colto completamente alla sprovvista con la guardia abbassata, per trovarmi faccia a faccia con Pokota. No, con Posel. La mia mascella cadde a terra… poi il dubbio, perché c’era qualcosa di assurdo e sbagliato nella presenza di Posel visto e considerato che il suo corpo era stato distrutto dall’ennesima (permettetemi la gocciolona) risurrezione di Ruby Eye Shabranigdu. Eppure era lì, in carne ed ossa e mi stava guardando.

 

 

“Po… Pokota?” il ragazzino mi fissava, gli occhi verdi socchiusi, come se si fosse trovato in un momento di profonda riflessione.

 

“Lina… Inverse,” scosse la testa facendo tintinnare il grosso cerchio dorato che aveva all’orecchio mentre i lunghi capelli fluttuanti gli frustavano la schiena. “Non so come dirtelo.” Sorrise, di un sorriso malvagio che avevo già visto dipinto sul volto di un altro bambino che bambino non era.

Il gelo della paura mi strinse in una morsa lo stomaco. Ero in pericolo?

 

 

Sveglia, Lina! Devi fare qualcosa!

 

 

Questo non era Pokota, non era Posel, non era… Non sapevo cosa fosse ma di certo non era niente di buono. Alzai le mani, richiamando la formula Bomb de Wind con l’intento di allontanare il più possibile quell’essere. Mi serviva un incantesimo potente e preciso, che quantomeno indebolisse quella creatura della cui natura malvagia non dubitavo (visto e considerato, in un’ultima analisi, l’uso infausto del famoso ‘Lina Inverse’ che il vero Pokota non aveva mai usato).

 

 

Il ragazzino capì al volo le mie intenzioni e mi bloccò, spingendomi con violenza a terra, facendomi cozzare con la dura terra e schiaffandomi una mano sulla bocca in modo talmente repentino che non riuscii neanche ad accorgermi del movimento. Ecco, se non fosse stato per la maledizione di Eloise non mi sarei ritrovata con le gambe rigide come pezzi di legno e la cosa si sarebbe presa subito un calcio dove era possibile che gli facesse più male. (Dopotutto anche Xelloss aveva creato la sua figura umana talmente bene che quello era un punto sensibile anche per lui. Provare per credere).

 

 

Il palmo della sua mano, caldo e umidiccio, premeva con incredibile forza sulle mie labbra togliendomi la possibilità di usare la magia. Essendo a cavalcioni su di me, una posizione che non avrei approvato neanche in tempi migliori, la sue gambe erano una morsa ferrea che mi inchiodava le braccia lungo i fianchi. Mugolai e mi divincolai, furiosa e impotente.

 

 

“Quello che volevo dirti e che ascolterai,” mi sussurrò, abbassandosi fino a sfiorare il mio orecchio, “è che non ti devi preoccupare di quello che ti sta succedendo… perché non è reale.”

 

 

Il coso si allontanò un po’, per guardarmi ancora negli occhi. “Io non esisto davvero, qui, in questo momento. Ti dirò di più: noi non ci siamo mai incontrati. Si interruppe un attimo, pensoso. “ I tuoi amici… neanche loro non sono in questo posto con te. Qui…” indicò col mento, “non esiste.” Arricciò le labbra nella parodia di un sorriso. “Tu sei sola.”

 

 

Cercai di liberarmi di lui, muovendo il corpo e la testa  con rabbia. Riuscii ad estrarre un braccio, reso scivoloso dal sudore, tentando subito di centrarlo con un pugno. Non era possibile che la sua mano fosse incollata alla mia bocca eppure sembrava fosse così, in più si spostava troppo in fretta, come se prevedesse i miei movimenti, e non solo non riuscivo a colpirlo ma neanche a sfiorarlo.

 

 

Posel scosse la testa, la sua espressione piena di disappunto.

 

 

“Perché ti agiti così? Questo non sta succedendo, io ti sto solo facendo un favore…

 

 

In quel momento mi resi conto che i colori della foresta stavano assumendo toni più chiari, poi più scuri, alternandosi in modo sempre più veloce e ritmico fino a sembrare macchie confuse.

 

 

Posel scelse quel preciso istante per concludere il suo inquietante e folle discorso. “Questo non sta succedendo perché… non hai mai lasciato il Mare del Caos!”

 

 

“COSA???” pensai e dissi ad alta voce. Cosa stava dicendo? Io mi ero salvata, grazie a Gourry e per intercessione di L-sama. Ero tornata sulla Terra e avevo conosciuto Filia, combattuto contro Dark Star, incontrato Wizer e Pokota… Le sue parole erano ingannevoli e finte. Finte!

 

 

Posel sorrise ancora, mettendo in mostra una fila di dentini perfetti, il capo ora coronato da una sorta di aureola purpurea. “Guardati intorno Lina Inverse… tutto questo non è reale.” Con un gesto del braccio, che riluceva adesso della stessa luce rossastra che aleggiava intorno alla sua testa, indicò quello che ci circondava, il cielo che si sfaldava, gli alberi che si fondevano col cielo, io e Posel soli, a galleggiare in un mare di nulla dai colori vividi.

 

 

“Tu sei qui da secoli… sola nel centro del nulla più profondo!”

 

 

Aprii gli occhi di scatto, con il cuore mi batteva all’impazzata contro lo sterno, la gola secca e il respiro spezzato, nelle orecchie ancora le parole di Posel.

 

 

Un incubo. Era stato un incubo.

 

 

Come avevo fatto a non capirlo? Un brutto sogno, tutto qui. Giorni e giorni di sfortuna imperante e ferite più o meno gravi dovevano avermi sconvolta ad un livello piuttosto profondo. Tutto qui. Niente di preoccuparsi. Lina Inverse non ha paura di niente. Di niente!

 

 

Mi asciugai il sudore dalla fronte, rabbrividendo mentre una folata di vento mi incollava addosso gli abiti fradici. Respirai a fondo, sedendomi e massaggiandomi le braccia piene di pelle d’oca per il freddo… e… e basta. No, non mi ero spaventata. Sudore e pelle d’oca uno per il caldo e uno per il vento. E non osate contraddirmi!

 

 

Intorno a me nessun Pokota, nessun Posel. Solo i miei amici (e meno amici, vedi alla voce Eloise ed Emma) che dormivano. Qualcuno russava in modo più o meno convinto (Gourry, che alternava respiri pesanti a veri e propri grugniti), qualcuno si rigirava forse in cerca di una posizione più comoda (Amelia), qualcuno giaceva silenzioso (Zelgadiss, Eloise ed Emma).

 

 

Può sembrare strano che nessuno montasse la guardia ma quelli erano i boschi intorno a Mahen e nei boschi intorno a Mahen non c’era anima viva. AleksanderSasha’ aveva sterminato i banditi e questi non avevano osato tornare ad infestare la zona. Da voci orecchiate in paese da Zel sembrava si fosse sparsa una qualche leggenda sul giustiziere della foresta… Nessuno, neanche i residenti che sapevano cosa fosse accaduto, osavano bivaccarci. In ogni caso Amelia e Zel avevano sorvolato la zona, mentre la mia schiena finiva di guarire grazie al Recovery ed erano tornati dalla ricognizione confermando la totale assenza di briganti o anche solo di esseri umani, elfi, demoni o quant’altro.

Avevamo stabilito di dormire mentre Zel, che aveva bisogno di meno sonno degli altri, avrebbe tenuto le orecchie aperte. Al momento mi sembrava sdraiato ma in effetti non potevo dire con certezza se fosse sveglio o meno… certo non aveva fatto una piega quando mi ero messa a sedere e se (e speravo di non averlo fatto) avevo detto qualcosa mentre mi agitavo nel sonno.

Non volevo però andare a vedere se fosse o meno sveglio né parlare dell’incubo che avevo fatto. Lo sciamano non era persona che amasse tenere le manine degli altri né io desideravo qualcuno che lo facesse. Avrei magari scambiato due chiacchiere, se lo avessi visto quantomeno seduto davanti al fuoco, così invece non mi andava di raywingarmi fino a lui e poi magari beccarlo assopito. (Cosa per cui avrei potuto prenderlo in giro in modo simpatico il giorno dopo, vero anche questo… allora quasi quasi…)

 

 

Alla fine chi prima chi dopo, tutti (tranne Zel?) erano crollati. La giornata si era rivelata davvero faticosa per tutti e a causa delle mie ferite non avevamo potuto lasciare la foresta per cui l’unica soluzione era stata passare la notte all’addiaccio. Poco male, eravamo abituati… ma io volevo un letto vero! Non merita forse una povera ragazza mezza ustionata un posto comodo dove dormire? E non dite che mi sono fatta male solo per colpa mia! Se proprio volete saperlo, questa storia della maledizione attira-sfortuna non era solo una seccatura… stava diventando un lavoro a tempo pieno. Ovunque andassi, qualsiasi cosa facessi, mi si ritorceva contro facendo in modo che mi ferissi in modo più o meno grave. E la cosa sembrava peggiorare. A più livelli ero diventata una specie di catalizzatore di sfortuna e tutti subivano le conseguenze. Questa cosa era decisamente odiosa. Per una che ha sempre voluto essere indipendente, ero diventata una specie di peso. Gli sguardi dei miei amici contenevano sempre più espressioni di preoccupazione e qualche volta di seccatura (sì, Zel, sto parlando di te) e devo dire che era impossibile dar loro torto.(Era impossibile mentalmente, mai e poi mai avrei concesso loro di condividere ad alta voce quel genere di pensiero. La famosa maga-genio Lina Inverse non può e non deve avere la fama di attira-sfortuna!)

 

 

Ero finita pugnalata, avvelenata e quasi morta dissanguata, paralizzata, quasi pugnalata, rapita (, anche l’intervento di Xelloss lo si poteva infilare nelle disavventure), assordata e ustionata. Non sapevo cos’altro poteva capitarmi e non volevo neanche provare ad immaginarlo. Cercavo in ogni modo di non levitare vicino a famiglie di cactus, nel caso. Dovevo assolutamente trovare un modo non cruento (sono una ragazza generosa, lo so) per spezzare quella maledizione.

 

 

A causa dell’esplosione e dell’incendio i miei preziosi capelli (lacrimuccia di commozione) erano finiti nel vento e adesso mi ritrovavo con i corte ciocche flosce e… come se non bastasse, avevo dovuto salutare per sempre anche il mantello e… , la mia tunica. Per pudore, per curarmi la schiena bruciata, Amelia aveva solo allargato quello che ne rimaneva… ma il fatto era che non potevo più usarla. A meno che mi andasse andare in giro con un’enorme e frastagliata presa d’aria sulla schiena. Per tamponare la mia mancanza di abiti, la principessa aveva sacrificato il suo mantello bianco ed Eloise mi aveva prestato gli abiti che aveva portato come ricambio. Sì, a diciannove anni mi andavano a pennello mi stavano un po’ grandi gli abiti di una quasi quindicenne. Problemi? Ero io ad averli, i problemi. Si poteva dire tutto di Eloise, tranne che avesse buon gusto nel vestire. Ecco come ero vestita (e non dite che la colpa è solo mia perché sono andata ad infilarmi in un posto ad altissimo rischio di incendio!!!):

Magliettina con boccioli di rosa su sfondo verde, calzoni marroni a zampa di elefante decorati con altri boccioli di rosa su ogni maledetta cucitura  e sandaletti in cuoio coordinati. Avevo cercato di infilarmi gli stivali ma… facevo più ridere ancora.

 

 

 

 

Ma dai! La grande Lina Inverse! La bellissima maga-genio! Colei che sconfisse Shabranigdu e altri due signori dei demoni! (, più o meno gli altri due ma insomma, perché sottilizzare!)

Vestita così!!!

Intendiamoci… non è che disprezzi gli abiti femminili, per carità, più che altro non sono comodi né pratici e non mi ci sento a mio agio… ma viaggiare con abiti a fiorellini mi turba seriamente il sonno. Ah! Ecco spiegato l’incubo allora! Visto? Tutta colpa di Eloise!

 

 

Ecco. Fantastico. Il sonno mi era passato del tutto al pensiero di come ero conciata (sigh) e di come la gente mi avrebbe vista. (Suona un po’ alla Zel, vero? Sì, ci sono problemi più gravi nel mondo… ma anche la dignità ha un certo peso nella mia scala dei valori!) Eppure dovevo dormire… non potevo pensare di usare la magia (anche solo per trasportarmi qua e là) con quel poco cibo che avevo mangiato (per lo più bacche e radici ottenute unendo le esigue scorte mie e di Zel e un pezzettino del cinghiale catturato da Gourry) e per di più senza aver chiuso occhio. Oltretutto non con appesa sulla mia graziosa testina la maledizione attira-sfortuna di Eloise.

 

 

Mi girai su un fianco, col volto rivolto al fuoco e un braccio sotto alla testa. Presi un respiro profondo e chiusi gli occhi. Amelia mugugnò qualcosa nel sonno ed Eloise rispose con un grugnito. Rimasi immobile cercando di svuotare la mente e riempirmi di nuovo le orecchie con i suoni della notte, che poco prima mi avevano cullata, sperando che mi aiutassero a dormire (senza altri incubi, grazie). Rimasi immobile un sacco di tempo, fino ad avere il braccio insensibile, sveglia come un grillo. Ad un certo punto decisi di cambiare posizione quando un rumore inaspettato mi surgelò. Uno schiocco e poi un’imprecazione sussurrata.

 

 

“Maledizione!” Era la voce di Zel! Che dovesse andare a fare i suoi bisogni? Dopotutto non era detto che le bacche che avevamo ingurgitato non avessero qualche piccolo effetto collaterale… oh , ma se così fosse stato non sarebbe toccato a me, volare nella foresta tenendomi la pancia???

 

 

Socchiusi gli occhi. Lo sciamano stava tentando di muoversi silenziosamente. Che carino, non voleva svegliarci… Già, come no, tutto circospetto poi… come se non svegliarci fosse della massima importanza… un po’ troppo rispetto agli standard di convivenza alla quale eravamo abituati, eh? Oh, Zel, cosa stai combinando?

 

 

Raywing!” Eh,

 

 

Zelgadiss se la stava svignando. IO potevo castare un Raywing se avessi dovuto correre nella foresta in preda a funesti crampi ma… Zel? Eh, caro Zelly! La bellissima maga-genio non solo non sta dormendo ma questa non se la lascia scappare… soprattutto perché il buon Zelgadiss stava filando come un razzo in direzione Mahen. E io sapevo cosa c’era a Mahen che poteva spingerlo ad andarci nel cuore della notte, senza dirlo a nessuno. Perché non lasciarlo andare da solo? … se davvero ci fosse stato qualcosa nella ‘villa di Aleksander’ mi sembrava giusto sovrintendere ai lavori! Dopotutto la posta poteva essere abbastanza alta se in mezzo agli incendi aveva mollato Amelia da sola a spegnerli e lui era tornato a dare una buona occhiata… Già, non mi ero bevuta neanche per un secondo la frottola che era stato il fumo a dividerli… forse Amelia con tutta la buona fede del caso (e l’evidente cotta per lo sciamano) poteva lasciarla passare, magari addirittura crederci… ma a me non la faceva neanche per scherzo. Lo sciamano era una persona seria ma quando si profilava una possibile cura per la maledizione di Rezo (infondo eravamo un po’ tutti maledetti, eh?) poteva succedere di tutto…

 

 

Mi misi seduta, guardandomi intorno. Gourry aveva smesso di russare ma sembrava ancora profondamente addormentato e così gli altri. Contavo sul fatto che la piccola sortita mia alle calcagna di Zel non sarebbe stata lunga. Immaginavo che lo sciamano non pensasse di passare fuori tutta la notte (né eventualmente di squagliarsela, visto e considerato che era nostro amico, nonché guardia scelta da Phil per proteggere sua figlia e soprattutto che aveva lasciato indietro… il suo sacchetto di monete! Ah, Zelly, sei davvero di fretta per dimenticare il danaro!) perché altrimenti avrebbe lasciato qualcosa di scritto però… non si poteva mai sapere. Raccattai un a pietra abbastanza pesante per fermare il foglio di carta strappato al mio prezioso libro degli incantesimi e, con la mia piuma d’oca da viaggio un po’ spuntata, scribacchiai un veloce “Torniamo subito.” Sopprimendo il desiderio di dare un’occhiatina (ooooh, del tutto innocente! Solo per sapere con quanti soldi viaggia e se Phil gli ha dato il sigillo di Saillune!) alborsello’ di Zel, misi la pietra al centro del mantello di Amelia, ben visibile.

 

 

Raywing!”

 

 

Eccomi sfrecciare sopra agli alberi, il mantello svolazzante di Zel un punto lontano a farmi da guida.

Finito il bosco lo vidi atterrare ed io iniziai a scendere un po’ prima di lui, in modo da osservarlo a distanza, senza essere vista. O almeno, questo sarebbe stato il piano. Se non fosse che quando arrivai a terra, venni investita da un missile che mi centrò esattamente in mezzo alla schiena, scaraventandomi diversi metri avanti, a faccia in giù non senza avermi strappato un grido da far gelare il sangue nelle vene, riecheggiato a lungo da uno stormo di corvi incazzati neri (dei quali condividevo i sentimenti negativi) per il brusco risveglio.

 

 

Mentre avevo ancora il naso ben piantato nel suolo avvertii chiaramente che qualcuno si stava lamentando… e non ero io. Alzai il viso, sfregandolo con foga per togliere la terra che avevo perfino in bocca.

 

 

“Ma sei… scema???” mi aggredì Eloise, massaggiandosi la fronte. Cos…?

 

 

Io strabuzzai gli occhi, poi con molta calma, mi infuriai.

 

 

Che-diavolo-ci-fai-qui?!

 

 

La mezza elfa strinse gli occhi, mettendosi le mani sui fianchi. “Ti seguivo, mi sembra ovvio!”

 

 

“E perché mai???” strillai indignata. Ma adesso pure dovevo essere perseguitata a questa maniera???

 

 

“Ah, ma non è possibile…” sospirò una seconda voce, alle mie spalle. Non dovetti neanche girarmi. Beccata.

 

 

Eloise scosse la testa. “Ecco, mia nonna mi ingabbia una maledizione per far soffrire te, rapisce il tuo fidanzato che ti ama e tu ti incontri clandestinamente con ‘ragazzo pietroso’!”

 

 

Cosa???????

 

 

“Ragazzo… ragazzo pietroso?” Zelgadiss ci raggiunse, strabuzzando gli occhi. “Come mi hai chiamato, ragazzina?” Sembrava non aver gradito l’appellativo. Come dargli torto? Detto poi dalla ex nanetta malefica con quell’arietta da saputella… No, niente Dragon Slave, mi sembrava esagerato e poi lo sciamano si sapeva benissimo difendere da solo.

 

 

Eloise…” la richiamai con tono di avvertimento. “Guarda che non hai capito…” proseguii con tono scocciato.

 

 

“Già, Lina, mi piacerebbe davvero tanto sapere cosa ci fa lei qui.” Lo sciamano mi lanciò un’occhiataccia. “Ma soprattutto,” aggiunse, “che cosa ci fai TU.”

 

 

Lei qui presente ha un nome.” Rimbeccò Eloise alzando il mento con fare strafottente.

 

 

“Detto da una che mi ha chiamato…ragazzo pietroso’, poi... il massimo della coerenza, eh?” Si accigliò Zel.

 

 

“Uh, che suscettibile… va bene, ZERUDIGAS. Contento? So il tuo nome!” Eloise alzò le spalle poi tornò a guardare me. “Questo è il colmo, Lina! Davvero, dopo tutto quello che hai passato tradisci il tuo ragazzo…” La mezza elfa scosse l’indice, alla Amelia.

 

 

“E’ Zel-ga-diss!” Urlò lo sciamano mentre una grossa vena iniziava a pulsare in modo evidente sulla sua fronte. “E non dire eresie!”

 

 

Piantala con ‘sta storia!!!” Ti Dragonslavizzooooooooo!

 

 

“Guarda che ti prendo in giro… ma se ti arrabbi così magari non ho poi sbagliato di tanto.” Continuò la mezza elfa sorridendomi in modo maligno.

 

 

 Eloiiiiiise!” Davvero, a tirarle il collo ci avrei solo guadagnato.

 

 

“Ok, calmiamoci.” Disse Zelgadiss tra i denti, alzando le mani. Non sembrava molto calmo a guardarlo bene ma almeno non urlava più. Io mi stavo mordendo le labbra per evitare di pronunciare la formula che avrebbe fatto saltare in aria tutta la foresta e mezza Mahen. Eloise ci studiava a braccia incrociate con l’espressione di una che la sa lunga.

 

 

“Tu,” mi apostrofò Zel, “cosa ci fai qui? Non è che mi stavi seguendo… vero?”

 

 

Ahahah!” risi cercando di assumere la mia migliore espressione da agnellino, “ma cosa vai a pensare, Zel? Ti pare che ti pedinerei nel cuore della notte?” Spalancai gli occhi e li sbattei.

 

 

“Visto? Stai flirtando! Mi deludi, Lina…” intervenne ancora Eloise. Non aveva capito quanto fosse pericoloso il suo comportamento… era il caso di darle una lezione, vero? Vero???

 

 

“Chiudi il becco!” le dicemmo all’unisono io e lo sciamano. Poi Zel tornò a guardami.

 

 

“Allora, Lina?”

 

 

“E va bene…” risposi grattandomi la guancia con l’indice, “ti seguivo per vedere se stessi andando alla ‘villa di Aleksander’…” misi da parte il tono ‘intimidito’ “perché è lì che stavi andando vero, Zel?”

 

 

Lo sciamano sospirò, abbassando la testa.

 

 

“Tutti alla ‘villa di Aleksander!” gridai alzando il pugno. Eloise mi fissò stranita e poi alzò il pugno a sua volta.

 

 

“Evviva.” Borbottò lo sciamano e io feci finta di ignorare il suo tono scocciato.

 

 

Zelgadiss sbuffò, poi mi guardò fissa negli occhi, ignorando completamente Eloise. “In ogni modo non possiamo entrare a Mahen volando. Quando la città andava a fuoco ho colto commenti che parlavano della malvagia strega che dopo aver rapito ‘il Campione’ avrebbe chiamato i suoi amici demoni per incendiare la città…”

 

 

Alzai gli occhi al cielo. Stupidi paesani.

 

 

“Quindi,” continuò lo sciamano, “dobbiamo trovare un modo per entrare in paese senza farci notare troppo. Anche se io continuo a non volervi tra i piedi. Sottolineò poi, mugugnando in modo comunque udibile. Io lo capivo, davvero. Eloise era una vera seccatura. Ah, io sarei stata inclusa nel suo discorso? Ma non diciamo scemenze!

 

 

Eloise alzò la mano. “Io e te portiamo il nostro fratellino ubriaco a casa. Che te ne pare?” Mi scoccò un’occhiata. “Lina, sei tu il fratellino. Sei la più bassa, sembri un maschio… tutto perfetto quindi.

 

 

Sembro… sembro un maschio???

 

 

Stavo per aprire la bocca quando Zel mi precedette. Ah! Qualcuno mi difendeva!

 

 

“Direi che il nostro fratellino ha dei gusti strani in fatto di vestiti… non ci sono un po’ troppe roselline su quel vestito?”

 

 

Ecco, non era esattamente quello che avrei definito una difesa di mio gradimento.

 

 

Eloise alzò le spalle. “Allora la nostra sorellina, la tua ragazza, quello che ti pare.”

 

 

“Scusate, eh? Non varrebbe la pena di consultarmi?” replicai piccata.

 

 

Zel mi freddò con lo sguardo. “Lina, non vorrei farti notare che anche solo il fatto di portarti con  me potrebbe dare origine ad una catastrofe. Cerca di non complicare le cose.” Strinse le labbra. “In ogni modo io non voglio portarvi con me. Ci sono costretto, sia chiaro. Se succede qualche disastro io non vi conosco.”

 

 

“Ah, Zelgadiss, mi ferisci,” mi precedette Eloise. “Come potresti abbandonare una povera ragazzina e una paralitica da sole nel bosco?” Come… come mi aveva chiamata?

 

 

“Mettimi alla prova,” sibilò lo sciamano.

 

 

“Dai, basta litigare!” dissi sfoggiando il mio miglior sorriso. “Ormai siamo d’accordo di andare quindi… in marcia!” Entrambi si azzittirono e mi guardarono. Poi Zel lasciò andare un lungo sospiro mentre Eloise annuiva in modo esagerato.

 

 

In effetti la soluzione proposta da Eloise, per quanto odiosa, calzava. Non potevo camminare ma se la mezza elfa e lo sciamano mi avessero retto avrei potuto passare semplicemente per sbronza.

 

 

E così fu che uscimmo dalla foresta come tre amici di cui uno pesantemente ubriaco. Attraversammo per alcune centinaia di metri la città addormentata, passammo davanti a qualche bettola e poi ci fu il primo ‘ostacolo’. Fino a quel momento nessuno aveva fatto particolarmente caso a noi ma sicuramente era impossibile non trovare qualche cittadino zelante…

 

 

“Ragazzi! Che succede?” mentre mi guardavo le punte dei sandali, mollemente appoggiata a Zel ed Eloise, mi raggiunse la voce di un vecchio. “Il vostro amico sta male?”

 

 

Poco dopo un paio di zoccoli occuparono il mio campo visivo. “Povero ragazzino… ancora un bambino e già così ubriaco. I giovani d’oggi…”

 

 

Sentii Eloise sussultare. Stava… ridendo? Mentre Eloise si contorceva, cercando di non far rumore in preda alla ridarella, il vecchio continuava la sua tiritera. “Ahhhh, questi giovani… non si regge in piedi.” Ok, continuava a darmi del maschio, con un tono di fastidiosa riprovazione nella voce. Va bene, la zona non era molto illuminata, magari non vedeva le roselline ma per Ceiphied! Non sembro un ragazzo!

 

 

“Non si preoccupi,Zel cercò tagliare corto di pararci le chiappe, per quanto possibile, “adesso lo portiamo a casa.”

 

 

Un momento di silenzio e il vecchio riprese. “Che brutto colorito che hai, ragazzo mio!” Avvertii distintamente lo sciamano irrigidirsi. “Anche tu non stai mica bene!”

 

 

Eloise intanto tentava in tutte le maniere di trattenersi. Le pizzicai con forza il braccio e lei mi mollò un calcio, facendo traballare la nostra già precaria posizione. Il vecchio si piazzò vicino al mio viso.

 

 

“Stai attenta, carina. Mi sa che sta per vomitare!” annusò l’aria vicino alla mia bocca. “Mamma mia che puzza! Ma cos’ha bevuto?” Coooooooooosa? Cosa vorrebbe dire questo vecchio imbecille?  Romilda! Romilda, vieni qui che ci sono dei ragazzi in difficoltà!”

 

 

Il vecchio iniziò a zoppicare verso casa sua e verso ‘Romilda’. Appena ci diede le spalle Eloise prese a ridere senza ritegno.

 

 

“Dobbiamo filarcela.” Disse tra i singhiozzi.

 

 

Zel era completamente ammutolito e io ero furiosa.

 

 

Zel-ga-di-ss,” lo richiamò la mezza elfa, “vedi di volare altrimenti non so come andrà a finire.”

 

 

Lo sciamano si riscosse e, scoccandole un occhiataccia, richiamò il Raywing. Una bolla ci avvolse e ci alzammo in aria, sempre più in alto. Vidi il vecchio tornare, seguito da un’enorme donna in grembiule. Si guardarono entrambi in giro, senza vederci e poi lei iniziò ad inseguirlo con un mattarello gridando qualcosa che somigliava tanto a ‘brutto vecchio ubriacone’.

 

 

, se potevi volare in una bolla d’aria, allora avresti potuto usarla da subito.” Eloise sapeva davvero irritare i nervi come poche persone al mondo.

 

 

“Tu non dovevi neanche essere qui,” le disse Zel in tono piatto, “non credo accetterò consigli da te.”

 

Nonostante avesse impostato la voce a simulare indifferenza, si vedeva da lontano che era seccato. E non poco. Lo sciamano si mise a guardare in lontananza mentre il cielo nero sembrava inghiottirci.

 

 

Non era difficile capire perché non avesse voluto volare fino alla Villa… anche a questa altezza un occhio fine ci avrebbe visto, a causa dei colori chiari degli abiti di Zel e soprattutto di quelli bianchi indossati da Eloise. In più sulla bolla si riflettevano i colori scintillanti, in caso di incendio o anche solo il fuoco di un bivacco, ci avrebbero subito individuato. E una folla inferocita poteva fare un sacco di danni, soprattutto se tu per primo non potevi farla saltare in aria.

 

 

Per nostra fortuna, arrivammo alla Villa senza altri inconvenienti. Stranamente, ed è proprio il caso di sottolinearlo, nessuno ci vide e non c’erano stupidi paesani con torce e forconi ad attenderci.

 

 

In realtà della Villa in sé non rimaneva molto… solo macerie bruciacchiate. Mi voltai verso Zel con sguardo interrogativo. Lo sciamano indicò un punto non lontano da noi.

 

 

“Il sotterraneo è più o meno integro… in realtà non c’è niente se non una strana botola. E’ quella che mi interessa.”

 

 

Zel, per caso hai usato un Bomb de Wind?” Non era probabile che il sotterraneo fosse sgombro ma a guardare in quel momento sembrava che qualsiasi cosa avesse contenuto fosse stata spazzata da un ciclone.

 

 

Lo sciamano si incamminò senza rispondere. Eloise mi caricò in spalla. “Ehi!”

 

 

“Mi sembra che quando usi la magia per il volo ti stanchi molto.” Sollevai le sopracciglia. “Se arrivano i contadini infuriati preferirei non essere nelle mani solo di quello là. Quindi ti risparmio la fatica.” Tacqui mentre proseguivamo seguendo la schiena della chimera.

 

 

Quando fummo davanti alla famosa botola, Zelgadiss si inginocchiò e ne accarezzò i bordi con fare pensoso. “Non c’è modo di aprirla.” Sospirò poi.

 

 

“Cos’hai provato?” Era chiaro che aveva tentato con la magia… anche se non riuscivo a percepire nulla di strano in quella zona. Potere, sì, ma non capivo di che genere ma non ero certa se fosse legata da un incantesimo (anche se era probabile) né di che tipo.

 

 

“Forse è il caso che rimanga chiusa…” interruppe Eloise. Le sue parole erano anche sagge, visto tutto quello che poteva accadere in casi simili, ma lo sciamano non aveva intenzione di darle retta. E io neanche.

 

 

“Non vedo ragioni perché tu rimanga qui, puoi tornare al campo se non trovi di tuo gradimento quello che sono venuto a fare.” Zel la guardò strizzando gli occhi, poi si rivolse di nuovo a me. “Ho provato il Flow Break ma senza risultati. Ho tentato anche di far esplodere il suolo ma nonostante sia saltato in aria tutto, quella è rimasta al suo posto. E sempre chiusa.”

 

 

“Che suggerisci?” Visto che ero qui, tanto valeva tentare qualcosa.

 

 

“Un piede di porco?” si inserì Eloise. Giuro che mi parve di sentir uscire dalla bocca dello sciamano ungià provato’ detto a mezza voce, poi però rispose in modo udibile.

 

 

“Laguna Blade.” Wow, addirittura? L’arma che poteva tagliare il Piano Astrale… per una botola?

 

 

“Scusate ma se è una porta, non basta bussare?” così dicendo Eloise si chinò, e io con lei, e battè col pugno sulla botola.

 

 

“Se vuoi fare la spiritosa vai da un’altra part…” le parole di Zel si interruppero perché in quel preciso istante la botola si aprì e una forza potentissima iniziò ad attirarci al suo interno. Un vento furioso mi sferzava il viso mentre cercavo di aggrapparmi alla mano dello sciamano, che si reggeva a stento al bordo del buco nero sotto di noi. La mezza elfa gridava, anche se non capivo neanche un parola di quello che stava dicendo. La pressione era sempre più intensa fino a che mi parve di venire letteralmente strappata da Zelgadiss. Lo vidi poi cadermi addosso ed Eloise emise un unico urlo, acuto.  

 

 

Precipitavo. L’aria fredda mi colpiva il viso mentre cadevo e cadevo, diretta verso una superficie scintillante, di un bianco tanto intenso da ferirmi gli occhi .

 

 

“Forza del…” scossi la testa “forze… forze del…” Inutili i tentativi di castare un qualsiasi incantesimo, le parole si sovrapponevano, aggrovigliandosi in frasi senza senso. Ad ogni sbaglio sentivo la frenesia e il panico afferrarmi con dita gelide mentre lo specchio crudele di quello che sembrava un lago ghiacciato era ormai su di me e io su di lui.

 

 

L’impatto del mio corpo ruppe la crosta sottile e io sprofondai. Mi inabissai e il freddo intenso delle acque avvolse il mio corpo in un abbraccio mortale, spezzandomi il fiato e trascinandomi con sé nel silenzio siderale del nulla. Mentre i corti capelli fluttuavano intorno alla mia testa, il suono ovattato di una voce estranea al mondo di giada che ormai era la mia casa ghiacciata, mi reclamava verso l’alto dove un cielo scuro richiamava la mia presenza, la mia vita.

 

 

All’altezza dei miei occhi una piccola sfera rossastra prese vita, crepitando. Allungai le dita per sfiorarla e quando lo feci si posò sulla mia mano. A dispetto della situazione mi trovai a fissarla ipnotizzata.

 

 

In quel momento mani invisibili ma delicate iniziarono a sospingermi verso l’alto mentre la mia bocca si apriva, affamata d’aria. Non potevo ancora respirare ma dovevo farlo. Il mondo sottomarino non era la mia casa, non era la mia casa, non era la mia casa.

 

 

Improvvisamente fui su una sabbia bagnata e appiccicosa, boccheggiando e vomitando, i polmoni in fiamme e la mente che lottava per tornare alla lucidità.

 

 

Quando smisi di tossire e il mio respiro fu di nuovo regolare, alzai gli occhi verso un cielo nero come l’inchiostro, dove una luna argentea enorme sembrava nuotare placida, attorniata dalla sua corte di stelle brillanti.

 

 

Faceva freddo e i miei abiti zuppi non aiutavano. Avevo un vago ricordo di come fossi giunta in quello strano posto e del fatto che non fossi stata in grado di volare ma solo di cadere. Stringendomi le braccia al corpo, girai la testa per cercare di orientarmi in quel mondo alieno eppure misteriosamente familiare e allora la vidi.

 

 

La casa.

 

 

Una casa che mi ricordava un'altra casa, un posto che avevo sì conosciuto anche se non sapevo quando, né dove. Sapevo però che avrei dovuto raggiungerla e allora, solo allora, sarei stata al sicuro. Da dove mi venisse quella certezza non avevo idea ma ero consapevole di dover andare là e spingere i battenti scheggiati, aggrappati alle mura annerite. Sapevo che la facciata non era che un riflesso, che la sua sagoma imponente, seppur in rovina, non era che un eco.

 

 

Mi alzai in piedi, impacciata dalle lunghe vesti incollate alle mie gambe e barcollai sul ghiaietto che conduceva alla porta, slittando sulle suole scivolose delle mie scarpe, mentre le lunghe ciocche gelide dei miei capelli, sfuggite allo chignon, sgocciolavano sul collo, facendomi rabbrividire ancora una volta. Ma ecco che i primi gradini, che mi avrebbero condotta al luogo del mio riposo, si profilavano. Il quarzo scintillava alla luce della luna mentre osservavo che altre orme umide avevano preceduto le mie.

 

 

Quando alzai lo sguardo, la porta si aprì.

 

 

“Benvenuta.” Disse la sua voce mentre il suo corpo si protendeva verso di me, nel gesto che mi era tanto familiare. Il mio cuore si scaldò e gli sorrisi. “Dammi il mantello e accomodati. Sarai trattata con ogni cura, come al solito.” Mi tese la mano.

 

 

I suoi lineamenti, stranamente evanescenti, si facevano man mano sempre più nitidi, mentre solo qualche ricciolo ribelle sfumava nell’aria. Era sempre stato bello, anche se davanti a lui non lo avrei mai ammesso, ma adesso mi sembrava quasi più attraente del solito. I tratti che ricordavo severi si stemperavano nell’espressione dolce mentre mi tendeva la mano. Forse era il tempo passato senza di me a renderlo così? Quanto tempo lontani

 

 

La afferrai, le sue dita sempre più solide tra le mie. Al suo fianco potevo tutto, ogni mio desiderio diveniva realtà, ogni mio capriccio, legge. Sarei rimasta al suo fianco per sempre. Avrei dimenticato il tradimento e condiviso il potere. Potevo farlo. Volevo farlo.

 

 

Ero la sua piccola straniera, lo ero sempre stata. Ebe, la coppiera degli Dei. Lo ero mentre mi accomodavo sulla poltrona, i miei capelli asciutti e morbidi tra le sue dita, la sua bocca sul mio orecchio. Era quello che desideravo, bramavo il suo calore e le sue mani su di me e lui lo sapeva. Mi conosceva così bene. Con le dita tracciava sentieri tortuosi sulla mia schiena, strappandomi brividi di piacere mentre entrambi pregustavamo quello che sarebbe venuto dopo.

 

 

Le sue labbra sulle mie, morbide.  Gourry.

 

 

Battei le palpebre. Qualcosa di strano stava capitando. Lui mi guardava adesso con occhi languidi e continuava a sfiorarmi la mascella. Era quello che desideravo, ovviamente, eppure

 

 

Gourry?

 

 

Scossi la testa aggrottando le sopracciglia. Nella mia testa, invece del desiderio per lui, era spuntato quel nome. Nella mia mente si andava ripetendo, come un mantra che alla fine perde il suo senso e diventa una serie di suoni. Gourry Gourry Gourry… perché quel nome interferiva?

 

 

In quel momento mi svegliai. Mi svegliai davvero.

 

 

Muri scrostati grigiastri mi circondavano mentre stringevo convulsamente un tavolo tarmato. Caddi sulle ginocchia, battendole con violenza sul pavimento lercio e rovinato. Faceva un freddo cani e non c’era un punto del mio corpo a non lamentarsi di dolori vari.

 

 

Avevo le mani insanguinate, sporche di terra e ghiaia, che si erano amabilmente infilate nelle ferite. Anche le braccia erano graffiate in vari punti e i pantaloni strappati. Puzzavo di alga marcia e in bocca avevo un retrogusto nauseabondo, come se avessi bevuto melma. Tossii e sputacchiai in preda al disgusto.

 

 

Dove diavolo ero?

 

 

Dove erano gli altri?

 

 

Ma soprattutto… chi diavolo era l’essere che mi aveva accolta e incantata?

 

 

Non me lo ero sognato, era impossibile. Qualcosa mi aveva attratta nella casa, la stessa cosa aveva creato un’illusione tanto potente da riuscire per breve tempo a confondermi… e poi… quando ero riuscita a uscire dal sogno, era svanito tutto. Eppure potevo quasi risentire il fiato caldo di quell’… uomo… nell’orecchio.

 

 

Strinsi i pugni, sussultando alla fitta di dolore delle mie povere nocche spellate e gridai.

 

 

“Dove sei?”

 

 

Nessuno rispose eppure ero certa che chiunque fosse, qualunque cosa fosse, era in ascolto.

 

 

“DOVE SEI?”

 

 

Se solo mi fosse venuto in mente il suo nome… perché ero sicura che nella mia mente fosse apparso, accanto alle di lui gesta e brame.

 

 

“VIENI FUORI!”

Dovevo capire cosa stava succedendo. Pensa, Lina. Pensa.

 

 

Una botola. Un botola che si apre come una porta, dopo aver bussato.

Una botola che si apre… su una realtà fittizia, su un mondo… parallelo?

Un mondo parallelo ma instabile.

Un mondo magico o retto su un incantesimo.

Un ponte.

La villa di Aleksander aveva una porta di accesso a

La villa dove ero entrata era uguale nell’aspetto alla villa di Aleksander.

Le due ville erano collegate.

Ma… che tipo di incantesimo teneva attivo il ponte e “questo” mondo?

E… chi era il padrone di casa?

 

 

Allungai le mani.

 

 

Potevo provare con il Ferious Breed… richiamare un volatile dal mondo reale per spezzare l’illusione… meglio di niente.

 

 

Chiusi gli occhi, concentrandomi. L’incantesimo fluiva spedito, le sue parole nitide nella mia mente.

 

 

Ferio…”

 

 

Una morsa di fuoco mi strinse mani e braccia, mozzandomi il fiato.

Caddi a faccia in avanti, resa muta dallo shock, ansimando pesantemente.

Le mani pulsavano, in fiamme.

Un dolore sordo attraversava entrambi i polsi, arrampicandosi fino ai gomiti.

 

 

“No, no, no… non si usa la magia.”

 

 

La sua voce non era più gioviale, non era più sensuale. La sua voce era seccata.

 

 

“Chi sei?” gridai, accecata dalle lacrime. Il dolore a mani e braccia era a malapena sopportabile.

 

 

La sua sagoma riapparve davanti ai miei occhi e il mondo cambiò, tornando ad essere caldo e illuminato, vagamente opulento. Il fuoco scoppiettava nel camino, il tappeto era morbido sotto alle mie gambe. Le mie mani, le braccia non sanguinavano più. I capelli erano di nuovo lunghi. Potevo alzarmi. Sapevo che se mi fossi alzata, non sarei caduta. Ma il dolore causato dall’aver provato ad usare la magia, quello rimaneva, vivo e acuto come non mai.

 

 

Quella cosa faceva parte o aveva creato l’illusione più potente al mondo.

 

 

“Mia piccola straniera, mi spiace che tu debba soffrire… ma non puoi spezzare l’equilibrio del mondo di sotto. Qui quel tipo di magia non si usa.”

 

 

I suoi lineamenti si ricomponevano più lentamente, adesso. Era un uomo alto, alto come Gourry, dal fisico longilineo e atletico. I ricci neri scendevano come una tenda davanti al suo viso, leggermente abbassato, nascondendomi gli occhi. Solo il naso, affilato, faceva capolino tra le onde e le sue labbra, arricciate in un sorriso ricurvo. Alzò la testa, permettendomi di vedere i suoi occhi, di un blu così profondo da sembrare neri. Occhi seri, intensi, non raggiunti dalla piega allegra delle labbra.

 

 

Non lo conoscevo. Non avevo la minima idea di chi potesse essere.

 

 

“Io ti ho dato quello che tu desideravi…” fece una piroetta a braccia aperte, lasciando dietro di sé una scia luminosa che seguiva il movimento. “Dopotutto questa è la casa dei desideri!”

 

 

“La casa…” , ci stava. L’illusione del camminare… dei capelli… erano tutte cose che desideravo. Ma… ehi! Aspetta un attimo. Lui… lui stava cercando di… Sentii una vampata mentre arrossivo furiosamente.

 

 

Strinsi i pugni. “Desideri, eh? I MIEI, giusto?”

 

 

“Certo.” Rispose con voce calma.

 

 

“IO NON CREDO DI AVER MAI DESIDERATO CERTI TIPI DI EFFUSIONI!” sputacchiai. Un modo sicuro per alterarmi? Questo. Era stato davvero lesto a scoprirlo.

 

 

“Puoi mentire a te stessa ma non a me, piccola straniera. Io leggo il tuo animo.”

 

 

Avvertivo chiaramente che avevo raggiunto il limite. E non dite che lo raggiungo in fretta… non mi era mai capitato di incappare in una rogna dopo l’altra e tutto questo grazie ad Eloise. (E non dite che se non avessi insistito per andare ad Ehltarien non sarebbe successo niente).

 

 

Non-chiamarmi-piccola-straniera!” sbraitai, avanzando minacciosa. “E poi: io non desidero quel tipo di contatto con nessuno –zitti!- tantomeno con TE!”

 

 

A quelle parole il sempre misterioso uomo alzò le sopracciglia. “Me?” disse indicandosi il petto, in un gesto che mi ricordò Gourry facendomi provare un involontario moto di nostalgia. Ceiphied, eravamo via solo da qualche ora! O forse no… come funzionava il tempo in quella casa?

Prima di poter porre la domanda, mi ritrovai col viso dell’uomo ad un palmo dal mio. Feci un salto indietro per la sorpresa.

 

 

Meeeeee?” ridisse, con tono orripilato. Anche i suoi lineamenti adesso riflettevano il turbamento interiore.

 

 

Annuii decisa, con gli occhi a fessura e le braccia incrociate. Sbuffai mentre piccole lacrime apparivano agli angoli dei suoi occhi. Provai di nuovo a chiedere del tempo nella casa ma ancora una volta non riuscii neanche ad aprire bocca.

 

 

“Hai visto ME? Me e non un bel ragazzo biondo?”

 

 

Il rossore sul mio viso si intensificò. Cos’era quel caldo fastidioso? Faceva davvero troppo caldo in quel posto.

 

 

“Ho visto te.” Sorvolai su il ragazzo biondo.

 

 

Un secondo dopo la casa era di nuovo fredda e spoglia, puzzolente e sporca. Dall’angolo più buio proveniva un pianto sommesso.

 

 

Ah, dimenticavo di menzionare il fatto che ero di nuovo piombata a terra.

 

 

Buuuuuuuuuu…. Sono pessimoooooooo….” Singhiozzò la voce in tono lagnoso per poi aggiungere in tono lugubre, “La mia magia si sta esaurendo…

 

 

Errrr…” Non sapevo davvero se essere furiosa o mettermi a ridere istericamente. “Senti…”

 

 

Nello spazio di un attimo mi ritrovai nuovamente in piedi, a volteggiare in una sala splendidamente arredata, abbigliata con un abito all’Amelia, i capelli raccolti in morbidi riccioli. Della musica soave riempiva la stanza e decine di ballerini danzavano a tempo insieme a noi.

 

 

“E adesso…” sussurrò l’uomo, che mi teneva una mano sul fianco. I suoi capelli ricci erano ora di un ridicolo colore biondo ma i connotati erano ancora i suoi.

 

 

Strinsi gli occhi. “No. E piantal…”

 

 

BAM.

 

 

A terra di nuovo. Da sola. Buio. Freddo. Puzza.

 

 

“Devi piantarlaaaaaaaaaa! Torna qui razza di demente!”

 

 

Apparve al mio fianco, testa bassa e gambe incrociate. I viso era coperto dai capelli.

Ero stufa dei giochetti. Casa dei desideri o no volevo andarmene e ritrovare Zel ed Eloise.

 

 

“Senti…” Non avevo idea di come si chiamasse. Ne come fosse lì. Né dove fosse il suo corpo fisico, se mai ce ne fosse stato ancora uno. Tutte cose che mi intrigavano, in modo scientifico, anche se sapevo che avevamo lasciato al campo Gourry e Amelia e che dovevamo andare presto da loro.

 

 

Alle mie parole l’uomo aveva girato leggermente la testa nella mia direzione. Come se avesse letto nei miei pensieri, rispose. “Sono Louis.” I suoi occhi adesso erano tristi, come quelli di un cagnolino preso a calci. “Sono, Louis… Eb…” Si bloccò, mettendosi una mano davanti alla bocca e poi riprese a fissarmi, le labbra tirate.

 

 

Nella mia mente apparve l’immagine di un bel ragazzo, i lunghi ricci raccolti in una coda bassa. Sorrideva in modo obliquo mentre gli occhi blu scintillavano. Era la versione “solida” dell’uomo evanescente di fianco a me. Improvvisamente mi ricordava qualcuno… anche se non capivo chi.

Provai un improvviso e imbarazzante senso di… affetto. Affetto? Mi stava di nuovo confondendo?

 

 

“Sono il custode della casa dei desideri…” Il ragazzo nella mia mente camminava veloce su una strada lastricata che si andava coprendo di neve. “O almeno… questo è il primo nome che è stato attribuito a questo posto.” I fiocchi intrappolati nei suoi ricci si scioglievano bagnandogli la testa ma lui non se ne curava. All’orizzonte apparve la villa dove ci eravamo scontrati con Aleksander. L’esterno era uguale a prima dell’intervento di Zel. “Ma c’è molto di più…”

 

 

Il modo in cui camminava, in cui i capelli gli incorniciavano il viso… perché tutto d’un tratto mi erano tanto familiari? Poteva davvero incantarmi con la sua magia, così? Adesso non mi sentivo in preda a qualche sortilegio… eppure… come potevo spiegarlo?

 

 

“Non mi è permesso di andare via.” Louis appoggiava la mano sull’intonaco screpolato vi faceva scorrere le dita, lasciando un segno nero, mentre l’aria si riempiva di un odore acre di bruciato. La gola del ragazzo vibrava di parole in una lingua arcaica, a me sconosciuta. Quando entrò nel salone principale, il buio lo inghiottì. Sembrava non ci fosse nulla da vedere ma lui sapeva che doveva solo aspettare. “E tu… forse potresti sapere di cosa parlo... anche se…

Pian piano il pulviscolo iniziò ad addensarsi, luminoso, creando una figura di donna. Lei fece un cenno, e lui la seguì. Lo stava conducendo nei sotterranei ma pur di avere quello che desiderava, era disposto ad andare ovunque lei volesse.

 

 

La piccola botola era aperta. Nella mia mente sentii Louis fare una domanda. “E’ laggiù?” La donna luminosa sorrise, senza rispondere. “E’ laggiù quello che desidero?” Lei annuì e Louis si affacciò alla botola.

 

 

Mi voltai verso l’uomo. “E questo cosa vuol dire?” Sembrava che fosse rimasto prigioniero, dopo che il suo desiderio di… di cosa? Lo aveva spinto fino alla villa. Chi era la figura di donna che era apparsa? Perché lo aveva condotto fino alla botola? Dov’era finita? Troppe domande… troppe supposizioni che non mi stavano piacendo per niente. Dopotutto nonostante avesse frignato come una bambina, era anche quello che mi aveva punita per l’uso della magia. Non era innocuo come cercava di sembrare… o era solo uno dei tanti pazzi che regolarmente capitavano sulla mia strada? O forse… no, non poteva essere… che anche qui c’entrasse la magia attira sfortuna di Eloise?

 

 

Louis sospirò. “Voglio dire che la mia sete di conoscenza mi ha spinto fino a qui… e mi sono trovato ad assumere il ruolo di custode della casa… ho richiamato lo spirito della casa e lei è uscita da qui, abbandonando la casa… ma la casa non può sopravvivere senza il suo guardiano. Così sono dovuto rimanere.” Mi guardò fisso negli occhi. Ancora una volta mi parve di essere sul punto di ricordare qualcosa. Quella sensazione iniziava a disturbarmi. Era evidente che non potevo conoscerlo. No?

 

 

“Scusa… ma a te cosa importava? E’ una casa basata sull’illusione… è come un parco giochi, no?” Non capivo.

 

 

“Io ero un mago e un alchimista. Sapevo che qui c’era una cosa molto importante… e volevo consultarla. Non sapevo che avrei dovuto bussare per accedere alla conoscenza. Bastava quello. Avevo scoperto una formula che poteva richiamare il custode e indurlo a lasciarmi entrare. Sorrise mentre il suo sguardo si perdeva in lontananza.

 

 

“D’accordo. Qui c’era una cosa importante e tu hai erroneamente attirato fuori il guardiano della casa… che ha deciso di non tornare… ma…

 

 

Scosse la testa. “No, non è che lo abbia deciso. Io l’ho attirato fuori… e lei è svanita a contatto con il nostro mondo. Non prima di essersi assicurata che io ne prendessi il posto, invitandomi ad entrare.”

 

 

“Continuo a non capire. All’inizio hai detto che questa è la casa dei desideri. Poi che una volta eri un mago e a causa della tua ambizione hai commesso un errore ti sei ritrovato qui a fare il guardiano. Le due cose non mi sembra vadano d’accordo. Cosa c’è di tanto importante che non hai potuto abbandonare?”

 

 

Louis mi fissò da sotto alle lunghe ciglia nere. “Claire Bible… ti dice qualcosa?”

 

 

Sussultai. Mi diceva qualcosa. Ma la vera Claire Bible era sui Monti Kaatart. Io l’avevo consultata.

 

 

La Claire Bible non è qui. Non la vera Claire Bible.”

 

 

“Sì e no. Qui c’è la Claire Bible.” Feci per ribattere ma lui alzò le mani, per indurmi a tacere. “Non esiste una sola Claire Bible. Luce e Ombra, bene e male, Shinzoku e Mazoku. Esiste una Bibbia per ognuno di loro. La Claire Bible dei Monti Kaatart, custodita dai Draghi Dorati, è solo una versione dei fatti… quella che custodisco si chiama Dark…”

 

 

Lo interruppi come una furia. “Non esiste una versione dei fatti!” Mi inalberai. “Alcuni fatti hanno una sola versione!” Strinsi i denti. “La Claire Bible dei Monti Kaatart non rappresenta una parte. E’ razionale e obiettiva. Narra i fatti per quelli che sono. E poi… se c’è una versione oscura della Claire Bible, se quella versione è nascosta qui, perché chiami questo posto ‘casa dei desideri’ e ti atteggi a bravo ragazzo che esaudisce per il tempo in cui stiamo qui i nostri desideri?”

 

 

Sorrise. E il suo sorriso non mi piacque. Il fatto però della versione oscura della Claire Bible collimava col modo in cui aveva negato la mia magia. Non era esattamente tipico della magia ‘buona’ una cosa simile.

 

 

“I desideri hanno un prezzo. Tu dovresti saperlo bene.”

 

 

E questo cosa…?

 

 

Improvvisamente nella mia mente fu di nuovo inverno. Non vedevo più il mondo da spettatrice ma ne ero partecipe. Io, nel corpo in cui ero, decisamente femminile a giudicare dall’abito frusciante e dalle scarpine eleganti camminavo con passo veloce. Sentivo il cuore battermi con violenza contro le costole, rabbia e paura mischiate insieme che mi spezzavano il fiato. “Louis!” La voce che usciva dalla mia bocca era acuta. “Merda!” Stavo per piangere. In chi diavolo ero finita??? Giunsi alla villa dei ricordi di Louis e battei un pugno sul muro. Nella mia mente condivisa il pensiero di quello che poteva aver fatto Louis diventava una certezza. Mi aveva battuta sul tempo! Avanzai verso l’interno della casa, quasi inciampando nei preziosi tappeti persiani. Un fuoco ardeva nel camino, riflesso dallo specchio dorato che occupava quasi l’intera parete di fronte.

 

 

Mi avvicinai allo specchio con crescente orrore. L’orrore era mio, di Lina Inverse. Un paio di occhi color rubino mi fissava da sotto una frangia di capelli rossi legati in uno chignon che era in punto di sciogliersi. La ragazza che aveva seguito Louis era… identica a me. Uguale identica a me.

 

 

In quel momento venni colta da una vertigine. Il mondo si muoveva in modo veloce intorno a me mentre le gonne mi si attorcigliavano alle gambe.

 

 

Ricordi, Ebe? Sai perché sei qui? Sai perché mi sono mostrato a te?

 

 

Venni scaraventata in aria e poi su, sempre più in alto, sempre più veloce, fuori dalla botola, tra i detriti.

 

 

Anche questo nome mi piace. Il nome che hai adesso è dolce… Non mi piace il biondo che leggo nel tuo pensiero… ma posso capire, piccola straniera, dopo tanto tempo… hai smesso di cercarmi.

 

 

Mi misi seduta, guardandomi intorno, ansimando. La notte era silenziosa, a parte il frinire pigro dei grilli. Poco lontano da me una figura immota avvolta in un mantello color sabbia.

 

 

Ma tu… sei la coppiera degli Dei…ecco perché adesso e qui sei una giovane maga così potente…

 

 

Mi strinsi le mani sulle orecchie. La voce farneticante che mi invadeva la mente mi stava spingendo sull’orlo della follia. Concentrai i miei occhi sulla figura pietrosa da me così ben conosciuta. E la voce sfumò.

 

 

Zel!” mi alzai in piedi e corsi verso di lui. A metà corsa mi si torse lo stomaco e le ginocchia mi cedettero. Mi accasciai. Eloise era a fianco dello sciamano, pallida, una chiazza scura sotto al suo corpo. Ceiphied! Battei un pugno a terra. “EloiseEloise!!!” Balzai di nuovo verso la botola e ci picchiai sopra con tutta la forza che avevo.

Spalancai gli occhi, che non mi ero accorta di aver mai chiuso.

 

 

Ero ancora nella casa.

 

 

Eloise?” sussurrai. La mezza elfa galleggiava davanti a me, sorridendo appena. Qualcosa… qualcosa nel suo aspetto non quadrava. I capelli lunghi e biondi, il corpo flessuoso, gli occhi socchiusi che lasciavano intravedere il loro color giad… no, un attimo. Per un attimo il verde era diventato blu. Ne ero sicura… Alzai la mano per cercare di sfiorare il fantasma che mi stava davanti, sapendo in partenza che era inutile. E che non era Eloise.

 

 

Le labbra di Eloise si schiusero un po’ di più, mostrando una fila di denti candidi mentre il colore degli occhi si assestava su quel blu profondo che purtroppo ormai conoscevo fin troppo bene.

 

 

Ceiphied se mi stavo arrabbiando… C’erano molte cose capaci di mandarmi in bestia ma niente era come prendermi in giro, giocare con me. E qualcuno lo stava facendo.

 

 

In quella casa, in quella Villa, qualsiasi cosa essa fosse, chiunque Louis fosse realmente, mi stava facendo impazzire. Avete presente le teiere quando l’acqua è pronta? Avete presente quando iniziano a fischiare? Ecco, nelle orecchie sentivo lo stesso rumore e forse, a guardare bene, del vapore mi usciva con violenza perché sentivo il viso che scottava. Tale e quale ad una teiera.

 

 

“Louis!” ruggii.

 

 

Il volto ghignante di Eloise si trasformò in quello di Louis, rimanendo sul corpo della ragazzina. Lentamente anche il resto riprese le sembianze dell’uomo fino a formare la sua figura completa, la leggera luminescenza rosata che solitamente avevo visto aleggiare intorno al suo corpo adesso più densa e scura, sanguigna.

 

 

Superfluo dire che la situazione non mi piaceva.

 

 

Più guardavo quell’essere, più i miei dubbi e la rabbia aumentavano. Aveva dei momenti in cui sembrava una sorta di spiritello domestico, una macchietta simpatica e un po’ pasticciona. Il guardiano di una specie di casa dei desideri opportunamente occultata che però non aveva la capacità, o la aveva perduta, di veicolare l’energia che teneva in piedi la baracca con tutte le sue (innocue) illusioni. E poi invece ecco che arrivavano i momenti in cui sembrava mostrare l’altro suo volto, più inquietante e minaccioso, più simile ad un mazoku o ad una qualche altra forma di vita poco raccomandabile. Momenti in cui era in grado di bloccare completamente la mia magia e farmi provare un dolore fisico tale che nessuna illusione poteva realmente creare.

 

 

La casa e anche lui erano instabili. E poi… mi prendeva in giro deliberatamente o era tutto causato dall’instabilità? E cos’era l’immagine di quella ragazza identica a me? Illusione? E perché allora provavo quello strano senso di familiarità? Era la sua magia che mi confondeva?

 

 

“Mia piccola Ebe,” risposte Louis, il cui volto sembrava adesso assottigliarsi, la pelle tesa sul teschio, l’aura sempre più cupa, “provo un incontenibile desiderio di smettere di giocare con te...”

 

 

Mi fu addosso, la sua bocca sulla mia, le sue dita sottili che mi artigliavano la spalla destra. Mi morsicò a sangue, fulmineo, lacerandomi con i denti la carne tenera del labbro inferiore.

 

 

Sbattei le palpebre una volta, poi un’altra.

 

 

Giacevo su un fianco, sdraiata su una superficie fredda e dura. Intorno a me il buio.

 

 

Mi portai una mano alla testa, confusa. Il labbro inferiore era gonfio e passandoci sopra la lingua mi accorsi che dovevo averlo morsicato profondamente. I bordi irregolari di una ferita frastagliata, quasi rimarginata, sanguinavano ancora un pochino lasciandomi in bocca uno sgradevole sapore metallico.

 

 

Dovevo aver battuto la nuca perché mi faceva un male cani. Nella mia mente danzavano immagini di strani uomini dall’aura luminescente ma non riuscivo a ricordare. Si sogna da svenuti? Perché era quello che doveva essere successo… Io, Zel ed Eloise eravamo stati risucchiati dalla botola sotto alla villa dove si nascondeva Aleksander… e dovevo aver perso i sensi durante la caduta, oppure nell’impatto.

 

 

Poco male. Sarei andata con ordine. Primo, mettere a posto la testa e la bocca. Secondo, accendere un Lighting e cercare gli altri. Non mi fidavo a gridare i loro nomi, non in quella fitta oscurità che Ceiphied sono sapeva cosa poteva celare. Se qualcuno doveva attaccarmi (visto come sono ridotta? Ormai vivo con la certezza che qualcuno voglia farmi la pelle), che almeno lo vedessi in volto.

 

 

Alzai le mani, che sembravano anchilosate, e le misi sulla nuca. Ceiphied, che dolore! Anche solo sfiorare quella zona mi faceva vedere le stelle.

 

 

RecovAaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah!”

 

 

Una fiammata mi avvolse la mani e le strinse in una morsa ferrea, spasmi incandescenti che si arrampicavano fino ai polsi, come se fossero stati ingabbiati nel filo spinato. Almeno, questo è quello che pensai quando riuscii di nuovo a pensare in modo coerente.

 

 

Rannicchiata, le braccia incrociate al petto, cullai le mie povere mani mentre copiose lacrime mi scendevano sulle guance. Odiavo piangere ma non riuscivo a farne a meno, la sofferenza era troppo acuta, non mi ero mai rotta mani e polsi ma la sensazione che provavo doveva essere strettamente parente. Mi veniva da vomitare.

 

 

Per un tempo infinito respirai dal naso, tenendo la bocca serrata e gli occhi chiusi, cercando di contenere il dolore, sperando che passasse il più in fretta possibile. Il grido non ero riuscito a evitarlo né a trattenerlo, alla faccia della segretezza eppure era possibile che in quel momento fossi davvero sola perché al mio grido non aveva risposto niente e nessuno. Il silenzio e il buio erano compatti e pesanti come una cappa. Nessun odore che potesse darmi un’indicazione della natura del luogo, solo il contatto gelido del pavimento, quasi sicuramente in marmo, a giudicare da quanto sembrasse liscio. Questo poteva essere un indizio. Non era una segreta, una cella. Di solito il pavimento di posti del genere era freddo, sì, ma molto più grezzo. Le celle poi, puzzavano. Certo c’era da considerare che era facile che non fossi in un posto normale, visto come ci ero arrivata.

 

 

Le mani e i polsi facevano meno male, adesso, solo una specie di pulsazione sorda li attraversava ma… quello che mi era accaduto era legato alla magia. Qualcosa aveva reagito alla mia magia, negandola. E questo era male. Molto male. Dovevo muovermi, capire dove fossi e dove si trovassero Zel ed Eloise. Se al mio urlo non si era presentato nessuno era possibile che il luogo in cui mi trovavo fosse deserto eppure non sapevo se rischiare…

 

 

Non potevo spostarmi usando la magia per cui ero costretta a strisciare. Pian piano iniziai ad avanzare facendo forza su gomiti e braccia, il resto del mio corpo inerte che mi zavorrava, ingombrante e inutile. Stesi la mano di fronte a me, con circospezione, aspettandomi di incontrare qualche ostacolo o forse sperandolo. Mi inquietava l’idea di trovarmi in un enorme posto vuoto… magari al centro di una stanza mastodontica, senza sapere quale direzione prendere, impossibilitata ad aiutarmi, a difendermi, con la magia. Non avevo neanche la spada, nulla. Se qualcuno mi avesse attaccata avrei dovuto usare solo la forza delle braccia… o morsicare. , i denti non erano male come alternativa dopotutto.

 

 

Continuai ad avanzare fino a perdere completamente il senso del tempo… erano 5 minuti che muovevo o un’ora? Dove ero arrivata? Possibile che non avesse sbattuto contro neanche un muro? Possibile che il pavimento scorresse sotto di me senza nessuna minima variazione? Liscio, nulla che potesse aiutarmi nell’orientarmi in quel posto. Mi fermai tendendo le orecchie e il solito silenzio mi avvolse. Improvvisamente un pensiero mi colpì. Avevo già provato la stessa sensazione di nulla… di vuoto… solo che il mio corpo era sospeso… ma… dove era successo?

 

 

Quella totale assenza di suoni e di odori…sembrava…

 

 

Il mare del caos!

 

 

Non appena lo pensai il pavimento scomparve, emettendo il primo suono che sentivo da quando ero lì, una sorta di crepitio, come di una lastra sottile frantumata… eppure rimasi sospesa, come se fosse stato ancora sotto di me, anche se non lo avvertivo più, a farmi da sostegno.

 

 

Il mare del caos… ma cosa andavo a pensare…

 

 

Mi è familiare eppure sconosciuto… Turbina intorno a me, nei suoi colori scintillanti,  tutti i colori che esistono nei quattro mondi, li distinguo ad uno ad uno mentre si fondono in un unico manto scintillante…

 

 

La parte umana che è in me recede, la coscienza si allontana da questa cosa troppo grande, troppo potente, questa parte infinita che brucia…

 

 

 

Lingue incandescenti e insieme ghiacciate lambiscono il corpo che abito…

 

 

E prima di sprofondare per sempre nel nulla i suoi occhi umani riescono a vederlo un’ultima volta, mentre tenta di avvicinarsi per afferrarla… anche se è tardi…

 

 

E’ troppo tardi…

 

 

Il Caos che è in me, il Caos che racchiudo, la sta avvolgendo…

 

 

Il Caos mi  reclama…la reclama…

 

 

Scossi la testa, sconvolta. Non avevo mai ricordato il Mare del Caos né quello che vi era successo. Non attraverso i miei occhi, figurarsi attraverso quelli di L.o.N. Per me dal momento in cui avevo iniziato a perdere il controllo del Giga Slave a quando mi ero svegliata tra le braccia di Gourry, in piedi sulle rovine di Sairaag, era un grandissimo buco nero. Mi rimaneva solo una sensazione, piuttosto dolce a dire il vero e che non sapevo in nessuna maniera spiegare ma niente altro. Qualsiasi ricordo, sensazione, odore… qualsiasi cosa legata a quei momenti era custodita indelebilmente in qualche parte remota del mio cervello oppure era stata completamente cancellata. E adesso… adesso improvvisamente quelle parole, quelle sensazioni, pena, paura, confusione, straniamento… tutto veniva a galla legato al luogo dove mi trovavo adesso.

 

 

Ma… questo posto non era il Mare del Caos. Non poteva esserlo. Non poteva esserlo, vero? Io ero andata via da là… ero tornata sulla Terra. Con Gourry.

 

 

“Io sono tornata…” mi trovai a sussurrare con voce tremante, in preda a brividi.

 

 

In quel momento si accese una luce fioca, rossastra, dritto davanti a me.

 

 

Sospesa a mezz’aria, brillava solitaria e beffarda, come se fosse sempre stata lì davanti al mio naso.

 

 

Mi spinsi in avanti, ancora e ancora, fino a raggiungerla. Non intendevo toccarla (e non potevo toccarla, visto che era parecchio al di là della portata del mio braccio) ma volevo vedere se riusciva ad illuminare abbastanza da darmi indicazioni. In realtà sapevo già che era troppo debole per permettermi davvero di scorgere qualcosa di utile ma non avevo poi molte alternative.

 

 

Non appena la raggiunsi, la luce si abbassò al livello del miei occhi e lì rimase, galleggiando. Adesso che ero così vicina, potevo sentire il leggero crepitio che produceva, come un Lighting di basso livello, modificato perché sembrasse un piccolo tizzone. Ero in grado di crearne uno così anche io, la magia si poteva modificare per piccoli e grandi esperimenti, alcuni utili, altri meno. A volte solo pergioco’, per creare qualcosa di simpatico più che altro.

 

 

Eppure quello non era un semplice Lighting modificato. Si muoveva troppo, il suo nucleo era troppo evanescente e nessuno lo aveva castato. La magia andava chiamata usando la voce e qualcuno che invocasse un incantesimo non sarebbe passato inosservato…

 

 

Allungai un dito verso la piccola sfera luminosa, sempre intenzionata a non toccarla, e quella si alzò, ingrandendosi e crepitando sempre più forte. Piccoli punti di colore scuro si addensavano sulla sua superficie, trasformandosi in linee che parevano inseguirsi, lottando col colore rosso per diventare predominanti. Quando il processo fu completo, la sfera smise di crescere e rimase a levitare a quella che se avessi potuto alzarmi sarebbe stata l’altezza del mio stomaco.

 

 

In quel momento mi sembrò di essere più leggera, come se fino a prima le mie gambe fossero state di cemento. Incredula mossi il piede destro… e il piede destro si mosse. Mi sollevai, facendo forza col le mani sulla coscia destra e spingendo con la gamba sinistra e in un attimo mi trovai in piedi, come se le mie gambe avessero sempre funzionato. Il pavimento, che non c’era più, mi resse. Era inquietante come, cercando di toccarlo con le mani avvertissi il nulla sotto di me, mentre quando ero in piedi mi sembrava di sentire qualcosa di solido sotto le suole degli stivali.

 

 

Ero felice di essere in piedi però… la situazione non mi piaceva. Ero prigioniera? Ero in trappola? Perché mi trovavo in quel posto silenzioso, da sola, impossibilitata ad usare la magia in compagnia di una palla rossa e nera, turbinante e crepitante? Mi avvicinai lentamente e quella si spostò, gettando una leggera luce su una superficie riflettente… dietro alla quale… No. NO! Non ancora… non ancora!

 

 

Mi girai di scatto, ansimando, le corte ciocche in faccia e le budella in subbuglio. Non poteva essere, non un’altra volta. Questo doveva essere un incubo. Dovevo essere svenuta. Ero ancora svenuta, dopo la caduta, in un punto misterioso di quello che collegava la casa del mondo dove venivo a questo posto… doveva essere così. Doveva. Doveva!

 

 

Strinsi i pugni, che ripresero a pulsare in modo fastidioso, e mossi velocemente il mio corpo verso quello che avevo visto. Non aveva senso nascondere la testa dentro la sabbia. Davanti a me, fiocamente illuminati, c’erano dei cristalli. E nei cristalli c’erano Zelgadiss, Eloise e Pokota. Ma non l’animaletto che era costretto ad essere… il ragazzino che era stato prima che ci incontrassimo.

 

 

Mi avvicinai ancora. I visi dei tre ragazzi erano distesi… avevano gli occhi chiusi ma stavano sorridendo. Stavano proprio sorridendo, come cullati da un sogno meraviglioso. Appoggiai la mano al cristallo di Zelgadiss e lo attraversai. Non… non era solido! La superficie sembrava di vetro ma in realtà era di un materiale gelatinoso, che aveva inglobato la mia mano tornando alla forma originale quando l’avevo ritratta di scatto. Dovevo liberare Zel ed Eloise da lì… ma come potevo fare, senza magia, senza armi? Per Posel non sapevo cosa fare… il suo corpo in teoria non doveva neanche più esistere… Sospirai e infilai entrambe le mani nella sostanza che custodiva lo sciamano.

 

 

Quando le mie mani furono immerse fino ai polsi, una forza invisibile ma continua iniziò ad attirarmi completamente al suo interno. “Merda!” Tentai di liberare le mani, divincolandomi e dopo diversi sforzi riuscii ad estrarre la destra. Con le dita piene di quella strana sostanza gelatinosa mi afferrai il braccio sinistro e lo strattonai fuori, cadendo sul pavimento-non pavimento che come prima mi sorresse. Voltai la testa e allora lo vidi.

 

 

In un cristallo, separato dagli altri, c’era un uomo. Lunghi capelli neri, ondulati, vestito elegantemente… Louis? Questo nome mi balzò nella mente, insieme a immagini confuse di… un ballo? Un sorriso? Non riuscivo a capire!

 

 

Cos’era successo a Zelgadiss? Perché lui ed Eloise erano intrappolati?

 

 

Perché c’era anche il corpo di Posel?

 

 

E chi era Louis?

 

 

“Usami.”

 

 

Feci un salto di lato, col cuore in gola.

 

 

Nel profondo silenzio, davanti alle figure dei miei amici, una voce aveva parlato. Ma… da dove veniva?

 

 

“Chi c’è?” il mio tono era vagamente isterico.

 

 

“Usami…” la voce… proveniva dalla sfera?

 

 

“Usala…” Di fianco a me Eloise, evanescente, mi cingeva la vita col braccio. Il suo corpo era ancora nel cristallo. Mi irrigidii.

 

 

“Usala, Lina…” anche Zel adesso era vicino a me, trasparente e insidioso come mai lo avevo visto nella realtà.

 

 

“Usala…” Posel mi aveva afferrato il polso e cercava di spingerlo verso la sfera. Nonostante fosse incorporeo sembrava riuscire a stringere con una certa forza.

 

 

Davanti a me, con solo la sfera a separarci, anche il misterioso Louis. Lui era più solido degli altri e mi fissava senza parlare, le labbra socchiuse a mostrare le punte dei denti scintillanti. Alzò il braccio sinistro e di riflesso anche il mio braccio destro si sollevò. Scintillava anche esso della strana luce rossastra che circondava la sfera… solo che non era l’aura della sfera che avvolgeva il mio braccio, piuttosto il mio braccio… Cosa stava succedendo! Cercai di opporre resistenza, senza successo. Con decisione mise la mano sulla sfera… e contemporaneamente, sempre spinta da una forza misteriosa che andava al di là della mia volontà, la toccai anche io.

 

 

Il nostro tocco combinato produsse un’improvvisa luce purpurea che aveva come centro la sfera e che ci inghiottì completamente, nelle mie orecchie un urlo lancinante che proveniva dalla mia stessa gola.                                                             

 

 

  
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