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La Storia di Payton
Sam
prese le ultime borse dal bagagliaio dell'auto e se le mise a tracolla,
sotto lo sguardo assonnato della piccola Payton. << Perché
dobbiamo continuare a piedi? >>
<< Perché il ponte
è crollato >> le spiegò prendendola per mano ed
iniziando a camminare in mezzo ai prati. << E l'unico modo per
andare dall'altra parte e trovare un punto in cui sia possibile
attraversare il fiume a piedi >>
<< Non possiamo trovarlo in
macchina? Io non ho voglia di camminare! >> si lamentò
mentre le prime lacrime iniziavano a scenderle dai grandi occhioni
verdi.
Sam si inginocchiò alla sua
altezza, asciugandole il viso con un fazzoletto. << Mi dispiace,
ma le macchine non possono andare nel bosco >>
<< E se veniamo attaccati dai mostri? >> singhiozzò spaventata. << Come faremo a scappare? >>
<< Se succederà, io e
gli altri provvederemo a farli sparire >> la tranquillizzò
arruffandole teneramente i suoi boccoli biondi. << Te lo prometto
>>
Payton annuì, inspirando a fondo con il naso, per cercare di calmarsi.
<< Tenete il passo voi due!
>> il gridò spazientito di Ian, richiamò entrambe
all'ordine e corsero dietro al gruppo per riguadagnare il terreno perso.
<< Crede di essere il nostro
capo >> bisbigliò la piccola per non farsi sentire dal
ragazzo e Sam le sorrise complice. << Non sa quanto si sbaglia
>>
Tre bambini che facevano parte del
gruppo che aveva abbandonato la scuola assieme a Jack e a sua madre le
superò, ridendo come matti per niente dispiaciuti di poter
finalmente sfogare le loro energie. << Perché non vai a
giocare con loro >> le suggerì Samantha. << Mi
sembra che si stiano divertendo un mondo >>
La bambina scosse vigorosamente la testa, stringendo con forza la mano della ragazza. << Non voglio >>
<< Va bene >>
Poco dopo i bambini vennero
richiamati dalle loro rispettive madri e Sam vide Payton osservare uno
di loro buttarsi tra le braccia di un uomo, quasi sicuramente suo
padre.
Venne colpita dal dolore che lesse
negli occhi della piccola; molte volte si era chiesta che fine avessero
fatto i suoi genitori, li aveva forse visti morire o loro gli avevano
ordinato di fuggire più veloce del vento e di nascondersi in un
luogo sicuro ad aspettarli?
<< Posso farti una domanda, Pay? >>
La bambina sussultò
sorpresa, sembrava essersi dimenticata della sua presenza. << Si
>> mormorò distogliendo velocemente lo sguardo dai due.
<< Che cosa è successo alla tua mamma e al tuo papà? >>
<< Quando... quando stavamo per partire da New York, papà si è ammalato >>
Payton corse
nella camera da letto dei suoi genitori per salutare il padre, che da
giorni era costretto a letto dalla febbre. << Siamo tornate!
>> strillò felice balzando sul letto, facendolo cigolare
rumorosamente. << Guarda che cosa mi ha regalato la mamma!
>> continuò alzando il braccio sottile per mostrargli il
braccialetto nuovo dal quale pendeva un ciondolo a forma di P. <<
Non è bellissimo? >> ma suo padre continuò a
dormire profondamente e allora gli prese scherzosamente il naso tra le
dita muovendolo a destra e a sinistra per svegliarlo; lui la
rimproverava sempre quando lo faceva, ma sapeva che in realtà lo
divertiva.
Niente, gli occhi del genitore rimasero chiusi. << Mamma!
>> urlò confusa dall'insolito comportamento del padre.
<< Papà non si sveglia >>
La donna corse subito nella stanza, scostandola delicatamente dal
fianco dell'uomo e Payton la vide avvicinare l'orecchio alla sua bocca
e fare una strana espressione che non riuscì a capire. <<
Papà e solo molto stanco, tesoro >> la
tranquillizzò sorridendole, ma c'era qualcosa di diverso in quel
sorriso; sembrava triste.
<< Per colpa della febbre? >>
<< S-si >> balbettò portandola in salotto. << Adesso guarda i cartoni >>
Payton obbedì e accese il televisore, mentre la madre ritornava
in camera senza dire una parola. Sullo schermo apparve un uomo anziano.
Era il Presidente, in quei giorni c'era spesso in tv, ma lei non lo
aveva mai trovato interessante, perciò cambiò canale.
Con suo sommo disappunto c'era lui anche sul canale successivo e quello
dopo ancora. << Mamma, in tv c'è solo il Presidente!
>> si lamentò sdraiandosi in terra, con le gambe per aria.
Forse vuole farci sapere che è riuscito a catturare tutti quei brutti mostri. pensò, mentre la madre si sedeva sul divano e alzava il volume. << ... non
c'è dubbio cittadini americani, questo virus mutante è
letale e minaccia non solo la sopravvivenza della nostra nazione, ma
quella di tutte le nazioni del pianeta. E' per questo che con grande
tristezza, ma con grande determinazione, stasera ho firmato il decreto
che ordina all'esercito di imporre una quarantena alla città di
New York... Dio ci protegga! >>
<< Che cosa significa? >> domandò Payton, vedendo
sua madre avvicinarsi alla finestra e spostare lentamente le tende.
La loro casa si affacciava sul ponte di Brooklyn e dalla sera
precedente molte persone avevano cercato di attraversarlo per
abbandonare la città, ma non loro. Suo padre era troppo malato e
non riusciva a muoversi, perciò avevano rimandato.
<< Metti la giacca, Payton >> le ordinò sua madre
andando a prendere il suo zaino. << Andiamo a fare una
passeggiata >>
<< Ma siamo appena tornare >> esclamò la bambina,
troppo concentrata a guardare i cartoni animati che avevano
ricominciato a trasmettere al termine del discorso del Presidente, per
obbedirle.
<< Ho dimenticato di prendere le medicine per papà
>> rispose. riempendo lo zaino di cibo, bevande e vestiti vari.
<< Non è vero! >>
<< Payton, obbedisci! >> urlò tirandola in piedi e mettendole con forza il cappotto.
<< Mi fai male! >> protestò sentendo un forte dolore alla spalla. << Smettila! >>
<< Prendi lo zaino! >> continuò ignorando le sue
proteste e questa volta Payton obbedì, troppo spaventata dal
comportamene della madre.
Uscirono di casa in fretta, senza nemmeno chiudere a chiave la porta
dell'appartamento. << Non abbiamo neanche salutato papà!
>>
<< Non staremo via molto >>disse asciugandosi le lacrime
con un fazzoletto e s bloccò di colpo, rischiando quasi di farla
cadere in terra. << Che c'è mamma? >> domandò
preoccupata. << Perché piangi? >>
<< Continua a camminare >> esclamò la donna,
rimettendo velocemente il fazzoletto in tasca e corsero per le vie
illuminate di New York, senza più fermarsi, fino a raggiungere
l'aeroporto di South Street.
Payton era sbalordita da tutte le persone che si accalcavano per
passare il controllo dei soldati. << Cosa stanno facendo i
soldati con quel coso? >>
<< Controllano se la gente è malata e se non lo è la fanno passare >>
<< Per andare dove? >>
<< In un posto lontano dai mostri tesoro >>
<< Ci andiamo anche noi? >>
<< Si >>
<< E papà? >>
<< Papà... dirò ai soldati di andare a prenderlo
>> rispose sbrigativa cercando di farsi strada tra tutte quelle
persone.
Finalmente riuscirono a raggiungere un gruppo di soldati che
puntò subito contro a sua madre uno strano apparecchio. <<
No >> protestò. << Controllate prima lei! >>
<< Guardi qui, signora >> gli ordinò il soldato e,
dopo un breve flash, lo schermo dell'apparecchio si illuminò di
rosso. << Infetta! >> gridò il giovane e i suoi
compagni le spinsero subito da parte, in mezzo ad una folla di persone
che urlavano, sventolando sotto il naso di quegli uomini delle
banconote. << Mia figlia non è infetta! >>
gridò disperata sua madre, ma i soldati non le diedero
ascolto e tornarono al loro lavoro.
<< Mamma, che cosa succede? >> domandò spaventata da
tutto quel frastuono. I suoi genitori le avevano sempre detto di
parlare a bassa voce, altrimenti i mostri sarebbero arrivati a
prenderla. << Voglio tornare a casa! >> ma sua madre non
l'ascoltava. Stava guardando una famiglia di colore passare senza
nessuna difficoltà oltre i soldati. << Ti prego prendi la
mia bambina! >> urlò rivolta all'uomo con in braccio sua
figlia; sembrava anche lui un soldato.
<< Lei non è infetta! >>
L'uomo distolse lo sguardo e si allontanò, mormorando un. << Mi dispiace >> prima di scomparire tra la folla.
<< Mamma, ti esce sangue dagli occhi! >> osservò
Payton, guardando una lacrima cremisi scendere lungo la guancia della
madre. << Non è niente, tesoro >> la
tranquillizzò, cercando di allontanarsi da quel luogo. <<
Adesso torniamo a casa >>
<< Da papà? >>
<< Si, amore >>
<< Facciamo una pausa! >>
Sam aiutò la piccola a
togliersi il suo inseparabile zainetto e si sedettero su un masso.
<< Hai sete? >> le domandò porgendole una bottiglia
d'acqua e Payton accettò grata, bevendone un lungo sorso.
<< Tu e tua madre siete riuscite a tornare a casa? >>
<< No >> rispose
chiudendo la bottiglietta. << I mostri ci hanno attaccato e mia
madre mi ha nascosto nel cassone della spazzatura e non è
più venuta a prendermi >>
<< Quanto sei restata chiusa lì dentro? >>
<< Non lo so... fino a quando non mi hai trovata >>
Quattro giorni. Era rimasta lì per quattro giorni.
<< Il mio papà e la
mia mamma sono morti, vero? >> mormorò salendole in
braccio e Sam la strinse forte a sé. << Si, tesoro >>
<< Lo sapevo >>
osservò, nascondendo il suo visino contro il suo petto. <<
Altrimenti sarebbero tornati a prendermi >>
Poco distante, Jack aveva osservato l'intera scena, ascoltando anche il
racconto della piccola. Ammirava la forza incrollabile dei bambini;
persino in mezzo a questo caos, riuscivano a mantenere intatta la loro
gioia di vivere, la loro allegria contagiosa. Forse, c'è ancora speranza...
Le sue riflessioni furono interrotte da un rumore alla sua
sinistra, dietro ad alcuni alberi e, prima che potesse reagire si
ritrovò con un fucile puntato alla testa.
Anche Sam si era accorta del rumore e aveva nascosto subito Payton
dietro di lei, guardando impotente un uomo di colore uscire agilmente
dai cespugli e puntare la sua arma contro Jack.
<< Metti giù il fucile! >> urlò Ian estraendo
la sua pistola, imitato da tutte le persone armate del gruppo, ma lo
straniero non obbedì, per niente spaventata dalla situazione
critica in cui si trovava. << Sparatemi e farò saltare il
cervello del vostro capo >>
<< Lui non è il
nostro capo! >> replicò Ian l'uomo scrollò le
spalle, disinteressato. << Questo significa che posso sparargli?
>>
Jack sorrise per niente impressionato dalle sue parole. << Se mi
spari, loro ti sparano >> osservò. << Quindi non ci
guadagni niente nell'uccidermi. Ti sei fregato con le tue stesse mani
>>
L'uomo scosse la testa divertito. << Hai ragione, non è
stata una mossa molto furba >> abbassò l'arma, lasciando
il gruppo ancora più confuso. << Mi chiamo Mark Gordon, tu
invece? >>
<< Jack Parker >>
<< Ma chi ti credi di essere?! >> gridò Ian
inviperito. << Non puoi minacciarci di ammazzarlo e poi metterti
a chiacchiere con lui come se non fosse successo niente! >>
<< Calmati, Ian >> gli ordinò Sam avvicinandosi a
Gordon. << Il mio nome è Samantha Gray >>
<< Piacere, se non sono troppo indiscreto posso sapere che cosa ci fate nel mio bosco? >>
<< Non mi sembra che ci sia scritto il tuo nome >>
sibilò Ian ignorando l'occhiataccia della ragazza. << E
comunque non sono affari tuoi >>
<< Stiamo cercando di raggiungere Bethel, per caso sai come arrivarci? >>
Il viso dell'uomo si fece improvvisamente cupo. << Si >>
rispose. << Ma non ci troverete quello che cercate >>
<< Che cosa vuoi dire >>
<< Bethel è stata attaccata dai cacciatori del buio, circa due settimane fa >>
Nel gruppo scese il silenzio.
Fu Tom a porne fine. << E' impossibile >> replicò. << Loro sono sempre rimasti nelle zone calde! >>
<< Infatti, ma quelli sono stati portati qui da degli scienziati
>> disse Mettendosi in spalla il vecchio fucile. <<
Dicevano che servivano per trovare una cura, ma poi quella donna
è uscita di testa e li ha liberati, scatenandoli contro gli
abitanti >>
<< Quella... donna? >> balbettò Sam, mentre
cominciava a capire. Quindi gli infetti presenti nel laboratorio non
erano stati eliminati. Guardò Tom, sembrava sorpreso quanto lei.
<< La Dottoressa Krippin >>
<< COSA?! >> sbraitò un uomo del gruppo. <<
Noi siamo stati abbandonati come cani, mentre quella stronza è
stata portata in salvo?! >>
Gordon lo ignorò. << Coloro che sono riusciti a sfuggire
al massacro, si sono diretti verso nord, ma non credo che siano
riusciti a sopravvivere >>
<< Perché no? >> domandò Jack. << Loro li hanno inseguiti? >>
<< No, ma fuori città, sulle montagne si è
stabilità una banda di criminali che ammazza ogni singola
persona che entra nel loro territorio >>
<< Come fai a saperlo? >>
<< Perché una volta ero uno di loro >>
Sam sentì le sue speranze andare in frantumi, persino Bethel,
l'unica luce che li aveva spinti ad andare avanti, si era spenta. Ed
ora erano soli e costretti a nascondersi, non solo dai cacciatori del
buio, ma anche da una comunità di pazzi sanguinari.
Senza aggiungere altro, Gordon si avviò verso Est, invitandoli a
seguirlo. << Muovetevi, fra meno di due ore farà buio e la
mia casa non è molto distante da qui >>
Sgranarono gli occhi sorpresi quando, usciti dal bosco si ritrovarono
davanti ad un edificio circondato da alte mure completamente ricoperte
di filo spinato. << Questa sarebbe la tua casa?! >>
esclamò Ian, esprimendo a voce il pensiero di tutti e Gordon
annuì con un ghigno. << Graziosa, non trovate? >>
< Ma come facciamo ad entrare? >> domandò Tom
osservando il gigantesco portone. << Questo affare è
chiuso dall'interno >>
<< Basta dire la parola magica >>
<< E qual è? >> esclamò curiosa Payton, mentre tutti gli adulti si scambiarono occhiate scettiche.
<< Semplice, è Apriti Sesamo >>
<< Smettila di fare il cretino e... >>
cominciò Ian, ma si zittì quando vide le porte aprirsi
cigolando rumorosamente e dal gruppo si levarono esclamazioni di
stupore, mentre Payton batteva le mani felice. << E' veramente
magico! >> strillò eccitata seguendo a ruota Gordon che si
era avviato a passo spedito all'interno della struttura.
Il gruppo li seguì e, quando tutto furono entrati, il portone si
richiuse velocemente alle loro spalle con un tonfo sordo. <<
Benvenuti alla prigione di Bethel >> li informò Gordon
aprendo le braccia in un gesto teatrale. << Il paradiso dei
detenuti >>
<< E questi chi diavolo sono? >> esclamò una voce
infantile ed un giovane ragazzino di colore uscì allo
scoperto, osservando i nuovi arrivati con diffidenza.
<< Ehi, che razza di maniere sono queste? >> lo
rimproverò un'altra persona, uscendo dalla prigione. Era un uomo
dalla pelle molto più scura di quella di Gordon ed era anche
più alto e robusto. << Avanti figliolo, presentati come si
deve >>
Il ragazzino alzò gli occhi al cielo. << Il mio nome
è Kevin e lui è il padre mio e di Mark, Steve Gordon
>>
<< Molto piacere >>
Tom si avvicinò all'uomo tendendogli la mano. << Il mio
nome è Thomas Wood >> si presentò. << Eravamo
in viaggio verso Bethel quando suo figlio ci ha trovati >>
<< Trovati >> borbottò Ian e Sam gli mollo una
gomitata per farlo tacere. << Non sappiamo come ringraziarvi per
la vostra ospitalità >> disse Sam, ignorando l'occhiata
omicida che gli lanciò l'ex agente.
<< Avrete modo di farlo, ma non stasera >> esclamò
l'uomo invitandoli ad entrare. << Da quanto tempo non vi fate una
dormita come si deve? >>
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