tra la terra e il cielo1
Tra la terra e il cielo
Dalla coltre densa e scura, la pioggia cadeva copiosa e tagliente. I
boschi stormivano e fremevano in balia del vento impetuoso, che in
spire trasparenti cingeva le cime, piegandole al suo volere, per poi
scendere giù, sempre più giù, a sferzar gli
arbusti e i cespugli ed infine insinuarsi tra l’erba e divenir
spira sottile e spettrale, come piede di fantasma. Ma come esse
poterono generare la distruzione e l’oblio, così come
distrussero persino umano manufatto, furono anche la salvezza, il
soffio che estingue la fiamma, la sferzata che attutisce la febbre, il
dolce cullare che ti risveglia con il suo gelido bacio e ti riporta
alla vita.
Sul fondo di un profondo canalone, ai piedi di una grossa roccia,
giacevano i resti di quello che una volta era stato l’x-jet.
Lamiere contorte e taglienti, vetri rotti sparsi ovunque, frammenti di
alettoni e parti di motore erano sparsi ovunque, dando l’idea di
una bolla di cristallo infranta su un pavimento di marmo. Rocce
acuminate come lame squarciavano la cupola d’acciaio, come si
fosse trattato di un coltello nel burro, svettando poi verso
l’alto, fiere e spietate nella loro incorruttibilità.
Sul terreno e sulle pareti circostanti, a testimoniare presenza umana
si poteva vedere il sangue, rosso e vivo, che macchiava la giallastra
roccia in schizzi irregolari e i resti di abiti strappati e bagagli da
campeggio disseminati a perdita d’occhio. Sembrava quasi che una
forza sovrumana avesse sbattuto il mezzo in quella gola inaccessibile e
scura, con un odio ed un disgusto indecifrabili. Attorno il silenzio
più assoluto, non un sospiro, non un sussurro, solo il
persistente ticchettio della pioggia e l’ululato del vento che si
insinuava nelle crepe delle rocce.
Ma l’apparenza a volte inganna. Infatti fu proprio in quelle
crepe buie e inesplorate che si accesero via via centinaia di luci,
tutte rivolte inspiegabilmente alla volta di quello spettacolo
raccapricciante. Luminosi, sempre più scintillanti gli sfavillii
si accendevano per ogni dove, mentre l’ululato cresceva, sino a
riempire l’intero dirupo. Fu allora che le nubi si diradarono per
un istante e come in un motto di compassione ecco apparire la luna,
pallida e rotonda, avvolta nella su luce malinconica.
Ora l’ululato era qualcosa che andava al di là di
qualsiasi suono: non era solo un richiamo lanciato alla volta celeste,
ma una preghiera colma di compassione, che centinaia di lupi bianchi
come la neve rivolgevano al Paradiso, per quelle anime sospese tra la
vita e la morte.
E in quell’atmosfera surreale ecco che qualcosa si mosse. Una
forma scura e malferma sul terreno dissestato e polveroso iniziò
ad avanzare strisciando. Le centinaia di occhi la fissarono e
quand’ella si alzò faticosamente in piedi allora
scattarono tutti in avanti, sprezzanti del pericolo che rappresentavano
quelle rocce taglienti come lame, scattando agili ed eleganti. Giunti a
pochi metri dalla presenza si fermarono e tutti chinarono il capo in
segno di reverenza, portando le zampe indietro a simulare un inchino. E
l’ululato si alzò nuovamente, mentre Logan ancora
stravolto e dolorante si guardava attorno con fare alquanto perplesso.
Poi capì: quelle creature avevano sentito le sue preghiere,
quelle che lui aveva lanciato più simili a imprecazioni, mentre
il jet precipitava dal cielo ed ora erano lì, al suo cospetto
per aiutarlo.
Mai come in quel momento si sentì onorato e completamente inerme
allo stesso tempo, di fronte alla potenza della sua stessa natura.
Preso da un profondo sentimento verso quei benevoli animali,
pensò a loro come fratelli, compagni forse di una vita passata e
irraggiungibile, tanto che presto si era già dimenticato del
dolore e della spossatezza che logoravano il suo corpo. Fu una profonda
ferita al fianco sinistro che lo fece vacillare e cadere sulle
ginocchia, riportandolo per un attimo alla condizione in cui si
trovava. Volse il capo in direzione del mezzo, stringendo in pugni,
mordendosi le labbra, maledicendosi per la sua prepotenza e
insensibilità ai consigli di chi lo aveva cresciuto come un
figlio.
Uno scalpiccio lo fece voltare di scatto: di fronte a lui, fiero e
maestoso, si stagliava il più grande e bello di tutti i lupi. La
sua pelliccia candida fluttuava nel vento ed il suo sguardo incuteva
timore. Ma non per Logan. Egli sapeva che quella creatura era lì
per aiutarlo e non per fargli del male. Istintivamente avanzò,
sempre faticosamente, scosso dalle scariche di dolore, finchè
non cadde nuovamente a terra, il volto contratto dal dolore
insopportabile. Sentendo le forze venirgli meno tese un braccio alla
volta del lupo, che prontamente gli fu vicino e già si
apprestava a leccargli le ferite. Il ragazzo affondò il volto
nella morbida pelliccia e lì diede sfogo a tutta la sua
frustrazione. Anche i lupi si unirono al suo dolore e di nuovo quella
preghiera si levò al cielo ancora sgombro da nubi.
Improvvisamente il lupo che gli aveva fatto da spalla si alzò e
lo fissò con i suoi occhi verdi e scintillanti. In quello
sguardo fu come rivedere qualcosa di inaccessibile eppure così
quotidiano, come gli occhi di un padre o un maestro sapiente. Logan
allora capì e a fatica si rimise in piedi, per poi sospirare
un’ultima volta, prima di dirigersi verso i resti del jet. Come
attratti dai suoi pensieri i lupi lo seguirono e poco alla volta
estrassero dalle macerie i corpi di Rogue, Bobby e Kurt, depositandoli
in una grotta asciutta e pulita. Poi indicarono a Logan il luogo in cui
sgorgava una sorgente d’acqua cristallina, che egli usò
per detergere i loro volti dal sangue e dai resti di vetri che si erano
raggrumati. Nel passare la mano sul volto della ragazzina provò
una stretta al cuore notando che nessuna energia veniva risucchiata dal
suo corpo e una smorfia di dolore gli si dipinse su volto provato,
mentre si scioglieva nuovamente in lacrime.
Fu ancora il Grande Lupo Bianco che gli venne in soccorso, ringhiando
questa volta, come a volergli rammentare la sua natura ed allo sguardo
interrogativo del ragazzo su cosa potesse fare, volse il capo verso
Kurt, che giaceva poco distante. Logan questa volta non recepì
subito le intenzioni dell’animale, finchè egli non si
diresse verso Kurt e tornò stringendo tra i denti il piccolo
rosario di legno che il ragazzo teneva ancora nella mano. Allora ancora
una volta Logan capì che doveva avere fede, la stessa che aveva
avuto quando erano precipitati, quella stessa sensazione di fine e di
risoluzione che aveva sentito pulsargli dentro quando aveva ormai
capito che era giunta la loro ora.
Portandosi il rosario al petto lo strinse, mormorando poi stentate
parole sotto lo sguardo benevolo dei lupi, che silenti lo osservavano
dall’alto delle rocce circostanti. Sta volta solo il suo sussurro
si udiva, mentre gli animali tacevano e la luna brillava ancora nel
cielo, ora più splendente di prima; e fu in quel raggio di luna
che la vide: gli occhi blu, i capelli biondi sciolti sulle spalle, il
corpo tutt’uno con la luce argentea, le grandi ali aperte sul
dorso. Avanzava lieve, a qualche centimetro da terra, fluttuante come
un nembo dorato, soave come un soffio di brezza, il capo coronato
d’alloro, la veste turchese e il sorriso radioso. Quando gli
sfiorò il volto si sentì rinfrancato da tutti i patimenti
subiti e la forza tornò a scorrere nelle sue membra. Poi, un
dolcissimo sonno lo colse ed egli si abbandonò, lasciandosi
cullare da tiepide e sconosciute melodie.
Nella Sfera Lucente Ayusya aveva avuto la meglio. Kala infine aveva
desistito e si era arresa, ma non senza apportare danni cospicui alla
Sfera stessa ed ai suoi abitanti. Infatti, gli angeli al cospetto
di Ayusya erano infine stati trasformati in demoni ed erano
fuggiti, per far tappa nella Sfera Oscura, trasformati ora in servitori
del male ed ella sapeva che per ora, anche se le forze del Bene avevano
vinto una battaglia importante, la guerra era appena cominciata.
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