Salve
a tutti!
Ecco a voi il nuovo capitolo! Non volevo farmi aspettare troppo e mi
dispiace di aver tardato di un giorno, ieri sera il capitolo era
già pronto ma ero seriamente in ansia per il ritorno a
scuola e stavo mettendo a posto le ultime versioni. :3
Ad ogni modo vorrei ringraziare come sempre chi legge la storia, la
commenta, la inserisce tra preferiti/seguiti/ricordate. Siete tutti
fantastici. *-*
Volevo anche avvisarvi che non ho intenzione di fare più
molti ritardi, ma come per molti di voi anche io oggi ho iniziato di
nuovo la scuola. Una bella botta di sicuro, non vedo l'ora di
collassare sotto le coperte. Ad ogni modo, ho un sacco di lavoro da
fare per recuperare latino. Quanto odio quella materia, mio dio; no, la
cosa davvero irritante è che non è vero che la
odio, mi piacerebbe anche se solo riuscissi a capirci una mazza.
D'accordo, inizio a mettermi sotto.
No, non è vero: come faccio a studiare quando ho messo su il
dvd di "Senza filtro"?! Gné.
Su, giuro che ci provo. Voglio passare l'anno.
Buon capitolo!
Schizophrenia.
Salviamoci
la pelle.
-Come
noi vorremmo che fosse.
Campo
di sterminio di Buchenwald, Germania.
28
Febbraio 1944
23:56
I giorni passavano
così in fretta quell'inverno in Germania.
Così in
fretta da sembrare attimi, attimi in cui tutti riuscivano a prendersi
una pausa dal mondo esterno e dedicarsi ai propri problemi personali e
alle proprie gioie. Che di gioie in realtà ce ne fossero ben
poche effettivamente per molti tedeschi e persone residenti nel posto
era un'altra cosa; a Mark Schreiber sembrava che tutto girasse nel
verso giusto in quei mesi e che niente sarebbe potuto capitare di
abbastanza forte da rovinare quell'assurda perfezione che per la prima
volta era venuta a crearsi all'interno della sua complicata vita.
D'accordo, forse quando
si coricava sul letto oppure reggeva un fucile per i suoi quotidiani
allenamenti gli venivano in mente giusto una cinquantina di situazione
che se si fossero verificate avrebbero potuto spezzare quell'armonia,
ma ultimamente si era convertito al pensiero che essere ottimista ogni
tanto non faceva male a nessuno e quindi ci provava anche lui, pensava
positivo ed effettivamente andava tutto bene: Bea era ancora in vita
pur essendo stato perso definitivamente l'Assedio di Leningrado e
inoltre poteva finalmente definirla la sua Bea, almeno tra
sé e sé quando pensava a loro due insieme; non
era stato richiamato per combattere ancora dopo una ferita
così grave alla gamba e pur sapendo che quella lettera
poteva arrivare da un momento all'altro preferiva godersi la meritata
libertà; suo padre non gli stava ancora facendo pressioni
riguardo Barbara Von Hebel e questo era certamente da considerarsi un
bene.
C'era certo una macchia
in tutto quello: Walter. Secondo il sergente il suo migliore amico
aveva un enorme segreto che non rivelava a nessuno, ma più
si scervellava più non riusciva a venirne a capo quindi
aveva deciso di mettere da parte "la questione Walter" e chiuderla a
chiave, considerandola uno pseudo-pericolo per quello strano periodo di
serenità mentale.
Si avvicinò
alla porta di Beatrishka, senza bussare. Infilò le chiavi
nella serratura, ma non giro. Stesse semplicemente qualche minuto a
fissare prima il legno scuro della porta e subito dopo la maniglia
dorata; aveva sempre qualche minuto di esitazione prima delle sue
visite notturne a Bea: moriva dalla paura di aprire quella soglia e di
non trovarla oppure trovare semplicemente il suo cadavere ricoperto di
sangue. Non credeva che sarebbe mai riuscito a sopportare una visione
del genere e comunque tutti erano perfettamente in potere di eliminarla
da un giorno all'altro, la spiegazione sarebbe stata ovvia "non ci
occorreva più", tuttavia c'era una possibilità
più grande che dava a Mark motivo di panico e angoscia.
Qualunque persona che
non conosceva bene la gerarchia di un lager tedesco avrebbe pensato,
non trovando più la ragazza all'interno della camera a lei
designata, che ella sia stata uccisa, ma c'era un'altra triste
realtà e usanza: le belle e giovani ragazze potevano avere
una vita migliore socialmente in un lager, mantenere i loro bei capelli
proprio come era stato concesso a Bea se accettavano di prostituirsi ai
soldati. "Accettare", poi, è decisamente un bel termine
quando ti obbligano a fare qualcosa. Purtroppo
quest'eventualità terrorizzava Mark dato che Beatrisa
Gurtsieva era bellissima non solo ai suoi occhi, quella di lei era una
bellezza semplice e in fiore, di una ragazza che sta crescendo con la
pelle liscia e profumata di vaniglia, dai tratti leggeri e sofisticati,
l'unica cosa che scoraggiava l'ammissione di Bea in questi "bordelli"
per nazisti era il seno non troppo grande, caratteristica che molti
soldati che il sergente Schreiber aveva conosciuto trovavano
fondamentale in una donna. Eppure il ragazzo era attratto anche da quel
seno piccolo e per niente volgare. Si, stava sicuramente andando fuori
di testa.
Mark Schreiber alla
fine, come ogni sera, si era deciso ad aprire quella porta ed entrare
nella piccola stanza. Sorrise, nell'osserva che Bea era lì,
ad aspettarlo. Seduta in un angolino della stanza, quello
più distante dalla candela. Beh, non che vi fosse comunque
molto altro spazio in un buco di stanza poco pulito, per giunta. La
vide sorridere, appena si fu richiuso la porta alle spalle
silenziosamente. La schiena della ragazza era schiacciata contro la
parete e le gambe, pressate contro il petto, erano come protette dalle
braccia. Il ragazzo osservò i lunghi capelli corvini di lei,
che in quella posizione quasi sfioravano le assi del pavimento. Le si
avvicinò a passi veloci, salutandola con un lieve cenno
della mano. Quel giorno era stanco, ogni muscolo del suo corpo sembrava
urlarlo.
<<
Com'è andata la giornata, soldato? >> chiese
la ragazza, poggiando il capo sulle ginocchia, osservando e
memorizzando ogni suo movimento come se fosse vitale: l'avanzare
velocemente, il sedersi accanto a lei contro la parete, quello sfiorare
una ciocca di capelli come se fosse naturale, come se fosse come
respirare. Le sarebbero serviti quando non le sarebbe stato
più permesso di rimanere in vita.
Lui scrollò
le spalle, << Come tutti i giorni
>> le sorrise, un sorriso disarmante. Gli
sembrava di aver sorriso di più in quei pochi mesi
-trasferta a Leningrado sotto le armi compresa- che nel resto della sua
vita dai sei anni in poi. Quella ragazza aveva uno strano ascendente su
di lui, se ne rendeva conto perfettamente, ma sembrava non riuscire
proprio a farne a meno. << Sono andato ad allenarmi, ho
anche incontrato Derek Keller oggi. Non parla molto con nessuno, ma
sono convinto sia una brava persona, non ragiona come tutti gli altri.
Credo sia un punto a favore >> disse, con una velata
notare di ironia. Da quando faceva ironia sul nazismo? No, quello
decisamente non era il ragazzino che sognava di andare in guerra a
sparare addosso a qualche russo.
Beatrisa
annuì, alle parole del sergente, osservandolo incantata.
Riusciva ad incantarsi ogni volta che apriva bocca. <<
Chi è Derek Keller? >> chiese, appena l'altro
ebbe terminato la frase. Di solito non gli chiedeva mai spiegazioni, di
solito non c'era bisogno di farlo, ma quel nome non le diceva
assolutamente nulla.
L'altro si
bloccò, cercando qualche riferito. Era una morsa dentro non
poterle parlare come se fosse una comune ragazza tedesca, invitarla a
bere una birra una sera-seppure qualcosa nel suo sguardo gli
comunicava che non avrebbe mai accettato di bere una birra- o
presentarla ai suoi amici. Certo, stava diventato smielato fino
all'inverosimile, ma non riusciva a sopportare di non poter comportarsi
come una persona normale. << Ricordi la prima volta che
Walter è venuto a trovarti? Ci fu qualcun altro, quella
sera, che ti portò da mangiare. Quello è Derek
Keller >> borbottò, lasciando ciondolare il
capo contro il muro freddo.
Non gli andava più di
continuare quello stupido gioco, ma che altro poteva fare? Stava
cercando ad una soluzione per farla fuggire da quel postaccio, ma
perché? In fondo la compagnia di lei lo faceva sentire
così vivo e riusciva a farlo sorridere dopo anni in cui la
sua povera testolina aveva iniziato a credere che l'unico rapporto
umano decente che avrebbe mai potuto avere sarebbe stato sempre e solo
Walter. Eppure sapeva che prima o poi l'avrebbero uccisa, che qualunque
cosa avesse provato per lei il destino della ragazza era segnato da
tempo: era solo questione di aspettare un po' e poi sarebbe morta in
una di quelle camere a gas, con la scusa di una doccia; l sergente lo
sapeva bene.
La mora
annuì, poggiando il capo sulla spalla del suo soldato,
<< Adesso ho capito >> concesse, un po'
ironica, socchiudendo gli occhi. Moriva dal sonno e non dormiva
decentemente se lui era con lei. Aveva sempre troppa paura che qualcuno,qualcuno che non era Mark,
entrasse nel cuore della notte per portarla ancora in quelle terribili
sale di tortura che purtroppo aveva già conosciuto.
Schreiber le
accarezzò i lunghi capelli scuri, arricciandoseli ancora
attorno alle dita, mentre scrutava ogni suo movimento. Riusciva sempre
a stupirsi di quanto la ragazza fosse bella ed estremamente fragila.
Non era stata quella ragazza ad urlargli contro qualche giorno prima?
Quella che si imponeva, che pretendeva di aver ragione sul loro
rapporto, quando diceva che non c'era nulla di sbagliato? Era fragile,
sì, ma estremamente coraggiosa.
<<
C'è qualcosa che non va >> notò
lei. Non era una domanda, non aveva bisogno di una risposta, ma aveva
notato lo stato di inquietudine generale che aleggiava nell'aria e non
poteva fare a meno di comunicarlo anche al ragazzo. Ovviamente nemmeno
lei era tranquilla, ma cercava di illudersi che andava tutto bene, che
sarebbe andato tutto bene finché uno dei due non avesse
chiuso gli occhi per sempre, nel buio infinito dell'oblio che circonda
una morte serena.
Lui rise. Una risata
vuota, priva di divertimento o di qualsiasi emozione, nemmeno negativa.
<< C'è mai qualcosa che va come dovrebbe?!
>>, nemmeno quella di lui era una domanda, troppo cinica
e sarcastica per esserlo. Sapeva benissimo che no, non andava nulla per
bene, non c'era motivo di fingere davanti a Bea che non fosse
così. Voleva solo godersi gli ultimi giorni -o forse,
volendo essere davvero molto positivi, mesi- di tutto quell'inferno con
lei; magari rivelandole finalmente quali erano i suoi veri sentimenti,
cosa che non aveva ancora fatto per mancanza di chiarezza propria.
Bea scivolò
lentamente nello spazio vitale del biondo, accoccolandosi sulle sue
gambe, poggiandosi contro il suo petto e raggomitolandosi come un micio
su una qualsiasi fonte di calore in una giornata invernale.
<< Tu sei con me, adesso. Questo è come
dovrebbe essere >> mormorò, mentre socchiudeva
gli occhi, come se avesse detto la cosa più logica del
mondo, pronunciando quelle parole; e sentiva davvero che lei e Mark
fossero logici, ovvi, scontati. Nulla di più matematica che
sommare due cifre per unirle in un unico risultato. Non le passava mai
per la testa che fossero un'eccezione a qualche regola o che i suoi
sentimenti fossero qualcosa di nuovo, fresco.
Le labbra di Mark si
curvarono in un leggero sorriso. Era l'immagine più bella
che avesse mai visto in vita sua, osservò quella dolce
creatura addormentarsi tra le sue braccia e in quel momento lo
sentì: doveva proteggerla, senza badare alle conseguenze.
Doveva pensare prima alla salvezza di lei che alla propria,
perché vivere un'esistenza senza lei nella sua completezza
sarebbe stato molto peggio che subire l'ira di dio, ed essere
condannato a marcire per sempre all'inferno, guardando la morte in
faccia. Le sfiorò dolcemente il volto, non ricordava di aver
toccato mai nessuna donna in quello stesso modo; aveva consumato ogni
amplesso velocemente senza sprecarsi a coccolare mai nessuna di loro.
Sospirò: ancora gli risuonavano le parole di lei in testa.
<< Questo
non è come dovrebbe essere, Beatrishka, è come
noi vorremmo che fosse. >> soffiò, dolcemente,
ad un orecchio di lei quando fu sicuro che stesse dormendo.
Weimar,
Germania.
12
Marzo 1944
10:27
<< Sto
ancora cercando di capire perché hai preteso che mi alzassi
così presto di domenica mattina >>
borbottò Walter, davanti al suo cappuccino e al croissant
caldo, seduto al tavolo più isolato nel bar dove facevano
colazione prima di andare a scuola, un tempo. A volte quei piccoli
momenti gli mancavano e non solo perché vedeva Mark tutti i
giorni, ma perché non doveva pensare ad altro se non hai
compiti e ad essere felice giocando i soldati. Adesso il soldatino ce
l'aveva seduto di fronte, ma non era di plastica rosa.
Mark rise, scrollando
le spalle, << Perché non ci vediamo da
parecchio >> provò con la prima scusa che gli
venisse in mente, prendendo la tazza di espresso e bevendone un lungo
sorso. Forse non era proprio quello il motivo, ma non riusciva
più a tenere nascosto al suo migliore amico un segreto tanto
grande e importante per lui, era assolutamente qualcosa che non
riusciva e forse non voleva nemmeno fare. Era sempre Walter: era anche
merito suo se era riuscito a scavare dentro di sé e trovarci
un po' di buon senso, in dose sufficiente per non uccidere o
maltrattare una splendida ragazza russa per cui aveva completamente
perso la testa.
Hoffmann
addentò il suo croissant, senza distogliere i grandi occhi
azzurri dal biondo. << e per "parecchio" intendi due
giorni? >> chiese, scettico. C'era qualcosa che non lo
convinceva del tutto nello sguardo di Mark Schreiber quel giorno:
sembrava quasi felice. Vedere quel ragazzo biondo e dagli occhi
nocciola felice era una novità assoluta che si stava
verificando sempre più spesso ultimamente, ovviamente il
figlio del medico sapeva perfettamente che ormai il suo migliore amico
era perso in un plico di lettere scritte a Leningrado sotto le bombe,
ma in quegli giorni sembrava addirittura più rapito del
solito.
L'altro rise,
scrollando appena le spalle mentre finiva il suo caffè. Con
Walter le risate erano sempre state facili, figurasi quel giorno.
<< Non credo tu voglia davvero sapere cos'è
successo >> lo stuzzicò. Sapeva che dette
quelle parole la testolina bacata del suo migliore amico avrebbe
formulato tutte le ipotesi possibili per venire a capo di quel quesito,
dopotutto il ragazzo dagli occhi azzurri era un bambino troppo
cresciuto incredibilmente testardo.
<<
Dipende. Di cosa stiamo parlando? >>, Hoffmann iniziava
ad avere dei dubbi. Ormai quasi tutte le loro conversazioni erano
incentrare su una persona soltanto, ma le novità che Mark
poteva portare su ella non erano esattamente tutte rassicuranti. C'era
decisamente qualcosa che non quadrava.
Il sergente Schreiber
scrollò le spalle con un ghigno divertito stampato sul
volto, << Forse è meglio parlarne lontano da
qui >> suggerì. Il fatto che non volesse
essere udito da orecchie indiscrete confermata l'ipotesi che volesse
parlare della ragazzina russa; non sapeva se questo avrebbe dovuto
rassicurarlo o farlo spaventare ancora di più: conosceva i
momenti bui della vita del migliore amico e sapeva che essi di solito
si presentavano senza preavviso, poteva essere successo ancora.
Chiamarono una
cameriera e Walter pagò il conto. Quella mattina toccava a
lui, era un bel po' che facevano a turno ed anche se non si ritrovavano
da soli al bar per una colazione Hoffmann ricordava benissimo che
l'ultima volta era stato l'altro a pagare e ci teneva a rispettare la
tradizione. Forse per conservare quelle piccole abitudini che si
portavano dietro fin da bambini e che non avrebbero mai voluto lasciare
per degli sciocchi motivi.
Una volta usciti dal
locale, il figlio del medico rivolse lo sguardo al più alto,
<< Allora, cosa è successo? >>
chiese ancora, curioso. Si stava rodendo dentro per conoscere i segreti
che quella domenica mattina poteva nascondere per il suo amico e
probabilmente per la ragazza dai lunghi capelli corvini. Quando si
erano visti negli ultimi giorni non ne avevano parlato quasi per
niente, come se Mark evitasse l'argomento più del solito,
come se cercasse di preservare un segreto che non voleva condividere
con nessuno; il suo migliore amico era curioso e ogni tanto si
preoccupava anche per lui, ma aveva rispettato quell'assurda decisione
di chiudersi tutto a chiave dentro e aveva cercato di portare
l'attenzione su argomenti come le ultime notizie riguardanti la guerra
e la situazione della Germania in essa.
<< Shh
>> lo zittì il sergente. Si stava divertendo
ed era decisamente troppo allegro per tutto quello che stava
succedendo: le perdite degli eserciti tedeschi ammontavano ad un numero
abnorme che i cittadini non avevano né la forza
né la voglia di contare e un sergente come lui doveva temere
di essere il prossimo ad essere spedito sul fronte per morire.
<< C'è un posto particolare dove voglio
parlarne >> aggiunse, subito dopo, iniziando a camminare
per le vie della città, infilando le mani nelle tasche dei
pantaloni. Fuori da Buchenwald poteva anche indossare abiti civili,
anche se probabilmente il padre avrebbe preferito indossasse sempre la
divisa per onorare l'SS, Hitler e la razza ariana.
Walter lo
seguì e non parlarono per il resto della passeggiata.
Nonostante fosse quasi primavera il tempo non era migliora di molto.
Faceva ancora freddo e il vento fischiava violento, cosa testimoniata
anche dalle sciarpe che indossavano i due ragazzi: lana semplice e blu
per quella di Mark, uno sciarpone più pesante e degli stessi
colori dell'arcobaleno per l'altro. Non pioveva più, almeno,
e le nevicate erano molto più rare e leggere; la neve che si
era depositata per le strade si era tutta sciolta.
Mark aprì un
vecchio cancello di ferro battuto solo spingendolo, all'interno
sembrava deserto nonostante fosse una bella mattinata. <<
Eccoci >> sorrise. Era certo che Walter si ricordasse di
quel parco, era il primo che avevano visitato una volta ritrovatosi
entrambi in quella città, dopo i primi anni d'infanzia a
Berlino. Era tra l'erba di quell'area verde che Walter Hoffmann aveva
osservato Mark Schreiber soffrire in silenzio per la perdita della
madre, con il volto contratto in una smorfia orribile, ma senza versare
nemmeno una lacrima. Era stato lì che, distesi su un
lenzuolo, quello che allora desiderava ardentemente diventare un
soldato dell'SS per far sì che suo padre fosse fiero di lui,
aveva raccontato al suo migliore amico della sua prima esperienza
sessuale, come se non fosse troppo importante: era il tempo in cui Mark
cambiava giovani e bionde ragazze di buona famiglia almeno due volte al
mese senza riuscire a trovare "entusiasmante" nessuna di loro. Non
entravano lì dentro da almeno due anni, ma se Mark aveva
deciso di portarlo lì si trattava sicuramente di una cosa
seria.
<< E'
rimasto lo stesso posto di sempre >> mormorò
il più basso, iniziando a camminare seguendo Mark,
lasciandosi guidare tra gli alberi che avevano ripreso da poco le loro
foglie di un meraviglioso verde smeraldo e quelle staccate dalla
corteccia dall'autunno dovevano essere state spazzate via da parecchio
ormai. Il giovane Hoffmann si ritrovò a pensare che era
davvero un secolo che non pensava di tornarci.
<< Anche
noi siamo gli stessi di sempre >>, Mark sorrise
all'occhiata scettica di Walter, << le persone non
cambiano, Wal, tirano fuori il meglio o il peggio di loro con gli anni,
ma non cambiano mai. Sono i loro ideali, i loro pensieri che cambiano
ma sempre in base a ciò che sono e che hanno finalmente
deciso di far emergere con un po' di barba o una camicia nuova
>>, concluse come se fosse ovvio e addirittura scontato,
quel discorso, da parte sua.
Hoffmann lo
osservò, stupido, sedendosi di fronte all'altro che aveva
scelto l'ombra di un albero come rifugio dai pochi raggi di sole donati
da quella domenica mattina. << Beh, sicuramente qualche
forza della natura è riuscita a tirar fuori il meglio di te
>> mormorò, basito, stendendosi tra l'erba e,
al contrario dell'amico, accettò di farsi baciare la pelle
dalla luce che quasi scottava sul suo corpo congelato dal lungo inverno
tedesco. La persona che gli stava parlando era sicuramente ancora il
suo Mark, ma c'era una luce diversa negli occhi color cioccolato fuso,
tale da renderli più luminosi.
<<
Allora, vuoi sapere cos'è successo? >> lo
stuzzicò il sergente, sapendo che l'altro stava morendo
dalla curiosità. Poggiò il capo contro il contro
d'albero, socchiudendo gli occhi e godendosi l'aria quasi sopportabile
di quelle mattine di fine inverno. In fondo si divertiva a prendere un
po' in giro Walter.
L'altro
sbuffò, << Certo che voglio saperlo e se tu
non fossi così perversamente crudele me l'avresti
già detto >> borbottò, guardandolo
male. Grazie alla lunga attesa era stato capace di farsi venire in
mente almeno cinquecento possibili cose accadute negli ultimi due
giorni che potessero aver sconvolto il suo migliore amico a tal punto
da renderlo felice e da fargli fare il giro di mezza città
per arrivare in quel parco a raccontargli tutto.
La risata del sergente
risuono nel parco semi deserto. << Ci siamo baciati
>> sussurrò, come se fosse il segreto
più bello, dolce e naturale che fosse mai uscito da quelle
labbra; come se fosse la conclusione di una fiaba che in
realtà era appena iniziata, come se quell'evento
rappresentasse lo sbocciare di un fiore che apre lentamente i suoi
petali, uno dopo l'altro, trattandoli con estrema delicatezza.
Walter
sussultò, con un misto di sorpresa. No, in realtà
se lo aspettava dalla prima volta che aveva visto Beatrisa Gurtsieva,
ma non riusciva a credere che fosse accaduto realmente, che si fosse
finalmente realizzato l'impossibile; soprattutto perché non
aveva mai visto il suo migliore amico in quelle condizioni, era un
evento strano e allo stesso tempo affascinante. << Tu
e...? >> conosceva benissimo la risposta, ma voleva
essere sicuro, o forse si aspettava qualcos'altro. In fondo lui era
sempre stato in grado di scavargli dentro e si era reso conto dei
sentimenti dell'amico molto prima del sergente stesso.
Mark aprì
gli occhi ed inarcò un sopracciglio, osservando il suo
migliore amico in maniera indecifrabile << Bea
>> rispose, con sarcasmo, pensando che forse era il caso
di dargli la soddisfazione che si aspettava per non sentirlo fino al
ritorno a casa: lo aveva portato lì proprio
perché voleva che nessuno venisse a sapere di quello che si
erano detti e della sua quasi relazione post-bacio con Beatrishka.
<< e avevi ragione tu, fin dall'inizio >>
aggiunse, stavolta con ironia, osservando le foglie sopra di lui,
appartenuti all'albero al quale era appoggiato, che occupavano quasi
interamente la sua visuale.
Il povero Hoffmann
scoppiava di gioia, ma cercava di trattenersi. Osservò
l'amico con gli enormi occhi azzurri, quasi lucidi. <<
E... e... e... >> non riusciva a parlare. Quasi
balbettava, cercando le parole giuste per commentare tutto
ciò che aveva appena saputo, con risultati davvero scarsi.
<< Adesso? Tu la ami, no? >>
riuscì solo a chiedere, di getto, tirandosi di scatto a
sedere ed osservando il suo migliore amico come se fosse una fonte
importante di notizie che avrebbero potuto cambiare il corso della sua
esistenza. Beh, c'erano tantissimi problemi da considerare riguardo
un'eventuale relazione tra lui e la giovane ragazza sovietica, ma era
appena iniziato tutto: non era ancora arrivato il momento di pensarci,
rovinandosi il momento.
<< Amare
è una parola grossa, Walter >> rispose l'altro
e lo era davvero, soprattutto quando il soggetto in questione non aveva
mai pronunciato una frase come "Ti amo"; non ne aveva mai sentito la
necessità. Era anche vero che non aveva mai sentito il
bisogno quasi fisico e l'urgenza opprimente di vedere e sentire Bea
accanto a sé, ma lui non aveva idea di cosa fosse l'amore,
non l'aveva mai avuta e non era interessato a scoprirlo proprio quel
giorno. Voleva godersi il tempo con Bea, senza scavare troppo dentro di
sé. Cosa purtroppo inevitabile, si costrinse suo malgrado ad
ammettere.
Walter lo osservava,
sempre più meravigliato e per poco non si alzò in
piedi. << Guardati. Ti sei mai visto così? E'
ovvio che ne sei perdutamente innamorato, idiota! >>
sbottò, e lui non insultava mai nessuno: era l'unico essere
umano incapace di provare odio che il sergente Schreiber conoscesse.
<<
Evitiamo di parlarne, Walter, sono venuto qui per informarti un
avvenimento felice >>
Il più basso
socchiuse gli occhi, prendendo un lungo respiro che l'aiutò
un po' a tranquillizzarsi, << Quando vi siete baciati?
>> chiese, sereno, aprendo gli occhi.
L'altro sorrise e
alzò appena gli occhi al cielo: il suo migliore amico
riusciva a sembrare una quattordicenne in piena crisi ormonale, quando
voleva. << La sera del mio compleanno >> fu
la sua risposta, mentre tornava con la mente agli avvenimenti trascorsi
dal quattordici di febbraio a quel giorno. Forse erano stati davvero i
più belli della sua vita.
<< E, di
grazia, perché ti sei degnato di dirmelo solo adesso?
>> Wal mise il broncio. Il suo adorabile broncio da
bellissimo bambino di cinque anni e Mark scoppiò a ridere,
in una domenica mattina di una quasi primavera.
Campo
di sterminio di Buchenwald, Germania.
15
Marzo 1944
9:40
Il sergente Mark
Schreiber era sgattaiolato dalla camera di una deportata russa poco
prima delle sei, si era lavato in modo veloce e aveva indossato la sua
nuova divisa per gli allenamenti: sebbene non lo avessero ancora
richiamato alle armi, il ragazzo era convinto che sarebbe successo e se
a Leningrado era stato fortunato non significava certo che sarebbe
successo ancora. Sperava solo di rimanere al campo in quei giorni e
mettere ordine tra i suoi pensieri e non pensava alla guerra, ma
seguiva i suoi allenamenti quotidiani insieme a tutti gli altri
arruolati nell'SS.
Venne poi chiamato
all'ingresso del campo di lavoro di Buchenwald, con la certezza di un
nuovo treno in arrivo. Lo sentiva già fischiare mentre
camminava percorrendo il filo spinato, chissà
perché da qualche mese a quella parte avvertiva l'arrivo di
un treno così giusto e frequente gli metteva quasi ansia;
vedere le persone scendere e venire spogliate e private di tutto
ciò che avevano non era più un avvenimento
gratificante, gli faceva solo desiderare di mandar via Beatrisa da
lì il prima possibile e magari di scappare con lei, verso
Montréal. Era sicuramente la scelta migliore.
Mentre osservava i
deportarti scendere dal treno, era rimasto fermo accanto al filo
spinato. Osservava i loro volti come se fossero state tutte persone
importanti per lui che in quel momento stava perdendo per sempre.
Un uomo, stanco, sulla
cinquantina quasi completamente calvo. Chissà che lavoro
faceva, con quante donne era stato, se preferiva un sigaro o un
bicchiere di alcool.
Una ragazzina di forse
dodici anni. Dov'erano le sue bambole e i quaderni con le lezioni di
matematica?
Un'anziana signora.
Chissà se sarebbe riuscita a vivere ancora, fuori di
lì, si e no quattro anni, sembrava già parecchio
malaticcia di suo. I suoi figli erano riusciti a salvarsi?
Un bambino che forse
aveva si e no quattro anni, capelli ed occhi chiari. E se l'avesse
sottratto alle docce e spacciato per un tedesco? Dopotutto non era
ancora stato segnato.
Una ragazza. Una bella,
meravigliosa ragazza dagli occhi verdi e i capelli arruffati di uno
splendido rosso chiaro. Probabilmente un uomo aveva chiesto la sua mano
a suo padre e lui aveva accettato perché solo un uomo per
bene può chiedere la mano di un tale fiore.
Quelli non erano gli
occhi della sua Bea, ma si disse che sicuramente anche lei aveva un
ragazzo a casa che la stava aspettando a braccia aperte. Non ebbe il
tempo di formulare un pensiero coerente che non risultasse troppo
ossessivo, che sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla. Si
voltò di scatto, sebbene sapesse che lì per lui
non c'era alcun pericolo e vide il volto di Hans Schreiber.
<< Vieni,
devo parlarti >>
"Ciao, papà.
Sto bene, grazie", ma i pensieri ironici non servivano se non espressi
ad alta voce. Lo seguì, allontanandosi dal gruppo di persone
sporche, stanche e tristi che si era formato. << Ti
ascolto >>
Il maggiore Schreiber
gli rivolse un'occhiata, senza smettere di camminare, <<
Non stai facendo molto, ultimamente >>, gli fece notare.
Mark Schreiber si
trattenne dallo sbuffare, << Sono appena guarito e
comunque continuo ad allenarmi. Cosa c'è che non va?
>>
<<
L'allenamento è un tuo dovere e non sei più
convalescente da un mese, pretendo che anche tu dia una mano, qui
dentro >> fu la risposta del padre. Non ammetteva
repliche, dopotutto non era colpa sua se il ragazzo era stato ferito
sul fronte e adesso non lo richiamavano alle armi. Di certo non poteva
sperare di venir pagato senza far nulla.
<< Dimmi
cosa vuoi che faccia >> si arrese, senza nemmeno
combattere troppo. Ultimamente non aveva davvero la forza di lottare
per qualcosa, nemmeno se vi credeva fermamente.
L'uomo si strinse nelle
spalle, << Il tenente Friedrich Heinrich è
morto la settimana scorsa, non ricordo di cosa. >> Il
ragazzo non se ne meravigliava: era un uomo anziano con i suoi
problemi. << Si occupava dell'appello all'entrata dei
forni e delle docce. Stilava lui stesso le liste e una volta compiuto
il lavoro me le portava. Credi di esserne capace? >>
Il sergente trattenne
una smorfia all'idea di un compito simile. Fortunatamente lui non era
il tenente Heinrich e non trovava piacere nello stilare liste simili. Ma qualche mese prima avrebbe
preso a calci negli stinchi qualsiasi essere appartenente ad una razza
inferiore. Scacciò via quel pensiero: doveva
accettare per forza, se non voleva che suo padre lo pressasse per
Barbara.
<<
D'accordo, devo iniziare domani? >>
<<
Perfetto >>
Se questo è il
tempo che si ha, mettiamo una distanza
dalla città,
dai numeri, dal freddo della stanza.
Voglio la tua bocca, ma
mi passerà
prima che si apra per me.
Per rimandare ancora
tutto a domani, amore
ed essere sempre quello
che vuoi,
e non finire mai.
Non finire mai.
Non finire mai.
[Tutto domani, Afterhours]
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