La
dedica
di questa storia
si divide in quattro, come
le facce della piramide
protagonista
di questo racconto. A Natalia,
a cui l’altro giorno ho citato
quasi tutto il Piccolo
Principe e che forse lo leggerà. Alla Donna C.,
perché mi incoraggia sempre e perché le voglio tanto bene.
A Kimyku, che già mi
manca anche troppo, e che sarà sempre una delle facce della
mia piramide. E a Jeremy, perché
sì. A Jeremy, perché è il mio
personaggio preferito. E perché questa storia è nata grazie a lui. E per lui.
"è facile capire
come nel mondo esista sempre qualcuno che attende qualcun altro, che ci si
trovi in un deserto o in una grande città. E
quando questi due esseri si incontrano,e i loro
sguardi si incrociano,tutto il passato e tutto il futuro non hanno più alcuna
importanza. Esiste solo quel momento e quella
straordinaria certezza che tutte le cose sotto il sole sono state scritte dalla
stessa Mano.
Da L’alchimista.
Pyramid.
We built this on a solid rock
And even when the wind is blowing
We'll never fall just keep on going
Forever we will stay, like a pyramid.
Pyramid. Charice
Prologo.
–
Come si costruisce una piramide -
Buttai giù un quarto di disegno. E tirai fuori
questa spiegazione:
“Questa è soltanto la cassetta. La pecora che volevi, sta dentro.”
Fui molto sorpreso di vedere il viso del mio piccolo
giudice illuminarsi:
“Questo è proprio quello che volevo!”
Da
Il piccolo Principe.
Certe
volte, si è talmente sicuri di una decisione presa, che si fatica persino a
comprendere che cosa possa averla originata. Ci sono persone che una mattina
qualunque, si guardano allo specchio, e si accorgono che nella loro vita c’è
bisogno di un cambiamento; che il loro taglio di capelli è passato di moda, che
il football non li entusiasma più come una volta, che l’ appartamento
in cui vivono sembra improvvisamente essersi fatto troppo piccolo.
Per
Jeremy, la decisione di lasciarsi alle spalle Mystic Falls per trasferirsi a
Denver, era nata più o meno alla stessa maniera. Non
ricordava cosa l’avesse spinto a fare le valigie e ad abbandonare sua sorella,
i suoi amici, le persone a cui voleva bene.
Nell’ultimo
periodo, Jeremy si era convinto che non aveva bisogno poi di molto per andare
avanti: l’importante era cavarsela e tutto sommato ci stava riuscendo, seppur vacillando, di tanto in tanto.
Eppure,
un giorno aveva ceduto. Aveva infilato una manciata di
vestiti nello zaino, preparato la valigia e prenotato un biglietto di aereo per
il Colorado. Più volte aveva desiderato che Elena
provasse a dissuaderlo. Si sentiva in colpa ad andarsene senza di lei: non
voleva lasciarla sola. Non voleva fuggire. Sua sorella aveva ripiegato con cura
le magliette gettate alla rinfusa nella sacca e l’aveva abbracciato,
limitandosi ad assicurarsi che si sarebbe fatto sentire: era evidente che fosse
sollevata all’idea di saperlo al sicuro, lontano da Mystic Falls.
La
prima impressione che ebbe Jeremy su Denver, non fu buona: trovava tutto troppo
grande, troppo rumoroso, troppo diverso, rispetto al luogo in cui era
cresciuto. Gli bastarono un paio di giorni per
rivalutare la città almeno in parte; continuava a pensare che fosse
incredibilmente grande e troppo popolata, ma a lungo andare, finì per
apprezzare il via vai continuo di persone che lo sorprendeva ovunque
andasse. In qualche modo, era difficile per lui ricordarsi di essere solo,
quando a circondarlo c’erano spesso sconosciuti che
sembravano dover andare nella sua stessa direzione. Persone da cui non era
costretto a guardarsi le spalle di continuo.
E
poi c’era il parco: uno sprazzo d’erba intarsiato di alberi e panchine, che
distava una ventina di metri dal suo appartamento. L’aveva visitato per la
prima volta il giorno del suo arrivo, dopo aver seguito per un po’ il
chiacchiericcio vivace di alcune ragazze che lo precedevano.
Continuò a tornarci
spesso anche i pomeriggi successivi; restare troppo a lungo in casa, con
persone che ancora non conosceva bene, lo faceva sentire a disagio. E, poi il
parco gli piaceva. Ci andava per riflettere, per lo più. Portava spesso con sé
il suo album da disegno, ma di rado lo tirava fuori dalla sacca. Il disegno,
per lui, era diventato come il fumo: ogni volta che riprendeva in mano il suo
blocco, qualcosa cercava di convincerlo a smettere di disegnare.
In
Denver, però, l’ispirazione sembrava essersi fatta meno rada, e lo sorprendeva
spesso, come se da tempo non avesse fatto altro che
attendere il suo arrivo.
Un
pomeriggio, il quinto dal suo trasferimento, Jeremy si decise finalmente a
tirare fuori l’album da disegno dallo zaino. Se lo appoggiò sulle gambe, mentre
il suo sguardo si aggirava per il parco alla ricerca di qualcosa che lo
colpisse, suggerendogli da dove incominciare. Fu quando aveva finalmente
individuato un possibile soggetto – due ragazze che chiacchieravano sotto a un
albero – che una voce lo distrasse, costringendolo a distogliere lo sguardo.
“Stai
facendo un disegno?”
Qualcosa
gli colpì un ginocchio e due occhi chiari lo scrutarono con aria vivace, mentre
Jeremy sgranava sorpreso i suoi: era un ragazzino.
“No.”
rispose colto alla sprovvista, mentre il bambino chinava il capo per sbirciare
nel suo album.
“Ti
pare che abbia una matita in mano?”
Il
bambino non rispose; si arrampicò sulla panchina e tentò di sollevarsi in
piedi, appoggiandosi a Jeremy, per non perdere l’equilibrio.
“Mi
fai vedere i tuoi disegni?” domandò poi, posando entrambe le mani sull’album.
Lo attirò a sé con aria incuriosita.
“Ma che …”
Jeremy
se ne riappropriò, freddando il bambino con lo sguardo. Il piccolo, tuttavia,
si stava già allontanando. Ritornò poco dopo, i capelli scuri scompigliati, e
le guance arrossate per via della corsa che aveva fatto.
“Le sai disegnare le piramidi?” domandò improvvisamente
colpendo più volte il ginocchio di Jeremy con la mano. Il ragazzo sbuffò,
sistemandosi nuovamente il blocco sulle gambe: chi
diavolo era quel bambino?
“Perché
dovrei disegnare una piramide?” commentò in tono di voce atono, abbandonando
poi pigramente il capo all’indietro. Il ragazzino diede una rapida scrollata di
spalle e corse via. Jeremy lo osservò allontanarsi con aria perplessa, prima di
decidere di tornare al suo disegno. Individuò subito le due ragazze che poco
prima aveva deciso di ritrarre, recuperò una matita,
e sorrise, quando la mina sfiorò il foglio, per la prima volta ormai da
settimane.
“Le
piramidi sono importanti!”
Il
ragazzo sobbalzò. Il bambino era di nuovo di fronte a lui, e lo stava osservando
con aria seria, le sopracciglia aggrottate.
“Dentro
ci mettevano i re, quando morivano.” Si arrampicò nuovamente sulla panchina,
incrociando le gambe, soddisfatto.
“Non
i re, ma i faraoni.” Si corresse poi da solo tirando la manica del ragazzo.
Jeremy smise di disegnare, sbuffando una seconda volta.
“ I FA-RA-O-NI!” Ripetè il bambino a
voce alta, accompagnando ogni sillaba a un battito di mani.
“Le
piramidi non ti piacciono?” domandò dopodiché con un pizzico di sospetto nello
sguardo. Tese le braccia con aria concentrata e poi saltò giù dalla panchina,
gettandosi nell’erba. Rise, grattandosi le ginocchia sporche di verde.
“Ti
piacciono di più i castelli?” Insistette, tornando a guardare il ragazzo.
“Preferisco
un castello, se proprio devo scegliere.” Confermò stancamente Jeremy, facendo
roteare la matita. Il bambino rimuginò per un po’ sulle sue parole, poi fece
una smorfia e corse nuovamente via. Quando il ragazzo se lo ritrovò davanti
ormai per la terza volta, rimpianse momentaneamente la tranquillità della sua
stanza; ma era troppo pigro per convincersi ad alzarsi
e a tornare a casa.
“Senti!
Sono meglio le piramidi dei castelli e sai perché?”
Il
piccolo fece il giro della panchina correndo, e poi lo rifece al contrario.
Notando che Jeremy non gli rispondeva, prese posto
accanto a lui.
“Lo
sai perché?” ripeté.
“Perché?”
si arrese infine il ragazzo, portandosi una mano sul viso.
“Perché
non le butta giù niente!” annunciò il bimbo ad alta voce, spalancando le
braccia.
“Niente! Neanche i
terremoti. Neanche le tempeste. Sono fatte con la pietra, sai?” tirò la manica
del giovane, ma Jeremy non lo stava ascoltando. Il suo
sguardo era diretto poco distante, in direzione dell’ingresso del parco. C’era
una ragazza appoggiata alla recinzione; e Jeremy era sicuro di averla sorpresa
a fissarlo, poco prima. Eppure, ora che lui aveva sollevato il capo,
l’attenzione della ragazza sembrava completamente assorbita dall’ipod che
teneva in mano.
“Mi
disegni una piramide?”
L’esclamazione
improvvisa del bambino non lo sorprese poi più di tanto.
“Se
te la disegno, poi te ne vai?” domandò scrutandolo con aria attenta.
Il
bimbetto annuì solennemente. Jeremy sospirò.
“Va
bene, allora.” acconsentì infine appoggiando la punta della matita sul foglio.
Senza pensarci più di tanto tracciò una riga obliqua, mentre il bambino si
appoggiava nuovamente sulla sua spalla, osservando il suo lavoro.
“No! No!” esclamò ad
un certo punto, agitando le mani: sembrava quasi offeso. Jeremy fece ciondolare
il capo, sfinito.
“Che
cosa c’è, adesso?” borbottò mentre il ragazzino tracciava con il dito una linea
orizzontale invisibile.
“Prima
ci devi fare il pavimento!” spiegò con aria incredibilmente seria,
inginocchiandosi sulla panchina: non era proprio in grado di stare fermo.
“Sennò
cade giù!”
“Ma certo, che stupido che sono.” commentò ironicamente
Jeremy tracciando un abbozzo di rombo nella parte bassa del foglio.
“Va
bene, così?” domandò infine sollevando il capo per guardare negli occhi il suo piccolo giudice: il sorriso
luminoso del bimbetto, lo convinse a pensare che, tutto
sommato, il pomeriggio sarebbe anche potuto andargli peggio.
“Va
bene, sì!”
“E
adesso?”
“Adesso
ci devi fare le parti.” spiegò il ragazzino allungandosi, per ripassare con le
dita la linea obliqua che aveva tracciato Jeremy.
“Sono
quattro.”
“Non
vanno bene solo tre?” cercò di persuaderlo Jeremy, mentre la matita scorreva lenta
sul foglio e lui la dirigeva con attenzione, tentando di non farla oscillare.
Il bambino scosse il capo cocciutamente.
“Quattro!”
ribattè, con un accenno di broncio. Jeremy sospirò.
“Va
bene.” Acconsentì tratteggiando delle linee aggiuntive, per sistemare la sua
piramide. Il bimbo annuì soddisfatto.
“Quattro
parti, ecco!” commentò indicandole una a una.
“Le
parti servono a tenere tutto coperto, così non ti succede nulla.”
“Le
parti si chiamano facce.” Lo corresse Jeremy a capo chino, ripassando un tratto
della piramide.
“E il pavimento si chiama base. Tu invece,
come ti chiami?” domandò, incuriosito. Si era
ormai rassegnato alla compagnia di quel ragazzino.
Il
piccolo non gli rispose. Invece, indicò l’estremità della piramide e gridò:
“La
punta, manca la punta!”
“Sta’ calmo, adesso la facciamo.” lo tranquillizzò Jeremy
aggiungendo un tratto di matita al disegno, per unire le linee che aveva tracciato.
Il volto del bambino si rasserenò.
“La
punta è la cosa più importante, perché sta in alto e nessuno la può fare cadere
giù.” Spiegò con aria pratica appoggiando una mano sul foglio, e l’altra sulla
spalla di Jeremy.
“Tutte le piramidi hanno la punta! La punta ce l’ha un nome?” domandò poi, improvvisamente pensieroso.
Jeremy annuì lentamente.
“Si
chiama vertice.” spiegò, mentre il bambino prendeva il blocco da disegno e lo
esaminava con aria critica; questa volta, il ragazzo lo lasciò fare.
“Sì,
il veltice.” Confermò serio il piccolo,
saltando a terra con l’album sotto il braccio.
“Abbiamo
finito!” annunciò infine restituendolo al proprietario.
“Ma non sei stato molto bravo…” obiettò poi indicandogli la piramide di carta.
“Ehi!”
si lamentò Jeremy, sorpreso dell’osservazione.
“Pensi
di saper fare di meglio?”
“Alexander!”
L’esclamazione
catturò l’attenzione di entrambi: una donna stava sventolando il braccio nella
loro direzione.
“Xander!
A casa, per favore.”
“Alexander”
ripeté Jeremy con un guizzo divertito nello sguardo.
“Allora
è così che ti chiami!”
Il
piccolo scosse cocciutamente il capo, nascondendosi sotto la panchina.
“No,
non mi chiamo così.” Ribattè infilando le dita nelle scanalature del legno.
Jeremy rise.
“Ah,
certo.” Commentò, ironicamente. “Ti chiamerai Tutankhamon, immagino.” Alexander
denegò con il capo una seconda volta.
“Non mi chiamo neanche Tuntancamon.
Tu come ti chiami?” chiese poi sgusciando fuori dal
nascondiglio, mentre la donna lo richiamava una seconda volta.
“Mi
chiamo Jeremy, ometto.” Rivelò separando dal blocco il foglio che conteneva
l’abbozzo di piramide.
“Questo
lo vuoi?” domandò poi, porgendoglielo.
“Uh
uh.” Alexander scosse il capo, una terza volta.
“No?”
Jeremy inarcò un sopracciglio.
“E
perché diavolo me l’hai fatto disegnare, allora?”
“Era per te! Io ce l’ho già una piramide.” Annunciò fiero, incrociando le
braccia sul petto.
“Sul
serio?” Il ragazzo chiese conferma, sorridendo poco convinto. Il bimbetto
arrossì.
“La
sto costruendo.” Specificò serio, passando un dito lungo i contorni della
piramide di carta.
“Xander!”
la donna lo richiamò una terza volta, prima di incamminarsi verso di loro.
“Guarda!”
esclamò in quel momento Alexander indicando il centro del disegno.
“Dentro
ci vivono dei bambini!” annunciò additando personaggi invisibili all’interno
della figura.
Jeremy
si lasciò ricadere pigramente sulla panchina.
“Davvero?”
commentò con scarso entusiasmo.
“E
c’è anche una principessa!” aggiunse il bimbo passando la mano lungo la
superficie della piramide.
“Vivono tutti assieme. E sono felici, sai?” spiegò serio, facendo poi una smorfia quando
si accorse che la donna era ormai a pochi metri da loro.
“Alexander
Davies!Non te lo ripeterò una volta di più, a casa!”
Il bambino rabbrividì. Poi scoppiò a ridere.
“Devo
andare!” annunciò mettendosi a correre in direzione della donna. Jeremy osservò
per qualche istante il disegno, prima di sollevare il capo.
“Ehi,
…Xander!” Lo richiamò improvvisamente.
“Secondo
te, ci sono anch’io dentro la piramide?” domandò.
Alexander
sorrise; ma non gli rispose.
Nota
dell’autrice.
Pazza.
Sì, sono pazza. E se non me ne esco con le mie follie, non sono io. Alle due di notte, tra l’altro. Volevo finire il primo
capitolo prima dell’arrivo degli esami del
prossimo episodio, per evitare che nella 3x11 si scopra improvvisamente che
Jeremy resti a MF per qualche strana ragione, smontandomi tutte le
supposizioni. Chi mi conosce sa che non avrei potuto trattenermi
dall’immaginare la vita di Jeremy a Denver, una volta vista la 3x10. E
così ho pensato di provare a scrivere qualcosetta. E visto che in questo periodo sono particolarmente fissata con
la canzone “Pyramid” di Charice, ho
pensato di provare a inventare una storia che si ispirasse alle piramidi, e
così è stato. Pyramid, avrà cinque capitoli.
Uno è il prologo che avete appena letto. Seguiranno tre capitoli, e poi ci sarà
l’epilogo finale. Chi segue “History Repeating”, sappia che
questa storia potrebbe venire a tutti gli effetti considerata
un approfondimento, o un prequel di quella, perché aiuta a conoscere
certe cose sulla famiglia Gilbert. Alexander, l’ometto che avete
conosciuto in questo primo capitolo, non è lo stesso Xander che alcuni
di voi conoscono, ovviamente. Ha qualcosa del Piccolo Principe (di Antoine
de Saint-Exupéry) proprio perché è stato grazie
alla citazione riportata a inizio prologo che mi è venuta l’ispirazione per
questa storia. Per quello, da qualche parte nel capitolo mi sono riferita a
Xander come “piccolo giudice”, e sempre per quello, Jeremy a un certo punto lo
chiama “ometto”. Rimandi al Piccolo Principe saranno presenti in ogni capitolo,
perché trovo quel libro decisamente adatto a questa
storia no, in realtà lo amo talmente tanto che tendo ad infilarlo ovunque,
ma shhh.
La
citazione iniziale, quella tratta da “l’alchimista” (di Coelho) che tra
l’altro è un libro meraviglioso - l’ho aggiunta
grazie a Natalia, che me l’ha trascritta mentre io la rimpinzavo di
citazioni sul principino. L’ho trovata perfetta, per cui ho deciso di
inserirla.
Che
aggiungere? So che questo mio progettino è ancora più
folle dei precedenti. So che Jeremy non è molto apprezzato, come personaggio.
Figuriamoci poi, se è trattato senza Anna. O senza qualsiasi cosa che abbia a
che fare con il sovrannaturale. Però è qualcosa a cui
tengo davvero tanto, e quindi ho deciso di pubblicarla comunque. Grazie di
cuore a tutti quelli che hanno letto il prologo!
Un
abbraccio!
Laura
P.S.
La dedica iniziale divisa in quattro e fatta a forma di piramide, si ispira sicuramente alla dedica di ‘zia Rowling’ in Harry Potter e i Doni della Morte. Mi
piaceva troppo come idea!