CAPITOLO 0.1
Eravamo arrivati nel mondo
sconosciuto a tutta l’umanità, quel mondo raccontato solo nelle favole o
rappresentato solo una notte all’anno, esattamente quella di Ogni Santi, dove
il dolcetto o scherzetto era innocuo verso gli esseri umani. Ma in quella
città, poteva accadere di tutto, e il contesto era molto macabro e non sano, un
divertimento sadico, di cui la paura e la morte la facevano da padroni. Il
viaggio era durato una manciata di secondi; e quando realizzammo di essere a
destinazione, eravamo a terra sdraiati e con il corpo pesante come macigni.
Ormai erano passati anni, dall’ultima volta che avevamo messo piede in quel
luogo, e quindi si sentiva tutto il peso della diversità…
Tutto intero Oz?
Chiesi a mio fratello, ancora
a terra e osservando un po’ affaticato il cielo sopra di noi: era plumbeo,
quasi nero. Solo il riflesso della luna si notava con la coda dell’occhio…
Credo. Se non mi sono scassato qualche costola…
Lui riuscì ad alzarsi, ma
barcollò diverse volte. Io restai ancora un po’ a terra. Eravamo ad Halloween
Town, dopo tutto quel tempo, non potevo crederci; adoravo quel posto, almeno,
quando ero ancora un bambino. Ma in quel momento, cresciuto, non so; mi dava
come un po’ fastidio, soprattutto per ciò che aveva significato per Amelia.
Già, chissà dov’era la nostra sorellina? Mi alzai anche io a fatica e quasi
caddi a terra; ma Oz riuscì ad acchiapparmi per il
gilet e tenermi su. Un momento, avevo addosso cosa? Ah già, quando avevamo
indossato le nostre maschere, anche i nostri vestiti erano cambiati, e si erano
formati quelli a tema della città. Infatti mi guardai un po’ e notai che avevo
dei jeans azzurri rotti in diversi punti e con due toppe alla bell’e meglio
alle ginocchia, due scarponi neri con delle borchie ai lati; una camicia grigia
anch’essa un po’ rattoppata e con il marchio della faccia di Jack Skeletron alla destra e un gilet di jeans stropicciato
senza maniche. Mi toccai il viso e sentii la maschera ben aderita alla pelle,
gli occhi incavati, le labbra fatte di un semplice filo scucito e i capelli che
ricadevano sulla fronte scompigliati. Il mio vero aspetto, ero davvero tornato
l’io di quel posto, una specie di scheletro umano dagli occhi rossi sangue.
Respirai a fondo e subito l’odore di putrefazione, fumo e terra smossa si fece
largo nei miei polmoni, provocando all’inizio una tosse secca e fastidiosa. Non
ero più abituato e neanche Oz lo era, a quanto
sembrava. Infatti si era guardato un po’ anche lui, solo che era più
presentabile di me: jeans grandi e poco rattoppati ma neri e arancio, scarpe
arancio con disegni di zucche qua e la, una maglietta verde scura con il
simbolo di Skeletron davanti, e una felpa aperta con
cappuccio arancione rattoppata qua e là. Il suo volto raffigurava la tipica
zucca di Halloween, con un sorriso famelico, gli occhi incavati verdi e in
testa un borsalino nero. Mannaggia a lui. Tutte le
fortune aveva, solo che doveva sentirsi un bel po’ a disagio per il tronchetto
che gli usciva dalla testa, tipico della zucca. A quel punto, quando se lo
toccò togliendosi il cappello mi scappò una risata che risultò cadaverica e
lontana…
Perfetto…ora potrei spaventare persino uno zombie
Dissi smettendo di ridere.
Anche Oz si mise a ridere per la mia risata, solo che
a lui uscì forte e profonda, infatti da un albero nero e tutto ripiegato su se
stesso svolazzarono via spaventati un piccolo drappello di pipistrelli.
Insomma, avevamo assunto l’aspetto tipico degli abitanti di Halloween Town, ed
era arrivato il momento di entrare in città e iniziare le ricerche. Dopo
esserci consultati su dove andare, camminammo verso il sentiero meno oscuro,
che si diramava a forma di fiume in secca. Incontrammo diversi cartelli che
annunciavano l’avvicinarsi della meta e tutti i suoi pericoli, solo che erano
segnati dal tempo e anche dagli scherzi degli abitanti stessi. Il paesaggio era
immenso e triste; qua e là si scorgeva qualche casupola sgangherata e sperduta;
gli alberi erano morti e senza foglie, Sopra di noi, volavano pipistrelli e
corvi scheletrici e dal becco aguzzo. Un bel ambientino, non trovate? Insomma,
un luogo dove farci le ferie…se si avevano gusti molto macabri e discutibili.
Guardandoci in giro, anche per evitare incontri poco piacevoli o incappare in
qualche scherzo non voluto, non ci eravamo accorti di essere arrivati
all’entrata della città; ma qualcosa riuscì ad attirare la nostra attenzione…
Ma guarda chi si rivede. In questa città tornati voi
siete, cari figli di strega millenaria, rimettete piede in patria
Quel tono, e come non
riconoscerlo? Oz fu il primo a voltarsi…
Ma tu sei Howl il gufo
Appena mi voltai, notai anche
io, appollaiato su di un albero grigiastro e dai rami che parevano mani dalle
dita lunghe, affilate e scheletriche; un gufo di medie dimensioni dal piumaggio
bianco sporco e gli occhi grandi e giallastri. Era proprio il vecchio Howl, il gufo che parlava in rima e sapeva molte cose su
Halloween Town. Non era cambiato affatto, il suo sguardo era scrutatore e anche
guardingo, e quando mio fratello gli rivolse la parola, lui girò la sua testa,
compiendo un perfetto giro a 180° facendo scricchiolare le sue ossa sotto le
piume e lanciando un lungo saluto nel suo verso; e quest’ultimo riecheggiò
parecchio nel vuoto…
Bello è rivedere Oz, colui
dalla maschera di zucca, e suo fratello Grim, dalla
testa di scheletro che non mostra smorfia
Mi era tornato in mente, il
motivo per cui io e mio fratello, da bambini, non sopportavamo molto
quell’animale: la sua parlata in rima dopo un po’ dava ai nervi. Ma dovevamo
giocarcelo bene, per sapere di nostra sorella. Oz non
disse nulla, così presi io l’argomento…
Ascolta Howl, se noi siamo
qui, è per un motivo ben preciso. Di sicuro, tu sai cosa è successo a nostra
sorella Amelia, tu sai tutto di questa città. Sai chi l’ha portata via dal mondo
degli umani?
Il tono era deciso, ma anche
preoccupato per la sorte di Amelia, era inutile nasconderlo. Halloween Town non
era per niente un posto sicuro per lei, e noi avevamo fallito nel tenerla
lontana, quindi dovevamo fare di tutto per ritrovarla, non volevo neanche
pensare a cosa potesse esserle successo. Howl mi
scrutò in silenzio e prima girò di nuovo la testa completamente su se stessa,
poi la inclinò…
La fanciulla che mai ha messo piede qui, voi cercate,
ma chi sia il suo rapitore, io non so reclamare. Notte lunga e diversa in
questa città, qualcosa è successo, ma bene chi lo sà?
Io sono gli occhi di Halloween, ma di Town poco si sa. Colei che è figlia di
strega e di padre umano, la città cambierà, in meglio o in peggio o viltà? Un
consiglio vi do, tornate nel vostro mondo e dimenticate tutto ciò
Il gufo la stava facendo
lunga e a quanto sembrava, non sapeva nulla sulla faccenda, nel il colpevole.
Ma di certo ne io ne Oz ce ne saremo andati da li, finchè non avremmo ritrovato nostra sorella e riportata a
casa. A quella frase mio fratello intervenne…
Almeno tu sai a chi si può chiedere di più?
Era nervoso, lo si intuiva
benissimo, anche se lo dava a nascondere bene, ma essendo il suo doppio, sapevo
cosa provava davvero in quel momento…
Una strada io vi indicherò, ma starà a voi dire si o
no. Seguite colui che divertire sa, chissà se vi guiderà. Vi porterà alla via
dei suoni e delle immagini liete, animali o bestie che siete, di sicuro pace
non troverete. Risate e bagordi, vi riempirete. Dalla sua punta sovrasta il
segnale di parata. Li vi attende colui che di paura vi ammala
Oh no, stavamo andando ad
indovinelli? Che sia dannato quel pennuto del cavolo. Oz
non rivolse il saluto a Howl, era sull’orlo dei
gangheri e quindi era meglio se non parlava, ma io feci un piccolo cenno al
gufo e lui lanciò un altro grido lungo e riecheggiante. Davanti a noi si
stagliava l’ingesso della città, ovvero un altissimo e grande arco formato da
rami neri, teschi e fiori bianchi dalle forme strane. In alto vi era un
cartello intagliato nel legno con la scritta “Halloween Town” formata da tanti
graffi. Come entrata prometteva bene, ma
ne a me ne a mio fratello causava paura alcuna; infondo eravamo a casa.
Oltrepassata la soglia la luna in cielo parve sorriderci con la sua faccia
piena e il sorriso sgangherato da cui colava sangue. La città si stagliava
davanti e intorno a noi; le case erano attaccate l’una all’altra, oppure sparse
senza un ordine, i tetti erano profondi o tondi, dalle punte aguzze oppure con
segni di zucche, teschi, lune o altri simboli della festa del 31 ottobre. Le
strade erano formate da tante mattonelle grigiastre o nere sembravano non
finire mai; l’atmosfera era pesante e tetra, l’aria sapeva di chiuso e muffa,
la gente era stravagante dall’inizio alla fine e camminavano con il loro ritmo
impossibile. I loro sguardi erano allegri e maligni insieme; streghe che
ridevano da sole o in gruppo, di svariati colori e dai capelli spettinati e
vivi; vampiri che pendevano dagli alti lampioni accessi perennemente di giorno
e di notte, oppure appartati negli angoli bui aspettando una possibile preda.
Gatti neri sdraiati su finestre o muretti che ti osservavano glaciali e muti;
ma anche scheletri e lupi mannari la facevano da padrone. Dalle locande fumose
si udivano urla e risate, da alcuni vicoli lame che cadevano su qualcuno e
qualche testa rotolava a terra con l’espressione spaventata impressa
nell’ultimo respiro di vita. Oz ad un certo punto si
ritrovò nel cappello un serpente, che appena estrasse venne agguantato da una
strega e mangiato vivo da essa. Decisamente era uno spettacolo orripilante
dovunque si guardasse quella cittadina; era putrida, oscura, subdola e
spaventosa: eravamo a casa. Mentre pensavo a tutto ciò venni braccato ad un
braccio da mio fratello…
Guarda Grim! Forse ci siamo
Esclamò indicando qualcosa
con la mano destra. Guardai nel punto interessato e vidi la figura di un grosso
pagliaccio da circo, con la faccia bianca di trucco, il naso rosso e dalla
bocca usciva sangue. Il suo vestito era un pigiama rosa interi, con
allacciatura sul deretano e con i pizzi al colletto e alle maniche: il suo
aspetto era grottesco e orribile, i canini aguzzi erano visibili e gli occhi a
girandola guizzavano come pesci fuori dall’acqua da una parte all’altra.
Sembrava stesse cercando una strada; così Oz si
avvicinò e mi trascinò con lui…
Mi scusi. Forse lei può aiutarci
Il pagliaccio obeso si voltò
di scatto e la puzza di sangue e putrefazione ci colpì in pieno, provocando
quasi in me dei conati di vomito che riuscì a trattenere. Lui ci guardò con
fare sospetto…
Cosa volete?
Tono schietto e poco propenso
alla pazienza. Stavo per chiedermi l’utilità del personaggio, quando capì a
cosa si riferiva Howl nel suo dire: “che divertire
sa”. Ma certo, un pagliaccio da circo era un’attrazione comica dopo tutto no?
Erano i re del tendone…
Dove stai andando?
La domanda di mio fratello
non solo spiazzò il pagliaccio, ma anche me. Cosa significava? Ma ancora una
volta le parole del pennuto si fecero chiare nella testa: dovevamo seguire lui
per andare da chi sapeva di Amelia. Oz era sempre
stato arguto negli indovinelli e forse avevano ben in testa un piano. Infondo
era una zucca…
Vado dove voglio
Disse il ciccione e prese la
sua via. A quel punto il mio gemello mi trascinò con se ancora una volta e ci
ritrovammo a seguire la comicità ambulante. La strada si allontanava dalla vita
della via principale, le case si facevano più fitte e nere contro di noi; il
silenzio divenne man mano toccabile, tanto era pesante. Si udivano solo i passi
pesanti del pagliaccio, e del suo respiro ansante. Ma dove stava andando?
Lasciato andare da Oz proseguii il cammino in
silenzio e stando ben in campana in quella situazione, quanto mai strana;
quell’essere puzzolente poteva anche tagliarci la gola, per quanto ci si poteva
fidare della sua faccia da schiaffi. Ogni minuto che passava, si cambiava
strada, vicolo stretto o passo sterrato. Ma poi quell’essere cambio bruscamente
via e lo perdemmo di vista…
Miseria ladra! Ora dov’è andato?
Poteva essere ovunque,
peccato che non si udiva più il suo passo ne il suo fiato affaticato. Eravamo
sprofondati nel mutismo assoluto, nel freddo pungente e nel vortice delle case
aguzze. Che fare? Mentre osservavo in giro aspettando un possibile attacco dal
pagliaccio, il mio sguardo focalizzò un po’ lontano, verso un punto in salita,
qualcosa che si muoveva. Guardai meglio e capii che dovevo andare verso di
esso; sentii mio fratello farsi più vicino alla mia schiena e seguirmi. Perché
il mio istinto mi portava verso quel qualcosa di non chiaro? Ma poi dovetti
ricredermi; stavamo uscendo da quella strada buia e minacciosa, e ci ritrovammo
verso una piccola collina dal manto erboso bruciacchiato e secco. Il vento
soffiava lieve e si sentiva polvere e terra mossa o bagnata; ma l’oggetto che
si muoveva e che aveva attirato la mia attenzione si fece più chiara: era una
bandierina colorata che garriva al vento. E subito mi si accese la lampadina…
Ma certo! Oz…è tutto chiaro!
Quello è un tendone da circo, Howl si riferiva a
quello!
E una parte dell’indovinello
era stata risolta, ora mancava l’altro pezzo, ma la sensazione che avremmo
presto saputo il perché era di certo in quel tendone, da cui saliva la
bandierina. Corremmo su per la collina senza mai fermarci; ormai avevamo fatto
l’abitudine all’aria pesante e al terreno duro e terroso che la faceva da
padrone. Arrivati in cima si presentò davanti a noi questo: un enorme tendone
circense, dai colori spenti, e dall’aria stanca e usata si stagliava ai nostri
occhi. Una parte si era staccata dai suoi pioli, e cadeva a terra mossa un poco
dal vento; intorno natura morta e desolante, un gruppo di corvi gracchianti sui
rami. Carri che avevano viaggiato per chissà quanti chilometri, giacevano o
rovesciati o vuoti a terra, ricoperti da antichi cespugli e liane; grosse
gabbie erano abbandonate vicino ad un fiumiciattolo stretto e sinuoso. Tutto
era abbandonato allo stato brado…
Bhè…è…
Oz guardava il tutto inclinando la testa prima a
sinistra, e poi a destra. Si grattava il rametto della sua maschera in testa e
si rimetteva il cappello…
Si è…diciamo…insomma
Anche io non sapevo come
descriverlo. Mi grattai una mano scheletrica ma coperta da dei guanti senza
dita. Da qualsiasi punto lo si osservasse era un qualcosa di non ben definito…
E’…uno schifo?!
Io direi, artistico a modo suo Oz
Ma forse mio fratello aveva
colpito in pieno. Ma tanto era un circo dell’altro mondo, cosa ci si poteva
aspettare? Nulla di allegro sicuro. Dopo esserci assicurati che non vi fosse
nessuno nei paraggi andammo verso il circo; appena arrivati sul posto la sua
grandezza e fatiscenza si fecero più espansi e il silenzio ricadde su di noi
come una cappa di fumo invisibile. Ogni tanto si udivano i nostri passi e
qualche scricchiolio sotto i piedi, provocati da rametti secchi che si
spezzavano come nulla. Ma prima di entrare nel tendone, decidemmo di
perlustrare un po’ i dintorni per capire se vi era qualcuno, così ci dividemmo,
io a destra e Oz a sinistra. I sensi erano tutti in
allerta, ma dalla zona dei carri ammassati non si scorse nessuno; se non
qualche topolino che fuggiva via veloce o qualche corvo che cambiava zona.
Decisi così di tornare da Oz e appena arrivai vicino
alle gabbie sentii come una corda tirarsi e poi qualcuno di sollevato…
Ma porca di una…! Grim! Vieni
subito qui!
Oz sbraitava rabbioso come non mai e corsi da lui,
facendomi guidare dalle sue imprecazioni. Arrivai vicino ad una gabbia
distrutta in più punti e arrugginita nei più, che era incastrata nel letto del
fiume e nel terreno; alzai lo sguardo e vidi penzolare mio fratello per il
piede sinistro, che era stato preso da una corda a forma di cappio e che era
legata ad un piolo del tendone. Il borsalino a terra
e mio fratello che dondolava sbuffando e imprecando…
Ma chi cavolo ha messo, una stupidissima corda qui?!
A guardare meglio il mio
gemello mi scappò una risata cadaverica e lunga, mi piegai un po’ sulle
ginocchia divertito dalla trappola in cui era caduto. Invece lui mi prendeva a
male parole e protestava per farlo scendere immediatamente. Ma dato che la
risata si prolungava, si mise a braccia conserte al petto e mi guardò
odiandomi…
Ahahah, oh mamma! Come si fa a cadere in una
cosa così stupida? Ahahahah! Ok, ok ti libero subito
Dissi cercando di riprendermi
dall’ilarità dello scherzo riuscito. Mi diressi verso il piolo a cui era legato
l’altro capo della corda e dopo averci studiato un po’…
No! No piano Grim! Non
sganciare di…
Ma ormai era fatta: lasciai
andare la corda e Oz cadde a terra con un tonfo
sordo. Mi voltai e lui lanciò una parolaccia che riecheggiò per la vallata per
un po’ e poi cercò di liberarsi dalla fune. Tornai da lui e lo aiutai a
togliersi il cappio dal piede, ma delle risate fragorose ci colpirono. Di
scatto fummo schiena a schiena e ci guardammo attorno. Eravamo forse
circondati? Le risate si allungarono ed erano divertite e un po’ moleste; ma
chi erano? E soprattutto in quanti erano?...
Uscite fuori, chiunque voi siate!
Gridai io con tono deciso e
duro. Ma gli sghignazzi continuarono imperterriti. Più mi guardavo intorno e
più non vedevo da chi provenivano quelle risa e burla, ma poi qualcosa si fece
vivo nei miei ricordi: una scena simile era già capitata, e quell’ilarità mi
era come famigliare. Io e Oz ci guardammo in faccia
e…
Vado, Vedo e Prendo?!
Esclamammo quei tre nomi di
colpo e le risate diminuirono poco a poco. Dopo alcuni secondi dei rumori di
passi e cespugli che si spostavano si fecero un po’ forti e davanti a noi
apparvero tre figure poco più alte di noi, tranne una che era leggermente più
bassa, ma il suo cappello a punta aumentava la statura. Uno dei tre si fece
avanti, e un raggio del sole pallido che era in quel cielo illuminò in maniera
diabolica un ragazzo: era vestito di rosso, dai jeans alla camicia rattoppata;
sulla testa i suoi capelli formavano un paio di corna a spirale e il suo volto
lungo e appuntito fece una risata e mostrò i denti appuntiti…
Ma tu guarda chi si rivede. I gemelli Nightmare
Er davvero il diavoletto del
trio, ma era cresciuto e faceva più paura che da bambino, ma non gli mancava la
sua coda biforcuta e in una mano la sua fida maschera diabolica. Si avvicinò un
po’ di più e ci sorrise. Poi si fece avanti la seconda figura…
Sono cresciuti vero? E che bei ragazzi sono diventati
Chi aveva parlato era la
strega del gruppo. Anche lei era diventata adulta, ma nell’abbigliamento era
sempre la stessa: gonna lunga viola su calzettoni a righe verdi e neri, una
camicia chiusa con una zip sul rosato e il volto verde e dai capelli in rivolta
neri come la pece. Il cappello stregonesco che ricadeva sulle trentatré e
anch’ella ci sorrise felice di vederci. E alla fine anche il terzo personaggio
fece la sua comparsa, solo che si lanciò su di me buttandomi a terra e
stringendomi forte a se. La sua maschera di scheletro sorridente picchiava
contro la mia e i suoi occhi infossati sorridevano…
Ahahahah! Ciao Grim!!!
Mi urlò quasi nelle orecchie
il ragazzo tutto euforico. Lui anche se cresciuto fisicamente, nel carattere
era rimasto bambino a quanto pareva…
Ah, si…buono Prendo. Ahahah,
vacci piano
Dissi cercando di
scrollarmelo di dosso, ma con enorme fatica. Oz
rimasto in piedi, strinse le mani agli altri due; quel trio era stato nostro
amico quando eravamo piccoli e con loro ne avevamo fatti e sorbiti di scherzi.
Non avrei mai pensato un giorno di rivederli e di soffrirne la mancanza…
Continua…