Capitolo
tre
"Come
miele e neve"
Uno starnuto. Due. Tre. Quattro.
“Doh! - pensò Lou... - ti
prego l'influenza no!”.
Rabbrividì violentemente e
si rannicchiò al tepore delle coperte, ma non riusciva a
respirare: aveva male alla gola, le ossa le dolevano come se un tir le
fosse passato sopra e la testa le pesava come un macigno.
“Così
imparo a giocare nella neve come una bambina!”.
Un altro sonoro starnuto.
Le lacrimavano anche gli occhi e aveva
il naso tappato e colante.
Gemette piano cercando di mettere a
fuoco tra le lacrime il suo cellulare per vedere che ore erano: le
dieci di lunedì mattina.
Nel pomeriggio Nur sarebbe ripartita:
si chiese se anche la sua amica fosse nelle sue condizioni. Si
trascinò stancamente fuori da letto, buttandosi una coperta
addosso ci si avvolse completamente e arrancò fuori dalla
stanza, per trovare una Nur affaccendata a preparare la colazione,
raggiante, ancora in pigiama, ma a quanto poteva vedere in ottima
salute.
«Che hai? - chiese Nur
sbocconcellando una fetta biscottata coperta di miele – Stai
male?»
Come se non fosse evidente!
«Segondo de? - chiese
l'altra accompagnando l'ultima sillaba con uno starnuto – Sdo
bale... benzo di avede la vebbre... Guesda don ci boleba brobrio! Gome
vaggio ad addare id gadderia oggi?!» - chiese crollando sul
divano.
«Sei una pappamolla,
Ranocchia... hai il sistema immunitario di una vecchia!»
Lou borbottò parole
incomprensibili continuando a rabbrividire alternando gli starnuti,
alle tirate su col naso.
«C'è poco da
fare: chiama Matleena e dille che stai male. - si avvicinò
alla sua amica mettendole una mano sulla fronte trovandola bollente. -
Scotti! Hai la febbre... Ti sostituirà con qualcun altro,
vedrai. Sa che se stai male è perché
effettivamente è così: sei sempre stata
disponibile ed efficiente, anche quando eri moribonda e saresti dovuta
rimanere a casa. Ecco, ora copriti. Ti prendo il termometro: vediamo
quanto è alta questa febbraccia cattiva.»
Tornò poco dopo con il
termometro digitale e glielo strinse fra le labbra.
Un minuto di attesa ed ecco il bip del
segnale.
«38 e mezzo. Devi rimanere
decisamente a casa. Ti prendo qualcosa per far scendere la
febbre...» - disse preoccupata rovistando nella
scatola che
aveva portato con sé dal bagno, in cerca di qualcosa di
utile.
Le fece ingoiare degli antipiretici
con dell'acqua. La guardava con aria afflitta.
«Mi spiace che ti sei
ammalata... forse hai preso freddo ieri pomeriggio giocando a fare
l'idiota nella neve con me. E mi spiace di lasciarti qui a casa da sola
in queste condizioni...» - disse prendendole le mani
fredde tra le sue, cercando di scaldargliele.
«Don breoccubardi! È sodo
invluenza... etccciuùùù!»
«Senti facciamo
così: chiamo io Matleena... sembri Mami di “Via
Col Vento”! Non si capisce un accidenti di quello che dici.
Parlo io con lei e le spiego la situazione, omettendo la parte ludica
di ieri pomeriggio, ovviamente.»
Preso il cellulare di Lou, scorse
velocemente la rubrica trovando il numero di Matleena e attese che
rispondesse, battendo impaziente con le unghie lunghe e laccate di
rosso sul ripiano del tavolo basso. Qualche secondo e dall'altra parte
qualcuno rispose.
«Matleena? Ciao, sono Nur: come stai?
Oh, io bene bene, grazie! Sì, sono passata velocemente per
il week end e
riparto fra qualche ora... sì, è qui. Ecco.
È per
questo che ti chiamo... no, non sta bene. Penso si sia presa una
brutta influenza, non riesce neanche a parlare e tenere la testa su.
È uno straccio... lo so, me lo ha detto... sì
certo... -
facendo delle boccacce all'indirizzo di Matleena roteò gli
occhi all'insù – ha la febbre alta. Ci chiedevamo
se puoi sostituirla finché non starà meglio... ma
certo, ci penso io, sta' tranquilla, chiamerò il
dottore...»
“Il dottore? Non
sono mica moribonda?”- pensò Lou con
un'occhiataccia a Nur che le strizzò l'occhio complice.
«Ha una pessima cera. Penso
che stia anche per vomitare... sì, ti chiamerà
non appena starà meglio, la conosci bene, no? Sai che se non
stesse male sul serio, verrebbe anche strisciando sui
gomiti...» - una risata.
“La stavano per
caso prendendo in giro?!”
«Ma certo mi
assicurerò personalmente che stia a letto. Certo certo...
ok, grazie Matleena! A presto! Ciao! Ecco fatto - disse posando il
cellulare sul tavolino con aria soddisfatta e professionale –
missione compiuta: ora potrai riposarti finalmente!»
«Grazzie!-
gracchiò Lou – botevi varla anghe medo
draggiga!»
«Non capisco che dici, torna
a letto: ti porto del latte con il miele. Avanti!» - le disse
aiutandola ad alzarsi per metterla a letto.
Si accasciò senza forze
come se avesse scalato una montagna e dopo due minuti era di nuovo
addormentata.
Quando si svegliò di nuovo,
erano le due del pomeriggio passate e le sembrava di stare un po'
meglio... per lo meno il mal di testa era passato.
Nur fece capolino dalla stanza in
penombra e vedendo che si era svegliata si sedette sul letto; era
già vestita e stava per andarsene.
Con la faccia da cucciolo abbandonato,
Lou tirò su col naso.
«Dai non fare quella faccia
che già mi sento in colpa! - tastò con la mano la
fronte e fu soddisfatta di trovarla meno calda – La febbre
almeno è scesa. Vado via fra un'ora... prendo l'aereo
successivo, non mi andava di lasciarti senza averti salutato... - le
sorrise dolcemente - Ti va ora del latte?»
Lou fece segno di sì con la
testa.
L'altra uscì per tornare
subito dopo con una tazza fumante che sprigionava un delizioso profumo
di miele e cannella. Si aggrappò alla tazza bevendo piano e
soffiando, guardando Nur da sopra l'orlo.
«Grazie...- ora che il naso
era libero, parlava meglio –Ci hai messo la cannella come
piace a me...»
«Beh, dai... era per
coccolarti un po'...- si stese al suo fianco appoggiandosi ai cuscini
– Uhm... non ho voglia di andare via sai? Mi piacerebbe
rimanere ancora qualche giorno.»
«Per Ville?»
«Anche... soprattutto per te
però, non mi piace lasciarti qui sola, specie in queste
condizioni.»
«Ma passerà in
pochi giorni, vedrai... starò meglio domani, ne sono
sicura!»
«Lo spero... magari puoi
chiedere al tuo spagnolo di venire a farti da infermiere! - disse
ridendo maliziosa – io lo farei!»
«Ah, non ho dubbi che tu lo
faresti, ma penso proprio che me ne starò qui chiusa a
leggere sotto le coperte e al calduccio!»
Parlarono ancora per un po' e poi con
un'occhiata all'orologio da polso pieno di cristalli lucenti, Nur si
alzò di malavoglia e si chinò per baciarla sulla
fronte come si fa con i moribondi, abbracciandola stretta.
«Mi raccomando, cerca di
stare davvero a letto! Ti chiamo appena arrivo a Londra ok? Fai la
brava...»
«Ok, parola di scout:
starò a letto!»
“Ok... allora
vado.»
Con un ultimo bacio sui capelli, si
avviò decisa alla porta e andò via. Si
sentì improvvisamente sola e abbandonata: represse il magone
con un singulto sonoro, finì il suo latte caldo e si
alzò immediatamente.
Ciabattò fino in cucina per
posare la tazza vuota e prendere un'altra cucchiaiata di miele. Decise
di fare una doccia calda nella speranza che la potesse riscaldare.
Con un sospiro di sollievo accolse
l'acqua sui muscoli doloranti e rimase per oltre dieci minuti sotto il
getto, lasciandola scivolare sul corpo e sui capelli.
Dopo essersi asciugata alla perfezione
anche la massa di capelli ribelli, si avvolse di nuovo nella coperta.
Non aveva voglia di tornare a letto; aveva già dormito fin
troppo per il suo standard e temeva avrebbe passato una notte insonne.
Così decise di accendere
Highlander e controllare le mail che sicuramente si erano accumulate in
quei giorni.
Pubblicità e spam che
cestinò senza neanche darci un’occhiata e in
più news letter che al momento non le interessavano.
Una mail da Simone. L'avrebbe letta
per ultima: come lui, le sue mail erano impegnative e stressanti oltre
che divertenti da morire, quindi decise di godersela solo alla fine.
Una mail da un indirizzo che non
conosceva.
Di mezz'ora prima. Lesse l'oggetto
dell'intestazione: “Il
pirata sta cercando la sua
principessa...”.
Julian! Come aveva fatto a trovare la
sua mail?
Con tutta probabilità era
stata Matleena e lui doveva essere stato molto convincente, dal momento
che la sua Draghessa difendeva la privacy dei suoi collaboratori quasi
quanto la sua.
L'aprì elettrizzata.
“Ciao,
Sì, sì, lo so
che ti sei chiesta che cosa voglio e soprattutto come ho fatto ad avere
la tua mail. Ebbene, ho corrotto la
Draghessa con il mio charme latino.
(Sapevi che le donne apparentemente fredde sono quelle che
più cedono al fascino dei pirati come me?); non
è stato così difficile come credevo.
Mi ha squadrato con quei suoi occhi
freddi ed io imperterrito ho sostenuto il suo sguardo, cercando di
convincerla che avevo DAVVERO bisogno di scriverti...
Ed è così.
Cos' è questa storia
dell'influenza? Hai preso freddo sabato sera? Spero di no...
Speravo di vederti oggi pomeriggio...
anzi, devo dirti la verità... fremevo dalla voglia di
rivederti... mi chiedevo se hai bisogno di qualcuno che ti prepari una
tazza di brodo caldo e ti tenga costretta a letto (oh dì di
si dì di sì...).
Correrò subito da te, a
salvarti dalla noia! ;)
Ti lascio il mio numero di
cellulare... chiamami.
Mi chiamerai vero? :)
J.”
Oh, signore! Lou
avvampò
solo a leggere le parole: di certo non ci andava leggero!
Menomale che aveva detto che non
avrebbe forzato di nuovo la mano!
Nonostante tutto le fece piacere che
lui si fosse preoccupato per lei, lusingata dal fatto che avesse
corrotto la sua Draghessa per arrivare a lei; fissò il
numero di cellulare che aveva scritto in fondo alla mail.
Anche il fatto che avesse scelto la
posta elettronica per corrompere Matleena e non aveva chiesto il suo
numero, era un chiaro segno di rispetto e di discrezione in un certo
senso: ora lasciava a lei la scelta di chiamarlo.
Si morse nervosamente le unghie:
Julian non faceva mistero di cosa volesse da lei.
La domanda era: cosa voleva lei?
Julian le piaceva e molto.
Non la metteva in imbarazzo nonostante
la sua passionalità. La divertiva.
Ma... lei non voleva storie.
Le sarebbe piaciuto frequentarlo ma
senza coinvolgere la sfera sentimentale.
Le era tornato il mal di testa...
«Uff...» -
sbottò depressa.
Avrebbe riflettuto sulla cosa, decise.
Passò alla mail di Simone.
“Grace,
vacchetta che non sei altro!
Sono settimane che aspetto che ti fai
viva e niente!
Cerca di avere una buona scusa per
questa mancanza e come minimo la scusa deve avere almeno 23 cm di buoni
motivi!!!
Che mi combini in quella terra fredda
e desolata che ti sei scelta come casa?!
Nessun vichingo che ti colpisce con
una clava? (non è affatto un lapsus: per clava intendo
proprio quello che tu pensi!)
Che ti stordisca a furia di
randellate?! (Come sopra : vedi clava).
Hai intenzione di rimanere
lì anche questa estate? No, perché nel caso ti
vengo a prendere e ti rapisco.
No, sul serio. Sto pensando di venire
a trovarti per qualche giorno.
Posso? (Tanto vengo lo stesso) :)
Pensavo di passare tra due settimane:
per te va bene?
Ho un sacco di cose da raccontarti...
e vorrei farlo di persona!
Mi manchi da morire. E non ti sto
prendendo per il culo! ;)
A presto, tuo Will”.
Rise di gusto: avevano iniziato a
chiamarsi “Will&Grace”,
quando aveva scoperto la sit-com e si erano ritrovati nel rapporto
speciale che c'era fra i due protagonisti della serie tv.
Oh, cielo! Simone che andava
lì da lei! Erano anni che cercava di convincerlo a passare
un fine settimana con lei, ma era sempre preso da mille impegni e mille
flirt amorosi e rimandava sempre.
Che bello! Aveva una nostalgia
tremenda anche lei del suo amico.
Chissà che aveva di
così importante da dirle per farlo smuovere da Roma per
raggiungerla!
Gli rispose al volo:
“Will!
Sogno o son desta?! Vieni davvero qui
da me? Davvero davvero?!
Dì la verità:
chi hai ucciso?
Ti serve una che ti copra, eh?
Sarò la tua complice sempre
e comunque lo sai!
Non vedo l'ora di riabbracciarti... mi
manchi anche tu e anche Mara...
Anzi, è da un bel po' che
non la sento: le scrivo subito una mail...
Ti aspetto, ti aspetto, ti aspetto...
queste settimane saranno lunghissime!
Ps: Nessun vichingo all'orizzonte,
ergo nessuna clava o randello! :P
Per sempre,
tua Grace.”
Subito dopo mandò una mail
alla sua amica Mara, che si era sposata da circa due anni.
Dopo un lungo fidanzamento con Enzo,
suo fidanzato storico per più di sette anni, Mara aveva
incontrato il suo attuale marito Karl, un pittore tedesco, durante uno
stage in Germania cinque anni prima.
Era stato amore a prima vista.
Mara aveva mollato il noioso Enzo,
commercialista in un altrettanto noiosissimo studio contabile, ed era
scappata in Germania, subito dopo il suo ritorno; il tempo di mettere
al corrente Enzo che, com'era nel suo stile aveva accolto la notizia
con aria pacata, seria e indifferente, fare una valigia striminzita,
dar loro un bacio ed era tornata tra le braccia del suo biondo
teutonico.
Lei e Simone avevano accolto la
notizia meno stoicamente di Enzo: per tutto il tempo (un paio d'ore
appena) che Mara era rimasta in casa, le erano stati dietro come due
avvoltoi, passando dalle minacce, alle lagne, ai ricatti morali, ai
musi lunghi.
Mara li rassicurava che era solo una
situazione momentanea ma era stata via per mesi e pur continuando a
pagare la sua quota d'affitto in ogni caso, loro due si erano sentiti
abbandonati.
Mara era tornata in Italia con il suo
Karl e poco dopo erano andati a vivere insieme mettendo fine
così alla loro allegra convivenza, ma non aveva smesso di
frequentare assiduamente la loro casa.
Nonostante tutto, erano stati felici
di vedere la loro amica felice e innamorata come non mai. Attualmente
era una moglie e madre in attesa del primo figlio: per qualche tempo
aveva lavorato come scenografa per la tv italiana, ma aveva abbandonato
tutto non appena aveva scoperto di essere rimasta incinta. Ed era
più felice che mai.
Finita la mail per Mara, decise di
rimettersi a letto: la stanchezza e il malessere stavano tornando di
nuovo. E non dipendeva solo dall'influenza.
Decise anche di non rispondere alla
mail di Julian.
“Codarda!
-pensò – La regola del chiodo scaccia
chiodo con lui può essere anche piacevole.”
Tornò a infilarsi sotto il
piumone, sentendo il solito groppo in gola che l'attanagliava ogni
volta che pensava al suo passato... e ai suoi sogni spezzati.
******
Erano da un anno in Finlandia lei e
Andrea e tutto sembrava andare alla perfezione o almeno era quello che
lei voleva vedere, innamorata persa e dipendente da lui in tutto e per
tutto.
Avevano trovato quella casa piccola ma
decorosa, pensando che quando entrambi avessero trovato un lavoro, e
una maggiore stabilità economica, (ovviamente senza l'aiuto
del portafoglio del papà di Andrea) avrebbero cambiato casa
per prenderne una più grande.
Andrea, che nonostante la sua stentata
laurea in Legge, poteva cercare un lavoro in qualche studio legale
della città, (soprattutto con le infinite risorse della
famiglia e con le loro conoscenze), aveva invece intrapreso la carriera
di modello, con disappunto della sua famiglia e della stessa Lou.
Ricordava con dolore i mesi passati a
macerarsi sul pensiero di chi passava il tempo con il fidanzato e di
quello che faceva; aveva accumulato tanta di quella tensione che
bastava un sms sul cellulare di lui a scatenare la sua gelosia ed erano
scenate, con pianti e urla.
Andrea la rassicurava come poteva, ma
anche lui stava iniziando a non reggere più la tensione:
tornare a casa per lui era diventato sempre più difficile,
se ne rendeva conto ora... ma allora era come accecata dalla gelosia
divorante e dall'insicurezza.
Col passare dei mesi Andrea era
diventato sempre più sfuggente e tornava a casa ogni sera
più tardi: Lou era ridotta ad uno straccio, lo ricordava
bene... non riusciva a mangiare, non riusciva a dormire, non riusciva a
pensare ad altro che a lui circondato da bellissime modelle.
Di notte faceva sogni di lui
abbracciato a donne stupende, con fisici mozzafiato, dai quali si
svegliava piangendo.
Se solo fosse stata meno oppressiva,
meno gelosa, meno insicura, probabilmente non sarebbe andata
così... questo però lo pensava ora, con il senno
di poi. Lei era sola, i suoi amici, la sua famiglia erano lontani, e il
suo mondo girava intorno ad Andrea.
Il suo mondo era Andrea.
Con lui aveva davvero pensato che
fosse amore per sempre... finché non era entrata in scena
Sophie.
La bellissima, perfetta Sophie:
modella tedesca, bionda, altissima, dalle forme perfette, dal viso di
porcellana...
Quando aveva scoperto che Andrea la
frequentava era andata fuori di testa, costringendolo a confessare che
si frequentavano già dopo pochi mesi dal loro trasferimento
in Finlandia.
Proprio nel momento in cui lei pensava
che finalmente avrebbero costruito qualcosa d’importante e
duraturo, Andrea era andato via di casa per vivere con Sophie.
Qualche settimana dopo, lei aveva
scoperto di aspettare un bambino.
Per giorni e giorni aveva pianto da
sola nella loro stanza, nel letto matrimoniale che ora apparteneva a
Nur, cercando una soluzione. Se avesse detto ad Andrea del bambino lui
avrebbe pensato che era una trappola per tenerlo legato a lei e non
poteva neanche pensare di disfarsene come se fosse un intralcio alla
sua vita.
Non aveva pensato all'aborto neanche
per un istante.
Aveva deciso che sarebbe tornata a
casa, in Italia e crescere il loro bambino da sola, con la sua famiglia
e i suoi amici intorno.
Non aveva parlato con Andrea,
nonostante Mara e Simone con mail e telefonate e conseguenti bollette
telefoniche astronomiche, le avevano detto fino allo sfinimento che lui
aveva il diritto di sapere e che era una sua responsabilità
occuparsi del bambino.
Lei era stata irremovibile: non gli
avrebbe detto nulla.
Non avrebbe implorato il suo aiuto, la
sua attenzione, il suo amore per qualcosa che aveva ucciso con le bugie
e la leggerezza.
Aveva già prenotato il
biglietto di sola andata per l'Italia.
Da qualche giorno sentiva fitte
all'addome che divennero via via più forti con il passare
delle ore. La sera precedente al suo rientro, era quasi svenuta per i
dolori e aveva chiamato Matleena, l'unico punto di riferimento che
avesse all'epoca.
Mat, aveva fatto i dieci chilometri
che la separavano da casa sua in meno di 5 minuti e aveva chiamato in
pronto soccorso, un suo caro amico, avvisandolo che la stava portando
in ospedale.
L'aveva caricata in macchina ed era
ripartita alla velocità della luce.
Nelle ore successive i suoi ricordi
erano diventati solo brevi flash... ma il suo incubo non era ancora
finito. Quando si era svegliata, in una lussuosa stanza d'ospedale,
Matleena aveva allontanato le infermiere che le giravano intorno,
chiedendo di rimanere sola con lei.
Con dolcezza le aveva preso le mani
fra le sue e guardandola dritto negli occhi aveva spiegato con voce
ferma e dolce, cosa fosse successo.
Il feto non ce l'aveva fatta: aveva
avuto un aborto spontaneo, forse dovuto al troppo stress o forse erano
solo cause naturali. Forse solo il destino.
Lou aveva accolto la notizia non
versando neanche una lacrima.
Ogni legame con Andrea ora era
spezzato. Ogni speranza di riaverlo un giorno, svanita.
Come il suo bambino. Il loro bambino.
Nei suoi incubi lo sentiva piangere,
sapeva che la stava cercando e che aveva bisogno di lei; nel sogno
correva lungo dei corridoi senza fine, con ai lati centinaia di porte e
non riusciva mai a raggiungerlo.
Solo in quei momenti, quando si
risvegliava ansando e sudata, si rendeva conto che aveva il volto
inondato di lacrime e la gola le faceva male per le urla represse.
******
Ancora quel sogno.
Lo sentiva piangere disperato.
Sembrava quasi che fosse lì nella stanza tanto forte era il
pianto.
Aprì gli occhi atterrita e
come sempre aveva il groppo in gola dolorante.
Le lacrime al solito traboccarono,
aspettava che il suo cuore rallentasse e tornasse ad un ritmo normale.
Ma il pianto non cessava.
Si guardò intorno nella
stanza buia, immobile e spaventata a morte: ma il lamento non era
lì nella stanza, sembrava provenisse dall'esterno.
Schizzò fuori dal letto per
guardare dalla sua portafinestra verso l'esterno.
Aveva ripreso a nevicare forte, era
tutto bianco e non si vedeva bene. Aprì uno spiraglio per
accertarsi che le sue orecchie non le avessero giocato uno scherzo e
iniziasse a pensare che stesse impazzendo sul serio. No, il pianto, il
lamento sembrava quello di un bambino ma molto probabilmente era un
gatto, ora se ne rendeva conto. Appoggiò la fronte al vetro
gelido, respirando con brevi e affannose secche boccate d'aria. Il
lamento continuava disperato. Prese il plaid avvolgendovisi e
uscì sul balcone per riuscire a capire da dove venisse:
strizzò gli occhi mentre la nuvola di fiocchi le vorticava
intorno e dentro gli occhi. Niente. Non vedeva nulla.
Avrebbe avuto una ricaduta se rimaneva
ancora lì nel gelo, pensava rabbrividendo, quando colse un
movimento impercettibile con la coda dell'occhio e vide una minuscola
macchia nera muoversi in mezzo alla distesa immacolata della coltre di
neve che ricopriva il vialetto.
“Oh signore... se
rimane lì morirà!” -
pensò preoccupata.
Rientrò veloce e si
infilò un maglione, il pantalone della tuta alla
velocità della luce e volò verso la porta
afferrando nel passaggio il giaccone imbottito. Era lanciata in piena
corsa quando arrivò sul vialetto e vide una figura scura, un
po' più grande di quella che le era sembrata dal balcone,
accucciata dove prima c'era quello che lei pensava fosse un gatto.
Troppo tardi si accorse che era un
essere umano e che nel momento in cui lei sgommava sulla neve, lui
alzò il viso pallido e spigoloso verso di lei.
Un battito di cuore. Due. Cuore che
rotola nel petto.
“È quasi morto di
freddo! -
disse lui con una bassa, roca voce concitata e preoccupata. - Dobbiamo
portarlo in casa.»
Raccolse la palla di pelo, si
alzò e la fissò come se si aspettasse qualcosa da
lei.
Lou immobile, ancora stravolta dal
sogno di poco prima e con le lacrime che segnavano ancora dei solchi
salati sul viso, si riscosse d'un tratto all'urgenza nella sua voce.
«Oh. Certo.
Sì!»
“Un pensiero
coerente in questo momento sarebbe gradito, Lou”.
«Portalo dentro!»
Gli fece cenno di seguirla
all'interno, precedendolo, tenendogli la porta aperta mentre lui le
passava veloce davanti e la richiudeva piano mentre Ville Valo si
girava verso di lei con una minuscola palla di pelo nera tra le mani
grandi, bianche ed eleganti.
******
«Ha bisogno di stare al
caldo... hai qualcosa per avvolgerlo? - le chiese impaziente -
Qualsiasi cosa anche per asciugarlo...»
«Arrivo subito.»
Lou gli fece cenno di andare nel
salotto mentre si precipitava in camera da letto in cerca di un vecchio
maglione che non metteva più e un asciugamano che prese dal
bagno, poi tornò dove lui l'aspettava in piedi al centro del
salotto, con gli occhi abbassati sulle mani a coppa.
«Ecco! Dallo a me... non
sarà già...?»- chiese Lou esitante
mentre lui le passava il gattino che tutto sembrava tranne che vivo,
aiutandola ad asciugarlo.
«No, gli ho sentito il
battito del cuore... è ancora vivo, per poco ma è
ancora vivo.»
Lo avvolse nel maglione. Quel gatto
aveva una gran brutta cera.
Ma aveva ragione lui: toccando il
micetto aveva sentito anche lei che il battito c'era ancora.
«Non ho idea di cosa fare
con un gatto. - disse lui ancora immobile al centro del salotto, le
scarpe bagnate e le punte dei capelli mossi umide dalla neve che vi si
era sciolta sopra - Non riuscivo a dormire né a scrivere con
il suo lamento.»
“Oh. Povero
artista.” - pensò lei irritata,
dandogli le spalle, portando il fagotto verso il termosifone ancora
tiepido, già pentita del pensiero che aveva avuto su di lui
pochi istanti prima, sul fatto che non si sarebbe mai aspettata da lui
un gesto tanto carino e delicato.
«Vieni qui, – gli
ordinò secca – tienilo al caldo mentre io preparo
qualcosa per farlo riprendere.»
Lo fissò negli occhi.
“Brutta mossa,
pessima mossa, Lou...”.
Voleva davvero essere gelida ma quei
chiari laghi di giada che aveva al posto degli occhi la stavano
sondando tra il divertito e l'irritato e la bocca che lei in un primo
momento aveva giudicato sottile, era piegata in un sorriso stretto e
trattenuto.
Tolse la giacchetta di pelle che aveva
addosso, (ma non gelava con quella roba soltanto?) posandola sul
divano, così anche il berretto di lana che gli copriva gran
parte del viso e i capelli castani gli sfiorarono il viso magro e
spigoloso.
Non disse una sola parola: prese il
fagotto dalle sue mani, continuando a fissarla divertito.
“Che diamine
ha da guardare!?” - agitata e nervosa, neanche lei
sapeva
bene il perché, tolse il giaccone e poco le fregava che
avesse addosso un maglione sformato e pieno di pallini, il pantalone
della tuta troppo largo per lei, bucherellato e consumato; i capelli in
una massa informe e ribelle.
Non osava immaginare che faccia
avesse, con le occhiaie e tutto il resto.
Preparò del latte e ruppe
un uovo del quale usò solo il tuorlo rosso, bucandone la
membrana e separandolo dalle pellicine, mescolò il tutto.
Avrebbe dovuto mischiare anche della
panna ma non ne aveva in casa.
In bagno prese una siringa vuota e
sterilizzata, scartando l'ago che gettò nel secchio
dell'immondizia. Con orrore si guardò allo specchio
sgranando gli occhi: era peggio di quanto pensasse. Sciacquò
la faccia con acqua gelata per togliere le tracce delle lacrime e
tornò in cucina; aspirò un po' del preparato
tiepido e si girò armata di siringa, per uscire nel salotto
che era attiguo alla cucina, divisi solo da un basso muretto.
«Ecco... ora il difficile
sarà fargli bere questa roba, ma è l'unica cosa
che somigli al latte materno per i gatti... avremmo bisogno anche di
una lampada termica che lo tenga caldo quasi come il calore della
mamma, ma non penso di esserne dotata...» - disse d'un fiato
avvicinandosi al gatto e a colui che lo teneva stretto contro il petto.
Non spiccicava una parola ma ancora la
guardava con quell'espressione divertita.
Cercò di non badare a
quanto apparisse carina l'immagine.
«Vedo che sei esperta nel
campo... hai avuto altri gatti prima?» - chiese con un
sorriso “quasi” dolce.
«Non è la prima
volta che trovo un gatto in mezzo alla neve – rispose
passandogli la siringa con uno sguardo di sufficienza, ricordando la
notte che avevano trovato Natale in Italia – l'altro ce l'ha
fatta e ora ha ancora sette vite. Era più grande di questo
esserino qui però... non so se ce la fa...»
«Ce la fa.»-
rispose afferrando la siringa dalle mani di lei con un tono di sfida.
Girò il musetto del gatto
appoggiando la punta sulla minuscola boccuccia. La linguetta
guizzò piano e lui provò a infilargli
delicatamente la punta della siringa tra le fauci, premendo con
lentezza lo stantuffo.
«Anche tu non sembri un
principiante.»
«Ho visto molti
documentari.»
“Non guardarlo non
guardarlo...”
Si ripeteva mentalmente mentre lo
sbirciava di sfuggita solo per accorgersi che anche lui la stava
sbirciando.
Distolse lo sguardo in fretta e si
rifugiò dietro la cucina.
“Codarda.”.
«Vuoi qualcosa da bere?
Scusa se non te l'ho chiesto prima. Un tè? Tisana?
Caffè?» - chiese senza alzare gli occhi.
«Non voglio disturbarti. Va
bene una tisana... grazie.»
Che voce carezzevole... come miele
ruvido sulle sue labbra.
Aspettò impaziente,
battendo il piede ritmicamente sul pavimento, che l'acqua nel bollitore
si decidesse a riscaldarsi.
Valo se la rideva sotto i baffi. Odio.
Non faceva che farla agitare maggiormente con la sua calma serafica.
Preparò meccanicamente la
tisana, una volta pronta, rigida come un pezzo di legno si
avvicinò con le due tazze in mano.
«Dallo a me... tu bevi la
tisana.»
«Non riuscirei a berla
così calda...» - le sorrise, tramortendola con il
verde chiaro degli occhi.
Un colpo al cuore. Due. Respiro.
«Sta mangiando? - si sporse
per dare un’occhiata al fagotto inerme tra le mani di lui. -
sembra di sì...»
«Qualche goccia... il resto
è finito sulla mia mano.»
Quella voce le faceva venire i
brividi, tanto era bassa, carezzevole, morbida, ruvida, penetrante...
tutto insieme.
«Dovrebbe mangiare ogni due
ore, sai?» - gli disse con aria scettica.
«Ci terrà svegli
per tutta la notte, allora.» - le rispose serio.
«Ci penso io,
tranquillo...»
«Non se ne parla neanche...
l'ho trovato io. Mi sento responsabile.»
“Figuriamoci! Come
se una star potesse perdere tempo con un misero gatto trovato per
strada...”.
«Allora lo porti a casa
tua?»
E che pensasse pure che fosse una
cafona maleducata!
«Ci butteresti fuori con
questo tempaccio?»- la stava prendendo in giro.
«Abiti a due passi da
qui.» - disse laconica e gelida lei.
«Meglio non rischiare... -
rispose lui con calma. - Non ti daremo fastidio. Potrebbe non
farcela... non vorrai essere sola se accade.»
Non aveva detto che ce l'avrebbe
fatta?!
Digrignò i denti per
l'irritazione.
«Vuoi stare tutta la notte a
sorvegliarlo e dargli da mangiare? - gli chiese con evidente
scetticismo con un tono secco e gelido - Guarda che l'ho già
fatto una volta e sono in grado di rimanere sola con un gatto
moribondo!»
Ville alzò gli occhi su di
lei.
«Rilassati...»- le
disse con voce grave e dolce.
Smontò come un palloncino
tutta la sua rabbia immotivata e la tensione con una sola parola... si
lasciò cadere sul divano, molto lontano da lui.
Le era tornato il mal di testa... si
sentiva male ma non voleva dirgli di andarsene.
Temeva che le fosse tornata la
febbre... sentiva caldo.
Ma probabilmente la colpa poteva
essere attribuita alla sua agitazione “da Valo”.
«Bevi la tisana, ora...
sarà meno calda.»
Le passò il fagotto con
cautela e stando ben attenta a non toccargli le mani, prese il gattino
che era inesistente e minuscolo nella maglia.
«Penso che per ora basti
insistere nel dargli da mangiare, riproviamo più
tardi.»
Era quel “noi”
sottinteso ad agitarla.
Con un movimento elegante degno di un
lord inglese prese la tazza che era sul tavolo e iniziò a
bere lentamente la tisana. Con una mano stretta intorno al gattino,
prese anche lei la sua e iniziò a sorseggiarla.
Silenzio. Un imbarazzante silenzio che
si poteva tagliare a fette.
Lou lo fissava ad occhi socchiusi al
di sopra l'orlo della tazza.
Ville faceva lo stesso.
«Possiamo presentarci ora? -
chiese all'improvviso lui. - È la seconda volta che vengo
qui a casa tua e ancora non ci presentiamo... Ciao, sono Ville Hermanni
Valo...» - tese la mano.
“Si presentava
sempre con nome cognome e secondo nome?”.
«Ciao, sono Lou. Lucia
Zadra.»
«Ciao Lou... - il suo nome
sulle sue labbra diventava una colata di zucchero... - Finalmente ci
conosciamo.»
“Tutto
ciò è surreale.” -
pensò Lou.
Lei in casa sua con un gatto mezzo
morto a bere tisana in condizioni pietose, sul divano.
Con Ville Valo.
Prese la sua mano. Se la aspettava
fredda e morbida. La stretta invece era forte e le mani dure e
caldissime.
Passò un tempo indefinito
mentre si tenevano la mano.
Ville la guardava dritta negli occhi.
Lui aveva gli occhi più
chiari, più limpidi e trasparenti che avesse mai visto.
Giada tersa, cristallina. Occhi del genere non potevano appartenere a
qualcuno che aveva vissuto la sua vita. Erano troppo puri, innocenti
eppure... quei chiari laghi di giada, nascondevano paradiso e inferno
in fondo a quelle pupille brillanti e profonde.
Un miagolio li riscosse entrambi. Lou
lasciò andare la sua mano di scatto. Il gatto si muoveva
nella maglia: segno che stava riscaldandosi. Ma aveva gli occhi chiusi
dal muco e non riusciva ad aprirli ancora.
«Non capisco come sia
arrivato sotto casa mia... - disse Lou per spezzare
l'elettricità che sentiva scorrere ancora tra di loro - non
ho mai visto gatti nei paraggi.»
«Neanche io... forse hanno
paura di essere impagliati per poi essere esposti in casa
mia...» - disse ridendo sommessamente.
«Come, prego?» -
sbatté gli occhi con aria interrogativa.
«Oh, no niente... - rispose
lui ancora con un sorriso ironico sulle labbra. - Bene, Lou. Ora che
abbiamo fatto conoscenza... come intendi impiegare queste ore fino a
domattina, quando sapremo che fine farà il nostro
amico?»
La domanda sussurrata la
lasciò senza parole. Si divertiva a crearle imbarazzo per
caso? Poteva essere una domanda come un'altra, del tutto innocente, ma
non lo erano gli occhi e il sorriso che l'accompagnava!
«Oh...»
“Maledizione!
Dì qualcosa!”.
«...non ne ho
idea...»
“Complimenti
geniaccia!”.
Le girò la testa e non solo
per i suoi occhi e le sue uscite simpatiche: le stava tornando la
febbre, aveva mal di gola e aveva la nausea.
«Scusa... devo andare un
attimo in bagno... ti spiace?» - balbettò.
«Stai bene?»
«Veramente non proprio...
credo che la febbre non voglia abbandonarmi... prendo qualcosa, scusa
un attimo.»
“Ma certo... ti aspetto
qui» - disse lui con tono basso.
“Accidenti a
lui.”.
Volò verso il bagno e con
mani tremanti prese altre due compresse, le stesse che le aveva dato
Nur, dall'armadietto dei medicinali e le ingoiò con fatica
con un sorso d'acqua.
Stava sudando. Stava male.
Passò in camera da letto e
si cambiò, tolse quella orrenda maglia e la tuta ed
infilò un top con sopra la maglia melanzana che le aveva
regalato Nur, dei pantaloni morbidi e comodi e avvolse il collo in una
sciarpina.
Si guardò di nuovo allo
specchio per distogliere subito dopo gli occhi: orribile.
Lasciò i capelli sciolti
sperando che avrebbero coperto in gran parte il pallore del viso e le
occhiaie nere.
Quando tornò in salotto,
con passo felpato, sentì Valo che cantava a bocca chiusa
qualcosa... al gatto!
Ebbe voglia di ridere improvvisamente,
se non fosse che la scena era fin troppo dolce.
«Ma che
carino...»- disse prima di mordersi la lingua.
Valo alzò gli occhi dal
gatto senza scomporsi, abbassando ancora di più la voce fino
a un mormorio di gola.
«Shht... ora si è
addormentato.»
Il tono era serio ma gli
occhi e la bocca
ridevano.
«Stavi cantando la ninna
nanna al gatto, per caso?»- chiede Lou reprimendo una risata.
«Ovviamente.»
Eh sì, diceva sul serio.
Ma se la rideva sotto i baffi
guardandola con la testa leggermente inclinata di lato. Quell'uomo era
tutto e il contrario di tutto. Non poteva dar torto alla sua amica se
volesse a tutti i costi sedurlo.
Come un fulmine a ciel sereno
pensò a Nur e si sentì stranamente in colpa per
essere lì con l'uomo che lei aveva deciso di conquistare.
Aveva dimenticato la pizza, aveva
dimenticato quando solo pochi giorni prima si erano visti dalle
rispettive finestre, perfino della sua riverenza ironica del giorno
precedente... improvvisamente le tornò tutto in mente.
La sua presenza lì aveva
cancellato l'idea che aveva avuto finora di lui?
«La pizza. Era buona. La tua
amica mi ha detto che era opera tua, era deliziosa...
davvero...»
«Grazie... sono contenta che
sia stata di tuo gusto. Nur mi ha detto che ti piace particolarmente, e
allora...»
«Sì, mi piace, ma
quella che mangio io la prendo al supermercato e la scongelo:
è un po' diversa dalla tua...» - disse ridendo.
«Lo so.»- si diede
arie, soffocando uno sbadiglio.
Che figura!
«Scusa, penso siano le
medicine a farmi sbadigliare, non tu...»
“Ma che diamine
dico?!
«Tranquilla, non
è la prima volta che una donna sbadiglia in mia
presenza!»
Lo guardò scettica. Certo.
Come no.
«È vero...» -aggiunse serio, lui.
Lou sollevò le sopracciglia
con aria perplessa.
Un miagolio.
«La tua ninna nanna non ha
funzionato, credo...»
“O forse gli piace
la tua voce e vuole che continui a cantare...” -
pensò ma non lo disse ad alta voce.
«Proviamo a farlo mangiare
di nuovo... - propose lui. - Vuoi farlo tu?»
«Sì. Dallo a
me, se vuoi andare, non preoccuparti, davvero... non ci
so...»
«Ho detto che preferisco
rimanere... sempre che tu non voglia mandarmi via.»
La guardava in attesa di una risposta.
«Ok.»- rispose
impettita.
«Ok vuoi che rimanga o che
vada via?» - insistette.
«Ok fai come vuoi, non ti
sto cacciando. Pensavo solo che, magari, avessi altro da fare che stare
qui stanotte a fare da baby-sitter ad un gatto con un piede nella
fossa...»
«Anche tu non mi sembri in
gran forma, - disse lui serafico – magari devo soccorrervi
entrambi stanotte!»
“Eh?!”-
l'urlo le salì in gola e per poco non lo esternò.
«Sto bene... cioè
so badare a me stessa.» - rispose punta sul vivo.
«Ne sono certo, ma a nessuno
fa piacere stare da soli, specie quando si sta male... vero?»
«Ci sono abituata e poi
è solo influenza...»- rispose e in quel preciso
istante il cellulare iniziò a squillare.
Controllò il display. Era
Nur.
“Merda”.
«Nur? - rispose a disagio
– Sei arrivata a Londra?»
«Ehi, come stai? Speravo di
trovarti sveglia! Ti senti meglio? È scesa la febbre? Ti
sento poco e
male... c'è un temporale tremendo qui e sono bagnata fino al
midollo, volevo solo assicurarmi che stessi un pochino
meglio...»
La voce di Nur a tratti non arrivava.
«Sto meglio, tranquilla...
è tutto ok! Non preoccuparti.» - si sentiva
tremendamente in colpa.
«Ok, tesoro, allora ti
richiamo domani, scusa per l'ora... ma sapevo che eri sveglia! Mi
raccomando, fai la brava!» - disse alzando il tono di voce e
chiuse la comunicazione.
«Era Nur.»-
precisò lei senza che ce ne fosse bisogno.
«Ho sentito. Non sapevo
fosse ripartita...»
Lou rispose con un’alzata di
spalle.
«Sì, è partita
oggi
pomeriggio... però sarà di ritorno questo fine
settimana.»- aggiunse.
«Secondo me hai la febbre,
hai gli occhi rossi e anche il viso...» - lui
sorvolò elegantemente sul discorso che lei voleva portare su
Nur.
Prima che potesse muoversi, le
toccò la fronte con il dorso della mano.
Si trattenne a stento dal tirarsi
indietro ma al suo tocco lo stomaco le aveva fatto una giravolta.
«Mi
salverò?» - chiese ironica.
«Uhm, se fai la brava
sì, penso che te la caverai... Rilassati Lou...»
Ancora quel tono...
“Sono
rilassataaaaaaaaaaaaaaaaaa!” - urlò la
vocina dentro di lei.
«Ville, sono
rilassata.»
Era la prima volta che lo chiamava per
nome.
Se ne accorse lui e se ne rese conto
lei. Forse non avrebbe dovuto dargli del tu, dopotutto lui era una star
mondiale e lei una semplice donna qualunque.
Ma era venuto naturale come dargli
ordini su come trattare il micio moribondo.
In quel momento, lì nel suo
salotto, una mano verso il fagotto, col dito che accarezzava il muso
della microscopica creatura, sembrava solo un uomo come tanti.
Vestito in maniera normale. Con l'aria
più normale e rilassata del mondo.
«È bello come viene fuori
il mio nome detto da te.» - disse con voce bassissima e roca,
sbirciandola con i suoi occhi da gatto sornione.
Altro battito di cuore... prigioniero
che cercava di scappare dal suo petto.
Non era quello che diceva: era il modo
in cui parlava che le faceva girare la testa.
Diede la colpa ai medicinali.
Valo doveva sparire al più
presto dalla sua casa e dal suo spazio vitale.
Senza riuscire a impedirselo
sbadigliò ancora una volta, con tanto di lacrima finale.
Al suo secondo sbadiglio in dieci
minuti, lui scoppiò in una risata.
La risata più strana che
avesse mai sentito in vita sua.
Rauca, a scatti, come colpi di tosse
di un cane, o una lambretta scassata.
“Sono fregata.” - pensò Lou amando
all'istante quella risata.
«Faccio sempre
così colpo sulle donne... Evidentemente con le italiane non
funziona.» - rise ancora.
«Come sai che sono
italiana?» - chiese sorridendo ancora per la
sua, di
risata, scartando con eleganza la sua battuta.
«Ho chiesto in
giro...»- rispose, con fare misterioso.
«Cosa?... hai chiesto in
giro di me?!»
«Lou, me lo ha detto la tua
amica...»
“Capitan Ovvio,
brava! Ti eri già esaltata e lusingata che avesse indagato
su di te, illusa?!”.
Stava per crollare sul gatto. Non
riusciva neanche a mettere insieme due parole una dietro l'altra
figuriamoci con lui che la prendeva in giro e la guardava con quei
pezzi di giada... appoggiò la testa sul divano, sfinita.
«Scusa...»
Di cosa si stava
scusando?!
«Ti perdono...» -
disse lui sempre ridendo.
"Oh, se la sta spassando un mondo a
vedermi morta di sonno e in balia degli effetti soporiferi da
antipiretici!”
«Grazie...
gentilissimo...» - bofonchiò lei, chiudendo
per un
attimo gli occhi.
Solo un momento...
******
Era su una spiaggia. Sentiva il calore
del sole sulla pelle. Una spiaggia italiana... ne era certa, da qualche
parte nelle vicinanze sapeva che c'era Simone steso al sole. Ad occhi
chiusi giocava con i piedi nella sabbia bollente, sentiva scorrere i
granelli di sabbia sulle dita. Una mano calda le sfiorò il
collo e lei si girò di lato andando incontro a quella mano,
baciandone il palmo, sempre tendendo gli occhi chiusi. Le dita di lui
le sfioravano le labbra e lei con un sospiro le schiuse.
Attirò quella mano sul suo
viso, posandosela contro la guancia, strofinandovisi contro, lasciando
che giocasse con i suoi lobi, per poi spostarsi sulla pelle sensibile
dietro le orecchie, sul collo, tornando su le disegnò il
contorno dell'ovale, per spostarsi sulle palpebre ancora chiuse.
Come una falena attratta dalla luce,
si avvicinò al corpo di lui steso a pochi centimetri dal
suo. Gli posò una mano sul petto bollente, all'altezza del
cuore; la mano libera di lui le accarezzava la schiena nuda,
lentamente.
Alzò il viso cercando il
volto dell'uomo che era steso contro di lei; trovò il mento
ispido per la barba che stava ricrescendo. Con le labbra socchiuse lo
sfiorò, lenta verso il collo, strofinò il viso
lambendo con la lingua la pelle morbida e liscia, che sapeva di sale e
sole... un gemito roco le segnalò che era cosa gradita e lei
continuò lenta mordendo piano la carne sensibile... la mano
si spostò dal petto alla schiena, per scendere lungo la
colonna vertebrale fino ai glutei tondi e maschili, infilando la mano
impertinente all'interno del costume.
Un altro gemito roco e subito la mano
di lui posata alla base della schiena, la spinse verso il suo bacino,
lasciando che lei non avesse dubbio alcuno sulla situazione.
Le gambe erano intrecciate in un unico
groviglio di arti, con i piedi che giocavano ad accarezzarsi
così come facevano le mani... labbra leggere le sfiorarono
la fronte, il naso, scesero a toccare le labbra, la punta della lingua
le toccò brevemente, queste si schiusero in attesa del
resto...
Un sospiro contro quella bocca
invitante, il gemito roco di lui , una voce bassa che le sussurrava
all'orecchio.
«Lou... sei sveglia?»
«…»
Quella voce...
Lentamente, come le accadeva sempre,
tornò alla realtà con fatica.
Strano... stava facendo un sogno
bellissimo, pensava di essersi svegliata ma stava continuando a
sognare. Era ancora stesa contro il suo corpo caldo, una mano infilata
nel costume, quella di lui alla base del suo bacino, il viso
sprofondato nel suo collo, sentiva il battito del suo cuore accelerato
contro le sue labbra.
Aprì gli occhi. Era buio e
non era certamente su una spiaggia assolata, tanto meno in Italia. Era
sul divano di casa sua, accaldata e languida, schiacciata contro lo
schienale, abbrancata a Ville Valo, steso quasi su di lei... con una
mano dentro i pantaloni che gli teneva arpionato una chiappa e la
chiarissima consapevolezza che oltre a lei anche
“altro” era ben sveglio, qualcosa che pulsava
contro il suo ventre!
Era pietrificata dall'imbarazzo.
Voleva morire. Lì. Ora.
«Oddio... Mio Dio, scusa!» - mormorò con ancora il
volto affondato
nel suo collo. Un respiro secco di lui.
Lou ritrasse le mani dai posti in cui
le aveva infilate, le loro gambe ancora intrecciate, i bacini che si
toccavano. Lei non poteva muoversi, era schiacciata dal suo corpo, che
all'apparenza era molto magro, ma ora la copriva e la faceva sentire
così piccola.
«Non scusarti... - disse lui
con una voce ancora più roca e sensuale che nel sogno - mi
sono reso conto che dormivi solo... dopo...»
Sfilò lentamente le gambe
intrecciate alle sue e si mise seduto sul divano, con i gomiti
appoggiati alle ginocchia.
Lou si rannicchiò
vergognandosi come non mai nella sua vita. Che pensava di lei? Dopo
aver fatto la snob per tutto il tempo… che era successo?
Come si era ritrovata con le mani che vagavano ovunque...
deglutì forte al pensiero.
«Ehm...?»
«Sì?»
«...non capisco, scusa...
com'è che ci siamo ritrovati... in quelle
condizioni?»
«Stavi dormendo, ti ho messa
solo più comoda. Sei crollata come una pera... mi ero solo
steso accanto a te, ad un certo punto sono crollato anche io. Non
è colpa tua... Lou, non sentirti in imbarazzo, ok? Ehi...» - disse girandosi, guardandola con
disappunto vedendola con
il viso tra le mani.
«Smettila, dai non
è successo niente... davvero. Vieni qui...» - si
sforzava di non riderle in faccia, lo vedeva.
La tirò gentilmente verso
di sé passandole un braccio intorno alle spalle,
stringendola piano.
Lei era rigida tanto da spezzarsi, con
il viso nascosto tra le mani.
«Non è
niente.» - sussurrò lui contro i
suoi capelli.
Lou si sciolse dall'abbraccio e si
alzò esitante e malferma sulle gambe.
«Portami a
letto...» - disse a voce bassa.
«Co... come
scusa?» - gracchiò Ville.
«Sto male... portami a
letto, per favore.»- vacillò mentre lui la
afferrava
al volo e la portava in camera.
«Chiamo qualcuno, non ti
reggi in piedi!»- disse nervoso.
«No! Sto male, devo solo
mettermi a letto e stare al caldo. Non mangio da ieri e sono solo
debole. Non chiamare nessuno...»- gli disse mentre lui la
depositava sotto le coperte e gliele tirava fino al collo.
Era sicuramente fuori posto in una
situazione del genere.
Se non fosse stata tanto male, la cosa
l'avrebbe fatta ridere fino alle lacrime.
Lui rimaneva accanto al letto, con le
mani infilate nelle tasche dei jeans.
«Ville?»
«Dimmi.»
«Ti posso chiedere una
cosa?»
Ormai biascicava cose senza senso, la
febbre alta.
«Certo.»
«Rimani qui con me stanotte?
Fino a che non mi addormento? Prometto di non toccarti più
il sedere...»
Lo fissava senza vederlo realmente,
con occhi
vitrei e intontiti.
La risata sommessa. Lui che entrava
sotto le coperte. E le posava il mento sulla testa.
Continuando a ghignare con la sua
risata strana.
La sua ninna nanna.
******
Angolo
di quella che pensa di essere autrice:
Ok
sono pronta ad immolarmi...
Ecco a voi Valo... finalmente è
spuntato fuori... come nei migliori film fa un'entrata ad effetto!
Lo so bene che le fan del Valo diranno: "Ma
Ville è allergico ai gatti!!!".... si lo so, ma questa
è la mia Fan Fiction e Valo fa quello che io gli dico di
fare!! :)
Come sempre voglio ringraziare le mie due
Beta: Cicci-Vivi e Pulci-Sara, che mi sono con il fiato sul collo
perchè non riesco a finire il nono capitolo...Pazientate
ragazze: è un capitolo importante... e mi serve
ispirazione...
non dimentico le mie sorelle di sclero:
Concy, Tesò Nicky e Vale, Sele! Vi adovooooo assai sorelle,
sallatelo.
Che sarebbero le serate senza i nostri
neuroni incasinati?
Un grazie anche alle altre importanti amiche
che seguono la mia Fan Fic: Oriana, Marianna, Silvia, Margherita,
Ilaria, Mariangela e Laura!
Grazie per i vostri commenti e il sostegno!
<3
Grazie anche a chi legge, magari, e non
commenta: sarebbe bello sapere che ne pensate di questa storia!
Non siate timidi e lasciatemi un commento o
un messaggio privato!
Ordunque... come sempre mi dilungo in
blatere senza senso... ma sono davvero contenta di aver pubblicato e
soprattutto di aver creato i miei personaggi: spero possiate amarli
come li amo io!
A presto, H_T