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Autore: Heaven_Tonight    18/03/2012    23 recensioni
“Ikkunaprinsessa”. La Principessa alla Finestra.
C’era lei, Lou, in quel ritratto. C’era lei in ogni suo respiro, in ogni cellula o pensiero.
La sua anima, il suo cuore, le sue speranze mai esposte, il suo amore e la sua fiducia in esso in ogni piccola e accurata pennellata di colore vivido.
C’era lei come il suo caro Sig. Korhonen la vedeva.
Al di là della maschera inutile che si era costruita negli anni.
I capelli rossi e lunghi che diventavano un tutt’uno con il cielo stellato.
L’espressione del suo viso, mentre guardava la neve cadere attraverso la finestra, sognante, sorridente.
Lei fiduciosa e serena. Col vestito blu di Nur e la collana con il ciondolo che un tempo era stata di Maili.
Lui aveva mantenuto la sua promessa: le aveva fatto un ritratto, attingendo a ricordi lontani.
L’aveva ritratta anche senza di lei presente in carne e ossa. Meglio di quanto potesse immaginare.
Cogliendo la sua vera essenza.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo tre

"Come miele e neve"


Uno starnuto. Due. Tre. Quattro.

“Doh! - pensò Lou... - ti prego l'influenza no!”.

Rabbrividì violentemente e si rannicchiò al tepore delle coperte, ma non riusciva a respirare: aveva male alla gola, le ossa le dolevano come se un tir le fosse passato sopra e la testa le pesava come un macigno.

Così imparo a giocare nella neve come una bambina!”.

Un altro sonoro starnuto.

Le lacrimavano anche gli occhi e aveva il naso tappato e colante.

Gemette piano cercando di mettere a fuoco tra le lacrime il suo cellulare per vedere che ore erano: le dieci di lunedì mattina.

Nel pomeriggio Nur sarebbe ripartita: si chiese se anche la sua amica fosse nelle sue condizioni. Si trascinò stancamente fuori da letto, buttandosi una coperta addosso ci si avvolse completamente e arrancò fuori dalla stanza, per trovare una Nur affaccendata a preparare la colazione, raggiante, ancora in pigiama, ma a quanto poteva vedere in ottima salute.

«Che hai? - chiese Nur sbocconcellando una fetta biscottata coperta di miele – Stai male?»

Come se non fosse evidente!

«Segondo de? - chiese l'altra accompagnando l'ultima sillaba con uno starnuto – Sdo bale... benzo di avede la vebbre... Guesda don ci boleba brobrio! Gome vaggio ad addare id gadderia oggi?!» - chiese crollando sul divano.

«Sei una pappamolla, Ranocchia... hai il sistema immunitario di una vecchia!»

Lou borbottò parole incomprensibili continuando a rabbrividire alternando gli starnuti, alle tirate su col naso.

«C'è poco da fare: chiama Matleena e dille che stai male. - si avvicinò alla sua amica mettendole una mano sulla fronte trovandola bollente. - Scotti! Hai la febbre... Ti sostituirà con qualcun altro, vedrai. Sa che se stai male è perché effettivamente è così: sei sempre stata disponibile ed efficiente, anche quando eri moribonda e saresti dovuta rimanere a casa. Ecco, ora copriti. Ti prendo il termometro: vediamo quanto è alta questa febbraccia cattiva.»

Tornò poco dopo con il termometro digitale e glielo strinse fra le labbra.

Un minuto di attesa ed ecco il bip del segnale.

«38 e mezzo. Devi rimanere decisamente a casa. Ti prendo qualcosa per far scendere la febbre...» - disse preoccupata rovistando nella scatola che aveva portato con sé dal bagno, in cerca di qualcosa di utile.

Le fece ingoiare degli antipiretici con dell'acqua. La guardava con aria afflitta.

«Mi spiace che ti sei ammalata... forse hai preso freddo ieri pomeriggio giocando a fare l'idiota nella neve con me. E mi spiace di lasciarti qui a casa da sola in queste condizioni...» - disse prendendole le mani fredde tra le sue, cercando di scaldargliele.

«Don breoccubardi! È sodo invluenza... etccciuùùù!»

«Senti facciamo così: chiamo io Matleena... sembri Mami di “Via Col Vento”! Non si capisce un accidenti di quello che dici. Parlo io con lei e le spiego la situazione, omettendo la parte ludica di ieri pomeriggio, ovviamente.»

Preso il cellulare di Lou, scorse velocemente la rubrica trovando il numero di Matleena e attese che rispondesse, battendo impaziente con le unghie lunghe e laccate di rosso sul ripiano del tavolo basso. Qualche secondo e dall'altra parte qualcuno rispose.

«Matleena? Ciao, sono Nur: come stai? Oh, io bene bene, grazie! Sì, sono passata velocemente per il week end e riparto fra qualche ora... sì, è qui. Ecco. È per questo che ti chiamo... no, non sta bene. Penso si sia presa una brutta influenza, non riesce neanche a parlare e tenere la testa su. È uno straccio... lo so, me lo ha detto... sì certo... - facendo delle boccacce all'indirizzo di Matleena roteò gli occhi all'insù – ha la febbre alta. Ci chiedevamo se puoi sostituirla finché non starà meglio... ma certo, ci penso io, sta' tranquilla, chiamerò il dottore...»

Il dottore? Non sono mica moribonda?”- pensò Lou con un'occhiataccia a Nur che le strizzò l'occhio complice.

«Ha una pessima cera. Penso che stia anche per vomitare... sì, ti chiamerà non appena starà meglio, la conosci bene, no? Sai che se non stesse male sul serio, verrebbe anche strisciando sui gomiti...» - una risata.


La stavano per caso prendendo in giro?!”

«Ma certo mi assicurerò personalmente che stia a letto. Certo certo... ok, grazie Matleena! A presto! Ciao! Ecco fatto - disse posando il cellulare sul tavolino con aria soddisfatta e professionale – missione compiuta: ora potrai riposarti finalmente!»

«Grazzie!- gracchiò Lou – botevi varla anghe medo draggiga!»

«Non capisco che dici, torna a letto: ti porto del latte con il miele. Avanti!» - le disse aiutandola ad alzarsi per metterla a letto.

Si accasciò senza forze come se avesse scalato una montagna e dopo due minuti era di nuovo addormentata.

Quando si svegliò di nuovo, erano le due del pomeriggio passate e le sembrava di stare un po' meglio... per lo meno il mal di testa era passato.

Nur fece capolino dalla stanza in penombra e vedendo che si era svegliata si sedette sul letto; era già vestita e stava per andarsene.

Con la faccia da cucciolo abbandonato, Lou tirò su col naso.

«Dai non fare quella faccia che già mi sento in colpa! - tastò con la mano la fronte e fu soddisfatta di trovarla meno calda – La febbre almeno è scesa. Vado via fra un'ora... prendo l'aereo successivo, non mi andava di lasciarti senza averti salutato... - le sorrise dolcemente - Ti va ora del latte?»

Lou fece segno di sì con la testa.

L'altra uscì per tornare subito dopo con una tazza fumante che sprigionava un delizioso profumo di miele e cannella. Si aggrappò alla tazza bevendo piano e soffiando, guardando Nur da sopra l'orlo.

«Grazie...- ora che il naso era libero, parlava meglio –Ci hai messo la cannella come piace a me...»

«Beh, dai... era per coccolarti un po'...- si stese al suo fianco appoggiandosi ai cuscini – Uhm... non ho voglia di andare via sai? Mi piacerebbe rimanere ancora qualche giorno.»

«Per Ville?»

«Anche... soprattutto per te però, non mi piace lasciarti qui sola, specie in queste condizioni.»

«Ma passerà in pochi giorni, vedrai... starò meglio domani, ne sono sicura!»

«Lo spero... magari puoi chiedere al tuo spagnolo di venire a farti da infermiere! - disse ridendo maliziosa – io lo farei!»

«Ah, non ho dubbi che tu lo faresti, ma penso proprio che me ne starò qui chiusa a leggere sotto le coperte e al calduccio!»

Parlarono ancora per un po' e poi con un'occhiata all'orologio da polso pieno di cristalli lucenti, Nur si alzò di malavoglia e si chinò per baciarla sulla fronte come si fa con i moribondi, abbracciandola stretta.

«Mi raccomando, cerca di stare davvero a letto! Ti chiamo appena arrivo a Londra ok? Fai la brava...»

«Ok, parola di scout: starò a letto!»

“Ok... allora vado.»

Con un ultimo bacio sui capelli, si avviò decisa alla porta e andò via. Si sentì improvvisamente sola e abbandonata: represse il magone con un singulto sonoro, finì il suo latte caldo e si alzò immediatamente.

Ciabattò fino in cucina per posare la tazza vuota e prendere un'altra cucchiaiata di miele. Decise di fare una doccia calda nella speranza che la potesse riscaldare.

Con un sospiro di sollievo accolse l'acqua sui muscoli doloranti e rimase per oltre dieci minuti sotto il getto, lasciandola scivolare sul corpo e sui capelli.

Dopo essersi asciugata alla perfezione anche la massa di capelli ribelli, si avvolse di nuovo nella coperta. Non aveva voglia di tornare a letto; aveva già dormito fin troppo per il suo standard e temeva avrebbe passato una notte insonne.

Così decise di accendere Highlander e controllare le mail che sicuramente si erano accumulate in quei giorni.

Pubblicità e spam che cestinò senza neanche darci un’occhiata e in più news letter che al momento non le interessavano.

Una mail da Simone. L'avrebbe letta per ultima: come lui, le sue mail erano impegnative e stressanti oltre che divertenti da morire, quindi decise di godersela solo alla fine.

Una mail da un indirizzo che non conosceva.

Di mezz'ora prima. Lesse l'oggetto dell'intestazione: “Il pirata sta cercando la sua principessa...”.

Julian! Come aveva fatto a trovare la sua mail?

Con tutta probabilità era stata Matleena e lui doveva essere stato molto convincente, dal momento che la sua Draghessa difendeva la privacy dei suoi collaboratori quasi quanto la sua.

L'aprì elettrizzata.

Ciao,

Sì, sì, lo so che ti sei chiesta che cosa voglio e soprattutto come ho fatto ad avere la tua mail. Ebbene, ho corrotto la

Draghessa con il mio charme latino. (Sapevi che le donne apparentemente fredde sono quelle che più cedono al fascino dei pirati come me?); non è stato così difficile come credevo.

Mi ha squadrato con quei suoi occhi freddi ed io imperterrito ho sostenuto il suo sguardo, cercando di convincerla che avevo DAVVERO bisogno di scriverti...

Ed è così.

Cos' è questa storia dell'influenza? Hai preso freddo sabato sera? Spero di no...

Speravo di vederti oggi pomeriggio... anzi, devo dirti la verità... fremevo dalla voglia di rivederti... mi chiedevo se hai bisogno di qualcuno che ti prepari una tazza di brodo caldo e ti tenga costretta a letto (oh dì di si dì di sì...).

Correrò subito da te, a salvarti dalla noia! ;)

Ti lascio il mio numero di cellulare... chiamami.

Mi chiamerai vero? :)

J.”

Oh, signore! Lou avvampò solo a leggere le parole: di certo non ci andava leggero!

Menomale che aveva detto che non avrebbe forzato di nuovo la mano!

Nonostante tutto le fece piacere che lui si fosse preoccupato per lei, lusingata dal fatto che avesse corrotto la sua Draghessa per arrivare a lei; fissò il numero di cellulare che aveva scritto in fondo alla mail.

Anche il fatto che avesse scelto la posta elettronica per corrompere Matleena e non aveva chiesto il suo numero, era un chiaro segno di rispetto e di discrezione in un certo senso: ora lasciava a lei la scelta di chiamarlo.

Si morse nervosamente le unghie: Julian non faceva mistero di cosa volesse da lei.

La domanda era: cosa voleva lei? Julian le piaceva e molto.

Non la metteva in imbarazzo nonostante la sua passionalità. La divertiva.

Ma... lei non voleva storie.

Le sarebbe piaciuto frequentarlo ma senza coinvolgere la sfera sentimentale.

Le era tornato il mal di testa...

«Uff...» - sbottò depressa.

Avrebbe riflettuto sulla cosa, decise. Passò alla mail di Simone.

Grace,

vacchetta che non sei altro!

Sono settimane che aspetto che ti fai viva e niente!

Cerca di avere una buona scusa per questa mancanza e come minimo la scusa deve avere almeno 23 cm di buoni motivi!!!

Che mi combini in quella terra fredda e desolata che ti sei scelta come casa?!

Nessun vichingo che ti colpisce con una clava? (non è affatto un lapsus: per clava intendo proprio quello che tu pensi!)

Che ti stordisca a furia di randellate?! (Come sopra : vedi clava).

Hai intenzione di rimanere lì anche questa estate? No, perché nel caso ti vengo a prendere e ti rapisco.

No, sul serio. Sto pensando di venire a trovarti per qualche giorno.

Posso? (Tanto vengo lo stesso) :)

Pensavo di passare tra due settimane: per te va bene?

Ho un sacco di cose da raccontarti... e vorrei farlo di persona!

Mi manchi da morire. E non ti sto prendendo per il culo! ;)


A presto, tuo Will”.

Rise di gusto: avevano iniziato a chiamarsi “Will&Grace”, quando aveva scoperto la sit-com e si erano ritrovati nel rapporto speciale che c'era fra i due protagonisti della serie tv.

Oh, cielo! Simone che andava lì da lei! Erano anni che cercava di convincerlo a passare un fine settimana con lei, ma era sempre preso da mille impegni e mille flirt amorosi e rimandava sempre.

Che bello! Aveva una nostalgia tremenda anche lei del suo amico.

Chissà che aveva di così importante da dirle per farlo smuovere da Roma per raggiungerla!

Gli rispose al volo:

Will!

Sogno o son desta?! Vieni davvero qui da me? Davvero davvero?!

Dì la verità: chi hai ucciso?

Ti serve una che ti copra, eh?

Sarò la tua complice sempre e comunque lo sai!

Non vedo l'ora di riabbracciarti... mi manchi anche tu e anche Mara...

Anzi, è da un bel po' che non la sento: le scrivo subito una mail...

Ti aspetto, ti aspetto, ti aspetto... queste settimane saranno lunghissime!

Ps: Nessun vichingo all'orizzonte, ergo nessuna clava o randello! :P

Per sempre,

tua Grace.”

Subito dopo mandò una mail alla sua amica Mara, che si era sposata da circa due anni.

Dopo un lungo fidanzamento con Enzo, suo fidanzato storico per più di sette anni, Mara aveva incontrato il suo attuale marito Karl, un pittore tedesco, durante uno stage in Germania cinque anni prima.

Era stato amore a prima vista.

Mara aveva mollato il noioso Enzo, commercialista in un altrettanto noiosissimo studio contabile, ed era scappata in Germania, subito dopo il suo ritorno; il tempo di mettere al corrente Enzo che, com'era nel suo stile aveva accolto la notizia con aria pacata, seria e indifferente, fare una valigia striminzita, dar loro un bacio ed era tornata tra le braccia del suo biondo teutonico.

Lei e Simone avevano accolto la notizia meno stoicamente di Enzo: per tutto il tempo (un paio d'ore appena) che Mara era rimasta in casa, le erano stati dietro come due avvoltoi, passando dalle minacce, alle lagne, ai ricatti morali, ai musi lunghi.

Mara li rassicurava che era solo una situazione momentanea ma era stata via per mesi e pur continuando a pagare la sua quota d'affitto in ogni caso, loro due si erano sentiti abbandonati.

Mara era tornata in Italia con il suo Karl e poco dopo erano andati a vivere insieme mettendo fine così alla loro allegra convivenza, ma non aveva smesso di frequentare assiduamente la loro casa.

Nonostante tutto, erano stati felici di vedere la loro amica felice e innamorata come non mai. Attualmente era una moglie e madre in attesa del primo figlio: per qualche tempo aveva lavorato come scenografa per la tv italiana, ma aveva abbandonato tutto non appena aveva scoperto di essere rimasta incinta. Ed era più felice che mai.

Finita la mail per Mara, decise di rimettersi a letto: la stanchezza e il malessere stavano tornando di nuovo. E non dipendeva solo dall'influenza.

Decise anche di non rispondere alla mail di Julian.

Codarda! -pensò – La regola del chiodo scaccia chiodo con lui può essere anche piacevole.”

Tornò a infilarsi sotto il piumone, sentendo il solito groppo in gola che l'attanagliava ogni volta che pensava al suo passato... e ai suoi sogni spezzati.


******


Erano da un anno in Finlandia lei e Andrea e tutto sembrava andare alla perfezione o almeno era quello che lei voleva vedere, innamorata persa e dipendente da lui in tutto e per tutto.

Avevano trovato quella casa piccola ma decorosa, pensando che quando entrambi avessero trovato un lavoro, e una maggiore stabilità economica, (ovviamente senza l'aiuto del portafoglio del papà di Andrea) avrebbero cambiato casa per prenderne una più grande.

Andrea, che nonostante la sua stentata laurea in Legge, poteva cercare un lavoro in qualche studio legale della città, (soprattutto con le infinite risorse della famiglia e con le loro conoscenze), aveva invece intrapreso la carriera di modello, con disappunto della sua famiglia e della stessa Lou.

Ricordava con dolore i mesi passati a macerarsi sul pensiero di chi passava il tempo con il fidanzato e di quello che faceva; aveva accumulato tanta di quella tensione che bastava un sms sul cellulare di lui a scatenare la sua gelosia ed erano scenate, con pianti e urla.

Andrea la rassicurava come poteva, ma anche lui stava iniziando a non reggere più la tensione: tornare a casa per lui era diventato sempre più difficile, se ne rendeva conto ora... ma allora era come accecata dalla gelosia divorante e dall'insicurezza.

Col passare dei mesi Andrea era diventato sempre più sfuggente e tornava a casa ogni sera più tardi: Lou era ridotta ad uno straccio, lo ricordava bene... non riusciva a mangiare, non riusciva a dormire, non riusciva a pensare ad altro che a lui circondato da bellissime modelle.

Di notte faceva sogni di lui abbracciato a donne stupende, con fisici mozzafiato, dai quali si svegliava piangendo.

Se solo fosse stata meno oppressiva, meno gelosa, meno insicura, probabilmente non sarebbe andata così... questo però lo pensava ora, con il senno di poi. Lei era sola, i suoi amici, la sua famiglia erano lontani, e il suo mondo girava intorno ad Andrea.

Il suo mondo era Andrea.

Con lui aveva davvero pensato che fosse amore per sempre... finché non era entrata in scena Sophie.

La bellissima, perfetta Sophie: modella tedesca, bionda, altissima, dalle forme perfette, dal viso di porcellana...

Quando aveva scoperto che Andrea la frequentava era andata fuori di testa, costringendolo a confessare che si frequentavano già dopo pochi mesi dal loro trasferimento in Finlandia.

Proprio nel momento in cui lei pensava che finalmente avrebbero costruito qualcosa d’importante e duraturo, Andrea era andato via di casa per vivere con Sophie.

Qualche settimana dopo, lei aveva scoperto di aspettare un bambino.

Per giorni e giorni aveva pianto da sola nella loro stanza, nel letto matrimoniale che ora apparteneva a Nur, cercando una soluzione. Se avesse detto ad Andrea del bambino lui avrebbe pensato che era una trappola per tenerlo legato a lei e non poteva neanche pensare di disfarsene come se fosse un intralcio alla sua vita.

Non aveva pensato all'aborto neanche per un istante.

Aveva deciso che sarebbe tornata a casa, in Italia e crescere il loro bambino da sola, con la sua famiglia e i suoi amici intorno.

Non aveva parlato con Andrea, nonostante Mara e Simone con mail e telefonate e conseguenti bollette telefoniche astronomiche, le avevano detto fino allo sfinimento che lui aveva il diritto di sapere e che era una sua responsabilità occuparsi del bambino.

Lei era stata irremovibile: non gli avrebbe detto nulla.

Non avrebbe implorato il suo aiuto, la sua attenzione, il suo amore per qualcosa che aveva ucciso con le bugie e la leggerezza.

Aveva già prenotato il biglietto di sola andata per l'Italia.

Da qualche giorno sentiva fitte all'addome che divennero via via più forti con il passare delle ore. La sera precedente al suo rientro, era quasi svenuta per i dolori e aveva chiamato Matleena, l'unico punto di riferimento che avesse all'epoca.

Mat, aveva fatto i dieci chilometri che la separavano da casa sua in meno di 5 minuti e aveva chiamato in pronto soccorso, un suo caro amico, avvisandolo che la stava portando in ospedale.

L'aveva caricata in macchina ed era ripartita alla velocità della luce.

Nelle ore successive i suoi ricordi erano diventati solo brevi flash... ma il suo incubo non era ancora finito. Quando si era svegliata, in una lussuosa stanza d'ospedale, Matleena aveva allontanato le infermiere che le giravano intorno, chiedendo di rimanere sola con lei.

Con dolcezza le aveva preso le mani fra le sue e guardandola dritto negli occhi aveva spiegato con voce ferma e dolce, cosa fosse successo.

Il feto non ce l'aveva fatta: aveva avuto un aborto spontaneo, forse dovuto al troppo stress o forse erano solo cause naturali. Forse solo il destino.

Lou aveva accolto la notizia non versando neanche una lacrima.

Ogni legame con Andrea ora era spezzato. Ogni speranza di riaverlo un giorno, svanita.

Come il suo bambino. Il loro bambino.

Nei suoi incubi lo sentiva piangere, sapeva che la stava cercando e che aveva bisogno di lei; nel sogno correva lungo dei corridoi senza fine, con ai lati centinaia di porte e non riusciva mai a raggiungerlo.

Solo in quei momenti, quando si risvegliava ansando e sudata, si rendeva conto che aveva il volto inondato di lacrime e la gola le faceva male per le urla represse.


******


Ancora quel sogno.

Lo sentiva piangere disperato. Sembrava quasi che fosse lì nella stanza tanto forte era il pianto.

Aprì gli occhi atterrita e come sempre aveva il groppo in gola dolorante.

Le lacrime al solito traboccarono, aspettava che il suo cuore rallentasse e tornasse ad un ritmo normale.

Ma il pianto non cessava.

Si guardò intorno nella stanza buia, immobile e spaventata a morte: ma il lamento non era lì nella stanza, sembrava provenisse dall'esterno.

Schizzò fuori dal letto per guardare dalla sua portafinestra verso l'esterno.

Aveva ripreso a nevicare forte, era tutto bianco e non si vedeva bene. Aprì uno spiraglio per accertarsi che le sue orecchie non le avessero giocato uno scherzo e iniziasse a pensare che stesse impazzendo sul serio. No, il pianto, il lamento sembrava quello di un bambino ma molto probabilmente era un gatto, ora se ne rendeva conto. Appoggiò la fronte al vetro gelido, respirando con brevi e affannose secche boccate d'aria. Il lamento continuava disperato. Prese il plaid avvolgendovisi e uscì sul balcone per riuscire a capire da dove venisse: strizzò gli occhi mentre la nuvola di fiocchi le vorticava intorno e dentro gli occhi. Niente. Non vedeva nulla.

Avrebbe avuto una ricaduta se rimaneva ancora lì nel gelo, pensava rabbrividendo, quando colse un movimento impercettibile con la coda dell'occhio e vide una minuscola macchia nera muoversi in mezzo alla distesa immacolata della coltre di neve che ricopriva il vialetto.

Oh signore... se rimane lì morirà!” - pensò preoccupata.

Rientrò veloce e si infilò un maglione, il pantalone della tuta alla velocità della luce e volò verso la porta afferrando nel passaggio il giaccone imbottito. Era lanciata in piena corsa quando arrivò sul vialetto e vide una figura scura, un po' più grande di quella che le era sembrata dal balcone, accucciata dove prima c'era quello che lei pensava fosse un gatto.

Troppo tardi si accorse che era un essere umano e che nel momento in cui lei sgommava sulla neve, lui alzò il viso pallido e spigoloso verso di lei.

Un battito di cuore. Due. Cuore che rotola nel petto.

“È quasi morto di freddo! - disse lui con una bassa, roca voce concitata e preoccupata. - Dobbiamo portarlo in casa.»

Raccolse la palla di pelo, si alzò e la fissò come se si aspettasse qualcosa da lei.

Lou immobile, ancora stravolta dal sogno di poco prima e con le lacrime che segnavano ancora dei solchi salati sul viso, si riscosse d'un tratto all'urgenza nella sua voce.

«Oh. Certo. Sì!»

Un pensiero coerente in questo momento sarebbe gradito, Lou”.

«Portalo dentro!»

Gli fece cenno di seguirla all'interno, precedendolo, tenendogli la porta aperta mentre lui le passava veloce davanti e la richiudeva piano mentre Ville Valo si girava verso di lei con una minuscola palla di pelo nera tra le mani grandi, bianche ed eleganti.


******


«Ha bisogno di stare al caldo... hai qualcosa per avvolgerlo? - le chiese impaziente - Qualsiasi cosa anche per asciugarlo...»

«Arrivo subito.»

Lou gli fece cenno di andare nel salotto mentre si precipitava in camera da letto in cerca di un vecchio maglione che non metteva più e un asciugamano che prese dal bagno, poi tornò dove lui l'aspettava in piedi al centro del salotto, con gli occhi abbassati sulle mani a coppa.

«Ecco! Dallo a me... non sarà già...?»- chiese Lou esitante mentre lui le passava il gattino che tutto sembrava tranne che vivo, aiutandola ad asciugarlo.

«No, gli ho sentito il battito del cuore... è ancora vivo, per poco ma è ancora vivo.»

Lo avvolse nel maglione. Quel gatto aveva una gran brutta cera.

Ma aveva ragione lui: toccando il micetto aveva sentito anche lei che il battito c'era ancora.

«Non ho idea di cosa fare con un gatto. - disse lui ancora immobile al centro del salotto, le scarpe bagnate e le punte dei capelli mossi umide dalla neve che vi si era sciolta sopra - Non riuscivo a dormire né a scrivere con il suo lamento.»

Oh. Povero artista.” - pensò lei irritata, dandogli le spalle, portando il fagotto verso il termosifone ancora tiepido, già pentita del pensiero che aveva avuto su di lui pochi istanti prima, sul fatto che non si sarebbe mai aspettata da lui un gesto tanto carino e delicato.

«Vieni qui, – gli ordinò secca – tienilo al caldo mentre io preparo qualcosa per farlo riprendere.»
Lo fissò negli occhi.

Brutta mossa, pessima mossa, Lou...”.

Voleva davvero essere gelida ma quei chiari laghi di giada che aveva al posto degli occhi la stavano sondando tra il divertito e l'irritato e la bocca che lei in un primo momento aveva giudicato sottile, era piegata in un sorriso stretto e trattenuto.

Tolse la giacchetta di pelle che aveva addosso, (ma non gelava con quella roba soltanto?) posandola sul divano, così anche il berretto di lana che gli copriva gran parte del viso e i capelli castani gli sfiorarono il viso magro e spigoloso.

Non disse una sola parola: prese il fagotto dalle sue mani, continuando a fissarla divertito.

Che diamine ha da guardare!?” - agitata e nervosa, neanche lei sapeva bene il perché, tolse il giaccone e poco le fregava che avesse addosso un maglione sformato e pieno di pallini, il pantalone della tuta troppo largo per lei, bucherellato e consumato; i capelli in una massa informe e ribelle.

Non osava immaginare che faccia avesse, con le occhiaie e tutto il resto.

Preparò del latte e ruppe un uovo del quale usò solo il tuorlo rosso, bucandone la membrana e separandolo dalle pellicine, mescolò il tutto.

Avrebbe dovuto mischiare anche della panna ma non ne aveva in casa.

In bagno prese una siringa vuota e sterilizzata, scartando l'ago che gettò nel secchio dell'immondizia. Con orrore si guardò allo specchio sgranando gli occhi: era peggio di quanto pensasse. Sciacquò la faccia con acqua gelata per togliere le tracce delle lacrime e tornò in cucina; aspirò un po' del preparato tiepido e si girò armata di siringa, per uscire nel salotto che era attiguo alla cucina, divisi solo da un basso muretto.

«Ecco... ora il difficile sarà fargli bere questa roba, ma è l'unica cosa che somigli al latte materno per i gatti... avremmo bisogno anche di una lampada termica che lo tenga caldo quasi come il calore della mamma, ma non penso di esserne dotata...» - disse d'un fiato avvicinandosi al gatto e a colui che lo teneva stretto contro il petto.

Non spiccicava una parola ma ancora la guardava con quell'espressione divertita.

Cercò di non badare a quanto apparisse carina l'immagine.

«Vedo che sei esperta nel campo... hai avuto altri gatti prima?» - chiese con un sorriso “quasi” dolce.

«Non è la prima volta che trovo un gatto in mezzo alla neve – rispose passandogli la siringa con uno sguardo di sufficienza, ricordando la notte che avevano trovato Natale in Italia – l'altro ce l'ha fatta e ora ha ancora sette vite. Era più grande di questo esserino qui però... non so se ce la fa...»

«Ce la fa.»- rispose afferrando la siringa dalle mani di lei con un tono di sfida.

Girò il musetto del gatto appoggiando la punta sulla minuscola boccuccia. La linguetta guizzò piano e lui provò a infilargli delicatamente la punta della siringa tra le fauci, premendo con lentezza lo stantuffo.

«Anche tu non sembri un principiante.»

«Ho visto molti documentari.»

“Non guardarlo non guardarlo...”

Si ripeteva mentalmente mentre lo sbirciava di sfuggita solo per accorgersi che anche lui la stava sbirciando.

Distolse lo sguardo in fretta e si rifugiò dietro la cucina.

Codarda.”.

«Vuoi qualcosa da bere? Scusa se non te l'ho chiesto prima. Un tè? Tisana? Caffè?» - chiese senza alzare gli occhi.

«Non voglio disturbarti. Va bene una tisana... grazie.»

Che voce carezzevole... come miele ruvido sulle sue labbra.

Aspettò impaziente, battendo il piede ritmicamente sul pavimento, che l'acqua nel bollitore si decidesse a riscaldarsi.

Valo se la rideva sotto i baffi. Odio. Non faceva che farla agitare maggiormente con la sua calma serafica.

Preparò meccanicamente la tisana, una volta pronta, rigida come un pezzo di legno si avvicinò con le due tazze in mano.

«Dallo a me... tu bevi la tisana.»

«Non riuscirei a berla così calda...» - le sorrise, tramortendola con il verde chiaro degli occhi.

Un colpo al cuore. Due. Respiro.

«Sta mangiando? - si sporse per dare un’occhiata al fagotto inerme tra le mani di lui. - sembra di sì...»

«Qualche goccia... il resto è finito sulla mia mano.»

Quella voce le faceva venire i brividi, tanto era bassa, carezzevole, morbida, ruvida, penetrante... tutto insieme.

«Dovrebbe mangiare ogni due ore, sai?» - gli disse con aria scettica.

«Ci terrà svegli per tutta la notte, allora.» - le rispose serio.

«Ci penso io, tranquillo...»

«Non se ne parla neanche... l'ho trovato io. Mi sento responsabile.»


Figuriamoci! Come se una star potesse perdere tempo con un misero gatto trovato per strada...”.


«Allora lo porti a casa tua?»

E che pensasse pure che fosse una cafona maleducata!

«Ci butteresti fuori con questo tempaccio?»- la stava prendendo in giro.

«Abiti a due passi da qui.» - disse laconica e gelida lei.

«Meglio non rischiare... - rispose lui con calma. - Non ti daremo fastidio. Potrebbe non farcela... non vorrai essere sola se accade.»

Non aveva detto che ce l'avrebbe fatta?!

Digrignò i denti per l'irritazione.

«Vuoi stare tutta la notte a sorvegliarlo e dargli da mangiare? - gli chiese con evidente scetticismo con un tono secco e gelido - Guarda che l'ho già fatto una volta e sono in grado di rimanere sola con un gatto moribondo!»

Ville alzò gli occhi su di lei.

«Rilassati...»- le disse con voce grave e dolce.

Smontò come un palloncino tutta la sua rabbia immotivata e la tensione con una sola parola... si lasciò cadere sul divano, molto lontano da lui.

Le era tornato il mal di testa... si sentiva male ma non voleva dirgli di andarsene.

Temeva che le fosse tornata la febbre... sentiva caldo.

Ma probabilmente la colpa poteva essere attribuita alla sua agitazione “da Valo”.

«Bevi la tisana, ora... sarà meno calda.»

Le passò il fagotto con cautela e stando ben attenta a non toccargli le mani, prese il gattino che era inesistente e minuscolo nella maglia.

«Penso che per ora basti insistere nel dargli da mangiare, riproviamo più tardi.»

Era quel “noi” sottinteso ad agitarla.

Con un movimento elegante degno di un lord inglese prese la tazza che era sul tavolo e iniziò a bere lentamente la tisana. Con una mano stretta intorno al gattino, prese anche lei la sua e iniziò a sorseggiarla.

Silenzio. Un imbarazzante silenzio che si poteva tagliare a fette.

Lou lo fissava ad occhi socchiusi al di sopra l'orlo della tazza.

Ville faceva lo stesso.

«Possiamo presentarci ora? - chiese all'improvviso lui. - È la seconda volta che vengo qui a casa tua e ancora non ci presentiamo... Ciao, sono Ville Hermanni Valo...» - tese la mano.

Si presentava sempre con nome cognome e secondo nome?”.

«Ciao, sono Lou. Lucia Zadra.»

«Ciao Lou... - il suo nome sulle sue labbra diventava una colata di zucchero... - Finalmente ci conosciamo.»

Tutto ciò è surreale.” - pensò Lou.

Lei in casa sua con un gatto mezzo morto a bere tisana in condizioni pietose, sul divano.

Con Ville Valo.

Prese la sua mano. Se la aspettava fredda e morbida. La stretta invece era forte e le mani dure e caldissime.

Passò un tempo indefinito mentre si tenevano la mano.

Ville la guardava dritta negli occhi.

Lui aveva gli occhi più chiari, più limpidi e trasparenti che avesse mai visto. Giada tersa, cristallina. Occhi del genere non potevano appartenere a qualcuno che aveva vissuto la sua vita. Erano troppo puri, innocenti eppure... quei chiari laghi di giada, nascondevano paradiso e inferno in fondo a quelle pupille brillanti e profonde.

Un miagolio li riscosse entrambi. Lou lasciò andare la sua mano di scatto. Il gatto si muoveva nella maglia: segno che stava riscaldandosi. Ma aveva gli occhi chiusi dal muco e non riusciva ad aprirli ancora.

«Non capisco come sia arrivato sotto casa mia... - disse Lou per spezzare l'elettricità che sentiva scorrere ancora tra di loro - non ho mai visto gatti nei paraggi.»

«Neanche io... forse hanno paura di essere impagliati per poi essere esposti in casa mia...» - disse ridendo sommessamente.

«Come, prego?» - sbatté gli occhi con aria interrogativa.

«Oh, no niente... - rispose lui ancora con un sorriso ironico sulle labbra. - Bene, Lou. Ora che abbiamo fatto conoscenza... come intendi impiegare queste ore fino a domattina, quando sapremo che fine farà il nostro amico?»

La domanda sussurrata la lasciò senza parole. Si divertiva a crearle imbarazzo per caso? Poteva essere una domanda come un'altra, del tutto innocente, ma non lo erano gli occhi e il sorriso che l'accompagnava!

«Oh...»


Maledizione! Dì qualcosa!”.


«...non ne ho idea...»


Complimenti geniaccia!”.

Le girò la testa e non solo per i suoi occhi e le sue uscite simpatiche: le stava tornando la febbre, aveva mal di gola e aveva la nausea.

«Scusa... devo andare un attimo in bagno... ti spiace?» - balbettò.

«Stai bene?»

«Veramente non proprio... credo che la febbre non voglia abbandonarmi... prendo qualcosa, scusa un attimo.»

“Ma certo... ti aspetto qui» - disse lui con tono basso.

Accidenti a lui.”.

Volò verso il bagno e con mani tremanti prese altre due compresse, le stesse che le aveva dato Nur, dall'armadietto dei medicinali e le ingoiò con fatica con un sorso d'acqua.

Stava sudando. Stava male.

Passò in camera da letto e si cambiò, tolse quella orrenda maglia e la tuta ed infilò un top con sopra la maglia melanzana che le aveva regalato Nur, dei pantaloni morbidi e comodi e avvolse il collo in una sciarpina.

Si guardò di nuovo allo specchio per distogliere subito dopo gli occhi: orribile.

Lasciò i capelli sciolti sperando che avrebbero coperto in gran parte il pallore del viso e le occhiaie nere.

Quando tornò in salotto, con passo felpato, sentì Valo che cantava a bocca chiusa qualcosa... al gatto!

Ebbe voglia di ridere improvvisamente, se non fosse che la scena era fin troppo dolce.

«Ma che carino...»- disse prima di mordersi la lingua.

Valo alzò gli occhi dal gatto senza scomporsi, abbassando ancora di più la voce fino a un mormorio di gola.

«Shht... ora si è addormentato.»

Il tono era serio ma gli occhi e la bocca ridevano.

«Stavi cantando la ninna nanna al gatto, per caso?»- chiede Lou reprimendo una risata.

«Ovviamente.»

Eh sì, diceva sul serio.

Ma se la rideva sotto i baffi guardandola con la testa leggermente inclinata di lato. Quell'uomo era tutto e il contrario di tutto. Non poteva dar torto alla sua amica se volesse a tutti i costi sedurlo.

Come un fulmine a ciel sereno pensò a Nur e si sentì stranamente in colpa per essere lì con l'uomo che lei aveva deciso di conquistare.

Aveva dimenticato la pizza, aveva dimenticato quando solo pochi giorni prima si erano visti dalle rispettive finestre, perfino della sua riverenza ironica del giorno precedente... improvvisamente le tornò tutto in mente.

La sua presenza lì aveva cancellato l'idea che aveva avuto finora di lui?

«La pizza. Era buona. La tua amica mi ha detto che era opera tua, era deliziosa... davvero...»

«Grazie... sono contenta che sia stata di tuo gusto. Nur mi ha detto che ti piace particolarmente, e allora...»

«Sì, mi piace, ma quella che mangio io la prendo al supermercato e la scongelo: è un po' diversa dalla tua...» - disse ridendo.

«Lo so.»- si diede arie, soffocando uno sbadiglio.


Che figura!

«Scusa, penso siano le medicine a farmi sbadigliare, non tu...»

Ma che diamine dico?!

«Tranquilla, non è la prima volta che una donna sbadiglia in mia presenza!»

Lo guardò scettica. Certo. Come no.

«È vero...» -aggiunse serio, lui.

Lou sollevò le sopracciglia con aria perplessa.

Un miagolio.

«La tua ninna nanna non ha funzionato, credo...»

O forse gli piace la tua voce e vuole che continui a cantare...” - pensò ma non lo disse ad alta voce.

«Proviamo a farlo mangiare di nuovo... - propose lui. - Vuoi farlo tu?»

«Sì. Dallo a me, se vuoi andare, non preoccuparti, davvero... non ci so...»

«Ho detto che preferisco rimanere... sempre che tu non voglia mandarmi via.»

La guardava in attesa di una risposta.

«Ok.»- rispose impettita.

«Ok vuoi che rimanga o che vada via?» - insistette.

«Ok fai come vuoi, non ti sto cacciando. Pensavo solo che, magari, avessi altro da fare che stare qui stanotte a fare da baby-sitter ad un gatto con un piede nella fossa...»

«Anche tu non mi sembri in gran forma, - disse lui serafico – magari devo soccorrervi entrambi stanotte!»

Eh?!”- l'urlo le salì in gola e per poco non lo esternò.

«Sto bene... cioè so badare a me stessa.» - rispose punta sul vivo.

«Ne sono certo, ma a nessuno fa piacere stare da soli, specie quando si sta male... vero?»

«Ci sono abituata e poi è solo influenza...»- rispose e in quel preciso istante il cellulare iniziò a squillare.

Controllò il display. Era Nur.

“Merda”.

«Nur? - rispose a disagio – Sei arrivata a Londra?»

«Ehi, come stai? Speravo di trovarti sveglia! Ti senti meglio? È scesa la febbre? Ti sento poco e male... c'è un temporale tremendo qui e sono bagnata fino al midollo, volevo solo assicurarmi che stessi un pochino meglio...»

La voce di Nur a tratti non arrivava.

«Sto meglio, tranquilla... è tutto ok! Non preoccuparti.» - si sentiva tremendamente in colpa.

«Ok, tesoro, allora ti richiamo domani, scusa per l'ora... ma sapevo che eri sveglia! Mi raccomando, fai la brava!» - disse alzando il tono di voce e chiuse la comunicazione.

«Era Nur.»- precisò lei senza che ce ne fosse bisogno.

«Ho sentito. Non sapevo fosse ripartita...»

Lou rispose con un’alzata di spalle.

«Sì, è partita oggi pomeriggio... però sarà di ritorno questo fine settimana.»- aggiunse.

«Secondo me hai la febbre, hai gli occhi rossi e anche il viso...» - lui sorvolò elegantemente sul discorso che lei voleva portare su Nur.

Prima che potesse muoversi, le toccò la fronte con il dorso della mano.

Si trattenne a stento dal tirarsi indietro ma al suo tocco lo stomaco le aveva fatto una giravolta.

«Mi salverò?» - chiese ironica.

«Uhm, se fai la brava sì, penso che te la caverai... Rilassati Lou...»

Ancora quel tono...

Sono rilassataaaaaaaaaaaaaaaaaa!” - urlò la vocina dentro di lei.

«Ville, sono rilassata.»

Era la prima volta che lo chiamava per nome.

Se ne accorse lui e se ne rese conto lei. Forse non avrebbe dovuto dargli del tu, dopotutto lui era una star mondiale e lei una semplice donna qualunque.

Ma era venuto naturale come dargli ordini su come trattare il micio moribondo.

In quel momento, lì nel suo salotto, una mano verso il fagotto, col dito che accarezzava il muso della microscopica creatura, sembrava solo un uomo come tanti.

Vestito in maniera normale. Con l'aria più normale e rilassata del mondo.

«È bello come viene fuori il mio nome detto da te.» - disse con voce bassissima e roca, sbirciandola con i suoi occhi da gatto sornione.

Altro battito di cuore... prigioniero che cercava di scappare dal suo petto.

Non era quello che diceva: era il modo in cui parlava che le faceva girare la testa.

Diede la colpa ai medicinali.

Valo doveva sparire al più presto dalla sua casa e dal suo spazio vitale.

Senza riuscire a impedirselo sbadigliò ancora una volta, con tanto di lacrima finale.

Al suo secondo sbadiglio in dieci minuti, lui scoppiò in una risata.

La risata più strana che avesse mai sentito in vita sua.

Rauca, a scatti, come colpi di tosse di un cane, o una lambretta scassata.

“Sono fregata.” - pensò Lou amando all'istante quella risata.

«Faccio sempre così colpo sulle donne... Evidentemente con le italiane non funziona.» - rise ancora.

«Come sai che sono italiana?» - chiese sorridendo ancora per la sua, di risata, scartando con eleganza la sua battuta.

«Ho chiesto in giro...»- rispose, con fare misterioso.

«Cosa?... hai chiesto in giro di me?!»

«Lou, me lo ha detto la tua amica...»

Capitan Ovvio, brava! Ti eri già esaltata e lusingata che avesse indagato su di te, illusa?!”.

Stava per crollare sul gatto. Non riusciva neanche a mettere insieme due parole una dietro l'altra figuriamoci con lui che la prendeva in giro e la guardava con quei pezzi di giada... appoggiò la testa sul divano, sfinita.

«Scusa...»

Di cosa si stava scusando?!

«Ti perdono...» - disse lui sempre ridendo.

"Oh, se la sta spassando un mondo a vedermi morta di sonno e in balia degli effetti soporiferi da antipiretici!”

«Grazie... gentilissimo...» - bofonchiò lei, chiudendo per un attimo gli occhi.

Solo un momento...

******


Era su una spiaggia. Sentiva il calore del sole sulla pelle. Una spiaggia italiana... ne era certa, da qualche parte nelle vicinanze sapeva che c'era Simone steso al sole. Ad occhi chiusi giocava con i piedi nella sabbia bollente, sentiva scorrere i granelli di sabbia sulle dita. Una mano calda le sfiorò il collo e lei si girò di lato andando incontro a quella mano, baciandone il palmo, sempre tendendo gli occhi chiusi. Le dita di lui le sfioravano le labbra e lei con un sospiro le schiuse.

Attirò quella mano sul suo viso, posandosela contro la guancia, strofinandovisi contro, lasciando che giocasse con i suoi lobi, per poi spostarsi sulla pelle sensibile dietro le orecchie, sul collo, tornando su le disegnò il contorno dell'ovale, per spostarsi sulle palpebre ancora chiuse.

Come una falena attratta dalla luce, si avvicinò al corpo di lui steso a pochi centimetri dal suo. Gli posò una mano sul petto bollente, all'altezza del cuore; la mano libera di lui le accarezzava la schiena nuda, lentamente.

Alzò il viso cercando il volto dell'uomo che era steso contro di lei; trovò il mento ispido per la barba che stava ricrescendo. Con le labbra socchiuse lo sfiorò, lenta verso il collo, strofinò il viso lambendo con la lingua la pelle morbida e liscia, che sapeva di sale e sole... un gemito roco le segnalò che era cosa gradita e lei continuò lenta mordendo piano la carne sensibile... la mano si spostò dal petto alla schiena, per scendere lungo la colonna vertebrale fino ai glutei tondi e maschili, infilando la mano impertinente all'interno del costume.

Un altro gemito roco e subito la mano di lui posata alla base della schiena, la spinse verso il suo bacino, lasciando che lei non avesse dubbio alcuno sulla situazione.

Le gambe erano intrecciate in un unico groviglio di arti, con i piedi che giocavano ad accarezzarsi così come facevano le mani... labbra leggere le sfiorarono la fronte, il naso, scesero a toccare le labbra, la punta della lingua le toccò brevemente, queste si schiusero in attesa del resto...

Un sospiro contro quella bocca invitante, il gemito roco di lui , una voce bassa che le sussurrava all'orecchio.

«Lou... sei sveglia?»

«»


Quella voce...

Lentamente, come le accadeva sempre, tornò alla realtà con fatica.

Strano... stava facendo un sogno bellissimo, pensava di essersi svegliata ma stava continuando a sognare. Era ancora stesa contro il suo corpo caldo, una mano infilata nel costume, quella di lui alla base del suo bacino, il viso sprofondato nel suo collo, sentiva il battito del suo cuore accelerato contro le sue labbra.

Aprì gli occhi. Era buio e non era certamente su una spiaggia assolata, tanto meno in Italia. Era sul divano di casa sua, accaldata e languida, schiacciata contro lo schienale, abbrancata a Ville Valo, steso quasi su di lei... con una mano dentro i pantaloni che gli teneva arpionato una chiappa e la chiarissima consapevolezza che oltre a lei anche “altro” era ben sveglio, qualcosa che pulsava contro il suo ventre!

Era pietrificata dall'imbarazzo.

Voleva morire. Lì. Ora.

«Oddio... Mio Dio, scusa!» - mormorò con ancora il volto affondato nel suo collo. Un respiro secco di lui.

Lou ritrasse le mani dai posti in cui le aveva infilate, le loro gambe ancora intrecciate, i bacini che si toccavano. Lei non poteva muoversi, era schiacciata dal suo corpo, che all'apparenza era molto magro, ma ora la copriva e la faceva sentire così piccola.

«Non scusarti... - disse lui con una voce ancora più roca e sensuale che nel sogno - mi sono reso conto che dormivi solo... dopo...»

Sfilò lentamente le gambe intrecciate alle sue e si mise seduto sul divano, con i gomiti appoggiati alle ginocchia.

Lou si rannicchiò vergognandosi come non mai nella sua vita. Che pensava di lei? Dopo aver fatto la snob per tutto il tempo… che era successo? Come si era ritrovata con le mani che vagavano ovunque... deglutì forte al pensiero.

«Ehm...?»

«Sì?»

«...non capisco, scusa... com'è che ci siamo ritrovati... in quelle condizioni?»

«Stavi dormendo, ti ho messa solo più comoda. Sei crollata come una pera... mi ero solo steso accanto a te, ad un certo punto sono crollato anche io. Non è colpa tua... Lou, non sentirti in imbarazzo, ok? Ehi...» - disse girandosi, guardandola con disappunto vedendola con il viso tra le mani.

«Smettila, dai non è successo niente... davvero. Vieni qui...» - si sforzava di non riderle in faccia, lo vedeva.


La tirò gentilmente verso di sé passandole un braccio intorno alle spalle, stringendola piano.

Lei era rigida tanto da spezzarsi, con il viso nascosto tra le mani.

«Non è niente.» - sussurrò lui contro i suoi capelli.

Lou si sciolse dall'abbraccio e si alzò esitante e malferma sulle gambe.

«Portami a letto...» - disse a voce bassa.

«Co... come scusa?» - gracchiò Ville.

«Sto male... portami a letto, per favore.»- vacillò mentre lui la afferrava al volo e la portava in camera.

«Chiamo qualcuno, non ti reggi in piedi!»- disse nervoso.

«No! Sto male, devo solo mettermi a letto e stare al caldo. Non mangio da ieri e sono solo debole. Non chiamare nessuno...»- gli disse mentre lui la depositava sotto le coperte e gliele tirava fino al collo.

Era sicuramente fuori posto in una situazione del genere.

Se non fosse stata tanto male, la cosa l'avrebbe fatta ridere fino alle lacrime.

Lui rimaneva accanto al letto, con le mani infilate nelle tasche dei jeans.

«Ville?»

«Dimmi.»

«Ti posso chiedere una cosa?»

Ormai biascicava cose senza senso, la febbre alta.

«Certo.»

«Rimani qui con me stanotte? Fino a che non mi addormento? Prometto di non toccarti più il sedere...»

Lo fissava senza vederlo realmente, con occhi vitrei e intontiti.

La risata sommessa. Lui che entrava sotto le coperte. E le posava il mento sulla testa.

Continuando a ghignare con la sua risata strana.

La sua ninna nanna.

******

Angolo di quella che pensa di essere autrice:

Ok sono pronta ad immolarmi...
Ecco a voi Valo... finalmente è spuntato fuori... come nei migliori film fa un'entrata ad effetto!
Lo so bene che le fan del Valo diranno: "Ma Ville è allergico ai gatti!!!".... si lo so, ma questa è la mia Fan Fiction e Valo fa quello che io gli dico di fare!! :)
Come sempre voglio ringraziare le mie due Beta: Cicci-Vivi e Pulci-Sara, che mi sono con il fiato sul collo perchè non riesco a finire il nono capitolo...Pazientate ragazze: è un capitolo importante... e mi serve ispirazione...
non dimentico le mie sorelle di sclero: Concy, Tesò Nicky e Vale, Sele! Vi adovooooo assai sorelle, sallatelo.
Che sarebbero le serate senza i nostri neuroni incasinati?

Un grazie anche alle altre importanti amiche che seguono la mia Fan Fic: Oriana, Marianna, Silvia, Margherita, Ilaria, Mariangela e Laura!
Grazie per i vostri commenti e il sostegno! <3
Grazie anche a chi legge, magari, e non commenta: sarebbe bello sapere che ne pensate di questa storia!
Non siate timidi e lasciatemi un commento o un messaggio privato!
Ordunque... come sempre mi dilungo in blatere senza senso... ma sono davvero contenta di aver pubblicato e soprattutto di aver creato i miei personaggi: spero possiate amarli come li amo io!
A presto, H_T

   
 
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