Frankie's Memories. di DK in a Madow (/viewuser.php?uid=152458)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Her eyes through the tears. ***
Capitolo 2: *** Damnit! ***
Capitolo 3: *** He sees she shiver with anticipation. ***
Capitolo 4: *** I can make you ... my woman! ***
Capitolo 5: *** I realize, I’m coming home. ***
Capitolo 1 *** Her eyes through the tears. ***
1.
Her
eyes through the tears.
5
Aprile 1975 - Belasco Theatre, Broadway
Un
colpo secco e la porta del camerino si chiuse alle sue spalle.
Era
un fascio di nervi, ormai.
Chiuse
a chiave quella dannata stanza e con passo annoiato si
avvicinò alla poltrona
di fronte allo specchio. Si piegò in avanti e con fare
nervoso si tolse quelle
scarpe che da anni gli massacravano i piedi. Le lanciò in
fondo alla stanza, il
rumore dei tacchi che sbattevano sul pavimento. Si liberò
dalle calze a rete e violentemente slacciò con un solo gesto il bustino rosso che gli fasciava il petto robusto e liscio.
Si
accasciò sulla poltrona, la schiena sudata e la testa
rivolta all’indietro.
Era
stanco, gli occhi verdi nascosti dietro le palpebre marchiate di nero,
il
respiro affannato, il tormento del caldo nonostante avesse addosso solo
un
semplice slip di seta nera.
Il
tempo scorreva lento, trascinato da un orologio pigro e dal rumore di
lancette
consumate. L’uomo, ancora seduto su quella poltrona,
riversò tutta la sua
frustrazione in un sospiro che gli allargò il petto e lo
destò dalla
stanchezza. Sollevò leggermente la testa e lo
rivide.
Erano
anni, ormai, Frank!
Sempre
gli stessi occhi, sempre le stesse labbra
carnose iniettate di rosso, i capelli neri, ricci e folti
che si
incollavano al volto incipriato di bianco.
-
Dr. Frank’n Furter, ancora non vuoi tornare a casa!
– sussurrò sprezzante
l’uomo al proprio riflesso, la voce calda e morbida
attraversata da un nervo di
disprezzo.
Poi,
si voltò verso l’armadietto di fianco allo
specchio e aprì il primo cassetto in
cerca di qualcosa con cui struccarsi, ma ben presto la sua mano si
strinse
intorno ad un pacchetto e ad un foglio di carta. Afferrò
irritato il contenuto
del cassetto e lo lanciò sul tavolino posto sotto allo
specchio.
Un
pacchetto di sigarette. Una foto ingiallita.
-
Ma che cazz…- poi si bloccò, impietrito dai
ricordi. Lentamente aprì il
pacchetto di sigarette in cui vi era un vecchio accendino arrugginito.
Lo prese
insieme ad una delle tre sigarette rimaste e l’accese.
Con
sguardo diffidente e aspirando con gusto il sapore del tabacco,
afferrò con
mano tremante la foto. Immediatamente, una morsa fastidiosa si
presentò tra
cuore e stomaco, mentre riguardava con occhi lucidi quelli di lei.
La
sigaretta scivolò dalle sue labbra.
-
Susan! –
Lei,
da quella foto consumata, rispose con un sorriso e un braccio intorno
al collo.
Ripose
la foto sul tavolo, si passò una mano tra i capelli e la
nuca, quasi a voler
richiamare quel tocco.
-
Sei solo un coglione, Tim. – sussurrò a se stesso,
un’espressione persa e i
suoi occhi che seguivano un rivolo nero che, amaramente, si delineava
sulle sue
guance marcate d’avorio.
L’anima
di Tim sporca di ricordi e mascara.
La
maschera di Frank, impressa sul suo volto, gl’impediva
ancora di ricominciare
a sorridere.
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Capitolo 2 *** Damnit! ***
2.
Damnit!
Ottobre
1974 - Londra
La piccola chiesetta era
diventata fin troppo affollata. Riflettori, macchine da presa e circa
una
ventina di persone vestite elegantemente, due sposi pronti per uscire
fuori
dal piccolo portone appena Jim avrebbe dato il
“via”.
- E … AZIONE!
La voce di Jim arrivò
roca
da un megafono e il portone si spalancò invadendo di luce
quello sgabuzzino
trasformato in chiesa. Il suono gioioso delle campane arrivò
chiaro e forte
dagli amplificatori, mentre i cameraman iniziavano a muoversi intorno
alla
piccola folla in festa.
Era il quadro perfetto
della felicità, tranne loro.
Richard, Patricia e Tim.
Le loro facce sarebbero state perfette per un funerale, i primi due
vestiti da
sacrestani e il terzo negli abiti di un prete. Appena il
“fotografo” scattò la
foto ricordo per gli sposi, Tim si voltò verso il portone,
l’aria di chi
vorrebbe essere ovunque, tranne lì.
- E … STOP! Ok, ragazzi,
siete stati grandiosi. Un momento di pausa e poi attacchiamo con
“Damnit, Janet!”,
ok?
Mentre la truppe
rispondeva con un “ok” generale, Tim scese le scale
della chiesetta,
dirigendosi verso la piccola roulotte parcheggiata a pochi metri dal
set.
Appena fu dentro, si liberò della tunica ingombrante sotto
la quale indossava
dei jeans attillati e una maglietta bianca. Frugò tra le
tasche e vi trovò una
sigaretta e il suo amato accendino argentato. Uscì
lentamente dal mezzo,
avvicinandosi con piccoli passi al set.
- Ne avresti un’altra,
Tim?
La voce nasale di Richard
lo riportò alla realtà.
- Certo! – rispose,
porgendo un sorriso e una sigaretta all’uomo che gli stava di
fronte; - Ancora
mi chiedo come tu abbia creato tutto questo.
- Incubi e fantasia,
Timmy, dovresti saperlo!
- Che vuoi dire? – chiese
inarcando un sopracciglio.
- Tim, è da due anni che
ti conosco e certe cose non puoi nasconderle a un figlio di puttana
come me! –
rispose, mentre lui e Tim esplodevano in una risata.
- Sono solo un po’
stanco,
tutto qui Rizz!
- Si. Ok!
Tim non rispose, si
limitò
a sorridere dolcemente al padre del Rocky Horror Show, che
improvvisamente
aveva iniziato a fissare qualcosa tra la truppe.
- Che hai? – chiese Tim.
- È raggiante.
- Chi?
- Susan!
- Susan?
- Non sai chi è?
– disse
Richard, gli occhi sgranati e l’espressione basita.
– Susan! Susan Sarandon!
- È quella che deve
interpretare Janet?
- Si, quella conciata come
un confetto! – disse Richard con un ghigno.
Tim prese a scrutare tra
gli attori fino a scovare una biondina vestita di rosa che ascoltava
attentamente Jim che gesticolando le stava dando delle istruzioni.
- Buh!
- Che c’è?
– chiese Tim,
svegliandosi di soprassalto dalla piccola trance.
- La stavi fissando…
- Ma non è…
- … a bocca aperta.
- Non incominciare!
- Va bene! –
sghignazzò
Richard, portò alla bocca la sigaretta arrivata al filtro e,
dopo un ultimo
tiro, la buttò a terra e la calpestò. –
Amico, io vado al trucco. Ci si vede
dopo!
- Ok Rizz! – disse Tim
che
era tornato a fissare Susan.
- Buonanotte! –
ridacchiò
sotto voce Richard, allontanandosi.
Continuava a fissarla,
sembrava non riuscisse a distogliere lo sguardo da quella visione. Poi,
neanche
il tempo per un battito di ciglio e lei si voltò.
Prontamente, Tim distolse lo
sguardo, arricciò le labbra e lanciò via la
sigaretta. Voltò le spalle, per
esser tranquillo di non tornare a fissarla.
- Così tu saresti Tim!
Una voce femminile lo fece
sobbalzare, si voltò e si trovò faccia a faccia
proprio con Susan.
- Beh, sembrerebbe di si!
–
disse, sorridendo nervosamente e porgendole una mano – Tu sei
Susan, vero?
- Esatto! – rispose lei,
stringendogli la mano con un sorriso smagliante – Ho
sentito parlare molto di
te!
- Ah, si? E cosa dicono?
- Che sei un talento. –
disse lei continuando a sorridere – E che qualunque donna
pagherebbe in oro per
poter camminare sui tacchi come te!
Tim rise a
quell’affermazione.
- È solo questione
d’abitudine.
Sei mai stata allo spettacolo teatrale?
- No, ne ho soltanto
sentito parlare, ma quando è arrivato il copione ho guardato
Chris e gli ho
detto ‘questo è assolutamente geniale’.
- Chris?
- Si, mio marito! – disse
lei
con un mezzo sorriso.
- Oh, non credevo fossi
sposata!
- Lo sono da sette anni
ormai.
Tim la guardava incredulo.
Non lo credeva possibile, era troppo giovane.
- Sette? Ti sarai sposata
a dieci anni allora!
- Ah, no! – rise lei
– Ho ventotto
anni suonati!
- Cristo, ti facevo più
giovane, invece siamo coetanei…
- SUSAN! SI GIRA – la
voce
di Jim troncò in pieno la conversazione.
- Scusami, devo andare
Tim! È stato un piacere! – e così
dicendo, si fiondò in direzione della
chiesetta dove l’aspettava Barry.
Tim la seguì con lo
sguardo, incontrò quello di Barry e si salutarono con un
cenno e un sorriso.
- Tu, Tim, preparati. Alla
prossima si gira “Sweet Transvestite”.
- Okeeeeeeey! – rispose
lui
in perfetto stile Frank’n Futer, sollevando la risata della
truppe.
E la sua.
Il fatto che lui la
facesse ridere e il suo matrimonio un po’ meno,
trasformò lo stato d’animo di
Tim. Dopo due anni sentiva il peso della maschera di Dr.
Frank’n Futer, ma, ne
era certo, il sorriso di Janet l’avrebbe alleggerito.
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Capitolo 3 *** He sees she shiver with anticipation. ***
3.
He sees she shiver with anticipation.
- I see you shiver with antici... pation! But maybe the rain isn't really to blame. So I'll remove the cause, but not the symptom.
- STOOOOP! Ok ragazzi, per
oggi abbiamo finito! Tim sei stato favoloso come sempre. –
disse Jim
avvicinandosi all’attore.
- Jim, quanto credi che
dureranno le riprese?
- Credo che ne avremo per
ancora quattro settimane, ma puoi star tranquillo che voleranno presto!
–
rispose Jim con un sorriso smagliante.
Tim non rispose,
limitandosi a passarsi una mano tra ricci folti e corvini, per poi
avviarsi
verso le camere da presa per afferrare una vestaglia. Faceva un freddo
cane in
quei giorni e andare in giro per un castello con addosso solo un
corsetto e un
paio di mutande non era per niente piacevole. Era scomodo e attirava
fin troppi
sguardi.
- Stanco Tim? – la voce
calda e delicata di Patricia lo accolse mentre si dirigeva verso di lei.
- Non sai quanto! –
rispose lui col sorriso più dolce del pianeta e
avvicinandosi a un tavolo per
prendersi un po’ d’acqua.
- Posso capir…
- Suvvia vecchio Tim, su
con il morale! – una voce squillante e un paio di braccia
intorno al collo,
fecero sobbalzare Curry.
- Nell, sei sempre la
solita. Guarda che hai combinato! – disse rivolgendosi alla
rossa che aveva
fatto irruzione e mostrandole la vestaglia bagnata d’acqua.
- Non ti sarai mica offeso
per un po’ d’acqua, Timmy! – rispose lei,
con un sorriso a tremila denti.
- Certo che no, piccola!
–
disse lui, stampandole un lieve bacio sulla guancia, lasciandole tracce
di
rossetto sul viso marcato di bianco.
- Vedo che ti sei
vendicato! – disse lei, strofinandosi la guancia per far
sparire le tracce,
mentre Tim le rispondeva con una linguaccia.
- Ehm, scusatemi. Vorrei
prendere un po’ d’acqua.- la voce di Susan
interruppe il piccolo teatrino in
corso.
- Oh, tieni! – disse Tim,
affrettandosi a riempirle il bicchiere per poi porgerglielo.
- Grazie mille! – disse
lei
con un filo di voce, per poi scappare via, anche se a Tim non
sfuggì un piccolo
dettaglio.
- Dovremo chiamare i
pompieri! – esclamò Patricia funerea.
- Eh? – chiese Tim
fingendo di non capire.
- Aveva le guance in
fiamme, Curry, non fingerti sorpreso. – continuò
Pat con un mezzo ghigno – Lo sai
già che la piccoletta non ti resisterà a lungo,
vero?
- Cosa te lo fa pensare?
–
chiese lui sarcastico.
- Istinto femminile!
- Io sono d’accordo con
Pat! Susan… ma dove vai?
- Vado a prepararmi per la
scena in laboratorio, pettegole! – disse Tim con un sorriso
smagliante
allontanandosi dalle due che lo guardarono allibite.
Forse era vero, forse no.
Sentiva che qualcosa non andava in Susan. Cercava di evitarlo con la
scusa
della bronchite che aveva preso a causa delle scene girate sotto la
pioggia. E
se Patricia avesse avuto ragione? Beh, in quel caso sarebbe stato un
vero
casino. Susan era sposata e in più vi era il fatto che anche
Barry si fosse
invaghito di lei. Si, anche Barry.
- Smettila Tim, cazzo! –
sussurrò a se stesso l’attore, mentre si avviava
ai camerini, quando fu fermato
da un singhiozzo.
- Chris ti prego
ascoltami!
Tim si arrestò giusto in
tempo per nascondersi dietro una colonna a pochi metri dal corridoio
dei
camerini, in cui vi era Susan che parlava al telefono e in preda alle
lacrime.
- Ma è il nostro lavoro,
lo sai! Fidati di… - disse, per poi bloccarsi e guardare il
telefono.
Riattaccò. Probabilmente suo marito le aveva sbattuto il
telefono in faccia.
Tim, indeciso sul da
farsi, la osservò per qualche istante, mentre lei scivolava
lungo la parete del
corridoio per poi piangere rannicchiata sul pavimento. Decise che
doveva andare
da lei e si avvicinò.
- Ssh Susan, va tutto
bene!
- Eh? Tim, c-che ci fai qui?
- Niente, ti ho solo vista
piangere e ho pensato avessi bisogno di aiuto – disse,
rannicchiandosi di
fianco a lei.
- Il mio matrimonio va a
puttane! – esclamò lei dopo qualche istante di
silenzio – Ed io sono troppo
lontana da casa per impedire che ciò accada. –
concluse, ritornando a piangere.
Tim, in silenzio, pensò
che probabilmente in quel momento le parole erano inutili, quindi
gentilmente
le passò due dita sulle guance asciugandole il viso. Lei
sorrise.
- Grazie Tim! – disse,
iniziando inspiegabilmente a tremare.
Lui non le rispose, le
diede un lieve bacio sulla fronte e l’attirò a
sé abbracciandola. Lei si
irrigidì, presa alla sprovvista, ma dopo qualche secondo Tim
sentì il suo corpo
che si rilassava tra le proprie braccia e lei ricambiò
l’abbraccio.
- Adesso andiamo, la mia
“creatura”
deve nascere! – disse Tim.
- Va bene! – disse lei,
il
viso asciutto e il sorriso disteso.
L’una lo specchio
dell’altro.
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Capitolo 4 *** I can make you ... my woman! ***
4.
I can
make
you … my woman.
- Mi prometta che non
dirà
nulla a Brad!
- Che mi venga un
accidenti!
Le labbra di Tim, morbide,
piene, si poggiarono leggere su quelle delicate di Susan. Una risata
increspò
quelle di entrambi subito dopo, prima che Jim pronunciasse il suo
consueto “stop”.
Tim si alzò in fretta
dal
letto a baldacchino in cui stavano girando le “bedroom
scenes”. Non sarebbe
rimasto un minuto di più. Non poteva, non ci riusciva. Non
era facile girare
mezzo nudo per un set con lei che
era
sempre tra i piedi. Era pur sempre un uomo e gli istinti non svaniscono
con la
recitazione.
Rosso di vergogna
abbandonò il set, rifugiandosi in camerino. Si
buttò sul divano, pregando il
cielo che lei non si fosse accorta di nulla. Era bastato un fottuto
sguardo
prima del bacio, che stare sopra di lei in quel
modo era diventato un’impresa.
- Vaffanculo! –
urlò tirando
un calcio alla sedia che aveva di fronte a lui. Si tolse la ridicola
vestaglia
azzurra che aveva addosso, rimanendo in slip, le mani intrecciate nei
capelli e
il respiro pesante.
“Sei
un attore, cazzo!” continuava a ripetersi nel
cervello, una litania che,
sperava, l’avrebbe aiutato a controllarsi.
Dopo un paio di minuti,
sentì bussare alla porta.
- Cazzo, Jim, lasciami in
pace! – disse mentre si dirigeva verso la porta –
Voglio stare da s… - stava
per dire mentre apriva la porta, quandò scoprì
che dietro non vi era Jim.
- Scusami, non volevo …
-
cercò di dire Susan.
- Oh, Susan, scusami tu.
Sono un po’ nervoso … - provò a dire
Tim, impacciato e agitato.
Restarono senza parole,
continuando a guardarsi, aspettando l’uno la mossa
dell’altra, una reazione,
una parola. Si leggevano dentro senza dare una risposta alle loro
domande.
Forse perché nulla c’era da dire o chiedere.
Tim era in trance.
Susan sembrava non capire
l’uragano che aveva dentro, o che stesse cercando di
ignorarlo. Non era da lei
correre dietro i colleghi, specialmente in quella misera tenuta che
aveva
addosso, quel completino intimo bianco come la neve. Alla fine decise
di dire
qualcosa.
- Io… -
- Non dire nulla. –
rispose precipitoso Tim, prima di afferrarle il collo e attirarla a
sé.
La baciò, non come
prima,
quel finto bacio delicato e gentile. No. Quello era un bacio vero.
Muoveva le labbra
su quelle di lei come un affamato divorerebbe una pesca matura.
La sentì gemere, piccola
e
fragile contro di lui. Tim la tirò nel camerino, chiudendo
la porta con un
pugno. Lei si staccò da lui, l’aria spaesata e il
fiato corto.
- Che ci succede?
Tim rimase spiazzato da
quella domanda.
- Non lo so! – rispose
–
So solo che non faccio altro che pensarti.
Lei sorrise, per poi
fiondarsi sulle labbra di lui. Le loro mani iniziarono a viaggiare
senza meta,
accarezzandosi, stringendosi, sfiorandosi, spogliandosi di quei pochi
indumenti
che avevano addosso. Continuando a baciarla, Tim spinse lievemente
Susan sul
divano, accarezzandole i seni e inebriandosi del suo profumo. Dalle
labbra
passò al collo, continuando un percorso di baci di cui
entrambi conoscevano la
meta.
- Tim…- gemette Susan,
mentre lui infilava il viso tra le sue gambe, gentile e delicato.
L’esatto
opposto di Frank, eppure ugualmente sensuale, travolgente, seducente.
Cose che
Susan non si era lasciata sfuggire mentre si trovava ad un passo dalla
vertigine. Tim sollevò il capo e iniziò la
risalita, tornando ad occuparsi
delle sue labbra. Posizionò con dolcezza il bacino contro
quello di lei,
scivolandole dentro quasi senza accorgersene. Entrambi si liberarono in
un
urlo, il piacere che s’impossessava di ogni centimetro della
loro pelle, i
nervi che si scioglievano dal controllo del cervello.
Si muovevano l’uno contro
l’altra come se poi si fossero persi per sempre, come se
quella fosse l’unica
notte che il destino gli aveva concesso, come due nuovi Romeo e
Giulietta che,
senza morire, avrebbero dovuto rinunciare al loro amore.
Tim non riusciva a
staccare lo sguardo dal volto di lei, imperlato di sudore, ma sereno,
felice,
la bocca socchiusa per manifestare ad alta voce quanto stesse adorando
quel
momento, sentirlo suo e di nessun altra.
In pochi minuti vennero
travolti da un orgasmo che sembrava infinito, le loro voci arrochite e
i loro
corpi sudati e bollenti.
Tim poggiò il capo sul
petto di lei, esausto ma felice, libero da quelle paure che lo
imprigionavano
da settimane.
Susan era serena; per la
prima volta da quando si era sposata, si sentiva davvero amata e non
dall’uomo
a cui aveva giurato amore eterno. Il calore di Tim non era per niente
paragonabile alla fredda razionalità di Chris.
Fuoco e ghiaccio, dolce e
amaro, poesia e prosa.
Gli passò una mano tra i
ricci neri come la pece, ma brillanti come il sole, studiando con lo
sguardo
quel volto degno di un dio greco, gli occhi verdi nascosti dietro le
palpebre
ma, ne era certa, che continuavano ad ardere anche al buio.
- Susan? – la sua voce
profonda come il mare, soave come il vento che fa vibrare le cicale.
- Dimmi!
- Credi che abbiamo
sbagliato?
Susan rimase muta davanti
a quella domanda, Tim le lasciò il tempo di elaborarla.
- Amare non è mai un
errore. – disse lei infine – È il
destino che te lo fa credere quando t’impedisce
di farlo. Non abbiamo sbagliato nulla, Tim. – disse lei
sollevandogli il viso,
per poterlo guardare negli occhi – Dobbiamo solo accettare
l’idea che è solo
una notte rubata. – disse accarezzandogli i capelli.
Tim sentì il suo cuore
scendere giù, come se, una volta raggiunto lo stomaco,
l’avrebbe vomitato.
Susan poté leggere il dolore di lui in quegli occhi verde
mare e le sembrò di
vedere il riflesso della sua anima in uno specchio.
Si baciarono.
Disperatamente.
Due anime gemelle separate
sul nascere.
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Capitolo 5 *** I realize, I’m coming home. ***
5.
I realize, I’m coming home.
5
Aprile 1975 – Belasco Theatre, New York
Ripose con cura la foto
sul tavolo. Vedere il sorriso di Susan in quella foto scattata
nell’ultimo
giorno di riprese non era facile. Non dopo quella storia mancata,
tranciata in
pieno da due strade che il destino aveva costruito appositamente
opposte.
Le riprese del film si
conclusero tranquillamente per tutti, tranne proprio per Susan,
afflitta e
abbattuta da una bronchite incessante; ma era una professionista fino
al
midollo, tant’è che si buttò in quella
piscina fredda senza fare storie, per
poi ballare su quel palco fradicio quanto lei, Tim che la reggeva con
tutta la
forza di cui era capace.
Si lasciarono con un
sorriso e una carezza, abbandonata delicatamente dalla mano di lui sul
viso di
lei. Meglio non baciarsi, avvicinarsi, toccarsi. Meglio dimenticare,
allontanare quella notte passata a stringersi fino a fondersi.
In quel camerino
puzzolente d’umidità, Tim guardò il
riflesso di Frank’n Furter in quello
specchio ingiallito, finalmente, per l’ultima volta.
Batuffolo di cotone alla
mano e latte di mandorla, si struccò con calma. Ogni traccia
di ombretto,
rossetto o mascara che si staccava da quel volto erano un mattone in
meno sull’artista,
stanco di essere sempre e solo Frank.
Avrebbe potuto essere
Amleto.
Mozart.
Romeo.
Faust.
Tutti, non solo Frank.
Si tolse con calma le
autoreggenti, mentre qualcuno bussava alla porta.
- Avanti!
- Tim, disturbo?
L’attore sorrise a quella
voce dolcemente nasale.
- Dimmi tutto Rick!
O’Brien lo
avvicinò,
sedendosi agilmente sul tavolino di fronte a Tim, senza accorgersi, fortunatamente, della foto.
- Sei stato grande. Lo so
che sei stanco di sentirtelo ripetere, ma arrivati all’ultima
dello show,
dovevo ripetertelo. Perdonami, caro.
- Figurati Rick, è tutto
merito tuo, lo sai!
- Sempre così modesto,
Tim! – disse Rick con fare romantico – Eppure io mi
sento terribilmente in
colpa con te.
Tim lo guardò
interrogativo, senza capire. Osservò a lungo gli occhi di
Rick in cerca di una
risposta senza trovarla prima che questo aprisse bocca.
- Io ho creato Frank, io
ho creato la tua maschera, io ti ho imprigionato. – disse con
un nodo alla gola
– Se da un lato “Frankie è atterrato per
liberarci tutti”, dall’altro ha
incatenato te.
Curry non seppe che dire,
mentre sentiva le guance inumidirsi.
- Ma è
l’ultima sera
questa, giusto? – aggiunse Rick provando a sorridere
– E spero davvero tanto
che queste scuse possano bastarti, amico mio.
Non rispose, semplicemente
si avvicinò all’altro e lo abbracciò
con fare fraterno.
- Niente scuse, Rick.
Avere la tua stima cancella questi tre anni passati tra inferno e
paradiso. E
ti ringrazio, di tutto.
Richard annuì in
silenzio,
mentre Tim si rivestiva.
Era vero, quel dannato
musical era diventato la grazia e la condanna di Tim. Sapeva che dopo
quella
sera, anche se era l’ultima passata al Belasco, quel teatro
così lontano da
mamma Londra, la maschera strafottente e dannatamente sensuale di Frank
non se
la sarebbe più tolta di dosso. Quando fu vestito, si strinse
nel suo chiodo,
bisognoso di calore dopo aver sudato e poi essersi fermato al freddo
del suo
camerino.
-
Andiamo? Ti offro una birra.
- Affare fatto Tim. Vado a
salutare gli altri e ti aspetto all’uscita sul retro.
- Perfetto! – rispose
Tim,
mentre Richard si chiudeva la porta della stanza alle spalle.
Riprese il pacchetto,
afferrò l’ultima sigaretta e l’accese,
posizionandola tra le labbra carnose.
Poi, diede l’ultimo sguardo alla fotografia.
- Ciao Susan. –
sussurrò,
prima di avvicinare l’accendino alla stampa, dandole fuoco.
Chiuse piano la
porta. Si passò una mano tra i ricci corvini come a voler
scacciare via l’ultima
polvere di una maschera che lo aveva soffocato, staccandosela di dosso,
ma
portandosela dietro come un’ombra, mentre nel camerino anche
l’ultima
scorciatoia che per una notte l’aveva liberato davvero,
bruciava lentamente fino
a diventare, anch’essa, polvere.
Fine
Angolo autrice:
Salve!
Non
so chi leggerà,
probabilmente sto parlando da sola.
Dopo
un anno, pongo la
parola fine a questa storia che inizialmente mi aveva entusiasmato
tanto. Ma,
non trovando il terreno giusto, si è appassita fino a morire
del tutto proprio
oggi, alla vigilia del 67esimo compleanno di Tim.
Grazie
a chi ha letto, a
chi ha recensito e a tutti (pochi o molti che siano) fan del Rocky
Horror che,
insieme a me, festeggeranno la giornata di domani.
Ci si
becca!
Franny
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