I Pro-Lessi Sposi

di Joe McFly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Don Pasquale l'invitato ***
Capitolo 2: *** Andrew Colly e Don Pasquale ***
Capitolo 3: *** Andrew da Gennaro d'Auria ***
Capitolo 4: *** Il racconto di Fra Galdino ***
Capitolo 5: *** Padre Cristoforo (Colombo) ***
Capitolo 6: *** Don Rodrusconi e i suoi commensali ***
Capitolo 7: *** Lo scopo... urgente di Padre Cristoforo (Colombo) ***



Capitolo 1
*** Don Pasquale l'invitato ***


Quel ramo di terra d'Italia, che volge sul Tirreno, tra una catena non interrotta di monti, tutto a seni (i monti, Amore!) e a golfi, vien a restringersi e a prender corso e figura di stivale, tra un promontorio a destra e un ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi dovrebbe congiungere con la Sicilia, par che renda ancor più pacchiane le promesse dei politici, e segni il punto in cui tutto ricomincia, e il Mar Mediterraneo ricomincia, per ripigliar poi nome di Oceano Atlantico dove le rive lasciano l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e terre. Per una stradicciola tra Napoli e Reggio Calabria, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 23 luglio dell'anno (il più lontano possibile), don Pasquale, prete e membro associazione O.N.L.U.S. Diceva tranquillamente il suo uffizio e talvolta, tra un salmo e l'altro, chiudeva il breviario e raccontando qualche battuta. Due uomini stavano, l'uno dirimpetto all'altro, ai bordi della stradicciola. Che i due tizi stessero ad aspettar qualcuno, era troppo evidente; ma quel che più dispiacque a don Pasquale fu il dover accorgersi che l'aspettato era lui.
“Signor curato”, disse uno di quei due.
“Cosa comanda?”, rispose don Pasquale.
“Lei ha intenzione di venir al matrimonio di domani di Andrew Corallo e Anna StranCugnom?”.
“Cioè...”, disse con voce tremante. “Lor signori son uomini di mondo e sanno benissimo come vanno queste faccende. Io non c'entro: si sposino anche senza di me”.
“Oh no, male! Questo matrimonio senza di lei nun se pò fa, né domani né mai!”.
“Ma, signori miei, si degnino di mettersi nei miei panni. Se la cosa dipendesse da me... Io non posso andare!”.
“Orsù, don Pasquale, orsù...”.
“...Dai un bacio a chi vuoi tu!”.
“Non è il momento di scherzare!”.
“Scusino!”.
“O verrà al matrimonio o se ne pentirà! (Piccola bestemmia) (La volete sapere? Okay): Se non venite vi scassiamo le gambe, le rompiamo le braccia e la picchiamo a sangue con bastoni e catene!”.
“Zitto, zitto – disse l’altro – Il prete è uomo di mondo e noi non volgiamo fargli del male”.
“Nien di meno!? Quello mi ha mandato al camposanto con tre frasi!”, disse don Pasquale.
“Non lo ascoltate – continuò l’altro – Voi venite al matrimonio e non succederà nulla. I nostri padroni, Andrew Corallo e Anna StranCugnom la invitano molto gentilmente”.
Così i due tizi si allontanarono. Don Pasquale tornò a casa e pensò:
“Ho passato il guaio! Mannaccia a me!”. Con questo pensiero poetico si addormentò.

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Capitolo 2
*** Andrew Colly e Don Pasquale ***


Don Pasquale, il giorno dopo, giorno delle nozze, si era svegliato assalito da pensieri. Doveva decidere quale era la cosa più giusta da fare e spiegare a Andrew perché non poteva venire. Per questo, lo mandò a chiamare.
Andrew Corallo o, come dicevan tutti, Colly non si fece molto aspettare. Appena gli parve di poter presentarsi dal prete, vi andò, con la lieta furia d’un uomo di vent’anni (infatti ne aveva 19) che deve in quel giorno sposare quella che ama (infatti è così!).
“Son venuto, o prete, perché mi avete fatto chiamare”, disse educatamente.
“Volevo parlare con lei del lontano giorno del suo matrimonio”.
“Pasquà, è oggi il giorno. Quale lontano giorno!?”.
“Appunto: tanti giorni, proprio oggi dovevi fare il matrimonio? Oggi non posso!”.
“Oggi non può? Cos’è nato?”.
“Immagino sia nato Charles se ti vuoi sposare così di fretta!”, commentò serio il prete.
“No, volevo dire - cosa è accaduto? -. Parlavo nel linguaggio Manzoniano”.
“Lasci stare i manzoniani e pensa a oggi!”.
“Oggi vieni e basta. Perché non puoi venire?”.
“Tengo un impegno importante a cui un buon prete non può mancare”.
“Sarebbe?”.
“Devo partire in pellegrinaggio”.
“Embé? Tu vieni un momento, e poi te ne vai. Ci spicciamo presto. Cioè andiamo in chiesa, due foto, un paio di si e ce ne andiamo”.
“E poi?”.
“E poiché?”.
“Poiché!?”.
“Cioè, - Poi che? -. Errore di battitura!”.
“Ah… Ma tu lo sai che ci vuole per celebrare una messa? E poi lo so come va a finire: dovete farvi le foto vicino il mare, nelle montagne, al tramonto, all’alba, e noi fessi invitati ce ne stiamo al ristorante ad aspettare tre quarti d’ora a voi. Poi quando venite al ristorante, 3 ore per iniziare, con lo sposo deficiente che come sempre dice: - Manca qualcuno? -. Tra una portata e l’altra passa mezz’ora, che a fine pranzo ricominci di nuovo perché sono le 12:00 del giorno dopo. E quei 4 invitati fessi che si mettono a cantare le canzoni napoletane, che se cantassero inglese si capirebbe almeno qualche parola! E quel tamarro dello sposo che invita Gigione, Jo’ Donatello e Giorgio Coccobello e deve cantare pure lui, più tamarro dei cantanti. Tutto questo, in 10 ore e 3 quarti d’ora. E tu mi vieni a dire che subito si fa??”
"Ma perché sei così alterato? Dimmi subito cosa non và e io cerco di risolverla!”.
Error, conditio, votum, cognatio, crimen, Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, onesta, si sis affinis…”, cominciava Don Pasquale, contando sulla punta delle dita.
“Che stai dicendo?”, chiese stupito Andrew.
“Era latino!”.
“Waa, ma parla potabile!”.
“Dunque, se non sapete le cose, abbiate pazienza e rimettetevi a chi le sa”.
“Orsù!...”
“Dai un bacio a chi vuoi tu!”.
“Cosa?”.
“No, niente, lapsus giocherellino”.
“Insomma, non posso fare proprio nulla?”.
Antequam matrimonium denunciet”.
“Le ho detto che non voglio latino!”.
“E io voglio 2 bitter e un Crodino”.
“A lei va sempre di scherzare, orsù”.
“C’è una cosa che può fare: rimandi il matrimonio. Di 15 giorni almeno”.
“E a Anna che devo dire?”.
“Ch’è stato un mio sbaglio”.
“E i discorsi del mondo?”.
“Eh?”.
“I pettegolezzi, le dicerie… Le capere, i gossip… Per la gente, insomma”.
“Dite a tutti che ho sbagliato io. Date pure la colpa a me. E se si permettono un commento, li prendo e li metto al posto del Buon Gesù, inchiodati in croce”.
Andrew lasciò solo il prete e andò a dire alla bella Anna che, per colpa di un impegno, si sarebbe rinviato il matrimonio…

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Capitolo 3
*** Andrew da Gennaro d'Auria ***


Andrew aveva raccontato tutto ad Anna StranCugnom. Rimase male per la notizia e cadde nella disperazione più assoluta. Erano lì, Andrew, Anna ed Agnese, la madre di Anna, nella piccola stanzetta a rimuginare sull’accaduto. Per sposarsi volevano la presenza di don Pasquale; la sua assenza mandava tutto all’aria. Aspettare? Impossibile:
“Quel deficiente delle bomboniere ha già impacchettato tutto e dice che non può tenersi siffatto fastidio nel suo negozio”.
“Ce le teniamo qua. In casa nostra!”, suggerì Anna.
“E il cesto noleggiato? Aoo, quello costa 6 euro all’ora! Ce lo teniamo per 7 giorni qui? Ma tu sei pazza? E poi i parenti? Hanno già comperato tutta la lista di nozze: che si tengono le lavatrici e i mobili dentro casa loro?”.
“Tutta colpa dei tuoi deficienti di parenti”, rispose Anna attizzata.
“Dei miei deficienti TRE parenti! Tutti gli altri 658 sono i tuoi! Nemmeno se ti dovevi sposare…”.
“Infatti dovevamo”, precisò Anna.
“Ah già, mi sembrava…”.
I due Pro-Lessi… ehm, ProMessi Sposi andarono avanti così un bel po’, quando poi Agnese ebbe una stupenda idea.  Disse così:
“Sentite, figliuli; date retta a me. Io son venuta al mondo prima di voi; e il mondo lo conosco un poco. Non bisogna poi spaventarsi tanto: il diavolo non è brutto quanto si dipinge. A noi poverelli le matasse paion più imbrogliate, perché non sappiam trovarne in bandolo; ma alle volte un parere, una parolina d’un uomo che abbia studiato… son ben io quel che voglio dire. Fate a modo mio, Andrew: andate a Torre del Greco; cercate il signor Azzecca-strunzat, raccontategli… Ma non lo chiamate così, per l’amor del cielo: è un soprannome. Bisogna dire il signor D’Auria, Gennaro D’Auria”.
“Lo conosco di voce”, disse Andrew.
“Bene – continuò Agnese – quello è una cima d’uomo. Ho sentito più di un uomo ch’era più impicciato di una mosca nella ragnatela e non sapeva dove batter la testa. Dopo aver parlato un quarto d’ora col signor Azzecca-strunzat (ma badate bene di non chiamarlo così!), ha risolto i suoi problemi. Portategli qualche gallina, che se le fa col brodo. Dovevo farle io per il brodo di domani, ma tanto so vecchie e rinsecchite. Andate, dico, andate!”.
Andrew fece come gli era stato spiegato e si ritrovò in quella straordinaria città in cerca del signor Azzecca-strunzat, con la precisa raccomandazione di Agnese di non chiamarlo mai così!
Giunto nella città, chiese indicazioni del suo studio; lo trovò, quindi entrò. Una volta lì sentì la soggezione che i poverelli illetterati provano in vicinanza d’un signore dotto e intelligentissimo (accanto a lui c’era un medico in attesa del suo turno).
Quando venne il suo turno, entrò e posò le galline sulla seggiola accanto alla porta. Con timidezza si accomodò sulla sedia vicino alla scrivania. Lì c’era Gennaro D’Auria.
“Stop alle telefonate – disse quello – sto in privato ora”.
Andrew stava per presentarsi, quando fu interrotto all’improvviso.
“Piccirillo, nome e data di nascita”.
“Vorrei parlarle in confidenza, o signor saggio. Il mio nome è Andrew. Sono nato il xx/xx/xxxx (la data non è segnata nel manoscritto ritrovato! N.D.A.). Il mio problema è…”.
“Zitto, zitto, leggo tutto nelle carte… Aspètta. Ecco: chi è il finanziere?”.
“Chi, Gennà?”.
“Il finanziere, ù carabiniere!”.
“Non so di nessun carabiniere, o don Gennaro!”.
“Ma come? Nella tua famiglia… Un carabiniere, un poliziotto, un sergente!”.
“Lei m’ha da scusare: io non so di nessun poliziotto, carabiniere o sergente, nella mia famiglia”.
“Allora senti: io non sto qua dietro a raccuntà strunzate. Io vi dico sempre la verità?”.
“Ma…”.
“Rispondi: dico sempre la verità a quelli che aiuto?”.
“A me sembra così, signoria vostra”.
“Allora non mi devi raccuntà strunzat! Ci sta qualcuno nel corpo, con la divisa, nella tua famiglia?”.
“Forse, Gennaro, ti riferisci al frato-cugino della zia della cugina di mia madre che fa la guardia giurata?”.
“Aah, hai visto che non dico strunzat? Ci stava uno della tua famiglia nelle Guardie. Perché non lo dicevi prima? Adesso ti dico tutto”.
“Veramente…”.
“No, no, mi devi fa parlare a me, o la gente pensa che tu mi dici le cose. E io po’ che figura ci faccio? Sono io Gennaro d’Auria o no?”.
“Avete ragione voi, o Illustrissimo!”.
“Allora… Ecco. Tua madre ha una cugina parente della guardia?”.
“Eh, si…”.
“Avete visto o no? Io leggo tutto nelle carte! Ecco qui: allora… Tua cugina presto si sposerà e, ascoltami bene, sarà madre!!! Piaciuta la notizia?”.
“Si, Gennà, grazie assai! Ma io volevo sapere come fare per far venire per forza un invitato al mio matrimonio che non ci vuole venire”.
“Mi dispiace, figlolo: una visita, una domanda! Sarebbe poi sbagliato nei confronti degli altri. Torna quando vuoi: sei benvenuto. Tu torna e ti dico tutto quello che vuoi sapere sul matrimonio!”.
“Va bene. Grazie! La ringrazio di cuore, Cavaliere”.
Andrew andò via, a mani vuote (in tutti i sensi: le galline era già state ben bene cucinate!), mentre alle sue spalle sentiva le parole di Gennaro d’Auria:
“Amici, siamo tornati in diretta. Chiamate Gennaro d’Auria. Sono qui per tutti i vostri problemi…”.

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Capitolo 4
*** Il racconto di Fra Galdino ***


In assenza di Andrew, le due donne, Anna e Agnese StranCugnom, si erano tolti gli abiti della festa - giacca e pantaloni neri per Agnese (ma doveva andare al funerale!?) e vestito da sposa bianco per Anna (riciclato almeno una 20entina di volte!) - ed avevano indossato degli abiti per la casa - (tutine blu scure di lana incolta) -.
Mentre Agnese parlava delle interessantissime notizie che il signor Azzecca-strunzat avrebbe riferito loro, Anna pensò ad una soluzione più efficace: si ricordò di aver conosciuto un prete, molto influente nella gerarchia clericale, il quale avrebbe potuto imporre a don Pasquale di andare al loro matrimonio. Agnese trovò l’idea interessantissima, anche se rimaneva convinta che il solo aiuto di Gennaro d’Auria sarebbe bastato. Anna pensò, inoltre, che loro non potevano andare da questo prete, perché molto lontano, e che avrebbero fatto meglio ad usare il telefono. Ma, a questo punto, la madre la zittì:
“Basta, devi fa come dico io! Se no come nasce il detto “- Parla Agnese? -”.
Proprio mentre erano lì a litigare, si sentì bussare alla porta e, nello stesso momento, un sommesso ma distinto: – Di ì strunz! – che, tradotto dal latino, vuol dire – Che massa di stron*i! – (O era napoletano? Mah…).
Anna corse ad aprire (solo per rispetto, perché non aveva capito il latino/napoletano) e, ai loro occhi, comparve un laico cercatore cappuccino (io lo cercavo con briosce!), con la sua bisaccia pendente alla spalla sinistra.
“Oh, Fa Caldino!… Ehm, Fra Galdino!”, lo salutarono allegramente.
Era Fa Caldino… Ehm, Fra Caldino… Cioè, scusate, Fra Galdino! (Mi confondo spesso). Era un caro amico di famiglia. (Ma che è? Conoscono solo preti in questa famiglia? Par nù convento sta casa! N.d.A. – Nota dell’Autore –).
Fra Caldino (lo chiamo così, se no impazzisco!) era solito andare in giro a raccogliere noci, castagne o altro per il suo convento.
“Cosa portate nella bisaccia, o Fra Caldino… Ehm, Fra Galdino?”, chiese Agnese.
“Ho portato un bastimento carico di…? P.”.
“Pere?”, chiese Anna.
“No”, rispose il frate.
“Prugne?”, fece allora Agnese.
“Neanche! Era il Physalis – (SE NON CREDETE CHE ESISTA: è un frutto esotico, proveniente dall’Africa e dal Sudamerica. Ha un sapore che varia dall’agrodolce all’ aspro. È preferibilmente da consumare crudo o insieme a dolci) – Avete perso entrambe. Dovete pagare una penitenza. Vi dirò io quale e quando”. (Ricordatevi di questa penitenza, perché nel futuro della storia potrebbe tornare… soprattutto UTILE a me, per giustificare un evento reale del libro ed inconciliabile qui! N.d.A.).
“E quanti ne avete raccolti di questi frutti?”, chiese Agnese.
“Poco bene, buona donna, poco bene. Le son tutte qui”, e mostrò la sacca riempita di pochissimo.
“Mah! Le annate vanno scarse. Però le cose si aggiusteranno, lo sento”.
“Certo che cambieranno! Sapete di quel miracolo, al nostro convento?”.
“No, raccontatemelo… Così magari dopo esco fuori e ne pettegolo con tutta la Calabria”.
“Vi racconterò: anni fa, un prete del nostro convento vide alcuni uomini tagliare un grosso albero di noci. Gli operai del signor Stringberg… (faccia perplessa: forse era Macario!) ne stavano staccando le radici. Così si avvicinò e chiese:
- Cosa state facendo, buon uomo?” -.
- Perché non vi fate i caz*i vostri, buon prete? -.
Il prete fece qualche passo indietro. Poi, ripassando per di lì:
- Cosa state facendo, buon uomo? -.
- Wa, e rispondigli, che ci fa pena! – suggerì uno degli operai.
- Tagliamo questo albero perché non fa più noci -, rispose Macario.
- E ci credo: è il 15 maggio! -. Per esser stato troppo saputello, si ritrovò una zappa sulla schiena.
- Non preoccupatevi – continuò il prete, ignorando del tutto la zappa infilzata nella sua schiena – Se lasciate l’albero dove si trova ora, vi prometto che tra pochi mesi farà tante noci -.
- Ma chi è? Nostradamus? – chiese un operaio.
Anche se perplessi, gli uomini decisero di ascoltare il prete.
- Però – aggiunse questi – Per la profezia che le ho predetto, all’uscita delle noci, al convento spetta la metà -.
- Lo dicevo io che c’era sotto una fregatura! -, fece Macario.
Passarono i mesi e quando giunse l’inverno, l’albero si riempì di noci. Al convento ne spettava la metà, così come era stato deciso in precedenza. A riscuotere il pizzo… ehm, scusate, la percentuale (stiamo là!) venne un altro prete, perché quello precedente era morto misteriosamente per dissanguamento. Al suo arrivo, però, Macario era anch’egli deceduto (portasse male ‘sto albero?) e il figlio non sapeva di nessun patto. Quindi, rifiutò di concedergli le noci. Ma il prete disse:
- Se non mi darai le noci che mi spettano, pregherò Iddio perché le infetti tutti e vi faccia morire di peste amara. E i vostri animali moriranno di una strana malattia ancora sconosciuta -.
Il figlio di Macario (Stringberg) rifiutò ancora di dare via metà delle noci ed ebbe dei risentimenti d’odio verso il prete. Fu così che, in quell’anno, morirono 2 preti del nostro convento  e nacque l’aviaria”.
Al termine del racconto, Anna tornò con una sacca piena di frutta e disse:
“Non abbiamo Physalis… Noi siamo gente di campagna e non conosciamo questi strani frutti. Ecco a lei una 30entina di Pitaye… Originali del Sudamerica e della Thailandia. Si dividono a metà e si mangiano col cucchiaino”.
Fa Caldino… Ehm, Fra Caldino ringraziò… Uff… Fra Galdino ringraziò! (Mò mi arrabbio sul serio!).
Anna si ricordò di un fatto importante e pensò che potesse essere Fra Galdino ad avvertire il prete che lei conobbe tempo addietro, il quale avrebbe dovuto influenzare don Pasquale.
“Si chiama… Si chiama… Si chiama padre Colombo… padre Cristoforo Colombo!”, spiegò Anna.
Poi chiese:
“Fa Caldino potreste… - s’interruppe - ehm, scusate Fra Caldino…”.
“Se, vabbé! A’ stò punto chiamatemi - Fra Gallino -!”.
(Grazie… Non ci avevo pensato! Hihhihi R.d.A. – Risata dell’Autore –).
“Fra Gallino, potreste dire a padre Colombo di venire qui, appena possibile?”-
“Okay, figliola, lo farò – rispose quello – E tu potresti chiamarmi con il mio nome reale, detto correttamente?”.
“Certo, Fra Pallino!”.
Il prete andò via sbuffando.
Allora Agnese intervenne:
“Tutte quei frutti al prete? Ma sei pazza? Lo sai quanto costano? 12 euro al Kilo, che quel mezzo farabutto di Ciro il fruttivendolo mette sempre 1 kilo e un quarto, per rubar più soldi. Quella la vita è aumentata: il parcheggiatore si prende un euro, adesso. Un euro era 2mila £, al paese mio! Non fa più ste strunzat, sà? Pare a lei che me li cresco nel giardino, i soldi!”.
“Scusa, mamma. La prossima volta ci starò più attenta”.
(N.d.A.: Non capisco perché la mamma di Anna, essendo Calabrese, parla napoletana!).
Intanto tornò Andrew e disse:
“Parla Agnese e parla Agnese… Ma perché non se ne va a fare un giro del quartiere, Agnese??? Quel ruba soldi di Gennaro non ha saputo dirmi nulla. Un viaggio a vuoto”.
“Non ha saputo proprio dirti nulla?”, chiese Agnese.
“Una cosa sì: prepara il vestito migliore che hai”.
“Perché, ti sposi?”, chiese Agnese contenta.
“No, si sposa tua cugina”…   

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Capitolo 5
*** Padre Cristoforo (Colombo) ***


Nota importante: ho saltato il IV capitolo del libro originale dei Promessi Sposi, in quanto parlava esclusivamente di padre Cristoforo e non aggiungeva nulla alla storia centrale. In più saltando quel capitolo, ho ripreso il corso normale e numerale dei capitoli, in quanto, nella mia versione, avevo diviso l’originale III capitolo in due capitoli separati.

Padre Cristoforo arrivò alla casa delle due donne. Appena entrò, lo salutarono calorosamente. Poi lui disse:
“Mettetemi a riguardo delle ultime notizie”.
“Il Napoli ha vinto contro la Juventus! Non lo credevamo possibile”, rispose Anna.
“Ma no, si riferiva al fatto di Pasquale!”, la corresse Agnese.
“Mamma – disse teneramente – lo sai che era solo una scappatella Pasquale, senza enormi conseguenze. Non posso mica dirgli che è padre di 3 figli miei? Andiamo: è un uomo di Chiesa!”.
“Mi riferivo a don Pasquale!”, disse dura Agnese.
“Ah si, hai ragione… Il matrimonio!”. E qui Anna scoppiò a piangere, così fu Agnese a spiegare tutto al frate.
Mentre la buona donna faceva alla meglio la sua dolorosa relazione, il frate diventava di mille colori, e ora alzava gli occhi al cielo, ora batteva i piedi… Ora borbottava, ora percuoteva dei bicchieri col cucchiaino, fino a quando si ritrovò a suonare “Fratello Sole, Sorella Luna” come sottofondo del racconto.
“Signor prete!”, lo rimproverò Agnese.
“Scusi, era per creare l’atmosfera celestiale!”.
Terminata la storia, si coprì il volto con le mani ed esclamò:
“Quel deficiente… quel farabutto! Io lo so perché non viene!”.
“Davvero lo sapete? Se è così, ce lo dica…”, lo implorarono le due donne.
“Non posso”.
“Perché?”.
“Se no subito finisce la storia! Weh, qua dobbiamo fare 38 capitoli!”.
“Scusate”.
“Comunque lasciatevi dire che quello è proprio nù str*nz!”.
“Padre Colombo!”, lo rimproverò nuovamente Agnese “Siete un uomo di Chiesa!”.
“Avete ragione. Scusate! Signor Iddio, quello è proprio nù str*nz!”.
“Non potremmo aspettare, come dice lui?”, chiese Anna.
“Inutile: troverebbe altre scuse per non venire. Ma non preoccupatevi: non vi abbandonerò. Egli confida in voi. Egli vi ha visitate, povere donne!”.
“Certo: il dottore mi ha trovato i trigliceridi un po’ alti, ma non credo sia tanto grave”, analizzò Agnese.
“Ma io mi riferivo a Dio. Lui confida in Voi, non vi abbandonerà. E nemmeno io lo farò. Vi assisteremo entrambi!”.
“Ma perché, anche voi siete dottore?”.
Padre Cristoforo stava per urlare, quando l’arrivo di Andrew lo interruppe. Riprese il suo fare da prete e disse a tutti:
“Forse ho trovato un modo per aiutarvi. Conosco un signore molto influente che può costringere don Pasquale a venire al vostro matrimonio”.
“Come si chiama?”, chiesero loro.
“Adesso non è il momento per parlarne. Andrò da lui stasera stessa: prima parto, prima arrivo”.
“È molto lontano?”, chiese Andrew.
“Dovrò andare in Sardegna. Lì c’è colui che ci può aiutare. Molto influente, partirò subito”.
“Ma come? – interruppe ancor Andrew – Oggi c’è lo sciopero degli aliscafi!”.
Padre Cristoforo gli diede uno sganassone dietro la testa.
“Secondo te perché mi chiamo padre Cristoforo Colombo?”.
Infatti, il giorno dopo partì alla volta della Sardegna “con mezzi suoi”! Il viaggio fu lungo e burrascoso, ma quando giunse alle coste sarde, disse:
“Terraaaa!”.
L’uomo che lo accompagnava sottolineò:
“Ma siete impazzito? La Sardegna è stata scoperta anni fa!”.
“Ma che hai capito? Ho detto – At-Teraaaaaa -! Dall’aeroporto ci fanno segnale: la pista è sgombra!”.
Così atterrarono col jet personale di padre Cristoforo. Quando giunsero a Terra… ehm, scusate, a terra, il suo pilota chiese:
“Signor, ma lei una volta non aveva le Caravelle per spostarsi? Con le quali navigò attraverso gli oceani e dopo mesi di dura navigazione, con fatica e perdita di uomini, scoprì l’America?”.
“Certo! – rispose quello – Si è fessi una volta sola!”.
Padre Cristoforo si diresse verso la villa del signorotto da lui conosciuto. Presto lo avrebbe incontrato e gli avrebbe chiesto un aiuto per la situazione. Camminò a lungo e ovunque vide desolazione e facce crudeli. Nemmeno nei volti dei bambini, né degli anziani, riuscì a notare un impronta di innocenza. Così capì.
Tornò all’aeroporto e prese a bastonate il suo pilota.
“Ma cosa fa?”, riuscì a malapena a dire quel povero disgraziato, mentre il sangue gli colava dappertutto.
“È la bontà del Signore”, rispose Padre Cristoforo, alzando le mani al cielo.
“La prossima volta mi faccio mandare un cioccolatino”. Altre legnate.
“E queste per cosa erano? Misericordia divina? Benedizione angelica”.
“No. Sei una bestia: mi hai portato a Scampia!”.
Il suo pilota se ne rese conto dopo: si erano rubati i paracadute dal jet personale. Aveva provato a comperare dell’acqua benedetta ma dentro c’era… Bèh, lasciamo perdere!
Padre Cristoforo lo colpì ancora.
“Ahi! E ora?”.
“Ma tu, con un passeggero prete, devi comprarti l’acqua benedetta!? Dio ha fatto gli uomini colmi di amore e dolcezza… Ma in te doveva esserci molto spazio, perché ha riempito il resto con l'idiozia, figluol caro!”.
Detto questo, i due ripartirono, non prima di aver fatto il pieno (si erano rubati la benzina dal serbatoio). Pagarono 50 euro e gliene misero 15…
Arrivati in Sardegna, Fra Cristoforo scese a terra e disse:
“Guarda, i Nativi!”.
“Ehm… - fece il pilota – questa è gente civile. Sono abitanti della Sardegna, non indiani!”.
“Ma che hai capito? Io indicavo il reparto maternità di quell’ospedale”, precisò lui e gli diede un altro sganassone.
“Andrò solo alla villa del signorotto. Tu rimani qui ad aspettarmi”.
“Meno male, se no sarei morto entro le 15”. Fu pestato ancora, perché erano le 16… Come faceva a morire entro le 15?
Quando fu nei pressi della villa, si spaventò: era enorme, con quattro piscine, una grotta naturale, parte di un vero fiume sardo che attraversava il giardino. All’intero, statue in oro massiccio di tutti i dei dell’Olimpo e il David originale (con dentro un programma che gli permetteva di parlare e pensare come un umano!).
C’erano leoni, gazzelle e animali di tutto il mondo. Persino la zone gelata dove c’erano pinguini e orsi polari.
Ma la parte che il padrone di casa preferiva era il gazebo in vetro, sempre rivolto al Sole, affinché il padrone, standovi sdraiato all’interno, in costume, potesse attivare l’aria condizionata e star fresco!
“Che lusso insensato e che schiaffo alla miseria”, pensò Padre Cristoforo, rimembrando i piccoli conventi dei preti, sopra montagne, con una vista e un panorama che nemmeno dal tetto dell’Empire State Building puoi osservare!

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Capitolo 6
*** Don Rodrusconi e i suoi commensali ***


Come disse il buon Cristoforo (Colombo): “Qua dobbiamo fare 38 capitoli!”.
Per motivi di scelte di vita, ho lasciato incompiuto questo operato, che iniziava ad attirare ammiratori. Non voglio nemmeno guardare a quando risale l'ultimo capitolo. So solo che, nonostante vada la vita, non voglio rinunciare a questa: questa FF che considero speciale, perché parodia fedele al testo originale. Le scuole son finite e di Promessi Sposi non volete proprio sentir parlare. Ma ci sarà sempre qualcuno a studiarli e se presentate questa FF al vostro professore, vi metterà un bel 10! Perché, intanto, oltre alle risate con me, imparate la (quasi) vera (ironica) storia dei Promessi Sposi.
Scusate la lunga presentazione. Erano secoli che non mettevo piede qui e volevo salutarvi tutti.
A presto, aggiornerò con frequenza.
- Joe McFly -
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La porta della villa era chiusa. Segno che il padrone stava desinando (rosam, rosas, rosavi, etc.). Cristoforo si avvicinò alla porta, dove erano sdraiate 2 guardie. Una di queste, vedendo il frate indietreggiare, disse:
“Qui non si fanno aspettare i cappuccini”.
E l’altra guardia: “Col cavolo! Son 3 ore che aspettiamo il giovane del bar. Ma quando arriva, povero lui se osa chiedermi la mancia!”.
Tale guardia ricevé uno sganassone da Cristoforo il quale, poco dopo, entrò nell’immensa villa. Lo ricevé un vecchio servitore che, per il suo Padrone, dimostrava grande Fede. Appena vide Cristoforo, questi esclamò:
“Non è il Padre Cristoforo di Pescarenico?”. Ricevé uno sganassone.
“Cristoforo Colombo sono io”.
“Scusi, sul copione hanno errato personaggio”.
Cristoforo gettò lì un occhio: “Ha la vecchia edizione!”.
Attraversati 20 o 30 salotti, giunsero all’uscio della sala del convito. Per non dar fastidio, il frate voleva ritirarsi in difesa e attendere. Ma il servo disse:
“Cioè, mettiamoci d’accordo: qua già ci hanno espulso 2 attaccanti. Non possiamo rinunciare ad un altro…”.
Un certo Conte Renato Brunellio, notando il prete, vedendo in Cristoforo un amico di giuste cause, nemico di cotanta gente intesa a far rivoluzioni, lo pregò di accomodarsi. Questi si avvicinò alla tavola, notando tutti i commensali: dinnanzi a lui vi era il padrone di Casa (dedita a Delle Libertà), un certo Don Rodusconi; alla sua destra quel Conte Renato Brunellio, troppo basso per arrivar su alla tavola; a sinistra vi era Beppe Grillo, giunto lì a difendere il popolo e non per mangiar alla Casa del Padron; dinnanzi a lui sedeva quel tal D’Auria, Gennaro D’Auria. Infine, al termine della lunga tavola, alcuni convitati oscuri, che non hanno peso in questa storia e che, a buon dire, si sa solo che erano lì a “mangiare”, chinare il capo, sorridere e approvare cosa dicesse lor padrone.
Cristoforo sedette su una seggiola e chiese di poter parlare a solo a solo col padrone di Casa.
“Bene, bene, - disse Lui - parleremo, ma qui! Siamo di numero abbastanza equo per la par condicio”.
“Pensavo che lei fosse al di sopra delle leggi”.
“Ma sai, ogni tanto, per le malelingue, mi abbasso alle regole di quei popolari assassini e affamati!”.
“Ehm… i comunisti?”.
“No, che dice? I comunali! Che si mangiano tutti i soldi e non spendono 200 euro per riparare un tombino! È sempre più difficile comandare questi luoghi!”.
Cristoforo volle insistere, ma il padrone rispose: “Mi spiace: a quest’ora è usanza che io mangi!”. E al rifiuto di Cristoforo di partecipare alla mensa, esclamò:
“No, perbacco!...”. Ma prima che potesse continuare, tutti i commensali, saltati dalle sedie e saliti sul tavolo, si misero a cantare e ballare “Bacco, per bacco, eccoci qua, ridereeee…”.
Don Rodusconi guardò i commensali, che smisero subito. Poi, continuò:
“Beva!”.
“Ma… il copione era diverso!”, si stupì Padre Cristoforo.
“Si lo so, però se lo recito, questi cantano tutto l’album di Zucchero”.
Mentre beveva, sentì il Conte Brunellio dire a Grillo:
“L’autorità del Saffo non serve al suo assunto”.
“Ma che assunto e assunto! Si chiama Assunta!”.
“Ma è un uomo!!”, fece stupito il Conte.
“Più o meno – rispose l’altro – è omosessuale”.
Don Rodrusconi disse: “Lasciamo giudicare il prete”.
E lui: “Non sono cose di cui mi intenda”.
“Ne parli in salone allora, senza tenda. Dopotutto, non è la Chiesa ad essersi opposta ai matrimoni fra omosessuali?”.
“Mah, da qual che mi pare di aver capito… non ci ho capito una mazza!”.
Rodrusconi, allora, spiegò la situazione:
“Un certo Arigante, dipendente di tal podestà, è un omosessuale e si era recato dal prete che aveva mostrato accondiscendenza nel celebrar matrimonio tra lui e un altro giovine. Non avendo trovato tal prete, aveva lasciato la domanda di matrimonio al fratello, prete anch’egli, il quale, letto il dispaccio, diede sganasson al pover’omo”.
“Ben date, ben date. Quando si tratta di tirar sganassoni, son sempre favorevole!”, disse Padre Cristoforo, dandone uno al Conte Brunellio, tanto per gusto.
“Del demonio – intervenne Grillo – Battere un omosessuale, solo perché tale. E da un prete, poi...”.
Una voce provenire dal nulla (da sotto il tavolo) pronunciò un commento sarcastico. Era del Conte Brunellio, che ricevé uno sganassone come premio:
“Si, si.. proprio i preti. Persone che non solo rinnegano gli omosessuali, ma che professano e divulgano una vita priva del piacere sessuale”. (Nel manoscritto si diceva che tale affermazione costituisce una battuta a sé. Io non l'ho capita... - N.d.A.).
“Quello che non capisco è perché le premano tanto le spalle d'un mascalzone”, disse Cristoforo.
“Chi ha mai parlato di palle??? Intendiamoci...” E tutti si alzarono dal tavolo per montare tende in salotto. “Fermi voi! Intendevo: Capiamoci! Io non tocco le palle... ehm, le spalle di nessuno. Per me è sempre meglio amare una bella donna che esser frocio! Ma è comunque un essere umano. Mi dica se gli antichi Romani erano dediti a picchiar gli omosessuali”.
“Se le dicessi cosa facevano i Romani, rischio la scomunica”.
“Ma dai... risponda a questo sillogismo”.
“A che?!?”.
“Che cazz* ne so! Sto solo leggendo il copione”. E, così dicendo, Don Rodrusconi gettò all'aria i fogli che aveva accanto al piatto.
“Le dico io una cosa che non si legge sul copione: gli antichi Romani eran tutti dei froci! Giulo Cesare girava con una tunica! E a quel tempo le mutande non erano state inventate! Secondo lei, perché???”.
E il Gennaro D'Auria, con una coscia di pollo tra le gengive: “Son tutt' dei ricchioni! Vergogna! S'anna mett'r ca capa rind' o sicchio! Tenevano i cumpagn che gli volevano MOLTO bene. Luigi, Pasquale, Nicola... Chi è tutta sta gente? Omosessuali!!”.
“Piano, piano, lor signori”, intervenne Grillo Beppe. E, poi, riprese a mangiare.
“Ma quale piano? - si attizzò Rodrusconi – Chi si è permesso di ordinarlo? Uèè, io non ho mica 200 stanze e 147 bagni per far il vostro piacere?”.
E Padre Cristoforo: “Quand'è così, il mio debole parere è che non vi fossero né omosessuali, né matrimoni... ma solo sganassate! Sganassate a tutti!!!”.
E partì la guerra del cibo! Prosciutti volanti, patate al forno su catapulte rudimentali, fette di pane usati come frisbee. Colpi a destra, a sinistra. Nessuno ne uscì illeso. Tranne Brunellio, troppo basso per venir colpito.
(E con la scusa della guerra di cibo, salto passaggi noiosi e tediosi – N.d.A. - E i lettori: “Evviva!”).
E tutti si stupirono della reazione di Padre Cristoforo.
“Oh, Padre mio...”, dissero in molti.
“Che sei nei cieli!”, rispose Cristoforo.
“Con queste sue massime, con questi suoi lanci, lei vorrebbe mandare il mondo sottosopra. Senza triglie, senza bastoncini”.
“Basta parlare di triglie e filetti: mi è finito un merluzzo in un orecchio. Che volete di più?”.
“Un Lucano!”, urlò Brunellio. STATABUSH! Che sganassone ricevé da Cristoforo!
“Che avete capito? Volevo fare un brindisi a voi, o Illustrissimo Padre dalle mani vellutate”.
“Ancora? Ho commesso un disordine esagerato! Ho una melanzana nella canottiera, un fungo trifolato nella scarpa, una salsiccia... lasciamo perdere”.
“Eh, no, perbacco!”, urlò ancora Rodrusconi.
I commensali si alzarono piano piano sulla tavola. Qualcuno intonò una nota. “Bacco, per...”, ma poi si rimisero a sedere, spaventati dagli sguardi cattivi di Don Rodrusconi.
“Che ne dite, dottore?”, chiese Rodrusconi a Padre Cristoforo.
“Io faccio il curato, non il dottore!”.
“No. Intendevo dire: -che ne dite di tutto questo?- Devo smetterla di leggere sto copione vecchi di millenni. Chi l'ha scritto, poi? Alessandro Manzoni?? Ma è quello che faceva gli sketch sulla panchina con Franz? Era più divertente allora!”.
Censui, et in eam ivi sententiam”.

“Come dice?”.
“Devo andare al bagno: la salsiccia incomincia a darmi fastidio. Assunta Santissima!!!”...

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Capitolo 7
*** Lo scopo... urgente di Padre Cristoforo (Colombo) ***


Ecco qui, di corsa, un nuovo capitolo. Sperando che ciò vi convinca a leggere e recensire questa Opera abbandonata da secoli.
Oramai non riesco a seguire i Capitoli così come sono inseriti nell'opera originale, per motivi di parodia, che mi obbliga a dare più spazio a certi eventi della Storia e sorvolare su altri (ricordate il racconto di Fra Pallino? Ehm... Fra Galdino?).
Ebbene, questo capitolo, anche se sembra inventato di sana pianta, merita almeno quanto quello ed è, sopratutto, molto fedele all'originale (vi consiglio caldamente di leggere quello, prima di questo), anche se invertiti sono i personaggi (Cristoforo, in verità, parla prima con Don Rodrigo e poi col servo!). Ma apprezzerete maggiormente la (in realtà, poca) ironia conoscendo il capitolo in questione, che è l'inizio del VI per il Manzoni.
Buona lettura.
- Joe McFly -
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Padre Cristoforo Colombo fu interrotto mentre si dirigeva al bagno.
“In che posso abbaiarla? Ehm... ubbidirla?”, chiese l'Uomo Fede, ma con modi che intendevano: “bada a chi hai davanti, pesa le parole e sbrigati”.
“Cercavo il bagno. Tu sai mica dov'è?”, chiese Cristoforo che sì sentì venire sulle labbra le parole del 'bisogno'! Poi: “Allora sono 70 Kg”.
“70 Kg che?”.
“5 kg a parola = 40 + 10 Kg di punti esclamativi e interrogativi + 20 Kg che vedrai se mi indicherai dove è il bagno”.
“Mi parlerà dei suoi bisogni quando verrò a defecare (è latino! - N.d.A.) nel suo bagno. In quanto al mio, io ne sono il custode e io solo: chiunque ardisce ad entrare, lo riguardo temerario. E poi serve a me. Non sente che ne ho bisogno”. E, infatti, il sopraffino olfatto di Padre Cristoforo fu messo a dura prova da veleggi ariosi lasciate da quel servo.
Padre Cristoforo, per volgere il discorso a suo favore e non permettere di farsi venire alle strette (di stomaco), s'impegnò tanto per reprimere le sofferenze (c.s.) e represse il desiderio di mandar giù qualsiasi cosa al suo corpo piacesse. Allora, disse:
“Se ho detto cosa che le dispiaccia, è stato certamente contro la mia intenzione. Mi (s)correggi pure, mi riprenda, ma si degni di dirmi dove trovare il bagno. Per amore del cesso, al SUO cospetto dobbiamo tutti comparire, prima o poi! - così dicendo, mise le mani lì sul suo didietro e strinse gli occhi - Non si ostini a negare un bisogno così evidente!”.
“Eh Padre! Il rispetto che che io porto al suo abito è grande: ma se qualche cosa potesse farmelo dimenticare, sarebbe il vedersi defecare (e basta con questi latinismi!) addosso”.
“Lei non crede che una tal cosa mi riguardi. Ma dinnanzi a Dio, quel Dio, che le usa ora misericordia, mandando un suo ministro, me, indegno e miserabile, ma un suo ministro, a pregar per una innocente cagat...”.
“In somma, padre!”
“La somma l'abbiam fatta prima”.
“Ma quale somma?”
“Lei ha detto -somma-”.
“No: - Insomma!! - Errore di battitura”. (C'è davvero scritto così sul testo originale – N.d.A.).
“Qua ne accadono spesso -.-”.
Al muoversi dell'Uomo Fede, Cristoforo gli si parò davanti. Alzate le mani, come per supplicarlo, disse ancora: “LEI mi preme, è vero! Son due ore che LEI mi preme più del sangue. Io non posso far altro che pregarti di dirmi dove è il bagno. Non voglia tener nell'angoscia e nel tremore lo stomaco mio!”.
L'altro rispose: “Ebbene...”
“Ebbene?!”
“Stavolta ho detto giusto! -.-”
“Ah... mi scusi. Diceva?”
“Ebbene, la consiglio di mettersi sotto a quella panca. Non le manca nulla: c'è riservatezza, c'è la carta igienica. E le dico questo perché sono un signore!”.
A siffatta proposta.... E sì, oramai era FATTA, SI' che era FATTA!!! Padre Cristoforo traboccò dal dolore. Si mise a sedere sulla panca e sbraitava per la noncuranza del servo.
“Ho schifo per questa casa e per chi ci abita! Fate mangiare come i maiali milioni di persone e poi non lasciate che vadino al cesso! Ma quale diritto avete per tormentare poveri uomini? Pieni fino all'orlo e col bisogno di defecare?”
“Mi scusi – disse l'altro mestamente – ma i bagni erano tutti occupati”.
“Ah”, fece Cristoforo. E si diede uno sganasson da solo.
L'uomo Fede, fatto il suo lavoro, andò via. E in quel frangente, Cristoforo vide Don Rodrusconi, acquattato vicino al un muro e fece gesto di seguirlo
“Ho sentito tutto, Padre, e ho interesse a parlarle”.
“Mi dica, o Perseguitato da mezza Italia, Don Rodrusconi”.
“Io so molte cose. E vedrò di venir domani al suo convento”.
“C'è qualche disegno?”, chiese curioso Padre Cristoforo.
“Qualche disegno non so, ma sicuro è rimasta una bella macchia sulla tunica” e fece gesto di ribrezzo per le macchie color marr.. - ehm, scusate, ma Manzoni insisteva con le descrizioni! N.d.A. -
“Qualcosa per aria c'è di sicuro!”.
“Questo può dirlo forte!”, disse Rodrusconi, tappandosi il naso.
“Come dice?”
“Niente, niente: che il signor la benedica!! Ma lei vada via subito... la supplico.. e per amor del cielo... si faccia una doccia!”.
Così dicendo, vide il povero Frate tornare da dove era venuto, mentre dava ai suoi servi, vestiti da Ghostbusters, ordine di disinfettare l'intero palazzo...

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