Storia di una Primula

di gattapelosa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

 

 

È il giorno della Mietitura. Me lo ricordo perché mamma non c’ha svegliato presto, oggi.

Di solito non mi faccio troppi problemi, ma questa notte non ho proprio chiuso occhio. É la mia prima Mietitura.

Speravo che almeno Katniss m’avrebbe accompagnata, ma lei sta su quel letto a morire, quindi niente.

In effetti questa nuova edizione degli Hunger Games non poteva capitare in momento più opportuno. Katniss, nostra unica fonte di sostentamento oltre a Lady – ma Lady è una capra e una capra non può dar cibo a tre persone – era stata letteralmente sbranata da un branco di cani selvatici. Stava a caccia con Gale quando ecco che dal fitto della foresta irruppero tali bestie. Gale adesso sta all’altro mondo, perché purtroppo non c’è stato niente che potemmo fare per aiutarlo, ma Katniss ha ancora una possibilità di uscirne.

La guardo e piango un po’, perché è colpa nostra se sta in questo stato. Io e mamma i soldi per mangiare non sappiamo proprio come procurarceli, e allora Katniss ha dovuto cacciare per noi ogni giorno negli ultimi quattro anni.

Io però sono fiduciosa! Sì, Katniss ne uscirà, prima o poi. Ed è proprio per questo che gli Hunger Games cadono a proposito: se un nostro tributo vincesse, avremmo cibo a volontà per un anno intero! E allora daremmo tutto il tempo a Katniss di riprendersi.

Sta così male che non siamo proprio riuscite a dirle niente su Gale. A stento spiaccica due parole di fila e in genere dorme.

Non voglio restare ancora a lungo in casa. Ho bisogno di supporto: è la mia prima Mietitura! E mamma è troppo occupata a deprimersi per Katniss. Non come con papà, questa volta sta ancora tra noi, ma certo non sprizza allegria.

— Mamma, esco.— dico e lei annuisce.

So già cosa fare: raggiungere la casetta di Hazelle, poco distante, per poter far un giro con Rory. Ora loro sono in lutto per il decesso di Gale, ma non hanno mai disprezzato troppo la mia compagnia, e Rory ha certamente bisogno di svagarsi. La prima mietitura vale anche per lui.

Così, quando raggiungo la loro casetta mezza scassata, sono già pronta all’episodio deprimente di una famiglia allo sfacelo.

Entro quatta quatta dalla porta semiaperta, scorgendo Hazelle tentare disperatamente di trattenere pesanti lacrime sfogando la sua frustazione nel lavare i piatti. Accanto a lei, Posy reclama giusto un po’ d’attenzione e Vick tenta di starle accanto per lasciar libera sua madre.

Mi è sempre piaciuta molto, quella, come famiglia.

Hazelle è sempre stata una bellissima donna e molti uomini avrebbero fatto la fila per sostituire il marito deceduto, ma lei non è mai caduta nella tentazione di darsi a un uomo solo per sicurezza economica. Ha stretto i denti e tirato avanti come meglio poteva.

Gale portava a casa cibo e utensili vari, ma Hazelle sarebbe sopravvissuta lo stesso. Forse un po’ a stento, ma non dipendeva completamente dal figlio. Non come me e mamma, almeno.

Comunque, nel vedermi ferma sulla porta di casa, Hazelle mi fa segno d’entrare.

— Ciao Prim, non ti aspettavamo— dice tentando un po’ di levarsi dal volto lacrime salate.

— Mi dispiace essere piombata qui all’improvviso — Hazelle scuote il capo — È sempre un piacere. Rory è in bagno, penso.

Mi siedo al fianco di Vick. È carino, lui. Un bel bambino. Ma tutti sono carini tra gli Hawthorne.

Ha i capelli scuri del padre e i grigi occhi del giacimento. Come Gale. E come Rory.

Posy, dal canto suo, è la bimba più bella di Panem. Per qualche strana e allucinante mutazione genetica ha gli occhi verdi. Come se qualcuno del Giacimento potesse vantare uno splendido paio di occhi verdi! Ma quella bimba è speciale, lo dicono tutti.

Posy Hawthorne è una bimba speciale.

Mentre mi perdo nel pensare alla perfezione degli Hawthorne, il più perfetto tra loro esce dal bagno.

Okay, forse no. Forse il più bello era Gale. Ma anche Rory non scherza.

Più che altro ammetto di aver sempre provato una certa d’invidia nei loro confronti. Mamma era una ragazza bellissima e ha passato un paio di cosucce carine anche a me, ma gli Everdeen non reggono il confronto.

Comunque, Rory non mostra il minimo stupore nel vedermi così, in contemplazione di Posy. Non è la prima volta che piombo in casa sua, specie da quando Katniss è malata.

— Come va, Prim?— chiede. Mi volto di scatto.

Indossa il semplice abbigliamento scolastico: una magliettina leggera e un paio di pantaloni sgualciti. Per la mietitura ci saremmo dovuti cambiare presto, comunque. Bisognava essere quantomeno presentabili.

— Tutto bene, grazie.— rispondo. Lui mi fa segno alla porta e io annuisco.

Se ci dobbiamo sbrigare a uscire vuol dire che Hazelle ha bisogno di un momento per se.

Non possiamo portarci via Vick e Posy, perché Hazelle entra in agitazione nel non vederli. Sono troppo piccoli.

Allora io e Rory usciamo, chiudendo la porta. Mi rivolge uno sguardo da “Guarda che situazione assurda!” e io annuisco. È bello capirsi sempre, con Rory.

So già dove andare: al Prato. È rilassante stare da quelle parti.

E poi ci andavamo già tanto tempo fa, quando, preoccupati, raggiungevamo le recinzioni per aspettare Katniss e Gale. È stato in quel periodo che mi sono legata tanto a Rory.

Stavamo là in appostamento per ore, ma a Katniss non piaceva che la controllassi, quindi nel vederla tornare giravo i tacchi e mi nascondevo.

Poi ho perso l’abitudine di seguire mia sorella e mi sono limitata a raggiungere il Prato nella speranza di trovarvi un po’ di riposo. Non c’è molta ombra, ma la vecchia capannetta di Jilson crea un angolino fresco e confortante.

Io e Rory mezzo camminiamo, mezzo corriamo tra le stradine del ’12. Il Prato è un po’ distante dalla casetta di Hazelle.

Durante la strada non incontriamo nessuno: sono tutti in pena per gli Hunger Games. Le famiglie si sentono particolarmente solidali in ‘sti giorni, tranne che durante l’estrazione. Allora ognuno pensa per se.

Una volta raggiunto il Prato rimaniamo due secondi ad osservare la tetra distesa verdeggiante. È un buon posto dove riposare.

In sé, però, è anche un posticino piuttosto deprimente.

La capannetta di Jilson è invece un ammasso di legname facilmente infiammabile. Inutilizzato, di solito, ma pieno di cianfrusaglie.

Jilson è un pacificatore, è stato lui a voler mettere in piedi ‘sta capannetta, solo perché non sapeva dove far finire alcune sue diavolerie.

A noi non interessa, comunque: ci importa solo dell’ombra.

Io e Rory ci sediamo sul retro della capannetta, incuranti della terra sporca che c’inzozza i vestiti.

— E così, finalmente ci siamo, eh?— fa lui. Io annuisco.

— I primi Hunger Games arrivano per tutti.

— Almeno abbiamo una sola nomina.— e questo, mi duole ammetterlo, è tutto merito dei nostri fratelli.

Per evitarci la costrizione di aggiungere nuove nomine alla Mietitura, si sono sempre caricati il fardello su sé stessi. Così che, ora come ora, ci ritroviamo con appena un foglietto di carta nell’enorme boccia di vetro. È praticamente impossibile venire estratti.

— La buona sorte è a nostro favore!— esclamo, allargando le braccia e imitando, pressappoco, l’accento di Capitol City. Rory scoppia a ridere.

— Felici Hunger Games, Prim!— e rido anch’io, così, com’è naturale. Ce ne stiamo lì, soli nel Prato, a sganasciarci dalle risate. Meglio che piangere.

— Chissà come sarà conciata quest’anno Effie!— aggiunge Rory— ti ricordi l’abito arancione dell’anno scorso, com’era ridicolo?

— Sì, sembrava una zucca! E i capelli rosa? Quanto stonano con tutto quello che si mette addosso?

— Già, potrebbe almeno prendersi la briga di cambiare la parrucca!— e nel sentir dir ciò il mio pensiero vaga inesorabilmente a Caesar Flickerman, l’uomo delle interviste, quello che ogni anno s’inventa un colore nuovo. Ovviamente Rory mi precede.

— Come Caesar! Di che colore sarà?

— Io scommetto un bel giallo luccicante!

— No, è lo stesso di quattro anni fa.

— Oddio, quindi non me lo sono solo sognato?— e ridiamo ancora, così, senza motivo. È bello ridere con Rory, sempre. Lui ha una risata perfetta, squillante, contagiosa. Gli si illumina il viso.

Dopo questa sparata rimaniamo in silenzio, nel contemplare la recinzione. Sento una fitta di nostalgia.

Per un momento penso che Katniss si trovi ora nel bosco, magari con Gale.

Vedo Rory abbassare il capo, preda di strazianti pensieri, rivolti allo stesso fratello.

— Ti manca, vero?
— Non hai idea di quanto.

Gli prendo la mano, per trasmetterli solidarietà e fiducia. Mamma dice che il contatto aiuta i malati, e Rory è malato, in un certo senso.

— Ho fame— dico— hai portato qualcosa da mangiare?
— Niente.

— Allora andiamo a casa mia. — avevo fatto del formaggio, sicuramente ne rimane un po’.

Ma Rory non ha voglia di muoversi. Rimane fermo lì, a fissare il bosco.

Quando siamo venuti a sapere dell’incidente Rory è scoppiato a piangere. Anche io, comunque. Però allora per Gale non c’era davvero più niente da fare.

Quindi è scappato di casa, correndo a perdifiato, ma io sapevo bene che si sarebbe rintanato dietro la capannetta. L’ho raggiunto, mi sono seduta al suo fianco e ho aspettato che riuscisse a calmarsi.

Beh, da allora non ha più pianto.

In questo momento penso che potrebbe scoppiare ancora. Ha uno sguardo disperato, direi. Mi piacerebbe molto vederlo liberarsi definitivamente.  

Alla fine rimaniamo così per ore, e tanti saluti al pranzo. A lungo andare sono finita col pensare a Katniss, alla Mietitura, agli Hunger Games e a papà. A Posy e a Vick. Ad Hazelle.

In due ore c’è spazio a sufficienza per rodersi l’anima con ogni infido pensiero.

Quando capisco quanto tardi è, riemergo dai tormentosi ricordi e trascino via Rory dai suoi.

— Dobbiamo andare a prepararci— dico. Lui annuisce.

Così ci dirigiamo verso il Giacimento, arrancando. Alla prima svolta ci separiamo, non senza augurarci prima buona fortuna.

Da lì a casa sono dieci minuti di cammino.

Come prima, nuovamente le vie sembrano disabitate: nessuno è davvero pronto a lasciare casa prima dell’ora stabilita.

Alla fine, comunque, torno nella mia piccola casetta decadente. La porta cigola un po’ e sento Lady belare.

— Prim, sei tu?— chiede mia madre.

— Certo— e chi altro? La vedo ancora seduta contro il capezzale di Katniss.

— Dove sei stata per tutto questo tempo?
— Ero con Rory, sta tranquilla.— rispondo. Raggiungo quel che è l’unico vero armadio di casa Everdeen, dove già stanno pronti gli abiti per la mietitura. Una bella camicetta e la gonna.

Non possiamo permetterci molto.

Indosso quel che devo indossare e mi lego le ciocche in due belle trecce. È inutile, comunque: non chiameranno me. Ho una sola nomina.

Mi specchio, sembro carina, credo. Vado bene.

— È l’ora di andare— dice mia madre, con voce rotta.

Io le sorrido e faccio per seguirla fuori casa quando inaspettatamente una voce conosciuta – ma da tanto tempo muta – mi riprende.

— Tieni dentro la coda, paperella.— è Katniss. La mia sorellona Katniss, che fa segno alla camicetta così, fuori dalla gonna. Sento gli occhi diventare lucidi.

Corro incontro al suo capezzale e l’abbraccio disperata.

— Occhio paperella, che ti si rovinano i vestiti.— aggiunge poi, portando una mano ad accarezzarmi una guancia — Andrà tutto bene.

Io annuisco.

Mi duole lasciarla così, ma devo: la Mietitura sta per cominciare.

Così lascio un po’ più contenta casa mia, diretta alla piazza, ora brulicante di persone.

Devo fare la fila per registrarmi, da qui posso vedere Rory, più avanti, sorridermi. Mi fa un gesto con la mano e capisco che ora si sente un po’ meglio.

Il giorno della mietitura tutto il Distretto 12 si riunisce in piazza. Al centro stanno i ragazzi estraibili, potenziali tributi, tutto attorno – nelle viuzze o ai limiti della piazza – i genitori, gli amici, i parenti o gli interessati. Davanti viene allestita una sorta di pedana su cui il sindaco tiene il discorso. Alle sue spalle dovrebbero star seduti Effie Trinket e Haymitch Abernaty, unico vincitore ancora in vita, unico mentore per il Distretto 12. Invece c’è solo Effy, col tubino verde pisello-rancido. Colore che fa a cazzotti con la parrucca rosa.

Tutti noi veniamo così disposti per le riprese, i più giovani stanno dietro, quindi io sono praticamente in ultima fila. Da qui non posso vedere né Rory né mia madre.

Fortuna vuole che al mio fianco ci sia Becca, l’amica di scuola. È una ragazza simpatica, anche se solitaria, molto timida. Sono giorni che s’agita per la Mietitura, ha dovuto prendersi quattro tessere per sfamare la famiglia. Mi dispiace molto per lei: quattro tessere sono quattro possibilità di essere estratta.

Io non corro davvero il rischio, ma un po’ agitata lo sono comunque, anche quando il sindaco inizia col suo discorso, al battere delle due.

Racconta di Panem, tutta quella storia sui Giorni Bui e la rivolta dei Distretti. La conosciamo bene, noi, ma poco importa.

Quando prende a elencare i nomi dei precedenti vincitori compare dal nulla Haymitch. È ubriaco fradicio, chi volete non se ne accorga? Mi vien quasi da ridere, specie quando tenta d’abbracciare l’accompagnatrice.

Effie Trinket, a un cenno del sindaco, raggiunge il microfono. Accanto a lei ci stanno due enormi bocce di vetro, portanti le nomine.

 — Felici Hunger Games e possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!— esordia.

Cerco Rory con lo sguardo, ma è forse troppo distante perché non riesco proprio a scorgerlo.

Solo una nomina.

La nostra è un’unica nomina.

— Prima le signore!— fa lei, avvicinandosi alla prima, grande boccia.

Pesca lenta un fogliettino, sorride, torna alla pedana.

Ormai siamo tutti col fiato sospeso.

Chi sarà? Quale nome verrà letto?

Chi, tra tutti noi, avrebbe partecipato come tributo alla settantaquattresima edizione degli Hunger Games?

Non io. Io ho una sola nomina, che volete succeda?

Non io. Davvero, non io.

E invece sono io.

— Primrose Everdeen!

 

Un pezzo di carta. Un solo, insignificante pezzo di carta tra il migliaio di striscioline della boccia di vetro.

La buona sorte era davvero a mio favore, ma non è stato sufficiente. Io sono stata estratta. Io sarò tributo degli Hunger Games.

Ancora troppo scioccata per rendermene conto davvero, cammino così verso la pedana. Non sento niente, solo i miei passi. Gradino dopo gradino, arrivo in cima. Nessuno si offre volontaria.

Sarò io il tributo femmina dei settantaquattresimi Hunger Games.

Nessuno applaude: meglio. Sembrano tutti arrabbiati.

In quel momento, il più arrabbiato di tutti sembra però Haymitch. Si alza in piedi, evidentemente andato, mi mette una mano sulla spalla e grida:

— Guardatela, guardate questa qui! È uno scricciolo, non resisterà mai agli Hunger Games, ma guardate! Non piange e non grida, ha un gran…— Per un attimo non trova la parola — …fegato!— esclama trionfante.

—Più di voi!— Mi lascia andare e si porta sul davanti del palco — Più di voi!— grida, rivolto direttamente a una telecamera. In quel momento precipita sul davanti e perde i sensi.

Alcuni accennano a una risata, ma è in questo momento che finalmente prendo coscienza. Sono sul palco della piazza, estratta per i miei Hunger Games. Non devo piangere. No, Prim, non piangere. Devo sembrare forte, per avere almeno una possibilità.

Faccio tanti respiri profondi, devo resistere.

In quel momento Effie torna alla carica, pronta per estrarre il nome del tributo maschile. S’avvicina allora alla seconda boccia di vetro, prende la seconda strisciolina e legge, trionfante, il nome.

— Peeta Mellark!— non ho idea di chi sia questo “Peeta Mellark”, e nemmeno mi interessa, perché è in quel momento – prima ancora che il ragazzo si facesse strada per il palco- che un qualcuno grida, a gran voce:
— Mi offro volontario! Mi offro volontario come tributo!— e allora vorrei davvero piangere, ma rimango impietrita.

Quel qualcuno è Rory.

 

 

Bacheca dell'autrice


Questa storia è nata dal nulla. Spero possa piacervi! (per favore, recensiteeee)
Rory ha un anno in più del normale, ma era necessario.
Per quanto riguarda Gale...mi dispiace. Non so perché l'ho fatto, forse per dare più enfasi al racconto. O forse soltanto perché era improbabile che fossero sopravvissuti entrambi.

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

Mi trovo nella lussuosissima stanza del Palazzo di Giustizia. Qui è tutto tappeti, divani e sedie in velluto.

Un solo utensile ed è cibo per un mese.

Comunque ora come ora non c’ho proprio voglia di pensare al cibo: sento già quello non ancora ingurgitato lottare per venire a galla.

Devo aspettare che alcuni Pacificatori lascino entrare potenziali visitatori. Un ultimo saluto prima di morire. Che grande misericordia!

Sto facendo violenza su me stessa per non prendere a frignare. Devo resistere, come avrebbe fatto Katniss! Non devo pensare che questa è certamente l’ultima volta che vedrò i miei cari, non devo pensare che presto mi ritroverò col combattere in un’arena.

Con Rory.

No, contro Rory.

Non ucciderò nessuno, sia chiaro, già impazzisco all’idea di dover cacciare un coniglio: figurarsi trucidare un umano! No, morirò subito, non c’è speranza!

Cinque minuti dopo ed è proprio la mamma che entra. Ha uno sguardo disperato, triste e impotente. Si china sulle ginocchia, mi prende il viso tra le mani e sta in silenzio. Per tanto tempo.

Alla fine non ce la faccio più: scoppio a piangere tra le sue braccia. È inutile cercare di resistere, non ne vale proprio la pena, morirò con o senza lacrime, garantito.

Piango, piango, mi sfogo come meglio posso! Passano i minuti e io resto lì a piangere, cullata dalla debole presa di mia madre. Quando entrano i Pacificatori per portarla via, non ci siamo ancora dette niente.

— No! Mamma, mamma!— grido, tenendola per un braccio, mentre l’uomo tenta di strattonarla. Ma mia madre non dice niente, non si volta, niente.

Se ne va così, senza guardarmi, e continuo a piangere, disperata.

Non rivedrò mai più mia madre. E non l’ho nemmeno salutata!

Da quella porta ora entrano Hazelle, Posy e Vick. Anche loro hanno pianto.

Posy mi salta in grembo, cingendomi il collo con un braccio, Vick mi prende una mano.

Hazelle mi si fa vicina, si siede davanti.

— Prometti che ci proverai, Prim?— io annuisco, ma tanto sappiamo entrambe quanto inutile sarà.

Hazelle è evidentemente distrutta: non solo ha da poco perso Gale, ora si vede pure portar via  Rory! E per cosa, per essersi offerto volontario?

Rory, come hai potuto far questo a tua madre?

Però Hazelle è una donna forte. Lei resisterà, me lo sento.

— Sei stata da lui?— chiedo. Lei annuisce.

— Come si sente?
— Ha pianto, come te. E allora ti darò lo stesso consiglio che ho dato a lui: asciugati quelle lacrime. Devi sembrare forte, per quanto forte possa essere un dodicenne.

Io annuisco, portando una mano all’altezza degli occhi. Presto, troppo presto, arrivano i Pacificatori. Questa volta non sono pronta. Non possono strapparmi via anche questa famiglia!

M’aggrappo fermamente a Posy stringendola come meglio posso, gridando, gridando di lasciarla in pace! Un Pacificatore porta via Vick e Hazelle, che cercano di opporre un po’ di resistenza.

— Provaci Prim, provaci!— termina Hazelle, prima d’esser allontanata.

Cercano di strapparmi Posy dalle braccia, ma gli ci vuole una buona dose di volontà: sono praticamente irremovibile.

Alla fine ci riescono, e allora non c’è più niente da fare.

Sono sola. Completamente sola. Ma non devo piangere! Hazelle è stata chiara, glielo devo.

Incredibilmente, non passa molto prima che qualcun altro decida di farmi visita. E quel qualcuno è Madge, figlia del sindaco, una ragazzina simpatica, per quel che ne so, da quando Katniss sta male dispensa di caramelle casa Everdeen. Non la conosco bene, comunque.

Entra come una furia e parla velocemente, sembra avere fretta, ma fretta per cosa?
— Nell’arena avrai il permesso di indossare una cosa che viene dal tuo distretto. Una cosa che ti ricordi casa. Vuoi portare questa?— Mi tende la spilla d’oro tonda che prima aveva appuntata al vestito. Contiene un piccolo uccello in volo, la ghiandaia imitatrice: schiaffo morale per Capitol City.

 — La tua spilla?— chiedo.

— Vieni, te lo metto, va bene?— Madge non aspetta la mia risposta. Si limita a chinarsi e ad assicurare la spilla con l’uccello al mio vestito.— Prometti che ce la metterai tutta nell’arena, Prim?
— Sì— dico, stupita — Perché lo fai?— chiedo poi.

— Per Katniss. È una mia cara a mica e morirebbe se sapesse che tu non esisti più. Quindi devi vivere. Vivi, Prim.

E con queste parole, veloce com’è arrivata, se ne va.

Nell’occasione peggiore della mia vita, nel momento più opprimente che avrei mai desiderato voler vivere, scopro quanto il Distretto 12 tenga a me.

Sì, perché sono centinaia i visitatori, questa volta.

Il fornaio, ad esempio, molti amici di scuola, Becca e Ollie, i professori, gente del forno, gente di città, malati curati da me e mamma, parenti di malati non curati – disgraziatamente – da me e mamma.

E quando l’ora dedicata alle visite termina fuori c’è ancora la fila!

Non si è mai vista una cosa simile.

Nel momento in cui vengo scortata fuori dai Pacificatori li vedo, sono un sacco! E tutti mi salutano, mi augurano buona fortuna, mi chiedono di vivere.

Grazie, amici, grazie!

Vengo messa in una macchina con Effie, Haymitch – sbronzo, terribilmente sbronzo – e Rory. Effie sta lì a parlare e a parlare e a parlare, ma io ho occhi solo per Rory. In treno ci sarebbe stato tempo per discutere, sicuro.

Il treno in questione è qualcosa di incredibile, giuro. Lungo, argentato, rifinito da splendide decorazioni in rosso. E l’interno è perfino meglio!

Ricco di adorabili divanetti colorati, tavolini mobili e col pavimento coperto da una sorta di lungo tappeto rosso soffice soffice. La prima cosa che faccio è piombare sul divanetto bianco e appiccicarmi al finestrino, quando il treno parte all’improvviso facendo destabilizzare Rory.

Mi casca addosso, ha una faccia talmente tanto buffa che scoppio a ridere, contagiandolo. È divertente.

Dal nulla spunta Effie.

— Ma quanto siete carini!— dice — È un vero peccato che stiate per morire!

E allora non rido più.

Il bello è che non se ne rende conto, lei. Non comprende l’effettiva portata delle parole.

Comunque, ognuno di noi, in quest’enorme mezzo, ha una stanza privata e in questa stanza privata c’è un bagno privato. L’armadio è ricco di splendidi abiti, così, dopo essermi rilassata con una doccia – non avevo mai fatto una doccia, è bellissimo! – ho esplorato con dovizia tale tempio di stoffa.

C’è una grande varietà di abiti colorati. Il più bello di tutti è però un vestito leggero, lungo, bianco adornato da motivi floreali cuciti con fili d’orati.

Io però so già cosa indossare: un paio di comodi pantaloni verdi, una camicetta chiara e vellutata. Qualcosa di comodo. E poi questi pantaloni sono molto soffici: amo le cose soffici.

Come Ranuncolo: ha un pelo tanto morbido!

In questo momento ricordo di non averlo salutato. Chi si occuperà di lui? Katniss non l’avrebbe fatto comunque, ma la mamma? Se ne ricorderà?

Ranuncolo sa badare a sé stesso, però. Perfino lui avrebbe più possibilità di me nell’arena.

Una volta pronta decido di raggiungere il vagone ristorante, dove Effie si era raccomandata di ritrovarci a un’ora dalla partenza.

Mancano dieci minuti, ma poco importa, io sono già qui.

La cabina ristorante è quanto di più lussuoso io abbia mai avuto modo di osservare. Altro che palazzo di Giustizia! Perfino l’aria qui varrebbe un mese di cibo.

Lampadari, tavoli imbanditi, cibo che sa di delizia, profumi d’aromi speziali.

Infondo, a precedermi, sta seduto Rory. Mi sorride. È la mia occasione per parlargli.

— Ciao, Prim.— saluta. Lo raggiungo, prendendo posto accanto a lui. Faccio silenzio. Non so da dove cominciare, manco di parole: devo sgridarlo, ma come?

— Allora, non dici niente?— chiede.

— Sei uno stupido.— lui scoppia a ridere. Anche in questo momento, non posso non pensare a quanto perfetta sia la sua risata.

— Perché l’hai fatto?

— Per te, ovviamente— risponde — Per non lasciarti morire da sola. Mi dispiace Prim. Abbiamo sempre fatto tutto insieme: faremo insieme anche questo.

Avrei tanto ancora da dire. Dovrei far notare come Hazelle fosse già disperata per la morte di Gale e che vedere pure Rory trucidato in diretta non avrebbe potuto altro che annientare la sua già provata psiche. Dovrei pure nominare Posy e Vick, i quali sarebbero stati costretti a seguire la morte del fratello tramite TV. Eppure non posso fare altro che abbracciarlo e piangere poche, silenziose lacrime. 

Rory mi culla. Sento che sta per piangere, sento che cerca di trattenersi, sento che lo fa per me.

— Grazie, Rory— dico.

In questo momento veniamo interrotti da Effie. Entra così, stile tornado, parlando parlando e parlando.

— Abbiamo tantissime cose da fare e così poco tempo per farle che mi viene il mal di testa! Fortuna che il treno non ha subito rita…dov’è Haymitch?— Intanto si siede lungo la tavolata. Questa è stata imbandita d’ogni leccornia: paste, pani, zuppe, pesci e carni. Tanto di quel cibo che io a casa con la metà ci sfamo il Distretto 12.

— L’ultima volta che l’ho visto ha detto che aveva intenzione di farsi un sonnellino— risponde Rory.

— Beh, è stata una giornata impegnativa!— commenta lei, sollevata. E le credo! Insomma, dopo tutto il pasticcio combinato alla Mietitura un po’ di lontananza non poteva che giovarle.

Iniziamo col servirci d’un primo sostanzioso. Effie ripete e ripete che sarebbe opportuno trattenere un po’ di spazio per altre portate, ma sentiamo solo d’aver alle spalle dodici anni di fame finalmente saziabili.

Così c’ingozziamo di tutto e più, poca grazia, molta ingordigia.

— Almeno voi avete delle maniere decenti— dice Effie — I due dell’anno scorso mangiavano tutto con le mani, come selvaggi. Mi hanno completamente guastato la digestione.

I due dell’anno scorso erano ragazzi del Giacimento che non hanno mai, e dico mai,  avuto abbastanza per mangiare. Ovvio che, nel vedersi sommersi da tali leccornie, fossero principalmente attenti al cibo, più che al galateo.

Mamma era una di città, ha insegnato alle sue figlie come comportarsi in presenza di ospiti. E io l’avevo insegnato a Rory. Quindi, morale della favola, Effie aveva ben poco da dire in proposito.

Finita la cena sento già l’impellente bisogno d’andare a vomitare. Rory è d’un verde preoccupante.

Dopo aver però sopportato dodici anni di zuppa alla “Sae la Zozza”, sento di poter, in qualche modo, tirare avanti. Così, pur schiacciata dai capricci di stomaco, raggiungo lo scompartimento con TV per poter seguire le repliche delle Mietiture.

Una dopo l’altra, vediamo le chiamate dei nomi, il farsi avanti dei volontari o, più spesso, la loro assenza. Rory, per il Distretto 12, sarà stato sì e no il primo. E un motivo c’è. Mi si stringe il cuore.

Ho sempre detto d’avere una buona memoria. Meglio, l’ha sempre detto Katniss, Rory conferma. Ricordo così i volti di alcuni tra i tributi.

Ricordo bene la bellezza della ragazza dell’uno, il volontario del due con il tributo femminile, la ragazzina del quattro, quella rossa del cinque – che mi spaventa per l’intelligenza che sento appartenerle negli occhi – il tributo maschile dell’otto, entrambi quelli dell’undici, l’uno perché grande e grosso, l’altra perché piccola e fragile.

Per ultimo fanno vedere il Distretto 12, io sul palco, Haymitch con la sua spettacolare caduta, Peeta Mellark estratto, Rory volontario. La nostra stretta di mano che sa tanto di rimpianto.

I commentatori sembrano stupiti nel constatare l’età di Rory. I volontari sono già rari di per sé, ma nessuno aveva ancora tentato l’impresa tanto giovane.

Effie Trinket, intanto, è seccata per le condizioni in cui era la sua parrucca – Il vostro mentore ha molto da imparare su come dev’essere una presentazione. E sul comportamento da tenere in TV.

Haymitch era ubriaco! Certo che da ubriachi non si resiste tanto.

— Poveretto, era sbronzo— dico.

— Non è una giustificazione! Vi rendete conto che Haymitch potrebbe essere la vostra unica ancora di salvezza, nell’arena? È il vostro consigliere, il cacciatore di sponsor! Cosa potrà mai consigliarvi e come potrà mai procurarvi sponsor se non si regge nemmeno in piedi?

Io e Rory ci guardiamo. Effie ha ragione. Haymitch ci serve integro e al pieno delle sue facoltà mentali.

In questo momento è proprio Haymitch ad entrare, farfuglia qualcosa sulla cena e, così, di getto, vomita.  

Effie lascia allora la stanza con un sospiro, ma come fa? Come può abbandonare un uomo in simili difficoltà?

Io mi alzo di getto portandogli una mano alla fronte, l’altra appena sotto le spalle. Haymitch vomita l’anima.

— Rory, va a preparare la vasca da bagno!— dico, e lui corre.

Intanto io, con lentezza, cerco di condurlo al bagno. Mezzo lo trascino.

Fortuna che Rory è stato veloce! Insieme spogliamo il nostro mentore, lasciandolo adagiare nella vasca.

Lo tratteniamo per impedirgli di scivolare e intanto lo cospargiamo di schiuma. Attrezzatura alla “Capitol City”. A casa non avrei potuto altro che immergerlo nella vaschetta in legno.

Ci vuole un po’, ma riusciamo a sistemare Haymitch nel letto. Ormai è andato.

— Lui è la nostra unica possibilità— dice Rory, ed è vero: la nostra unica possibilità è un ubriacone incallito. Quindi, noi non abbiamo una possibilità.




 

Bacheca dell'autrice


Questo capitolo segue molto la prima parte degli Hunger Games, ma presto si distaccherà parecchio: tutti i personaggi del primo libro agiscono come agivano nel primo libro, ma siccome Prim e Rory non sono Katniss e Peeta, allora le cose andranno avanti in maniera MOLTO differente. Perdonate questo capitolo, quindi.

É scritto con uno stile meno carino rispetto a quello precedente, ma ci tenevo a pubblicare oggi. Il prossimo arriverà a breve e certamente sarà più interessante. O almeno spero.




 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 



Questa notte non riesco a dormire.

Penso alla mia mamma. Penso a Katniss e alla disperazione provata nel sapermi tributo. Penso a Ranuncolo e a quanto forse senta la mia mancanza.

Penso al ’12, che ho scoperto amarmi.

Mi rigiro freneticamente nel letto, su e giù, su è giù. Non riesco a dormire.

Allora mi alzo, cauta nel buio della stanza. Scivolo oltre la soglia e cammino verso quella che so essere la stanza di Rory.

Non busso, starà dormendo. La stanza è immersa nella penombra, ma scorgo, oltre il letto, la sagoma del mio amico. Non sta dormendo.

Riconoscerei ovunque il risplendere dei suoi occhi chiari.

— Ciao, Prim— saluta, e io mi faccio piccola piccola per la figuraccia.

— Non riesco a dormire.— dico.

— Neanch’io— detto ciò alza un po’ le lenzuola invitandomi nel letto. Ne sono felice: Rory, anche in questa situazione, anche in questo treno, anche ora, non sembra intenzionato a lasciarmi.

Mi accoccolo contro il suo petto, fortunatamente più muscoloso di molti altri ragazzi al Giacimento, rinvigorito da anni di corse tra la casa e il Prato, o grazie ai giochi di resistenza che portavamo avanti qualche tempo fa. Prima della Mietitura. Prima d’essere mandati a morte.

Ce ne rimaniamo così, accoccolati gli uni sugli altri. Presto ci addormentiamo.

Questa notte, sogno Rory attaccarmi nell’arena. Mio padre è lì che grida “corri, Prim, corri!”, ma io mi muovo lenta, lentissima, neanche avessi diecimila pesi a gravarmi sulle spalle. A Rory non serve raggiungermi, però. Con uno dei suoi tiri precisissimi mi scaglia contro un coltello. Cado a terra, quasi rotolando, ma non sono ancora morta. Vedo Katniss da lontano gridare il mio nome, disperata, un’accusa al dolore causatole lasciando che mi estraessero.  

D’improvviso le ghiandaie imitatrici prendono a cantare la melodia dell’albero degli impiccati, canzone un tempo interpretata da Katniss, prima della ferma abolizione di mia madre. Ero piccola, allora, ma ricordo ancora un paio di parole e il ritmo melodico della canzone.

Dopo ore di incubi è Effie a risvegliarmi, col suo trillante “su, su, su! Sarà una grande, grande, grande giornata!” da fuori la porta. Mi rigiro verso destra, dove so non esserci nessuno, e casco miseramente a terra.

Sento risuonare la splendida risata di Rory.

— Bel modo di iniziare la giornata!— dice, sempre ridendo. Per dispetto l’afferro per un piede trascinandolo giù con me, ma calcolo male la distanza e Rory finisce col schiacciarmi completamente. Scoppiamo entrambi a ridere.

Prima di alzarsi, Rory mi lascia un bacio sulla guancia, come fa sempre, e penso “è proprio un bel modo di iniziare la giornata”.

Rory indossa un pigiama. Di solito dorme mezzo nudo, lo so perché dopo la morte di Gale è venuto spesso a casa mia, quando mia madre era troppo occupata con Katniss. Abbiamo dormito insieme più e più volte.

— Bel pigiamino. — dico. Lui scoppia a ridere, di nuovo.

— Posso dire lo stesso di te, paperella!— e non m’irrigidisco certo per l’allusione alla grossa testa da papera sul mio pigiama, quanto piuttosto al ricordo di chi, prima di Rory, avesse avuto occasione di chiamarmi in quel modo.

Katniss. Prima della Mietitura. Katniss.

Senza dire niente m’alzo in piedi e corro nell’altra stanza. Scorgo l’immagine di Rory fissarmi stupito.

So di essere una persona particolarmente emotiva, ma quando si parla di Katniss divento assurdamente triste.

Non sto piangendo, no, questa volta non posso. Nell’arena non avrò tempo per piangere. Questa è un’esercitazione all’arena.

Però ho bisogno del mio silenzio e il battere frenetico di Rory contro la porta non aiuta!

Avrei voluto gridargli di andarsene, ma non posso gridare contro di Rory.

Così lo lascio bussare, per tanto, tanto tempo. Dieci minuti dopo smette, mi sento meglio.

Prendo grossi respiri, nel cercare di dimenticare Katniss, quando sono sicura di poter resistere mi decido ad uscire.

Apro la porta e, inaspettatamente, Rory – che a quanto pare è rimasto tutto il tempo con la schiena appoggiata contro il legno della porta – mi casca addosso.

Scivolo per terra schiacciata dal suo peso, sbattendo non troppo forte la testa contro il pavimento.

— Perché da quando siamo saliti su questo treno non fai altro che cascarmi addosso?— chiedo scherzando.

Lui mi sorride. Ci tiriamo in piedi, spolverandoci i vestiti.

— Mi dispiace per prima.

— Non c’entri niente.— rispondo— è colpa mia. Sai, Katniss mi ha chiamata “paperella”, prima della Mietitura. Mi sono solo ricordata di lei. Non succederà più, non voglio succeda più.

Rory mi sorride, baciandomi una guancia.

Amo quando mi bacia le guance.

— Sai, prima che tu venissi a dormire con me stavo pensando a Gale. — la sua voce si fa triste, malinconica. — e pensavo che certamente mi avrebbe impedito di offrirmi volontario. E pensavo che…che mi avrebbe odiato. Se fosse ancora vivo, dico. Dopo tutto quello che ha fatto per me, io come lo ringrazio? Andando volontariamente a morire.

Gli accarezzo una guancia, poi lo abbraccio. È un abbraccio triste, solitario. Un abbraccio che sa di dolcezza.

Ha bisogno di me quanto io ho bisogno di lui. Finché dura, noi staremo insieme.

Lo cullo un po’, come fosse un bambino, poi però sento il suo stomaco lamentarsi. Sorrido.

— Hai fame?
— Da morire. Il super banchetto di ieri non è servito a niente, dodici anni di fame vanno saziati con dovizia. Ci riusciremo mai, prima di finire dell’arena?
— Io spero di mettere su qualche chilo. Sai, so già che entro un paio di giorni diventerò qualcosa di molto simile a uno scheletro che cammina.

Lui annuisce, sorridente.

Il vagone ristorante è bello quanto era bello il giorno prima. I tavoli imbanditi sono ricchi di leccornie e, incredibilmente, su una sedia sta seduto Haymitch. Meno sbronzo di ieri, per giunta.

Io e Rory ci sediamo al suo stesso tavolo, guardando diffidenti le profonde e inquietanti occhiaie dell’uomo.

Veniamo serviti di tutto punto, facendo piazza pulita. 

Rory intanto guarda Haymitch. Lo fissa per tutta la colazione, concentrato.

So cosa sta pensando: è l’occasione buona per parlare un po’ con lui, senza Effie.

Dopo una quindicina di minuti finalmente si decide a parlare, reticente.

— Allora Haymitch….ehm…cosa ci dici?

Haymitch solleva seccato un sopracciglio, posando sul tavolo il caffè corretto.

— Dico che siete due scriccioli sfortunati.

— Vorremmo uscire dall’Arena, però.— riprende Rory.

— Allora vi auguro buona fortuna.

Né io né Rory sappiamo cosa dire. Ci guardiamo per un paio di secondi, sconcertati.

Sapevano che Haymitch come mentore non è proprio un gran ché, ma speravamo in qualcosa di meglio.

— Non dovresti cercare di farci sopravvivere?— chiedo allora, facendomi però piccola piccola contro la sedia.

Haymitch scoppia a ridere. Mi fa quasi paura. Ride come un animale, affannando rauco.

Allora non mi azzardo a dire più nulla, e la conversazione si chiude qui. Io e Rory abbiamo perso anche la nostra ultima possibilità di sopravvivere.

 

Il Centro Immagine è dove alcuni abitanti di Capitol City ci preparano per la sfilata dei carri.

Me lo immaginavo più sobrio, ad essere onesta, ma cosa c’è poi di sobrio a Capitol City? È tutto un tripudio di colori, dalle case, alle strade, agli abitanti.

Mi hanno separato da Rory, ognuno di noi avrebbe avuto il proprio stilista personale e la propria troup di preparatori. Quelli mi hanno denudata e costretta ad atroci sofferenze.

— Sei quasi pronta — esulta Octavia. — e sei stata bravissima, neanche un lamento piccolo piccolo.

Certo che non mi sono lamentata: sono stati tanto carini con me, così dolci, che non meritavano proprio alcun rimprovero.

Non mi piace il colore della pelle di Octavia, né gli innumerevoli tatuaggi di Venia. Sembrano così poco umani! Spero che il mio stilista non decida di imbruttirmi come loro.

Però devo dire che hanno fatto proprio un bel lavoro. Ora la mia pelle è liscia, i capelli ordinati, le unghie ben fatte, le gambe pulite.

— Grazie — dico — non sono mai stata così bella.

Al che dire loro si sciolgono e prendono ad accarezzarmi e ad adularmi.

— Sei bellissima Prim, bellissima! E anche così dolce che mi viene da piangere!
— Oh Dio, che amore!

— Farai furore alla sfilata, sei troppo carina.

Divento un po’ più rossa. Penso che mi vedano ancora troppo bambina, ancora troppo adorabile. Mi coccolano, mi fanno i complimenti. E io li faccio a loro.

Dopo una ventina di minuti compare in stanza un terzo uomo.

Ha un volto quasi normale, dei capelli rasati castano naturale, una leggera passata di eye-liner a risaltarne le pagliuzze dorate.

Quando lo notano, Venia, Octavia e Flavius prendono a scusarsi per non aver avvertito del lavoro concluso.

— Non preoccupatevi— dice lui— ora però andate, devo parlare con Primrose. 

I tre preparatori, con poche ultime carezze, si allontanano dalla stanza.

L’uomo, che credo sia Cinna, il mio stilista, mi passa un accappatoio e io mi ci accoccolo dentro. Amo le cose soffici!

Cinna mi fa strada per un salotto incredibilmente sobrio: vi sono solo due divani rossi separati da un piccolo tavolino, tre pareti totalmente insignificanti e una quarta vetrata, che da sulla città.

Ci accomodiamo l’uno di fronte all’altro e poi, con un pulsante, Cinna fa comparire il pranzo: pollo guarnito con fette d’arance.

Magari a casa bastasse premere un bottone per mangiare pollo e arance! Anche perché io l’arancia l’ho assaggiata una volta sola ed ero troppo piccola anche solo per ricordarmene il gusto.

Trovo assurdo che da noi bisogna farsi in quattro per qualche fetta di pane e qui invece basti premere un pulsante.

— Come dobbiamo sembrarti spregevoli…— sussurra tra sé e sé Cinna.

— No, solo degli ingenui fortunati.— rispondo.

Lui mi guarda stupito. Non penso che s’aspettasse una risposta. Ha un’aria interrogativa, ma non intendo spiegare a uno di Capitol City quel che penso di gente come lui.

Semplicemente credo che siano troppo fortunati per comprendere la sfortuna di noi altri, troppo abituati al lusso per sapere cosa vuol dire esserne privati. Per loro è quasi peggio terminare l’eye-liner che rimanere a corto di cibo.

Non fosse che non rimangono mai a corto di cibo.

— Non importa— dice Cinna — Allora Primrose…

— Chiamami Prim.— specifico subito.

— Prim. Parliamo della cerimonia di apertura. La mia socia, Portia, è la stilista del tuo compagno, Rory. E al momento abbiamo in mente di farvi mettere dei costumi complementari. Come sai, si usa rispecchiare l’atmosfera del Distretto.

Lo so. In genere il nostro Distretto fa piuttosto ridere, in quanto a costumi. O si indossano delle tute da minatore o ci si cosparge di carbone.

Più che altro non c’è molto da inventarsi per noi altri. Però quello del minatore è sempre stato il meglio. 

— Vedi, io e Portia pensiamo che il costume da minatore sia roba vecchia ormai— quindi sarò un mostro, intesi. — Nessuno si ricorderà di un vestito del genere. Entrambi, poi, riteniamo che sia nostro dovere rendere indimenticabili i tributi del Distretto 12. Perciò, invece di mettere a fuoco il processo di estrazione in sé, abbiamo intenzione di focalizzare il carbone.

Il ché mi mette paura, onestamente.
— E cosa facciamo col carbone? Lo bruciamo— dice Cinna. — quindi avevamo ideato un costume interessante. Un mantello e un copricapo infuocati.

— Indosserò del fuoco?— chiedo.

— Quella era l’idea iniziale, solo che poi siete stati estratti voi due. Forse sarebbe troppo rischioso cercare di farvi passare per esseri letali. Voi non sembrerete mai letali.

— Quindi? Niente fuoco?
E Cinna sorride.

 

Qualche ora dopo indosso quello che sarà il più sensazionale dei vestiti alla cerimonia di apertura.   

È un costume da angelo, bianco, candido, mi da un’aria adorabilmente dolce. Le ali sono piuttosto semplici, niente di sfarzoso o ingombrante, relativamente corte e leggere.

Indosso una coroncina scura, neanche troppo carina, ma indispensabile: Cinna ha intenzione di darle fuoco. Lo stesso intende fare con le mie ali, non interamente, sia chiaro, solo lungo i contorni.

Rory indossa un completo bianco candido e una coroncina molto simile alla mia. Non porta delle vere e proprie ali, quanto piuttosto una sorta di mantello, ai cui contorni verrà, ovviamente, appiccato questa sorta di “fuoco sintetico”.

Gli altri non sembrano prestarci davvero intenzione. A loro non importano i piccoletti del ’12. Non ci considereranno mai dei temibili avversari.

— Siamo sicuri che questo fuoco non brucerà?— chiede Rory, spaventato.

— Mi fido di Cinna, sembra uno a posto, sai?— lui annuisce. Portia l’aveva subito colpito. I nostri stilisti sembrano brave persone, nonostante tutto.

In questo momento prende a suonare la musica d’apertura. Saliamo rapidamente sul carro, mentre a uno a uno i vari tributi prendono a muoversi.

Cinna ci segue con la torcia e, nel momento in cui tocca quasi a noi, dà fuoco al costume. Non brucia. Rory si libera in un sospiro sollevato e io ridacchio un po’ per l’espressione stupita del mio migliore amico.

— Funziona.— esulta Cinna — Ricordate, testa alta. Sorrisi. Vi ameranno!

Penso che Cinna abbia detto altro, dopo, ma non riesco a sentire più granché: siamo fuori, tra le grida euforiche di Capitol City.

Lasciando cadere lo sguardo tra i monitor dell’Anfiteatro, noto quanto splendidi siamo io e Rory. Unici. Inimitabili.

Sentendomi un po’ malferma sul carro cerco di reggermi a Rory, tenendone le mano. Non si è mai visto nella storia, vero, ma quanto potrà mai significare una misera stretta di mano?

Ora sono tutti che ci acclamano, tutti che ci incitano.

— Primrose! Rory! Primrose, Rory!
Sorrido timida alle telecamere, un po’ impacciata, ma soddisfatta.

Stiamo rubando spazio agli altri tributi: le telecamere sembrano inquadrare praticamente solo noi.

Quando la parata ha fine, tocca al discorso, durante il quale percepisco sguardi seccati dai tributi eclissati. Mi intimoriscono quasi, così tengo stretto il braccio di Rory. Lui mi sorride.

Il suo sorriso è così bello da rendere insignificante tutto il resto.

Morirei per quel sorriso.

Per quel sorriso e per tutto il resto. 




Bacheca dell'autrice

Eccomi tornata dopo mesi...di...assenza. Ops. Ho ricevuto un paio di nuove bellissime recensioni e mi sono detta "perché no? Tanto metà capitolo è già stato scritto" e poi spero di ricevere altre nuove incoraggianti recensioni per questo nuovo lavoro...
Okay, è un po' lunghetto e sì, sto andando troppo velocemente, ma la prima parte del libro è caratterizzato dai flashbeck e non so come sostituirli, quindi mi spiccio ad arrivare nell'Arena, dove posso inventare qualcosa di mio. 
Come avete visto alcune cose stanno cambiando. Haymitch non darà una mano a Prim nell'Arena, perché Prim non è Katniss, perché Prim non riuscirà mai a colpirlo per forza e determinazione. Prim è solo l'ennesimo tributo. 
Fortunatamente qualcosa sta andando bene! Prim non fa nemmeno arrabbiare i preparatori, perché è troppo buona. 

E poi ho voluto cambiare un po' il costume. Così, perché ci avevo voglia. 

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