CAPITOLO QUINTO: ADDIO
PAPA’…
“Sei incinta?” Okuda era sconvolto.
“Sì…”
Takiko rispose con un sussurro. Non
perché aveva paura della reazione del padre, nemmeno perché si vergognasse
della cosa. Era talmente strano che forse nemmeno lei se ne rendeva ancora conto.
“….
Come mai non l’ho letto…?”
“Ci
sono cose che il libro non scrive…” fu tutto quello che la ragazza seppe dire.
Il
silenzio ricadde su di loro. Non avevano mai avuto una vera conversazione. E ora, che avrebbero dovuto discutere della situazione, non
sapevano nemmeno da che parte iniziare.
Takiko avrebbe voluto spiegarsi. Avrebbe voluto
avere il coraggio di dire apertamente quello che intendeva fare. Okuda avrebbe voluto dire alla figlia che le voleva bene. E invece nulla. Nessuno dei due riusciva a creare nella sua
testa una frase compiuta.
“E’
suo?” disse Okuda senza nemmeno guardarla.
Takiko non capì subito a cosa si riferisse
il padre, poi comprese. “S-sì… è suo figlio.”.
“Dovrei
essere arrabbiato. Si suppone che un padre che scopre che la figlia
diciassettenne è incinta sia sconvolto.”.
“Se pensi che ti debba chiedere scusa, ti sbagli. Non c’è
nulla per cui io debba scusarmi!”
“….
Sei incinta… cosa pensi di fare ora? Hai espresso i
desideri?”
“Ho
appena chiesto l’ultimo…” Takiko esitava.
“Cosa hai chiesto?”
“Di
rimanere per sempre nel libro…”.
Okuda sentì come un colpo allo stomaco. Una parte
di sé lo sapeva… aveva letto quel libro, aveva visto sua figlia innamorarsi…
Eppure non voleva crederci… Lei voleva dunque abbandonarlo. Preferiva uno
sconosciuto a suo padre.
“No!”
disse dando un pugno nel tavolo.
“Cosa… cosa vorresti dire?”
“Non
ti permetterò di tornare nel libro!!” urlò, era fuori
di sé. Non perché era incinta, ma perché non voleva essere abbandonato anche da
lei.
“E come pensi di impedirmelo?” rispose Takiko
sarcastica. “Ormai io faccio parte del mondo del libro. Sono venuta qui solo per fartelo sapere.”
“No…
tu non puoi abbandonarmi…” lo disse. Finalmente disse quello che sentiva. Era
la prima volta che lo faceva di fronte alla figlia.
Takiko ne fu colpita. Improvvisamente si sentì in
colpa. Lo stava abbandonando senza pietà. Anche se non le era
stato vicino, era pur sempre suo padre.
“Io…”
si accarezzò la fronte con una mano “io non voglio che
mio figlio cresca senza suo padre.” Disse piano.
Naturale.
Era così dannatamente naturale che Okuda in un primo
momento sperò quasi che quel bambino non venisse mai
al mondo. Subito provò disgusto per quel pensiero. Era suo nipote.
“Non
vuoi che si ripeta quello che è accaduto a te e a Yoshie…
questa è la verità. E non posso darti torto.”.
Takiko si avvicinò all’uomo e gli prese la mano.
“Io
ti voglio bene papà… non so se tu mi hai mai amato… ma io sì. Ti prego… se mi
vuoi bene… anche solo poco, non ti dico di accettare la mia scelta, ma almeno
cerca di comprenderla.”.
“Quando Yoshie mi ha lasciato mi
sono sentito morire. Per anni aveva seguito il mio sogno. Mi aveva visto
partire e tornare, senza mai rimproverarmi, senza mai riprendermi. Credeva nel
mio sogno, forse più di quanto abbia mai fatto io.”
Takiko chiuse gli occhi. Lente lacrime uscirono dai
suoi occhi. L’immagine della madre le tornò in mente.
“Tutti e due sappiamo cosa vuol dire amare qualcuno che non
appartiene a questo mondo… adesso che lei non c’è… mi rendo conto che tutta la
mia vita non ha avuto senso. Pensavo… ero convinto che comunque
lei ci sarebbe stata, che mi avrebbe aspettato… che avrebbe aspettato i miei
comodi… e invece non è stato così.”
Era
la prima volta che il padre parlava a Takiko della
morte della mamma.
“Lei…
era sempre lei a venire incontro a me… ora è giusto
che sia io ad andare incontro a lei…”. Takiko sbarrò
gli occhi…
“Cosa vuoi dire… cosa vuoi dire con questo?” disse agitando
la manica della veste paterna.
“Voglio
tornare da lei…”
“No…
no…” Takiko scoppiò a piangere… “Se questo è il modo
con cui pensi di farmi rimanere, sei crudele!”
“No…
non lo faccio per ricatto. Takiko, dimmi, qual è il
mio scopo ora? Hai ragione… vai da lui… e io andrò da lei… va bene così.”
“Ma
tu… è diverso… non stiamo facendo la stessa cosa..”
“Sì
invece…stiamo per andare in altri mondi… per seguire la persona che amiamo.”
Takiko non aveva il coraggi
di dire altro. Continuò a piangere.
“Takiko… ti voglio bene… davvero, te ne ho sempre voluto…
anche se sono stato lontano, ero convinto di fare
tutto per voi.” Abbracciò la figlia. Takiko ebbe
paura. Era una sensazione sconosciuta. Di pace e di angoscia
insieme. Sapeva cosa voleva fare il padre, ma sentiva di non potersi opporre.
Il discorso dell’uomo non era campato in aria… senza di lei,
senza la moglie non gli restava più nulla.
“E sei io restassi…” Takiko aveva
paura. Sentiva di avere dei doveri di figlia, e per la prima
volta sentiva di dover prendere in considerazione la volontà paterna.
“Non
te lo permetto. Dimentica quello che ho detto prima.
E’ giusto così. Se restassimo qui, finiremmo per
odiarci. Non è di me che hai bisogno ora. Se hai paura… non devi. Sappi che sono felice.” Okuda allontanò da sé la figlia per poterla vedere negli
occhi.
“Sono
fiero di te… hai fatto cose incredibili… che nemmeno io avrei potuto fare… Ti
stimo, e sono orgoglioso che tu sia mia figlia. Ero stupidamente convinto che
un figlio maschio avrebbe potuto
continuare la mia opera, ma mi illudevo… Va bene così…
se quello che ti rende felice è tornare nel libro, allora fallo. In ogni caso…
saremo in mondi diversi… ma saremo sempre padre e
figlia.”.
Takiko annuì. Ormai aveva fatto la sua scelta. Era
giusto così… che ognuno facesse quello che poteva renderlo più felice.
“D-devo andare… posso stare in questo mondo solo per poco… devo tornare di là…” Takiko
balbettò. Non era ancora completamente cosciente di quello che era accaduto e
stava accadendo.
“Abbi
cura di mio nipote… e abbi cura di te.”
“Addio
papà….”
“Addio…”
La
ragazza scomparì in un fascio di luce. La stanza si riempì di un dolce profumo
di ciliegi in fiore. Nel pavimento caddero alcune gocce: erano le lacrime di Takiko…
Nel
palazzo si sentivano dei passi. Una ragazza stava correndo, ansimando e
piangendo. Un ragazzo uscì da una stanza e la vide. La fermò e l’abbracciò. Lei
si lasciò andare. Pianse per tutta la notte.
Okuda si chiuse nel suo studio
quella sera. Prese una foto. Raffigurava Yoshie,
quando aspettava Takiko. Era bellissima. Era bella
come sua figlia ora.
“Hai
visto Yoshie? Avremo un nipote… non
temere… tra poco sarò da te…”.
Aprì
un cassetto della sua scrivania. Prese una scatola di velluto rosso. L’aprì
piano, meccanicamente. Probabilmente non stava pensando a nulla. Prese la pistola, l’appoggiò alla tempia… e sparò.