CAPITOLO PRIMO: LA LETTERA
"Caro
Osugi..
Ormai
non mi resta che affidare ogni cosa a te. Purtroppo il tempo sta per scadere.
In Cina ho trovato un libro sacro intitolato "Shijintenchisho".
Amante della letteratura quale sono ho deciso di
tradurlo, ma una volta completata la traduzione, il libro ha risucchiato mia
figlia Takiko tra le sue pagine. Sembra infatti che lo Shijintenchisho
sia dotato di uno strano potere magico. Mia figlia è diventata la protagonista
del libro, ha evocato la bestia sacra Genbu, ed è
tornata da me. Purtroppo però, lamentava
continui dolori dappertutto. Man mano che i suoi tre desideri venivano realizzati, il corpo di Takiko
era gradualmente divorato da Genbu. Capisci? Mia
figlia sta per essere mangiata viva! Ho deciso perciò di ucciderla e di
togliermi la vita. Prima di mettere in atto il mio progetto, ho anche tentato
di sbarazzarmi dello Shijintenchisho; gli ho dato
fuoco, ma non è bruciato. Sono certo che il libro sta aspettando le altre
sacerdotesse: quelle di Byakko, di Suzaku e di Seiryu. Ti
prego, caro amico: sigilla questo volume al mio posto! E' l'ultimo desiderio
che mi resta..."
Takao chiuse la lettera e
la ripose in tasca. Non poteva ancora crederci.
Era passato poco tempo
da quando Taki l’aveva salutato alla stazione. E ora stava per essere divorata. Non riusciva a spiegarselo.
Genbu? Chi era? Nella sua
mente comparve l’immagine di un gigantesco demone nero. Non riusciva a immaginare diversamente l’essere che, secondo la lettera
di Okuda, aveva divorato la sua Taki.
Non
che credesse davvero a quella storia. Come poteva?
Risucchiata in un
libro? No. Non poteva essere vero. Rise. Doveva trattarsi sicuramente di uno
scherzo. Crudele, un po’ meschino, ma sicuramente era uno scherzo.
Si alzò dalla sedia e
rimase immobile in piedi ad osservare quello strano volume allegato alla
lettera.
L’aveva già visto. La
sera in cui la madre di Taki era morta, Okuda aveva in mano quel libro. I suoi occhi rivelavano un
terrore muto. Come se in quel momento l’uomo avesse capito
tutto e, nello stesso tempo, niente.
Il
libro era lo stesso. La copertina di un rosso carminio e la rilegatura bianca
lo facevano risaltare rispetto agli altri noiosi
volume nerastri. Takao lo
prese in mano e cominciò a rivoltarlo perplesso.
Scomparsa. Quella
sera, Taki era scomparsa. Questo pensiero gli balenò
nella mente. Lo sguardo di Okuda…
ora lo capiva. Forse in quel momento l’uomo aveva capito dove si trovava la
figlia.
Perché non ne aveva parlato con lui? Forse non si fidava… eppure era
sempre stato un suo caro amico. O forse in quel
momento si sentiva in colpa e si vergognava…
Posò il libro
incredulo. Senza volere, stava dando credito a quella lettera.
“Che
idiozia!” esclamò.
Fece per abbandonare
la stanza. Da fuori si sentiva un cicalare gioioso. Era Suzuno.
Probabilmente la bambina era rimasta incantata dallo spettacolo che i ciliegi
in fiore rivelano in primavera. Nel suo viso balenò un sorriso da padre
soddisfatto. Padre. Anche lui, come Okuda era un padre. Avrebbe mai scherzato in quel modo
sulla vita di sua figlia?
Tornò indietro.
Riprese il libro con le mani tremanti e lo aprì. Prese la prima pagina e iniziò
a leggere ad alta voce. Come per far dare un tono sarcastico a quello che
avrebbe letto… perché, in cuor suo, sapeva cosa stava per leggere.
“La fanciulla
prescelta da Genbu aveva perduto la madre. Un litigio
con suo padre le aveva spezzato il cuore. Aprì la
porta che conduce nell’altro mondo e discese a Hokkan, la terra di Genbu. Il
nome della fanciulla che si era incamminata lungo il
percorso predestinato di sacerdotessa era Takiko.”
Il libro cadde. Le
mani tremanti non riuscirono ad evitarlo e Takao
rimase immobile, con gli occhi sbarrati a fissare il libro caduto.
Forse era stato Okuda a scriverlo… Forse era
un nuovo romanzo…
“Signore, Signore.” La
governate entrò nella stanza senza troppe cerimonie. Takao ancora sconvolto, si infuriò
per questa interruzione così brusca. Si girò intenzionato a rimproverare la
donna e a intimarle di uscire nuovamente dalla stanza,
quando qualcosa nel suo viso lo fermo. La donna stava piangendo. Il suo volto
era rigato dalle lacrime.
“Il professor Okuda…” balbettò. La brava donna sapeva quanto il padrone volesse bene a quell’uomo. E ora stava piangendo non tanto per la notizia in sé, quanto
perché sapeva che stava per dare al giovane signore un colpo ben assestato al
petto.
“E’ morto.” Continuò
esitante.
A Takao
sembrò che la sua mente diventasse nebbia fitta.
“C-cosa?”
“Questa mattina,
l’hanno trovato morto in casa sua, dentro il suo studio.”
Disse la donna. I suo più vivi presentimenti si erano
trasformati in realtà. Takao era come paralizzato.
“Come
è morto?” chiese guardando nel vuoto.
Era incredibile. Nello
stesso esatto momento in cui aveva visto le lacrime della donna, l’aveva
immaginato. Non era premonizione, non era un sesto
senso. La lettera l’aveva annunciato.
“Si è sparato un colpo
alla tempia.”.
Takao chiuse gli occhi. Anche questo non gli era nuovo del tutto.
“E
Takiko?”.
La governate
lo guardò perplesso.
“Takiko?
La signorina non si sa dove sia. Forse è scappata.”
Disse mesta. Le lacrime erano finite. Gli occhi rossi e gonfi rivelavano tutta
la lealtà che quella donna provava per il suo giovane signore.
“Povera ragazza”
continuò, come se stesse parlando da sola. “rimasta senza
padre, dopo aver perso anche la madre…”.
Takao non ascoltava.
Probabilmente Okuda aveva ucciso la
figlia, poi l’aveva seppellita da qualche parte in modo da darle
l’ultimo saluto. Infine si era tolto la vita come annunciato.
“Grazie” mormorò
distratto. “Potete lasciarmi solo?”. La donna annuì e se ne andò
chiudendo la porta.
Allora era vero! Genbu, il libro, Hokkan… era
tutto vero. In un altro momento questa rivelazione l’avrebbe colpito e
incuriosito. Ma ora come ora non era alto che un
contorno sfocato. Una cornice, uno sfondo. Qualcosa di lontano e poco
importate.
Erano morti. Okuda e sua figlia erano morti.
Questo era tutto quello che contava veramente in quel momento.