Frankie's Memories.

di DK in a Madow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Her eyes through the tears. ***
Capitolo 2: *** Damnit! ***
Capitolo 3: *** He sees she shiver with anticipation. ***
Capitolo 4: *** I can make you ... my woman! ***
Capitolo 5: *** I realize, I’m coming home. ***



Capitolo 1
*** Her eyes through the tears. ***


Frankie’s Memories

 

1.

Her eyes through the tears.




5 Aprile 1975 - Belasco Theatre, Broadway

Un colpo secco e la porta del camerino si chiuse alle sue spalle.

Era un fascio di nervi, ormai.

Chiuse a chiave quella dannata stanza e con passo annoiato si avvicinò alla poltrona di fronte allo specchio. Si piegò in avanti e con fare nervoso si tolse quelle scarpe che da anni gli massacravano i piedi. Le lanciò in fondo alla stanza, il rumore dei tacchi che sbattevano sul pavimento. Si liberò dalle calze a rete e violentemente slacciò con un solo gesto il bustino rosso che gli fasciava il petto robusto e liscio.

Si accasciò sulla poltrona, la schiena sudata e la testa rivolta all’indietro.

Era stanco, gli occhi verdi nascosti dietro le palpebre marchiate di nero, il respiro affannato, il tormento del caldo nonostante avesse addosso solo un semplice slip di seta nera.

Il tempo scorreva lento, trascinato da un orologio pigro e dal rumore di lancette consumate. L’uomo, ancora seduto su quella poltrona, riversò tutta la sua frustrazione in un sospiro che gli allargò il petto e lo destò dalla stanchezza. Sollevò leggermente la testa e lo rivide.

Erano anni, ormai, Frank!

Sempre gli stessi occhi, sempre le stesse labbra  carnose iniettate di rosso, i capelli neri, ricci e folti che si incollavano al volto incipriato di bianco.

- Dr. Frank’n Furter, ancora non vuoi tornare a casa! – sussurrò sprezzante l’uomo al proprio riflesso, la voce calda e morbida attraversata da un nervo di disprezzo.

Poi, si voltò verso l’armadietto di fianco allo specchio e aprì il primo cassetto in cerca di qualcosa con cui struccarsi, ma ben presto la sua mano si strinse intorno ad un pacchetto e ad un foglio di carta. Afferrò irritato il contenuto del cassetto e lo lanciò sul tavolino posto sotto allo specchio.

Un pacchetto di sigarette. Una foto ingiallita.

- Ma che cazz…- poi si bloccò, impietrito dai ricordi. Lentamente aprì il pacchetto di sigarette in cui vi era un vecchio accendino arrugginito. Lo prese insieme ad una delle tre sigarette rimaste e l’accese.

Con sguardo diffidente e aspirando con gusto il sapore del tabacco, afferrò con mano tremante la foto. Immediatamente, una morsa fastidiosa si presentò tra cuore e stomaco, mentre riguardava con occhi lucidi quelli di lei.

La sigaretta scivolò dalle sue labbra.

- Susan! –

Lei, da quella foto consumata, rispose con un sorriso e un braccio intorno al collo.

Ripose la foto sul tavolo, si passò una mano tra i capelli e la nuca, quasi a voler richiamare quel tocco.

- Sei solo un coglione, Tim. – sussurrò a se stesso, un’espressione persa e i suoi occhi che seguivano un rivolo nero che, amaramente, si delineava sulle sue guance marcate d’avorio.

L’anima di Tim sporca di ricordi e mascara.

La maschera di Frank, impressa sul suo volto, gl’impediva ancora di ricominciare a sorridere.

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Capitolo 2
*** Damnit! ***


2.

 

Damnit!

 

 

 

Ottobre 1974 - Londra

 

La piccola chiesetta era diventata fin troppo affollata. Riflettori, macchine da presa e circa una ventina di persone vestite elegantemente, due sposi pronti per uscire fuori dal piccolo portone appena Jim avrebbe dato il “via”.

- E … AZIONE!

La voce di Jim arrivò roca da un megafono e il portone si spalancò invadendo di luce quello sgabuzzino trasformato in chiesa. Il suono gioioso delle campane arrivò chiaro e forte dagli amplificatori, mentre i cameraman iniziavano a muoversi intorno alla piccola folla in festa.

Era il quadro perfetto della felicità, tranne loro.

Richard, Patricia e Tim. Le loro facce sarebbero state perfette per un funerale, i primi due vestiti da sacrestani e il terzo negli abiti di un prete. Appena il “fotografo” scattò la foto ricordo per gli sposi, Tim si voltò verso il portone, l’aria di chi vorrebbe essere ovunque, tranne lì.

- E … STOP! Ok, ragazzi, siete stati grandiosi. Un momento di pausa e poi attacchiamo con “Damnit, Janet!”, ok?

Mentre la truppe rispondeva con un “ok” generale, Tim scese le scale della chiesetta, dirigendosi verso la piccola roulotte parcheggiata a pochi metri dal set. Appena fu dentro, si liberò della tunica ingombrante sotto la quale indossava dei jeans attillati e una maglietta bianca. Frugò tra le tasche e vi trovò una sigaretta e il suo amato accendino argentato. Uscì lentamente dal mezzo, avvicinandosi con piccoli passi al set.

- Ne avresti un’altra, Tim?

La voce nasale di Richard lo riportò alla realtà.

- Certo! – rispose, porgendo un sorriso e una sigaretta all’uomo che gli stava di fronte; - Ancora mi chiedo come tu abbia creato tutto questo.

- Incubi e fantasia, Timmy, dovresti saperlo!

- Che vuoi dire? – chiese inarcando un sopracciglio.

- Tim, è da due anni che ti conosco e certe cose non puoi nasconderle a un figlio di puttana come me! – rispose, mentre lui e Tim esplodevano in una risata.

- Sono solo un po’ stanco, tutto qui Rizz!

- Si. Ok!

Tim non rispose, si limitò a sorridere dolcemente al padre del Rocky Horror Show, che improvvisamente aveva iniziato a fissare qualcosa tra la truppe.

- Che hai? – chiese Tim.

- È raggiante.

- Chi?

- Susan!

- Susan?

- Non sai chi è? – disse Richard, gli occhi sgranati e l’espressione basita. – Susan! Susan Sarandon!

- È quella che deve interpretare Janet?

- Si, quella conciata come un confetto! – disse Richard con un ghigno.

Tim prese a scrutare tra gli attori fino a scovare una biondina vestita di rosa che ascoltava attentamente Jim che gesticolando le stava dando delle istruzioni.

- Buh!

- Che c’è? – chiese Tim, svegliandosi di soprassalto dalla piccola trance.

- La stavi fissando…

- Ma non è…

- … a bocca aperta.

- Non incominciare!

- Va bene! – sghignazzò Richard, portò alla bocca la sigaretta arrivata al filtro e, dopo un ultimo tiro, la buttò a terra e la calpestò. – Amico, io vado al trucco. Ci si vede dopo!

- Ok Rizz! – disse Tim che era tornato a fissare Susan.

- Buonanotte! – ridacchiò sotto voce Richard, allontanandosi.

Continuava a fissarla, sembrava non riuscisse a distogliere lo sguardo da quella visione. Poi, neanche il tempo per un battito di ciglio e lei si voltò. Prontamente, Tim distolse lo sguardo, arricciò le labbra e lanciò via la sigaretta. Voltò le spalle, per esser tranquillo di non tornare a fissarla.

- Così tu saresti Tim!

Una voce femminile lo fece sobbalzare, si voltò e si trovò faccia a faccia proprio con Susan.

- Beh, sembrerebbe di si! – disse, sorridendo nervosamente e porgendole una mano – Tu sei Susan, vero?

- Esatto! – rispose lei, stringendogli la mano con un sorriso smagliante – Ho sentito parlare molto di te!

- Ah, si? E cosa dicono?

- Che sei un talento. – disse lei continuando a sorridere – E che qualunque donna pagherebbe in oro per poter camminare sui tacchi come te!

Tim rise a quell’affermazione.

- È solo questione d’abitudine. Sei mai stata allo spettacolo teatrale?

- No, ne ho soltanto sentito parlare, ma quando è arrivato il copione ho guardato Chris e gli ho detto ‘questo è assolutamente geniale’.

- Chris?

- Si, mio marito! – disse lei con un mezzo sorriso.

- Oh, non credevo fossi sposata!

- Lo sono da sette anni ormai.

Tim la guardava incredulo. Non lo credeva possibile, era troppo giovane.

- Sette? Ti sarai sposata a dieci anni allora!

- Ah, no! – rise lei – Ho ventotto anni suonati!

- Cristo, ti facevo più giovane, invece siamo coetanei…

- SUSAN! SI GIRA – la voce di Jim troncò in pieno la conversazione.

- Scusami, devo andare Tim! È stato un piacere! – e così dicendo, si fiondò in direzione della chiesetta dove l’aspettava Barry.

Tim la seguì con lo sguardo, incontrò quello di Barry e si salutarono con un cenno e un sorriso.

- Tu, Tim, preparati. Alla prossima si gira “Sweet Transvestite”.

- Okeeeeeeey! – rispose lui in perfetto stile Frank’n Futer, sollevando la risata della truppe.

E la sua.

Il fatto che lui la facesse ridere e il suo matrimonio un po’ meno, trasformò lo stato d’animo di Tim. Dopo due anni sentiva il peso della maschera di Dr. Frank’n Futer, ma, ne era certo, il sorriso di Janet l’avrebbe alleggerito.

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Capitolo 3
*** He sees she shiver with anticipation. ***


3.

 

He sees she shiver with anticipation.

 

 

 

- I see you shiver with antici... pation! But maybe the rain isn't really to blame. So I'll remove the cause, but not the symptom.

- STOOOOP! Ok ragazzi, per oggi abbiamo finito! Tim sei stato favoloso come sempre. – disse Jim avvicinandosi all’attore.

- Jim, quanto credi che dureranno le riprese?

- Credo che ne avremo per ancora quattro settimane, ma puoi star tranquillo che voleranno presto! – rispose Jim con un sorriso smagliante.

Tim non rispose, limitandosi a passarsi una mano tra ricci folti e corvini, per poi avviarsi verso le camere da presa per afferrare una vestaglia. Faceva un freddo cane in quei giorni e andare in giro per un castello con addosso solo un corsetto e un paio di mutande non era per niente piacevole. Era scomodo e attirava fin troppi sguardi.

- Stanco Tim? – la voce calda e delicata di Patricia lo accolse mentre si dirigeva verso di lei.

- Non sai quanto! – rispose lui col sorriso più dolce del pianeta e avvicinandosi a un tavolo per prendersi un po’ d’acqua.

- Posso capir…

- Suvvia vecchio Tim, su con il morale! – una voce squillante e un paio di braccia intorno al collo, fecero sobbalzare Curry.

- Nell, sei sempre la solita. Guarda che hai combinato! – disse rivolgendosi alla rossa che aveva fatto irruzione e mostrandole la vestaglia bagnata d’acqua.

- Non ti sarai mica offeso per un po’ d’acqua, Timmy! – rispose lei, con un sorriso a tremila denti.

- Certo che no, piccola! – disse lui, stampandole un lieve bacio sulla guancia, lasciandole tracce di rossetto sul viso marcato di bianco.

- Vedo che ti sei vendicato! – disse lei, strofinandosi la guancia per far sparire le tracce, mentre Tim le rispondeva con una linguaccia.

- Ehm, scusatemi. Vorrei prendere un po’ d’acqua.- la voce di Susan interruppe il piccolo teatrino in corso.

- Oh, tieni! – disse Tim, affrettandosi a riempirle il bicchiere per poi porgerglielo.

- Grazie mille! – disse lei con un filo di voce, per poi scappare via, anche se a Tim non sfuggì un piccolo dettaglio.

- Dovremo chiamare i pompieri! – esclamò Patricia funerea.

- Eh? – chiese Tim fingendo di non capire.

- Aveva le guance in fiamme, Curry, non fingerti sorpreso. – continuò Pat con un mezzo ghigno – Lo sai già che la piccoletta non ti resisterà a lungo, vero?

- Cosa te lo fa pensare? – chiese lui sarcastico.

- Istinto femminile!

- Io sono d’accordo con Pat! Susan… ma dove vai?

- Vado a prepararmi per la scena in laboratorio, pettegole! – disse Tim con un sorriso smagliante allontanandosi dalle due che lo guardarono allibite.

Forse era vero, forse no. Sentiva che qualcosa non andava in Susan. Cercava di evitarlo con la scusa della bronchite che aveva preso a causa delle scene girate sotto la pioggia. E se Patricia avesse avuto ragione? Beh, in quel caso sarebbe stato un vero casino. Susan era sposata e in più vi era il fatto che anche Barry si fosse invaghito di lei. Si, anche Barry.

- Smettila Tim, cazzo! – sussurrò a se stesso l’attore, mentre si avviava ai camerini, quando fu fermato da un singhiozzo.

- Chris ti prego ascoltami!

Tim si arrestò giusto in tempo per nascondersi dietro una colonna a pochi metri dal corridoio dei camerini, in cui vi era Susan che parlava al telefono e in preda alle lacrime.

- Ma è il nostro lavoro, lo sai! Fidati di… - disse, per poi bloccarsi e guardare il telefono. Riattaccò. Probabilmente suo marito le aveva sbattuto il telefono in faccia.

Tim, indeciso sul da farsi, la osservò per qualche istante, mentre lei scivolava lungo la parete del corridoio per poi piangere rannicchiata sul pavimento. Decise che doveva andare da lei e si avvicinò.

- Ssh Susan, va tutto bene!

- Eh? Tim, c-che ci fai qui?

- Niente, ti ho solo vista piangere e ho pensato avessi bisogno di aiuto – disse, rannicchiandosi di fianco a lei.

- Il mio matrimonio va a puttane! – esclamò lei dopo qualche istante di silenzio – Ed io sono troppo lontana da casa per impedire che ciò accada. – concluse, ritornando a piangere.

Tim, in silenzio, pensò che probabilmente in quel momento le parole erano inutili, quindi gentilmente le passò due dita sulle guance asciugandole il viso. Lei sorrise.

- Grazie Tim! – disse, iniziando inspiegabilmente a tremare.

Lui non le rispose, le diede un lieve bacio sulla fronte e l’attirò a sé abbracciandola. Lei si irrigidì, presa alla sprovvista, ma dopo qualche secondo Tim sentì il suo corpo che si rilassava tra le proprie braccia e lei ricambiò l’abbraccio.

- Adesso andiamo, la mia “creatura” deve nascere! – disse Tim.

- Va bene! – disse lei, il viso asciutto e il sorriso disteso.

L’una lo specchio dell’altro.

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Capitolo 4
*** I can make you ... my woman! ***


4.

I can make you … my woman.

 

 

 

- Mi prometta che non dirà nulla a Brad!

- Che mi venga un accidenti!

Le labbra di Tim, morbide, piene, si poggiarono leggere su quelle delicate di Susan. Una risata increspò quelle di entrambi subito dopo, prima che Jim pronunciasse il suo consueto “stop”.

Tim si alzò in fretta dal letto a baldacchino in cui stavano girando le “bedroom scenes”. Non sarebbe rimasto un minuto di più. Non poteva, non ci riusciva. Non era facile girare mezzo nudo per un set con lei che era sempre tra i piedi. Era pur sempre un uomo e gli istinti non svaniscono con la recitazione.

Rosso di vergogna abbandonò il set, rifugiandosi in camerino. Si buttò sul divano, pregando il cielo che lei non si fosse accorta di nulla. Era bastato un fottuto sguardo prima del bacio, che stare sopra di lei in quel modo era diventato un’impresa.

- Vaffanculo! – urlò tirando un calcio alla sedia che aveva di fronte a lui. Si tolse la ridicola vestaglia azzurra che aveva addosso, rimanendo in slip, le mani intrecciate nei capelli e il respiro pesante.

“Sei un attore, cazzo!” continuava a ripetersi nel cervello, una litania che, sperava, l’avrebbe aiutato a controllarsi.

Dopo un paio di minuti, sentì bussare alla porta.

- Cazzo, Jim, lasciami in pace! – disse mentre si dirigeva verso la porta – Voglio stare da s… - stava per dire mentre apriva la porta, quandò scoprì che dietro non vi era Jim.

- Scusami, non volevo … - cercò di dire Susan.

- Oh, Susan, scusami tu. Sono un po’ nervoso … - provò a dire Tim, impacciato e agitato.

Restarono senza parole, continuando a guardarsi, aspettando l’uno la mossa dell’altra, una reazione, una parola. Si leggevano dentro senza dare una risposta alle loro domande. Forse perché nulla c’era da dire o chiedere.

Tim era in trance.

Susan sembrava non capire l’uragano che aveva dentro, o che stesse cercando di ignorarlo. Non era da lei correre dietro i colleghi, specialmente in quella misera tenuta che aveva addosso, quel completino intimo bianco come la neve. Alla fine decise di dire qualcosa.

- Io… -

- Non dire nulla. – rispose precipitoso Tim, prima di afferrarle il collo e attirarla a sé.

La baciò, non come prima, quel finto bacio delicato e gentile. No. Quello era un bacio vero. Muoveva le labbra su quelle di lei come un affamato divorerebbe una pesca matura.

La sentì gemere, piccola e fragile contro di lui. Tim la tirò nel camerino, chiudendo la porta con un pugno. Lei si staccò da lui, l’aria spaesata e il fiato corto.

- Che ci succede?

Tim rimase spiazzato da quella domanda.

- Non lo so! – rispose – So solo che non faccio altro che pensarti.

Lei sorrise, per poi fiondarsi sulle labbra di lui. Le loro mani iniziarono a viaggiare senza meta, accarezzandosi, stringendosi, sfiorandosi, spogliandosi di quei pochi indumenti che avevano addosso. Continuando a baciarla, Tim spinse lievemente Susan sul divano, accarezzandole i seni e inebriandosi del suo profumo. Dalle labbra passò al collo, continuando un percorso di baci di cui entrambi conoscevano la meta.

- Tim…- gemette Susan, mentre lui infilava il viso tra le sue gambe, gentile e delicato. L’esatto opposto di Frank, eppure ugualmente sensuale, travolgente, seducente. Cose che Susan non si era lasciata sfuggire mentre si trovava ad un passo dalla vertigine. Tim sollevò il capo e iniziò la risalita, tornando ad occuparsi delle sue labbra. Posizionò con dolcezza il bacino contro quello di lei, scivolandole dentro quasi senza accorgersene. Entrambi si liberarono in un urlo, il piacere che s’impossessava di ogni centimetro della loro pelle, i nervi che si scioglievano dal controllo del cervello.

Si muovevano l’uno contro l’altra come se poi si fossero persi per sempre, come se quella fosse l’unica notte che il destino gli aveva concesso, come due nuovi Romeo e Giulietta che, senza morire, avrebbero dovuto rinunciare al loro amore.

Tim non riusciva a staccare lo sguardo dal volto di lei, imperlato di sudore, ma sereno, felice, la bocca socchiusa per manifestare ad alta voce quanto stesse adorando quel momento, sentirlo suo e di nessun altra.

In pochi minuti vennero travolti da un orgasmo che sembrava infinito, le loro voci arrochite e i loro corpi sudati e bollenti.

Tim poggiò il capo sul petto di lei, esausto ma felice, libero da quelle paure che lo imprigionavano da settimane.

Susan era serena; per la prima volta da quando si era sposata, si sentiva davvero amata e non dall’uomo a cui aveva giurato amore eterno. Il calore di Tim non era per niente paragonabile alla fredda razionalità di Chris.

Fuoco e ghiaccio, dolce e amaro, poesia e prosa.

Gli passò una mano tra i ricci neri come la pece, ma brillanti come il sole, studiando con lo sguardo quel volto degno di un dio greco, gli occhi verdi nascosti dietro le palpebre ma, ne era certa, che continuavano ad ardere anche al buio.

- Susan? – la sua voce profonda come il mare, soave come il vento che fa vibrare le cicale.

- Dimmi!

- Credi che abbiamo sbagliato?

Susan rimase muta davanti a quella domanda, Tim le lasciò il tempo di elaborarla.

- Amare non è mai un errore. – disse lei infine – È il destino che te lo fa credere quando t’impedisce di farlo. Non abbiamo sbagliato nulla, Tim. – disse lei sollevandogli il viso, per poterlo guardare negli occhi – Dobbiamo solo accettare l’idea che è solo una notte rubata. – disse accarezzandogli i capelli.

Tim sentì il suo cuore scendere giù, come se, una volta raggiunto lo stomaco, l’avrebbe vomitato. Susan poté leggere il dolore di lui in quegli occhi verde mare e le sembrò di vedere il riflesso della sua anima in uno specchio.

Si baciarono. Disperatamente.

Due anime gemelle separate sul nascere.

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Capitolo 5
*** I realize, I’m coming home. ***


5.

 

I realize, I’m coming home.

 

5 Aprile 1975 – Belasco Theatre, New York

 

Ripose con cura la foto sul tavolo. Vedere il sorriso di Susan in quella foto scattata nell’ultimo giorno di riprese non era facile. Non dopo quella storia mancata, tranciata in pieno da due strade che il destino aveva costruito appositamente opposte.

Le riprese del film si conclusero tranquillamente per tutti, tranne proprio per Susan, afflitta e abbattuta da una bronchite incessante; ma era una professionista fino al midollo, tant’è che si buttò in quella piscina fredda senza fare storie, per poi ballare su quel palco fradicio quanto lei, Tim che la reggeva con tutta la forza di cui era capace.

Si lasciarono con un sorriso e una carezza, abbandonata delicatamente dalla mano di lui sul viso di lei. Meglio non baciarsi, avvicinarsi, toccarsi. Meglio dimenticare, allontanare quella notte passata a stringersi fino a fondersi.

In quel camerino puzzolente d’umidità, Tim guardò il riflesso di Frank’n Furter in quello specchio ingiallito, finalmente, per l’ultima volta. Batuffolo di cotone alla mano e latte di mandorla, si struccò con calma. Ogni traccia di ombretto, rossetto o mascara che si staccava da quel volto erano un mattone in meno sull’artista, stanco di essere sempre e solo Frank.

Avrebbe potuto essere Amleto.

Mozart.

Romeo.

Faust.

Tutti, non solo Frank.

Si tolse con calma le autoreggenti, mentre qualcuno bussava alla porta.

- Avanti!

- Tim, disturbo?

L’attore sorrise a quella voce dolcemente nasale.

- Dimmi tutto Rick!

O’Brien lo avvicinò, sedendosi agilmente sul tavolino di fronte a Tim, senza accorgersi, fortunatamente, della foto.

- Sei stato grande. Lo so che sei stanco di sentirtelo ripetere, ma arrivati all’ultima dello show, dovevo ripetertelo. Perdonami, caro.

- Figurati Rick, è tutto merito tuo, lo sai!

- Sempre così modesto, Tim! – disse Rick con fare romantico – Eppure io mi sento terribilmente in colpa con te.

Tim lo guardò interrogativo, senza capire. Osservò a lungo gli occhi di Rick in cerca di una risposta senza trovarla prima che questo aprisse bocca.

- Io ho creato Frank, io ho creato la tua maschera, io ti ho imprigionato. – disse con un nodo alla gola – Se da un lato “Frankie è atterrato per liberarci tutti”, dall’altro ha incatenato te.

Curry non seppe che dire, mentre sentiva le guance inumidirsi.

- Ma è l’ultima sera questa, giusto? – aggiunse Rick provando a sorridere – E spero davvero tanto che queste scuse possano bastarti, amico mio.

Non rispose, semplicemente si avvicinò all’altro e lo abbracciò con fare fraterno.

- Niente scuse, Rick. Avere la tua stima cancella questi tre anni passati tra inferno e paradiso. E ti ringrazio, di tutto.

Richard annuì in silenzio, mentre Tim si rivestiva.

Era vero, quel dannato musical era diventato la grazia e la condanna di Tim. Sapeva che dopo quella sera, anche se era l’ultima passata al Belasco, quel teatro così lontano da mamma Londra, la maschera strafottente e dannatamente sensuale di Frank non se la sarebbe più tolta di dosso. Quando fu vestito, si strinse nel suo chiodo, bisognoso di calore dopo aver sudato e poi essersi fermato al freddo del suo camerino.

 - Andiamo? Ti offro una birra.

- Affare fatto Tim. Vado a salutare gli altri e ti aspetto all’uscita sul retro.

- Perfetto! – rispose Tim, mentre Richard si chiudeva la porta della stanza alle spalle.

Riprese il pacchetto, afferrò l’ultima sigaretta e l’accese, posizionandola tra le labbra carnose. Poi, diede l’ultimo sguardo alla fotografia.

- Ciao Susan. – sussurrò, prima di avvicinare l’accendino alla stampa, dandole fuoco. Chiuse piano la porta. Si passò una mano tra i ricci corvini come a voler scacciare via l’ultima polvere di una maschera che lo aveva soffocato, staccandosela di dosso, ma portandosela dietro come un’ombra, mentre nel camerino anche l’ultima scorciatoia che per una notte l’aveva liberato davvero, bruciava lentamente fino a diventare, anch’essa, polvere.

 

 

 

Fine

 

 

 

 

 

 

 

Angolo autrice:
Salve!
Non so chi leggerà, probabilmente sto parlando da sola.
Dopo un anno, pongo la parola fine a questa storia che inizialmente mi aveva entusiasmato tanto. Ma, non trovando il terreno giusto, si è appassita fino a morire del tutto proprio oggi, alla vigilia del 67esimo compleanno di Tim.
Grazie a chi ha letto, a chi ha recensito e a tutti (pochi o molti che siano) fan del Rocky Horror che, insieme a me, festeggeranno la giornata di domani.
Ci si becca!
 

Franny

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