Begin Again

di jas_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***






 

 

Prologo
 
 

 
Era Venerdì.
Harry era in piedi sulla metropolitana, troppo piena per poter trovare una seggiola libera, alcuni appunti sotto il braccio e la mano sinistra occupata a tenersi per evitare di cadere.
Si passò una mano sulla fronte leggermente imperlata di sudore e sospirò. Era solo la metà di giugno eppure il caldo cominciava già a farsi sentire e lui non ne poteva già più. Soprattutto se doveva passare i pomeriggi chiuso in casa a studiare per quel dannato esame di economia aziendale che si portava dietro dall'inverno passato, piuttosto che in giro con gli amici ad oziare.
Non appena le porte della metro di aprirono, fu costretto a spostarsi per far passare le persone che dovevano scendere a quella fermata, poi si appoggiò ad un palo ed incrociò le gambe, alzando gli occhi.
Un'anziana signora stava scrivendo un messaggio su un iPhone, i caratteri erano cubitali e ad Harry venne da sorridere, poi spostò lo sguardo su una ragazza dai capelli castani, intenta invece a cambiare canzone sul suo iPod, mentre muoveva la testa al ritmo della canzone che in quel momento stava ascoltando.
L'arresto brusco della metro che per poco non lo fece cadere addosso alla ragazza lo destò dai suoi pensieri. Alzò lo sguardo e si rese conto che quella era la sua fermata.
Scese velocemente e prese a camminare per i lunghi corridoi che attraversavano la capitale francese fino a quando non sbucò davanti all'università.
Guardò l'orologio che teneva al polso sinistro e quando si accorse di essere in perfetto orario diminuì il passo, entrando nel cortile dell'enorme edificio.
«Liam!» esclamò, quando vide l'amico appoggiato al muretto con una sigaretta tra le labbra.
Il ragazzo si voltò di scatto e sorrise ad Harry che gli si stava avvicinando a passo sostenuto, quasi correndo.
«Hai qua per caso gli appunti che ti avevo prestato? Dovrei dare un'occhiata ad una cosa.»
Liam annuì, si tolse lo zaino dalle spalle e lo aprì alla ricerca dei fogli che l'amico chiedeva.
«Sei preparato?» domandò intanto, mentre estraeva da una busta di plastica gli appunti.
Harry annuì distratto, gli occhi che scorrevano sul foglio alla ricerca di quella maledetta formula che non riusciva mai a ricordarsi.
«Se non lo passo ancora questo esame, mi sparo.»
Liam sorrise, «dai che andrà bene, poi domani sera andiamo a festeggiare» disse, dando una pacca sulla schiena al riccio.
Harry sospirò, riconsegnò i fogli a Liam e si avviò sconsolato verso l'entrata dell'università.
«Speriamo» bofonchiò, passandosi una mano tra i capelli.
 
 
 
«Sei sicura di volerli tagliare così corti, i capelli?»
«Sì.»
Jacqueline alzò lo sguardo dalla rivista che stava leggendo per poi posarlo su Lennon, seduta sulla sedia di quella parrucchiera che avevano trovato per caso, mentre gironzolavano per la città.
«Lennon, è un bel cambiamento» osservò poi.
La bionda guardò l'amica dallo specchio che aveva davanti.
«Lo so, ma ho voglia di cambiare. È così una brutta cosa?»
Jacqueline scosse la testa, appoggiò la rivista sul divanetto e si alzò, avvicinandosi all'amica.
Osservò la fotografia del taglio che Lennon desiderava e poi posò lo sguardo sulla bionda che la guardava curiosa. «Secondo me ti dona» disse poi, accennando un sorriso.
Lennon increspò le labbra ed annuì, «allora tagliamo questi capelli» disse decisa.
La parrucchiera si mise al lavoro, ad ogni taglio Lennon si sentiva più libera, più leggera.
Quegli ultimi mesi non erano stati per niente facili per lei, in realtà la fine delle scuole superiori aveva segnato soltanto l'inizio di un incubo.
La morte della nonna, il ritorno in America dopo tanti anni, l'aver abbandonato l'unica persona che avesse amato veramente. Era stato come cominciare una nuova vita in un posto che Lennon pensava di conoscere bene.
Quelli che riteneva amici d'infanzia non l'avevano più considerata, in quei  quattro anni in realtà Lennon non aveva mai fatto delle vere amicizie.
Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dalle mani esperte della parrucchiera.
Aveva voltato pagina. Era a Parigi. Con la sua migliore amica, l'unica che non se n'era mai andata e che non si era mai dimenticata di lei.
Era un nuovo inizio.


 

-




Eccomi qua, col continuo di una delle fan fiction che mi è piaciuto di più scrivere.
Spero che non vi siate dimenticati di Lennon e Harry, e che questa nuova storia piaccia tanto quanto è piaciuta la precedente.
Ovviamente è ancora ambientata a Parigi, tuttavia il racconto non andrà avanti giorno dopo giorno come prima.
Il Prologo è un po' corto, vengono reintrodotti Harry e Lennon, ma per sapere come stanno le cose tra di loro dovete aspettare il prossimo capitolo, che devo ancora scrivere ahahaha
Ringrazio di cuore Agata per il banner, che è stupendo! Grazie Agh ♥
Fatemi sapere che ne pensate dell'inizio, ci tengo molto!
Alla prossima, Jas



 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***






 

 
 

Capitolo 1

 
 
 
"Ti sto scaricando con un messaggio in segreteria, dopo tutto quello che abbiamo passato, dopo tutto quello che tu sei stato per me. Mi sento patetica, e molto stronza, ma se ti chiamassi e sentissi la tua voce rauca e lenta, non riuscirei a dire nulla di quello che invece devo dirti.
Non ce la faccio più ad andare avanti così, mi sembra di stare combattendo per una causa persa. Tu sei preso dall'università, e lo capisco, io dal nuovo lavoro, da tutti questi cambiamenti che sono avvenuti nel giro di poco tempo. Fino a sei mesi fa dovevamo frequentare l'università insieme, ora io sono dall'altra parte dell'oceano. Il destino non è stato dalla nostra parte, Harry, forse è meglio smetterla di prenderci in giro e finirla qui.
Abbiamo provato a raggirarlo ben due volte, la prima quando ho deciso di concludere l'anno ad Holmes Chapel con te, e credimi quando ti dico che non ho mai vissuto così serenamente la scuola, con la consapevolezza che tu eri lì con me. La seconda, quando  abbiamo scelto un'università che offrisse economia per te ed arte per me. Peccato che tra quelle mura non ci entreremo mai insieme. Ora il destino ci ha posti davanti ad un muro troppo alto da scavalcare con le nostre forze, lo sappiamo entrambi, ma forse abbiamo solo troppa paura di ammetterlo.
Stiamo combattendo una battaglia che è già persa in partenza, è inutile rimanere ancorati ad un qualcosa che non c'è più. Ti ho amato, ti amo tutt'ora ed una parte di me ti amerà per sempre, ma non possiamo andare avanti così.
Magari tra 10 anni ci rincontreremo, e tu e io saremo ancora single, o separati, o divorziati dai rispettivi coniugi, e allora capiremo che abbiamo fatto bene ad aspettare il momento giusto. Ma fino ad allora, Harry, non cercarmi, non seguirmi dall'altra parte del mondo, non intasarmi la segreteria.
Vivi.
Salutami Parigi e chi lo sa, magari troverai un'altra ragazza inglese, un po' strana, lavorare in una panetteria."
 
 
 
Era Sabato.
Harry era felice.
Aveva passato l'esame di economia aziendale col massimo dei voti e ancora non ci credeva.
Da quando aveva scoperto il punteggio che aveva ottenuto non faceva altro che pensare alla serata che avrebbe trascorso, finalmente senza alcuna preoccupazione se non quella di divertirsi.
Frizionò i capelli umidi con un asciugamano e poi andò in camera sua a vestirsi con un paio di jeans neri e una maglietta bianca con lo scollo a v.
Quando andò in cucina trovò Carmela intenta a pulire il piano cottura, una musica latino americana proveniva dalla TV lasciata accesa.
«Io esco!» esclamò, cercando di sovrastare il rumore.
La domestica si voltò di scatto e regalò un sorriso materno al giovane, «va bene, avverto io tuo padre» disse, prima di tornare al proprio lavoro.
Harry uscì di casa e si diresse a piedi verso l'appartamento di Liam, distante pochi isolati dal suo.
Quando arrivò davanti alla palazzina, trovò l'amico intento a parlare francese con un'anziana signora sul ciglio della strada, avvicinandosi a loro capì che si conoscevano bene, probabilmente abitava anche lei nello stesso condominio.
«È la mia vicina di appartamento» spiegò Liam, una volta congedata la signora.
Harry annuì, e si ritrovò a sorridere al pensiero di quanto Liam fosse timido e impacciato alle superiori, mai avrebbe pensato che avrebbe preso la folle idea di andare a studiare a Parigi con lui. Aveva persino rifiutato di vivere insieme, «devo vivere a pieno quest'esperienza» aveva affermato Liam, con aria teatrale, anche se infondo quelle parole rispecchiavano a pieno la sua idea.
Quella di Harry era invece una scelta giustificata, suo padre viveva lì e grazie a Lennon aveva imparato ad apprezzare a pieno quella città.
Sorrise malinconico al pensiero di quell'inverno trascorso nella capitale parigina, e si ritrovò a pensare dove fosse, in quel momento, Lennon.
Probabilmente oltre oceano, col resto della sua famiglia. Dopo la morte della nonna i suoi genitori decisero infatti di tornare negli Stati Uniti e Lennon non poté fare altro che seguirli. Harry sospirò, forse avrebbe dovuto seguirla, frequentare un college là. Forse così la loro relazione non si sarebbe pian piano sgretolata a causa della distanza, delle vite troppo differenti che stavano conducendo. Se Harry si stava preparando per andare all'università, la scelta di frequentare la Sorbona fu presa all'ultimo, a Lennon non passava nemmeno per l'anticamera del cervello di continuare gli studi.
Dalle ultime chiamate che si erano fatti, Harry sapeva che aveva trovato lavoro presso il negozio di un suo zio, nient'altro. Poi le chiamate giornaliere erano diventate settimanali, mensili, entrambi troppo presi dalle loro nuove vite per rimanere aggrappati ad un passato che si faceva sempre più lontano.
L'ultima chiamata avvenne il primo febbraio, in occasione del compleanno di Harry, l'ultimo messaggio lasciato in segreteria una settimana dopo, sempre da parte di Lennon. Harry non l'ha ancora cancellato.
 
 
 
St. Michel era affollato, come ogni sabato d'altronde, passare per quella stretta via era quasi impossibile, data la folla che c'era.
Liam si arrestò davanti ad un locale e salutò il buttafuori, «siamo in due» disse poi, indicando Harry che guardava assorto l'insegna del pub.
«La prima volta che sono venuto in questo locale è stata con Lennon» disse all'amico, mentre entravano, «due anni e mezzo fa.»
Liam gli diede una pacca amichevole sulla spalla, «siamo qua per divertirci, forza. Cosa vuoi da bere?»
«Vodka alla fragola.»
Liam sorrise, «così mi piaci!» esclamò, avvicinandosi al bancone e ordinando.
Harry si voltò verso il resto del locale, occupato per la maggior parte da turisti, come al solito.
Lo sguardo gli cadde su una ragazza dai capelli scuri e la pelle ambrata, avvolta in un vestito rosso fuoco, che sembrava guardarlo troppo insistentemente, con lo stesso sguardo che un bambino dedicherebbe all'ultimo lecca lecca rimasto al supermercato.
Harry accennò un sorriso e le fece l'occhiolino, poi Liam giunse e gli porse il drink, che il riccio bevve tutto d'un fiato.
«Il prossimo lo paghi tu, mi hanno spennato» dichiarò Liam, sorseggiando con calma il cocktail che aveva preso.
Harry sorrise ed annuì, dimenticandosi già della ragazza che continuava a fissarlo e alla quale non era per nulla interessato. «Non è colpa mia se mi hai portato nella zona più cara di Parigi.»
«Non è colpa mia se solo qua puoi rimorchiare belle donzelle provenienti da tutto il mondo. Anzi, ce n'è una con un vestito rosso, per niente male, che non ti leva gli occhi di dosso.»
«Già vista, le ho già sorriso e fatto l'occhiolino» disse divertito Harry.
«E ha un'amica per niente male, forza andiamo.»
Il riccio non fece in tempo a ribattere che Liam l'ebbe preso per un braccio e spinto verso il loro tavolo.
«Sei tu che hai attaccato bottone, quindi parli per primo!» esclamò, quando ormai erano arrivati dalle due.
Harry sorrise alle due ragazze, «buonasera, sono liberi questi due posti?» domandò.
Le due annuirono e Liam non perse tempo nel sedersi accanto alla bionda, Harry si accomodò, con più calma, vicino all'altra ragazza.
«Sono Selena» si presentò questa.
«Harry.»
«Liam.»
«Io sono Penelope.»
Liam fece l'occhiolino a Harry, che trattenne un sorriso.
«Di dove siete?» domandò quest'ultimo.
«Siamo spagnole» disse Selena, «di Barcellona per la precisione.»
«Mi piacciono le ragazze calienti» osservò Liam, ammiccante.
Penelope ridacchiò, coprendosi la bocca con una mano, Selena si limitò a sorridere continuando a scrutare Harry.
«Prendete qualcosa da bere?» domandò Liam.
«A me una birra, grazie amico» disse Harry, sorridendo.
Le ragazze annuirono, «due Malibu e ananas.»
Il riccio alzò lo sguardo sorpreso, quello era il drink preferito di Lennon, da quando lui gliel'aveva fatto assaggiare alla festa per la fine della scuola.
«Voi siete inglesi?» domandò Selena, interrompendo i pensieri del ragazzo.
Harry annuì, «però frequentiamo l'università qua. Abbiamo appena concluso il secondo anno.»
«Ed è bello? Insomma, ti piace?»
«È impegnativo, oltre alle difficoltà della scuola in sé si aggiungono quelle per la lingua, però sì, mi piace.»
«E Parigi, ti piace?» chiese Penelope.
«Molto, è una città meravigliosa» si ritrovò a dire, pensieroso.
«Tu e Liam potreste farci da guide per un giorno» propose Selena, cominciando ad arricciarsi una ciocca di capelli attorno a un dito.
Harry non era sicuro di cosa avrebbe potuto rispondere.
Lui non voleva, ma Liam l'avrebbe ucciso se avesse rifiutato.
«Forse» disse soltanto.
In quel momento l'amico tornò, con le mani occupate da quattro bicchieri che appoggiò malamente sul tavolino al quale erano seduti.
«Poi mi ridai i soldi, sono al verde» bisbigliò all'orecchio di Harry, prima di sedersi.
«Sei tu che hai offerto» ribatté divertito l'altro.
«Abbiamo proposto a Harry di farci da guide per un giorno, tu che dici?» squittì subito Penelope, non appena Liam si fu seduto.
Il viso del ragazzo si aprì in un sorriso, «sarebbe fantastico! Non è quello che hai detto tu, Harry?»
«Più o meno» borbottò il riccio, bevendo alcuni sorsi della sua birra.
«Potremmo andare sulla Tour Eiffel!» esclamò Selena, entusiasta.
«Troppa coda.»
«Oh» la mora si rabbuiò per un istante, «allora potremmo andare a visitare la Basilica del Sacro Cuore! Mi hanno detto che da lì la visuale è ottima.»
«Troppe scale.»
«Harry» mormorò a denti stretti Liam, dandogli un calcio sulla gamba, «c'è anche la funicolare, se è bel tempo la città da lassù è uno spettacolo!» continuò poi entusiasta.
Prese il telefono e scrisse un messaggio, un istante dopo il cellulare nella tasca di Harry cominciò a vibrare.
"La smetti di fare l'asociale? Abbiamo rimorchiato due tope da paura che è palese che ci vogliono"
Harry mise a posto il telefono e bevve la birra.
«Devo andare in bagno» dichiarò, una volta appoggiato il bicchiere sul tavolo. Si alzò e si diresse verso la toilette, al piano inferiore.
Da lì la musica giungeva ovattata, c'erano soltanto tre persone davanti a lui, fortunatamente, ed era già scattata l'ora alla quale i bagni separati per maschi e femmine non esistevano più, ognuno andava dove gli pareva.
Sospirò e si passò una mano tra i capelli, cercando di farli rimanere indietro, non gli importava molto di come fossero, l'importante era che non gli cadessero sugli occhi. Forse era giunta l'ora di tagliarli.
Spostò lo sguardo su una porta del bagno che si aprì di scatto, ne uscì una ragazza dai capelli color mogano e il viso famigliare.
«Jacqueline!» esclamò Harry sorpreso, salutando con la mano destra.
La diretta interessata alzò lo sguardo, strabuzzò gli occhi alla vista del riccio.
Harry spostò immediatamente lo sguardo sulla ragazza dietro di lei, una biondina dai capelli corti, quasi come quelli di un maschio, e un capello in testa.
Gli bastò incrociare i suoi occhi blu per riconoscerla, «Lennon» mormorò a bassa voce, ma lei parve sentirlo perché le sue sopracciglia si inarcarono, mosse la bocca, come se stesse cercando di dire qualcosa, ma prima che qualunque suono uscisse dalle sue labbra, fu trascinata via da Jacqueline. 


 

-




Hello! O forse dovrei dire bonjour :)
Comunque sia, sono qua con un nuovo capitolo che non vedevo l'ora di postare.
Devo ammettere che sono abbastanza soddisfatta di ciò che ho scritto, per una volta ogni tanto. Ciò che è successo tra Harry e Lennon si fa più chiaro e viene introdotto meglio Liam che visto che è sempre l'intellettuale del gruppo, in questa storia sarà il più cazzone possibile ahahaha
Cercherò di aggiornare prima di partire, tanto il prossimo capitolo l'ho già scritto, ma non posso garantirvi niente!
Fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo e grazie per le meravigliose recensioni che mi avete lasciato, vado subito a rispondere!
Alla prossima, 
Jas



 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***






 

 
 

 Capitolo 2

 
 
 
Era Domenica.
Harry parlava, seduto ad una panchina all'ombra di un albero. Liam non lo ascoltava, troppo occupato a rispondere ai messaggi bollenti che Penelope gli stava mandando.
«Mi chiedo cosa l'abbia spinta a ritornare...»
«Cazzo Harry leggi cosa mi ha scritto! Quella lì è una pervertita!» esclamò Liam, mettendo il telefono sotto il naso dell'amico.
«Mi stai ascoltando?» sbottò il riccio alzando il tono della voce.
«Scusa.»
Liam appoggiò il telefono sulle gambe ed abbassò lo sguardo. «Cosa stavi dicendo?»
Harry sospirò alzandosi dalla panchina, «lascia perdere.»
«Ehi!» Liam lo seguì, «ma sei sicuro che fosse lei? Insomma, mica aveva i capelli lunghi? Magari Jacqueline ha altre amiche bionde ma tu sei talmente fissato con quella ragazza che hai avuto un allucinazione.»
«Liam...»
«Potrebbe darsi, sai? L'ho visto una volta in un documentario, è una cosa strana che avviene al livello del subconscio, o forse era soltanto l'alcol.»
«Liam!» esclamò Harry, «sono sicuro al cento per cento che fosse lei in carne ed ossa, mi chiedo soltanto cosa ci faccia qua, e perché sia scappata così. Insomma, neanche un "ciao, come stai?" O qualche altra frase di circostanza, nulla.»
Harry rallentò il passo, mentre sentiva il battito cardiaco accelerare al solo ricordo della serata precedente.
«Lei potrebbe essere qui, dietro l'angolo, o magari mi sta cercando, insomma...»
Si passò una mano tra i capelli e sospirò, Liam gli appoggiò una mano sulla spalla.
«Non avevi detto che non voleva essere cercata? Se è destino la rincontrerai, come è successo ieri sera.»
Harry annuì, quel messaggio in segreteria lo conosceva a memoria ormai, tante erano le volte in cui lo aveva ascoltato, cercando di capire il motivo che avesse spinto Lennon a lasciarlo. Il motivo in realtà lo sapeva bene, lei stessa gliel'aveva spiegato in quel messaggio, ma forse per Harry era più facile far finta che non ci fossero problemi. O meglio, che ci fossero ma che fosse stata lei a non essere in grado di affrontarli, anche se in realtà, come aveva detto lei, stavano combattendo contro qualcosa più grande di loro: la distanza.
Era più facile scaricare la colpa su di lei, piuttosto che realizzare che in realtà la colpa fosse di entrambi, o peggio ancora, di nessuno.
Che colpe avevano loro infondo, se Harry viveva in Inghilterra e Lennon era americana? Che colpe aveva Lennon se quell'estate sua nonna se n'era andata? Lei aveva dovuto affrontare un dolore superiore, oltre che quello della lontananza da Harry, anche il lutto.
Harry sospirò, «già, se è destino ci rincontreremo. E non la lascerò scappare.»
 
 
 
Lennon si affacciò alla finestra, si mise la sigaretta tra le labbra ed accese l'accendino con la mano destra, avvicinando poi la fiamma al viso ed aspirando la prima boccata di fumo.
Erano cambiate tante cose dall'ultima volta che aveva visto Harry, pensò.
Aveva i capelli di venti centimetri più corti, le sopracciglia invece leggermente più folte, il vizio di fumare. Aveva abbandonato e ripreso l'idea di continuare a studiare arte, aveva lavorato in un bar e rivisto tutti i suoi parenti.
Dopo undici mesi era tornata a Parigi, con ben pochi soldi ma tanta voglia di andarsene, di ricominciare una nuova vita. Avrebbe dovuto trovarsi un lavoro al più presto, pensò, se non voleva essere sfrattata dalla zia di Jacqueline già dopo un mese. Doveva sfruttare i tre mesi di libertà che aveva prima di cominciare la scuola per mettere da parte un po' di risparmi che le sarebbero certamente risultati utili quando avrebbe dovuto far combaciare lo studio col lavoro.
Gli occhi blu invece erano gli stessi, così come il sorriso, le stesse labbra leggermente screpolate. Anche se in quegli occhi e in quel sorriso, c'era una consapevolezza in più: la vita non sempre ti serba belle sorprese, anzi, a Lennon sembrava che tutte le sorprese che aveva ricevuto fossero brutte, e proprio quando pensava di essere riuscita ad andare avanti, il passato l'aveva inaspettatamente travolta.
Harry.
Si chiese cos'avesse pensato quando l'aveva vista, perché sapeva che l'aveva riconosciuta. L'aveva chiamata.
Gioia, dolore, tristezza, rabbia. O il nulla, come lei.
Lennon quando l'aveva visto non aveva provato niente.
Aveva smesso di respirare per tre secondi, e per quei tre secondi il mondo si era fermato. C'era solo Harry, coi suoi capelli più lunghi, i lineamenti più adulti ma con ancora quell'accenno di innocenza. Gli occhi verdi, le labbra da baciare. Da baciare. E ancora da baciare.
Lennon l'avrebbe baciato. Lì, nei bagni sudici e puzzolenti di quel locale che lei stessa gli aveva fatto conoscere.
Quando Jacqueline l'aveva trascinata via, invece, il mondo aveva ripreso a ruotare, le persone a vivere, lei a respirare.
E si chiese se fosse possibile pensare così tanto ad una persona, desiderarla così ardentemente in soli tre secondi.
Evidentemente sì.
Lei l'aveva fatto.
Harry gliel'aveva fatto fare.
Spense la sigaretta e la mise nella tazza che usava come portacenere, poi rientrò in casa ed osservò il foglio bianco che aveva davanti. Prese in una mano un gesso nero e nell'altra il caffè ormai freddo appoggiato al tavolo. Ne bevve un sorso e piegò leggermente la testa a destra. Appoggiò la tazza sul tavolo e cominciò a disegnare, mentre la radio dimenticata accesa continuava ad andare.
Un volto pian piano prendeva forma su quel foglio bianco, i lineamenti fini, gli occhi grandi, le labbra né troppo sottili né carnose.
Lennon disegnò anche alcuni nei accanto alla bocca, i capelli ricci.
Un ghigno divertito dipinto sul volto, non quello che aveva visto ieri ma una smorfia che lei conosceva bene. Due fossette ai lati della bocca.
Quando finì di disegnare il sole era ormai tramontato. Erano passate due ore.
Il telefono squillò, Lennon appoggiò il gesso ed andò a rispondere.
«Ehi!»
«Ciao! Cosa combini?»
La bionda si passò una mano tra i capelli - non si era ancora abituata al fatto che li avesse così corti - indecisa se dire la verità o meno.
«Ho appena finito un disegno» buttò lì, sedendosi sul divano e lanciando uno sguardo al ritratto che aveva fatto.
«Bello! Che cosa?»
Lennon rimase in silenzio alcuni attimi, «Harry» disse poi. «Ho disegnato Harry.»
«Eh?» squittì Jacqueline incredula, «di nuovo? Quanti suoi ritratti hai lì in giro? Una ventina di sicuro, se non di più. Potrebbero prenderti per psicopatica.»
Lennon sorrise, anche se infondo la sua amica aveva ragione.
Quale persona sana di mente si metteva a disegnare il proprio ex ragazzo a qualunque ora di qualunque giorno?
La cosa peggiore era che Jacqueline non era al corrente degli altri disegni che Lennon aveva lasciato in America, o meglio, che aveva buttato via là, preoccupata dal fatto che i suoi genitori potessero trovarli e decidere di rinchiuderla in un manicomio.
«È più forte di me Jackie, mi metto davanti a un foglio bianco e le mani vanno da sole, non devo nemmeno pensarci, le mie mani disegnano lui, sempre con un espressione diversa. Oggi è divertito e ammiccante allo stesso tempo.»
«Sei una stalker, lo sai?»
«Io non lo perseguito. E poi che problema c'è nel disegnare qualcuno? È la mia musa ispiratrice.»
«Allora fallo sdraiare seminudo da qualche parte e disegnalo così.»
Lennon rise, «lo farei più che volentieri se potessi, nudo però. E poi faremmo l'amore.»
Jacqueline fece un verso schifato, «mi stai facendo venir su la cena, ti prego parliamo di qualcosa che non sia Harry Styles nudo, direi Harry Styles vestito ieri sera.»
«Ecco appunto, perché mi hai trascinata via da lui ieri sera?» domandò Lennon, lievemente alterata.
«Perché se no saresti rimasta incantata a guardarlo a vita, e perché tu stessa mi hai detto che non lo avresti più cercato perché hai sofferto troppo per lui, nonostante ovviamente non fosse colpa sua.»
«Ma io non l'ho cercato, è quello il punto! Ci siamo incontrati casualmente, e lo sai pure tu perché non ho scelto io di andare in quel locale. È stato il destino Jackie, lo stesso destino che ci ha separati ora forse ci vuole far rincontrare.»
«Lennon non siamo in Ghost o qualche altro film sovrannaturale. Parigi non è piccola ma i posti che lui frequenta sono quelli che gli hai fatto scoprire te, non è poi così strano che vi siate incontrati. Tu stessa hai detto che in quel locale la prima volta lo hai portato te. Torna coi piedi per terra, per favore.»
Lennon sospirò, «hai ragione, mi si sta fondendo il cervello.»
«Ecco. Ora che sei in te devo darti una bella notizia: ti ho trovato un lavoro.»
La bionda trattenne un urlo di gioia, «davvero?»
«Aspetta ad esultare, c'è un'altra bella notizia.»
«Cosa può esserci di più bello?»
«Il fatto che torni a lavorare nella panetteria in cui lavoravi quando andavi a scuola. È part-time perché una tizia che lavorava lì e che ha avuto un bambino ha dimezzato i turni, dovresti coprire quelli che prima faceva lei. Questa donna l'ha detto all'amica della parrucchiera di mia mamma che l'ha detto a mia mamma quando è andata a tagliarsi i capelli che l'ha detto a me, per te. Non farai molte ore ma almeno è un inizio.»
«Mi hai illuminato la giornata, davvero.»
Jacqueline rise, «la gestione però è cambiata, ora ha in mano tutto la nipote di Celine, ha pochi anni in più di noi, però sembra una tipa a posto, dovresti trovarti bene. Tra un paio di giorni dovresti andare a farti vedere, poi ti dirà lei quando cominci.»
«Certo non c'è problema» disse Lennon, «sono felicissima» aggiunse poi, dopo un attimo di silenzio
Lanciò uno sguardo al ritratto, Harry la osservava divertito.
Sapere che non c'era più un oceano a separarli la faceva sentire meglio.


 

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Eccomi qua ad aggiornare prima della partenza come promesso! :)
Qui si comincia a conoscere un po' di più il pensiero di Lennon riguardo la situazione tra lei ed Harry, il fatto che lo disegni mi è venuto in mente così, non è che lei diventerà una malata mentale, una stalker, o quant'altro ahahaha
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere che ne pensate!
Ci sentiamo tra due settimane! :)
Jas



 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***




 


 

 
 

 Capitolo 3


 
 
Era Giovedì.
Harry prese in mano il telecomando ed alzò l'intensità del condizionatore, poi chiuse gli occhi lasciando che l'aria fresca gli solleticasse la pelle.
Erano le cinque di pomeriggio e a Parigi c'erano 40 gradi. Harry non aveva mai messo piede fuori di casa quel giorno.
Sorrise divertito al pensiero di Liam, in giro per la città con quell'afa che rendeva l'aria irrespirabile, con le due turiste spagnole che sarebbero tornate a casa l'indomani.
Harry aveva categoricamente rifiutato l'invito dell'amico, sia per il caldo che perché non aveva intenzione di passare la giornata con Selena, ora costretta al ruolo di "candelino" nonostante Liam avesse dichiarato apertamente di essere disposto ad una "cosa a tre".
Il riccio prese in mano il telefono e gli scrisse un messaggio, chiedendogli come stesse procedendo la giornata, in quel momento sentì Carmela chiamarlo.
Harry si alzò di malavoglia e andò in cucina senza preoccuparsi di mettersi un paio di pantaloni ma rimanendo tranquillamente in mutande.
«Mi hai chiamato?» domandò, grattandosi la nuca e scompigliandosi i capelli.
«Sì, vai a prendere una baguette e tagliati quei capelli» lo riprese lei, gesticolando col coltello che aveva in mano e che stava mettendo nel cassetto con le altre posate.
Harry arretrò di un passo spaventato, «okay capo.»
Carmela sorrise ed addolcì il tono di voce: «mi sono dimenticata di prendere il pane, sai com'è, la vecchiaia.»
«Per oggi sei perdonata» disse Harry divertito, tornando in camera per vestirsi.
Non era particolarmente entusiasta di uscire di casa con quel caldo ma avrebbe fatto uno sforzo, la panetteria più vicina era soltanto infondo alla strada.
Prese il portafoglio e il cellulare ed uscì di casa. Non appena mise piede fuori dal portone cominciò ad avere caldo.
«Ma non è possibile» borbottò infastidito, mentre si faceva strada tra le persone per raggiungere il negozio.
Il sole era ancora alto nel cielo e a metà strada Harry si rese conto che forse non era stata una buona idea indossare una maglietta nera.
In quel momento il cellulare in tasca gli vibrò. Era Liam.
"Stasera mi hanno invitato ad uscire, ho come la sensazione che finirò nella loro stanza d'albergo. Selena mi ha chiesto di te, sei ancora in tempo, se capisci cosa intendo..."
Harry scosse la testa e sorrise tra sé, quel ragazzo era incorreggibile.
Non aveva intenzione di uscire con loro, e sapeva bene cosa intendeva Liam, ma preferiva lasciargli l'onore della "cosa a tre" a cui tanto bramava, anzi, era convinto che l'amico lo avesse invitato più per educazione e correttezza che perché lo volesse davvero.
Quando Harry giunse davanti alla panetteria si arrestò ed osservò l'interno dalla porta di vetro. C'erano soltanto due persone in coda.
Rimase fermo fuori dall'entrata per alcuni istanti, poi riprese a camminare ed attraversò la strada.
Lei non voleva essere cercata, ma Harry non la stava cercando.
Non aveva messo piede nella panetteria in cui aveva visto Lennon da quando era tornato a Parigi da solo. E poi non l'avrebbe certamente trovata lì, e non avrebbe nemmeno chiesto di lei. Era stata chiara, non voleva essere cercata, non voleva che lo chiamasse. Se avesse davvero voluto rivederlo l'avrebbe fatto lei. Harry il numero di cellulare non l'aveva cambiato, era sempre quello. Quello che lei sapeva a memoria.
Aprì la porta della panetteria e il famigliare di tintinnio che annunciava un nuovo cliente gli arrivò alle orecchie.
Harry guardò rapito la vetrina colma di pasticcini e altri dolci mentre aspettava che qualcuno arrivasse a servirlo. Quando sentì le tende che collegavano il locale col retro muoversi, alzò lo sguardo.
La gola gli divenne secca, il cuore cominciò a battergli così forte nel petto che Harry temette che questo potesse uscirgli di lì. Faceva fatica pure a respirare.
«Lennon» disse.
«Harry.»
Non aveva mai sentito cosa più bella del suo nome pronunciato da lei.
Quando lo gridava divertita per fargli smettere di farle il solletico, o arrabbiata perché litigavano. Quando lo riprendeva ridendo, o quando invece era davvero arrabbiata. Quando lo sussurrava appena sveglia, i loro nasi che si sfioravano, o quando facevano l'amore. Le labbra che si cercavano fameliche, i loro corpi che diventavano un tutt'uno.
Il tono che aveva assunto in quel momento Lennon era un altro, quasi spaventato, infelice.
Harry si passò una mano tra i capelli nervoso, «io... Non volevo trovarti. Insomma, non ti stavo cercando» cominciò a balbettare a disagio. «Non so nemmeno io perché sono venuto qui, non è stata una buona idea. Io... È meglio che vada» concluse con lo sguardo basso, prima di voltarsi e raggiungere a grandi falcate l'uscita.
«Harry!» esclamò Lennon, nello stesso istante in cui la mano del ragazzo si appoggiava sulla maniglia della porta.
Il riccio si voltò, confuso.
«Non scappare.»
Lennon abbassò lo sguardo imbarazzata, ci fu un attimo di silenzio, poi Harry avanzò fino a raggiungere il bancone, oltre il quale c'era lei.
Erano ad un metro di distanza e Lennon respirò profondamente, cercando di sentire il suo profumo, invano.
Alzò lo sguardo, passò dai suoi larghi pantaloncini di jeans alla maglietta dei Rolling Stones che indossava, sorrise. Ce l'aveva ancora.
Infine i suoi occhi si posarono sul suo viso, ancora piuttosto pallido per essere estate, un accenno di barba quasi invisibile e le labbra socchiuse.
Lennon dovette ricordarsi di respirare, perché davanti ad Harry le veniva difficile farlo.
«Non te ne andare» disse soltanto.
Il riccio schiuse la bocca per dire qualcosa, ma dalle sue labbra uscì soltanto un sospiro triste, confuso, smarrito.
I suoi occhi verdi erano un mare in tempesta, Lennon poteva leggerci dentro la confusione, il naufragio che c'era nella sua testa e che traspariva da quelle due iridi che lei conosceva ormai a memoria.
Harry sembrava aver perso la facoltà di esprimersi, così Lennon continuò.
«Mi starai prendendo per una pazza, prima ti dico di non cercarmi e poi di restare. Ma voglio parlarti, ne ho bisogno.»
Quelle parole erano una preghiera, Harry le ascoltava ancora stordito.
«Il mio numero è sempre quello, fatti viva quando vuoi» e detto quello, se ne andò.
 
 
 
Quando Harry mise piede in casa era ancora confuso da ciò che era appena successo. Non riusciva a capire bene se le immagini, le parole che si susseguivano nella sua mente erano frutto della sua immaginazione o pura realtà.
«Harry, il pane?»
Ecco cos'aveva dimenticato, l'unica cosa per la quale aveva messo piede fuori di casa.
Non rispose, si chiuse in camera e si buttò sul letto alzando al massimo il condizionatore, che gli scompigliava i capelli da quanto era forte.
Aveva cambiato destinazione all'ultimo con la speranza remota di vederla, anche se era certo che non l'avrebbe trovata.
Vederla lì era stato uno shock dal quale non si era ancora ripreso.
Era confuso, stordito, come se avesse sbattuto forte la testa da qualche parte.
L'aveva vista. Lennon lavorava nella panetteria, come sempre.
Si chiese da quanto fosse lì a sua insaputa, da quanto fosse a Parigi.
Se solo fosse andato lì prima...
Represse un grido isterico nel cuscino per la sua pessima capacità di reagire agli imprevisti. Probabilmente l'aveva preso per uno stupido, aveva balbettato quattro parole e poi era rimasto in silenzio se non per quella frase finale che gli aveva dato l'aria da menefreghista, cosa che lui non era.
Era al punto di partenza, tutto nelle sue mani.
Lennon avrebbe deciso quando chiamarlo, e se farlo. E Harry sapeva che non avrebbe mollato il telefono neanche per un attimo, nemmeno per andare in bagno.  
Era un idiota. Avrebbe dovuto comportarsi diversamente. Parlare, come le persone normali. O baciarla fino a toglierle il fiato, come nei film romantici. Non rimanere muto, come soltanto Harry Styles sapeva fare.
Qualcuno bussò alla porta, Harry alzò la testa dal cuscino.
«Che c'è?» domandò.
La testa di Carmela spuntò dal corridoio, «stai bene?» chiese premurosa.
«Per niente.»
La donna sorrise, «lo avevo intuito. Per uscire di casa a prendere il pane e tornare a casa a mani vuote ce ne vuole. Deve essere successo qualcosa di molto grave, vuoi parlarne?»
Harry rimase interdetto per alcuni secondi, poi increspò le labbra, «magari.»
La donna aprì completamente la porta e si sedette sul bordo del letto osservando la disordinata scrivania del ragazzo ancora colma dei libri sui quali aveva appena finito di studiare.
Dopo alcuni attimi di silenzio, Harry parlò: «Lennon è tornata.»
Nessuna risposta.
«Non dici niente?»
«Fino ad ora non è successo niente di grave, anzi, strano che non ti abbia visto fare i salti di gioia.»
Harry sospirò. «Sabato sera l'ho vista di sfuggita in un locale, oggi sono andato nella panetteria in cui lavorava senza aspettarmi di trovarmela lì e invece...»
«Eccola lì.»
Harry annuì. «Sono andato in panico, non ho spiaccicato parola. Me ne stavo andando, insomma, lei mi aveva detto di non voler essere cercata, poi mi ha detto di restare, che voleva parlarmi. Le ho detto di chiamarmi, che il mio numero ce l'ha. Sono andato lì con la speranza di trovarla, nonostante le possibilità fossero scarsissime, ed averla davanti a me, in carne ed ossa, mi ha solo confuso le idee. Poi mi dice che mi vuole parlare, quando è stata lei che mi ha scaricato con un messaggio in segreteria senza darmi voce in capitolo, senza voler sentire la mia ma scegliendo tutto lei. È stata così categorica in tutto, e ora decide di cambiare le carte in tavola. Io non la capisco. Se avessi saputo che la sua reazione sarebbe stata quella l'avrei cercata da subito, l'avrei convinta a non lasciarmi e magari le cose sarebbero andare diversamente. Io...»
La voce di Harry si incrinò, si prese i capelli tra le mani ed abbassò lo sguardo, disperato. «Non so cosa fare.»
Carmela gli accarezzò dolcemente la spalla, «lei ha detto che non voleva essere cercata, non trovata. A separarvi è stata la distanza, ora tu sei qui, lei pure. Sei il solito paranoico, i problemi ci sono solo nella tua testolina. Va' da lei.»
«Le ho detto di chiamarmi.»
«Allora aspetta che lo faccia, ma non rimanendo attaccato al cellulare. Lo farà prima del previsto, ne sono certa. Lennon ti ama ancora.»


 

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Non sono morta o altre cose strane, mi era solo passata la voglia di aggiornare ahahahaha
Finalmente Harry e Lennon si rincontrano e si scambiano quattro parole.
Le cose inizieranno a cambiare d'ora in poi, sia in bene che in male. Ho in mente le idee a grandi linee ma sono bloccata coi capitoli çç
Vorrei cercare di sbrigarmi perché ho deciso di finire questa storia (che non durerà più di 10 capitoli) prima di continuare Good Old Days.
Fatemi sapere che ne pensate!
Alla prossima :)
Jas



 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***




 


 

  
 

Capitolo 4

 
 
 
Era Venerdì.
Harry non era mai stato così nervoso in vita sua.
Nemmeno il primo giorno di scuola, quando aveva delle verifiche o interrogazioni, quando aveva aperto la busta per sapere se la Sorbona l'avesse preso o meno.
In quel momento, trentadue gradi segnati sul termometro fuori dalla farmacia dall'altro lato della strada, sudava freddo, si chiese cos'avrebbe pensato Lennon quando gli avrebbe stretto la mano.
Sospirò e cercò invano di asciugarsele sui jeans mentre osservava le persone uscire dalla stazione della metropolitana.
Lennon lo aveva chiamato la sera stessa, dandogli appuntamento per il giorno dopo, non appena ebbe riattaccato Harry aveva dovuto trattenersi dall'istinto di mettersi a saltare sul letto come una ragazzina.
Non che si fossero detti molto in quella chiamata, «sei libero domani?» aveva chiesto lei, non appena Harry aveva risposto al telefono. Lui aveva borbottato qualcosa, troppo scioccato per mettere insieme una frase, l'aveva sentita sorridere e dirgli poi luogo e ora dell'incontro: alle 15 fuori dalla fermata della metro "Hotel de Ville".
«Ci vediamo domani, notte Harry» l'aveva salutato, e lui era rimasto incantato ad ascoltare la linea libera del telefono per cinque minuti.
Ora stava contando le persone che stavano salendo quelle dannate scale, era arrivato a quota 165 ed erano le 15.18, sospirò, e il pensiero che lei lo avesse solo preso in giro dandogli false speranze cominciò ad occupargli la mente proprio quando vide una testa bionda spuntare tra la folla.
Si staccò immediatamente dal palo della luce al quale era appoggiato e si schiarì la voce, asciugandosi nuovamente le mani sui jeans neri che indossava prima di sventolare le braccia in aria per farsi vedere.
Lennon sorrise nello stesso istante in cui i suoi occhi incontrarono quelli di Harry, poi si avvicinò velocemente, ignorando la mano che il ragazzo gli stava porgendo ma abbracciandolo direttamente.
Harry ricambiò titubante, sorpreso da quel gesto, poi sospirò e cinse la schiena della ragazza con le sue braccia, chiudendo gli occhi e cercando di memorizzare ogni minima sensazione di quel momento.
«Scusa per il ritardo ma c'era una coda lunga un chilometro per prendere i biglietti» si giustificò lei sorridendo, Harry scosse la testa e fece un gesto con la mano come per dire "non fa niente".
Lennon sospirò, rincuorata da quel gesto.
Non voleva che Harry pensasse che lei non ci tenesse abbastanza perché non era così. Ci teneva quanto lui, forse di più, anche se la sua agitazione non traspariva dai gesti ponderati e l'atteggiamento restio che invece il riccio di fronte a lei stava dimostrando.
Se non lo avesse conosciuto bene avrebbe pensato che non voleva per niente essere lì con lei, in quel momento.
«Andiamo da qualche parte a bere qualcosa? Credo che abbiamo molto da raccontarci» disse Lennon, mettendosi le mani in tasca.
Harry annuì, «c'è un posto qua vicino dove fanno le crêpes migliori del mondo.»
Lennon lo seguì compiaciuta, il sorriso sulle labbra.
«Mi hai rubato il ruolo o mi sbaglio? Ero io che conoscevo Parigi come le proprie tasche fino a poco tempo fa.»
Harry si lasciò andare ad una risata spontanea e leggera. Si coprì la bocca con la mano mentre la testa andava leggermente indietro e Lennon si ritrovò a pensare a quanto fosse bello, quel ragazzo.
«I tempi cambiano» disse lui, ancora divertito. Le fossette non erano ancora scomparse dalle guance.
Lennon alzò la mano destra e gliele sfiorò, proprio come quel giorno al Trocadero.
Avrebbe voluto baciarlo, ogni fibra del suo corpo sembrava volerlo fare e dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per trattenersi. Lo osservò spalancare gli occhi leggermente sorpreso mentre il suo dito era ancora a contatto con la sua pelle. Lei con la bocca socchiusa si ritrovò a deglutire, quella sensazione, la sua mano sul suo viso, aveva riportato a galla dei ricordi che pensava aver rimosso dalla sua mente.
Quando i loro sguardi si incrociarono, a pochi centimetri di distanza, Lennon sentì il suo cuore spiccare il volo e la sua mente diventare improvvisamente leggera, occupata soltanto dalla vista che in quel momento aveva.
Harry Styles quella sensazione l'aveva già provata il giorno prima, quando l'aveva vista, e non l'aveva ancora abbandonato.
Lennon deglutì, improvvisamente a disagio per quella situazione.
«Mi sei mancato» borbottò, prima di attraversare la strada e dirigersi verso il bar.
 
 
 
Il tavolo al quale si erano seduti era appartato, infondo al locale, i posti accanto a loro erano vuoti e da lì si sentivano soltanto in lontananza le voci degli altri clienti.
Dopo aver ordinato qualcosa di fresco, per contrastare il caldo, Lennon si ritrovò ad osservare per l'ennesima volta Harry.
Era cambiato, esteticamente in meglio, interiormente ancora non lo sapeva.
I capelli erano più lunghi, ma quello lo aveva già notato, e anche meno ricci. Numerosi tatuaggi gli ricoprivano le braccia, Lennon si chiese se ne aveva altri. Voleva vederli tutti, osservarli da vicino, sentirsi spiegare da Harry il loro significato mentre lei glieli sfiorava coi polpastrelli e le labbra.
«I can't change» sussurrò poi, leggendo la scritta in inchiostro nero sul polso sinistro del ragazzo.
Harry alzò la testa di scatto, sorpreso dal fatto che Lennon stesse perdendo tempo ad osservare i suoi tatuaggi.
«Io ero rimasta ad un'innocente stella vicino all'ascella» disse Lennon divertita, accennando ad un sorriso.
Harry si strinse nelle spalle, senza spiccicare parola.
Aveva la gola secca e la lingua paralizzata. Mentre camminava accanto a Lennon verso il bar si era pizzicato più volte il braccio, con la paura che quello che stava vivendo fosse solo un sogno, invece era la pura realtà, e un po' gli faceva paura.
Aveva sofferto così tanto da quando Lennon se n'era andata che il solo pensiero di dover sopportare ancora tutto quello che aveva passato gli faceva contorcere le budella.
E ora che se la trovava a pochi centimetri da lei, seduta dall'altro lato del tavolo, non sapeva cosa dire o fare.
Aveva tante cose da dirle, da raccontarle, eppure non sapeva come intavolare il discorso.
Voleva sapere come fossero stati quei lunghi mesi per lei, cos'aveva dovuto passare, come stavano Joseph e i suoi genitori. Come stava lei. Perché era tornata a Parigi, perché non gli aveva detto niente...
I suoi pensieri furono interrotti dal cameriere che portò loro le ordinazioni. Harry osservò la coca cola nel suo bicchiere e poi alzò lo sguardo incrociando quello di Lennon, gli occhi contornati da un velo di mascara e i capelli biondi, ormai corti, un po' sbarazzini.
«Come te la stai passando?» domandò, dandosi del cretino l'attimo dopo.
Lennon trattenne una risata, poi si portò la cannuccia alla bocca e bevve un po' del suo tè alla pesca.
«Ora direi bene, credo di aver trovato il mio posto» disse. «Gli ultimi mesi sono stati un po' uno schifo, però. Tu come te la stai passando?»
"Ora che ti ho ritrovata bene" avrebbe voluto dire.
«Non male, ho iniziato l'università. Anche Liam è a Parigi» fu invece quello che disse.
Lennon strabuzzò gli occhi, «davvero?» squittì poi, «dovremmo organizzare un'uscita!»
Harry annuì e si lasciò andare ad un sorriso finalmente rilassato: pian piano l'ansia se ne stava andando.
«Glielo dirò, ma sappi che anche Carmela ti vuole vedere. Da quando le ho detto che eri in città non ha fatto altro che chiedermi di te.»
Lennon sorrise e si portò una mano sul petto, «Carmela» ripeté, «non vedo l'ora di rivederla. In realtà non vedo l'ora di rivedere tutti, non sai l'inferno che ho dovuto passare. Non credo tornerò mai più negli Stati Uniti, ho passato dei mesi orribili. Oltre al lutto, alla vostra mancanza, alla tua mancanza, non ho trovato un viso amico al di fuori dei miei parenti che, ovviamente, avevano anche loro i loro problemi. Non vedevo l'ora di andarmene, giuro.»
La voce di Lennon si incrinò sulle ultime parole, Harry istintivamente allungò la mano per stringere quella più piccola della ragazza che alzò gli occhi di scatto, sorpresa da quel gesto.
«Adesso sei qua, è questo l'importante» sussurrò lui, rassicurante.
Lennon annuì, lasciandosi andare ad un sorriso tirato.
«Tu invece che mi racconti?» domandò poi, cercando di cambiare discorso.
Harry interruppe il contatto e si appoggiò allo schienale della sedia, facendo girare il bicchiere ancora quasi colmo di coca cola tra le mani.
A lui in realtà le cose non erano andate poi così tanto male, fatta eccezione per la costante mancanza di Lennon.
«Non ho niente di che da dire» ammise sincero, «se non che mi sei mancata come l'aria. Ho dovuto combattere ogni giorno contro l'istinto di prendere la cornetta e chiamarti o salire sull'aereo e raggiungerti ovunque fossi. Cercarti.»
Harry mantenne lo sguardo basso e trattenne un sorriso un po' amaro, «una volta ho provato a chiamarti, ero talmente ubriaco che ho sbagliato numero senza accorgermene.»
Lennon increspò leggermente le labbra, i sensi di colpa che la divoravano ancora.
Prese fiato per parlare, per scusarsi per quello che aveva fatto: «Harry io...»
Lui la interruppe. «Non c'è bisogno che tu dica niente. Ho capito la tua scelta, non l'ho condivisa ma l'ho accettata. Un messaggio in segreteria però non me l'aspettavo, questo devo ammetterlo. Una chiamata sarebbe stata più gradita, almeno avrei avuto la possibilità di ribattere anche se probabilmente è proprio questo quello che tu hai cercato di evitare: ascoltare la mia opinione.»
«Non è vero» mormorò Lennon a voce bassa, mentre lottava contro le lacrime che minacciavano di uscire.
«Tu non hai idea della fatica che ho fatto a prendere quella decisione, quante volte ho dovuto registrare e cancellare quel messaggio perché non ci riuscivo, presa dalle emozioni... Credi che per me sia stato facile?» Il suo tono di voce si alzò.
«Non ho detto quello, però non hai voluto lottare.»
«Siamo stati costretti, Harry.»
«Non proprio. Ce l'avremmo fatta se solo...»
«Se solo cosa?»
«Se solo ci avessimo provato.»
«Le cose non sono sempre rosa e fiori, io non credo ci sarei riuscita con tutto quello che stavo passando.»
«Ti avrei potuta aiutare» insistette Harry.
«No invece. Non ci saresti riuscito...»
Lennon stava per aggiungere altro ma poi sospirò affranta, prese cinque euro dalla borsa e li lasciò sul tavolo.
Senza osare guardare Harry negli occhi si alzò dalla sedia ed uscì dal bar.
Lui rimase immobile a guardarla andarsene.
Non doveva andare così. 


 

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Sono in un ritardo estremo, lo so, e la cosa più grave è che questo capitolo l'ho scritto tipo ad agosto!
Chiedo scusa a chi segue la fan fiction, so che questa mancanza di continuità non è il massimo per i lettori ma sono in un periodo un po' così in cui non mi va tanto di postare perché bo, non mi sento molto a mio agio su efp ultimamente. Non mi sento "compresa" non so come spiegare, è una cosa che non c'entra niente col numero di recensioni o altro solo che posto e non mi sembra di ricevere alcun parere sincero. La storia la sto continuando a scrivere perché comunque è una cosa che va al di là del "successo" ma ripeto, riguarda pareri, che possono essermi dati anche in chat su facebook piuttosto che in una recensione che fa numero.
Ormai passo per quella più famosa su efp, sembra che Jas sia la più popolare (con altre) su sto sito merdoso poi alla fine se ci penso io parlo con quelle due o tre persone che ora probabilmente sono diventate una e mezza e mi chiedo cos'abbia la gente da rompermi le scatole per cose che non esistono! Perché se proprio c'è stato un periodo in cui potevo essere definita popolare questo era due anni fa, quando efp non era invaso da storie a rating rosso o comunque da duecentomila storie, e mi riferisco a quando ho scritto Tutor Girl.
Detto ciò, scusate per il piccolo sfogo ma come ho detto è un periodo un po' così, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Non so quando aggiornerò la prossima volta perché domani vado a Milano che inizio l'università e sono senza computer, spero di riuscire a prenderne uno entro il weekend prossimo.
Jas


 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***




 


 

  
 

Capitolo 5

 
 
 
Era Sabato.
Erano le 23.37 e Lennon si stava annoiando a morte, seduta a quel tavolo con delle persone delle quali non si ricordava nemmeno i nomi e che stavano parlando di non si sapeva bene che cosa.
Ricordava Wesley, il ragazzo alto e dal fisico asciutto, che Jackie aveva definito "manzo colossale" (e come darle torto?) che sapeva l'aveva puntata dal momento in cui si era seduta al loro tavolo.
«Esco a fumare una sigaretta» sussurrò Lennon all'orecchio dell'amica, prendendo la borsa ed alzandosi da lì.
«Dài non fare la depressa!» protestò Jacqueline, già al terzo Martini, ma Lennon la ignorò ed uscì dal locale lasciando che la musica assordante fosse sostituita dal chiacchiericcio di quella via pedonale piena di pub e bar.
Si portò la sigaretta alle labbra ma solo in quel momento si accorse di non avere da accendere.
Stava per chiedere un accendino ad un gruppo di ragazzi poco distante da lei ma improvvisamente comparse Wesley, che le porse prontamente il suo.
«Grazie» disse Lennon, dopo aver aspirato la prima boccata di fumo.
«Non c'è di che» rispose lui, col suo accento americano.
Wesley, o Wes, come si faceva chiamare, veniva dalla California ed era in vacanza a Parigi con suo fratello Keaton e il loro amico Drew.
Jackie e Lennon li avevano conosciuti poche ore prima in metro, i tre ragazzi avevano difficoltà nello stampare i biglietti e Lennon li aveva prontamente aiutati.
«Hai una dote nel rimorchiare i ragazzi fighi» le aveva sussurrato Jackie nell'orecchio, dopo che i ragazzi proposero loro di uscire insieme quella sera.
Tutti molto belli, Lennon lo aveva riconosciuto, ma non erano esattamente i suoi tipi.
Non erano Harry.
Rimasero in silenzio, entrambi concentrati a fumare, per un tempo che a Lennon parve infinito. Odiava i silenzi, soprattutto se così carichi di tensione.
«Allora, ti piace Parigi?» domandò, giusto per porre fine a quella situazione imbarazzante.
Wes aspirò un po' di fumo dalla sua sigaretta prima di rispondere, «è molto bella, ma non fa per me. Troppo... Pittoresca. Non è la California.»
Lennon sorrise, «no, non lo è per niente.»
«Però le ragazze sono molto carine» continuò lui, rivolgendole un occhiolino.
«Io non sono francese» si affrettò a chiarire Lennon.
«Lo so. Però io ti ho conosciuta qua, se fossi rimasto a Huntington Beach probabilmente non saprei nemmeno chi fossi.»
Lennon annuì pensierosa, dondolandosi da un piede all'altro e buttando la cenere della sigaretta per terra.
«Vero» disse poi, accennando un sorriso.
Wesley la guardò confuso, «sei sempre così distaccata o sono io che ti sto antipatico?»
Quella volta Lennon rise sinceramente, «no, non sei tu. Sono io che...» si passò una mano tra i capelli e si rese conto che non si era ancora abituata ad averli così corti. «Sto passando un periodo un po' così.»
«Fammi indovinare: un ragazzo?»
La bionda annuì.
«Ha fatto lo stronzo?»
Lennon scosse la testa, «è questo il problema. Fosse stronzo sarebbe più facile odiarlo e di conseguenza dimenticarlo» borbottò.
Harry era un punto fisso nella sua mente, difficilmente l'avrebbe dimenticato.
E non lo odiava, nonostante un po' ce l'avesse con lui per la sua reazione.
Sapeva anche lei che lasciare qualcuno con un messaggio in segreteria non era la cosa più nobile del mondo ma si aspettava un po' di comprensione, da lui. Infondo quella situazione non era comune a tutti e quella le era sembrata - e le sembrava ancora - la soluzione migliore. Si chiese cosa sarebbe successo se lei non lo avesse mai scaricato con un messaggio in segreteria. Se l'avesse chiamato probabilmente non avrebbe mai avuto la forza per lasciarlo, si conosceva troppo bene. La sua voce, seppur distante e a volte a scatti, le avrebbe fatto venire comunque i brividi e le avrebbe reso impossibile dirgli addio.
L'unica cosa che chiedeva ad Harry era un po' di comprensione, per quello e per tutto il resto, per cosa aveva dovuto passare. Lei era da sola in America, lui in Inghilterra aveva Zayn, Liam, Louis e Niall. A Parigi ancora Liam. Non avrebbe mai osato dire che per Harry fosse stato facile, perché sapeva che non era così, ma era lei quella che aveva sopportato il peggio, quello le doveva essere riconosciuto.
Lei oltre che al ragazzo che amava aveva dovuto rinunciare alla città nella quale era cresciuta, alle sue amicizie, alla scuola che desiderava fare da quando l'unica cosa che sapesse disegnare erano degli uomini stilizzati, e un po' anche alla sua famiglia che dopo la morte della nonna non era più la stessa.
Harry però non aveva pensato a tutto quello, si era concentrato su quel dannato messaggio in segreteria nel quale Lennon non si ricordava nemmeno cos'avesse detto per la precisione.
Lui era ancora nel suo mondo immacolato, lo aveva capito lei. Non gliene faceva una colpa, ma era ancora al sicuro da tutto Harry, nonostante avesse anche lui vent'anni come lei.
Il rapporto col padre era migliorato da poco, lo sapeva bene, ma a parte quello e la fine della loro relazione non aveva avuto grandi delusioni o problemi nella vita.
Erano su due lunghezze d'onda completamente diverse, avevano due visioni della vita completamente diverse e Lennon aveva paura che non si sarebbero mai trovati.
Sospirò affranta, e si rese conto che era rimasta in silenzio per un tempo indefinito davanti a Wesley che non aveva osato fiatare ma che aveva appena buttato la sigaretta spenta per terra, per poi schiacciarla con un piede. «Trova un motivo per odiarlo.»
Lennon respirò profondamente, «non credo sia possibile odiare Harry. Fatta eccezione per Jackie che non lo può vedere e non so nemmeno perché. Non sono mai andati d'accordo, credo che l'odio sia reciproco, ma senza un motivo preciso.»
«Forse perché secondo lei Harry non è il tipo adatto a te.»
«Forse» ripeté Lennon, «forse ora non è più il tipo adatto a me. Alcuni anni fa lo era, credo fin troppo.»
 
 
 
«Dimmi perché sto passando il sabato sera a giocare a PES con te.»
«Perché ho il gioco in anteprima e perché sono depresso e da bravo amico che sei mi stai facendo compagnia perché io non ho davvero voglia di uscire.»
Liam alzò gli occhi al cielo e Harry approfittò del momento di distrazione dell'amico per rubargli la palla e correre nella sua area.
Riuscì a superare facilmente la difesa e quando si trovò solo davanti al portiere piazzò il pallone nel sette.
«Goal!» esclamò Harry, alzando le braccia al cielo.
Liam lo guardò seccato, «almeno fammi vincere» si lamentò poi.
Il riccio gli rivolse un sorriso vittorioso e poi si alzò dal divano, diretto verso la cucina.
Aprì il frigo e guardò cosa poteva offrire all'amico.
«Vuoi una birra?» gridò, prendendosene una per sé.
«Okay.»
Liam fece capolino in cucina e io riccio gliene porse una, fecero scontrare le due bottiglie di vetro in un brindisi prima di berne un lungo sorso.
«Grazie per essere venuto» disse poi Harry, pulendosi il labbro superiore dalla birra e sentendo le bollicine solleticargli l'esofago.
Liam si strinse nelle spalle, «PES in anteprima è il mio sogno da adolescente.»
Harry gli diede una spinta amichevole nonostante sapesse che quello era il "non c'è di che" di Liam, che molto raramente si dimostrava gentile e disponibile.
Harry lo conosceva dall'asilo, non sapeva da quando fossero diventati amici, l'unica cosa di cui era certo, era che era sempre stato presente in tutti i suoi compleanni, da quando ne aveva memoria. Erano praticamente l'opposto l'uno dell'altro eppure riuscivano a capirsi con uno solo sguardo.
«Sei messo peggio di quanto mi aspettassi» osservò Liam, appoggiando sul tavolo la birra ancora mezza piena.
Harry si strinse nelle spalle e prese posto su una sedia, «cosa posso fare? Ho aspettato questo momento da quando se n'è andata, e ora? Lei non è la stessa Lennon che ho lasciato, c'è qualcosa in lei che...» sospirò affranto, come se non riuscisse a trovare le parole adatte per esprimere ciò che gli passava per la testa. Erano dei sentimenti contrastanti e ai quali Harry non sapeva dare un nome. Odio? Dispiacere? Rabbia? Verso di chi? Di chi era la colpa per tutta quella situazione?
Avrebbe pagato oro per avere una risposta a quella domanda, ma soprattutto, per sapere cos'avesse fatto di male per meritarsi tutto quello che stava passando.
«Secondo me» esordì Liam, prendendo poi una piccola pausa - segno che quello che stava per uscire dalle sue labbra non era niente di buono né di facile da dire, «dovresti lasciarla un po' perdere. Insomma, io adoro, anzi, adoravo Lennon. Eravate la coppia perfetta, davvero, non mi sarei sorpreso se un giorno foste venuti a dirmi che vi stavate per sposare. Però le cose sono cambiate, tu sei rimasto ancorato al ricordo che hai di lei, ai bei momenti che avete passato insieme, ma forse lei non è più quella di prima. Certi eventi, nella vita, ti cambiano, e ti portano a compiere delle scelte che magari prima non avresti mai pensato essere in grado di fare.»
Harry annuì pensieroso, forse Liam non aveva tutti i torti. Sotto il suo istinto da playboy si nascondeva un ragazzo dolce e buono, in grado di dare dei consigli preziosi.
Il silenzio che si era venuto a creare fu interrotto dalla suoneria di un cellulare. Liam lo prese dalla tasca dei suoi jeans e nello stesso istante in cui lesse il nome del mittente sul display, sul suo viso comparì un sorriso compiaciuto.
«È Felicia.» 
Harry lo guardò confuso, «chi è Felicia?»
«La mia nuova conquista» disse Liam, prima di sparire fuori dalla cucina per rispondere.
L'amico alzò gli occhi al cielo e poi finì la birra in un sorso, si chiese se forse non dovesse chiamare Lennon e chiederle scusa, ma per cosa?
Aveva l'impressione che l'ultima persona con la quale volesse parlare fosse lui.


 

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Avevo pensato di studiare e poi postare, poi alla fine non sono riuscita a resistere quindi eccomi qua!
Wesley e gli altri due per chi non lo sapesse sono gli Emblem 3, diciamo che nutro un particolare interesse per Wes, sul quale ho scritto una one shot e che ho messo pure in sto capitolo. Volevo quasi fargli baciare Lennon poi però le cose con Harry si sarebbero complicate troppo quindi ho preferito evitare, ma quel ragazzo è un gran gnocco ahahaha
A parte ciò questo capitolo è un po' di passaggio, il prossimo invece sarà più importante.
Per quanto riguarda l'"angolo autore" dello scorso capitolo, dai messaggi che ho ricevuto ho capito di essere stata un po' fraintesa quindi vi incollo qui, a puro titolo di chiarimento, una cosa che ho scritto ad una ragazza e che ho pubblicato anche su Facebook, la metto anche qui per chi non fosse mio amico e/o non l'avesse letta :)

"Credo di essermi espressa un po' male, non è che credo che voi che mi recensite mi diciate bugie, insomma, che senso avrebbe? È solo che mi piacerebbe vedere qualcuno più coinvolto nella storia, mi piacerebbe creare un bel rapporto coi miei lettori invece io posto la gente legge e poi chiude la pagina.
Non dico che devono recensire tutti ad ogni costo, anzi, un messaggio in chat sarebbe più apprezzato. Ho creato un account Facebook per essere più "vicina" ai miei lettori invece sembra che lo usi solo per parlare con quelle tre ragazze e per postare stati inutili ai quali mi mettono venti mi piace.
Mi piacerebbe chiacchierare con qualcuno che legge la storia, sapere che ne pensa dei personaggi e così. Sarebbe uno stimolo in più anche per me come scrittrice, saprei come mandare avanti la storia già che ho l'occasione di modificare un po' i fatti in base a quello che i miei lettori pensano visto che la storia la posto più o meno man mano che la scrivo (sono avanti solo di un paio di capitoli).
In passato facevo così, ricordo che leggevo le recensioni e qualcuno diceva qualcosa che mi dava spunto per andare avanti. Questa cosa non succede da Tutor Girl, una fan fiction che ho postato quando è uscita One Thing, una vita fa praticamente.
Non è una questione di numero di recensioni, ma di qualità di pareri diciamo. 
Ricevere trenta recensioni con scritto "bellissimo continua" non varrà mia quanto una sola recensione più articolata dove il lettore esprime davvero il suo parere.
Ora, credo che comunque il mio problema dipenda anche dal fatto che ormai su efp ci siano una caterba di ragazzine che sanno a malapena coniugare i congiuntivi quindi capisco che per loro scrivere "bello continua" sia più facile che cimentarsi in qualcosa di più complesso, nonostante ciò credo che ci siano anche tante altre ragazze che invece sappiano fare quello che intendo io e non ci credo che tra le 200 e qualcosa persone che seguono Begin Again siano tutte della prima categoria.
Mi dispiace molto questa cosa, ora magari un po' di persone penseranno che sono in cerca di popolarità visto che la gente sa solo criticare ma credo di aver detto con chiarezza quello che penso e che è il mio problema e chi vuole capire penso sia in grado di farlo.
"

Jas



 


(One shot su Wesley Stromberg)




(Prima one shot Hiley)




(Seconda one shot Hiley)

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***




 


 

  
 

Capitolo 6


 

 

Era Martedì.
Harry non vedeva Lennon da quattro giorni esatti e da allora non era passato un momento nel quale lui non si fosse chiesto cosa stesse facendo lei, dove fosse, come stesse.
Una volta era passato perfino davanti alla panetteria dove lavorava e l'aveva intravista attraverso la vetrina, intenta a servire un cliente col sorriso dipinto sul volto.
Stava bene, a differenza sua. Stava bene anche senza di lui.
Se avesse tenuto a lui anche solo la metà di quanto lui teneva a lei, si sarebbe fatta viva, invece l'ultima volta che Harry aveva sentito Lennon era stata quella volta al bar, quando si erano lasciati rinfacciandosi gli sbagli piuttosto che essere felici per essere di nuovo insieme.
Cosa ne sarebbe stato di loro?
Harry aveva passato ogni secondo, da quando Lennon era partita per gli Stati Uniti, a pensare al momento in cui l'avrebbe riabbracciata (l'aveva sempre saputo che sarebbe arrivato), ma mai si sarebbe aspettato che sarebbe andata a finire così. Quella era la vera fine della loro storia? Avevano messo un punto a loro due? Harry non aveva risposte a quella domande e l'unica persona che avrebbe potuto aiutarlo probabilmente non voleva vederlo ma i suoi dubbi si moltiplicavano ogni secondo di più ed Harry era così preso da ciò che stava accadendo nella sua testa che era rimasto con la forchetta a mezz'aria, gli spaghetti ormai caduti da essa e lo sguardo preoccupato del padre su di lui.
«Harry stai bene?»
Il riccio sussultò, la forchetta gli scivolò dalla mano cadendo sul piatto di porcellana e producendo un rumore acuto che si protrasse per alcuni istanti nella stanza avvolta dal silenzio.
«Stavo pensando» si giustificò il ragazzo prendendo il tovagliolo e pulendosi la bocca soprappensiero, nonostante non ce ne fosse proprio bisogno.
«A cosa?»
Harry scosse la testa, aveva parlato di quella situazione a fin troppe persone, non aveva intenzione di aprirsi anche col padre nonostante il loro rapporto fosse molto migliorato negli ultimi tempi.
«Niente di importante.»
Alcuni anni prima Des avrebbe semplicemente annuito e fatto finta di niente, invece appoggiò la forchetta sul piatto e guardò il figlio.
«Mi sembri troppo preoccupato perché quello che tu stai pensando sia "niente di importante".»
Harry sospirò passandosi una mano tra i capelli indeciso sul da farsi, lanciò uno sguardo al padre, in attesa di una risposta, poi decise di parlare.
Forse lui era la persona giusta con cui sfogarsi, nonostante Harry non fosse certo che ne sapesse molto in fatto di donne vista la fine che il suo matrimonio aveva fatto.
«Lennon è a Parigi, lavora ancora nella solita panetteria e la settimana scorsa ci siamo visti. Il nostro incontro è durato meno di un'ora e si è concluso con lei che se ne andava infuriata perché io le ho rinfacciato il fatto che mi abbia scaricato con un messaggio in segreteria e lei mi ha detto che io sono ancora un bambino, che devo crescere. Il fatto è che non mi sembra più la Lennon che era, io...» Harry si interruppe un attimo, combattuto. «Non la sento da allora» concluse, poi prese un lungo respiro, come se al posto di parlare avesse corso una maratona. Afferrò il bicchiere e dopo averlo riempito d'acqua lo svuotò in un sorso.
«Dovresti sentirla, parlarci. Anche litigare. Hai aspettato così tanto per vederla e ora che è a due passi da te non puoi sprecare il tuo tempo. Non siete più due ragazzini del liceo, i tempi sono cambiati, tante cose sono cambiate, voi stessi siete cambiati ma dovete capire come. Se siete ancora compatibili, se Lennon è ancora la ragazza che ami o se è cambiata così tanto da non essere più la ragazza della quale ti sei innamorato.»
Nella stanza calò nuovamente il silenzio, Harry rimuginava sulle parole del padre e si rese conto che aveva perfettamente ragione, non poteva mettere fine a tutto così.
Si alzò di scatto dalla sedia senza preoccuparsi di trascinarla sul parquet e corse in camera alla ricerca del cellulare che trovò sotto la montagna di vestiti ammucchiati sulla scrivania. Prima che potesse cambiare idea chiamò Lennon, l'ansia e i ripensamenti sopraggiunsero soltanto quando sentì dall'altra parte la linea libera.
Harry contò sette squilli, da un momento all'altro sarebbe entrata la segreteria e lui non era preparato a lasciarle un messaggio. Stava per riattaccare quando la voce della ragazza gli giunse alle orecchie: un "pronto?" incerto e un po' incredulo.
«Ciao Lennon, sono io.»
«Lo so che sei tu!»
Harry chiuse gli occhi e imprecò in silenzio, limitandosi a muovere le labbra, era normale che lei avesse il suo numero salvato.
«Volevo... Volevo parlarti.»
«Questo non è un buon momento.»
Solo in quel momento Harry si rese conto del baccano che c'era in sottofondo dall'altra parte, era martedì e non si aspettava che Lennon fosse in giro e per lo più un po' brilla. Lo capiva dal modo in cui parlava, dal tono acuto della voce, alta non solo per sovrastare il rumore che c'era nel posto in cui era.
«È urgente.»
«Se era così urgente potevi anche farti vivo prima.»
«Non fare la stronza, avresti potuto chiamarmi anche te» borbottò infastidito.
«Io non ho nulla di urgente da dirti.»
«Vai al diavolo» disse Harry prima di riattaccare e scagliare il telefono dall'altra parte della stanza.



Lennon bevve la vodka rimasta nel bicchiere in un sorso, poi osservò in silenzio la folla che si muoveva a tempo su quella musica commerciale che si sentiva tutti i giorni alla radio, il telefono ancora in mano, la voce di Harry ancora nella testa.
Era ubriaca, ma non abbastanza da impedire ai sensi di colpa di tartassarle la mente.
Non sapeva nemmeno lei perché aveva trattato Harry così male, probabilmente l'aveva chiamata per chiederle scusa, cosa che Lennon infondo sperava, eppure piuttosto che lasciarlo parlare lei lo aveva trattato male, forse per vendicarsi per quello che le aveva fatto.
Avrebbe solo voluto che le cose tra loro due andassero bene come all'inizio, come quando lui aveva aspettato fuori dalla panetteria che lei finisse il turno, come quando si erano baciati nei giardini delle Tuleries o davanti alla Tour Eiffel. Avrebbe solo voluto abbracciarlo, accarezzargli i capelli e sentire il suo respiro caldo sul collo, invece si trovava ubriaca, sola, in un locale di Pigalle.
Jacqueline era sparita con un ragazzo di colore e lei si era ritrovata a ballare in mezzo alla folla con cinque o sei ragazzi che la fissavano come se fosse il più delizioso dei bocconcini.
La chiamata di Harry era arrivata nel momento sbagliato ma la quiete che aveva intuito dall'altra parte della cornetta l'aveva tranquillizzata nonostante le risposte che lei gli aveva dato.
Le era mancata la sicurezza che lui era in grado di darle, la sua voce profonda e il suo tono sempre tranquillo e rilassante. Lo rivoleva con lei ma come sempre aveva rovinato tutto anche quando sembrava impossibile peggiorare la situazione.
Lennon appoggiò il bicchiere sul bancone, ed uscì dal locale senza badare alle persone che spingeva e che imprecavano per i suoi modi poco gentili.
Cercò di chiamare Jacqueline ma quando la segreteria entrò in funzione per la sesta volta consecutiva decise di lasciarle un messaggio in cui l'avvertiva di non stare troppo bene e che sarebbe andata a casa da sola.
Prese il primo taxi che si fermò sul ciglio della strada e durante il tragitto si addormentò ben tre volte, risvegliandosi poi alcuni minuti dopo.
Quando riconobbe la Gare du Nord e capì di essere quasi arrivata a destinazione si sforzò di tenere gli occhi aperti, pagò il tassista, scese dall'auto molto velocemente. Aprì il portone con una fretta ingiustificata, quasi come se non volesse rimanere fuori di casa un secondo di più. Salì le scale correndo, abitava soltanto al secondo piano, e solo quando entrò nel suo appartamentino si tranquillizzò appoggiando la schiena alla porta verniciata di verde scuro, il fiatone ad interrompere il silenzio assordante.
Osservò il salotto illuminato soltanto dalle luci della città che filtravano dalla portafinestra posta a destra del divano, si tolse le scarpe e si avviò in cucina per bere un bicchiere d'acqua, ancora poco lucida.
Si diresse in camera, si spogliò ed indossò una vecchia maglietta a maniche corte che utilizzava come pigiama poi, senza nemmeno prendere la briga di struccarsi, si mise a letto.
In quel momento il cellulare che aveva appoggiato sul comodino si illuminò, Jacqueline aveva visto soltanto allora le sue chiamate e le aveva risposto con un sms.
Lennon osservò per alcuni secondi lo sfondo del telefonino, poi senza nemmeno pensarci aprì la rubrica e cercò il numero di Harry.
Rimase immobile per una manciata di secondi, chiedendosi cosa stesse facendo, se quella fosse la cosa giusta. Voleva sentirlo, voleva vederlo, voleva averlo lì con sé ma il timore che fosse troppo tardi le aveva paralizzato le dita.
Deglutì, poi presa da un moto di coraggio gli inviò un sms.
"Sono un casino, scusa"



 

-


 

Ciao a tutte! :)
Finalmente ho risolto i miei problemi col computer (voi non potete capire la mia gioia) ed eccomi qua con un nuovo aggiornamento!
Harry e Lennon non si sono ancora riavvicinati, però sembra che lei lo abbia perdonato.
Mi dispiace se la storia vi sta sembrando un po' noiosa, dal prossimo capitolo le cose cominceranno a movimentarsi un po', spero di non avervi annoiate troppo nel frattempo!
Volevo anche ringraziarvi per le meravigliose recensioni che mi avete lasciato e dirvi che ho cancellato il mio profilo di Facebook ma che comunque la pagina l'ho lasciata quindi se volete scrivermi potete farlo lì :)
Alla prossima!

Jas



 



(So che il panettiere della situazione non è Harry ma bensì Lennon, però amavo la gif ahaha)

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***




 


 

  
 

Capitolo 7

 

But on a Wednesday in a cafe
I watched it begin again 


 

Era Mercoledì.

Ancora stordito per la dormita lunga più di 10 ore, Harry aveva preso in mano il cellulare ed osservato quella nuvoletta grigia per interminabili secondi, fino a quando i caratteri non avevano iniziato a diventare sfuocati. Poi aveva stropicciato gli occhi, scostato le lenzuola di dosso e si era alzato ancora sorpreso per il messaggio che aveva ricevuto: Lennon che gli chiedeva di vedersi. Lo stomaco cominciava a brontolare e quando Harry arrivò in cucina pronto a mettere sotto i denti una quantità industriale di cibo, l'ultima persona che si aspettava di trovare seduta sullo sgabello dall'altra parte della penisola di marmo chiaro era una minuta ragazza dai capelli biondi e corti.

Come mossa da un sesto senso, questa si girò di scatto e i suoi occhi incrociarono quelli di Harry, rimasto fermo sotto l'arco che collegava il salotto alla spaziosa cucina.

«Buongiorno» disse lei, alzandosi dallo sgabello e muovendo un passo nella direzione del ragazzo.

«Lennon.»

La voce di Harry era stata un sussurro, il suo sguardo ancora assopito dal sonno ma incredulo, il tono più basso e rauco del solito.

«Possiamo parlare?» chiese lei titubante, la testa che le pulsava ancora per la sbornia della sera prima.

Harry sentì un moto di rabbia farsi spazio dentro di lui, «non credo» disse sprezzante,«ieri non mi sembravi così propense a parlare, non vedo perché ora io dovrei rimanere qui ad ascoltarti» continuò, nonostante infondo sapeva che quelle parole erano dettate dall'ira del momento.

Voleva parlare con Lennon, eccome, ma le sue parole colme d'odio della sera prima erano ancora ben impresse nella sua mente e nonostante gli sforzi non riusciva a capire come in una sola notte lei avesse potuto cambiare idea e spingersi ad andare addirittura a casa sua per parlargli.

«Harry mi dispiace, ma non ero completamente in me.»

Il ragazzo notò alle spalle di Lennon Carmela fare cenno con la testa verso la ragazza e mimare con le labbra la parola "muoviti".

«Mi dispiace interrompervi ragazzi ma non posso non restare in cucina, devo finire tutte le faccende entro mezzogiorno perché poi devo andare via» disse poi.

Harry si schiarì la voce, «vado... Vado un attimo a prepararmi» disse, prima di sparire di nuovo in camera.

Si mise un paio di pantaloncini che trovò appoggiati sulla sedia della scrivania e una maglietta bianca, stava per andare in bagno per lavarsi faccia e denti quando Carmela spuntò sul ciglio della porta.

«Non so cosa sia successo tra voi due, non voglio nemmeno sapere i dettagli della vostra soap opera ma prova a rovinare tutto e poi fare il depresso a casa per un mese che giuro su Dio che un giorno ti sveglierai senza capelli.»

Harry alzò le mani in segno di resa, «tranquilla, ho intenzione di parlarle, ma se avessi sentito come mi ha risposto male ieri sera non so se diresti queste cose.»

Carmela sospirò e mise le mani sui fianchi, Harry la superò per dirigersi in bagno.

«Non so se l'hai capito ma ieri era un po' ubriaca, ha fatto lo sforzo di alzarsi e venire qua per parlarti, non credi che valga la pena darle una possibilità?»

«È quello che ho intenzione di fare» borbottò Harry mentre faceva scorrere l'acqua nel lavandino in attesa che diventasse un po' meno gelata. «Però mi sembra che lei non sia piùla ragazza che io ho lasciato un anno fa» aggiunse, «non so per cosa sto lottando. E se lei non fosse più la ragazza che io mi aspetto?»

«Chico, non resta che scoprirlo. Prova a conoscerla per quello che lei è ora, lascia tutto il resto alle spalle, vedrai che ne varrà la pena» e senza dare tempo ad Harry di ribattere, Carmela se ne andò.

Lui rimase per alcuni minuti ad osservare il suo viso stanco davanti allo specchio poi decise di finire di prepararsi e quando tornò in cucina trovò Lennon seduta sullo stesso sgabello di prima ad aspettarlo.

«Andiamo?»

Lennon annuì e dopo aver salutato Carmela - che invece riservò uno sguardo severo ad Harry - uscì in silenzio dietro al riccio.

Il tragitto da casa Styles al café all'angolo si svolse nel più assoluto dei silenzi che fu rotto da Harry soltanto nel momento in cui giunsero infondo alla strada con un "entriamo qui?".

Lennon scelse il tavolino più appartato del locale, si sedette sulla sedia che dava le spalle al resto della stanza ed appoggiò la borsa per terra.

«Spero che questa conversazione non si concluda come l'ultima volta.»

Harry sospirò, «mi dispiace per come ti ho accusata, insomma, hai fatto quello che hai fatto ma so che le tue intenzioni erano buone. Non volevo farti arrabbiare.»

Lennon scosse la testa, «sono io che devo chiederti scusa per come ti ho trattato ieri sera. Sono sorpresa del fatto che tu non mi abbia mandata a quel paese, prima, quando mi hai vista a casa tua» mormorò, mantenendo lo sguardo basso.

Harry serrò le labbra ed osservò la ragazza seduta di fronte a lui, era Lennon, la suaLennon, e per quanto potesse essere cambiata, infondo era sempre lei, si ritrovò a pensare.

«In effetti mi hai colto di sorpresa» osservò poi, prima di essere interrotto da un cameriere che domandava loro cosa volessero.

Dopo aver preso le ordinazioni, Harry si schiarì la voce pronto a parlare.

«So che le cose non sono più come una volta» cominciò con lo sguardo basso, «e non lo saranno più, in un certo senso. Non so cosa sia cambiato in noi, sinceramente mi aspettavo che non appena ci saremmo rivisti sarebbe risbocciato l'amore all'istante, invece abbiamo finito per mandarci al paese a vicenda.»

Lennon annuì e increspò le labbra, «io non voglio perderti» mormorò poi.

«Nemmeno io» si ritrovò a rispondere Harry, «ma sono troppo attaccato al ricordo della vecchia te, ora guardati: sei una donna ormai, indipendente, forte, coi capelli corti. Io dipendo ancora dai miei, c'è Carmela che mi rifà il letto tutti i giorni e che mi prepara la colazione, mio padre che mi carica la carta di credito ogni mese, mia madre che mi manda un messaggio almeno una volta alla settimana. Avevi ragione tu, siamo cambiati. Forse non siamo più fatti l'uno per l'altro.»

Il respiro di Lennon si arrestò per alcuni secondi, «Harry io non intendevo quello» si affrettò a chiarire, una nota di panico nella voce.

Il riccio scosse la testa, «fammi finire» la interruppe.

Attese un attimo prima di riprendere a parlare.

«Dicevo che forse non siamo più fatti l'uno per l'altro, o forse sì. Sta a noi scoprirlo. Voglio conoscerti Lennon, per quello che sei diventata. Voglio sapere cos'è successo in tutto questo tempo, cosa ti ha spinta a tornare a Parigi, tutto, le cose belle e quelle brutte. E voglio che tu conosca me, anche se infondo sono il solito cazzone di sempre, solo con qualche tatuaggio in più.»

Lennon rise, «qualche?»

Harry increspò le labbra, lo sguardo prima sulle sue mani giunte sul tavolino e poi sugli occhi blu di Lennon dei quali conosceva ogni singola sfumatura.

«Voglio ricominciare tutto da capo. Se tu ci stai, ovviamente.»

Lennon annuì, «in questo momento avrei una voglia matta di baciarti» confessò poi.

Harry scosse la testa, «io ce l'ho da quando ti ho vista quella sera a St. Michel» ammise,«ma non sarebbe la cosa più giusta da fare... Credo.»

La bionda annuì, «allora raccontami un po' di cosa combini.»

«Niente di che, vivo con mio padre e vado all'università. Ho finito di dare gli esami un paio di settimane fa. Sei tu quella che ha più cose da raccontare.»

«Lavoro nella solita panetteria ma solo per l'estate, a settembre se tutto va bene inizio a frequentare la Scuola delle Belle Arti, vivo da sola in un appartamento di una zia di Jacqueline vicino alla Gare du Nord e... Credo che sia tutto per ora.»

«Frequenterai la facoltà della Sorbona?»

Lennon scosse la testa, «no, è una scuola a sé, nella facoltà della Sorbona si studiava solo storia dell'arte e archeologia che non mi interessano molto.»

«Sono contento, alla fine ce l'abbia fatta a realizzare il tuo sogno.»

«Ah!» lo bloccò Lennon alzando la mano ad una spanna dal suo naso, «non cantiamo vittoria troppo presto, attiro la sfortuna io. E poi con l'inizio della scuola non so come farò a mantenermi, dovrei trovare lavoro in un pub o qualcosa del genere così da avere la giornata libera per frequentare e lavorare la sera. Ci sono tante cose da vedere ma sono ottimista.»

«Lo sai che se hai bisogno puoi chiedermi qualunque cosa.»

«Sì Harry, ma non voglio i tuoi soldi, voglio cavarmela da sola, comunque grazie.»

In quel momento tornò il cameriere con la loro colazione, cappuccino e croissant per Harry e un tè per Lennon.

«Comunque» osservò il riccio con la bocca piena, «sono curioso di vedere dove abiti.»

«È un buco di appartamento, non aspettarti una replica di casa tua»

«Io non ho detto niente» si difese Harry.

«Però mi piace» continuò Lennon «è accogliente ed essendo sola non è che mi serva tutto questo gran spazio.»

«Sono sicuro che sarà bello e arredato con gusto, quanti quadri avrai appeso sulle pareti? Cinquanta?»

Lennon si irrigidì, Harry si accorse della sua reazione e smise di ridere all'istante.

«Ho detto qualcosa che non va?»

La bionda scosse la testa, «no, è che...»

Non le andava di mentirgli, ma nemmeno di dirgli che aveva un mucchio di fogli pieno di suoi ritratti e passare per psicopatica.

«Ti va di venire a vedere casa mia, ora?»


 

-




Chiedo scusa per la pessima formattazione del testo ma su sto computer non ho ancora installato Word, Open Office nonostante l'abbia scaricato non mi si apre e non ho voglia di stare qua a togliere quegli spazi tra tutte le righe ahaha
Questo è il capitolo della svolta, quindi sì, finalmente Lennon e Harry hanno trovato un compromesso ora c'è solo da vedere come andranno le cose :)
Vi ringrazio di cuore per tutte le recensioni che mi avete lasciato nello scorso capitolo, ora vado a finire di rispondervi!
Fatemi sapere che ne pensate della riappacificazione, alla prossima!
Jas

P.S. Per chi non se ne fosse accorto, ho ricominciato ad aggiornare Good old days! :)



 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***




 


 

  
 

Capitolo 8




Lennon aprì la porta del suo appartamento e mise un piede all'interno di esso aprendo poi le braccia con fare teatrale.
«Benvenuto nella mia umile dimora!» esclamò sorridente e curiosa di vedere la reazione di Harry.
Il ragazzo si passò distrattamente una mano tra i capelli, gli occhi rimbalzavano a destra e a sinistra mentre osservavano la cucina, il divano, la tv, le tende color panna e le pareti bianche.
«Ti sei sistemata bene» disse infine, avvicinandosi alla finestra e guardando la città di Parigi da quella prospettiva.
Lennon annuì, era in casa sua con Harry, improvvisamente quel pensiero le fece aumentare il battito cardiaco e una strana sensazione si fece strada all'interno di lei.
Era... Agitazione? Conosceva Harry da anni ormai e si ritrovò sorpresa della sua reazione, non era niente di nuovo, era il suo meraviglioso ex ragazzo. Non c'erano incertezze in lui. Lennon conosceva a memoria ogni centimetro del suo viso, il tocco delle sue mani sulla schiena nuda, il suo soffio sul collo, le sue labbra sulla pelle. Tutto.
Allora perché tutta quell'improvvisa ansia?
«Ehm... Vuoi qualcosa da bere? Ho acqua, coca cola, succo...» domandò, col tentativo di smorzare la tensione che tuttavia Harry non sembrava stare provando.
Il riccio si distrasse per un secondo dai suoi pensieri.
«Va bene l'acqua» disse soltanto, tornando poi a guardare fuori dalla finestra.
Lennon annuì e si spostò in cucina.
«Sei vicino a Pigalle, lo sai? Una sera Liam mi ha trascinato in un night da quelle parti» disse Harry.
Lennon rise, «lo so che siamo vicino a Pigalle, sono io la tua insegnante di geografia, ricordi?»
Harry non rispose, quando Lennon gli si avvicinò con i due bicchieri d'acqua in mano rimase paralizzata.
«E questi?»
Harry si voltò con due suoi ritratti in mano.
«Posso spiegarti» si affrettò a dire lei, appoggiando l'acqua sul tavolo. In quel momento si accorse che Harry non era turbato come si aspettava, anzi, era tranquillo.
La sua espressione era quasi divertita, per nulla stranita e nemmeno arrabbiata come aveva temuto dal momento in cui aveva metabolizzato il fatto che avrebbe rivisto Harry.
«Sono davvero belli» osservò il riccio, accostando un ritratto al suo viso ed imitando la smorfia che Lennon aveva ritratto. «Allora, siamo o non siamo la stessa persona?» domandò.
La bionda non poté fare a meno di scoppiare a ridere, «decisamente!»
«Questo significa che tu sei davvero brava a disdegnare. Non avevo mai pensato di essere la musa ispiratrice di qualcuno.»
«Oh, non sei solo quello» borbottò Lennon soprappensiero.
Harry aggrottò le sopracciglia pensieroso, lei pensò di aver dipinto anche quell'espressione.
«Cosa stai dicendo?»
«Ecco, vedi...»
La ragazza si diresse verso camera sua, Harry la seguì e rimase in silenzio mentre Lennon si metteva in ginocchio e prendeva da sotto il letto una scatola rossa, un po' consumata.
L'aprì con calma, il cuore che le batteva forte nel petto, ed osservò per alcuni secondi i numerosi ritratti - non tutti - che aveva fatto nel corso del tempo.
«Prima che tu pensi che io sia una psicopatica voglio che tu sappia che questo è stato il mio modo di superare tutto...»
Harry nel frattempo l'aveva raggiunta e si era inginocchiato accanto a lei. Aveva lanciato un solo sguardo al disegno in cima alla pila che sapeva aveva come soggetto lui. Solo lui.
Non parlò e non afferrò altri disegni, nonostante la curiosità di sapere come Lennon lo dipingeva, in quel momento il suo interesse era completamente catturato dalla ragazza alla sua destra con lo sguardo basso e il respiro accelerato.
«La morte di mia nonna è stato un duro colpo. Averla avuta in casa poi non ha fatto altro che aumentare il nostro legame e quando è venuta a mancare ci ho messo un po' a metabolizzare la cosa. Il trasferimento e tutto il resto hanno peggiorato la situazione, la tua lontananza l'ha resa invivibile.»
Lennon prese un respiro profondo e cercò di trattenere le lacrime.
«Sentirti al telefono, vederti su Skype, i tuoi messaggi del buongiorno alle due di notte... Non erano abbastanza. Eravamo distanti Harry, separati da un oceano, da due vite completamente diverse, da due fusi orari differenti. Guardavo Skype e aspettavo che quel dannato pallino bianco diventasse verde per poterti vedere sorridere, passarti una mano tra i capelli, morderti un labbro o semplicemente parlare. Eri distante quando avevo bisogno di un abbraccio, di un po' di conforto o semplicemente di sentire il tuo profumo, di averti vicino fisicamente. Dipingerti fare quelle cose mi dava per un momento l'impressione che fossimo meno distanti, che tu fossi dietro quel foglio su cui io stavo disegnando con l'espressione che io avevo in mente. Ora mi avrai preso per pazza, non volevo in qualche modo "violarti", se ti ho dato fastidio ti chiedo scusa ma non mi andava di tenertelo nascosto. Mi sembrava ingiusto nei tuoi confronti.»
Lennon stava per aggiungere altro ma le parole le morirono in gola nell'esatto momento in cui sentì le braccia di Harry cingerle le spalle.
Lennon si appoggiò al suo torace e si lasciò cullare da quell'abbraccio famigliare, da quel profumo che era sempre lo stesso, e si lasciò finalmente andare in un pianto liberatorio che aveva trattenuto per troppo tempo.
«Lennon, mi dispiace» mormorò Harry, accarezzandole dolcemente i capelli.
Lei scosse la testa, col viso ancora nascosto tra le sue braccia.
«Avrei voluto esserci quando avevi bisogno.»
«Ci sei ora» sussurrò lei.
Harry annuì, «non ti lascerò.»
E avrebbe voluto baciarla, sulle labbra, sulle guance, sul collo, dirle che l'amava, che non aveva mai smesso di farlo e che mai aveva provato un sentimento così forte per qualcuno, ma non ne aveva il coraggio. Quello non era il momento giusto, Lennon era già abbastanza turbata senza che lui la mandasse in confusione esternando i suoi sentimenti.
E se lei non provava lo stesso? Se in quel tempo aveva conosciuto qualcun altro e non aveva avuto il coraggio di dirglielo? Il solo pensiero lo fece innervosire e preoccupare allo stesso tempo. Sarebbe stato possibile, eppure non ci aveva mai pensato prima di allora.
Lennon dovette accorgersi del suo turbamento perché si staccò da lui - gli occhi gonfi e rossi e il trucco sbavato sulla pelle chiara - e lo guardò preoccupata.
Si asciugò malamente le lacrime, «scusa» disse poi, pensando che la reazione di Harry fosse a causa di quel suo sfogo.
«Lennon non è colpa tua.»
«Mi sei sembrato a disagio.»
«Stavo... Pensando» disse Harry incerto. Il silenzio di Lennon lo esortò a continuare. «Stavo pensando al fatto che forse tu nel frattempo abbia avuto altre storie, altri ragazzi.»
Lennon sorrise intenerita dal broncio che aveva improvvisamente messo Harry e dalle guance leggermente arrossate per l'imbarazzo.
«Le ultime labbra che hanno toccato queste» disse lei, sfiorando le proprie, «sono state le tue.»
Harry boccheggiò per alcuni secondi incerto mentre sentiva lo stomaco andare in subbuglio. Il tono con cui Lennon aveva pronunciato quelle parole, la lentezza, l'intimità di quel momento e la tacita promessa che si celava dietro di esse lo fecero tornare un ragazzino alle prime esperienze.
«Ho cercato di distrarmi da te» confessò Lennon, dopo attimi infiniti di silenzio. «Guardavo i miei coetanei e mi accorgevo di avere l'attenzione di ragazzi carini, con cui sarei potuta uscire a prendere un caffè. Poi però mi rendevo conto che gli occhi che cercavo erano verdi, i capelli ricci, il sorriso malandrino e le fossette ai lati della bocca. Capivo che le mani che volevo che mi sfiorassero tra le lenzuola fossero esattamente così» disse prendendo la mano di Harry e accarezzandola, «quindi no, non sono mia stata con nessun altro ragazzo.»
La sincerità di Lennon e il sentimento che aveva messo in ogni singola parola detta lo avevano lasciato più che spiazzato. Pensare che solo quella mattina si era svegliato col timore che le cose tra loro due non si sarebbero mai sistemate gli faceva venire le vertigini.
Harry si ritrovò ad avere il respiro corto, il battito del cuore più accelerato del normale e due parole in gola che spingevano per uscire.
«Lennon, io ti-»
Il cellulare di Harry abbandonato in cucina prese a squillare insistentemente, la suoneria alta aveva fatto sussultare entrambi, erano rimasti ad osservarsi sorpresi come se fossero stati colti in flagrante. Quel suono acuto che rimbombava nel silenzio della casa fece tornare entrambi nella realtà, come se quello che avevano appena vissuto fosse stato solo frutto della loro immaginazione.
Harry si agitò sul posto e prima che si alzasse per andare a rispondere Lennon sussurrò un «lo so, anch'io» a malapena udibile.
Rimase immobile mentre sentiva i passi di Harry allontanarsi e la sua voce rispondere al telefono con rabbia e impazienza.
«Hai scelto il momento peggiore tra tutti i momenti peggiori per chiamarmi, lo sai?»
«Sono da Lennon... Sì, abbiamo fatto pace... Non lo so, non voglio metterle fretta... Va bene... Okay... Sì... No!... Ho detto di sì, ciao.»
Harry tornò in camera con un sorriso rassicurante e decisamente poco consono al modo in cui aveva trattato il suo interlocutore al telefono alcuni secondi prima.
«Era Liam, ti saluta» disse mentre osservava Lennon richiudere lo scatolone e metterlo al suo posto.
Harry si grattò la nuca imbarazzato, «ehm... Posso guardarli quelli?» domandò cautamente, indicando i disegni.
Lennon rimase spiazzata dalla proposta, «beh...» non sapeva cosa rispondere. Non che le desse fastidio, era solo strana la cosa, tanto quando l'inaspettata reazione di Harry alla vista della sua valvola di sfogo, se non di più.
«Se vuoi prendili, anzi, li avrei buttati via a breve io, mi fanno sentire patetica.»
«Sono così brutto?» domandò Harry ridendo.
Lennon si alzò porgendogli la scatola, «non sei tu, sono io...» disse mantenendo lo sguardo basso.
Harry le diede un leggero colpetto sulla spalla, «ehi, stavo scherzando. Forse tu non hai capito quanto mi abbia fatto piacere la cosa, soprattutto al mio ego spropositato. Sappi che se ti serve un modello per qualunque cosa, anche nudo, io sono disponibile.»
A quelle parole Lennon non poté fare altro che scoppiare a ridere e fu grata ad Harry per essere riuscito ad alleggerire un argomento così difficile da affrontare per lei.
Harry appoggiò la scatola sul divano e poi andò a sedersi al tavolo.
«Ti va del tè?» gli domandò Lennon.
Harry annuì, «e a te va di uscire con me?»
La ragazza lo guardò confusa.
«Dobbiamo ricominciare tutto da capo, giusto? Quindi direi che un primo appuntamento sia la cosa giusta per iniziare. Ignorando il fatto che sono già stato a casa tua e tutto quello che ci siamo detti.»
Lennon annuì convinta, il ragionamento di Harry non faceva una piega. Era stata una loro idea quella di procedere per gradi nonostante non vedesse l'ora che tutta quella tortura finisse. Le mancava la sua relazione con Harry. Le sembrava di essere tornata ad alcuni anni prima, quando usciva con lui per mostrargli Parigi e nel frattempo non vedeva l'ora di poterlo baciare.


 

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Questa tecnologia mi sta facendo dannare, sto scaricando Office da due giorni circa e il download non è nemmeno a metà.
Nonostante ciò sono qua a postare uno degli ultimi capitoli dela storia :(
Dai vostri commenti mi è sembrato di capire che la "parte introduttiva" della storia sia molto lunga e, beh, non posso che darvi ragione ma essendo questo il seguito di una storia le cose sono diverse: Harry e Lennon si conoscono di già ed è palese che si piacciano; ho preferito concentrarmi sulla separazione. Ora che comunque i due innamorati si sono ricongiunti, gli ultimi capitoli sono molto intensi e non vedo l'ora che li leggiate!
Fatemi sapere che ne pensate di questo, e grazie mille per le recensioni che mi lasciata!
Alla prossima,
Jas

 


 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***




 


 

  

 
 
 

Capitolo 9

 
 
 
Era Sabato.
I capelli le sembravano fuori posto, gli occhi troppo truccati e le guance troppo rosse. Forse quelle però erano così a causa dell'agitazione e non del troppo blush.
Harry non si era lasciato scappare nemmeno una parola riguardo la destinazione della loro uscita e Lennon non sapeva cosa aspettarsi.
Era sempre stato lui quello con lo sguardo curioso, che non sapeva dove lei lo avrebbe condotto, lei che quella città la conosceva come le sue tasche. Ora i ruoli si erano completamente invertiti e Lennon, che si osservava pensierosa allo specchio di camera sua, sussultò quando sentì il citofono suonare.
Non si prese la briga di rispondere, afferrò la borsa e il cellulare abbandonato sul divano ed uscì in fretta di casa. Quando aprì il portone l'ultima persona che si spettava di trovare davanti fu un ragazzo dai capelli castano chiaro e una voglia sul collo.
«Liam!» esclamò sorpresa ma felice.
Il ragazzo la travolse in un abbraccio che compromise seriamente l'equilibrio di Lennon nonostante ai piedi avesse un paio di Vans sgualcite e non dei tacchi a spillo.
Le era mancato, e si era chiesta quando l'avrebbe rivisto. Liam faceva parte del cerchio di amici di Harry ma anche di Lennon, aveva legato molto con lui quando aveva finito l'anno scolastico ad Holmes Chapel. Le mancavano anche gli altri ragazzi, le battute di Niall, il carattere scorbutico di Zayn e perfino la voce irritante di Louis, ma Liam era colui con cui aveva legato di più. Era il migliore amico che qualunque ragazza avrebbe desiderato, soprattuto per chiedere consigli sull'altro sesso vista la sua schiettezza in materia.
«Allora, come stai?» domandò sorridente, non appena si furono staccati dall'abbraccio.
Liam si strinse nelle spalle, «solita. Dovevo venire in zona così mi sono fatto dare un passaggio da Harry che...» il ragazzo si guardò in giro, «dovrebbe arrivare. Ha fatto il giro della via perché non poteva fermarsi in mezzo a questa stradina.»
Lennon annuì senza riuscire a trattenere il sorriso, «sono felice di averti rivisto» disse sincera, e in quel momento il suono di un clacson fece voltare entrambi verso la strada.
«Voi due... Era destino» sussurrò Liam all'orecchio di Lennon prima di avvicinarsi facendo finta di niente alla macchina di Harry.
 
 
 
Era buio e Lennon aveva smesso di chiedere dove fossero diretti nell'esatto istante in cui Harry aveva imboccato l'autostrada.
Avevano lasciato Liam in un bar poco distante da casa di Lennon, lei era rimasta silenziosa per i minuti in cui loro tre erano rimasti in macchina insieme, non faceva altro che pensare a quanto davvero il destino fosse stato a loro favore.
Parigi non era piccola, lei e Harry non erano vicini di casa e i locali in cui divertirsi erano tanti. Eppure loro due erano stati nel posto giusto al momento giusto, sin dall'inizio.
Sin da quando Harry aveva deciso di prendere il pane proprio in quella panetteria e proprio a quell'ora, quando Lennon aveva il turno. Quando lui era tornato a prendere un dessert con la scusa di rivederla. Quando entrambi avevano deciso di andare a St Michel quel sabato sera.
Tante piccole coincidenze, o forse loro due erano davvero destinati a stare insieme. Lennon non riusciva ad immaginarsi insieme ad un ragazzo diverso da quello seduto alla sua sinistra, concentrato nella guida.
«Allora, dove mi porti?»
Harry sorrise, «siamo quasi arrivati» disse mentre metteva la freccia e prendeva l'uscita per Versailles. «Non mi hai mai portato qua.»
«Scusa se non avevo il papi che mi prestava il suo Range Rover.»
Harry increspò le labbra, sapeva bene che la cittadina era ben collegata alla capitale da metro e autobus ma non voleva intavolare una discussione sul perché Lennon non l'avesse mai portato al castello di Versailles. La sua destinazione era un'altra.
Trovò miracolosamente parcheggio sul ciglio di un ampio viale alberato, «sei sorprendente, Styles» osservò Lennon mentre si metteva la borsa in spalla.
«Non hai ancora visto niente» le disse lui, prendendola per mano e attraversando la strada quando non vide macchine in arrivo.
Lennon strinse la presa, quel tocco era famigliare, se la sua mente poteva aver dimenticato qualcosa riguardante Harry, il suo corpo ricordava ogni singola sensazione, e quella delle loro dita intrecciate era una di queste.
Arrivarono in una via stretta, colma di ristoranti tutti con una piccola veranda e i tavoli affollati. Lennon osservò rapita le insegne notando che ce n'erano di tutti i gusti: ristoranti cinesi, giapponesi, italiani, greci e perfino steakhouse.
La scelta di Harry cadde su una piccola brasserie che passava un po' inosservata rispetto  alle decorazioni degli altri ristoranti. C'era un tavolo prenotato per loro due nella veranda sul retro. Un cameriere li fece accomodare e porse loro due menu, solo in quel momento Lennon parlò.
«L'ultima cosa che pensavo era che mi avresti portato in un ristorante a Versailles.»
Harry sorrise, «sono felice di averti sorpreso, e non hai ancora assaggiato nulla delle prelibatezze che cucinano qua!»
«Come hai fatto a scoprire questo posto?»
«Un giorno sono venuto a visitare il castello di Versailles con Liam, poi dopo che abbiamo visto la coda che c'era per entrare abbiamo cambiato idea. Per non rendere il nostro viaggio fino a qui inutile abbiamo deciso di fare un giro per la città e ci siamo imbattuti in questo ristorante.»
Lennon annuì, in quel momento il cameriere arrivo da loro e Harry ordinò il vino rosso più costoso sulla carta.
«Non badiamo a spese» osservò Lennon mentre leggeva attentamente il menu.
«È una cena speciale questa. Quand'è stata l'ultima volta che abbiamo mangiato insieme?»
Lei rimase in silenzio imbarazzata.
Harry faceva di tutto per farle passare una bella serata e il suo ringraziamento era un'osservazione acida su quanto era disposto spendere per lei.
«Scusami» mormorò seriamente dispiaciuta, nell'esatto istante in cui il cameriere tornava col vino. Ne versò un po' in entrambi i loro bicchieri - dopo averlo fatto assaggiare ad Harry che si finse intenditore nonostante di vini non ne sapesse nulla - e il riccio alzò il proprio in segno di brindisi.
«A te l'onore» disse, rivolgendosi a Lennon.
La ragazza prese in mano il suo bicchiere, «al ragazzo migliore che esista.»
 
 
 
Lennon non aveva mai retto il vino e quella ne era la prova.
Nonostante fosse stata attenta a non esagerare, la testa le girava leggermente e ad ogni parola di Harry le veniva da ridere.
Lui era rimasto sobrio, aveva bevuto solo due bicchieri e la bottiglia avanzata era nella borsa di Lennon che "con quello che costava" aveva insistito per portarsela a casa, a costo di fare la figura della morta di fame.
Camminava incerta, rifiutando ogni tipo di aiuto da parte di Harry che la osservava preoccupato.
«Dai, sali in macchina, ubriacona» la prese in giro.
Lennon gli fece una linguaccia, «lo sai che non reggo il vino!» si lamentò mettendosi a braccia conserte e corrucciando le labbra come una bambina. Harry  avrebbe voluto baciarle e mordergliele leggermente, invece mise la prima e si diresse verso Parigi.
Accese la radio lasciandola a volume basso e le palpebre di Lennon cominciarono a diventare pesanti.
«Hai sonno?» domandò Harry premuroso.
«Colpa del vino» biascicò lei.
Il riccio sorrise, «ti sto portando a casa.»
A quelle parole Lennon drizzò la schiena e si voltò di scatto verso il ragazzo concentrato sulla strada. «Stai scherzando?»
«Perché?»
«È la nostra prima serata insieme! Non può finire così» si lamentò lei.
«Ma non sai ancora come finirà» osservò Harry, una punta di malizia nella voce.
Lennon non la colse, si rimise composta e a braccia conserte, il viso imbronciato.
In macchina calò il silenzio, questo fu interrotto solo quando arrivarono a costeggiare la Senna e a superare la Tour Eiffel.
«Voglio andare sulle giostre» disse decisa Lennon, mantenendo lo sguardo fisso fuori dal finestrino.
Harry le lanciò uno sguardo confuso, «sulla ruota, dici?»
«No ci sono proprio le giostre, è stato allestito un minuscolo luna park nei giardini del Louvre.»
Harry annuì e svolto a sinistra verso place de la Concorde. Parcheggiò sul ciglio di questa sapendo che non avrebbe trovato parcheggio altrove e scese dall'auto.
Lennon gli sorrise grata e lo prese per mano mentre si inoltravano nel giardino per raggiungere la zona in cui erano stati collocati i giochi.
«Vuoi lo zucchero filato?» le propose Harry indicandole un chiosco che lo vendeva.
Lennon scosse energicamente la testa, «voglio salire su lì» disse, indicando probabilmente il gioco un po' più esaltante presente quel giorno.
«Okay» disse semplicemente Harry mentre si avvicinava alla cassa e prendeva due biglietti.
Harry e Lennon si sedettero vicini e si allacciarono le cinture di sicurezza che poi un addetto venne a controllare.
«Sei pronto?» domandò lei, palesemente estasiata dal gioco che stavano per fare.
«Non lo sai? Io sono nato pronto.»
Lennon rise.
Era come se fossero seduti all'estremità di una lancetta di un orologio, era come se le ore passassero velocemente e in più le sedie su cui erano giravano a loro volta.
Cominciarono a salire lentamente, quando raggiunsero il punto più altro il gioco si arrestò.
«Wow» fu l'unica cosa che Lennon riuscì a dire.
Parigi era letteralmente ai loro piedi: alla loro destra Rue de Rivoli e il traffico incessante, davanti a loro Champs Elysées, l'Arco del Trionfo, la Tour Eiffel e in lontananza la Défense. Girando la testa a sinistra potevano scorgere il Louvre con la coda dell'occhio e quando Harry abbassò lo sguardo e vide le persone grandi come una sua mano sotto i suoi piedi penzolanti sentì il sangue gelarsi nelle vene.
«Hai paura?» domandò Lennon.
Il riccio scosse la testa, il suo sguardo diceva tutt'altro.
Lennon gli prese la mano e cominciò ad accarezzargliela dolcemente, poi se la portò davanti al viso e baciò ogni singola nocca, senza distogliere lo sguardo dagli occhi verdi di Harry.
D'altro canto lui sentì la gola seccarsi e un brivido corrergli lungo la schiena.
«Così va un po' meglio» disse lui, cercando di riderci sopra.
«Potrei anche fare di meglio» sussurrò maliziosa Lennon e come spinto da una forza invincibile Harry avvicinò il suo viso a quello della ragazza.
Socchiuse gli occhi quando sentì il suo respiro che sapeva di vino solleticargli la pelle ma prima che poté bearsi del tocco delle labbra di Lennon sulle sue il gioco partì all'improvviso facendoli cadere nel vuoto in picchiata e facendo fare un grido spaventato a Harry.
Cominciarono a girare in senso orario e antiorario e un base al giro che facevano anche su loro stessi si poteva vedere la Tour Eiffel a testa in giù, uno spettacolo piuttosto suggestivo.
Harry cominciò ad urlare mentre Lennon rideva, le loro mani ancora intrecciate.
 
 
 
«Ti odio!» proclamò Harry arrestandosi davanti a casa di Lennon, riferendosi ovviamente al gioco che avevano appena fatto e che era durato cinque lunghissimi ed interminabili minuti.
«Io ti amo.»
Non sapeva se era stato il coraggio datole dal vino che si sentiva ancora in circolo oppure dal fatto che aveva cercato di tenersi dentro quelle parole dall'istante in cui aveva rivisto Harry, se non prima.
Lennon era certa di non aver mai smesso di amarlo e nonostante quello fosse stato il loro primo appuntamento e non era normale dire certe cose durante il primo appuntamento, le era impossibile partire da zero e cancellare dalla mente ciò che erano stati prima.
«Ti amo anch'io.»
Lennon trattenne il respiro nel sentire quelle parole e prima che potesse aggiungere altro vide Harry avvicinarsi pericolosamente al suo viso ma fermarsi ad alcuni centimetri da esso.
Un rumore sordo si diffuse nell'abitacolo, era il blocco della cintura per la mossa avventata di Harry.
Lennon rise, lui mormorò un «cazzo» mentre la slacciava e si riavvicinava di nuovo a lei ma con più calma.
Le passò una mano tra i capelli sfiorandole poi la guancia con la punta delle dita.
Lei chiuse gli occhi beandosi di quel tocco, quando li riaprì le labbra di Harry si posarono sulle sue.
Fu un bacio delicato, senza fretta.
Le mani di Lennon andarono a finire tra i capelli di Harry notando con piacere che questi non avevano perso la loro morbidezza.
Quando le loro lingue si incontrarono il bacio si fece più appassionato e Lennon strinse la mano sui capelli di Harry tirandoglieli involontariamente.
Il ragazzo emise un gemito sulle labbra della ragazza prima di passare a baciarle il collo.
Il respiro di Lennon si fece più accelerato e socchiuse gli occhi concentrandosi sulle labbra umide di Harry sulla sua pelle.
Il suono di un clacson li fece allontanare improvvisamente, entrambi si erano completamente dimenticati di essere in mezzo strada e scoppiarono a ridere al solo pensiero.
Lennon aprì la porta dell'auto e quando scese si voltò verso di Harry: «ho casa libera stasera, ti va di salire?»
Il riccio le sorrise malizioso, «trovo un parcheggio e arrivo.»


 

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Eccomi qua col tanto atteso appuntamento!
Ho amato scrivere questo capitolo, Harry sorprende Lennon portandola in un posto nuovo e cioè Versailles.
Ho deciso di cambiare location perché quel paese è stupendo (la scorsa estate mi ci sono pure persa nonostante sia a 10 minuti da casa di mio papà ahaha) ed ha tutta un'aria molto pittoresca, gli edifici hanno ancora uno stile particolare, non vorrei dire ottocentesco perché non so niente di arte e annessi ma è un paese che vale la pena esplorare.
La giostra che hanno fatto Harry e Lennon esiste sul serio, anche questa l'ho fatta la scorsa estate e mentre attendevo coi piedi a penzoloni che partisse mi è venuta l'idea che poi ho scritto in questo capitolo. E' una cosa inquietantissima e molto suggestiva, se andate a Parigi ed è ancora lì (non c'è sempre) fatela, dura un'eternità e quando scendi sei moooolto rincoglionita, io ci sono andata dopo cena e vi giuro che mi sentivo tutto il cibo sullo stomaco ahahaha
La scena finale mi è uscita così dal nulla e pensavo anche di scrivere una one shot rossa riguardo la loro notte di fuoco, ho buttato giù tre righe e poi ho chiuso tutto: mi spiace ragazze ma non sono in grado di scrivere certe cose! 
Nonostante ciò spero che il capitolo vi sia piaciuto e che non vi abbia annoiate in quanto è più lungo rispetto ai miei soliti.
Fatemi sapere che ne pensate, ci sentiamo la settimana prossima con l'ultimo capitolo prima dell'epilogo!
Jas

P.S. Mi dispiace per non avervi risposto alle recensioni ma ho avuto alcuni problemi con internet nelle ultime settimane, d'ora in poi riprenderò a rispondere regolarmente (spero!)

 


 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***




 


 

 
 

Capitolo 10

 
 
 
Era Domenica.
Il sole filtrava dalla finestra e Lennon si maledì mentalmente per non aver chiuso le persiane la sera prima. Si girò dall'altra e stropicciando gli occhi non ancora aperti nascose la testa sotto il lenzuolo cercando di riprendere il sonno.
Un movimento alle sue spalle la fece svegliare improvvisamente, le ci volle una manciata di secondi per ricordare cosa fosse successo la notte prima e chi ci fosse al suo fianco.
Sorrise ed abbassò il lenzuolo, si voltò a destra e rimase ad osservare in silenzio Harry che dormiva beatamente al suo fianco. I capelli sparpagliati sul cuscino, le labbra rosee socchiuse e il respiro rilassato, segno che il suo sonno era ancora profondo.
Lennon spostò lo sguardo sul suo addome lasciato scoperto, i tatuaggi che risaltavano particolarmente sulla pelle chiara. Si mosse con lentezza cercando di non svegliarlo ma in quel silenzio anche il rumore delle lenzuola che si muovevano causavano un rumore assordante.
Appoggiò la testa sulla sua spalla e cominciò a lasciargli una scia di baci dal collo allo spazio tra le due rondini tatuate sul petto.
A quel punto Harry farfugliò qualcosa, mosse la testa a destra e sinistra prima di aprire lentamente gli occhi.
«Buongiorno» lo salutò Lennon lasciandogli un bacio sulle labbra.
Harry le sorrise, si stropicciò gli occhi e aggrottò le sopracciglia.
Sembrava un bambino corrucciato con quell'espressione e un brivido attraversò la schiena di Lennon al pensiero della notte che avevano appena trascorso.
Come se le avesse letto nel pensiero, Harry si avvicinò a lei e le cinse i fianchi con le braccia, baciandole poi la spalla.
«Ti amo» le disse, il tono basso e la voce più roca del solito.
Lennon abbassò lo sguardo e gli sorrise, passandogli una mano tra i capelli e cercando di dar loro una forma.
«Mi sembra così strano essere a letto con te, insomma... Dopo così tanto tempo, eppure eccoci qua» continuò il riccio, pensieroso.
Lennon gli accarezzò una guancia e si fermò con le mani sotto il suo mento costringendolo ad alzare il viso verso di lei per baciarlo sulle labbra.
«Grazie» gli sussurrò, «grazie per non esserti arreso, con me.»
 
 
 
Era mezzogiorno passato.
Harry aveva salutato Lennon circa due ore prima e non appena era salito in macchina aveva chiamato Carmela per informarla della sua idea.
La donna, dopo essersi sfogata col riccio per non averla avvertita prima, aveva accettato la proposta a patto però che lui le avrebbe poi raccontato com'era andata la serata.
Ora si trovava seduto su uno sgabello in cucina mentre osservava Carmela mettere alcuni tovaglioli all'interno di uno zaino.
«Spero che le piaccia» osservò pensieroso Harry.
«Lennon non è mai stata una ragazza con alte pretese, sono sicura che amerà anche solo il gesto, indipendentemente da tutto il resto. E poi ama il pane tostato col foie gras.»
Al solo pensiero del cibo lo stomaco di Harry cominciò a brontolare, «anch'io lo amo.»
Carmela sorrise, «lo so caro» disse mentre si voltava verso il lavandino per sciacquarsi le mani. «Ora però ti conviene andare se non vuoi arrivare in ritardo.»
Harry annuì, «allora ci vediamo stasera» disse alzandosi dallo sgabello e schioccando un sonoro bacio sulla guancia della donna. «Grazie di nuovo» aggiunse prima di uscire di fretta di casa.
 
 
 
«Mi spieghi dove stiamo andando?» domandò Lennon, «ci stai prendendo gusto nel portarmi in posti sconosciuti?»
Harry sorrise, «può darsi.»
La bionda abbassò leggermente la testa per leggere un cartello che stavano passando, «Neuilly sur Seine?»
«Per niente.»
«Sì ma stiamo andando lì adesso.»
«Non se io giro a sinistra» osservò Harry, mettendo la freccia e svoltando all'incrocio.
Lennon si mise a braccia conserte ed osservò la Senna alla sua destra, «però non vale così!» si lamentò.
Harry le appoggiò una mano sulla gamba, «è una sorpresa» le disse, il tono dolce e allo stesso tempo divertito.
«Comincio ad odiarle, le sorprese.»
«Ti piacerà» le sussurrò il riccio, prendendole le mano e cominciando ad accarezzargliela lentamente.
«Così non migliori la situazione.»
«Mhm...» Harry annuì distratto spostando la mano sulla coscia della ragazza che si irrigidì immediatamente. Cominciò ad accarezzare la pelle lasciata scoperta dal vestito che indossava e a salire verso l'alto.
Lennon strinse le gambe.
«Okay, forse un pochino» ammise col fiato leggermente più corto.
Solo in quel momento si rese conto di ciò che li circondava e capì esattamente dov'erano diretti.
Harry infatti svoltò a destra e parcheggiò la macchina.
«Avrei dovuto sospettarlo» borbottò Lennon aprendo la portiera.
Harry rise, prese dal baule lo zaino e chiuse a chiave la macchina.
«Ti piace l'idea di un pic nic al Bois de Boulogne?»
Lennon gli buttò le braccia al collo ed Harry, sorpreso da quel gesto barcollò per alcuni secondi.
«Mi stai viziando troppo, lo sai?» sussurrò poi all'orecchio del riccio.
«Mi piaceva come idea, sto cercando di recuperare il tempo perso.»
Lennon si staccò leggermente da lui ed appoggiò le mani sulle sue spalle, «allora grazie» sussurrò divertita, baciandolo sulle labbra.
Harry annuì, le fossette ai lati del sorriso.
«Andiamo? Il mio stomaco comincia a protestare» aggiunse, i loro nasi che ancora si sfioravano.
«Questo è lo zaino che solitamente uso per andare a scuola ma ci credi che non avevamo uno di quei sfarzosi cestini da pic nic che si vedono nei film?» disse Harry mentre camminavano sul prato alla ricerca di un posto in cui sedersi.
Lennon rise, «rimedieremo al più presto.»
«Questo è il primo pic nic della mia vita in realtà» osservò il riccio.
«Io credo di averne fatto uno con i miei genitori anni fa» disse pensierosa la bionda, fermandosi accanto ad un albero. «Stiamo qua?» propose, cambiando argomento.
Harry annuì, aprì lo zaino e ne estrasse una tovaglia che appoggiò sul prato.
Lennon si sedette sopra ed osservò attenta ciò che Harry estraeva.
«Carmela conosce i tuoi gusti meglio di me» disse il ragazzo, porgendole una piccola vaschetta di plastica.
«Foie gras» disse Lennon estasiata, «io amo quella donna.»
 
 
 
Con lo stomaco pieno e la mente più libera, Lennon osservava le nuvole sopra di lei, la testa appoggiata sul petto di Harry e la sua mano tra i capelli.
«Andrai in vacanza quest'estate?» domandò la ragazza, interrompendo quel silenzio carico di pensieri ma non d'imbarazzo.
Il riccio si prese il suo tempo per rispondere: «credo che andrò per un paio di settimane ad Holmes Chapel, e poi non so. Liam voleva andare ad Ibiza a fare la "vida loca"» disse, mimando delle virgolette sulle ultime due parole, dette espressamente dall'amico. «Voleva liberarmi dal pensiero di te» riprese, «ma ora non credo che sia più necessario.»
Lennon sospirò. Avevano passato il pomeriggio a raccontarsi, a dire senza vergogna ciò che avevano provato durante quel periodo di separazione e nonostante ormai sapevano entrambi cos'aveva passato l'altro, i sensi di colpa erano difficili da ignorare e niente avrebbe potuto far cambiare loro il passato.
«Tu non hai idea di come mi senta» sussurrò Lennon cercando di ingoiare il nodo in gola che le si era formato.
«Dobbiamo smetterla di guardare il passato. Ormai quel che è fatto è fatto e in un modo o nell'altro l'abbiamo superato. Piuttosto dobbiamo concentrarci sul presente e sul futuro» osservò Harry con una nota di soddisfazione nella voce che Lennon colse.
La ragazza alzò il viso per incontrare lo sguardo cristallino del riccio perso nel vuoto. Si mise a pancia in giù così da poter guardare in faccia Harry.
«A cosa stai pensando?» chiese.
Il riccio alzò le spalle, «mi sembra ancora irreale essere qua con te. Stavo pensando a questo.»
«Beh, io sono qua, e sappi che non ho intenzione di andarmene molto presto!»
«Lo spero!» rise il ragazzo, «è che dopo tutto quello che hai passato vorrei fare qualcosa per renderti felice, non so...» aggiunse confuso.
«Harry» lo chiamò Lennon, ed attese che lui spostasse lo sguardo dal cielo a lei per continuare a parlare. «Io qui, ora, sdraiata con te in questo parco, sono felice.»
Il riccio sospirò, «non è quello che intendo. Tu mi hai fatto trascorrere la vacanza più bella della mia vita, mi ci vedo già coi capelli grigi a raccontare ai miei nipoti di quell'inverno a Parigi.»
«E dire che quella ragazza era la loro nonna?»
Harry rise, «forse, lo spero. Vorrei che anche tu avessi un ricordo simile di noi.»
«Quell'inverno è stato magico per te tanto quanto lo è stato per me. Lascia perdere Parigi, i posti che abbiamo visto. Io quell'inverno ho conosciuto te e questo mi basta per rendere quella vacanza memorabile.»
Harry stava per ribattere ma Lennon lo zittì appoggiandogli un dito sulle labbra.
«Non mi interessa se tu mi porti in cima alla Tour Eiffel o nel ristorante più chic di Parigi. Io amerò ogni singola cosa di te, a prescindere. Amerò i tuoi sorrisi, i brividi che mi provochi quando mi sussurri che mi ami all'orecchio, le tue fossette, i tuoi occhi, le tue mani, i tuoi capelli, i tuoi tatuaggi, la tua risata, la tua voce da appena sveglio. Però amerò anche i tuoi sbalzi d'umore, le volte in cui mi darai buca all'ultimo a causa di qualche imprevisto, le discussioni che sicuramente avremo perché so che finiremo sempre per ritrovarci. Non credo molto al destino, ma sono sicura che ci sia qualcosa che ci spinge ad incontrarci, allontanarci e ritrovarci. E non so come andranno le cose, al momento non voglio pensarci, voglio vivere le cose così come vengono e stare a vedere come andranno; però di una cosa sono certa Harry Styles» Lennon prese una pausa, il riccio concluse la frase al posto suo: «ti amo.»
La bionda sorrise ad annuì.  «Esatto, e ti ho già perso una volta, non ho intenzione di farlo accadere di nuovo» sussurrò prima di avvicinare il suo viso a quello del ragazzo e baciarlo con dolcezza.

 


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Già sono scazzata per gli affari miei, sapere che questo è l'ultimo capitolo non aiuta.
In realtà non succede niente di che, Harry e Lennon si riappacificano e sembra che le cose andranno per il meglio. Questo fatidico decimo capitolo mi ha fatta penare un bel po' e vorrei ringraziare di cuore @_cassje_ (CassandraAinsworth su efp) per avermi aiutata :)
Non ho idea di quando posterò l'epilogo visto che lo devo ancora scrivere e ho zero idee, ma confido in queste due ore (anzi, ora sono diventate una e mezza) perché mi venga in mente qualcosa.
Anzi, un'idea mi è appena venuta ora: ditemi come vorreste che fosse l'epilogo. Vorreste leggere di Lennon ed Harry tra un po' di anni o preferite che sia ambientato in un futuro più prossimo? Volete che si sposino ed abbiano tanti piccoli Harry Styles o altro? ahaha
Si accettano proposte :)
Ringrazio di cuore chi ha letto questa storia, chi tifa per Lennon ed Harry dall'anno scorso ma anche chi ha scoperto di loro da poco.
Aspetto l'epilogo per i saluti commoventi, per ora fatemi sapere che ne pensate di questo capitolo :)
Alla prossima (e ultima) volta!
Jas



 


One shot/Missing moment di Begin Again

 

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Capitolo 12
*** Epilogo ***




 




 

Epilogo

 
 
 
Erano le due di notte e l’aeroporto di Manchester si poteva definire quasi deserto.
Harry era abituato a vederlo gremito di gente poiché le visite a casa erano sempre in concomitanza con qualche festività e le persone approfittavano di quei giorni per abbandonare il grigiore inglese, o soltanto quella cittadina chiusa, e partivano per una vacanza.
Lennon aveva insistito per pagarsi da sola il viaggio ed aveva scelto la tariffa più conveniente che comportava orari di volo più scomodi.
Harry era stanco, lo si poteva notare dal viso più pallido del solito e gli occhi verdi contornati da due profonde occhiaie. I preparativi per il matrimonio lo avevano completamente assorbito e la sua vita ad Holmes Chapel non era mai stata così movimentata come nelle ultime settimane.
Lennon era rimasta a Parigi ed aveva aspettato l’ultimo per raggiungerlo così da riuscire a dare l’ultimo esame dell’anno e poter lavorare nel pub in cui l’avevano assunta.
Harry sbadigliò, la lattina di Redbull che giaceva vuota nell’auto parcheggiata fuori dal terminal non era stata sufficiente per liberarlo dalla stanchezza accumulata. Prese il telefono dalla tasca quando questo cominciò a vibrare e rispose a sua madre con fare annoiato.
Tutta la famiglia sembrava essere impazzita a causa di quel matrimonio e se Harry e sua sorella erano finiti per diventare degli zombie, sua madre scaricava l’ansia diventando adrenalinica e insopportabile per il cervello stanco di Harry.
«Lennon è arrivata?» domandò la donna.
«No mamma, l’aereo è in ritardo di venti minuti, dovrebbe uscire tra poco però.»
«Ma sei sicuro che sia partita da Parigi? Non è che è bloccata in aereo e non arriverà in tempo per le nozze? E non ha ancora provato il vestito, spero che non sia ingrassata ma nemmeno dimagrita, le misure devono essere perfette e l’abito le deve calzare a pennello.»
Sua madre parlò senza quasi respirare e non ci fu una pausa di cui Harry poté approfittare per controbattere e cercare di fermare le paranoie di Anne.
«Mamma non preoccuparti, è partita. L’ho chiamata ed il telefono era spento, ciò significa che era sull’aereo. E il vestito le donerà, non preoccuparti per Lennon, pensa al tuo di abito piuttosto. Tra meno di un’ora saremo a casa, promesso. E vai a dormire che in questa famiglia sembriamo tutti degli zombie.»
«Ma tesoro…»
«Non preoccuparti di nulla, è tutto sotto controllo. Buonanotte mamma» e senza lasciarle il tempo di controbattere riattaccò.
Harry sospirò e rimase a guardare l’ora sul telefono. Erano le due e quattordici e lui alle sette sarebbe dovuto essere in piedi.
Abbassò lo sguardo sulla data e si rese conto che esattamente quattro anni prima, quel giorno, aveva salutato Lennon all’aeroporto di Charles de Gaulle.
Quel pensiero lo fece rattristire improvvisamente benché non ci fosse più nulla da temere visto che la sua relazione con lei andava a gonfie vele nonostante gli alti e bassi tipici di ogni rapporto.
Malgrado la scuola, il lavoro di lei, i cambiamenti, le gelosie ingiustificate e i difetti, loro due erano ancora lì. Nemmeno un oceano era riuscito a tenerli lontani, né il tempo o i cambiamenti. Loro due erano cresciuti, un po’ per conto proprio e un po’ insieme, ma Harry si rese conto che se in quegli ultimi tempi era maturato così tanto, il merito era tutto di Lennon. Tra i due quella con i piedi per terra era lei, Harry aveva perennemente la testa tra le nuvole ma infondo erano un’accoppiata perfetta. Avevano superato ogni tipo di difficoltà uscendone più uniti e forti di prima, sarebbero stati in grado di superare ogni avversità se insieme, Harry ne era certo e si rese conto di non vedere l’ora di riabbracciarla. Non la vedeva da poco più di due settimane e già gli mancava nonostante si sentissero tutte le sere. Lennon gli raccontava la sua giornata trascorsa tra lo studio e il lavoro e Harry dei battibecchi in famiglia tipici di quando dovevano essere prese delle decisioni.
Il riccio alzò lo sguardo sul display degli arrivi e si accorse che l’aereo di Lennon era atterrato. Si alzò dalla sedia sulla quale l’aveva aspettata per quasi un’ora e si avvicinò alla porta scorrevole dalla quale sarebbe uscita da lì a pochi minuti. Fu tra le prime arrivare, inizialmente la ragazza si guardò in giro osservando il volto di ciascuna delle persone lì presenti, quando finalmente il suo sguardo incrociò quello di Harry le labbra si distesero in un sorriso e le sue gambe si mossero veloci verso di lui.
Senza dire niente abbandonò la valigia accanto a lei e butto le braccia al collo del ragazzo stringendolo a sé.
«Mi sei mancato» sussurrò dopo alcuni secondi.
Harry spostò le mani dalla sua schiena ai suoi fianchi e l’osservò sorridente prima di baciarla con dolcezza sulle labbra e beandosi di quel contatto che aveva aspettato per giorni.
Lennon gli accarezzò i capelli e quando si staccò da lui il suo sguardo divenne preoccupato.
«Harry sei uno straccio» lo rimproverò. «Quanto hai dormito negli ultimi giorni?»
Il ragazzo non rispose ed abbassò lo sguardo sentendosi colpevole.
Lennon si sentì in colpa per aver reagito così ma le faceva male vedere il viso di Harry così stanco e teso. Gli prese il mento tra le dita costringendolo ad alzare il viso e di conseguenza guardarla. Il suo sguardo era dispiaciuto e allo stesso tempo leggermente preoccupato.
«Mi dispiace di averti abbandonato in balia degli isterismi di tua sorella e le paranoie di tua madre.»
Harry si strinse nelle spalle ed accennò un sorriso, «non importa, ora sei qui con me.»
Lennon annuì e lo abbracciò di nuovo, «non vorrei sembrare mielosa ma non vedevo davvero l’ora di vederti.»
«Chiunque non vorrebbe vedere l’ora di vedermi, guarda quanto sono bello» ribatté Harry sorridendo soddisfatto.
Lennon gli diede un leggero pugno sul petto, «andiamo a casa a dormire se domani non vuoi spaventare tutti gli invitati con le occhiaie che ti ritrovi.»
 
 
 
«Sei agitato?» domandò Gemma avvicinando il viso allo specchio per mettere il mascara con più precisione.
Harry sospirò e si buttò sul letto a pancia in giù.
«Tu che dici?»
«Ti immagino già mentre inciampi intanto che vai all’altare.»
«Vaffanculo» borbottò il ragazzo voltando il viso verso la sorella che intanto aveva finito di truccarsi e si stava sistemando i capelli.
«Alzati che ti stropicci tutta la camicia» lo riprese quando si accorse della posizione di Harry.
Il fratello obbedì in silenzio, Gemma gli sorrise e si avvicinò a lui per sistemargli il papillon che pendeva leggermente a sinistra.
«Stai d’incanto» gli disse poi, facendogli strabuzzare gli occhi.
«Sì, ti sto facendo un complimento» aggiunse la ragazza impedendo ad Harry di aprire bocca, «e ti conviene segnarlo sul calendario perché non so quando riaccadrà ma questo è un giorno importante un po’ per tutti quindi mi sentivo in vena di dirtelo.»
Il ragazzo abbracciò di getto la sorella, simile alla madre per quanto riguardava la parlantina, e zittendola dalla sorpresa.
Si staccò da lei e le diede un leggero buffetto sulla guancia. «Hai per caso visto Lennon? Mi ha detto che andava a prepararsi ma poi è sparita.»
«Lo sai che porta sfortuna vedere la sposa prima del matrimonio?»
Harry aggrottò le sopracciglia, «ma che…»
«L’ho vista in giardino» lo interruppe Gemma, ridendo.
Il ragazzo non aggiunse altro e scese le scale di fretta, attraversò la cucina e spalancò la porta che dava sul retro arrestandosi poi di scatto quando scorse Lennon di spalle seduta sul dondolo su cui lui passava i pomeriggi da piccolo.
Si avvicinò con cautela mentre la osservava muoversi lentamente avanti e indietro, i piedi nudi appoggiati sull’erba appena tagliata e i capelli che ormai le erano cresciuti ed arrivavano a toccarle le spalle raccolti in una morbida acconciatura.
«Ehi…» le disse, quando arrivò a pochi centimetri da lei.
Lennon sussultò girandosi di scatto verso Harry che sorrideva, una mano sul cuore che aveva preso a batterle all’impazzata.
«Mi hai fatto prendere uno spavento.»
«Non pensavo di essere così brutto.»
Lennon alzò gli occhi al cielo e si fece un po’ più in là così che Harry potesse sedersi accanto a lei.
«Come mai sei qua tutta sola?» le domandò il riccio, voltandosi verso di lei per guardarla.
Lennon alzò le spalle, «stavo riflettendo» disse appoggiando la testa sulla spalla di Harry.
«A che cosa?»
«A un po’ di tutto… Al matrimonio, a me, a te…»
«A noi…»
Lennon sorrise, «sì, anche a noi.»
«E cos’hai pensato a riguardo?»
La ragazza si rimise composta e si voltò verso Harry che la osservava leggermente divertito. Le sue labbra erano volontariamente serrate, si vedeva che stava cercando di trattenere un sorriso ed anche con quell’espressione le sue fossette erano ben visibili.
Lennon sorrise, nonostante il vestito elegante, i capelli leggermente più ordinati del solito e quello sguardo che sembrava penetrarti l’anima, aveva ancora l’aria un po’ da bambino. Lennon era certa che l’avrebbe avuta anche con le rughe, i capelli grigi ed una dentiera in bocca. Avrebbe voluto essere lì con lui.
«Che non ho mai amato una persona così tanto.»
Harry deglutì mentre sentiva lo stomaco attanagliarsi. Si sentiva ridicolo, Lennon era la sua ragazza e la conosceva bene, così come conosceva bene i sentimenti che provava nei suoi confronti, eppure la sincerità e la spontaneità con le quali a volte li esternava lo lasciavano ancora basito e incapace di reagire. Sarebbe stato sufficiente un semplice “anch’io” che tuttavia gli era impossibile pronunciare ma Lennon lo conosceva bene, così bene che anche in assenza di parole capiva cosa gli passava per la testa.
«Forse dovremmo andare, non vorrei fare attendere la sposa agli invitati» disse invece.
Lennon annuì e si alzò dal dondolo lisciandosi leggermente il vestito, Harry sorrise pensando a quanto lei fosse bella e a quanto invece lui fosse fortunato.
«Sei nervoso?» domandò la bionda.
«Un po’, ma credo che sia normale. No?»
«Certo, ma sono sicura che sarai perfetto. Basta che non inciampi in chiesa.»
Harry alzò gli occhi al cielo, «ma tu e mia sorella volete vedermi cadere per caso?»
Lennon scoppiò a ridere, «ti ricordiamo l’eventualità così che tu stia attendo a dove metti i piedi» disse avvicinandosi al ragazzo e prendendogli il viso tra le mani. «Ma sono sicura che andrà tutto alla grande, sarai perfetto come sempre» gli sussurrò sulle labbra prima di annullare le distanze tra loro.
 
 
 
Harry si avvicinò alla sposa intenta a chiacchierare con alcuni invitati. Le appoggiò le mani sulle spalle e le sussurrò nell’orecchio: «mi concede questo ballo?»
Anne si voltò di scatto e si aprì in un sorriso non appena vide suo figlio porgerle la mano con fare cavalleresco.
«Sei bellissima mamma» ammise Harry mentre appoggiava una mano sul fianco della donna e cominciava a dondolare lentamente a ritmo di musica.
La donna annuì, gli occhi lucidi dall’emozione e le labbra distese in un sorriso sereno e felice.
«Ed io sono fiera di te» rispose la donna.
Harry sorrise e lei gli accarezzò affettuosamente una guancia.
«Non mi hai uccisa in questi ultimi giorni in cui so di essere stata insopportabile» continuò Anne, «e ti sei comportato da uomo di fronte agli isterismi miei e di tua sorella. Sei cresciuto, non sei più il bambino che si ingozzava di mandarini e poi nascondeva le bucce così che io non ti scoprissi. Nonostante le difficoltà che hai dovuto affrontare stai maturando e mi stai rendendo la madre più felice del mondo, lo sai questo?»
Harry annuì ed abbracciò Anne nell’esatto istante in cui la canzone cessò.
«E grazie per avermi accompagnata all’altare.»
«E’ stato un onore. Ti voglio bene ma’.»
«Anch’io, ed ora vai a salvare la povera Lennon dalle ridicole mosse di danza del tuo patrigno.»
Harry rise ad annuì prima di avvicinarsi alla ragazza che rideva mentre osservava Robin mostrarle alcuni passi che l’uomo eseguiva alquanto goffamente.
«Robin» lo chiamò Harry divertito, l’uomo alzò gli occhi verso il ragazzo e sorrise esclamando un “figliolo!” con più enfasi del solito, probabilmente data dall’alcol che già circolava nel suo corpo.
«Posso rubarti Lennon? C’è la mamma di là che ti cerca…» disse, indicando Anne ad alcuni metri da loro.
Robin annuì e si avvicinò alla neo moglie, Lennon sorrise prima di voltarsi verso Harry.
«Grazie per avermi salvata, mio cavaliere» disse con fare teatrale.
«Non c’è di che, principessa» ribatté il riccio attirando Lennon a sé per un braccio ed appoggiando una mano sulla sua schiena.
La bionda strabuzzò gli occhi sorpresa dalla sicurezza di Harry che rise soddisfatto.
«Ho frequentato il corso di ballo con mia madre negli ultimi giorni ed è da tutta la sera che ballo con signore che mi vogliono, posso reputarmi un ballerino prodigio ora» spiegò, facendo girare Lennon su se stessa prima di avvicinarla nuovamente.
«Che ne è stato del mio Harry? Quello che non sa nemmeno ballare la macarena?»
«Quello bello, simpatico, intelligente, divertente, paziente e che fa perdere la testa a tutte, dici?»
«Sì, quel ragazzo modestissimo.»
Il riccio sorrise. «Il tuo Harry è sempre qui» le sussurrò all’orecchio.
Lennon sentì il battito del cuore accelerarle alla sensazione del respiro caldo di Harry sulla pelle, prese un respiro profondo e chiuse gli occhi appoggiando la testa sulla sua spalla e lasciandosi cullare da quei movimenti lenti e dal suo profumo famigliare.
Si conoscevano da quasi cinque anni, cinque anni di litigi, pianti, mancanze, insulti, ma anche cinque anni di sorrisi, carezze, baci e “ti amo” sussurrati tra le lenzuola alla mattina o alla sera sul divano.  E dopo cinque anni lei era ancora lì, tra le braccia dell’unico ragazzo che avesse mai amato davvero, l’unico ragazzo in grado di strapparle un sorriso in mezzo alle lacrime e di mostrarle la luce in mezzo all’oscurità.
Lennon si strinse ancora di più ad Harry come se in quel momento potesse andarsene e lasciarla da sola rendendo la sua vita un inferno. Il ragazzo dovette accorgersene perché alzò il viso e la guardò leggermente preoccupato.
«Va tutto bene?»
«Promettimi che non te ne andrai mai.»
Harry aggrottò le sopracciglia, «è successo qualcosa?»
«Promettimelo e basta. Promettimi che sebbene ti farò incazzare mille volte e tu alzerai la voce non te ne andrai. Che nemmeno quando io ti urlerò di farlo, in preda alla rabbia, tu ci sarai sempre. Promettimelo Harry.»
Il ragazzo sorrise, le accarezzò dolcemente una guancia e le spostò una ciocca di capelli che era sfuggita dall’acconciatura cadendole sul viso.
«Non devi neanche farmele fare certe promesse» disse sicuro. «Non ho intenzione di abbandonarti Lennon, né ora né mai. Non credo ti libererai facilmente di me, sei la persona che mi conosce meglio di chiunque altro. Non riesco ad immaginarmi felice senza di te ed è così strano pensare che la propria felicità possa dipendere da un’altra persona ma per me è così. Quindi te lo prometto Lennon. Anche quando tu mi griderai di andarmene, io tornerò da te.»


 

-



 

Siamo giunti alla vera fine di questa storia, onde evitare speranze inutili ci tengo a dire chiaramente che non ci sarà un secondo seguito nonostante ami alla follia Harry e Lennon.
Mi avete dato molte idee per l'epilogo, tutte molto belle ma alla fine ho scelto per questa che diciamo è un po' un misto di quello che mi avete chiesto. Spero che ci sia stata la sorpresa del non matrimonio di Harry e Lennon (altrimenti è stato tutto inutile ahaha) e che le scene con Gemma ed Anne (che sono state poco presenti fino ad ora) vi abbiano strappato un sorriso.
Il finale non poteva che essere sereno, diciamo che quei due vivranno per sempre felici e contenti! :)
Non ci sono grandi aspettative per il futuro se non tanta serenità, preferisco lasciare ognuno di voi libero di pensare ciò che meglio vuole per Harry e Lennon.
Questo epilogo per me è stato un vero e proprio parto, ci ho messo poco a scriverlo ma la riflessione pre-stesura è durata giorni e ad avrmi sbloccata sono stati i vostri consigli e le vostre idee, quindi vi ringrazio di cuore.
Poi vorrei ringraziare anche CassandraAinsworth (@_cassje_) e Cherryblossomgirl9 (@Cherry_b9) per il sostegno morale, per non avermi mandata a quel paese e per aver ascoltato con pazienza le mie paranoie :)
Un grazie speciale anche ad Arialynn (@arialynns) per l'aiuto iniziale, quando non avevo la minima idea di come far sviluppare la storia.
Devo ovviamente ringraziare anche tutte voi che avete avuto la pazienza di aspettare i miei aggiornamenti altalenanti e che siete qui a leggere queste mie ultime parole riguardo a questa storia.
Spero che il finale che abbiate letto vi sia piaciuto e che l'abbiate trovato all'altezza di Lennon ed Harry, la responsabilità che mi sentivo addosso nel creare un lieto fine per questi due personaggi mi ha fatto andare in paranoia.
Per questo vi chiedo di farmi sapere che ne pensate di questa conclusione, sentitevi libere di criticare anche certi punti che magari non vi sono piaciuti, insomma, ditemi quello che volete :)
Forse scriverò altre one-shot/missing moments riguardanti Begin Again e 10 giorni per innamorarmi di te ma non vi garantisco niente! Se volete rimanere aggiornate potete seguirmi su questa pagina di Facebook:
Jas_ 
Al momento ho solo una storia sui One Direction (Harry, per essere precisi ahaha) in corso, vi lascio il link sotto :)
Grazie mille per tutto il supporto che mi avete dato, davvero <3
Stavo per scrivere "alla prossima" ma mi sono resa conto che non ci sarà una prossima volta çç
Non so come salutarvi, insomma ahahaha
Ciao <3
Jas


 






 

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