Le guerre dell'odio

di Illidan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cacciatore ***
Capitolo 2: *** Preda ***
Capitolo 3: *** La spia ***
Capitolo 4: *** La driade ***
Capitolo 5: *** Viaggio attraverso gli alberi ***
Capitolo 6: *** Convocazione ***
Capitolo 7: *** Il regno eterno ***
Capitolo 8: *** Pessima accoglienza ***



Capitolo 1
*** Cacciatore ***


Capitolo 1

Capitolo 1 - Cacciatore

 

Quella mattina Arvel si svegliò verso le nove, come al solito. Non aveva fretta.

Era un uomo basso e grassoccio che si aggirava sui cinquanta, come dimostravano i capelli corti un tempo neri, ma ora grigi. Si alzò dal letto lamentandosi per gli acciacchi dell’età, scese al piano di sotto e aprì la porta della taverna. Fare l’oste in quel paesello sperduto e dimenticato da un re che pensava solo ai suoi giochi di alleanze non era un gran lavoro, ma Arvel si accontentava. A lui bastava la vita di ogni giorno: servire ai tavoli, ascoltare le solite lamentele dei contadini, i racconti dei soldati di ritorno dal fronte e le storie degli stranieri di passaggio e accertarsi che non si scatenassero risse o peggio nella sua osteria.

Tutti erano ammessi, purchè nessuno portasse dei guai che riuscissero a toccarlo o a causargli fastidi con l’autorità, qualunque essa fosse.

Arvel non era certo un cuor di leone, ma era arrivato alla sua età in quel modo, facendosi sempre i fatti suoi, e così voleva continuare a vivere.

La sua taverna era piuttosto modesta e povera, priva di inutili ornamenti. C’erano sei tavolini con quattro sedie ciascuno e al piano di sopra qualche camera da letto.

Aprì anche le finestre e la forte luce di una mattina primaverile entrò nel locale, illuminando il pavimento fino al bancone. Arvel ci si sedette dietro, come al solito, aspettandosi di vedere, come al solito, i pastori che tornavano a casa dopo aver trascorso la notte a vigilare sulle greggi nei pascoli, poco più a nord del suo villaggio, Laca, e che passavano sempre davanti alla sua locanda, perchè era il primo edificio sulla via proveniente dalle Montagne Verdi.

Invece non udì il belare delle pecore nè l’abbaiare dei cani e neppure le voci degli uomini. Sentì solo il rumore prodotto dalla terra battuta dagli zoccoli di un cavallo che si avvicinava. Siccome ciò gli sembrava insolito, per un attimo sperò che il cavaliere, chiunque fosse, non si fermasse lì, ma andasse avanti. Subito dopo si chiese perchè avesse sperato una simile cosa: dopotutto, chi poteva mai essere di tanto terribile?

E tuttavia ebbe un piccolo sussulto quando sentì il cavallo fermarsi. Scivolò fuori da dietro il bancone e si avvicinò alla finestra per vedere meglio la scena. Scorse un uomo alto e vestito di nero scendere dal cavallo e assicurarlo un albero. Poi si accorse che veniva deciso verso la sua locanda. Allora sospinse la porta in avanti e corse al bancone lasciandola socchiusa.

“Così magari penserà che sia ancora chiuso e passerà più tardi, quando ci sarà più gente... Non mi piace, non capisco chi sia, ma forse mi ha visto e allora ho fatto male a chiudere la porta... Magari faccio in tempo a riaprirla...” Ma il flusso dei suoi pensieri si interruppe quando vide la porta aprirsi silenziosamente. Subito dopo sentì un lieve fruscio di piedi sul pavimento e alzò gli occhi dal bancone per guardare lo sconosciuto. Aveva vestiti neri e sporchi, ma di buona fabbricazione. Portava dei mocassini marrone scuro che gli consentivano di muoversi silenziosamente. Indossava un mantello nero con un cappuccio che gli copriva anche parte del viso. Non si riusciva bene a capire quanti anni avesse, ma sembrava giovane poichè nessuna ruga solcava il suo volto e la sua pelle appariva ancora liscia e perfetta, ad eccezione di un piccolo taglio sopra la parte sinistra del naso. Eppure gli occhi non davano certo questa impressione. Erano uguali a quelli di un cane da caccia a pochi passi dalla sua preda. Guizzarono veloci e scrutarono tutta l’osteria, prima di fermarsi sull’oste, stupito e un po’ impaurito dalla comparsa di un viandante così strano.  L’uomo vestito di nero si avvicinò al bancone e appoggiò una mano coperta da un guanto su di esso. Sul guanto nero c’era uno strano simbolo: tanti cerchi concentrici uno dentro l’altro. O almeno così apparve all’oste, che lo guardò per un attimo, prima di rivolgersi allo strano figuro con un sorriso forzato.

-Salve e benvenuto nella mia locanda! Vuole qualcosa da bere o da mangiare?-

Lo straniero fissò la faccia grassoccia di Arvel che si sforzava di mantenere un’espressione calma con i suoi occhi penetranti per un po’, poi con una voce calma rispose:-Voglio delle informazioni. Sono disposto a pagarle bene.- E fece scivolare dalla mano sul bancone un sacchettino pieno di monete d’oro.

-Che cosa vuole sapere?- chiese l’oste, incerto se quel signore rappresentasse la sua fortuna o la sua rovina.

-Ieri sera è arrivato qui un giovane uomo, sui vent’anni, alto, con i capelli castani arruffati. Se lo ricorda?- domandò guardandolo come se potesse leggergli nell’anima.

-Sì, ma... C’è ne sono tanti così... Vedo molti contadini e pastori con i capelli castani arruffati e alti di statura... Non ricordo bene se anche ieri sera...-

-Non ha l’aria di un contadinotto qualunque! Chi sto cercando porta con sè un bastone che si biforca e poi si riunisce in cima. Inoltre viaggia sempre coperto da un mantello e un cappuccio verde scuri. Porta abiti da poco, ma non ha l’aria di uno povero. Faccia uno sforzo di memoria!- ribattè il forestiero con uno scintillio negli occhi verdi.

-Non ricordo bene... qui ne arrivano tanti di tipi strani...- borbottò Arvel e guardò meglio il suo interlocutore. C’erano due strani rigonfiamenti nel suo cappuccio sui due lati opposti. Poi vide lo scuro figuro portarsi una mano al fianco sinistro e scostare il mantello, rivelando così l’elsa di una lunga spada.

-Colui che mi preme trovare non ama farsi notare: sarà stato in un angolo tutta la sera. Avanti, ci pensi bene.- disse quello come se niente fosse.

L’oste, cominciando a sudare freddo e maledicendo la sua abitudine a far entrare tutti i viandanti, pensò con forza alla sera prima. -In effetti, c’era un tale...- disse dopo qualche minuto -era arrivato tardi ed era rimasto tutto il tempo vicino alla porta come se aspettasse qualcuno... E, ora che ci penso, aveva proprio uno strano bastone...-

Gli occhi dello staniero ebbero un guizzo. -E ora dov’è?- chiese battendo il pugno sul tavolo. L’oste atterrito sobbalzò e rispose tremando di paura:-Ha detto che voleva passare qui la notte, ma che non aspettava nessuno...-

L’uomo non aspettò che finisse e cominciò a salire le scale. L’oste gli si precipitò dietro e gli sussurrò:-Ma signore... Non voleva essere disturbato... e...-

Il nero figuro lo interruppe fulminandolo con lo sguardo. -Dimmi subito in quale stanza si trova, lurido Cadàn, se non vuoi che la mia spada beva il tuo sangue!- Arvel, quando vide che l’uomo metteva una mano sull’elsa della spada, smise di temporeggiare e disse in fretta:-N-nell’ultima in fondo al corridoio.-, mentre malediceva ancora se stesso e quella assurda mattina.

Seguì con lo sguardo lo straniero che arrivava davanti all’ultima stanza e lo vide dare un calcione alla porta, che cedette subito. Poi il nero figuro entrò.

Dal fondo del corridoio l’oste sentì un grido e poi alcune voci che non riuscì a capire bene. Nonostante la paura che lo attanagliava e il desiderio di darsela a gambe, non riuscì a fare a meno di dirigersi verso la fine del corridoio. La curiosità fu più grande del terrore e, arrivato, guardò oltre la porta scardinata.

Nella piccola camera c’era solo l’uomo vestito di nero di spalle che stava in piedi sopra il letto disfatto con la spada grigia sguainata nella mano destra. Lanciò un altro grido di rabbia e si voltò lanciando un sasso luccicante sul pavimento vicino ad Arvel. Poi urlò con frustrazione e odio:-Il maledetto bastardo è sparito! Ma lo prenderò! Non deve avere al massimo più di mezza giornata di vantaggio e non potrà sfuggirmi! Lo farò pentire di essersi fatto beffe di me e delle mia Regina!-

Dopo che ebbe pronunciato queste parole, il nero figuro si accorse dell’oste impaurito sulla porta, scese dal letto e lo prese per il bavero della giacca.

-E tu non dirai niente a nessuno di tutto questo, o te la farò pagare!- gli gridò puntandogli la spada al collo.

-N-no, non dirò n-niente a nessuno, nessuno!...- farfugliò Arvel atterrito. Lo sconosciuto lo buttò a terra e uscì dalla camera. L’oste rimase rannicchiato sul pavimento fino a che non sentì il rumore degli zoccoli del cavallo che si allontanava. Solo a quel punto, ancora spaventato e confuso, notò che sparsi per terra c’erano dei soldi. Poi vide il sasso lanciatogli dal nero figuro. Lo raccolse per osservarlo meglio. C’erano sopra degli strani simboli rotondeggianti che lui non capiva. All’improvviso, mentre se lo rigirava fra le mani, esso si illuminò. Arvel tremò e sentì una voce provenire dal sasso. La riconobbe: era quella del giovane che aveva preso quella camera.

-Caro oste, le lascio il dovuto per la camera e la cena. Non si preoccupi se non mi troverà nella mia stanza, perchè in ogni caso ciò che mi succede non la riguarda. Eldacil, se invece sei tu a stringere questa pietra, mi auguro che non te la sia presa se ti ho lasciato a bocca asciutta. Prega la tua padrona, magari ti darà la forza per prendermi!- Poi ci fu una breve litania in una lingua sconosciuta all’oste e la voce si spense.

Sbalordito, Arvel raccolse i soldi in fretta e tornò al piano terra con in mano anche il sasso e si sedette al bancone, pensieroso. “Ma che mattina!” pensò “Un uomo tutto nero che minaccia due volte di uccidermi...e quel tale di ieri sera... anche lui un bel tipo! Incredibile! Tutta la vita a evitare i guai ed ecco che un tizio vestito di verde arriva qui e mi porta il finimondo! Bah! Per fortuna, nessuno dei due sa come mi chiamo e presumibilmente nemmeno sanno il nome del villaggio. Speriamo che non arrivino altri così!” Si alzò e andò verso la porta come per assicurarsene. Poi salì di sopra e rimise a posto la stanza come meglio poteva e si disse che era stata proprio una fortuna che non ci fosse nessuno nella taverna quella mattina.

Infine scese giù e pensò a dove poter nascondere il sasso, come se fosse una prova di un atroce delitto. Buttarlo via non era una buona idea perchè chiunque avrebbe potuto trovarlo e allora avrebbe anche lui visto e sentito. Di romperlo neanche a parlarne, aveva paura che gli succedesse qualcosa di terribile e l’ultima cosa che voleva era una maledizione sulla testa o, peggio ancora, che qualcuno venisse a punirlo.

“Non si sa mai... Un oggetto magico come questo va maneggiato con cura... Devo fare in modo che nessuno lo veda nè possa sapere che esiste. Non voglio avere problemi con le guardie... Ho sentito che si rischia grosso se si possiede qualcosa di magico in casa e di certo non crederanno a ciò che mi è accaduto, stento a crederci perfino io! Devo farlo sparire!” Così decise di nasconderlo insieme ai soldi in un buco sotto un barile nel retro, dove teneva le provviste. Dopo che ce lo ebbe gettato e coperto con una trave di legno e la botte di vino, si sentì un po’ sollevato, pensando che adesso il suo segreto era al sicuro. Tornò al bancone ad aspettare i clienti.

“Se ne arriva un altro strano” pensò mentre si sedette “lo caccio fuori e appendo un cartello con scritto in modo ben chiaro: vietato l’ingresso agli stranieri.”

Verso le dieci cominciarono ad arrivare i pastori e la vita di Arvel riprese a essere normale. Anche se non sarebbe rimasta così ancora molto.  

 

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Capitolo 2
*** Preda ***


Questo capitolo non mi convince molto

Questo capitolo non mi convince molto... Ma non ho più voglia di aspettare!

Chiedo gentilmente a tutti quelli che leggono di commentare, in negativo, su qualunque cosa non funzioni. Ovviamente ringrazio Suikotsu che ha commentato il primo capitolo, ma vorrei sentire anche una seconda opinione (e magari una terza, una quarta, una quinta...).

 

Capitolo 2 - Preda

 

Una scarsa luce filtrava attraverso gli alberi, molto fitti e intricati. La foresta era molto buia e si riuscivano appena a vedere i tronchi delle piante. Non esisteva nessun sentiero e da quasi trecento anni neanche una persona aveva percorso quell’antica selva. Gli uomini se ne tenevano alla larga e i pochi temerari che vi si erano addentrati non erano più tornati indietro.

Eppure un solitario viaggiatore camminava in mezzo agli alberi. Aveva un mantello e un cappuccio verde. Portava in mano un bastone che si biforcava, si attorcigliava e si riuniva. Il suo volto era nascosto da un cappuccio cosicchè si vedevano solo gli occhi verdi. Portava guanti. Il suo nome era Arellon ed era un mezzelfo. Era giovane, ma non era inesperto. Sapeva dei pericoli della Grande Foresta Oscura, ma doveva prendere quella via. Di certo il suo nero inseguitore aveva già raggiunto la locanda e perciò non aveva molto vantaggio. Se avesse percorso uno qualunque degli altri sentieri sulle montagne sarebbe stato raggiunto e, con ogni probabilità, ucciso. In ogni caso voleva essere prudente: stava camminando vicino ai margini della foresta senza arrischiarsi a entrare troppo nel folto.

“Qui Eldacil non mi seguirà mai.” pensò con sicurezza guardandosi intorno “Eppure non riesco a liberarmi dalla sensazione di non essere solo...”

Infatti gli sembrava di sentire dei rumori simili al frusciare di foglie al vento. Ma non c’era vento. Sua nonna gli aveva raccontato che un tempo la foresta era molto frequentata da viaggiatori e mercanti che narravano aver visto grandi reami e città. Erano abitate da driadi, centauri ed elfi tutti quanti caratterizzati da una carnagione chiara a causa del fatto che vivevano nel folto della Foresta, dove non c’era altra luce se non quella debole e fioca creata dalla loro magia. Poi c’era stata la Guerra delle Follia e gli esseri che là dimoravano si erano nascosti e da tre secoli la Foresta era muta e silenziosa. I suoi abitanti erano svaniti, come inghiottiti dall’oscurità. Non si sentivano più i canti delle driadi nè il nitrire dei centauri nè le odi degli elfi rivolti ai grandi alberi come le querce, i castagni, i pini e le sequoie. Gli uomini erano convinti che quelle strane creature fossero morte. Eppure temevano ancora i rami e le fronde che si protendevano come artigli pronti a catturare gli incauti viaggiatori.

Alcune ore prima aveva chiesto ad alcuni pastori sulle Montagne Verdi se era sulla strada giusta per la Grande Foresta Oscura. Un pastore guardandolo stupito gli aveva chiesto:-Straniero, forse tu cerchi la morte? Oppure abiti in quella selva maledetta?- Gli aveva risposto che voleva solamente attraversarla e allore il pastore lo aveva guardato preoccupato e gli aveva indicato la strada verso Sud. -Quella è la via, signore.- E pensò:“Deve essere un perseguitato o un disperato per voler passare di là!”

Arellon continuava a camminare accanto a quegli enormi alberi. Si sentiva stanco, ma doveva raggiungere un corso d’acqua per essere sicuro per avere le prove di quello che pensava.

Ma ormai doveva essere diventata notte perchè l’oscurità era aumentata e quindi ci si poteva perdere continuando a camminare. Non era sicuro accendere un fuoco, si correva il rischio di essere visti e di offendere le creature della foresta bruciando una parte della loro terra. Così il silenzioso viaggiatore si fermò e si sedette. Mangiò un poco del pane che aveva preso alla locanda il giorno prima.

Poi provò ad ascoltare i rumori della foresta. Apparentemente si sentiva solo il frusciare leggerissimo delle foglie, ma esattamente come poche ore prima gli sembrava che ci fosse qualcuno che lo osservava.

Ma chi poteva essere? Eldacil? No, non era possibile. Prima di tutto, non avrebbe mai pensato che lui avrebbe corso il rischio di percorrere un sentiero così oscuro e pericoloso. E poi sapeva che Eldacil odiava e temeva la Grande Foresta.

Allora chi? Forse le guardie del re Gardon? Impossibile! Anche se lo avevano notato e lo credevano sospetto avrebbero abbandonato la pista non appena si fossero accorti che si era addentrato fra quegli alberi.

Doveva sapere chi lo seguiva. Purtroppo non aveva trovato un corso d’acqua e perciò la magia non sarebbe stata completa. Ma almeno avrebbe saputo quanti lo seguivano e con quali intenzioni.

Prese il bastone e tracciò un cerchio intorno a sè, per quanto l’oscurità gli permetteva. Poi prese da una tasca del mantello un sacchettino che conteneva delle foglie di forma circolare. Gli erano state date alcuni anni prima da sua nonna che a sua volta le aveva ricevute da suo nonno il quale le aveva avute in dono dal grande stregone elfico Olidos. Avevano un’enorme valore e potere, ma non le aveva mai usate. Sua nonna gli aveva spiegato che servivano ad entrare in comunione con l’ambiente circostante e a percepirne i pensieri. La terra rivelava il numero dei passi che la calpestavano, gli alberi, eterni e saggi, sapevano dire le intenzioni e i fini di tutto ciò che vedevano e l’acqua mostrava l’aspetto di coloro che le passavano vicini. Era molto pericoloso però, perchè si correva il rischio di perdersi e di diventare parte dell’ambiente.

Per un po’ rimase lì a pensare se davvero fosse il caso di usarle, ma, quando era sul punto di lasciar perdere, sentì un dolore acuto al palmo della mano sinistra. “Oh, no! Non posso più esitare.” pensò e addentò una foglia. Poi incrociò gambe e braccia e chiuse gli occhi. Sentì una ventina di passi felpati a poca distanza da lui a sinistra e un incedere duro e veloce poco più lontano a destra. Percepì un odio immotivato e feroce alla sua destra e una curiosità unita a rabbia a sinistra. Vide che l’individuo alla sua destra bramava di prenderlo e ucciderlo mentre quelli a sinistra volevano solo catturarlo, almeno per il momento, ma neanche le loro intenzioni sembravano amichevoli.

Poi successe una cosa che non si aspettava. Sentì due voci confuse nella testa. -Molti ti seguono... vattene... continua la tua strada... abbandonala subito... qui non ti accadrà nulla di male... ti uccideremo orribilmente... resta... muori!-

Arellon si riscosse dal suo stato di trance mandido di sudore. Gli spiriti della foresta non erano tutti della stessa opinione, mancava la sintonia. Ecco perchè gli alberi e i rami si intrecciavano e crescevano gli uni sopra gli altri: era come se ci fossero due anime che si contrastavano. Una era amica di ogni forma di vita, mentre l’altra odiava tutte le cose estranee che mettevano piede nella foresta. “Chissà cosa è accaduto qui... Di certo qualcosa di orribile che ha turbato la solidità degli alberi.” pensò mentre si rialzava per cancellare il cerchio. Decise che forse era meglio riposare e pensare la mattina dopo a cosa fare.

Per sua fortuna, gli esseri misteriosi che lo osservavano non approfittarono del suo sonno per catturarlo, ma si limitarono a sorvegliarlo. Quando fu mattina, una luce verde riuscì a passare attraverso gli alberi e svegliò il viaggiatore che, dopo aver sbocconcellato un altro po’ del suo pane, riprese il cammino. Per tre giorni proseguì nella foresta senza che succedesse nulla.

Poi nel pomeriggio del quarto giorno, dopo aver camminato intorno ad alberi secolari e a giovani arbusti, arrivò in una radura. Gli sembrò strano che ce ne fosse una in mezzo a una foresta selvaggia. Gli parve davvero bizzarro, ma la attraversò. Non poteva fare altrimenti: a sinistra gli alberi erano troppo intricati per passare e lo stesso valeva a destra. Forse avrebbe dovuto cercare un’altra strada, ma correva il rischio di perdersi nel buio e di essere catturato dalle misteriose creature o di uscire dal bosco e di essere ucciso da Eldacil. Così avanzò attraverso le erbe alte e i cespugli ed entrò nella radura. Aveva una forma circolare e l’erba era molto bassa, come se fosse stata tagliata. Era circondata da pini e querce altissimi e maestosi in mezzo ai quali si nascondeva una timida e piccola betulla. Dopo il cerchio di alberi crescevano una fila di cespugli rigogliosi e una di fiori meravigliosi di tutti i colori dell’arcobaleno. Quando arrivò a metà della radura, davanti alla quercia più alta e grande, sentì un dolore acuto alle gambe, come se lo avessero colpito con un frusta. Poi non riuscì più a muoverle. Le guardò e vide che erano legate da delle funi che sembravano di legno. E infatti erano le radici del pino che aveva dietro di sè ad una distanza di tre metri. In preda al panico agitò il bastone cercando di pronunciare una semplice magia per liberarsi. Ma non aveva ancora finito di parlare che i rami della quercia che aveva di fronte gli avevano già avvinghiato il torace e le braccia. Alzò la testa verso il cielo divincolandosi disperatamente nel tentativo di liberarsi, ma gli servì solo ad accorgersi che gli altri alberi stavano unendo le loro fronde per oscurare la radura. Aprì la bocca per gridare, ma le foglie della quercia si mossero fulminee per tappargliela. I cespugli e i fiori mutarono, sfoderando come artigli centinaia di spine e si colorarono di rosso, rosso sangue. Prima che il buio più totale calasse nella radura, Arellon sentì delle voci.

-Lo abbiamo preso!-

-Andiamo ad avvisare Iselia.-

-Non lasciamo nessuno a sorvegliarlo?-

-No... Anche se riuscisse a fuggire ci penserebbero gli alberi a fermarlo.-

Poi ci fu solo l’oscurità.

 

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Capitolo 3
*** La spia ***


Capitolo 3 - La spia

Ringrazio Suikotsu che ha commentato e ha anche messo la storia tra i suoi preferiti.

E anche quelli che leggono senza commentare.

 

Capitolo 3 - La spia

 

Era notte fonda. Nessuna luce illuminava il castello di Duscar. Neanche sulle mura erano accese delle fiaccole per garantire migliore visuale alle sentinelle.

Tutto era immerso nell’oscurità, eccetto l’Ala Ovest del corridoio del quarto piano.

Lì la debole luce tremolante di un candelabro rischiarava la via al suo portatore. Era un uomo sui trent’anni alto, slanciato, ma muscoloso. Aveva dei lunghi capelli rossi avvolti in una coda a cavallo dietro la testa per evitare che fossero d’intralcio nella visuale. I suoi occhi erano scuri come la notte e rendevano il suo sguardo sicuro e contemporaneamente astuto. Il suo viso, dalla pelle molto chiara, non era brutto, ma di certo non si poteva dire che fosse rassicurante. Portava solo una leggera giacca senza maniche e dei pantaloni e delle scarpe che gli permettevano di muoversi molto liberamente. Aveva legata alla cintura una guaina contenente un lungo coltello.

Si muoveva rapidamente, sapeva di non avere molto tempo. Camminava con passi felpati sul tappeto porpora guardando attentamente alla sua sinistra, dove si trovavano numerose porte. Alla sua destra invece c’erano delle finestre e a metà del corridoio una grandissima vetrata dalla quale si scorgevano in lontananza le Montagne Verdi.

Si fermò davanti all’ultima porta, dopo la quale il corridoio svoltava verso l’Ala Sud. “Questa è la porta. Speriamo che il nostro amico sia stato ai patti.” pensò l’uomo e la spinse. La pesante porta si aprì lentamente verso l’interno. “Sì! È proprio vero che la brama di denaro cancella ogni paura negli avidi!”

Entrò sorridendo e si ritrovò in una grande stanza a forma quadrata. Sulle pareti si trovavano undici armadi a muro, due per la parete con la porta e tre per ogni altra. L’uomo si diresse veloce verso quello al centro della parete in fondo alla stanza. Spalancò le ante e velocemente passò in rassegna con lo sguardo tutti i ripiani. Migliaia e migliaia di boccette e alambicchi erano messi in perfetto ordine, ciascuno con un foglietto che ne indicava il contenuto. L’uomo si chinò a terra per osservare il secondo ripiano. Si fece luce con il candelabro che stringeva nella mano destra e lesse mentalmente alcuni dei nomi.

“Pozione di Crescita, Pozione di Crescita potenziata, Pozione di Rafforzamento muscolare, Pozione di Indebolimento muscolare... No, non sono su questo ripiano!”

Neanche quello superiore si rivelò quello giusto. Continuò a ispezionare l’armadio, finchè arrivò al penultimo ripiano.

“Ecco! Sono queste!” Con un’espressione di giubilio sul volto appoggiò il candelabro a terra e si aprì la giacca. Poi allungò entrambe le mani e prese una boccetta contenente un liquido cremisi dal ripiano. La pose con estrema delicatezza dentro una piccola sacca che teneva appesa al collo tramite una cordicella sotto la giacca all’altezza del petto. Tolse dal ripiano altre tre boccette e le mise insieme alla prima.

“Meglio prendere anche questa... Non credo che mi serva, ma è meglio essere prudente.” Afferrò un’altra boccetta sottile dove si agitava un liquido nero e se la cacciò in una tasca della giacca. “Ora posso andare.”

Fece per richiudere le ante, ma si fermò. Aveva sentito un rumore alle sue spalle. Voltò piano la testa e vide a poca distanza da lui un ragazzo al massimo di diciotto anni con i capelli cortissimi avvolto in una tunica marrone. Era chiaramente un mago, sia per l’abbigliamento sia perchè stava mormorando qualcosa in una strana lingua muovendo lentamente le mani. Proprio nell’attimo in cui puntò il palmo destro contro di lui, l’uomo si abbassò di scatto. Mentre l’armadio dietro di lui veniva colpito da una magia che mandava in frantumi molte boccette, lui si tuffò in avanti, afferrò il mago per le ginocchia e lo scaraventò a terra. Prima che il ragazzo potesse tentare con un’altra fattura, l’uomo estrasse il pugnale con la mano destra e glielo piantò in petto. Con un lieve gemito il mago spirò. Lui estrasse il coltello insanguinato e lo rimise nel fodero.

Era stato scoperto, aveva davvero poco tempo per darsela a gambe. Ringraziando mentalmente la sua previdenza, prese la boccetta dalla tasca nella giacca e ne bevve il contenuto tutta d’un fiato. Poi la gettò a terra con una smorfia di disgusto per il saporaccio che aveva la pozione e sentì odore di bruciato. Guardò dietro di sè e vide che il candelabro era caduto incendiando il tappeto.

“Magnifico! Ci mancava solo questo... Almeno questi maledetti maghi avranno qualcos’altro a cui pensare!”

Corse fuori dalla stanza e si ritrovò nel corridoio. Alla sua sinistra dei maghi si stavano avvicinando rapidamente gridando che c’era un ladro nell’Ala Ovest. Allora lui andò verso destra, ma, arrivato quasi alla fine del corridoio, sentì provenire anche da quella parte rumori di passi affrettati e di urla di allarme. Corse di nuovo indietro fino ad arrivare al centro del corridoio. Da entrambi i lati arrivavano maghi e soldati. Alcuni provenienti da sinistra si fermarono a spegnere l’incendio nella stanza delle pozioni, ma la maggior parte si diressero verso il centro del corridoio per chiudere ogni via di fuga. Contemporaneamente si accesero tutti i bracieri del corridoio, consentendo a tutti di vedere il ladro.

Lui era perfettamente calmo. Un acuto dolore lo colpì nella schiena, appena sotto le scapole. Una sorriso di trionfo si segnò sul suo volto, malgrado la sofferenza.

-Fermo! Sei circondato!- gridò un mago dalla tunica rossa mentre lui e gli altri si preparavano a lanciare un incantesimo per fermarlo.

-Davvero? Non credo!- rispose beffardo. Poi prese la rincorsa e si scagliò contro la vetrata, mandandola in frantumi e precipitando fuori.

Tutti furono colti alla sprovvista da quel gesto. Erano al quarto piano e ciò significava un salto di almeno trenta metri. Nessuno si sarebbe aspettato che facesse una simile pazzia.

-Adesso raccoglieremo solo i cocci di quello che ha rubato! Bah, non importa.- disse il mago che aveva parlato prima -Voi, andate al piano terra e prendete ciò che ne è rimasto. Portatelo dentro, voglio cercare di capire chi era e chi può averlo mandato.- Un gruppo di maghi si allontanò in direzione delle scale. -Voialtri invece andate nella stanza delle pozioni e guardate cosa manca e...-

-Maestro Fertor, presto venite a vedere! Non è morto!- gridò un mago che guardava oltre lo squarcio nella vetrata. A quelle parole molti altri gli si fecero intorno per vedere.

-In nome di Jasdala, Gannon, cosa stai farneticando? Come può non essere morto dopo essersi sfracellato a terra dal quarto piano?- urlò Fertor facendosi largo tra la folla per ottenere una buona visuale.

-Perchè non si è mai sfracellato, Maestro.- disse Gannon con un filo di voce indicando un punto nel cielo. Il Maestro riuscì ad arrivare davanti alla vetrata e guardò dove indicava l’allievo. Alla debole luce della luna calante fu in grado di vedere qualcosa che assomigliava ad un enorme uccello. Però poi si accorse che era troppo grande e che non aveva solo due ali nere, ma anche due braccia e due gambe. In un istante comprese l’astuzia del ladro.

-Maledizione! Ha bevuto il secondo tipo della Pozione del Volo! Presto! Salite sugli spalti e dite a tutti di cercare di abbatterlo! Muovetevi! Non fatelo fuggire!- sbraitò furibondo. I maghi e i soldati corsero in direzione delle scale per salire sulla cima delle mura. Fertor però sapeva che non sarebbero mai arrivati in tempo. Il ladro era già troppo lontano per qualunque colpo magico o di freccia.

Sopraffatto dalla rabbia per il senso di frustrazione che sentiva puntò entrambe le mani contro la figura volante e gridò:-Weston Axos!- Un fulmine partì dalla punta delle sue dita e illuminò la notte, ma non andò neppure vicino all’uomo alato, che si allontanava velocemente in direzione delle Montagne Verdi.

Era una sensazione bellissima. Il mondo sotto di lui sembrava tanto piccolo, mentre la luna e le nuvole erano così vicine. Nonostante il suo pragmatismo, l’uomo si sentiva incredibilmente felice. Si era anche sciolto i capelli con le mani libere, per poter sentire il vento che li scompigliava. Volare era qualcosa di fantastico.

Certo, all’inizio aveva fatto un po’ male. Aveva sentito come se dentro di sè si formasse qualcosa di estraneo che desiderava uscire e premeva. Poi le grandi ali di penne nere gli erano spuntate sulla schiena proprio mentre precipitava e gli avevano squarciato la pelle, oltre che la giacca. Erano lunghe almeno due metri ciascuna per potere sorreggere bene il suo peso. Aveva perso sangue, ma non aveva sentito il dolore, dato che le due ferite si erano rimarginate quasi subito e soprattuto perchè era inebriato dal potere che sapeva di possedere. Come se avessero sempre fatto parte del suo corpo, le ali avevano cominciato a muoversi su e giù fermando la caduta e portandolo sempre più in alto.

Aveva gioito sentendo le urla dei maghi e si era beffato dei loro incantesimi e delle loro armi, di gittata troppo corta per raggiungerlo. Volava sbattendo leggermente le ali, sfruttando soprattutto le correnti del vento, che sapeva trovare facilmente, neanche fosse un uccello. Era un altro effetto della pozione, ovviamente.

Scacciò dalla mente i pensieri riguardanti la bellezza del volo. Che cose stupide! Quasi si rimproverò di essersi lasciato prendere dall’ebbrezza di quella nuova sensazione.

“Ho completato la mia missione.” Con una mano toccò la piccola sacca appesa al collo. “Ora devo solo trovare Jidak e otterrò la mia ricompensa.”

Dopo quasi un’ora di volo arrivò alle Montagne Verdi. Le cime dei monti erano verdi e prive di neve sia perchè erano molto basse sia perchè era estate. L’uomo cominciò a planare dolcemente, aguzzando la vista nel tentativo di scorgere la presenza di Jidak.

Finalmente vide una forte luce gialla e scese nel piccolo anfratto roccioso da cui proveniva. Quando toccò terra, fece alcuni passi in direzione di un uomo vicino a un fuoco, poi si fermò.

Un lancinate dolore gli attraversò la schiena. L’uomo ne fu quasi sbattuto a terra. Agitò disperatamente braccia e ali, ma era tutto inutile. Si sentì un rumore secco, come di un osso che si spezza, e le ali si staccarono dalla schiena dell’uomo cadendo a terra. Lui finì bocconi e sentì il sangue sgorgare dalle due ferite. Poi udì delle parole in una lingua che non comprendeva. Alzò gli occhi e vide un ragazzo dai capelli biondi tagliati molto corti avvolto in una tunica grigia che muoveva le mani mormorando una lenta nenia. Quando finì, le ferite sulla schiena dell’uomo si erano completamente rimarginate.

-Grazie per l’aiuto, Jidak.- disse rialzandosi.

-Di nulla, Dralos, non è stato difficile.- rispose Jidak e un sorriso compiaciuto comparve sul suo viso pallido e magro. Dralos si voltò un attimo a guardare quelle che erano state le sue ali. Adesso si erano tutte rattrappite e molto penne giacevano intorno sparse.

-Peccato che la pozione non duri per sempre. Un vero peccato, già.- disse il giovane mago. Dralos lo guardò fisso nei suoi occhi azzurri senza rispondere. A volte pensava che riuscisse a leggergli nel pensiero. E questa eventualità non gli piaceva affatto.

-Hai avuto dei problemi, vedo.- continuò Jidak mentre si avvicinavano al fuoco indicando la mano destra di Dralos, sporca di sangue fino al polso.

-Uno dei maghi della Gilda ha cercato di fermarmi da solo.- spiegò brevemente l’uomo dai capelli rossi.

-Bene! Presto lo seguiranno anche gli altri suoi fratelli traditori! Quindi ti hanno scoperto e sei dovuto fuggire con la Pozione del Volo, giusto?-

Dralos annuì.

-Hai preso le pozioni?-

-Certo, eccole qui.- Dralos si sfilò la piccola borsa dal collo e la diede a Jidak, che la aprì e ne guardò il contenuto.

-Sì, benissimo! Le boccette non si sono neanche scheggiate, dentro questa sacca incantata. L’Eccellentissimo Saggio fra i Saggi ne sarà molto felice.- Jidak frugò dentro la tunica, tirò fuori un sacchetto e lo lanciò a Dralos. -Ecco la tua ricompensa, mille Fobian d’oro. Contali pure.-

-Non ce n’è bisogno, voi maghi della Confraternita siete gente seria.- disse l’uomo mettendosi il sacchetto in una tasca della giacca. Jidak sorrise e si mise la sacca al collo, nascondendola sotto la tunica.

-Sarà meglio andare, non credo che ti abbiano seguito, ma non si sa mai.- Con un gesto spense il fuoco. Poi afferrò Dralos per un braccio e mormorò alcune parole. Il paesaggio intorno ai due divenne sfuocato e cominciò a cambiare. Le montagne divennero colline, poi pianure. Infine si ritrovarono in una via di una città. Era buia e silenziosa. Le porte e le finestre delle case erano tutte chiuse e non si vedeva anima viva.

-Eccoci a casa.- disse Jidak lasciando il braccio di Dralos. Il mago alzò gli occhi  sopra di sè per ammirare un’immensa torre color bianco avorio che sovrastava la città. “E presto sovrasterà il mondo intero!”

-Io ora vado a spassarmela. Vieni con me, Jidak?- chiese Dralos al mago, che si riscosse dai suoi pensieri.

-No, grazie. Anch’io devo porgerti un invito, comunque.-

-E dove?-

-Tra una settimana si terrà l’assemblea generale della Confraternita della Conoscenza. L’Eccellentissimo Saggio fra i Saggi vuole che tu venga.-

-Quale onore! Perchè mai dovrebbe rivolgere un simile invito a un comune mortale?-

-Desidera conoscere la nostra abile spia e ringraziarti personalmente per i tuoi servigi resi alla nostra patria e al nostro re.- disse Jidak e aggiunse -E poi ci sarebbe un’importante missione segreta da affidarti. È una faccenda molto delicata. Perciò l’Eccellentissimo Saggio fra i Saggi vuole sentire il parere dei Maestri e degli Eccelsi riguardo quale dei nostri agenti sia meglio usare e il mio Maestro ed io siamo sicuri che tu sia il migliore.-

Dralos ci pensò un attimo. Questa era l’occasione per diventare ricco e potente. Però non si fidava affatto dei maghi e del loro agire nascosto. Ma certamente neanche loro si fidavano completamente di lui. Nemmeno Jidak gli avrebbe dato le spalle se avesse anche lontanamente sospettato che lui avrebbe potuto ottenere un qualche guadagno dalla sua morte.

-Verrò volentieri e spero di essere scelto per l’incarico.- rispose infine.

-Anche il Maestro Saedor e io lo speriamo.- disse il giovane mago e fece per allontanarsi in direzione della torre.

-Toglimi una curiosità,- cominciò Dralos fermando Jidak -perchè non vuoi venire con me a divertirti con qualche bella donna? Voi maghi disprezzate tanto i piaceri del corpo? Oppure è perchè hai paura dell’editto reale o del divieto degli dei?-

Jidak rise. -Ho paura solo degli dei che esistono. L’Eccellentissimo Saggio fra i Saggi ci ha sconsigliato di distogliere la concetrazione dalla ricerca della conoscenza totale. Credo che sia più giusto dire che seguo il suo consiglio, piuttosto che pensare che io tema il divieto di un’autorità nulla o di divinità inesistenti.-

Anche Dralos rise e i due si allontanarono in direzioni opposte.

 

 

Ora che siete arrivati qui, non è che potreste lasciare un commentino?

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Capitolo 4
*** La driade ***


Capitolo 4 - La driade

Ringrazio i miei tre commentatori che mi hanno riempito di complimenti:

 

@Suikotsu: Esageri come sempre!

 

@giodan: Grazie per gli incoraggiamenti! Riguardo ai drow, so che sei un gran fan di Drizzt Do’Urden e mi spiace darti questo dolore, ma non credo che li metterò.

 

@Bankotsu: Grazie anche a te, ma guarda che la tua fanfic mi piace! Comunque, ottima scelta: il tuo personaggio preferito è tra quelli che rimangono vivi per un bel po’!

 

Ringrazio anche chi legge senza recensire.    

 

Capitolo 4 - La driade

 

-Sei sicuro di voler andare, figlio mio?- Il giovane dai capelli ricci si voltò.

-Questa è la mia decisione, madre, e non posso certo cambiare idea ora che l’ho detto pubblicamente.- La figura femminile lo guardò preoccupata con i suoi occhi neri. Gli passò una mano sulla testa vicino a una delle due orecchie a punta.

-Possa Colei che veglia sui giusti proteggerti, allora.-

Lentamente queste immagini svanirono dalla mente di Arellon. Si guardò attorno, ma gli servì soltanto per accertarsi del fatto che era ancora intrappolato. I rami e le radici lo legavano stretto. Inoltre, a peggiorare le cose, c’era il fatto che il suo bastone gli era caduto a terra quando gli alberi gli avevano immobilizzato le braccia. Certo, avrebbe comunque potuto lanciare un incantesimo, ma non poteva muovere le mani e la bocca era tappata da delle foglie di quercia. Lui non era ancora così potente da poter lanciare una magia di trasporto o di allontanamento in grado di liberarlo solo con la forza del pensiero mentre con una di fuoco avrebbe solo corso il pericolo maggiore di essere bruciato insieme alle piante. Poi non avrebbe mai osato: nella sua condizione era meglio non arrecare alcuna offesa alla prole della Natura.

“La tua missione è vitale per la salvezza del nostro popolo. Così mi aveva detto mio padre. Ed eccomi qua intrappolato! La sua fiducia è stata proprio ben riposta! Che incapace che sono stato!” Poi si ricordò delle voci che aveva sentito un giorno prima (o erano due?). Avevano fatto riferimento a una certa Iselia. Un nome che gli suonava familiare, doveva averlo letto in qualche racconto o cronaca storica. Ma in quel momento non gli veniva in mente chi potesse essere. “Probabilmente gli abitanti della foresta facevano riferimento a una loro guida. Meglio loro che i servi di Eldacil, ma non credo che le loro intenzioni siano buone. Altrimenti non mi avrebbero catturato. Una volta i nostri rapporti con loro erano pacifici, ma poi trecento anni fa... Secondo la saggia Lasdel alcuni elfi dissero che la colpa era anche nostra e ci odiarono. Per questo la regina Deanilia ci cacciò, per evitare inutili spargimenti di sangue. Ma... ”

Qualcosa si mosse di fronte a lui. All’inizio non ci fece caso, credendo che fosse una sua allucinazione. Poi guardò con più attenzione e vide una creatura che aveva trovato solo nei libri fino a quel momento.

La piccola betulla sembrava che si stesse gonfiando. Una grande e alta protuberanza si stava formando sopra la corteccia. Quando ebbe raggiunto una certa estensione in altezza, accadde una cosa straordinaria: si aprì. Come se fosse una porta, la corteccia venne spostata di lato da una mano piccola e delicata. Ne uscì un’essere leggiadro dall’aspetto di una donna o quasi. Una driade. Era alta, superava Arellon di almeno una spanna. La sua pelle aveva un colorito verde chiaro, uguale a quello della linfa degli alberi. Lunghi capelli verde foglia sciolti ondeggiavano sulla schiena. Era coperta da un lungo vestito bianco con macchie nere sparse qua e là che lasciava scoperte spalle e braccia. Aderiva perfettamente al properoso seno e al ventre, quasi ne facesse parte. Le gambe invece erano coperte da una gonna semplice che lasciava intravedere i piedi scalzi.

Con le dita affusolate richiuse delicatamente la corteccia della betulla. La driade si voltò e osservò Arellon, che ricambiò il suo sguardo.

Il viso della driade era di una bellezza sconvolgente, ogni tratto della sua pelle chiara era perfetto, levigato come fosse stata una scultura, eppure una cosa guastava questa perfezione: aveva un’espressione infinitamente triste. I suoi occhi privi di pupille color verde acqua sembravano due abissi di dolore, come se avesse patito sofferenze terribili. Una smorfia le attraversò il viso e una lacrima scese fino alle guancia sinistra.

Si mosse verso il mezzelfo intrappolato. Con un piccolo e aggraziato salto superò i cespugli e i fiori e le loro spine affilate come aghi. Pareva danzasse: ogni suo movimento aveva una grazia e una scioltezza eccezionale.

Quando fu a poca distanza da Arellon parlò. La sua voce era disperata e furibonda, come lei.

-Umani! Pazzi! Ingrati! Scellerati! Assassini! Traditori! Maledetti tutti voi, nemici dell’Armonia! Morirete per i vostri orribili crimini!-

La driade tacque per un attimo, poi proseguì con voce più calma. -Ma, ahimè, siete anche innocenti... Sciocchi umani! Tu, povero stupido, tu sei uno fra i tanti. Perchè sei venuto qui? Perchè ti sei avventurato nella nostra foresta? Voi umani la chiamate Grande Foresta Oscura... Bravi! Siete stati voi a renderla degna di questo nome! Oh, certo, non avete fatto tutto da soli, ma avete avuto una buona parte nella nostra rovina!-

Arellon sentì un forte dolore in tutto il corpo. Le radici del pino e i rami della quercia lo stavano stringendo più forte, come volessero stritolarlo. Rivolse alla driade uno sguardo supplichevole di aiuto, ma lei ricambiò con un’espressione di rabbia feroce.

-Traditori e assassini! Pazzi e folli! Avete rovinato la pace per sempre e perciò pagherete!- gridò con tono minaccioso e gli alberi strinsero ancora più forte Arellon.

-Ma...- continuò di nuovo a voce più bassa, mentre il mezzelfo sentiva la stretta degli alberi allentarsi -il sangue di mille o di milioni di voi cambierà qualcosa? No, non porterà nessun miglioramento! Sciocchi elfi del bosco! Hanno perso il loro amore per la pace e per la vita. Vivono per la morte. Solo alcuni di loro, è vero, ma è una questione di tempo: l’odio ci prenderà tutti! Misero umano! Tu morirai non appena gli elfi e i centauri guidati da Iselia arriveranno! Forse decideranno di farti morire pian piano di fame e di sete o ti imprigioneranno nel buio senza fine fino a farti perdere il senno. Presto o tardi, il tuo destino è ormai segnato! Il tuo sangue bagnerà la nostra terra e tutti godranno dell’amaro sapore della vendetta! E ciò non farà che peggiorare le cose, perchè il sangue chiama altro sangue.- La driade si portò le mani al viso per nascondere le lacrime. -Perchè ti parlo, misero condannato? Non capisci la mia lingua, non sai chi sono... L’odio! L’odio avvelena tutti! Ci divora, ci svuota e ci riempie di sete! Sete di sangue, morte e distruzione! Tutti siamo maledetti! Volevamo giustizia e non l’abbiamo avuta! Ci è stata tolta perfino l’amara consolazione di vedere puniti i colpevoli dello scempio... Ma la colpa è anche nostra: non avremmo dovuto permettere che ciò accadesse. Non avremmo dovuto permettere che la rabbia contaminasse lo spirito degli alberi! Rabbia senza fine per un passato che non si potrà mai cambiare!- La creatura dei boschi allontanò le mani dalla faccia rivelando il viso rigato di lacrime e con la destra indicò Arellon. -E per quel passato tu morirai!- urlò con tutta la forza che le proveniva dall’ira e dalla disperazione.

Il mezzelfo la osservava sbalordito e anche preoccupato per le sue parole. Approfittando del fatto che la driade si era fermata per soffocare i singhiozzi, tentò di parlare, ma dalla sua bocca uscì solo un mugugnio indistinto per via del tappo di foglie di quercia.

-Vuoi parlare?- gli domandò gentilmente la driade -Sì, dopotutto sarebbe giusto concedere un’ultima parola a un condannato a morte. Giusto... Ma è giusto che tu muoia? Cosa vuol dire ora “giusto”? I centauri vivevano solo per questo valore: la giustizia. Ora la confondono con la sete di vendetta! Dove sono gli dei? Olidos, il saggio Olidos, era il loro figlio prediletto, si diceva. Ed è morto! Morto! Colui che voleva la pace muore e colui che voleva la guerra vive. Cosa c’è di giusto in questo?- Mentre pronunciava queste parole, Arellon si accorse che la quercia e il pino stavano ricominciando a stringerlo con i rami e le radici e continuò a mugugnare rivolto alla driade cercando inutilmente di sputare le foglie, che invece gli venivano spinte sempre di più in gola, col chiaro intento di soffocarlo.

La driade lo fissava immobile. Perchè avrebbe dovuto fare qualcosa per lui? Forse era meglio lasciarlo morire così. Dopotutto il trattamento degli elfi non sarebbe stato migliore.

Però... Però negli occhi di quello straniero, di quell’umano, c’era qualcosa di familiare. Nel corso della sua lunga esistenza aveva visto centinaia di esseri dagli occhi verdi, ma in quelli c’era una luce che le ricordava qualcuno. Una persona cara, un’amica di un passato lontano.

Oltre a ciò non voleva che una creatura fosse privata della propria vita di fronte ai suoi occhi. Era un atto orribile, secondo gli insegnamenti di Olidos, privare un qualunque essere vivente, anche il più infimo e maligno, della sua vita, perchè essa gli era stata data dalla Natura e dagli dei e solo loro potevano togliergliela.

Spinta da questi pensieri, la driade si avvicinò ad Arellon e toccò con la punta delle dita della mano sinistra il ramo di quercia che cercava di soffocare il mezzelfo con le sue foglie.

-Calmati, possente quercia. Ritrai questo ramo, l’umano non deve morire ora! Non è questo l’ordine che ti diedero gli elfi. Smettete di farlo soffrire! Non vi basta la sofferenza a cui andrà incontro in seguito? Pino e quercia, smettetela! Io te lo ordino, quercia maestosa, ritrai questo ramo!- disse con voce solenne e l’ordine fu eseguito, anche se con una certa riluttanza. Arellon tossì e riprese lentamente fiato. 

-Grazie per il vostro aiuto, driade leggiadra!- ansimò in elfico. La driade lo fissò stupita.

-Tu...- disse sgomenta -Tu conosci l’elfico! Che strano che un uomo abbia una tale conoscenza. Ma a che cosa ti è servita, se non a sapere il tuo destino? Ora sai che morirai per appagare il desiderio di vendetta di elfi e centauri...-

-‘La vendetta è sbagliata perchè il sangue ne richiede sempre dell’altro e alla fine si otterrà un mare di sangue. Le mani del vendicatore saranno macchiate del sangue dei suoi stessi figli e non gli resterà che piangere per la sua follia di essersi voluto porre al di sopra degli dei, avendo elargito morte senza conoscere la verità.’- recitò a memoria Arellon tossendo. La meraviglia della driade divenne ancora maggiore.

-Conosci gli insegnamenti del saggio Olidos? Come è possibile che un uomo ne sappia qualcosa? Chi sei? Perchè sei venuto nella foresta? Non lo sapevi che qui tutti gli umani vengono uccisi? Non importa a nessuno che tu sia un seguace di Madeno o Lena, i più saggi fra gli uomini mai esistiti! Non fanno distinzione, gli elfi furiosi!-

-Io non sono un uomo!-

-Cosa? Cerchi di ingannarmi?- domandò la driade con un punta di rabbia nella voce fissandolo dritto negli occhi verdi. Il mezzelfo dovette costringersi a non abbassare lo sguardo, perchè gli sembrava che lei lo trapassasse e riuscisse a vedere la sua anima. Dopo alcuni attimi la driade si ritrasse con un’espressione a metà tra sospettosa e stupita.

-Non sei un uomo?...- chiese più rivolta a sè stessa che ad Arellon -Ma allora...- Con un mano sfiorò la testa del mezzelfo alle due estremità laterali. Nonostante il cappuccio, le sue dita sottili sentirono che sotto c’erano due orecchie a punta.

-Non sei un uomo...- ripetè piano e lo guardò attentamente per un’attimo. Poi il suo viso si illuminò. -Ma non sei neanche un elfo della città. Sei della stirpe del Corvo. Sei uno dei figli di Atascal e Lalia: un mezzelfo! A cosa ha portato la nostra follia? Abbiamo intrappolato uno dei nostri fratelli!- La driade si voltò verso la quercia, alzò le braccia e gridò:-Via! Vattene, quercia possente!- Si girò, oltrepassò Arellon e si rivolse al pino:-Allontanati anche tu, pino alto e magro! Basta! Basta odio, basta sangue!- Si abbassò e accarezzò i fiori, continuando a gridare. -Abbandonate i vostri artigli, dolci fiori e bassi arbusti! Siate rigogliosi per la luce del Sole! Risplendete di mille colori, non solo quello della vendetta!-

Lentamente, la quercia ritirò i suoi rami e lo stesso fece il pino con le sue radici. Le fronde degli alberi si separarono, permettendo ai caldi raggi solari di entrare nella radura. Le spine scomparvero, vennero ritratte come fossero gli artigli di un gatto, e i fiori tornarono ad avere il loro magnifico colore.

Arellon fu liberato, ma cadde subito a terra di schiena. Infatti tutti i suoi muscoli erano intorpiditi e doloranti per la lunga prigionia e per la fame e perciò faticava a rialzarsi.

La driade, raggiungendolo a passo di danza, si inginocchiò sull’erba e appoggiò una mano sulla sua fronte. Arellon provò una sensazione indescrivibile: quella carezza era gentile e piacevole come i petali di un fiore, ma celava la forza di un albero. La driade mormorò parole che il mezzelfo, un po’ intontito, non comprese al principio. Poi sentì un’ondata di calore attraversarlo dalla testa alle gambe e la stanchezza svanì. Era di nuovo forte e vigoroso, come se si fosse sfamato e riposato per alcuni giorni. Guardando la meravigliosa creatura che sorrideva sopra di lui disse:-Vi ringrazio ancora per il vostro aiuto, bellissima driade. Come avete fatto a...?-

-La Terra ci nutre e noi nutriamo la Terra. Ma solo coloro che la amano veramente possono sperare di ottenere un aiuto maggiore da Lei. Solo i degni ottengono la benedizione del calore della Terra, sorella della Natura. Io ho fatto solo da intermediaria. A quanto pare tu eri degno, mezzelfo.- rispose la driade aiutandolo ad alzarsi. Si sentiva felice, da tanto tempo non usava quella magia di guarigione, da troppo tempo non aveva la meravigliosa sensazione di aver aiutato una creatura vivente. -Qual è il tuo nome?- gli chiese.

Arellon esitò. Sarebbe stato saggio rivelare chi era? Doveva stare in guardia: c’erano molti più nemici di quanti potessero sembrare, Eldacil non era solo. Ma d’altronde la driade lo aveva aiutato e di certo non era una spia del suo inseguitore.

-Io mi chiamo Arellon, figlio di Erotlon e Arila. E voi chi siete, mia salvatrice?-

-Io non ho un nome. Non nella attuale lingua degli elfi, almeno. Nella lingua degli dei lo avevo ma non lo ricordo più. Gli elfi del bosco mi chiamano Mahallonie, che significa driade della betulla. Puoi chiamarmi così, Arellon, straniero incappucciato.-

Il mezzelfo si abbassò il cappuccio, rivelando folti capelli marroni ricci da cui spuntavano due orecchie a punta.

-Avete ragione, Mahallonie, è maleducato parlare nascondendo il proprio aspetto. Ma è la prima volta da molto tempo che qualcuno mi mostra una gentilezza come la vostra.-

Mahallonie studiò attentamente il mezzelfo. Era abbastanza bello, dai tratti del viso sembrava non avere più di venti, venticinque anni. Ma erano gli occhi sormontati da lunghe ciglia scure ad interessarla di più. Lo sguardo del mezzelfo possedeva determinazione e lasciava intendere che lui avesse senso di responsabilità e coraggio. Lei aveva già incontrato un altro essere che le aveva dato subito la stessa impressione. Ma quando? Dopo un attimo di riflessione, domandò:-Conosci Lasdel figlia di Nisaran?-

-Sì,- rispose Arellon stupito -è mia nonna.-

La driade ebbe un tuffo al cuore. -Tua nonna!- esclamò -Tua nonna è Lasdel, la giovane mezzelfa che passava più tempo nella foresta che nel suo palazzo ad Allesfeia. La mezzelfa che detestava lo sfarzo e gli intrighi della sua gente. La mezzelfa che mi era tanto amica, al tempo in cui noi driadi danzavamo fra gli alberi insieme agli elfi e ai centauri, prima della guerra e della morte di Olidos. Ed è tua nonna! Già, sono passati più di trecento anni, tanti anche per uno di voi. Come sta ora? Non ti ha mai parlato di me?-

-Mia nonna è stanca e preoccupata per la sorte del nostro popolo, ma quando sono partito era in salute. Però non ricordo che mi abbia mai parlato di voi, mi spiace.- rispose il mezzelfo confuso.

-Non darmi del voi! Dovrei essere io a rivolgermi a te così. Discendi da una nobile famiglia, antica quasi quanto il mondo. Lasdel non ti ha mai detto nulla di me? Sì, capisco... La gente del bosco non si è comportata bene con voi mezzelfi. Che colpa avevate, se l’odio, incarnato in quell’elfo mostruoso, non vi dava tregua? Ma lui non siamo riusciti ad averlo, quel traditore, quell’assassino e demmo la colpa a voi perchè, poichè vi avevamo aiutato, lui aveva colpito anche noi. Mille volte maledetto Eldacil!- Al suo urlo di furia le fronde degli alberi e i fiori si mossero, come spazzati da un vento terribile.

-Ma il passato non può cambiare. La mia rabbia è inutile: anche lui non è più tra i vivi. Non mi hai ancora detto perchè sei entrato nella nostra foresta, Arellon, nipote di Lasdel.-

-Sto compiendo un viaggio di grande importanza per il destino del mio popolo e forse anche del mondo intero. Era più sicuro passare fra questi alberi che là fuori nelle pianure.- rispose Arellon guardandosi intorno in cerca di qualcosa.

-Più sicuro? Che genere di pericolo ti attende fuori dalla foresta?-

-Un essere che tutti credono morto.- disse il mezzelfo chinandosi a raccogliere il suo bastone in mezzo all’erba.

-Cosa intendi dire? E...- La driade osservò il bastone che lui stringeva nella mano destra. -Sei un mago? Usi quel bastone? Sei un amico della Natura?- domandò sbigottita. Arellon annuì.

-Mia nonna mi ha insegnato ogni cosa sulla vera magia, quella che non è solo basata sui poteri innati, ma chiede l’aiuto della Natura per i propri fini.-

-Oh, mi farebbe tanto piacere rivederla! Ma quando vi cacciammo voi andaste tanto lontano che nessuno ora sa dove siete.- disse tristemente la driade.

-Avete... Hai ragione, Mahallonie: noi mezzelfi superstiti fuggimmo a settentrione, oltre la Muraglia e i Monti Truderkor, nelle steppe gelate, fino al Monte Oxetran, dove trovammo rifugio e nuova dimora.- spiegò Arellon.

-Hai fatto un viaggio davvero molto lungo, allora. Ma per quale motivo? Perchè esiti? Non ti fidi di me?- chiese la driade avvicinandoglisi e fissandolo dritto negli occhi.

-Io mi fido, ma prima voglio sapere cosa è successo alla foresta. Perchè gli alberi sono pieni di rabbia e odio?-

-Come, non sai che il re degli elfi del bosco Olidos fu ucciso a tradimento circa trecento anni fa? Non sai nulla della guerra che ne seguì?- domandò Mahallonie quasi arrabbiata.

-Sì, questa parte della storia la conosco, l’ho letta sulle poche cronache di quel periodo, ma l’ho anche sentita dai pochi che ne hanno memoria e la vogliono raccontare. Ma delle sue conseguenze non so nulla, così come credo che non ne sappia nessun mezzelfo, perchè non eravamo più qui. Perchè lo spirito della foresta è diviso in due? Cosa è successo in tutti questi anni? Perchè gli alberi mi hanno intrappolato? Chi è Iselia e perchè gli elfi e i centauri uccidono i viandanti? Cosa intendevi prima quando dicevi che non avevate avuto giustizia?-

La driade non rispose. Abbassò lo sguardo a terra e si voltò in modo da dare le spalle ad Arellon. Le stavano tornando in mente ricordi di quel tempo lontano. Ricordi che avrebbe preferito non rammentare mai, perchè erano troppo dolorosi.

-Non ti darò la risposta a queste domande. Non spetta a me questo compito. Chiedilo alla regina o alle sue figlie. Forse loro sapranno trovare una risposta soddisfacente che copra la nostra negligenza.-

Il mezzelfo capì che era inutile insistere. Anche sua nonna per qualche strano motivo non gli aveva detto nulla degli avvenimenti di trecento anni fa nella Grande Foresta, gli aveva solo accennato che i mezzelfi erano stati prima accolti e poi cacciati, ma nient’altro. Erano solo piccoli cenni, senza riferimenti a nomi o persone e soprattutto senza spiegazioni chiare. E per un analogo motivo anche le cronache di quel periodo non riportavano altro che notizie vaghe. Tutte concordavano sul fatto che dopo la morte di Olidos la foresta non era più un luogo sicuro, ma nessuna spiegava il perchè. Era un mistero che avrebbe voluto chiarire, però decise di lasciar perdere: aveva una missione da portare a termine, la sua curiosità personale doveve essere appagata in un altro momento.

-D’accordo, come non detto. Ti spiegherò il motivo per cui viaggio: una minaccia tremenda incombe sul mio popolo e sto andando a chiedere aiuto agli elfi della città.-

-Cosa? Perchè proprio a loro?- chiese Mahallonie voltandosi di scatto -Dopo tutto quello che vi hanno fatto, ti aspetti che vi aiutino?-

-Appunto perchè sono in debito con noi mi aspetto che ci diano soccorso.- ribattè Arellon sicuro. La driade scosse la testa.

-Tu devi essere pazzo! Non muoveranno un dito per voi, a meno che la minaccia non li tocchi da vicino.-

-Infatti è così.- disse il mezzelfo. Fece una pausa e poi parlò di nuovo. -Eldacil è vivo.-  

Mahallonie spalancò gli occhi sbalordita. Quelle parole la colpirono come pugnali. L’assassino era vivo. Non era possibile! Il mostro che aveva portato la rovina su di loro era ancora vivo! No, non voleva crederci.

-Menti!- sbraitò afferrando Arellon al collo -Oppure sei pazzo sul serio! Il maledetto è morto nella battaglia di Micara trecento anni fa!-

-No, vi siete tutti ingannati! Non è morto, ha solo finto di esserlo. Ed ora è tornato! Si è alleato agli orchi e attacca la mia gente da ben cinque anni. Io sono partito per chiedere aiuto prima che sia troppo tardi!- gridò il mezzelfo prendendo i polsi della driade e cercando di allontanare le sue mani dal proprio collo. Mahallonie lo lasciò. Fece qualche passo verso la betulla. Si stropicciò le mani tremanti. Per qualche attimo ci fu completo silenzio nella radura.

-È da quando ho intrapreso questo viaggio che Eldacil mi insegue. Qualche giorno fa mi ha quasi raggiunto, ma credo di essere riuscito a far perdere le mie tracce entrando nella Foresta. Lui mi aspetta là fuori però, ne sono certo.- disse Arellon rompendo il silenzio. La driade non rispose. Sotto gli occhi del suo interlocutore appoggiò una mano al tronco della betulla e sollevò leggermente corteccia e legno. Ma, invece di spalancarli e rientrare svanendo, si voltò verso Arellon.

-Tra poco Iselia e i suoi elfi e centauri saranno qui, insieme alle driadi del pino e della quercia. Li sento arrivare. Devi andartene subito, loro non ti faranno parlare. Ma non riuscirai mai a sfuggirgli a piedi. E se anche uscissi dalla foresta, ci penserebbe il maledetto ad ucciderti.- disse con voce calma e decisa -Vieni, sarò io a condurti dove vuoi arrivare. Dammi la mano.-

Arellon si avvicinò sospettoso.

-Non temere, ti porterò ai confini delle terre degli elfi della città. Ma useremo i sentieri di noi driadi: gli alberi. Dammi la mano, fidati.-

Il mezzelfo sentì in lontananza il rumore di uno zoccolo che batteva per terra. Non era più il momento di chiedersi se potesse fidarsi o no, rimanendo lì o fuggendo a piedi sarebbe di certo morto. Nel peggiore dei casi sarebbe comunque andato incontro allo stesso destino, tanto valeva tentare. Allungò la mano sinistra e la driade la strinse forte, avvertendo sotto il guanto la presenza di segni a lei molto familiari.

-Non lasciare mai la presa!- gridò Mahallonie e spalancò completamente la corteccia. Una luce fortissima abbagliò Arellon, che dovette chiudere gli occhi mentre la driade lo trascinava dentro l’albero.  

 

 

 

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Capitolo 5
*** Viaggio attraverso gli alberi ***


Capitolo 5 - Viaggio attraverso gli alberi

Capitolo 5 - Viaggio attraverso gli alberi

 

Per qualche attimo Arellon dovette continuare a tenere gli occhi completamente chiusi. Fece qualche tentativo di aprirli, ma ogni volta da fuori una luce potentissima glieli abbagliava così forte da fargli male. Non sentiva più la terra sotto i suoi piedi. Pensò che forse stava volando. Ma si rese conto di non percipire assolutamente nessun vento nè una minima brezza sul volto. Provò a muovere la mano destra che impugnava il bastone in modo da portarsela davanti al viso in modo da farsi un po’ di ombra sugli occhi. Per qualche strana ragione però non ci riuscì. Non solo la luce accecante continuava a impedirgli di aprire gli occhi, ma nemmeno gli sembrava di aver mosso o di poter muovere il braccio e la mano. Peggio ancora, non si sentiva più la mano. In effetti, si accorse di non avere la benchè minima sensazione da nessuna parte del corpo. Nemmeno dalla mano sinistra, con la quale doveva stringere la mano della driade. Arellon ebbe paura, temeva di aver sbagliato qualcosa, di aver commesso uno sbaglio involontario senza accorgersene. Cercò di aprire gli occhi di nuovo. Stavolta gli risultò più semplice. La luce non faceva più tanto male. All’inizio non vedeva quasi niente, per via della grande luminosità. Ma anche dopo che gli occhi vi si abituarono, la visione che ebbe non fu chiara. Era tutto luce. Variava dai toni del giallo più chiaro quasi bianco a quelli del verde. E non c’era niente altro. Almeno, agli occhi di Arellon sembrava non ci fosse nulla. In effetti non vedeva neanche sè stesso, nonostante muovesse la testa (o almeno gli sembrasse di farlo) per guardarsi intorno. Abbassando lo sguardo non vedeva nè il suo busto nè le sue gambe. Esitò ad alzarlo: non voleva che i suoi timori diventassero realtà.

Ma, visto che a quanto pare la vista era l’unica capacità di percezione rimastagli, guardò. Non c’era nulla, a eccezione della luce. La sua mente fu attraversata da mille pensieri e nessuno rassicurante. Perchè non sentiva più il suo corpo? Peggio ancora, perchè non era più visibile? Cos’era successo? Dov’era la driade? Aveva lasciato la sua mano? No, non gli sembrava di averlo fatto. Allora cosa aveva sbagliato? Perchè doveva aver sbagliato qualcosa, altrimenti non si spiegava come mai si trovasse in quella situazione.

Oppure poteva essere che la driade lo avesse lasciato intenzionalmente. Il suo errore sarebbe stato quello di fidarsi, allora. No, ma perchè mai Mahallonie avrebbe dovuto fargli questo? Se voleva farlo morire, tanto valeva lasciarlo nella radura in balia degli elfi.

“No, sono sicuro che lei non avrebbe ragioni per abbandonarmi qua a morire.” pensò sicuro “Ma comunque non capisco cosa stia succedendo. Dov’è? Dove sono? Questo abisso di luce... cosa significa?”

“La verità è talmente evidente e chiara. Ma chi non ha occhi per vedere non può coglierla.” sussurrò la voce della driade nella testa di Arellon. Il mezzelfo ebbe un sussulto. Provò a parlare, ma gli risultò impossibile, era come se non avesse più la bocca per farlo.

“Mahallonie?” pensò allora domandando speranzoso.

“Sì, sono io. Non sforzarti a parlare: qui possiamo comunicare solo attraverso i pensieri. Scusami se ti ho fatto spaventare, ma per me è tutto così naturale...”

“No, perdonami tu se ho dubitato di te. Sono stato un ingrato.”

“Va tutto bene. Non avevo pensato che non sapessi nulla di questo, del vero mondo di noi driadi. D’altronde Lasdel stessa aveva fatto questa esperienza...” Arellon fu un po’ contrariato da questa affermazione: sua nonna aveva deliberatamente omesso di dirgli anche questo. “Ma con che parole potrebbe descriverla uno di voi?” proseguì la driade come per calmarlo.

“Uno di noi?” domandò telepaticamente incuriosito.

“Un aeilaasom. Lo siete tutti, mezzelfi, elfi, centauri, uomini, nani e tutte le altre razze di Laimoth. Mortali o immortali non fa differenza. Siete costituiti tutti da anima e corpo. E finchè vive il corpo la vostra anima è legata ad esso inscindibilmente. Per questo vivete nel mondo dei sensi e solo raramente alcuni di voi riescono ad allontanarsene. Tramite le visioni o altri vostri incantesimi cercate di astrarvi dal mondo e percepire ciò che i sensi non possono.”

“Sì, questo lo so. Io stesso ho provato qualche giorno fa a entrare in comunione con l’ambiente.”

“Ah, sei stato tu! Ecco chi era che avevano sentito Raolaonie e Terassonie!”

Arellon fu sorpreso. “Sono state loro due a...?”

“Minacciarti e rassicurarti? Sì, è una cosa molto triste. Un tempo erano tanto amiche, la driade della quercia e del platano. Sempre le prime a danzare per ogni primavera. Ma ora... Ora hanno preso strade diverse. Una prova tanto odio, l’altra vorrebbe che tutto questo finisse. Purtroppo Terassonie non è mai stata la più forte delle due...” Seguì un attimo di silenzio.

“Comunque” continuò la driade “noi dobbiamo prendere la forma di un corpo per entrare nel vostro mondo perchè in realtà siamo ciò che voi definite spiriti. Non abbiamo sempre un corpo, ma ci serve solo venire ad ammirare la Natura dall’esterno. Noi viviamo qui, dentro.”

“Quindi io non vedo niente perchè...”

“Non hai gli occhi adatti. La tua anima non è ancora in grado di percepire con chiarezza e davvero raramente accade che una delle vostre anime lo diventi. Anche il tuo incantesimo di comunione, in realtà, è sì un’astrazione dal corpo, ma solo per poter avere conoscenze comunque inerenti ai cinque sensi. In realtà non ti sei allontananto così tanto. Forse Raolaonie avrebbe voluto che lo facessi: in quel caso non credo che saresti sopravvissuto a lungo.”

“Per questo allora non vedo nemmeno te che sei più vicina. Ma perchè non sento più il mio corpo?”

“Tu non puoi sentirlo. Non ce l’hai più.”

“Cosa?”

“Non ti spaventare. Vedi, tu non sei più nel tuo mondo, ora sei nel mondo delle driadi e niente non può entrare qui appesantito dal corpo.”

“Che significa? Il mio corpo è ancora nella radura?”

“No, questo non è un incantesimo di divinazione o di comunione con la natura, come quelli che vi dilettate a fare, te l’ho già detto. Tu sei proprio entrato nell’albero. Solo che qui non si può stare se non in forma di spirito. Riacquisterai il tuo corpo quando usciremo, come facciamo noi driadi. Ma stai attento: non dimenticarti chi e cosa sei, altrimenti non potrai più uscire! Tu non puoi crearti un nuovo corpo ogni volta come noi, perciò devi mantenere il ricordo.”

“Ma questo mondo... Cos’è?”

“Questa grande luce è quello che Olidos definiva come ‘ineffabile e magnifica visione, che ti porta ad abbandonare la spoglia mortale e a unirti ad essa, perchè così arriverai a un passo dal comprendere cosa sia la luminosa sorgente di vita’.

“Allora... La luce... Come posso dire? È...”

“Non credo esista la parola giusta a definirla. Almeno non in una lingua che tu possa sentire. Chiamala Natura, Essenza della vita, ciò che fa sì che ogni cosa nasca. Ma è luce indistinta solo per te. Tu sei abbagliato dall’immensità e dalla grandezza che ti si spalanca davanti, io ne sono la figlia. Ma, come ti ho detto, nessuna parola potrà mai farti cogliere anche solo una parte di ciò che vedo. L’aeilaasom che può vedere è il più fortunato fra tutti gli esseri che mai nacquero. Ed è lui che, avendo visto cosa sia la vita e quanto essa sia al di sopra di ogni bene, può veramente e a buon diritto comandare su tutti gli altri. I saggi re del bosco lo potevano vedere. Ma questo non ha impedito loro di morire tutti per mano di coloro che non sanno e perciò odiano la vita.” Ad Arellon parve quasi di percepire un goccia sfiorarlo.

“Rammenta quello che hai sentito, ti servirà. Tra non molto arriveremo a destinazione, ti lascerò fuori dalla Foresta, in un boschetto proprio sul confine che gli elfi hanno tracciato della loro terra. Ma non abbassare la guardia nel frattempo, perfino questo luogo non è più sicuro.”

 

Il centauro entrò nella radura un attimo dopo. I suoi possenti zoccoli scavalcarono cespugli e fiori con un solo balzo. Nella parte inferiore del corpo aveva le fattezze di un cavallo bianco con la coda bruna, mentre sopra le zampe anteriori partiva un busto umano. Aveva possenti pettorali e muscoli anche nelle braccia che stringevano un’ascia bipenne. Si guardò intorno muovendo la lunga chioma bruna come la coda. Un smorfia di rabbia gli attraversò il volto dalla chiara carnagione.

Non c’era più. Il viaggiatore che aveva visto chiaramente intrappolato dagli alberi due giorni prima era sparito.

-Che significa questo, Traxian?- gridò un’irata voce femminile alle sue spalle -Dov’è lo zacrul? Dov’è l’intruso?-

Ai margini della radura comparvero una quindicina di elfi, altri tre centauri e due driadi. Gli elfi, sia maschi che femmine tutti dalla pelle molto chiara, indossavano vestiti leggeri verdi scuri, nessuna armatura, e portavano tutti un arco e una faretra di frecce in spalla, ma qualcuno aveva anche una spada nel fodero legato alla cintura.

A parlare era stata un’elfa davanti a tutti gli altri. I suoi capelli biondi erano tagliati cortissimi, in modo da mettere in risalto il suo viso leggermente allungato e le orecchie a punta. La sua espressione era feroce nonostante le dolci fattezze femminili, che gli abiti nascondevano completamente, e le mani stringevano le else di due spade ricurve che portava ai fianchi, impaziente di sguainarle per mietere vittime.   

-Dov’è l’intruso, Traxian?- ripetè fissando furiosa il centauro con i suoi occhi dalle pupille blu.

-Non lo so, Iselia! L’abbiamo catturato qui due giorni fa grazie all’aiuto della quercia e del pino. Ma ora...-

-Ora è sparito! Siete degli incapaci!- gridò rivolta anche agli elfi alle sue spalle -Non riuscite neanche a tenere imprigionato un miserabile uomo per due soli giorni!-

-Nessuno è mai riuscito a liberarsi dagli alberi!- protestò Traxian.

-Non potevamo sapere che questo zacrul ci sarebbe riuscito!- gli fece eco un elfo.

-Ma potevate almeno lasciare una sentinella a controllare che non fuggisse!-

-Gli alberi sono le migliori sentinelle!- gridò un’elfa.

-Perchè non l’hanno fermato? Perchè l’hanno lasciato andare?- domandò un altro dei centauri.

-Basta!- ordinò Iselia troncando sul nascere ogni discussione -È scappato. Questo è un fatto certo e per ora è tutto ciò che dobbiamo sapere. Mi avete detto che probabilmente andava verso il paese dei nostri cugini traditori e scellerati. Dunque dobbiamo seguirlo in fretta. Cercate delle tracce.-

Obbedienti all’ordine, tutti gli elfi cominciarono a osservare attentamente il suolo della radura. La stessa Iselia si chinò a terra in cerca di orme. Quelle dell’intruso erano molto evidenti. “Calpesta il terreno tanto forte che sarà un giochetto seguirlo e catturarlo.” pensò Iselia con un sorriso, pregustando già la lenta morte dello zacrul. Poi notò che accanto alle sue tracce ce n’erano delle altre, ma quasi invisibili perfino ai suoi occhi. Dovevano essere state lasciate da una creatura molto leggera, scalza e dal passo saltellante. Erano anche piuttosto confuse, perchè andavano avanti per poi tornare indietro. Ma terminavano tutte, insieme a quelle dell’intruso, davanti a una piccola betulla.

-Fedhagonie, Raolaonie! Venite qua!- Le due driadi le si avvicinarono veloci. Erano simili a Mahallonie per il colore della pelle e degli occhi, ma le somiglianze finivano lì. La prima era più alta, superava Iselia di due spanne, ed aveva una veste di un marrone abbastanza scuro, mentre i lunghi capelli erano verdi, ma anche questo era di una tonalità più scura rispetto a quelli verde foglia della driade della betulla. La seconda invece, più bassa, anche se comunque di un’altezza considerevole, visto che era sempre più alta di Iselia, aveva capelli più corti di una tonalità di verde ancora  più scuro, mentre la veste era uguale a quella dell’altra.

-Guardate queste orme.- disse Iselia indicando a terra. Le due driadi osservarono accuratamente le tracce, poi passarono a controllare la betulla.

-Per la sacra quercia!- esclamò dopo un po’ Raolaonie.

-Che c’è? Cos’hai scoperto?- chiese l’elfa impaziente. Nel frattempo tutti gli altri avevano smesso di cercare e si erano radunati lì intorno.

-Nostra sorella Mahallonie è stata qui poco fa. E ha aiutato l’intruso! L’ha liberato dalla morsa degli alberi e... e l’ha fatto fuggire con sè!- gridò la driade furibonda. Al suo urlo si unirono quelli di elfi e centauri.

-Non posso credere che Mahallonie abbia potuto fare una cosa simile...- mormorò Fedhagonie.

-Non c’è altra spiegazione, sorella! Le tracce dei suoi piedi non lasciano dubbi.-

-Ma perchè? Perchè avrebbe dovuto aiutare un uomo? Perchè avrebbe voluto infrangere il tabù mostrandogli il nostro mondo? E soprattutto perchè mai tradire così la memoria di Olidos?-

-Non è il momento di cercare una spiegazione! Se stanno davvero viaggiando dentro gli alberi, allora non c’è tempo da perdere! Inseguiteli e portatemi lo zacrul vivo!- ordinò severa Iselia -Della driade della betulla fate quel che vi pare, non è di mia competenza il suo tradimento. E ora andate! Nel nome di Olidos e della vendetta!!- L’elfa alzò entrambe le braccia e tutti imitarono il suo gesto urlando, sfogando momentaneamente la loro rabbia, una rabbia vecchia di secoli per alcuni di loro. Le due driadi si accostarono l’una a un pino, l’altra alla quercia, appoggiarono una mano alla corteccia, la sollevarono leggermente e ci si infilarono dentro svanendo.

 

Mahallonie percepì subito delle nuove presenze. Ma non ci fece caso. Erano sorelle driadi di certo, ma non era detto che potessero rappresentare una minaccia. Questa sua convinzione andò diminuendo a mano a mano che le sentiva sempre più vicine. Cercò di affrettarsi, non mancava molto. Poi arrivò chiaro e forte: l’odio e la rabbia erano così forti che quasi la stordirono.

“Traditrice! Come hai osato liberare lo zacrul? Perchè l’hai condotto nella nostra dimora, maledetta traditrice?” La voce così forte che risuonò nella sua mente non le lasciò alcun dubbio: Raolaonie.

“Sorella, perchè l’hai fatto?” mormorò dopo più supplichevole Fedhagonie.

“Lui non è un uomo! È un mezzelfo!” rispose Mahallonie senza voltarsi aumentando la sua velocità.     

“Razza di sciocca! Sarà uno stregone, ti avrà incantata con le sue malizie!”

“Ti prego, sorella adorata, consegnacelo. Iselia vuole solo lui. Tu non subirai alcun male!”

“No, mai! Mi stupisco di voi! Avete dimenticato ogni cosa? Noi siamo le figlie della vita e vorreste chiedermi di portare alla morte un essere vivente?”

“Mahallonie, è un uomo! Noi non avevamo mai fatto nulla di male alla sua razza, ma loro fin da subito hanno affilato le scuri e colpito gli alberi. Sono malvagi! Olidos si fidava e loro cosa gli hanno fatto?”

“No, lui è un mezzelfo e deve...”

“Un mezzelfo? E anche se fosse, cosa significa? Loro hanno attirato la sciagura su di noi! Sono degli ibridi grotteschi: nelle loro vene scorre il sangue degli abbattitori di alberi e della stirpe del maledetto assassino! Non sono meglio, non meritano la vita!”

“Non vuoi ascoltarmi, Raolaonie! Il mezzelfo è discendente di Lasdel! Deve andare a Falesalai perchè...”

“Visto? Cosa dicevo? Deve andare dal popolo del massacratore! No, per il tuo bene, Mahallonie, devo fermarti!”

Arellon ebbe una strana sensazione, come se si fossero fermati. Era strano perchè in effetti non è che durante il movimento sentisse qualcosa di molto diverso. Intorno a lui c’era sempre e comunque solo luce uguale. Eppure gli sembrava che per qualche motivo Mahallonie non si muovesse più.

Non poteva sapere nulla di quello che era accaduto, perchè non aveva sentito nulla. Infatti le tre driadi avevano parlato nella loro lingua, assolutamente impronunciabile e inudibile nel mondo esterno. Ad Arellon non era giunto nessun suono, continuava a esserci assoluto silenzio. Ma quella sensazione non se ne voleva andare e perciò decise di togliersi il dubbio.

“Mahallonie” pensò cercando di mettersi in contatto con la driade “cosa succede? Va tutto bene?”

“Arellon! Ascoltami: non allentare la presa, tieni bene a mente chi sei! Hai capito? Ricordati chi e cosa sei!” Queste parole piene di preoccupazione e paura giunsero veloci al mezzelfo e gli fecero immediatamente capire che c’era qualcosa che non andava.

“Ma cosa sta succedendo?”

“Non dimenticare! Ricorda chi sei e non abbandonare la mia mano!” gridò la driade col pensiero per poi tornare alla sua lotta disperata. Raolaonie l’aveva attaccata. Stava cercando di spezzare il legame spirituale tra lei e il mezzelfo. Mahallonie faceva del suo meglio per contrastare il suo attacco, ma la driade della quercia era molto più forte di lei. Il suo era stato un colpo a doppio taglio: mentre la indeboliva cercava di rompere le difese mentali del mezzelfo, per dividerlo da lei e poterlo portare via.

Nel suo mondo Arellon era un bravo mago e si sarebbe saputo difendere bene, ma ora, in un terreno che avvantaggiava il nemico e per di più lo nascondeva totalmente ai suoi occhi, non era in grado di contrastare efficacemente un qualunque attacco.

Sentì come uno strano torpore. Mahallonie gli gridò ancora qualcosa, ma non comprese quasi nulla. Con un grande sforzo, cercò di evocare una barriera che lo proteggesse.

“Aesf! Aesf Osfìl!”

Per quanto ripetesse mentalmente la formula della magia difensiva, sembrava non servisse a niente. Il senso di torpore e sonno aumentavano.

“Aesf! Sallon Aesf Osfìl! Sallon Aesf Osfìl! Sallon Aesf O...” Arellon si accorse atterrito di non riuscire più a ricordare come finisse l’ultima parola.

“Ricordati il tuo nome!” Queste parole sembrarono provenire da molto lontano, come una bassissima eco di qualcosa gridato a voce molto alta. Il mezzelfo, visto che anche la parola base dell’incantesimo gli era svanita dalla memoria, decise di seguire l’ordine alla lettera. Cominciò a ripetersi mentalmente il suo nome, quello dei suoi parenti più stretti ed amici, la sua razza e la sua missione. Ma inesorabilmente anche questi svanivano. Uno ad uno venivano falciati da un mietitore invisibile e inarrestabile.

“No... non posso permetterlo... io sono Arellon... figlio di Erotlon e Arila... fratello di Darila... nipote di... di...” Contemporaneamente gli sembrava che tutto si oscurasse, come se la luce infinita si stesse spegnendo lentamente e con essa sparisse ogni suo ricordo. Il torpore e il senso di sonno crescevano. Il mezzelfo lottava disperatamente per contrastarli, ma alla fine dimenticò anche il suo nome. No, non poteva essere quella la sua fine. “Io... non morirò così... l’ha predetto... l’ha predetto... L... La... l’ha predetto mia nonna... No... io sono... sono...” Un ricordo gli riaffiorò nella mente: di quando sua madre, il giorno del suo quindicesimo compleanno, gli aveva spiegato il significato del suo nome. -La mia saggia madre- aveva detto -ha ordinato di chiamarti così, perchè tu, dopo tanti secoli, sarai colui che infrangerà la promessa e porrà fine alla discordia.- “Sì” pensò nuovamente “io sono Arellon!” Improvvisamente l’attacco si smorzò e l’oscurità diminuì. Ma non era tempo di festeggiare: Raolaonie era ancora più furiosa di prima. Lo zacrul resisteva bene e ciò era intollerabile.

“Mahallonie, per l’ultima volta, consegnacelo!” sbraitò colpendola nuovamente. I suoi attacchi erano totalmente invisibili, l’unica cosa che si poteva scorgere era solo un piccolo fascio di luce che splendeva leggermente più del resto. Ma ciò non significava che non fossero potenti. Colpivano direttamente lo spirito, sgretolandolo lentamente. La driade della betulla, nonostante fosse molto ferita, non demordeva dalla sua fuga.

“Mai! Non lo avrai mai, stupida pazza accecata dall’odio!” rispose con rabbia.

“Allora mi costringi a qualcosa che non avrei voluto fare. Mi dispiace, ma non mi lasci altra scelta.” Raolaonie preparò il suo colpo più terribile contro Mahallonie. Ma non l’avrebbe uccisa, le avrebbe solo fatto perdere totalmente conoscenza di sè. Così la driade della betulla non sarebbe più potuta uscire dal loro mondo, se non per sempre, per molto tempo, almeno finchè non avesse riacquistato la sua memoria e con essa il ricordo della sua forma spirituale e sensibile.

“No! Sorella, non farlo!” gridò Fedhagonie trattenendola.

“Lasciami, stupida! Vuoi farlo scappare anche tu?”

“Io... Io non voglio che succeda ancora!”

“Di cosa parli?” domandò la driade della quercia sempre più infuriata.

“Lo sai bene: di Terassonie!”

“Non parlarmi di lei! Era debole, sciocca! Ha avuto ciò che si meritava!”

“No, non si meritava di diventare ciò che è ora! L’hai vista? Hai visto come l’hai ridotta? Vaga alla cieca, senza meta, ripetendo parole senza senso! Si sta lasciando appassire!”

“Fa parte del ciclo della vita che un fragile arbusto che non attecchisce debba lasciare il posto a un più forte albero.”

“No, non è naturale, non fa parte del ciclo della vita che una di noi sollevi le mani contro una sorella!”

“Basta, taci!”

“Io non ti permetterò di farlo nuovamente!”

“Mi hai stancato! Levati!”

“No!” gridò la driade del pino ponendosi di fronte a Raolaonie. La driade della quercia vide che Mahallonie ne stava approfittando per allontanarsi.

“Stupida!” sbraitò colpendo Fedhagonie.

Intanto la driade della betulla era quasi arrivata a destinazione.

“Arellon!” lo chiamò con il pensiero “Tra poco ti farò uscire. Tieniti pronto: rammenta bene chi sei.”

Il mezzelfo vide una specie di buco che si apriva, un’apertura su una zona buia. Fece appena in tempo ad accorgersene, che subito dopo ci fu scaraventato dentro. Precipitò verso l’oscurità cercando di gridare senza riuscirci. Poi sentì la sua voce. Percepì l’aria che gli entrava in gola e la dolce e fresca brezza della notte che gli passava sulle guance e sui capelli. E subito dopo il duro contatto col suolo coperto da poca erba secca. Alzò subito il viso da terra e si sfregò gli occhi. Si guardò attorno. Sì, era di nuovo nel suo mondo. Per la precisione era in un boschetto di notte. Poi osservò se stesso, le sue mani, i suoi abiti, il suo bastone. Aveva riacquistato il suo corpo. La gioia per lo scampato pericolo durò appena un attimo però. Si alzò in piedi e si voltò immediatamente verso la betulla alle sue spalle. La corteccia era ancora scostata e ne usciva una forte luce, in mezzo alla quale era possibile scorgere il viso di Mahallonie.

-Addio, nipote di Lasdel! Vai, porta a termine la tua missione. Forse finalmente tornerà la Primavera...- disse la driade sorridendo.

-Mahallonie!- gridò Arellon notando due braccia che uscivano dietro di lei dall’albero. Le mani verde chiaro la afferrarono e la trascinarono dentro. -No! Mahallonie!- Il mezzelfo corse verso l’albero, ma la corteccia ormai si era richiusa. Battè dei pugni sul tronco e lo colpì col bastone, chiamando il nome della driade ancora per un po’. Ma era inutile, se n’era andata. Arellon non sapeva chi o cosa li avesse attaccati e ora la avesse catturata. Di certo nulla di buono. Se solo le driadi avevano accesso a quel mondo, allora doveva essere stata una di loro. Ma quanta rabbia doveva provare per attaccare una della sua stessa razza?

“Moltissima, ma non contro la gentile Mahallonie. Contro di me. O meglio, contro l’uomo che doveva pensare che fossi.” pensò tristemente il mezzelfo appoggiandosi all’albero “E lei si è sacrificata per me. Lei è un’altra che ha subito e che ora subirà terribili patimenti per causa mia! Come tanti amici e parenti...” Arellon si sollevò e scacciò quei tristi ricordi. “Ma se non voglio che il loro sacrificio sia vano, non devo più esitare!” Deciso, sollevò lo sguardo al cielo che si intravedeva fra gli alberi. La stella di Laila brillava molto luminosa quella notte d’estate senza nuvole. Indicava la via per il Nord, per il ritorno. Ma anche quella di Atascal era particolarmente lucente, dalla parte opposta rispetto alla prima. Guidava verso il Sud, verso la meta.

Arellon, dopo aver dato un ultimo triste sguardo alla betulla, si mise in cammino seguendo la seconda stella.

 

 

Incredibile ma vero, ho deciso di aggiornare! Spero che non siate furiosi con me per il ritardo, cari lettori.

Ringraziamenti:

 

@Suikotsu: Non te preocupe, mi impegnerò a leggerlo!

 

@giodan: I draghi sì. Comunque, devo proprio ringraziarti: avevo qualche dubbio su come intitolare il capitolo e il tuo commento mi ha aiutato. Grazie! E spero che il capitolo non ti sia sembrato banale!

 

@CaMbAbOy: Beh, sei molto gentile. Continua a commentare, perchè ti sei fermato al terzo cap?

 

@Rakyr il Solitario: Non esagerare con le lodi o potrei montarmi la testa...

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Capitolo 6
*** Convocazione ***


Capitolo 6 - Convocazione

Capitolo 6 - Convocazione

 

C’era grande agitazione nel castello di Duscar. Un furto come quello non era cosa da poco. Il ladro sapeva quando colpire, dove andare e perfino come riuscire a fuggire in modo da far perdere totalmente le sue tracce. I maestri della Gilda del Sapere ne avevano discusso a lungo, ma alla fine avevano dovuto riconoscere la gravità del fatto e l’assoluta necessità di informare il loro re. Ma una semplice missiva, che comunque fu inviata, non era sufficiente, bisognava convocare il sire di persona. E le notizie di cui bisognava informarlo non erano assolutamente buone. In quel momento nessuno invidiava la carica di vicario reale del Maestro Moderav, il quale nonostante ciò avanzava davanti a tutti nella sala del trono impettito e altero come sempre nella sua tunica color rosso fuoco dagli orli dorati. Ma un osservatore acuto avrebbe potuto notare che numerose gocce di sudore gli imperlavano la fronte solcata da rughe scendendo da sotto i corti capelli grigi. E non era sudore dovuto al calore dei raggi del sole che filtravano dai due enormi finestroni sulla parete opposta all’ingresso.

Dietro di lui venivano gli altri dieci maestri avvolti nelle loro tuniche viola orlate d’argento e insieme a loro gli apprendisti coperti da semplici sai neri senza fronzoli. Il Maestro Moderav camminò sul tappeto rosso porpora percorrendo tutto l’enorme salone dalle pareti ricche di arazzi che ritraevano i passati re di Astharal fino a fermarsi di fronte a una piccola gradinata sopra la quale si trovavano due troni di legno vuoti. Erano dorati e riccamente decorati. Sui braccioli correvano motivi floreali, mentre sui bordi degli schienali erano intagliate torri guglie in miniatura. Sulla cima del trono di destra, il più basso, era scolpita nel legno una corona, invece su quella dell’altro una rosa rossa che risaltava notevolmente sullo sfondo oro.

Sopra, la parete era coperta da un arazzo che raffigurava una donna bellissima in un lungo vestito rosso. La sua pelle era leggermente scura. Gli occhi bruni osservavano la sala con uno sguardo ammaliatore e le labbra erano inclinate in un sorriso quasi malizioso. I capelli corvini le ricadevano lunghi sulle spalle. Appena sotto il florido seno, la mano sinistra reggeva un grande libro rilegato in pelle e la destra un alambicco contenente un liquido blu. La donna si trovava in un prato e sullo sfondo si vedeva in lontananza un castello. Al di sopra dell’azzurro del cielo era intessuto un riquadro dorato dove campeggiava un nome color rosso sangue: Jasdala.  

Il mago vestito di viola si inginocchiò davanti al trono di destra toccando quasi il tappeto con la fronte. Gli altri maghi lo imitarono disponendosi velocemente in modo da creare due semicerchi dietro Moderav. Quello più vicino e più piccolo era formato dai maestri e l’altro più grande dagli allievi, divisi in gruppi in modo che ognuno stesse alle spalle del proprio maestro. Quando tutti si furono inginocchiati, il Maestro Moderav cominciò a intonare una cantilena subito ripetuta da tutti gli altri.

-Faestmin Goudes Hadàr.- In coro e in perfetta sintonia le voci di maghi e maghe pronunciarono più volte le tre parole. Poi a un gesto del vicario reale la nenia cessò.

-Faestmin Goudes Hadàr.- disse ancora Moderav sollevando appena lo sguardo sul trono -Vostra Maestà Reale, noi vi invochiamo supplici perchè c’è grande bisogno di voi e della vostra illuminata saggezza. Faestmin Goudes Hadàr Fredeskar!- e riabbassò immediatamente la testa.

Una leggera folata di vento attraversò la sala, facendo oscillare gli arazzi, e subito dopo sul trono comparve un uomo sulla quarantina, alto e robusto. Indossava un’armatura sobria con qualche ammaccatura e portava un lungo spadone al fianco. Sopra i capelli rossicci portava una corona d’oro senza gioielli, ma certamente opera di un abile orafo: sul davanti c’era inciso un leone che abbatteva un orso. Osservò severo la sala e posizionò i suoi occhi neri sul vecchio inginocchiato ai suoi piedi.

-Maestro Moderav, spero che tu abbia un’ottima spiegazione riguardo ciò che è accaduto. Il messaggio arrivato ieri non era esattamente quel che si dice esauriente.- esordì dopo qualche istante il re gelido.

-Vostra Maestà, Gran Re Fredeskar IV, imploro umilmente il vostro perdono e la comprensione se io e gli altri Maestri ci siamo permessi di disturbarvi durante un così delicato momento della guerra...- rispose Moderav tenendo sempre il volto a terra.

-Visto che è un momento così delicato, vedi di non farmi perdere tempo in inutili chiacchere!- Il mago tremò impercettibilmente al sentire tono di voce irritato del re.

-Come avrete letto, sire, abbiamo subito un grave furto...-

-Sì, ho letto che un ladro è riuscito a intrufolarsi nel mio castello l’altroieri. Quello che vorrei tanto sapere è come ci sia riuscito, dato che avevo lasciato a difesa della mia reggia una persona che mi sembrava così capace e degna della mia fiducia!-

-Maestà, ve lo spiegherò. In base alle indagini che sono state effettuate il ladro è arrivato al tramonto di due giorni fa. Si è avvicinato al castello travestito come uno di quegli straccioni che normalmente circolano intorno alle mura in cerca di cibo, così nessuno l’ha notato. Doveva essere bene infomato perchè ha scelto proprio il momento della giornata in cui le nostre sentinelle sono totalmente cieche, perchè dopo aver bevuto la Pozione della Vista Notturna per qualche momento non vedono più nulla. I loro occhi diventano capaci di vedere solo nel buio e gli ultimi chiarori del crepuscolo offuscano totalmente la loro vista. È un effetto collaterale, ma stiamo cercando un rimedio. Comunque, il ladro ha approfittato di quei pochi attimi per scalare le mura...-

-Come ha fatto ad arrampicarsi in così poco tempo?- domandò il re con rabbia.

-Altezza, non lo sappiamo per certo... Credo che abbia usato un congegno meccanico, un artefatto, una specie di rampino che trascina automaticamente in alto le persone. In ogni caso è salito, ha stordito due sentinelle ed è entrato nel castello dalla Torre Ovest. È sceso al quarto piano senza incontrare nessuno ed è entrato nella stanza dove sono custoditi i miei ultimi ritrovati. Ha arraffato delle pozioni, non sappiamo con certezza quali, perchè in seguito all’intervento del mio allievo Fiol è divampato un incendio.-

-Spero che quell’incapace abbia ricevuto la giusta punizione.-

-Sì, maestà, il ladro l’ha ucciso. Io non ero presente, ma mi è stato riferito che poi un gran numero di maghi e soldati avevano circondato il ladro, ma lui aveva rubato anche la Pozione del Volo di secondo tipo e perciò è riuscito a scappare sfondando la vetrata al centro del corridoio. Abbiamo cercato di inseguirlo, ma era troppo veloce. Prima ancora che avessimo organizzato delle squadre di inseguimento era già scomparso dal cielo. Il giorno dopo abbiamo continuato le indagini e abbiamo mandato un messo per avvisarvi, dato che non potevamo contattarvi mentalmente, poichè eravate impegnato in battaglia. E questo è tutto, altezza.-

Seguì qualche attimo di silenzio. Tutti rimasero immobili aspettando una risposta da parte del sovrano. Fredeskar IV si passò una mano nella barba rossa come pensieroso, poi domandò:- Per quale strano motivo l’altroieri notte non c’erano incantesimi a difesa delle porte delle torri, Moderav?-

-Eh... Ecco, sire...- balbettò il Maestro preoccupato.

-E perchè non c’era nessun sigillo magico nemmeno sulla porta della tua stanza delle pozioni?-

-Le assicuro che c’erano, Vostra Altezza.-

-Ah, c’erano! Vorresti farmi credere che allora siano tutti svaniti non appena è giunto il ladro??- sbraitò il re -Anche se per caso il ladro fosse stato un mago non avrebbe mai potuto rompere gli incantesimi di protezione, perchè solo i maghi di questo castello conoscono le parole esatte! E come faceva a sapere quando colpire? Come faceva a sapere con esattezza dove cercare le pozioni che doveva rubare? Questo ladro sapeva un po’ troppe cose, non ti pare Moderav?-

-Sire, io...-

-Non credo che tu mi abbia detto tutto. Guardami negli occhi!- Come comandato da una volontà non sua il vecchio mago dovette alzare il viso dal tappeto. Il suo sguardo impaurito incontrò quello furente e spietato del sovrano. -Mi hai detto tutto quello che sai?-

-Cosa intendete dire...?-

-Posso chiudere un occhio su molte cose, Moderav. Sul fatto che tu sia stato così negligente nell’adempiere al tuo compito. Sul fatto che tu non sia stato nemmeno presente e che altri abbiano dovuto buttarti a forza giù dal letto perchè stavano rubando le tue pozioni. Sul fatto che tu non sappia nemmeno cosa abbiano rubato. Sul fatto che tu non abbia la più pallida idea di chi sia il ladro nè di dove sia ora. Sul fatto che tu abbia aspettato così a lungo a informarmi come si deve.-

-Ma... eravate in battaglia, non potevo...-

-Osi interrompermi?!- Fredeskar balzò in piedi per la collera. -Posso tollerare anche le tue continue scuse. Le detesto, ma potrei perdonarti anche quelle. Ciò che veramente non posso sopportare è che mi si menta!-

-Io non vi mentirei mai!- giurò Moderav bianco come un cencio scuotendo la testa.

-Allora, dimmi: come faceva il ladro a sapere tutte quelle cose? Chi gliele ha dette?-

Moderav tremava in preda al panico ormai.

-No, non sono stato io, maestà! Ve lo giuro!-

-Allora chi è stato, parla!-

-Io...- Il mago esitò un attimo, come se dovesse soppesare due possibilità, entrambe comunque rischiose. Poi gridò:- È stato il mio allievo Dagerv! È fuggito quella notte stessa! Sì, è stato lui, ho già mandato un gruppo di soldati a catturarlo!-

-Incapace! Neanche i tuoi allievi sai tenere sotto controllo!-

-No, ho fatto tutto il possibile! Vi prego, abbiate pietà di me!- Fredeskar guardò con sommo disprezzo il vecchio in lacrime.

-Erifion Osfil!- gridò muovendo veloce la mano destra e puntando l’indice verso di lui. Moderav cominciò a gridare e si portò le mani alla testa, che ora gli sembrava trafitta da mille spilli. Il dolore era tale che non poteva minimamente pensare a un qualunque incantesimo per proteggersi. Perciò doveva subire completamente il maleficio. Si rotolava sul pavimento in preda a spasmi sempre più forti sotto gli sguardi attoniti e inespressivi di tutti gli altri maghi. Poi il re abbassò la mano.

-Non temere, non ti ucciderò, anche se la morte sarebbe una punizione perfino troppo lieve per la tua totale incapacità!- disse Fredeskar mentre Moderav ancora boccheggiava -C’è almeno uno fra voi Maestri che abbia visto di persona il ladro?- domandò poi rivolto al semicerchio dei maghi in tonaca viola.

Uno alzò la testa:- Io, Vostra Altezza.- Il re osservò chi aveva parlato: un uomo sui cinquant’anni, con capelli e corta barba di colore bruno mischiato al bianco.

-Maestro Fertor! Molto bene! Avanti, vieni, voglio sentire tutta la faccenda da te che eri presente.- ordinò il re sedendosi -Ah, attento a non inciampare in quella sottospecie di larva incapace che sbava sul mio tappeto!- Queste ultime parole scatenarono un boato di risate di tutti gli allievi nella sala. Erano in molti a odiare l’altezzoso Moderav e non pareva loro vero di aver assistito alla sua pubblica umiliazione. Fertor oltrepassò il suo superiore senza degnarlo di uno sguardo e si inginocchiò sempre col capo rivolto a terra. Il re alzò leggermente la mano destra e il salone piombò nuovamente nel silenzio.

-No, alza pure la testa, Maestro Fertor. Le persone meritevoli non devono chinare la fronte dinanzi a me.-

-Vi ringrazio, Vostra Maestà.- rispose Fertor alzandosi in piedi.  

-Avanti, sono ansioso di sentire una versione più precisa dell’accaduto.-

-In tal caso, mi rammarico di non poter esservi di grande aiuto. Sono arrivato nell’Ala Ovest del quarto piano, solo un attimo prima che il ladro spiaccasse il volo. Per quel che ho potuto vedere, era un uomo giovane, alto, muscoloso e dai lunghi capelli rossi. Certamente anche molto sicuro di sè e bene informato, perchè sapeva dov’era la Pozione del Volo del secondo tipo, una formula che avevamo ottenuto piuttosto di recente. Ma è chiaro che Dagerv, l’allievo del vicario Moderav, gli ha spiegato per bene ogni cosa.- Moderav emise un rantolo sommesso come di protesta, ma fu ignorato. -Il mio allievo Gannon, invece, si è subito accorto che il ladro stava fuggendo in volo, ma purtroppo era già troppo tardi, perchè era lontano dalla nostra portata.-

-In che direzione è fuggito?-

-Verso le Montagne Verdi, Vostra Maestà.-

-Ne sei sicuro, Maestro Fertor?-

-Più che certo, Vostra Altezza.- Il re si accarezzò di nuovo la barba.

-Quel che dici è molto grave: ciò significherebbe che il ladro sia in combutta con qualcuno del regno di Arfanas. E questa sarebbe una violazione della pace di Gortari, siglata venti anni fa col re Gardon II. Maestra Drechelda, cosa ne pensi?- domandò Fredeskar IV rivolgendosi a una maga dai capelli biondi del gruppo dei maestri. Lei subito sollevò da terra il bel viso un po’ pallido. Nonostante il monarca sapesse che si aggirava intorno alla sessantina d’anni, non si stupì nel vedere che la maestra non mostrava più di venti, al massimo venticinque anni. Mantenere la giovinezza era necessario e certamente molto utile per il lavoro di ambasciatrice e spia che svolgeva. Drechelda si avvicinò al trono e si mise di fianco a Fertor.

-Vostra Altezza, io non credo che re Gardon II faccia parte del genere di persone in grado di ingannare o di cercare di agire di nascosto per fare torto a qualcuno e favorire così i propri interessi. Sarebbe troppo complicato per una mente come la sua. Invece sono convinta che sia un uomo molto ingenuo e semplicissimo da ingannare e manovrare per i propri fini. Per questo è diventato re: era un fantoccio che tutti speravano di controllare, il più stupido di tutti i figli di Fobian III.-

-Sì, sono d’accordo. Perciò chi pensi che possa aver organizzato questo furto?-

-Qualcuno che vuole nuovamente la guerra, sire. Qualcuno di potente in Arfanas. Non la famiglia degli Hanzolmer e i loro alleati: la pace è solo un vantaggio per loro, specialmente dopo che due anni fa il re si è sposato in seconde nozze con la duchessa Tresera di Hanzolmer. Tramite lei, il fratello, il duca Cronrad, sta cercando di ottenere sempre maggiore ascendente sul re in modo da rafforzare i suoi possedimenti a danno dei rivali. La guerra potrebbe essere l’occasione di rovesciare la situazione interna al regno e perciò lui non ne ricaverebbe niente: se cercasse di nominarsi re, incontrerebbe un’opposizione troppo dura da parte della maggior parte della nobiltà e soprattutto dalla Confraternita della Conoscenza. Secondo me sono invece appunto i maghi della Confraternita a voler riprendere la guerra con noi.-

-Assurdo! Con tutti i nemici che hanno in Arfanas perchè dovrebbero cercarsene altri?- esclamò un altro dei maestri.

-Nessuno ha domandato la tua opinione, Maestro Torkai!- gridò il re fulminandolo con lo sguardo. -Prosegui pure, Maestra Drechelda.-

-Grazie, Altezza. È vero che hanno molti nemici, tra cui la potente famiglia degli Hanzolmer e l'Ordine di Lena, ma questo non significa nulla. Anzi, il loro Gran Maestro potrebbe avere in mente un piano per togliere di mezzo sia loro che noi. Non dobbiamo inoltre dimenticare che noi siamo già in guerra con i barbari del deserto e la Gilda di Bajad e quindi non possiamo difenderci molto bene in caso di un attacco anche da Ovest. Non sarebbe affatto strano se i nostri nemici giungessero ad un accordo per schiacciarci.-

-Dunque pensi che Ataloc e Khair-jan si alleerebbero?- domandò Fredeskar pronunciando i due nomi con grandissimo disprezzo.

-Pur di ottenere il nostro Libro i due Gran Maestri sarebbero capaci di ogni cosa.-

-Maestro Torkai, tu che sei stato ambasciatore alla corte del pashà dei barbari del deserto, cosa ne pensi?- chiese il re al mago che aveva parlato prima. Torkai, un vecchio dalla voce aspra, si alzò, ma rimase fermo al suo posto.

-Con tutto il rispetto, Vostra Altezza, io non sono affatto convinto di ciò che ha detto la Maestra Drechelda. Secondo me sarebbe sbagliato arrivare a conclusioni affrettate e crearci così altri nemici, meglio affrontare prima quelli che abbiamo, piuttosto che sospettare anche di altri con cui abbiamo siglato la pace.-

-La pace l’hanno siglata i re, non noi maghi!- ribattè seccata Drechelda voltandosi.

-Sono d’accordo.- concordò Fertor -Nessun accordo può dissuadere i maghi della Confraternita dal cercare di ottenere il Libro di Jasdala.-

-E allora perchè hanno aspettato venti anni a riprendere le ostilità?- domandò un’altra maestra alzandosi.

-Forse perchè volevano che ti facessi una domanda così inutile!- rispose ironico il suo vicino.

-Se anche fosse, perchè ci hanno messi in allerta con quel furto?- chiese polemico Torkai a Drechelda.

-Concordo con Torkai, questa storia non mi quadra proprio! Mi sembra che si esageri: dopotutto potrebbe semplicemente essere successo che lo stesso Dagerv abbia assoldato un ladro per rubare delle pozioni in modo da poterle poi rivendere e andare a vivere da ricco da qualche parte a Ovest, chissà magari in Ifadia. Era evidente a tutti come gli luccicavano gli occhi al solo tintinnio delle monete.- fece un altro ancora.

-Che Dagerv l’abbia fatto per i soldi non c’è dubbio: quindi potrebbero anche averlo corrotto i maghi della Confraternita affinchè dicesse loro come entrare nel castello e disattivasse le protezioni magiche.- ribattè Drechelda. Prima che qualcun altro potesse dire la sua Fredeskar IV sollevò la mano destra e intimò silenzio.

-La situazione è in ogni caso molto grave.- disse poi -La guerra contro quei luridi beduini e i loro illusionisti mi terrà impegnato ancora a lungo e non posso permettere che nel frattempo altri nemici attacchino il mio regno. È chiaro che ho sbagliato pensando di potermi fidare di te, Moderav.- Il vecchio nella tunica rossa sollevò piano il volto dal pavimento e si mise nuovamente in ginocchio, temendo una nuova punizione. -Ma ti voglio mostrare la mia misericordia. Nonostante i tuoi fallimenti ti affido un importante compito: devi reclutare un nuovo contingente di almeno quattrocento soldati e venti maghi e portarlo sul fronte entro tre giorni. Spero che questa volta non mi deluderai.-

-Grazie signore, grazie.-

-E per evitare che eventi come quelli dovuti alla tua incapacità si ripetano, d’ora in poi sarà una persona molto più affidabile a governare in mia assenza, la mia consorte Aizal.- Detto questo pose la mano sinistra con il palmo rivolto verso l’alto sul bracciolo del trono che aveva di fianco. Nella sua mano segnata dal mestiere della guerra comparve una mano candida e lentamente su tutto il trono apparve una donna giovane molto bella. Sui lunghi capelli bruni ricci portava un diadema con un rubino incastonato sopra la fronte. Indossava un vestito color oro riccamente decorato, che mostrava appena sotto il seno una rosa intessuta in porpora per il fiore e nero per il gambo e le spine.

-E mia figlia, Elizal.- aggiunse Fredeskar mentre affianco alla donna compariva una giovane di circa vent’anni dai capelli ramati e gli occhi verde acqua. Indossava un vestito simile a quello della regina. Era anche lei bella, anche se non reggeva il confronto con la madre. La loro espressione era però quasi identica: una specie di sorriso malizioso, ma occhi freddi e crudeli.

-Lascio a voi, mia cara sposa e mia giovane figlia, il comando sul castello e sul regno. E consiglio a voi tutti di non disubbidire e di non commettere sbagli: Aizal non è comprensiva come me.- Fredeskar e la moglie si scoccarono un sorriso d’intesa. Poi lui recitò una formula magica e scomparve. Aizal osservò i presenti nella sala e posò gli occhi bruni sul vecchio mago avvolto nella tunica color rosso fuoco inginocchiato a terra.

-Sono piuttosto stupita che tu non abbia convocato anche me, Maestro Moderav.- disse con voce dolce sorridendo -Ma non c’è nessun bisogno che si ripeta ciò che è stato detto: io e mia figlia eravamo qui fin dall’inizio. L’invisibilità non è un trucchetto poi così difficile. Dimmi: chi hai mandato sulle tracce del tuo allievo traditore?-

-Altri due miei allievi e un manipolo di quindici soldati.- mormorò Moderav.

-Bene, spero per te che lo riportino, vivo o morto. In caso contrario, la responsabilità sarà solo tua. Comunque voglio assicurarmi che tu non deluda nuovamente il mio sposo: puoi partire adesso per reclutare i soldati che servono sul fronte. Non preoccuparti per i tuoi allievi, saranno affidati ad altri maestri. Non voglio che tu abbia troppe preoccupazioni. E ora va’ pure.-

Moderav incassò senza ribattere: praticamente gli era stato appena tolto il titolo di maestro e gli era stato intimato di sparire dal castello il più in fretta possibile, ma sarebbe stata una follia mettersi contro la regina. Non tanto per via del marito, ma proprio per via di lei: era l’erede diretta di Jasdala e, come tutte le sue antenate, possedeva un potere magico eccezionale, infinitamente più grande di quello del re. Non per nulla era lei la Gran Maestra della Gilda del Sapere. Il vecchio mago si alzò, si inchinò nuovamente due volte di fronte alle due maghe e uscì dalla sala con una certa fretta, come se avesse paura di essere colpito nella schiena da una fattura o da un qualche oggetto contundente di ferro. Gli altri maestri lo guardarono senza dire una parola.

-Chi di voi è Gannon?- domandò la regina rivolta agli allievi. Un giovane dai capelli neri corti e gli occhi scuri si alzò deciso.

-Vieni pure avanti.- Gannon camminò oltre il semicerchio dei maestri fino ad arrivare di fianco al Maestro Fertor e si inginocchiò.

-I miei complimenti, giovane allievo. Sei stato senza dubbio il mago più sveglio in tutto il castello l’altroieri notte. Non me ne dimenticherò, ora che c’è un posto di maestro vacante.-

-Io... Vi ringrazio, Vostra Maestà.- disse il giovane in preda all’emozione. La regina spostò il suo sguardo sui maestri.

-Ora, io sono convinta che la Maestra Drechelda abbia ragione. Quello che vi ostinate a definire un semplice ladro per me non è altro che una spia della Confraternita. Voglio che vengano fatte indagini vere, non quel lavoro frettoloso e mal fatto di Moderav, per scoprire esattamente cosa ha rubato, oltre al secondo tipo della Pozione del Volo. Maestro Fertor, occupatene tu. Maestro Torkai, a che punto è quella pozione che dovrebbe togliere la sete per giorni che hai promesso al re tre mesi fa per la guerra che tu hai tanto voluto?-

-Ci stiamo lavorando, devo riuscire a trovare un composto nel quale non servano le Foglie-lacrima che non crescono nel deserto.-

-Vedi di sbrigarti, o mi vedrò costretta ad affidare ad altri l’incarico. Maestra Drechelda, voglio che tu invece ti metta in contatto con i tuoi informatori ad Arfanas. Se sarà necessario potrai recartici di persona. Dopotutto siamo ancora in pace. Anche se non credo che durerà molto... Maestri Rafes e Ferbrina, voi dovrete scegliere fra i vostri allievi venti sufficientemente forti e capaci e mandarli sul fronte. Gli altri invece continueranno con le loro normali occupazioni, ma vi raccomando di stare all’erta. Non dobbiamo permettere che la mano di Ataloc giunga nuovamente così vicina al Libro.-

 

 

Ringraziamenti:

 

@giodan: Beh, il mio tempo me lo sono preso, spero sia venuto bene anche questo.

 

@Cleo92: Grazie, ma non ti devi buttare giù: solo scrivendo si può migliorare.

 

@Suikotsu: Ma sì, non ti preoccupare, se la caverà...

 

@Carter_Farrel: Oh, ben tornato! Forse non ti ho stupito con questo cap, ma ho risposto ad alcuni enigmi (creandone degli altri...)

 

@Armelle: Grazie per i compliments! Ora si capisce di più? O di meno? In ogni caso, continuo bene?

 

 

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Capitolo 7
*** Il regno eterno ***


Capitolo 7 - Il regno eterno

Capitolo 7 - Il regno eterno

 

Arellon si lavò il viso prendendo con le mani a conca l’acqua fresca del ruscello. La notte prima aveva camminato tutto il tempo senza dormire neanche un attimo. Tuttavia non sentiva sonno e non era solo a causa del ricordo dell’esperienza indescrivibile di poche ore prima. La sua agitazione veniva dalla consapevolezza di ciò che stava per fare. Mesi prima, all’inizio del viaggio, non ci aveva pensato, o comunque non gli aveva dato molta importanza. Ma ora era lì, di fronte a quel ruscello, che gli elfi chiamavano Searalm, Fiume di Lacrime. Secondo la leggenda, sui suoi argini l’elfa Feria aveva pianto settimane per suo figlio, che non avrebbe mai più visto, finchè l’acqua del torrente non era diventata salata per la quantità di lacrime versate. L’acqua non era però affatto salata in quel momento, come ebbe modo di constatare il mezzelfo bevendola. Si alzò in piedi e guardò di fronte a sè, verso il bosco soleggiato. Sembrava perfettamente identico a quello alle sue spalle, ma c’era una differenza, assolutamente essenziale per lui. Dall’altra parte del ruscello si estendeva il Regno Eterno, l’Antica Patria di tutti gli elfi. A meno di un giorno di cammino si trovava Falesalai, la città costruita nel luogo in cui gli dei erano apparsi ai primi elfi all’inizio della loro era, migliaia di anni prima. Arellon era quasi giunto a destinazione: anche se doveva ancora svolgere il difficile compito di riferire il suo terribile messaggio al sovrano degli elfi, il suo viaggio era praticamente concluso. Ma non era questo pensiero ad agitare il giovane. Attraversando il piccolo corso d’acqua, lui, un mezzelfo, avrebbe messo piede nel regno degli elfi della città. Lui sarebbe stato il primo dopo più di cinquemila anni. Lui avrebbe percorso la via opposta ad Atascal. Lui sarebbe tornato. Strinse forte il bastone. “Sì” pensò “io, primo di tutta la mia stirpe, tornerò.”

Avanzò e in pochi passi si trovò dall’altra parte del corso d’acqua. Prima di proseguire, si voltò e bevve ancora dal ruscello. -Asciuga le tue lacrime, madre Feria. Finalmente la discendenza di tuo figlio ha fatto ritorno.- sussurrò Arellon. Poi si rimise in cammino, lasciandosi il Searalm alle spalle ed entrando nel bosco.

 

Il mezzelfo camminò spedito per alcune ore. Era una calda giornata estiva, ma l’ombra degli alberi la rendeva più sopportabile. Quel bosco non dava alcun senso di oppressione come la Grande Foresta Oscura, era veramente piacevole, il luogo ideale per una passeggiata. Gli alberi erano curati da una mano esperta, anche se il mezzelfo poteva sentire, non senza una certa tristezza, che nessuna driade era intervenuta nella loro cura da tempo.

A un certo punto Arellon si accorse che il bosco era forse un po’ troppo calmo. Si fermò ad ascoltare: non si udiva neanche il cinguettio di un uccello. In quel silenzio irreale Arellon sentì, o pensò di sentire, un lievissimo fruscio alle sue spalle. Si voltò appena in tempo per vedere una figura snella e alta piombargli addosso.

-Aesf!- gridò muovendo il bastone verso di essa e dalla cima del legno uscì una luce verde. Questa si propagò in modo da formare di fronte ad Arellon un cerchio in aria. L’assalitore ci cozzò sopra e ne fu respinto. Cadde a terra rotolando per alcuni metri. Una freccia fu scoccata da un albero alle spalle di Arellon, che si gettò a terra mentre la freccia si conficcava nel terreno e si girò. Su un ramo stava in piedi una creatura alta, con i capelli lunghi biondi e orecchie a punta: un elfo. Portava abiti leggeri verdi e marroni e una faretra piena di frecce sulle spalle, ma nessuna armatura. Stringeva un arco e con la mano destra aveva già incoccato un’altra freccia mentre guardava lo straniero con un’espressione truce.

-Io vengo in pace, non voglio combattere!- gridò Arellon in elfico. L’elfo lo fissò a lungo negli occhi.

-Se è così, getta il bastone e tieni le mani bene in vista.- rispose infine.

-D’accordo, ma tu abbassa l’arco.- Lentamente l’elfo allentò la corda tesa, mentre Arellon si abbassava per appoggiare a terra il bastone. All’improvviso due braccia lo afferrarono al collo tirandogli indietro il cappuccio. Era l’elfo che prima aveva gettato a terra! Divincolandosi nel tentativo di liberarsi dalla ferrea presa del suo avversario, colpì col bastone il fianco dell’elfo e gridò:-Axos!-  

Una forte luce bianca si generò dal bastone e colpì l’elfo, che subito lasciò andare il collo di Arellon e si accasciò a terra tremando e scosso da fremiti con tutti i capelli ritti.

-No! Fratello!- gridò l’elfo sull’albero e scoccò un’altra freccia. Il mezzelfo si slanciò di lato per evitarla. La seconda centrò in pieno il bastone che il mezzelfo aveva usato come scudo e ne fu subito respinta. Poi Arellon lo puntò veloce verso l’albero.

-Tarpsas!- urlò. Un getto ocra partì dalla punta e volò verso l’elfo. Durante il suo volo si allungò in orizzontale e si appiattì. Alle due estremità si formarono due sfere di luce più scura e cominciò a roteare. Il getto di luce colpì l’elfo sulle gambe, appena sotto le ginocchia. Ma non si dissolse, anzi si fece duro come una corda. Si legò saldamente, facendo compiere vari giri alle sfere intorno alle gambe dell’elfo che, così legato, barcollò sul ramo stringendo ancora l’arco in mano per poi rovinare a terra fra i cespugli.

Arellon si rialzò. Si passò una mano sulla fronte madida di sudore scostando indietro i capelli ricci. Quelle tre magie compiute in fretta lo avevano stancato, soprattutto perchè non aveva riposato la notte.

“Decisamente non me l’ero immaginato così il mio arrivo... Almeno, non mi aspettavo che mi attaccassero senza neanche farmi parlare... Forse la driade aveva ragione, dopotutto. Ma ormai sono arrivato fin qua e non posso più tirarmi indietro!” pensò osservando il punto del bastone dove era arrivata la freccia. Non c’era neanche un segno, eccetto le venature che il legno possedeva normalmente.

“Meglio muoversi, questi due non possono essere soli e...”

All’improvviso altri tre elfi comparvero da dietro gli alberi. Due di loro erano vestiti come quelli che aveva già affrontato, mentre il terzo portava anche una giacca più scura. All’altezza del cuore vi era ricamato un albero circondato da un cerchio dorato.

Tutti e tre impugnavano scimitarre affilate e lucenti sotto i raggi del Sole.

-Prendete l’intruso!- gridò l’elfo con la giacca agitando la lama.

Gli altri due corsero verso Arellon alzando le spade. Lui impugnò il bastone con entrambe le mani e lo sollevò in fretta in modo da difendersi dai due fendenti. Le lame infatti colpirono il legno, ma non lo tagliarono. Come se fosse stato di ferro, il bastone non fu minimamente intaccato dal colpo. I due elfi premevano con le spade ed Arellon sembrava che stesse per cedere. All’improvviso si abbassò di scatto, prendendo gli avversari di sorpresa, e colpì quello alla sua destra con l’estremità in fondo del bastone in pieno stomaco. Con un gemito si accasciò a terra, mentre l’altro balzò addosso ad Arellon gridando:- Maledetto bastardo!- Tentò un affondo, ma fu vanificato dalla prontezza di riflessi del mezzelfo, che mosse veloce il bastone e fermò la spada a pochi centimetri dalla sua faccia. Tuttavia era in una posizione svantaggiata rispetto all’elfo. Così, con le ginocchia piegate mentre il suo avversario era in piedi, aveva poche possibilità di resistere. In più vide che quella che aveva colpito prima si stava rialzando. Sebbene le sue energie si fossero quasi esaurite, decise di tentare con un’altra magia.

“Non ho scelta, ma prima devo liberarmi da questa situazione. Però per riuscirci dovrò fare una cosa che sarebbe molto piaciuta a Corlaros.”

Il suo viso e quello dell’elfo erano vicinissimi, tanto che i due si potevano specchiare l’uno nell’occhio dell’altro. Arellon sputò nell’occhio destro del suo nemico.

Istintivamente quello si ritrasse portandosi una mano all’occhio e imprecando contro l’intruso. Il mezzelfo ne approfittò per gettarsi a terra e rotolare di lato. Poi si sollevò, si mise accovacciato e puntò il bastone contro i due elfi stringendolo con entrambe le mani. -Sallon Aesf!- urlò con tutta la sua voce.

Dalla punta del bastone uscì di nuovo una luce verde che si propagò fino a formare un cerchio di fronte al mago. Stavolta però il cerchio si mosse verso i due nemici e li investì in pieno scaraventandoli a terra alcuni metri più in là.

Arellon respirava affannosamente. La magia lo aveva sfiancato. Sentiva i muscoli delle braccia che stringevano il bastone come svuotati da ogni energia.

Un freddo metallo gli toccò il collo. -Bene bene! I miei complimenti, messer mago, eccellente spettacolo! Peccato che ti sia distratto sul finale.- disse il terzo elfo prendendo Arellon per i capelli e premendogli la spada sul collo. -Sei stanco? Non ti preoccupare, ora ti potrai riposare per bene!- detto questo gli lasciò i capelli, allontanò la spada e lo colpì con il fianco della mano sinistra sulla nuca. Arellon alzò la testa per il contraccolpo e con un gemito cadde a terra svenuto.

-Per gli dei! Non so chi tu sia, ma è da molto tempo che non vedevo simili magie fatte da stranieri!- esclamò l’elfo con la giacca rivolto al corpo disteso. Rimise la spada nel fodero legato alla cintura e si avvicinò ai due elfi distesi tra le foglie. Giacevano con gli occhi chiusi e non avevano nessun segno del colpo preso.

“Neanche un graffio o una scottatura dove li ha colpiti la magia. Strano, molto strano! Gli uomini normalmente non riescono a compiere stregonerie pure così perfette da non lasciare traccia...” pensò l’elfo osservando i due compagni.

-Capitano Tilvell! Cosa è successo qui?- Il capitano si voltò e vide quattro elfi. Quello che aveva parlato stava davanti a tutti e aveva una lunga veste rossa con cappuccio. Sul petto aveva ricamato in stoffa argentea lo stesso simbolo che c’era sulla giacca del capitano: l’albero all’interno di un cerchio. I suoi capelli erano tagliati più corti e stringeva in mano un bastone.

-Ho sentito dei rumori e mi sono affrettato a venire con dei rinforzi. Temevo ci fosse un problema riguardante la presenza di un intruso che avevo percepito stamattina.- disse ancora.

-In effetti c’era un problema, ma ormai è stato risolto, stregone Maros.-

-Vedo, vedo... Certo che è stato difficile da risolvere, vero?- domandò Maros sarcastico -Cos’è successo a quei due soldati?- aggiunse guardando i due elfi a terra.

-Li ha colpiti l’intruso con delle magie. Più in là ci dovrebbero essere altre due sentinelle che avevo mandato in avanscoperta stordite allo stesso modo.- rispose il capitano Tilvell piatto indicando dietro di sè.

Lo stregone fece un cenno ai tre elfi e quelli corsero nella direzione indicata.

Maros si avvicinò al capitano. -È lui l’intruso?- domandò muovendo il bastone verso Arellon disteso a terra supino.

L’elfo annuì.

-Molto bene! Si direbbe solo un mago umano. Mi aspettavo qualcosa di peggio dopo la sensazione di un così grande potere che ho avuto stamattina. Lo esaminerò con calma, ma prima meglio prendere delle precauzioni.- disse lo stregone e puntò il bastone verso Arellon. -Zallen Fath!- Mentre pronunciava le parole magiche mosse la punta del bastone in cerchio cinque volte. Si formarono cinque anelli di luce dorata. Lo stregone li spinse verso il basso toccandoli ad uno ad uno con i bastone. Questi cerchi luminosi si diressero verso Arellon dividendosi: uno andò verso il collo, due  verso i polsi e due verso le ginocchia. Ciascuno si aprì in un punto e si strinse intorno alla parte del corpo che aveva di fronte richiudendosi subito.  Poi tutti si fissarono al terreno con la parte inferiore. Maros guardò soddisfatto il suo incantesimo: il collo, i polsi e le ginocchia di Arellon erano stretti dai sottili cerchi di luce gialla saldamente agganciati al suolo.

-Gli Anelli di Potenza lo terranno fermo per un bel po’, quando si sveglierà. Ora andiamo a vedere cos’è successo alle guardie.-

Lo stregone e il capitano andarono verso il punto dove giacevano a terra i due elfi. Piegato sopra di loro c’era uno dei tre soldati venuto con lo stregone. Tenendo in mano una borraccia contenente un filtro di guarigione lo versava sulle loro labbra.

-Neral, dove sono Soglen e Darfal?- chiese Maros.

-Sono andati a cercare le altre due sentinelle stordite dall’intruso, stregone Maros.- rispose Neral rialzandosi.

-Bene, intanto vediamo le condizioni di questi due.- Lo stregone si chinò sui due soldati, li osservò attentamente per un po’ e poi borbottò:- Com’è possibile?-

-Sì, l’ho notato anch’io: non hanno nessun segno della stregoneria che li ha storditi.- disse Tilvell come per esplicitare i dubbi di Maros.

-Ma tutto ciò è ridicolo, capitano! Nessun uomo è in grado di compiere magie non elementali senza lasciare una traccia, una ferita sul bersaglio!- sbraitò lo stregone sollevandosi.

-Già, ed è anche vero che nessun uomo generalmente usa bastoni o oggetti magici di sorta per questo genere di fatture.- rispose Tilvell.

-Cosa, un bastone?-

Lo stregone corse vicino al corpo di Arellon e lo vide. Prima non ci aveva fatto caso, aveva pensato che fosse un ramo di un albero o qualcosa del genere. Ma ora lo osservava stupito: semicoperto dalle foglie secche degli alberi c’era un bastone lungo di legno scuro. In cima si divideva in due rami che si attorcigliavano e si riunivano. Lo raccolse da terra con la mano sinistra. Sentì un grande potere sprigionarsi dal legno e investirlo. La mano e tutto il braccio gli cominciarono a scottare. Una scossa tremenda lo attraversò tutto e gli arrivò dritta alla testa. Maros urlò di dolore e gettò il bastone a terra.

-Stregone Maros, che cosa vi è successo?- domandò Neral preoccupato avvicinandoglisi seguito da Tilvell.

-No... Non posso crederci... Il bastone mi ha respinto. Mi ha colpito con una scarica di energia! Ma è impossibile!- gridò Maros guardando la mano che ancora gli doleva.

-Forse dipende dal fatto che il mago sia solo privo di sensi e non morto.- azzardò il capitano. Lo stregone gli lanciò un’occhiata furibonda.

-È ovvio che, siccome è ancora vivo, il suo bastone tenti di respingere gli estranei che lo impugnano! Ma io non sono uno sprovveduto, anzi sono uno stregone abbastanza potente! Un semplice bastone magico non dovrebbe oppormi così tanta resistenza! Normalmente dopo qualche attimo si dovrebbe arrendere al potere del mago più forte. Perchè non è così?- domandò Maros più a se stesso che agli altri. In quel momento arrivò un altro dei tre elfi venuti con lo stregone.

-Stregone Maros, capitano Tilvell, abbiamo portato qui anche gli altri due e stanno cominciando a svegliarsi.-

-D’accordo, Soglen. Andiamo.- rispose Tilvell.

Poco dopo furono tutti davanti ai quattro soldati che stavano rinvenendo.

Il primo ad aprire gli occhi fu l’arciere. Dopo che si fu messo a sedere sorretto da Soglen e Darfal ed ebbe bevuto dalla borraccia, il capitano si rivolse a lui.

-Arciere Omnil, che cosa è successo qui? Fai rapporto!-

-Capitano, grazie agli dei siete arrivato! Un dannato intruso ha messo fuori combattimento mio fratello e me con delle magie prima che riuscissimo a fermarlo. Mi ha fatto cadere dall’albero! Che male alla testa!-

-Ma ha detto qualcosa? Ti ha parlato o almeno hai sentito cos’ha detto nel lanciare le fatture?- chiese Maros.

-Sì, mi ha detto che veniva in pace e poi ha colpito mio fratello e...- In quel momento si accorse degli altri elfi distesi a terra. -Fratello! Asmil!- gridò gettandosi su di lui e scuotendolo. -Che gli ha fatto quel maledetto?-

-Questo puoi dircelo solo tu di preciso, ma io credo che l’abbia colpito con una specie di fulmine.- rispose lo stregone osservando i capelli ritti e ancora un po’ fumanti di Asmil.

-Sì, quel dannato mago ha gridato Axos, prima di colpirlo. Invece contro di me ha lanciato una corda eterea con due sfere alle estremità che mi ha stretto le gambe e mi ha fatto perdere l’equilibrio.-

-L’incantesimo di fulmine semplice e delle bolas eteree... L’intruso conosce molte magie...- osservò Maros pensoso. Poi si chinò su Asmil e lo toccò alla testa col bastone pronunciando un breve incantesimo di guarigione. Una luce calda irrorò la fronte dell’elfo e i suoi capelli biondi si afflosciarono smettendo di fumare.

-In che lingua ti ha detto che veniva in pace?- chiese ancora rivolto all’arciere.

-Beh, in elfico. Parlava bene, ma aveva uno strano accento: non sembrava quello degli uomini, anche se gli somigliava molto. Tuttavia aveva qualcosa di diverso, ma non saprei dire cosa...-

Lo stregone guardò il capitano che ricambiò senza una parola. Che razza di accento era? Poteva certo trattarsi di un mago umano che aveva imparato l’elfico, ma allora come si spiegava il fatto che avesse un bastone per lanciare gli incantesimi? Un bastone che, oltretutto, lo aveva respinto. Maros era sempre più stupito e confuso.

Poi Omnil raccontò di quando aveva cercato di colpire Arellon con le frecce.

-Cosa? La freccia è stata respinta dal bastone? È impossibile!- sbottò lo stregone -Hai visto male tu oppure l’intruso ha creato un’illusione.-

-Non credo che sia così, mastro stregone.- disse Tilvell -Omnil potrebbe scorgere una formica da più di tre chilometri di distanza. Inoltre anche i miei soldati hanno colpito il bastone con le loro spade e non lo hanno neanche scalfito.-

-Capitano, loro due da cosa sono stati colpiti?-

-Credo da un incantesimo di scudo lanciato contro di loro.-

-Uno scudo-attacco. In tal caso, rinverranno tra poco come Asmil. Darfal, Soglen, Omnil, voi rimanete qui e fate bere loro la pozione di guarigione nelle borracce. Neral e Tilvell invece verranno con me a ispezionare l’intruso. Voglio vederci chiaro in questa storia.- dichiarò Maros.

Si diressero veloci verso Arellon. Giaceva ancora a terra con gli occhi chiusi.

-Perquisitelo, controllate se ha qualche arma addosso o qualcosa di sospetto.- disse lo stregone. Poi si chinò sul bastone di Arellon e lo osservò senza toccarlo. Sembrava legno normale. Un banalissimo legno modellato per servire da bastone. Ma, a parte la stranezza della forma, com’era possibile che fosse così resistente?

Maros guardò il bastone che stringeva nella mano destra. Il suo bastone gli serviva per incanalare le magie ottenendo l’aiuto della Natura e della Terra. In esso era presente una certa quantità del suo potere magico ed avrebbe opposto una buona resistenza al controllo di un altro mago o all’attacco di un’arma non magica. Ma non avrebbe mai resistito a due lame elfiche senza riportare nessun segno. Nemmeno avrebbe respinto un mago più forte qualora se ne fosse impossessato. Che lo straniero fosse più forte di lui? No, era un umano dopotutto. E anche giovane. Mentre Maros si lambiccava il cervello cercando di risolvere il dilemma, Neral gli si avvicinò.

-Stregone Maros, abbiamo controllato, ma l’intruso non ha nessun’arma con sè, ha solo alcune monete di uno dei regni umani, mi pare Arfanas.- disse.

-Però qualcosa di sospetto ce l’ha: gli abiti sono sporchi ma non poveri e le sue orecchie- aggiunse Tilvell -sono a punta!- Maros guardò i due elfi incredulo e poi osservò lui stesso. Si chinò, scostò i folti capelli ricci di Arellon da entrambe le parti e vide che sotto c’erano orecchie che si allungavano in alto in modo da formare delle punte, anche se non proprio come quelle degli elfi, cioè un po’ meno appuntite.

-È proprio strano anche il fatto che porti i guanti in questa stagione! È un’estate piuttosto calda.- borbottò Neral indicando le mani di Arellon.

-Cosa? I guanti?- chiese Maros gridando.

-Già, è vero, chissà perchè li indossa...- disse il capitano Tilvell.

-Razza di ignoranti! Asini! Possibile che non riusciate a capire?- sbottò Maros afferrando la mano sinistra di Arellon e togliendo il guanto -Sapete cosa significa questo? Lo sapete?- I due elfi guardarono la mano. Il palmo era interamente occupato da una specie di tatuaggio che però sembrava inciso col fuoco. Raffigurava un corvo nero dalle ali spalancate circondato dalle spire di un serpente verde e rosso scarlatto in modo tale che il cerchio si chiudeva sotto il pollice, dove la testa e la coda del rettile si incontravano. Negli occhi bianchi del corvo era possibile leggere due sillabe:‘Ca’ nell’occhio sinistro e ‘dàn’ nell’occhio destro.

-Questa,- disse Maros afferrando la mano per l’indice, il medio e l’anulare -questa è la risposta a tutte le nostre domande! Questo è il simbolo della Maledizione di Naefarval! L’intruso è un mezzelfo!-

 

 

Ringraziamenti:

 

@Suikotsu: Beh, non tutti i nomi sono così importanti, non ti preoccupare.

 

@evening_star: Ancora grazie mille! Adesso si è svelato qualcosa in più?

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Capitolo 8
*** Pessima accoglienza ***


Capitolo 8 – Pessima accoglienza

Capitolo 8 – Pessima accoglienza

 

Arellon sentiva un forte dolore alla nuca. Mugolando provò a toccarsela con una mano, ma non riuscì a muovere il braccio. Tentò anche con l’altro, ma era inutile: c’era qualcosa che lo stringeva ai polsi. Aprì piano gli occhi. Vedeva un elfo di spalle che indossava una veste rossa con cappuccio. Sembrava discutere animatamente con un altro, che però Arellon non riusciva a vedere. Cercò di sollevare la testa, ma anche intorno al collo c’era qualcosa che lo immobilizzava. Era freddo e sembrava duro come acciaio, eppure dava una strana sensazione sulla pelle, come se fosse vivo. Il mezzelfo alzò piano la testa e lo osservò: un semicerchio dorato percorso continuamente da nuovi bagliori. Un Anello di Potenza. “Maledizione, non posso usare nessuna magia per liberarmene. Specialmente senza bastone...”

-Ah, ti sei svegliato, eh?- A parlare era stato l’elfo con la veste rossa. Teneva in mano un bastone di faggio. “Ecco chi mi ha messo gli anelli...” pensò Arellon.

-Ti consiglio di non provare a usare qualcuno dei tuoi giochetti magici. Gli anelli non te lo perdoneranno.- continuò lo stregone Maros.

-E ci servi sveglio, ci sono molte cose che devi spiegare, zacrul.- disse il capitano Tilvell avvicinandosi e coprendo con la sua ombra il viso del mezzelfo. Arellon vide che non erano solo lui e l’elfo dalla veste rossa a sovrastarlo. C’erano altri sette elfi intorno a lui, tutti con espressioni impassibili sui visi eternamente giovani, ma con le armi strette in pugno.

-Perché hai attaccato le mie guardie?- domandò veloce il capitano.

-Sono stati loro a cercare di ammazzare me per primi.- rispose Arellon calmo.

-Certo, è il nostro dovere catturare o rendere inoffensivi gli intrusi come te. Cosa sei venuto a fare nella nostra terra?-

-Io sono venuto a portare un messaggio importantissimo al vostro re.-

-Davvero? Mi spiace deluderti, ma non permettiamo a tutti di parlare al nostro re, intruso mezzelfo.- rispose beffardo Tilvell. Arellon d’istinto voltò gli occhi verso la mano sinistra e contemporaneamente mosse le dita: si accorse che il guanto non c’era più. Ora si giocava a carte scoperte.

-Sì, io sono un mezzelfo.- proclamò deciso -Io vengo a infrangere il giuramento di Atascal. Devo assolutamente parlare col vostro re: ho una notizia importantissima da riferire.-

-E noi dovremmo fidarci? Quale sarebbe questa notizia?-

-Non posso dirvelo, è per il re solo.-

-E perché?-

-Non mi credereste.-

-Certo che non ti crederemmo! Saranno di certo tutte menzogne!- esclamò Tilvell.

-No, non è vero. Una terribile minaccia incombe su tutti noi.-

Il capitano rise forte. -Ah, bene! Così, oltre ad essere intruso, mago e mezzelfo saresti pure un profeta!-

-Dovete farmi parlare col vostro re! È importantissimo!- Tilvell lo colpì con un calcio nelle costole.

-Basta! Mi hai stancato con questa lagna! Ti interrogheremo di nuovo in prigione! Forse là sarai più sincero.-

Maros allora mosse il bastone verso l’alto e fece salire gli Anelli di Potenza da terra, sollevando anche Arellon fino a portarlo in piedi. Poi chiese:- Che incantesimo hai gettato sul tuo bastone? Perché non posso tenerlo in mano?-

-Non può essere toccato da nessuno che non sia il legittimo proprietario.-

-Come si annulla questo potere?-

Arellon non rispose.

-Non vuoi dirmelo?- continuò Maros arrabbiato -Vuoi che lo scopra da solo?- aggiunse allungando una mano sulla fronte del mezzelfo. Minacciava di leggergli nella mente e di scoprire tutti i suoi segreti, ma Arellon non poteva permetterlo.

-No.- rispose il mezzelfo -Posso farlo solo io, ma non posso compiere alcuna magia in questo momento.-

-Ci hai preso per scemi? Non appena ti togliessimo gli anelli ne approfitteresti per scappare!- gridò Tilvell, ma Maros lo zittì con un gesto e fece sparire l’anello intorno al polso destro sfiorandolo con il bastone. -Una mano basterà.-

Arellon sospirò. No, non era sufficiente a liberarsi. Tanto valeva obbedire per il momento. Pronunciò una breve cantilena al cui suono le fronde degli alberi frusciarono come mosse dal vento. Maros lo guardò un po’ stupito e preoccupato. Era la lingua antica. Lui stesso conosceva solo una piccola parte di essa, ma solo formule fisse per compiere determinate magie. Invece sembrava che quel mezzelfo la padroneggiasse ottimamente, come se fosse la sua propria.

-Ora puoi toccarlo.- Per tutta risposta Maros fece ricomparire l’anello impedendo nuovamente ad Arellon di muovere il braccio. Poi si avvicinò circospetto al bastone del mezzelfo, si chinò e lo impugnò. Questa volta non successe nulla. Con un mezzo sorriso lo stregone lo lanciò ad una delle guardie, che lo afferrò al volo.

-Bene. Andiamo a Lar-Tolas adesso.- ordinò il capitano. Maros sfiorò con il bastone gli Anelli di Potenza intorno ai piedi di Arellon e quelli scomparvero, riassorbiti dal legno. Contemporaneamente quelli ai polsi si spostarono dietro la schiena trascinando le mani e le braccia. Poi si formò una catena di energia che li unì a quello sul collo.

-Così potrai camminare, ma senza tentare trucchetti.-

-E ora muoviti, zacrul!- gridò Tilvell spingendolo in avanti.

-Dovete ascoltarmi! Io porto un messaggio importantissimo per la sopravvivenza stessa del mondo! Devo riferirlo al vostro re!-

-Vuoi tacere?- urlò Tilvell colpendolo nuovamente e facendolo cadere a terra. Arellon colpì col mento il suolo erboso. Ma non poteva permetterlo: se l’avessero portato in prigione avrebbe perso troppo tempo a cercare di fuggire. Troppo tempo, durante il quale sarebbe potuto succedere l’irreparabile.

-In piedi! Non sai rialzarti da solo?- lo sbeffeggiò Omnil afferrandolo per i capelli. Gli elfi risero, ma nemmeno un gemito uscì dalla bocca del mezzelfo.

-Adesso basta!- ordinò Maros severo.

-E perché mai dovrei smettere? Non avete visto cos’ha fatto a mio fratello?-

-Tuo fratello ora sta bene e io non ho tempo da perdere: dobbiamo sbrigarci a raggiungere Lar-Tolas. Là potrò interrogare l’intruso e capire il vero motivo della sua presenza.- spiegò Maros muovendo il bastone in modo da sollevare magicamente il mezzelfo.

-Ve l’ho già detto perché sono qui!- esclamò Arellon -Ho un messaggio per il vostro re! Se siete stupiti che uno della mia stirpe abbia osato fare ritorno, perché non mi credete quando vi dico che ne va della salvezza dei nostri due popoli e di molti altri?-

-Vstevne.- disse Maros fissandolo negli occhi. Silenzio. Il mezzelfo continuò ad aprire la bocca e a muovere la lingua, ma non riuscì ad emettere alcun suono.

-Ti ascolterò molto volentieri a Lar-Tolas, non qui. Ora muoviamoci.-

Il gruppo si mise in cammino, lo stregone e il capitano in prima fila, il mezzelfo dietro e infine le sentinelle disposte in modo da formare una mezzaluna e impedire al prigioniero ogni via di fuga. Arellon si sentiva al colmo della frustrazione. Dopo due mesi di viaggio e tutti i pericoli e i nemici ai quali era sfuggito, era finalmente giunto alla sua meta. E non solo non era stato accolto nel migliore dei modi, ma, quel che era peggio, non volevano ascoltarlo. Se non riusciva nemmeno a convincere quegli elfi che speranze aveva con il re e la sua corte? Sentiva che per lo stregone la sua presenza era qualcosa di stranissimo, ma come dargli torto?

“Avevano ragione Corlaros e mio zio: trecento anni sono un tempo sufficientemente lungo perché gli uomini dimentichino, e troppo breve perché gli elfi cambino idea.”

Arellon vedeva lo sguardo carico d’odio dell’elfo arciere e del fratello. “Già... Troppo breve...”

Voltandosi ogni tanto velocemente scorgeva le altre sentinelle intente invece a parlottare tra loro. Gli lanciavano occhiate con un misto di curiosità, divertimento e timore. Sembrava che non credessero ai loro occhi. In effetti erano giovani, anche per la normale età degli elfi. Forse non avevano mai visto un mezzelfo o addirittura non erano mai andati fuori dai confini della loro terra. Magari lo avrebbero anche ascoltato... ma gli avrebbero mai creduto?

Camminarono silenziosamente per alcune ore. Il sole si spostò nel cielo mandando sulla terra i suoi raggi più caldi. Ma nel bosco rimaneva un clima fresco.

Arellon procedeva calmo e impassibile, all’apparenza. Terribili pensieri lo tormentavano. Soprattutto da quando la mano sinistra aveva ripreso a dolergli. Sentiva un grande calore: un fuoco inestinguibile ardeva nel palmo della mano diramandosi in tutte le dita. Gli divorava la carne e gli penetrava nelle ossa. Il simbolo inciso nel palmo era attraversato da lingue di fuoco che lo illuminavano e lo facevano rilucere, ma soprattutto bruciavano la pelle. Tuttavia la mano destra non provava alcuna sensazione di dolore al contatto con la sinistra, nemmeno un lieve calore. Il fuoco magico era tutto interno: dolorosissimo, ma quasi invisibile a meno che si osservasse il simbolo al centro del palmo, completamente infiammato e molto luminoso.

Il mezzelfo non soffriva tanto per il dolore infertogli dal fuoco, quanto piuttosto per quello che significava: stava venendo versato il sangue del suo popolo. E lui non poteva fare niente per impedirlo. Non stava assolutamente portando a termine il suo compito. Andò con il pensiero alla sua famiglia, ai suoi amici, alla sua gente. Sebbene non credesse a certe cose, si ritrovò a recitare una preghiera mentalmente. Pregò la dea dei mezzelfi e i suoi progenitori, Atascal e Lalia. Li pregò che proteggessero tutti coloro che aveva lasciato. Pregò che le lame degli orchi si infrangessero sugli scudi dei mezzelfi.

Il capitano Tilvell si voltò a squadrare il mezzelfo. Fu quasi irritato dalla sua espressione. Si rivolse allo stregone.

-Come ci comporteremo con l’intruso?- domandò sottovoce.

-Seguiremo la prassi, per ora. Poi decideremo.- rispose Maros pensoso. Già, la procedura normale: imprigionamento e interrogatorio. Ma quello non era un caso normale: un mezzelfo che entrava nelle loro terre e per di più affermando di portare un importante messaggio per il loro re. Era qualcosa di impensabile: dai tempi della cacciata di Atascal nessuno della sua stirpe era mai tornato. -Manderemo anche un messaggio al re, magari.- aggiunse.

-Ah, sì? E cosa gli diremo? Che abbiamo trovato uno zacrul pazzo che afferma di avere un messaggio per lui?-

-Non vedo perché nascondergli la presenza del mezzelfo.-

-Maros, qui è in gioco la nostra credibilità, il nostro incarico.-

-Non mi pare che lo assolveremo bene tacendo questa informazione al re.-

-Ma che t’importa di quello zacrul? Che ha di particolare?-

-Forse non hai capito bene, capitano: è un mezzelfo, non un intruso qualsiasi. Sono passati millenni dal giorno in cui furono esiliati da queste terre. Non credi sia strano che uno abbia fatto ritorno?-

-Che sia strano, sono d’accordo. Ma che vorresti fare? Portarlo al cospetto del re?-

Maros stava per ribattere quando si udì il rumore di zoccoli che colpivano il terreno. Dei cavalli si stavano avvicinando. Con un gesto il capitano ordinò ai soldati di fermarsi. Arellon si domandò chi stesse arrivando, come tutti gli elfi. Poi nella radura in cui si trovavano comparve un cavallo bianco cavalcato da un biondo cavaliere. Una piccola corona d’oro decorata con motivi floreali cingeva il suo capo, sopra gli occhi azzurri allegri e il viso sorridente. La giacca, la camicia e i pantaloni che indossava erano verde bottiglia e semplici, privi di inutili fronzoli. Sulla spalla sinistra portava una faretra piena di frecce dall’impennaggio bianco, l’arco lungo era stretto nella sua mano sinistra mentre la destra teneva le redini. Al fianco era legata una spada leggermente ricurva dall’elsa riccamente decorata con gemme.

Qualche attimo dopo il primo giunsero altri elfi a cavallo. Le guardie si inginocchiarono di fronte al primo venuto e Maros costrinse anche Arellon a farlo muovendo magicamente gli anelli. L’elfo a cavallo fece loro un gesto e gli elfi si rialzarono.

-I vostri umili servitori vi porgono il loro saluto, Vostra Maestà principe Daolis. Per quale motivo vi trovate da queste parti?- domandò Tilvell.

-Sto facendo una battuta di caccia con alcuni amici. Tutto regolare nel giro di pattuglia, capitano?-

-Non proprio, altezza.- rispose lo stregone indicando il prigioniero.

-Che cos’è?- chiese Daolis.

-Un intruso, altezza.-

-Questo è facilmente intuibile!- sbottò acido un elfo del seguito. -Il principe vi ha chiesto cos’è! È un uomo?-

-Avevo bene inteso le parole del principe, ma avevo timore a rispondere direttamente, Lord Isfacil.- ribattè il capitano con asprezza. Isfacil avanzò col cavallo mettendosi di fianco al principe Daolis. Era un elfo più anziano, anche se ugualmente giovane nell’aspetto. Capelli biondo molto chiaro contornavano il suo viso privo di rughe, sul quale era stampata una smorfia sprezzante e arrogante. A differenza del principe, il suo abbigliamento era fin troppo elegante per andare a cavallo in mezzo alla foresta: la giacca era ricca di rifiniture dorate, in fondo ad entrambe le maniche si trovavano due gemelli d’oro massiccio e portava un anello con un rubino all’anulare della mano destra.

-Ah, sì? Perché, cosa dovresti dire di tanto sconvolgente? Cos’è l’intruso?- domandò fingendo di essere stupito.

-Un mezzelfo.- Immediatamente si levò un brusio tra gli elfi della scorta, mentre il principe sgranò gli occhi per lo stupore.

-Cosa... Cosa vai blaterando, capitano? Ti prendi gioco di Sua Maestà il principe? È impossibile!- gridò Isfacil sbiancando.

-È vero- confermò Maros -Io stesso ho visto il simbolo della Maledizione di Naefarval sulla sua mano sinistra.-

-Un mezzelfo...?- mormorò Daolis -Certo è molto strano... Siete riusciti a capire il motivo per cui si trova qua?- domandò poi.

-No, lo stavamo giusto portando a Lar-Tolas per interrogarlo.- rispose il capitano.

-Per ora ha solo affermato di avere un importante messaggio per vostro padre il re, ma si rifiuta di dirci quale.- aggiunse Maros, mentre Tilvell gli lanciava un’occhiataccia. Isfacil rise con disprezzo.

-Messaggio? E sarebbe arrivato da chissà quale remota terra solo per portare un messaggio? Perché mai dovremmo credere a questo lurido zacrul?-
A queste parole Arellon cominciò a fremere di rabbia e a muovere convulsamente la bocca nel tentativo di ribattere, ma la magia di Maros persisteva ancora, rendendolo muto. Il principe lo osservò un attimo, poi guardò interrogativamente lo stregone.

-L’ho zittito perché continuava a ripetere di dover vedere il re.- rispose Maros.

-Capisco, ma non credo che ce ne sia bisogno ora: io sono il principe, ciò che vuol dire a mio padre può benissimo riferirlo a me. Fatelo avvicinare!-

-No, sire. Potrebbe essere pericoloso...- Isfacil venne zittito da un gesto del principe.

-Portalo avanti e fallo parlare.- ordinò di nuovo Daolis.

Maros si avvicinò ad Arellon e gli sussurrò:- A quanto pare è il tuo giorno fortunato. Ma ricorda: niente trucchetti, ti tengo d’occhio.- Poi aggiunse a voce alta:- Xovis.- e la voce tornò al mezzelfo, che avanzò verso il principe e si inginocchiò.

-E ora, mezzelfo, cosa devi dirmi?- domandò Daolis chinandosi verso di lui.

-Vostra Maestà, vi ringrazio per la vostra generosità.- esordì Arellon sollevando il viso verso il suo interlocutore -Tuttavia imploro il vostro perdono, ma preferirei riferirvi il mio messaggio in privato.-

-Non ho segreti con nessuno dei miei sudditi. Parla pure.- ribattè il principe calmo.

-Penso che sarebbe comunque meglio così. Temo che molti stenterebbero a credere a quello che devo dirvi.-

-Cioè intendi che noi comprenderemmo subito che sono tutte menzogne, mentre il principe è sufficientemente credulone, giusto?- lo sbeffeggiò Isfacil.

-Ora basta, Isfacil! Non ha ancora detto nulla, come puoi affermare che menta?-

-Esatto sire, non ha detto nemmeno il suo nome!-

-Il mio nome non ha importanza, sono solo un ambasciatore.- ribattè Arellon -Vengo a nome del mio popolo, che chiede aiuto ai propri fratelli contro il comune nemico.-

-Quale nemico?- domandò il principe.

-Un assassino, una serpe che tutti credono schiacciata per sempre, ma che vive ancora e minaccia nuovamente la sopravvivenza del mio popolo e la sicurezza del vostro.-

-Basta parlare per enigmi! Di chi stai parlando?- sbottò Isfacil.

-Di Eldacil figlio di Ferdacil nipote di Acil.-

Per un attimo la radura fu avvolta da un silenzio opprimente, interrotto però subito da Isfacil.

-Che vi avevo detto? Una palese menzogna e nient’altro!- gridò

-No, lo giuro, è la verità!- ribattè in fretta Arellon -Maestà, dovete credermi, l’ho visto coi miei occhi!-

-Zitto, zacrul!- esclamò Tilvell. Lo colpì con un pugno nelle costole facendolo cadere a terra. -Perdonatemi, Maestà! Vi prometto che gli faremo sputare la verità.- aggiunse rivolto al principe.

-Me lo auguro. Quanto a te, zacrul, credo che mio padre non abbia tempo per sentire pazzi della tua risma. Eldacil è morto nella battaglia di Micara trecento anni fa, lo sanno tutti.-

-Ah, sì? Avete sepolto il cadavere?- domandò Arellon cercando di rialzarsi.

-Cosa vorresti insinuare?- gridò Isfacil -No, non l’abbiamo nemmeno mai trovato perché fu bruciato da una fiammata magica evocata dai maghi. Ma ci sono tantissimi testimoni che l’hanno visto svanire nelle fiamme.-

Maros aiutò Arellon a rialzarsi. -Lord Isfacil ha ragione, mezzelfo. Io stesso guidai l’attacco dei maghi che lo spazzò via per sempre.-

-Ma perché vi fa tanto arrabbiare quello che dico? Non vi sto accusando di nulla, quando invece ne avrei ben ragione.- disse Arellon con ira scrollandosi dalla presa dell’elfo.

-Odiamo le menzogne, noi veri elfi, a differenza di voi mezzosangue. E di cosa dovresti accusarci di grazia, zacrul?- domandò Isfacil con disprezzo. -Noi non dobbiamo proprio niente alla vostra miserabile razza di Cadàn!-

Cadàn. Aborto di natura, essere aberrante, ibrido mostruoso immeritevole di vita. L’insulto più sanguinoso della lingua antica. Un insulto che ogni mezzelfo portava inciso sulla mano sinistra. Un insulto che Arellon non poteva tollerare. Zacrul significava intruso, un epiteto che il mezzelfo considerava comunque ingiusto perché nessuno è un intruso in nessun luogo, il mondo è di tutti. Ma Cadàn era una parola insopportabile, odiosa, maledetta e che gli faceva ribollire il sangue dalla rabbia.

-Io non dovrei accusarvi di niente? Davvero? Eldacil non era forse un vostro generale? Cosa avete fatto mentre i suoi scagnozzi saccheggiavano e radevano al suolo Allesfeia? Voi non avete mosso un dito per fermare le sue stragi della mia gente! Ma tanto cosa ve ne importava, erano solo mezzosangue, no?-

-Metti a dura prova la mia pazienza, mezzelfo, con queste parole ingiuriose e offensive.- disse il principe con sguardo duro.

-A me pare, Vostra Maestà, che il primo offeso qui sia stato io e la mia stirpe la prima ingiuriata. Ma d’altronde che altro mi dovevo aspettare da costui?- domandò accennando a Isfacil con un movimento della testa.

-Non permetto a nessun mezzosangue di rivolgermisi così!- sbraitò l’elfo, rosso in viso.

-Chiedo perdono, nobile cugino di Eldacil, ma a mio parere voi meritate tanto rispetto quanto ne avete per gli altri!- Isfacil guardò il mezzelfo con stupore. -Oh, non credevate che sapessi? Per un mezzelfo è impossibile non sapere di Isfacil, cugino e secondo in comando di Eldacil.-

-Lord Isfacil ha riconosciuto il suo sbaglio ed è stato perdonato dal re.- affermò Tilvell.

-Certo, ma a quanto pare non ha perso il suo vizio di provare disprezzo per il mio popolo. Ma dimenticavo che è un discendente di Acil, non si può certo uccidere una persona così nobile, anche se ha massacrato centinaia di innocenti!-

-Basta, portatelo via, non voglio più sentirlo!- ordinò Daolis irato.

Tilvell fece un cenno ad Omnil e Asmil. I due elfi afferrarono Arellon per le spalle, ma lui oppose resistenza.

-Che stupido sono stato!- urlò dimenandosi -Credevo di andare a chiedere aiuto agli elfi, le più nobili creature, poste dagli dei a custodire il mondo e solo ora capisco: non ve ne importa nulla degli altri! Isfacil non ha ucciso nessun elfo della città, al massimo qualche centinaio di mezzelfi ed elfi della foresta, perciò lo chiamate Lord! Cosa farete quando arriverà Eldacil? Lui ha massacrato migliaia di innocenti che avevano come unica colpa quella di non essere perfetti come lui, ma non solo: ha anche fatto assassinare Olidos, distruggendo per sempre la pace nella Grande Foresta! Come minimo lo nominerete subito vostro re!-

-Come osi?- gridò il principe -Mio padre è Re Farilos, colui che ha guidato la ribellione contro Eldacil e lo ha sconfitto nella battaglia di Micara.-

-Forse vostro padre è sinceramente convinto del suo compito, ma voi non gli assomigliate di certo.-

Daolis scese veloce da cavallo e sferrò un destro tremendo sulla guancia sinistra di Arellon. -Questo è quel che meriti, lurido bastardo!-

-Ben fatto, sire!- esclamò Isfacil battendo le mani.

-Ben fatto davvero!- affermò Arellon sarcastico sputando sangue -Colpire un inerme è proprio un’impresa degna di essere lodata! Che coraggio, Vostra Maestà!-

Daolis fissò Arellon negli occhi. Entrambi bruciavano d’odio l’uno nei confronti dell’altro.

-Nessuno mi può dare del codardo! Maros, togligli gli Anelli di Potenza e voi due guardie lasciatelo e ridategli le sue armi!- esclamò il principe sguainando la spada -Ti farò vedere se non sono degno di mio padre!- Asmil e Omnil lasciarono rudemente la presa e si diressero verso i loro compagni.

-Sire, ma...- cominciò Maros.

-Obbedisci! Voglio dare una lezione a questo zacrul!- sbraitò il principe. Lo stregone non potè opporsi: toccò i tre anelli con la punta del bastone e quelli svanirono. Arellon si portò le braccia davanti e si massaggiò i polsi. -Zacrul, prendi!- gridò Omnil lanciandogli il bastone. Il mezzelfo lo afferrò al volo.

-Solo quella è la tua arma, mezzosangue? Ti posso prestare una spada se vuoi!- lo derise Daolis. Isfacil rise sguaiatamente.

-La mia forza viene dalla Natura, non ho bisogno di altre armi per vincere, se sono nel giusto.-

-La tua arroganza non ti salverà dal filo della mia spada!-

-Sire, fate attenzione: è un mago molto abile...-

-Può darsi, Tilvell, ma non potrà competere con la mia superiorità nella scherma.-

Gli elfi intanto si erano disposti in cerchio intorno ai due. Tilvell si avvicinò preoccupato a Maros.

-Non temere, capitano, interverrò non appena il principe ne avrà bisogno.- mormorò lo stregone interpretando i timori di Tilvell.

-Controlla soprattutto che lo zacrul non ne approfitti per scappare.- gli sussurrò il capitano di rimando.

-Date una lezione a quello sfrontato, principe! Versate il suo sangue!- gridò Isfacil scatenando un’ovazione in favore del principe da parte di tutti gli elfi. Arellon nel frattempo stringeva il bastone con entrambe le mani, calmo e sordo alle grida degli elfi. Richiamò i suoi poteri e si preparò allo scontro: si concentrò in modo da percepire il debole sussurro degli alberi vicini. Non c’era molto amore per gli elfi in ciò che sentì e se ne compiacque: avrebbe potuto sfruttare ciò a suo vantaggio.

Daolis attaccò veloce sollevando la spada. Il mezzelfo aspettò calmo, poi all’ultimo momento puntò il bastone contro l’elfo evocando lo scudo magico. Daolis lo colpì con la spada ricurva e rise.

-È tutta qui la tua magia? Anche un bambino sa come annullare quest’incantesimo! Seish!- La barriera si dissolse all’istante e il principe tornò alla carica. Calò la spada dall’alto, ma Arellon la parò sollevando il bastone in orizzontale con entrambe le mani. L’elfo tentò un affondo sul fianco, ma il suo avversario scartò e lo colpì sul braccio sinistro col bastone. I due si allontanarono per osservarsi a vicenda girando in cerchio. Daolis roteò la spada e attaccò nuovamente. Arellon impugnò il bastone con entrambe le mani. -Issif!- Un forte vento scaturì dalla punta contro il principe, ma l’elfo non si fece intimidire.

-Questa brezza non ti salverà!- gridò saltando al di sopra del soffio. Arellon sollevò il bastone e fece volare via l’elfo che cadde dietro di lui rotolando sull’erba.

-Maledetto!- Daolis corse incontro ad Arellon così in fretta che il mezzelfo non riuscì a pronunciare l’incantesimo difensivo e dovette usare ancora il bastone per fermare la spada. Il principe lo incalzò con numerosi affondi, non concedendogli neanche un attimo di respiro. Tutti gli elfi applaudirono quando ferì il mezzelfo sul dorso della mano destra. Daolis sorrise e sollevò la spada in alto per mostrare il rosso del sangue. Arellon approfittò di quel momento di distrazione per colpirlo con un pugno in pieno viso e subito dopo allo stomaco con il bastone. L’elfo si accasciò a terra dal dolore. Il mezzelfo sbattè il bastone contro il suolo gridando:-Matmer!- e creò un’onda d’urto che scaraventò il principe ai piedi del suo cavallo. La sua corona rotolò lontano in mezzo all’erba. Daolis annaspò un attimo tentando di riprendere la spada, poi si rialzò e fissò il suo avversario carico d’odio.

-Questo è davvero troppo, è ora di finirla, miserabile zacrul!-

-Sono d’accordo, è ora di finirla!- Arellon cominciò a recitare una nenia nella lingua antica prima a bassa voce, poi sempre più forte. Le foglie degli alberi frusciarono, scosse da un vento invisibile: il suono sembrava quasi un mormorio. Un mormorio iroso. Maros le fissò preoccupato e si preparò a intervenire. Intanto il principe stava nuovamente attaccando il mezzelfo, quando all’improvviso una radice sbucò dal terreno e si avvinghiò attorno al suo piede destro.

-Cosa? Che stregoneria è mai questa?- domandò sbalordito, mentre un’altra radice gli immobilizzava la gamba sinistra.

-L’antica magia...- mormorò Maros pieno di stupore. Daolis provò a tagliare le radici con la spada, ma perse l’equilibrio e cadde a terra. Altre radici emersero dal suolo e lo avvolsero cominciando a ricoprirlo completamente. Daolis gridava atterrito e impotente. Isfacil ed altri elfi spronarono i loro cavalli sguainando le spade.

-Ti taglierò la testa, lurido Cadàn!- Subito altre radici avvolsero le zampe dei cavalli costringendo i destrieri a fermarsi di scatto o a rovinare a terra. Isfacil fu sbalzato giù dal suo cavallo e rotolò sull’erba perdendo la spada. Maros cominciò a evocare delle catene magiche che fermassero il mezzelfo, mentre i soldati gli correvano addosso alle spalle e Omnil gli scoccava contro una freccia. Ma Arellon fu più veloce: si voltò di scatto, puntò il bastone e gridò:-Sallon Aesf!- Lo scudo magico respinse la freccia e travolse gli elfi, compreso lo stregone, che non riuscì a pronunciare la formula di annullamento magico in tempo. Le guardie si ritrovarono tutte sul suolo erboso. Alcuni elfi della scorta del principe iniziarono a rialzarsi. Il mezzelfo se ne accorse e corse via fra gli alberi. Non appena si fu allontanato le radici scomparvero, scendendo nuovamente sotto terra.

-Prendetelo! Non lasciatelo scappare, buoni a nulla!- sbraitò Isfacil rialzandosi. Tilvell diede velocemente degli ordini e i suoi soldati si allontanarono fra gli alberi. Anche gli elfi della scorta si unirono a loro nell’inseguimento, mentre Maros accorreva a soccorrere il principe. Si chinò su di lui e recitò una formula di guarigione allungando la mano sulla sua fronte.

-Sto benissimo!- sbottò Daolis allontanando la mano dello stregone con rabbia. In effetti era vero, le radici non gli avevano fratturato nessun osso, l’avevano solo immobilizzato. Neanche il pugno del mezzelfo gli aveva fatto troppo male. Ciò che era stato ferito era il suo orgoglio: quello zacrul l’aveva sconfitto e umiliato di fronte ai suo amici e alle sue guardie. Daolis fremeva di rabbia. Raccolse la spada e si rialzò.

-Non preoccupatevi, sire! Lo troveremo e lo puniremo come si deve, quel lurido Cadàn!- Isfacil raccolse la corona da terra e la risistemò sul capo del principe. -Un simile affronto non passerà impunito!-

-Lo spero.- mormorò Daolis. Ma le speranze del principe erano mal riposte. Poco dopo le guardie e gli altri elfi fecero ritorno a mani vuote.

-Siamo oltremodo mortificati, Maestà- affermò Tilvell -Ma non siamo riusciti a trovarlo, sembra svanito nel nulla...-

-Incapaci! Idioti! E voi sareste le guardie del regno? Non riuscite nemmeno a trovare un miserabile zacrul fuggito qualche attimo fa!- gridò Isfacil.

-Infuriarsi con loro è inutile. Non può comunque essere andato lontano: montiamo a cavallo e inseguiamolo!- ordinò Daolis avvicinandosi al suo cavallo.

-Potrebbe sempre essersi smaterializzato: in tal caso, chissà dove potrebbe trovarsi ora...- suggerì il capitano.

-No, non credo. Avrei percepito una magia così potente, altrimenti.- affermò Maros.

-Basta inutili chiacchere! Voi guardie non avete cavalli, quindi montate insieme ai miei cavalieri! Muoviamoci!- incalzò Daolis. Poco dopo gli elfi partirono in direzioni diverse nel bosco. Gli ultimi furono l’arciere Omnil e l’elfo con cui condivideva il posto a cavallo. L’arciere fissava verso l’alto. Gli sembrava di avere scorto qualcosa tra le fronde degli alberi, per questo aveva chiesto all’altro elfo di attendere.

Poi giunse da poco lontano l’odiosa voce di Isfacil:- Vi volete muovere, voi due?-

Omnil sbuffò e l’elfo ridacchiò:- Non lo sopporto neanch’io, non capisco come faccia a stare simpatico al principe. Andiamo?- Omnil annuì. Dopotutto era stata solo un’impressione. L’elfo spronò il cavallo e i due uscirono al galoppo dalla radura.

Arellon guardò sotto di sè gli elfi allontanarsi, tranquillamente seduto su un ramo di una quercia ai margini della radura. Era stato facile salire, era bastato un piccolo incantesimo di levitazione.

“Meno male che gli elfi non sono più in grado di guardare al di là del proprio naso... o, in questo caso, al di sopra della propria testa.” pensò Arellon sorridendo. Un sorriso amaro, però. La situazione era peggiore del previsto: Isfacil, il cugino del massacratore, non solo era vivo, ma era tenuto in gran considerazione dagli elfi e dal loro principe. Come se non bastasse, gli elfi non gli credevano. Ovviamente Isfacil aveva le sue buone ragioni, per modo di dire, per accusarlo di mentire: lo disprezzava in quanto mezzosangue e temeva che rievocasse i suoi crimini passati. Ma gli altri semplicemente non volevano starlo a sentire. Non volevano sentirsi rinfacciare orrori passati di cui in parte si sentivano colpevoli. Nessuno gli credeva. Almeno, nessuno eccetto lo stregone. Sembrava che fosse meglio disposto degli altri nei suoi confronti, forse avrebbe potuto convincerlo... Il mezzelfo sospirò guardandosi il dorso della mano destra coperto di sangue. No, quella vista decisamente gli toglieva ogni speranza di successo. Arellon appoggiò la punta del bastone sul dorso della mano destra, recitò una breve formula e la ferita scomparve. Se quella si poteva guarire facilmente, però non si poteva dire altrettanto dei suoi rapporti col rampollo della famiglia reale, decisamente guastati. “Meglio dire definitivamente.”

Si guardò il palmo della mano sinistra. Il simbolo della maledizione dei mezzelfi ora era nero, non bruciava né risplendeva più. Ma gli bruciava l’animo vederlo, il marchio dell’emarginazione. Tutto il suo popolo era stato segnato così fin dall’origine, a causa delll’amore dell’elfo Atascal per l’umana Lalia, maledetto per l’eternità.

 

 

Ringraziamenti:

 

@evening_star: Meno male che non hai fretta, dati i miei lunghi tempi...

 

@Suikotsu: Contento di vedere ancora combattimenti?

 

@giodan: Speranza vana...

 

@Rakyr il Solitario: Beh, non era proprio una battaglia... comunque grazie!

 

 

 

 

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