Sotto la Cenere

di Koori_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Salve a tutti, popolo di EFP!
La fanfiction che vi apprestate a leggere è uno sconsiderato e esageratamente ardito esperimento.
E' la prima volta che mi cimento nel Fantasy perchè, pur essendo un genere che amo, lo trovo estremamente complicato da gestire.
Non so di preciso dove andrà a finire questa storia, quindi vi prego, se la faccenda vi ha un minimo incuriositi, di lasciarmi qualche parere di modo che io possa sapere cosa combinare con questi personaggi ai quali, purtroppo, mi sono già dannatamente affezionata.
Detto questo, non mi resta che augurare buona lettura a tutti! :)








 

~Sotto la Cenere
























Capitolo I



Leth chiuse gli occhi.
La luce diretta del sole la disturbava, le faceva male. Gli ultimi tre giorni passati al buio delle carceri di Agrat iniziavano a far sentire il loro peso. I polsi le bruciavano nel punto in cui i pesanti anelli delle catene sfregavano contro la pelle e la sete le spaccava le labbra.
Se non altro la cella in cui l’avevano sbattuta si trovava a Nord, e l’aria lì dentro era decisamente più fresca di quella in paese, a una manciata di metri sopra la sua testa.
- Cammina! – berciò l’omaccione grasso e sudato che la stava trascinando per la catena che aveva al collo.
Riaprì gli occhi, cercando di rimanere in piedi nonostante lo strattone improvviso, mentre accanto a loro un carretto trainato da un vecchio mulo stanco sollevava un nuvolone di polvere.
Provò a tossire, ma la decisione si rivelò pessima: le bruciava la gola, e la polvere, al primo respiro, corse rapida a insinuarsi nei suoi polmoni.
La piazza del mercato era gremita di gente, uomini e donne di ogni estrazione sociale: tutti potevano trovare qualcosa di interessante alla Fiera degli Schiavi.
Abitualmente quello sarebbe stato un giorno perfetto per lavorare, i luoghi affollati e pieni di persone distratte da altro erano tutto ciò che una giovane ladra come Leth potesse desiderare.
Operazioni di quel genere le piacevano molto di più dei furti su commissione, generalmente frutto di vendette private o smania di accumulazione da parte di vecchi collezionisti anchilosati dalla noia e dall’abitudine.
No, a Leth non piaceva affatto lavorare per individui simili, ma erano in tempo di magra, e sul denaro sonante certo non poteva sputare.
Peccato solo che, quel giorno, la ragazza si trovasse al mercato per riempire le tasche di qualcun altro, anziché svuotarle.
Quando vide il palco emergere dalla ressa come un patibolo si sentì cedere le ginocchia; salì i gradini di legno con passo malfermo, esortata senza grazia dai trafficanti che si erano fatti carico di lei.
Come una grande finestra senza vetri, il palco era sovrastato da un imponente telaio, anch’esso in legno, dal quale pendevano, a intervalli regolari, pesanti catene di ferro mezze arrugginite.
La fecero marciare fino all’estremità destra del palco, agganciando le catene che le legavano le braccia a quella che pendeva dal telaio, mentre accanto a lei prendevano posto altri uomini e donne.
Osò alzare lo sguardo sulla folla sottostante e sentì il nodo in gola stringersi sempre più.
Qualcuno la guardava con curiosità, altri con disprezzo, i bambini la indicavano ridendo e qualcuno la fissava come se avesse voluto spogliarla di quei già pochi abiti che la moda di Agrat imponeva.
Le veniva da vomitare.
- Cittadini di Agrat e stranieri di tutte le terre! – esclamò il banditore reale, in piedi sul palco, di fronte a loro.
- Benvenuti alla settantaquattresima Fiera degli Schiavi nella Terra della Luce, e che possiate fare buon mercato! – augurò alla folla in un ampio gesto delle mani. Poi si fece da parte, e incominciarono le trattative.
Una schiava, ecco cosa sarebbe stata.
Venduta al miglior offerente, valutata e disputata dagli acquirenti come uno straccio qualsiasi. Come aveva potuto permettere che si ritrovasse invischiata in una situazione simile?
- Coraggio, cittadini, coraggio! Guardate che bella merce abbiamo qui! – gridava il capo della Compagnia che l’aveva riscattata in carcere.
Ah, se solo l’avessero catturata con una settimana di ritardo a nessuno sarebbe mai venuto in mente di venderla come schiava!
- Guardate che meraviglia questa ragazza del Sud, in ottima salute e nel pieno della gioventù! – continuò, indicandola.
Leth strinse i denti per non piangere. Quella era veramente una situazione dalla quale non sapeva come uscire.
Una singora ben piazzata si avvicinò al palco e la indicò con un gesto della testa.
- Quanti anni ha lei? – domandò con voce roca.
- Ventuno, appena compiuti! – mentì il mercante con un grande sorriso sfacciato.
Sapeva di cosa si occupasse la donna, e per far sembrare l’operazione legale non avrebbe mai potuto venderle una minorenne, cosa che effettivamente Leth era.
La vecchia salì sul palco e prese a esaminarla, mentre dalle altre postazioni se ne andavano gli schiavi man mano acquistati dagli abitanti di Agrat o da stranieri venuti da chissà dove apposta per la Fiera.
- Mh, effettivamente sembra in salute… E queste orecchie?! – si stupì ad un’analisi più accurata.
Leth storse il naso.

Come hai fatto a non accorgertene, sei cieca?

Pensò, mentre la donna le tastava le orecchie a punta e guardava con sospetto il suo padrone.
- La nostra fanciulla viene da Oltre le Montagne, non dovete stupirvi, signora! – rispose prontamente l’uomo, accompagnando la sua frase con un’espressione saccente al punto giusto.
- Che prezzo fate? –
Leth trattenne il respiro e spalancò gli occhi.

No. No, no, no.

Non aveva alcuna intenzione di finire al bordello di Agrat, nemmeno per sogno!
Sperò che la cifra proposta fosse troppo per la vecchia e che la trattativa si concludesse con un nulla di fatto.
- Cinquecento Trali? Dovete essere fuori di testa, signore! Non vi pagherò mai una ragazza sfregiata cinquecento Trali! – scosse la testa la padrona del bordello, segnando con un dito la linea della spessa cicatrice bianca che attraversava il fianco sinistro della giovane.
- Suvvia, cosa può mai essere una ridicola cicatrice paragonata al fascino esotico di questa ragazza? Dove altro potreste trovare dei capelli belli come i suoi? – tentò di convincerla il mercante.
- Di rosse ne trovo dove voglio, più a Sud. Ve la compro per trecento. –
Un’altra voce però si intromise nella trattativa.
Un uomo grasso e senza quasi tutti i denti salì faticosamente sul palco e si piazzò accanto alla vecchia signora.
- Non la volete, Madama? Me la prendo io per quattrocento Trali! – l’alito fetido dello sconosciuto aggredì le narici di Leth, che strinse gli occhi per placare un rinnovato conato di vomito.

Dei, con lui no.

Non osava nemmeno immaginare quale sorte le sarebbe toccata a seguire un uomo simile.
- Il prezzo è cinquecento Trali, signori. Posso scendere fino a quattro e settanta, non di meno. – ribattè il suo padrone, mentre il nuovo acquirente la tastava con interesse sul ventre e sulle cosce.
Per un momento ebbe l’istinto di piantargli il pugnale nel collo, disustata da quelle mani sudice che avevano sulla sua pelle l’effetto di una frusta di fuoco, ma si ricordò resto che non era più in possesso della sua arma, esposta ai suoi piedi come corredo.
- Quattrocentotrenta! – fu l’offerta della vecchia, subito rilanciata dall’uomo.
- Quattro e quaranta! –
Il mercante scosse la testa.
- Quattro e settanta, ultimo prezzo! –
Leth chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi e di mettere a tacere, almeno nella sua mente, tutte quelle voci e quelle mani e quegli sguardi.
Avrebbe voluto piangere, gridare, scappare, ma l’orgoglio e quelle maledette catene glielo impedivano.
Ma la libertà, la sua amata libertà… Che ne sarebbe stato di lei? Venduta, scambiata, altre catene, altra prigionia.

No. Non è per questo che sono qui. No, non voglio.

Poi, improvvisamente, il rumore cessò.
Le era sembrato di udire un ultimo rilancio, prima del silenzio, ma l’assenza di repliche la indusse ad aprire gli occhi e guardarsi intorno, il caldo del meriggio a riflettersi nell’intonaco bianco delle case attorno alla piazza.
- Io offro mille Trali. –
Leth alzò la testa di scatto e le catene tintinnarono con disappunto.
- Mille trali? – domandò in replica il mercante, sul viso dalla barba incolta un ghigno di avidità.
Un uomo si fece avanti fra la ressa ai piedi del palco e con estrema calma salì i gradini fino a ritrovarsi di fronte alla schiava.
La scrutò dall’alto in basso, le prese il volto fra l’indice e il pollice e le esaminò attentamente il bianco degli occhi, per poi scendere fino alla cicatrice sul fianco.
Leth lo fissò con impertinenza, quasi avesse voluto sfidarlo a dire una qualsiasi parola.
Era un uomo alto, dalla carnagione olivastra tipica delle genti del Nord. Portava i capelli sciolti sulle spalle, fatta eccezione di alcune ciocche legate in un codino ondulato, per non disturbargli la vista.
Aveva gli occhi chiari, azzurri, o forse grigi, la ragazza non fu in grado di capirlo. Erano occhi stanchi, di chi ha vissuto a lungo una vita che non gli appartiene, o che non gli interessa.
Lo straniero si accorse di essere studiato e si profuse in un ghignetto provocatorio, un paio di baffetti e il pizzetto sottile a circondargli le labbra.
- Allora, ti va di venire con me? – domandò senza togliersi quell’espressione dalla faccia né lasciarle andare il viso.
Per tutta risposta Leth gli sputò.

Schifoso. Con te non vengo manco morta.

Il padrone fu lesto a punirla con un sonoro schiaffo, la folla sempre più interessata dalla piega che aveva preso la compravendita.
- Bada bene, ladruncola, o ti faccio tagliare la lingua. – sibilò senza che gli altri potessero sentirlo.
- Chiedo scusa, ha l’animo di una tigre, la ragazza… - cercò poi di rimediare con un sorriso amichevole e un’aria ammiccante.
Lo sconosciuto, nel frattempo, non aveva minimamente accennato a cambiare idea.
Si pulì il viso con una manica della camicia senza fretta e tornò a posare i suoi occhi chiari e penetranti prima sulla ragazza, poi sul mercante.

Dove l’ho già visto?

- Mille Trali. E prendo anche il pugnale. –
Un coro di oh di sopresa si alzò dalla calca ai piedi del palco.
La padrona del bordello e il vecchio accanto a lei non osarono replicare, incapaci di rilanciare una simile offerta.
Ci fu una rapida stretta di mani, accompagnata da caldi sorrisi e generose pacche sulle spalle.
- Affare fatto, amico mio! La ragazza è vostra! –
Quelle parole congelarono completamente il cuore di Leth.
Finita. Era finita.
Doveva dire addio alla sua vita, alle giornate trascorse a rubacchiare correndo libera come il vento fra i tetti delle casupole di Agrat, alle notti passate sotto le stelle mentre le cicale cantavano tranquille.
Doveva dire addio alla città che le aveva offerto un rifugio, agli amici, alle abitudini, alla giovinezza.

No. Col cavolo che mi arrendo!

Aspettò che la liberassero dalla catena che penzolava ora inerte dal telaio e si gettò a terra, afferrando il coltello e lanciandosi contro lo straniero, intento a pagare.
Fu un attimo, il bagliore della lama, il tempo di un respiro trattenuto.
Leth si ritrovò immobilizzata, una mano grande e forte a stringerle il polso, poco sopra le catene.
- Non hai capito, ragazzina. – spiegò l’uomo, serissimo.
- Ti conviene fare la brava e lasciarmi quel bel pugnale dorato, e non farmi fare brutte figure davanti alla brava gente di Agrat. – continuò sfilandole il pugnale dalle mani e appendendolo alla cintura, sul viso di nuovo quel maledettissimo ghigno.
Fu a quel punto che Leth ricordò dove lo aveva già visto.

Non può essere…

E allora ebbe paura.











 
Note:

Eccoci qui alla fine di questo Primo Capitolo che in realtà funge un po' da Prologo~
Abbiamo introdotto Leth, la nostra protagonista, che incontriamo in un momento non proprio felice.
Ma come si è cacciata in questo pasticcio, e chi è il losco figuro che l'ha comprata dal mercante di schiavi? In quale occasione i due si sono già incontrati?
Nel prossimo capitolo, forse, troveremo risposta a qualcuno di questi quesiti e impareremo a conoscere meglio la nostra ladruncola in catene...
Bene, per il momento è tutto! ~
Grazie infinite a chi ha letto e a chi avrà la bontà di lasciarmi qualche parere!

Kisses,
Koori-chan

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***

















Capitolo II



Giornate  inutili ce n’erano molte, di quei tempi.
Il lavoro scarseggiava e, salvo quelle due o tre richieste di routine, Leth non aveva davvero un accidente da combinare per tenersi occupata nelle lunghe giornate afose di Agrat.
L’estate era ormai esplosa da una decina di giorni, le temperature erano aumentate vertiginosamente e il terreno riarso aveva preso a spaccarsi, le strade coperte dalla sottile polvere rossa in arrivo dal deserto; i tetti delle case, piatti terrazzi intonacati di bianco, si erano improvvisamente animati di un brulichio di vita che, la sera, illuminava la città delle guizzanti luci delle torce e del chiacchiericcio della gente.
Per Leth quella sarebbe stata la terza estate ad Agrat, la città che, senza dubbio, era riuscita a trattenerla più a lungo di tutte le altre.
Non sapeva per quale motivo avesse indugiato nella capitale così a lungo, ma raramente si era trovata così a suo agio in un luogo come lì: aveva imparato in fretta lo snodarsi delle strade, i migliori negozi dove fare acquisti, e grazie al grande mercato settimanale aveva sempre modo di racimolare qualche borsello sonante o qualche nuovo pezzo per il suo armamentario.
Dal momento in cui aveva fatto del furto il suo mestiere non poteva permettersi il lusso di viaggiare con armi eccessivamente pesanti e ingombranti quali spade o grandi asce da combattimento, che l’avevano tuttavia sempre affascinata, quindi si limitava a portare con sé qualche coltello da lancio e il suo inseparabile pugnale dalla lama ricurva e dall’elsa dorata, unico ricordo che si fosse concessa della sua vecchia vita.
Quel giorno erano da poco passate le dieci del mattino, e aveva terminato anche l’ultimo lavoro sulla lista, con ben tre giorni di anticipo sulla scadenza. Il committente l’aveva pagata profumatamente, ma avrebbe dovuto presto rimettersi in cerca di acquirenti per non rimanere a secco di finanze. Certo, avrebbe anche potuto attendere nell’ozio quei tre giorni che la separavano dalla Fiera degli Schiavi, occasione in cui avrebbe potuto riempirsi le tasche in totale tranquillità, ma l’ozio non era una delle attività contemplate da Leth: rimanere in movimento era per lei essenziale, e se lavorando poteva essere in grado di restare immobile anche per ore, in quello che lei considerava riposo il perdere tempo senza occuparsi di nessuna attività in particolare era quasi un sacrilegio.
Stanca e accaldata, aveva deciso di entrare nella vecchia locanda che dava sulla piazza del mercato e aveva ordinato un bicchiere di latte, l’ideale per scacciare la sete.
Vinta dalla spossatezza, aveva finito per indugiare al suo tavolo più del previsto, tirando fino all’ora di pranzo. Era quando si era accinta a chiamare la cameriera per l’ordinazione che la porta si era spalancata cigolando, mentre la luce entrava prepotente nel locale buio e fresco.
Aveva così fatto il suo ingresso nella locanda un individuo strano, certamente uno straniero, senza nome né passato. Dopo aver incrociato il suo sguardo per un’intensa frazione di secondo, si era diretto dritto verso il bancone, aveva ordinato frettolosamente qualcosa da mangiare e si era andato a sedere ad un paio di tavoli di distanza da Leth.
Aveva consumato il suo pasto in silenzio, rapidamente, e la giovane si era stupita dei suoi movimenti misurati e mai eccessivi. Poi era arrivata la sua bistecca al sangue e la sua attenzione aveva completamente cambiato destinatario.
Quando aveva rialzato lo sguardo, dello straniero non c’era più traccia.
Adesso, i polsi e il collo arrossati dalle catene e un vecchio palazzo a tre piani a offrirle un po’ d’ombra nella calura dell’estate, si chiedeva se lo straniero che l’aveva comprata per la bellezza di mille Trali, pugnale compreso, si ricordasse o meno di lei.
- Non mi aspettavo che ci saremmo reincontrati proprio alla Fiera degli Schiavi. –
La frase con cui l’uomo decise di rompere il silenzio le fece andare di traverso la saliva.
Evidentemente si ricordava di lei, e quindi doveva esserci un motivo ben preciso se l’aveva comprata per quella cifra esorbitante.
E se fosse stato tutto calcolato? Se ci fosse stato lui dietro al suo arresto, se lui e il capo della Compagnia fossero stati d’accordo sul prezzo, sulla trattativa, su tutto?
- Certo che come ladra non devi valere un granché… - continuò, per nulla disturbato dal silenzio che otteneva in cambio alle sue sortite.
- Ti sbagli. – fu invece la replica che lo fece voltare.
- Allora sai parlare! Magnifico, temevo che duante la prigionia ti avessero tagliato la lingua! – commentò cinicamente.
Leth puntò i piedi per terra ben decisa a non muovere un altro passo.
- Sfottimi ancora e sarai tu a perdere la lingua. – sibilò, gli occhi blu ridotti a due fessure.
Lo straniero scoppiò a ridere.
- Come prima volevi uccidermi? Interessante, avvisami, quando sarai pronta a provarci! –
Infiammata dall’ira, Leth si scagliò contro di lui, il pugno stretto e la mascella serrata.
L’uomo però fu più svelto e si spostò lateralmente, bloccandole il braccio e torcendoglielo dietro la schiena, il tutto con una mano sola: nell’altra stringeva ancora la catena.
- Lascia perdere… - le intimò con indulgenza, tenendo salda la presa finchè non sentì i muscoli della giovane cedere e rilassarsi.
Ripresero a camminare lungo il sentiero che conduceva alla Porta Orientale, e quando la raggiunsero il sole era ormai tramontato.
Lo straniero raggiunse una panca di pietra che sporgeva da un edificio disabitato, probabilmente una vecchia scuola.
La luna piena illuminava le strade come se fossero stati in pieno giorno e Leth, seduta accanto all’uomo, si concesse di osservarlo un po’ meglio.
Aveva le spalle larghe e il petto ampio, al di sotto della camicia di lino si potevano intuire le linee toniche dei muscoli: doveva aver passato molto tempo ad allenare il suo fisico.
I capelli, di un castano scuro sbiadito dal sole, erano attraversati da ciocche più chiare, forse grigie. All’orecchio sinistro portava alcuni orecchini di metallo dalle fogge più disparate, e gli occhi chiari erano circondati da una ragnatela di piccole rughe.
Nel complesso non dava affatto l’idea di un uomo vecchio, ma Leth capì che doveva aver visto molti più inverni di quanto non sembrasse di primo acchitto.
Improvvisamente l’uomo si voltò e le rivolse uno strano sorriso, quasi gentile, porgendole la borraccia che aveva tirato fuori dalla sua sacca logora e impolverata.
La ragazza indugiò un momento, per poi avventarsi sulla borraccia e bere ad avidi sorsi.
L’acqua fu come un balsamo per la gola e le labbra riarse, si sentì rinascere.
- Bene, adesso posso conoscere il tuo nome? – domandò improvvisamente lo straniero, dopo qualche minuto trascorso ad osservare le stelle.
Tacque, indecisa se assecondarlo nelle sue richieste o meno. Dopotutto non aveva alcuna intenzione di essere un acquisto facilmente trattabile.
- Leth. Mi chiamo Leth. – si decise però a confessare, convinta che il suo nome non avrebbe poi potuto essere qualcosa di cui preoccuparsi, ora che era ridotta in schiavitù.

Come minimo se lo scorderà fra cinque minuti…

Lo straniero si alzò in piedi, e la schiava lo imitò, notando però che aveva lasciato andare la catena.
- Leth, sei libera. Vedi di non ricacciarti nei pasticci. –
Quella frase la lasciò completamente pietrificata, la bocca spalancata di stupore.
L’uomo si sfilò il mantello color del muschio e glielo accomodò sulle spalle, per poi voltarsi e riprendere la sua strada al di là della grande Porta Orientale.
Si voltò un’ultima volta, salvo notare con stupore che la ragazza l’aveva seguito.
- Signore, non ho bisogno del vostro mantello. – spiegò, il drappo stretto nella mano tesa verso di lui.
Lo sconosciuto sorrise.
- Morirai di freddo, così poco vestita. – osservò, spingendo delicatamente indietro il mantello.
Leth diede un rapido sguardo ai suoi abiti, i cortissimi pantaloncini neri, il pareo color sabbia legato alle due cinture che portava in vita e l’indumento ricamato a fiamme guizzanti che le fasciava il seno.
- Questi sono gli abiti tipici di Agrat, sono abituata a portarli, e in più fa caldo. – asserì facendo spallucce.
- Piuttosto, voi non soffocate con le maniche lunghe? – domandò con un cenno della testa alla camicia chiara dell’uomo.
Fu il suo turno di fare spallucce.
- La camicia è leggera. E poi sono abituato a resistere. – aggiunse prima di voltarsi nuovamente e muovere un’altra decina di passi verso la Porta.
Fu nuovamente costretto a fermarsi da quella vocetta insistente.
- Signore, perché mi avete liberata? –
Le risposta che ottenne non fu soddisfacente nemmeno un po’.
- Non mi piace la tratta degli schiavi. –
- Ma mille Trali! Sono un’infinità! – esclamò, incredula che quello straniero avesse speso così tanto solo per filantropia.
L’uomo non rispose e proseguì al di là della Porta, fin nella notte più profonda del deserto attorno ad Agrat.
- Perché continui a seguirmi? – sbottò dopo un po’.
- Se avessi voluto un cane l’avrei comprato! –
Leth abbassò lo sguardo, indecisa sul da farsi.
- Signore, in città non posso tornare, e voi… ecco, voi vete qualcosa che mi appartiene. – confessò, accennando al pugnale dorato che l’uomo portava appeso alla cintura.
Lo straniero alzò un sopracciglio e prese in mano l’arma lucente.
- Se te lo restituisco mi lascerai in pace? – domandò, il tono di voce incrinato da un sentimento che Leth non fu in grado di identificare.
La ragazza rimase in piedi di fronte a lui, l’espressione seria e i fini capelli rossi che le ricadevano sugli zigomi incorniciandole il viso ovale.
- No. – disse onestamente.
- Sono in debito con voi e non avrò pace finchè non l’avrò estinto. Permettetemi di seguirvi. –
- Non è  un bel luogo quello in cui sono diretto. – ribatté lui con fermezza.
- Solo finchè non avrò ripagato il mio debito. Non ho alcuna intenzione di rimanere per sempre legata a voi. – spiegò lei, con tutta  la franchezza del mondo.
Si chiedeva per quale motivo avvesse deciso, fra tutti i poveri disgraziati esposti come merce alla Fiera, di liberare proprio lei, e perché poi adesso fosse così restio a rimanere in sua compagnia.
L’uomo scosse la testa scoprendo i denti in una risatina sommessa.
- Tipico di voi del Sud. Avete un senso dell’onore dannatamente sviluppato, ma guai a privarvi della vostra libertà… - commentò.
- Allora abbiamo un accordo? – continuò Leth, testarda.
Lo straniero sospirò e si grattò il pizzetto, pensieroso e probabilmente un po’ seccato dalla situazione.

Non è che a me faccia piacere, vecchio, ma ho letteralmente le mani legate…

Alla fine lo sguardo insistente della ragazza lo costrinse a capitolare, seppur dannatamente controvoglia.
- Ascoltami bene, Leth. Il mio non è un viaggio di piacere. Si va a passo spedito, e ci saranno situazioni di pericolo. Molte situazioni di pericolo. A seguirmi rischierai la vita, e non avrò il tempo di pensare a salvartela. – spiegò, una mano sulla spalla della giovane e gli occhi stanchi piantati nei suoi.
- Me la so cavare, non dovete preoccuparvi. – ma si rese conto immediatamente che le sue attuali condizioni non dovevano dare molto credito alle sue parole.
- Cioè, questo è stato solamente un incidente isolato e io… - ma presto si ridusse al silenzio, consapevole che in quel modo avrebbe solo peggiorato le cose.
- Andremo a Est, ho delle faccende da sbrigare lungo il cammino. Tieniti stretta il tuo pugnale, potresti averne bisogno prima del previsto. – le intimò, porgendole l’arma con uno sguardo enigmatico.
Leth deglutì e appese il pugnale alla cintura senza fiatare.
L’uomo si voltò e proseguì il suo cammino, ma non si lamentò più quando la giovane continuò a seguirlo.
Camminarono in silenzio sotto le stelle, e presto un vento fresco si alzò da Ovest, costringendo Leth a dare retta al suo misterioso compagno di viaggio e indossare il mantello che ancora stringeva fra le mani.
Si chiese cosa mai lo impegnasse in un viaggio tanto lungo e pericoloso, per quale motivo fosse giunto ad Agrat e da dove venisse, scrutandolo di tanto in tanto in cerca di indizi.
- Pensavo saresti stata una compagna di viaggio più rumorosa… - osservò l’oggetto dei suoi pensieri dopo una mezz’ora.
- Invece i tuoi passi sulla sabbia non fanno rumore… -
Leth gonfiò il petto d’orgoglio, sul viso un sorriso tronfio e ben poco femminile.
- Sono una ladra, la migliore di Agrat, è d’obbligo sgusciare silenziosamente! - esclamò.
- Peccato che il tuo ego rimbombi più forte dei tacchi dei tuoi stivali! – si prese gioco di lei l’uomo.
La giovane sbuffò, incrociando le braccia al petto e masticando insulti fra i denti.
No, quel tipo non le stava per niente simpatico.

Spero di sdebitarmi presto, brutta faccia da capra che non sei altro.

- Comunque non sarebbe male conoscere il nome del mio compagno di viaggio. – borbottò dopo un po’.
Lo straniero rallentò il passo fino a fermarsi, negli occhi chiari una vena di malinconia.
- Cosa vuoi che sia un nome? Un nome altro non è che un’etichetta… -
- Se il droghiere sbaglia etichetta avvelena mezza città… - commentò Leth con un sorrisetto.
L’uomo le scoccò una strana occhiata, a metà fra lo sguardo di rimprovero e quello di complicità.
- Mi chiamo Krohs. Con la o chiusa, non come lo pronuncereste voi del Sud. –
- Krohs… - ripeté Leth, lasciando che il nome le rotolasse fra le labbra come miele.
La Luna era ormai alta nel cielo estivo, e i due viandanti continuavano a camminare lungo il sentiero nel deserto.
Chissà quando si sarebbero fermati per riposare un po’?
Eppure Leth, il suo pugnale al fianco e uno sconosciuto a guidarla nella notte, non si sentiva poi così stanca. Anzi, uno strano brivido di eccitazione le correva di tanto in tanto su per la schiena.
Era da molto che non si sentiva così e, quasi quasi, la situazione incominciava a stuzzicare la sua curiosità.
Forse, in quel grande pasticcio in cui si era cacciata, avrebbe anche potuto divertirsi un po’…






 
Note:

Ta-daaaaaaan!
Ecco che finalmente abbiamo scoperto il nome del misterioso straniero!
Krohs, un personaggio che, come è impenetrabile per Leth, lo è anche per me! Ebbene sì, per quanto mi diverta a scrivere di lui, trovo estremamente complicato penetrare la sua psiche... xD
In questo capitolo diciamo solennemente addio(?) all'afosa Agrat e alla vecchia vita, pronti a catapultarci in quella che si prospetta proprio un'avventura in piena regola.
Come andrà avanti la convivenza forzata fra questa ragazzina senza peli sulla lingua e quest'uomo così dannatamente strano?
Affilate i vostri coltelli, cari lettori, perchè la quiete non durerà ancora a lungo... ~
Detto questo, un grazie infinite a chi ha recensito e chi ha messo questa fic fra le preferite/seguite/ricordate blablabla e anche a chi ha semplicemente letto, mi rendete un'autrice felice! <3
Alla prossima!
Kisses,
Koori-chan

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***












Capitolo III













- Ammettilo, ci siamo persi. –
Leth, il cappuccio del mantello calato sul volto e grondante di sudore, gonfiò le guance e sbuffò senza ritegno.
- Niente affatto, so esattamente dove siamo… - ribetté Krohs osservando attentamente una cartina spiegazzata tutta buchi.
- Ma a che ti serve guardare la cartina, siamo nel bel mezzo del deserto! – si lamentò ancora la ragazza, intorno a loro solo sabbia e  cielo.

Se avessimo proseguito lungo il sentiero a questo punto non saremmo in questo casino.

- Mi si stanno sciogliendo le scarpe! Se ci hai portati a perdere giuro che…! – ma con un gesto fluido e rapido l’uomo le fu davanti e le posò l’indice sulle labbra.
- Cerca di non distrarmi, dolcezza, oppure ti mollo qui… - sussurrò ad un soffio dal suo viso.
Leth sgranò gli occhi e deglutì, imbarazzata, poi si arrese all’evidenza che, in quel caso, era lo straniero ad avere il coltello dalla parte del manico.
Avevano camminato per tutta la notte e, ora che il sole aveva preso ad arrampicarsi veloce su per il cielo blu d’infinto, Leth iniziava a preoccuparsi un po’.
Avevano abbandonato il sentiero all’alba, e da quel momento erano passate già quattro ore abbondanti; sembrava che Krohs sapesse cosa stava cercando, il passo deciso e senza indugio, ma la giovane ancora non si fidava di quel tizio che, senza motivo, aveva speso più della metà di quello che lei guadagnava in due mesi di sudato lavoro per riscattare una sconosciuta.
Avrebbe voluto sapere di più su di lui, sulla sua missione, su tutto, ma lui sembrava ben restio dal parlarle di sé e del suo passato.
- Senti… non è che avresti un po’ d’acqua? – domandò dopo un po’, sentendo la gola riarsa dal caldo e la testa bollente.
Krohs alzò gli occhi al cielo e raspò nella sua sacca, alla ricerca della borraccia.
- Continua a camminare, dobbiamo arrivare prima di mezzogiorno. – le intimò notando che per bere si era fermata.
La ragazza si spruzzò un po’ d’acqua sul viso e restituì la borraccia affinchè anche Krohs potesse bere un po’.
- Almeno posso sapere dove siamo diretti, capo? –
L’uomo sorrise e indicò un punto a caso nel deserto.
- Proprio laggiù! – poi scoppiò a ridere di fronte all’espressione sbigottita della compagna di viaggio.
- Mi prendi per il culo?! Non c’è niente laggiù! – esclamò, sul volto la disperazione più totale.
- Ci hai portati a morire! Sei un pazzo! Ci rinsecchiremo nel deserto e nessuno saprà mai della nostra morte! – e continuò a lagnarsi per i dieci minuti successivi, incurante del fatto che Krohs avrebbe potuto abbandonarla proprio come da minaccia.

Intanto ormai siamo stecchiti, almeno lasciatemi insultarlo! Oh Dei, che gran casino…

Ma a quel punto l’uomo si fermò e picchiò con forza tre colpi a terra con il tacco dello stivale.
Leth si sorprese di udire un rumore sordo al posto del fruscio della sabbia.
Krohs la prese per un braccio e la fece indietreggiare di un paio di passi; una spessa catena emerse dalla sabbia e prese a muoversi, come se fosse stata tirata da un argano nel sottosuolo.
La giovane rivolse uno sguardo interrogativo alla sua guida, e quello esibì un sorriso sornione, quasi a dire “te l’avevo detto”.
Lentamente qualcosa per terra prese ad alzarsi, la sabbia che scivolava silenziosamente a destra e a sinistra, rivelando una grande apertura quadrata e il portone di pietra che la chiudeva.
Ad occhi spalancati d’incredulità, Leth seguì l’uomo giù per la scalinata che si snodava dall’apertura, mentre il portone si chiudeva rapido dietro di loro con un soffice tonfo.
- Benvenuta all’Oasi, piccola ingrata! –
Di fronte a loro, scavata a più livelli nella roccia, si presentava maestosa una città intera, brulicante di vita e di colori.
Leth rivolse lo sguardo a Krohs, poi alla città, poi di nuovo a Krohs, spiazzata.
- Vuoi dire che sotto il deserto c’era questa cosa e nessuno se n’è mai accorto?! – esclamò, eccitata e al contempo intimorita da quella scoperta.
- Gli uomini sono sempre così concentrati a guardare ciò che li sovrasta che spesso dimenticano di prestare attenzione a quello che hanno sotto ai piedi… - fu il commento che ottenne.
- Restami vicina, qui perdersi è questione di un attimo… - continuò, mettendole una mano sul fianco e avvicinandola a sé.
Quel tocco sulla sua pelle nuda la fece rabbrividire, una strana sensazione di disagio a strisciarle lungo la schiena fredda e viscida, come un serpente.
Si divincolò, infastidita, e puntò lo sguardo a terra.
- Non ti preoccupare, non scappo… - borbottò.
Tutta quella situazione stava diventando decisamente assurda.
Lei, abituata a vivere alla giornata, libera ed indipendente, ma soprattutto sola, si trovava ora costretta a seguire un uomo di cui non sapeva nulla senza poter opporsi in alcun modo alle sue decisioni.
Come se non bastasse, ancora non era riuscita ad inquadrare quello straniero così misterioso.
Era una brava persona? O forse si trattava di uno scaltro approfittatore?
Persino il suo comportamento la spiazzava: a volte, doveva ammetterlo, era decisamente intrigante, altre volte dannatamente irritante.
Le stava simpatico? Gli avrebbe spaccato la testa contro un muro? Non era in grado di decidere nemmeno questo con totale sicurezza.
Quel Krohs, assieme al mistero che gli aleggiava intorno, la incuriosiva al punto di farle accantonare l’acuta antipatia che provava nei suoi confronti.
Ecco, sì, probabilmente era sempre stato questo il suo più grande difetto: la curiosità.
La stessa curiosità che da bambina le era valsa un’infinità di sberle a mano aperta sul volto, la stessa curiosità che la portava a stancarsi in fretta di luoghi e persone, la stessa curiosità che, tanti anni prima, le aveva procurato quel simpatico squarcio sul fianco.
- Probabilmente la cosa ti stupirà, ma l’Oasi era un tempo la capitale della Terra della Luce. – spiegò Krohs facendosi strada fra la folla vociante.
- E Agrat? –
Tenergli dietro si era rivelata un’impresa molto più complicata del previsto, il fiume di persone continuava a sospingerla nella direzione opposta a quella in cui stava andando.
Krohs rise di una risata amara, intrisa di un antico dolore che Leth non comprese.
- Agrat? Quella città è in piedi da meno di trent’anni, ma tu sei troppo giovane per saperlo… -
- Trent’anni? Ma no, devi sbagliarti! Ci sono le rovine, e le tombe degli Antichi Re, e la Fiera degli Schiavi era la settantaquattresima… - obbiettò la ragazza, enumerando tutto ciò che potesse dimostrare una datazione più antica della città.
L’uomo scosse la testa, il sorriso ormai completamente svanito dalle labbra.
- Non farci caso, lascia perdere… - biascicò, quasi deluso dalla piega che aveva preso quella discussione.
- Vieni, siamo arrivati… - concluse poi, afferrandola senza preavviso per un braccio e trascinandola in un vicolo scavato nella roccia viva.
Leth si concesse di alzare lo sguardo e di saziare, almeno in parte, la sua curiosità.
Ai livelli più bassi la città nascosta era illuminata da file di grandi torce crepitanti, ma a mano a mano che si risaliva la voragine verso la superficie le fiaccole diminuivano di numero e di dimensione, fino a scomparire totalmente al primo livello, dove si trovavano loro.
Lì la luce filtrava direttamente da finestroni magistralmente costruiti affinchè dall’esterno non si potesse notare la loro presenza.

Chissà quante volte le ho calpestate senza saperlo…

Pensò, gli occhi rivolti alle grandi cupole di vetro piombato.
La strada principale, un enorme sentiero a chiocciola che si snodava fino alle fondamenta della terra, era costeggiata da immense statue di uomini e donne che Leth non conosceva. Intuì che dovevano essere stati Re e Regine di quelle terre molti anni prima che lei vi mettesse piede, ma preferì non fare domande, imbarazzata dall’ignoranza appena mostrata.
Dallo stradone si dipanavano a raggiera un’infinità di stradicciole più piccole e di vicoli come quello in cui si trovavano al momento.
La sua piccola pausa di osservazione, però, fu interrotta bruscamente dall’ennesimo strattone.
Krohs, senza avvisare come al solito, l’aveva trascinata all’interno di una bottega dalle medie dimensioni, ma che sembrava molto più piccola per via dell’enorme quantità di cianfrusaglie sparse qua e là senza ordine alcuno.
Dalla parte opposta alla porta d’ingresso, semi sommerso da quintali di carte e mucchi di oggettini di metallo, se ne stava un lungo bancone da lavoro, alle sue spalle, una piccola porticina da cui filtrava uno spiraglio di luce.
Krohs avanzò dritto verso il bancone, mentre Leth osservava incuriosita tutto quel ciarpame, cercando di non colpire le decine di gabbie vuote che pendevano dal soffitto.

Chissà che roba c’era dentro…

Solo quando udì dei passi pesanti avvicinarsi si voltò di scatto e, incerta sul da farsi, corse ad affiancare il compagno di viaggio.
- Siamo in pausa, non avete letto il cartello? – sbottò una voce pastosa proveniente da dietro la porticina.
Ne fece capolino un uomo basso, tarchiato e riccioluto, gli occhi sporgenti e un grande grembiule di cuoio appeso al collo.
- Ah, Krohs, sei tu! Vecchio cane, quante volte ti devo dire che odio essere disturbato mentre mangio? – berciò, sbattendo un pugno sul bancone.
- Anche per me è un piacere rivedeti, Oluk! – replicò quello, facendo scoppiare a ridere entrambi.
Il padrone della bottega si fece serio di colpo e abbassò il tono della voce, appoggiando i gomiti sul bancone e sporgendosi in avanti.
- Com’è andata? Hai avuto grane mentre lo tenevo io? – bisbigliò, tanto che Leth non fu certa di aver udito del tutto la domanda.
Krohs le lanciò un’occhiata obliqua e tornò a concentrarsi su Oluk.
- Niente di sospetto, per ora… Ci sei riuscito? – ma la sua frase era poco più che un soffio, quasi avesse temuto ci fosse qualcuno ad origliare.
Il bottegaio annuì senza togliere gli occhi da Leth.
- Almeno per quanto riguarda il mio ambito di competenza. Per il gioiello temo dovrai rivolgerti alla vecchia Lyd… -
A questo punto Krohs rizzò la schiena, quella non doveva essere una buona notizia per lui.
- Fino al Lago? Ma sono quindici giorni di cammino! – esclamò contrariato.
Oluk si strinse nelle spalle, facendo sparire completamente il collo taurino.
- Mi dispiace, Krohs, ma l’anima è scheggiata, e sai benissimo che io non sono in grado di riparare un danno simile… - continuò, un po’ seccato dalla reazione del viandante.
Quello sospirò, mettendo mano alla sua sacca e tirandone fuori un vecchio borsello di cuoio.
- Quanto ti devo? –
Ma il padrone della bottega non gli rispose, continuando a fissare in modo insistente Leth, che nel frattempo si era appoggiata con i gomiti al bancone, stufa di non capire un tubo di quello scambio di battute.
- Ah, lei è con me, non ti preoccupare… - fece Krohs con un sorriso tranquillizzante.
Oluk la squadrò da capo a piedi, scettico.
- Quindi viaggi in compagnia, adesso… - commentò rivolgendo all’amico uno sguardo che Leth non comprese. Sembrava a metà fra l’occhiata inquisitoria e quella di rimprovero.
Krohs sbuffò, infastidito da un’allusione che solo lui sembrava aver colto, poi aprì il borsello e ne trasse quattro monete d’oro che sbatté con violenza sul bancone.
- Vedi di farteli bastare. – disse ignorando deliberatamente l’insinuazione del negoziante.
Quello scosse la testa e afferrò le monete, lasciandole scivolare in una tasca del grembiule, poi sparì dietro la porticina e ne riemerse poco dopo, fra le mani un qualcosa avvolto in un panno chiaro.
- In ogni caso cerca di non sovraccaricarlo, anche se l’ho temprata alla vecchia maniera non so quanto la cornice possa resistere. –
Krohs afferrò il pacchetto e con un gesto rapido e quasi stizzito lo infilò nella sacca.
Fece un cenno di saluto a Oluk e si incamminò verso la porta.
- Vieni, Leth, qui abbiamo finito. –
Ma Leth non lo seguì.
- Senti, tu sei una specie di fabbro, ho capito bene? – domandò invece all’abitante dell’Oasi, i gomiti sempre sul bancone e il mento poggiato sulle mani.
In uno specchietto dalla cornice d’avorio vide Krohs roteare gli occhi, evidentemente sperava di andarsene in fretta.
Oluk inarcò un sopracciglio irsuto con fare teatrale.
- Una specie di fabbro? Oh, io sono molto più di una specie di fabbro, ragazzina… -
Il viandante alle loro spalle incrociò le braccia al petto e prese a battere il tempo con la punta dello stivale.
- Oluk, non ricominciare… - lo ammonì.
Leth lo ignorò, gli impertinenti occhi color del cielo ancora fissi sull’uomo dietro al bancone.
- Saresti in grado di togliermi queste catene? – domandò mostrando i polsi arrossati e lo spesso anello di ferro che portava al collo.
Mezz’ora dopo, Leth e Krohs stavano camminando tranquilli per le vie dell’Oasi. Beh, Krohs era tranquillo, perché la ragazza continuava a saltellare qua e là tutta emozionata, inneggiando un po’ alla scoperta di quella meravigliosa città e un po’ al fatto che, finalmente, fosse riuscita a togliersi di dosso quelle maledette catene.
Non riusciva a smettere di guardarsi intorno, sempre più stupita dai particolari che ad ogni passo colpivano il suo sguardo: la strana vegetazione che cresceva rigogliosa nonostante la poca luce, il rumore di un corso d’acqua laggiù, infondo alla conca, gli abiti dei passanti tutti diversi per foggia e colori…
Quel luogo era diverso da Agrat: mentre nella capitale ogni cosa era statica, sempre uguale, familiare, lì all’Oasi tutto era nuovo, tutto era diverso, tutto era unico.
Chissà perché se ne stavano nascosti…
Si recarono in mille e mille botteghe diverse, Krohs comprò dei coltelli nuovi, un arco leggero di quelli usati dai cacciatori a cavallo e una faretra con un po’ di frecce dalla cocca in piume di cigno.

Ci trattiamo bene…

Osservò fra sé e sé la ragazza, un sorrisetto a incresparle le labbra.
Aveva notato che da quando erano usciti dalla bottega di Oluk il suo compagno si era fatto più cupo, più nervoso, ma dopo un paio d’ore anche quella sensazione svanì nel nulla, cancellata dal quel sorrisetto così simile a un ghigno che ormai aveva imparato a riconoscere.
- Avrei voluto viaggiare durante la notte per non soffrire il caldo, ma non so quanto ci convenga… Prenderemo due cavalli a nolo domattina e partiremo alle prime luci dell’alba: se restiamo sul sentiero in due giorni dovremmo raggiungere il fiume. – spiegò, in piedi di fronte a un grande edificio scavato nella roccia.
- Spero che questa locanda incontri i tuoi gusti… - aggiunse con ironia.
Leth arrossì, ma non certo per la poco velata allusione a tutte le sue precedenti lamentele.
- Vai… vai tu, io… Ci incontriamo qui di fronte domattina, d’accordo?-
Ma a Krohs non piacque quella risposta.
Le si avvicinò, le sopracciglia aggrottate e qualcosa nel portamento che mise la giovane in allerta; era come se avesse dovuto essere pronto a difendersi da qualcosa, o da qualcuno…
- Per quale motivo non ti va bene la locanda? Hai forse qualche appuntamento? – insinuò, la voce ridotta a un roco sussurro e la mano stretta attorno al suo braccio.
Leth arrossì ancora di più e si divincolò.
- Per chi mi hai presa?! Non ho mica intenzione di venderti ai tuoi nemici, che fra l’altro nemmeno conosco! Non ho i soldi con cui pagare la stanza, è per questo che preferisco dormire fuori! –
Krohs fece un passo indietro e abbassò lo sguardo, adesso era lui quello in imbarazzo.
- Ah, io… Non ti preoccupare, ho denaro a sufficineza per entrambi… - azzardò, nella speranza di rimediare all’offesa.
La ragazza alzò il mento e incrociò le braccia al petto.
- Nossignore, non intendo avere altri debiti! Tu sistemati pure, io andrò a fare un giretto e guarderò se trovo qualcosa di interessante qui in giro… Ci si vede! – e con un ghigno sparì fra la folla, senza lasciargli il tempo di replicare.
- Leth, ti ho detto che…! – niente da fare, se n’era già andata…
Krohs chiuse gli occhi e spospirò, incamminandosi verso l’interno della locanda.
Lo sapeva, non avrebbe mai dovuto coinvolgere quella ragazza…
Nel frattempo Leth aveva raggiunto lo stradone ed era scesa di un paio di livelli; lì la luce era meno intensa rispetto alla superficie, ma comunque sufficiente per poter passeggiare in totale tranquillità. Questo era sicuramente un punto a suo favore: paradossalmente era molto più difficile rubare in un vicolo buio e desolato, dove le persone erano istintivamente sull’attenti.
Di solito, per il lavoro, si concedeva almeno un paio d’ore d’osservazione, giusto per studiare un po’ i suoi bersagli e decidere quale fosse il momento migliore per colpire, ma quella volta non poteva permettersi un lusso simile, o avrebbe rischiato di fare sera senza aver raggranellato niente.
Da quel poco che aveva capito Krohs non si sentiva tranquillo in quei luoghi, angosciato dall’eventualità di essere seguito da chissà quale nemico. Probabilmente la colpa era da attribuirsi a quello strano fagotto che avevano recuperato da Oluk. Cosa c’era dentro? Che Krohs l’avesse rubato a qualcuno e questo qualcuno lo rivolesse indietro? O forse era lui che rischiava di essere derubato? Magari quel coso che nascondeva faceva gola a più gente di quanto non pensasse…

Bene, vorrà dire che indagherò!

Decise mentre seguiva con aria distratta un signore altrettanto distratto e, scivolandogli affianco nella calca, gli sfilava tranquillamente un sacchetto dalla cintura e lo appendeva alla propria, aiutandosi a nasconderlo con il mantello.
Con perfetta nonchalance, si allontanò dallo sconosciuto e passò rasente al banchetto di una bancarella di frutta e verdura, lasciando cadere una manciata di datteri secchi nel borsello e sgraffignando di nascosto due mele e un sacchetto di banane essiccate.
Soddisfatta del suo bottino, decise di defilarsi per controllare cosa ci fosse di interessante nel borsello che aveva sottratto al tizio distratto.
Lo aprì con mani tremanti e pocò ci mancò che si mettesse a gridare di gioia.
Ancora incredula, ficcò una mano nel borsello e ne estrasse una manciata di monete d’oro, notando con gioia che il sacchetto era
ancora bello pesante; a occhio e croce doveva contenere più o meno seicento Trali.

Ho praticamente pareggiato il bilancio della scorsa settimana! Stasera si mangia!

Esultò interiormente, ficcando tutto quanto in una delle grandi sacche che portava appese alla cintura e trotterellando nella direzione da cui era arrivata, raggiante all’idea di potersi permettere una notte in un letto come si deve dopo tutte quelle trascorse in prigione o camminando assieme a Krohs.
A proposito di Krohs, lo ritrovò poco più tardi ad aspettarla di fronte alla locanda, lo sguardo assente perso nella calda luce del tramonto che filtrava dalle cupole.
Aveva già cenato, così Leth divorò in fretta e furia il suo pasto, una zuppa calda che si premurò di bere molto rumorosamente, e lo raggiunse al bancone dove stava consumando una pinta di birra scura.
- Allora, capo, a che ora ci si vede domani? – chiese, rubandogli un sorso di birra.
Krohs sospirò e si riappropriò del boccale con un gesto secco.
- Certo che tu sei proprio cresciuta allo stato brado, eh? – commentò per poi scoprire i denti e accarezzarsi il pizzetto.
- Visto che non tornavi ho pensato di prenotare comunque una stanza per due. Ci penserò io a svegliarti domattina. – spiegò, terminando la sua birra e lasciando una moneta di mancia al garzone.
- Spero che la cosa non ti imbarazzi… - continuò con fare malizioso.
Leth si esibì in un ghignetto trattenuto, .
- Non vedo perché dovrei essere imbarazzata a dividere la stanza con un vecchietto! – replicò, lasciando l’uomo di stucco.
- Hey! Non sono vecchio, piccola selvaggia! – ribatté, inseguendola su per le scale che portavano alle camere da letto.
- Certo, certo, nonno! -  rise lei, piantandosi a braccia conserte in mezzo al corridoio.
- Allora, da che parte? – chiese senza togliersi quel sorrisetto sfacciato dalle labbra, mentre in cuor suo, in realtà, pregava che i letti fossero separati.
Preghiere che si rivelarono ascoltate dagli dei: la stanzetta, piccola e dall’arredamento spartano, era provvista di due letti divisi da un piccolo comodino di legno, accanto alla finestra un vecchio specchio incrostato di ruggine.
- Meraviglioso! Ah, quanto mi mancava poggiare la schiena su un materasso! – esclamò lanciandosi a pesce sul letto che aveva appena designato suo.
Si sfilò mantello, cinture e stivali e li lanciò su una panca che se ne stava accanto allo specchio, per poi infilarsi alla velocità della luce sotto le lenzuola.
Krohs scosse la testa e appoggiò ordinatamente tutte le sue cose ai piedi del letto, liberandosi della camicia ed estraendo dalla sacca l’involto che aveva recuperato alla bottega quel mattino.
Lo infilò sotto il cuscino, poi fece per parlare a Leth, salvo notare che la ragazza si era addormentata come un sasso.
Sorridendo andò a spegnere il lume che aveva acceso entrando nella stanza, ma passando di fronte allo specchio la sua espressione si smorzò di colpo: nel suo cuore avevano preso a rimbombare cupe le  parole che Oluk gli aveva rivolto.
A quanto pare, alla fine, anche lui aveva preso a viaggiare in compagnia…








 
Note:

E anche il terzo capitolo è giunto a un termine!
Sì, lo ammetto, la storia ci sta mettendo un pochino ad ingranare, ma questi capitoli di transizione sono necessari un po' a conoscere meglio i nostri personaggi e un po' a preparare il terreno per la vera vicenda.
Krohs e Leth, dopo una notte e una mattinata di cammino, sono giunti all'Oasi. Com'è che Leth non ne sapeva niente? E cosa significa il discorso che Krohs ha incominciato ma non ha voluto concludere?
Ma specialmente, cosa diamine è andato a recuperare da Oluk?
Insomma, gli interrogativi iniziano a diventare davvero tanti, ed è giunto il momento per Leth di scoprire in quale assurda vicenda il suo onore l'abbia catapultata.... E magari anche di capire che razza di elemento sia questo Krohs!
Niente da fare, adoro il modo in cui questi due si punzecchiano di continuo... <3 xDDD
Come sempre, ringrazio infinitamente chi legge/segue/preferisce/recensisce, siete la mia vita! <3
Kisses,
Koori-chan

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***







Capitolo IV








Il fumo è ovunque, spesso, pesante, cattivo, le aggredisce gola e narici, le impedisce di vedere dove mette i piedi.

Sta bruciando tutto, tutto quanto: le case, gli orti il vecchio granaio, tutto.
Il cielo è nero come i suoi incubi, sente delle urla, ma non riesce a capire chi è.
Corre, o almeno ci prova. Deve andarsene da lì, ma andare dove?
Vorrebbe chiamare Mamma e Papà, ma la voce non esce, nemmeno un rantolo, nulla. E’ muta, muta di fronte alle fiamme che squarciano la notte.
C’è gente che corre, gente che scappa. Loro ce la fanno, loro riescono a gridare.
Cade, inciampa, striscia, prova a nascondersi, ed è a quel punto che lo vede: alto, silenzioso, il mantello nero che fruscia nel vento dell’estate.
Non sa perché, sa solo che, quando lo vede scivolare deciso verso casa sua, non riesce più a restare nascosta, deve seguirlo, deve scoprire cosa vuole fare, fermarlo, se può.
Ma è solo fuoco, è solo calore quando raggiungono la porta. Lui si volta, ed è a quel punto che lo vede: lucente, rosso come il sangue che cola dalla sua spada, un grande medaglione gli pende dal collo e riflette il suo sguardo di stupito terrore.
La casa brucia e brucia anche il fianco, un dolore indicibile che le strappa un urlo acuto, mentre la lama dello sconosciuto le divora brandelli di carne.
Cade a terra, e l’uomo se ne va, mentre intorno tutto è fuoco, fumo, cenere.
Un’ultima fitta lancinante, poi è solo nero.
 








Leth aprì gli occhi di scatto.
Il fuoco era scomparso, del dolore non c’era più traccia, ma l’angoscia era ancora lì, stretta nella sua mano assieme alle lenzuola, acquattata fra le pieghe del cuscino.
La stanza era vuota.
Una luce leggera d’aurora filtrava attraverso i vetri della finestra, calando l’ambiente in un’atmosfera di quiete che poco aveva a che spartire con l’incubo.
Si mise a sedere lentamente, la mano destra a sfiorare la cicatrice lungo il fianco; ormai erano passati quasi dieci anni, eppure quei ricordi, ogni tanto, si ripresentavano a tormentare le sue notti.
Lasciò che lo sguardo vagasse per la stanza, notando la sacca di Krohs ancora ai piedi del suo letto; probabilmente era sceso a colazione. Rimase qualche secondo immobile in quella posizione, l’orecchio teso a captare qualsiasi rumore proveniente dal corridoio oltre la porta, poi balzò in piedi e aprì con gesti febbrili la sacca di iuta abbandonata sul pavimento.
Raspò alla rinfusa cercando di non creare troppo disordine, ma si vide costretta ad arrendersi prima del previsto: il fagotto di panno chiaro non era lì dentro.
Riannodò il laccio che chiudeva la sacca facendo attenzione affinchè non si notasse che era stata aperta e si guardò intorno, riflettendo su dove Krohs avesse potuto nascondere quel misterioso oggetto.
Con un gesto secco aprì il cassetto del comodino, tristemente vuoto, poi tastò le coperte e sollevò il cuscino, ma dell’involto non vi era alcuna traccia.

Se l’è portato dietro…

Considerò, lasciandosi cadere sul letto e sospirando, sconfitta. Per il momento avrebbe dovuto sospendere le ricerche sperando in un’occasione più propizia.
Si vestì in fretta, legò i capelli in una coda alta e divorò un paio di datteri secchi prima di chiudersi la porta alle spalle e scendere le scale fischiettando.
Quando raggiunse il piano inferiore, tutto era tranquillo. I tavoli erano vuoti, fatta eccezione per un paio di viaggiatori intenti a consumare la loro colazione; dalla strada proveniva il leggero chiacchiericcio della città in procinto di svegliarsi, e Krohs se ne stava seduto al bancone e guardava fuori dalla finestra, dandole la schiena.
- Buongiorno, capo! – lo salutò sedendosi accanto a lui.
L’uomo si voltò e le rivolse un sorriso tranquillo.
- Buongiorno, piccola selvaggia! Già in piedi? Ti avrei svegliata io… - le ricordò, offrendole una mela che la giovane rifiutò.
- Tendo a essere mattiera… - spiegò stringendosi nelle spalle. Per un momento le sensazioni sgradevoli dell’incubo tornarono a strisciarle sulla pelle, ma le ricacciò da dove erano venute tentando di non pensarci più.
Krohs le rivolse una lunga occhiata silente, ma non le chiese nulla, e Leth gliene fu immensamente grata. Non le andava di raccontargli quella cosa, non ancora almeno…
Partirono subito dopo aver saldato il conto della stanza, due cavalli alti e dalle linee nobili, il pelo chiaro e la criniera tagliata corta, li aspettavano fuori dalla locanda.
Li condussero a mano fino alla porta della città, che si aprì solenne ad un cenno del custode. Le catene presero a scivolare e uno spicchio di cielo apparve sopra le loro teste, aumentando via via di dimensioni.
A Leth un po’ dispiaceva abbandonare l’Oasi, quella città aveva un nonsoche di magico, ed era certa, a giudicare dall’abbigliamento degli abitanti, che in un paio di giorni sarebbe riuscita a mettere insieme un gruzzolo sufficiente per ripagare il suo debito. Peccato che il suo compagno avesse fretta, e che nella fretta non si fosse nemmeno ricordato di testare le capacità della giovane nel campo dell’equitazione.
- Cosa vuol dire che non sai andare a cavallo?! –
La ladra si fece piccola piccola, sul volto l’imbarazzo più totale.
- Io… non è proprio che non sono capace… E’ che… Insomma, non ho mai montato un cavallo così alto! –
Krohs sgranò gli occhi, un sopracciglio arcuato dall’incredulità e la destra stretta attorno ai finimenti del suo cavallo.
- Hai paura. – constatò.
- No! – ribatté Leth, sempre più rossa in viso.
- Tu hai paura di andare a cavallo! Non potevi dirmelo? Avrei organizzato qualcosa di diverso! – esclamò, esasperato.
Leth sbuffò e lanciò una rapida occhiata alla sua cavalcatura.
- Non ho affatto paura e non c’è bisogno che tu cambi i piani per me!- spiegò, stuzzicata nell’orgoglio.
Infilò un piede nella staffa e tentò goffamente di montare in sella, ma il cavallo mosse qualche passo in avanti e poco mancò che la ragazza piombasse per terra.
- Tu, bestiaccia, vedi di stare fermo, intesi?! – sbraitò, i muscoli irrigiditi dal panico.
Krohs, anziché darle una mano, scoppiò a ridere di gusto, gettando indietro la testa.
- Che tipa… - commentò fra sé e sé.
- Stai calma, percepisce la tua agitazione… - aggiunse mentre l’animale tentava di assaggiare il pareo di Leth e quella lanciava un urletto terrorizzato.
L’uomo le si avvicinò e afferrò il cavallo per i finimenti, mantenendolo fermo.
- Forza, piede nella staffa, mano stretta al pomo, una piccola spinta…- e così dicendo prese la ragazza per i fianchi e la aiutò a issarsi in sella.
Quella aprì gli occhi solo quando si sentì seduta in modo stabile, la mascella serrata e il respiro trattenuto.
- Brava, Leth, hai imparato a montare in sella! – la canzonò il compagno di viaggio imitandola con molta più eleganza.
- Spero di non doverti anche spiegare come farlo camminare… - la punzecchiò.
La giovane sbuffò e alzò il mento.
- No grazie, lo so fare da sola. – e così dicendo diede un colpetto ai fianchi del cavallo, che prese a camminare pigramente verso Ovest.
- Almeno la direzione l’abbiamo azzeccata! – rise Krohs, affiancandola e incassando allegramente la sua linguaccia.
Leth si voltò indietro per un ultimo sguardo all’immensa distesa di sabbia, ma proprio non riuscì a trattenere un’esclamazione di stupore quando vide tre grandi cupole in vetro piombato spuntare dal deserto.
- Cosa diamine?! Ma… Ma… - balbettò, confusa.
- Non ci crederesti… - tagliò corto l’uomo con espressione dura.
La giovane, però, continuava a fissarlo insistentemente, e si vide presto costretto a capitolare.
- L’Oasi, come hai ben visto, è una città nascosta. La sua esistenza non è gradita all’Impero, così il suo ingresso è stato celato alla vista. – spiegò.
L’Impero. Leth ne sentiva parlare da quando era bambina, ma le era capitato di vedere solo una volta un emissario della Grande Città, situata ad Ovest lungo la costa.
- Ma scusa, le cupole adesso sono ben visibili, mentre prima… - obbiettò; non ci stava capendo un granchè di quel discorso…
Krohs annuì e sorrise del suo solito sorriso sghembo.
- Ovviamente. L’Oasi è rintracciabile solo da chi ci sia già stato almeno una volta. E’ grazie a questa Magia che la città ha mantenuto l’anonimato per tutti questi anni: se non hai una guida che ti accompagni, non troverai mai l’ingresso. –
La ragazza tacque, indecisa su come ribattere.
Come poteva pensare che avrebbe creduto a una storiella simile?
Insomma, d’accordo, era una ladra e viveva con poco, ma anche lei era andata a scuola, e sapeva bene quanto quelle parole non avessero alcun senso.
- Krohs, la Magia non esiste… - osservò con tono indulgente e sguardo dolce, temendo di poterlo ferire in qualche modo.
Non accadde, l’uomo non mostrò nessun segnale di fastidio, come se si fosse aspettato una simile replica.
- Te l’avevo detto che non ci avresti creduto. Non ci credetti nemmeno io, la prima volta che mi portarono all’Oasi. Ma all’epoca ero solo uno stupido ragazzetto ingenuo ed ignorante. – raccontò.
- E’ per questo che si nascondono? Perché sanno usare la Magia? – domandò lei, curiosa nonostante lo scetticismo.
Ricordava, nel corso dei suoi viaggi, di aver visto svariate persone processate e giustiziate con l’accusa di stregoneria e tentata ribellione al Governo. Che esisitesse o meno, all’Impero l’idea della Magia non era mai andata giù.
Krohs sospirò e si passò una mano fra i capelli, scacciandoli dal viso.
- Quella che sto per raccontarti è una storia che affonda le sue radici in un passato assai remoto, quando ancora le Quattro Grandi Terre erano libere e indipendenti. – incominciò.
- All’epoca la Magia era una pratica comune, seppur di appannaggio di una sola etnia: gli unici che avessero questa capacità, infatti, erano gli abitanti delle Lande Selvagge, in poche parole la tua gente. –
Leth annuì, da piccola ne aveva sentito parlare spesso dai vecchi del villaggio, ma onestamente credeva fossero tutte vecchie leggende senza il bencheminimo fondo di verità.
- So che un tempo eravamo in molti e avevamo enclavi un po’ in tutte le Terre… - osservò.

Certo, ormai viviamo nascosti nelle foreste alle pendici delle montagne…

Pensò con una strana malinconia: le sarebbe piaciuto vivere ai tempi in cui le Lande Selvagge erano un paese ricco e potente.
- Infatti era così. Il vostro Regno si estendeva lungo la sponda meridionale del Fiume Sari fino al mare. Eravate potenti, prima dei Giorni dell’Impero… -
- E la Magia? Cosa è successo? –
Krohs si concesse un lungo momento di silenzio nel quale cercò le parole più adatte al suo racconto.
- E’ successo quello che succede con le rarità: la vostra gente si è mescolata a quella delle altre terre e il seme della Magia si è lentamente estinto. Quando nacqui io era ormai una peculiarità isolata essere in possesso di questa dote, che comunque era estremamente affievolita rispetto agli albori dei tempi. –
- Quindi quei pochi rimasti in grado di usare la Magia si nascondono all’Oasi? – tentò di tirare le somme Leth.
- Ma scusa, perché l’Impero è contrario a questa pratica? –
Gli occhi del viaggiatore si velarono nuovamente di quell’ombra stanca e antica che la ladra aveva scorto il giorno della Fiera degli Schiavi, ad Agrat.
- All’epoca la Grande Terra aveva già rotto il patto di alleanza con le altre tre e si era lanciata nella sua politica di espansione. Al tramonto della Magia, un gruppo di saggi ne imbrigliò il potere all’interno di alcuni manufatti sacri affinchè non andasse completamente perduto. In questo modo anche i non-magici avrebbero potuto sfruttarne i benefici e tramandarne la conoscenza. Quando l’Imperatore lo venne a sapere bandì ogni forma di magia dalle sue terre, pena la morte. –
Leth scosse il capo facendo mulinare la coda a destra e a sinistra.
- No, non capisco. Se la Magia poteva essere sfruttata anche dagli individui comuni perché l’Imperatore l’ha bandita? Avrebbe potuto usarla a suo vantaggio… - obbiettò.
Un ghigno si andò a dipingere sulle labbra di Krohs, mentre il suo cavallo sbuffava con disappunto.
- Infatti lo fece. Attirò alla sua corte i migliori sicari delle Quattro Grandi Terre e se ne servì affinchè gli portassero tutti i manufatti creati dagli antichi saggi. Solo allora decretò la Magia illegale e istituì la pena di morte per chiunque fosse stato colto a praticarla. Lentamente il ricordo di questa antica conoscenza cadde nell’oblìo, così come tutto ciò che era stato prima dell’Impero, quando i Regni prosperavano liberi in fratellanza. Anche la Storia è stata riscritta, e nell’arco di un paio di generazioni, come tu stessa mi mostri, l’Imperatore ottenne ciò che desiderava: un mondo senza radici, ignorante e disperato, precipitato in un caos che solo una guida saggia e potente può dominare. Solo lui e i suoi più alti ufficiali sanno come utilizzare i manufatti, e di conseguenza la Magia... –
Leth deglutì, gli occhi sgaranti e le mani strette attorno alle redini.
Tutto quello era assurdo. Così assurdo che lentamente la ragazza incominciava a capire.
- Vuoi dire che ha fatto della sua persona un oggetto di culto cancellando tutto ciò che è stato prima di lui?! – esclamò, incredula.
- Il vostro popolo era quello in cui l’Antica Tradizione era maggiormente radicata e quindi fu quello che subì la repressione più violenta. La tua gente tenne duro per molti anni, ma infine fu costretta a cedere. Sai perché non vi sono più villaggi nella Valle? –
- “Il Buio Preserva la Luce”. Fuggono dagli emissari dell’Impero! – comprese citando il motto delle sue genti, motto che non aveva mai davvero capito durante l’infanzia e su cui non si era poi interrogata più di tanto crescendo.
Come un fulmine che squarcia la notte, il ricordo dell’incubo le comparve davanti agli occhi, vivido, reale, appiccicoso e caldo come il sangue che crepitava fra le fiamme.
Era per quello che erano venuti, era per quello che i grandi non li lasciavano mai uscire dalla Foresta.
Improvvisamente rivide il medaglione scarlatto e lucente dell’uomo che l’aveva ferita quella sera di terrore. Che fosse stato uno dei manufatti?
- Alcuni rimasero nei boschi delle Lande Selvagge, altri emigrarono, cercando rifugio nelle poche città amiche che ancora resistevano agli eserciti dell’Imperatore, molti si nascosero nell’Oasi, roccaforte della Magia. – concluse Krohs sospirando.
Dopo quelle rivelazioni proseguirono in silenzio, al trotto, fino al sentiero che si snodava fra le dune verso il breve e placido Fiume Kirib, che marcava il confine fra la Terra della Luce, dove si trovavano, e la Terra dei Venti, nella quale erano diretti.
Leth rimase a testa bassa fino all’ora di pranzo, che consumò in silenzio e velocemente. Quella scoperta l’aveva sconvolta e nel suo cuore stava avendo luogo una violenta tempesta.
In tutti quegli anni, pur diffidando dell’Impero, non si era mai interessata al suo potere e al modo in cui influenzava le vite dei cittadini, ma alla luce delle parole di Krohs tutto assumeva un nuovo significato. Agrat era un’invenzione, una farsa, una geniale messinscena affinchè tutto sembrasse ancora più reale. Niente Antichi Re, niente Rovine, niente di niente.
E la stessa cosa valeva per tutte le altre città che aveva visitato nel corso degli anni!
Era tutto una menzogna, tutto quanto. Era tutto falso, eccetto la disperazione.
Agrat era una città agiata, Capitale satellite di un Impero fortemente accentratore, ma le borgate lì attorno puzzavano di miseria e malattia, di trascuratezza, di abbandono.
Dopotutto persino lei era stata costretta a spostarsi e percorre leghe e leghe prima di trovare un luogo dove aveva potuto abituarsi ad avere il cibo in tavola tutte le sere, o quasi.
Abitudine.
Si vergognò di quella parola, e la sputò sulla sabbia rovente dall’alto della sua cavalcatura, mentre uno strano odore salmastro le punzecchiava le narici giungendo da lontano.

Alla fine ci sono cascata in pieno…     

Rimuginò, piena di rancore verso quel governo che, da quello che aveva appena scoperto, era responsabile della sua infanzia deturpata e gettata alle ortiche.
Si era abituata a quella routine preimpostata che l’Impero imponeva, aveva dimenticato i canti delle sue terre e si era uniformata alla falsità e all’oblìo.
In un certo qual senso era stato come tradire il suo sangue, e questo le dava la nausea.
- Non è colpa tua. Molti sono caduti in questo inganno e molti ignorano la verità. – cercò di confortarla Krohs mentre i raggi del sole calante inizavano a colorare il cielo di tinte più tenui.
- Non credevo di vivere all’ombra di una dittatura. Vedevo il male e non sapevo con che nome chiamarlo. Stupidamente lo credevo normale. – replicò, cupa.
Il paesaggio attorno a loro era lentamente cambiato: dalle dune avevano preso a fare capolino spunzoni di roccia calcarea dai colori del tramonto, a volte scavati in piccoli cunicoli per offrire riparo ai minuscoli roditori dalle orecchie enormi che trovavano refrigerio all’ombra dei loro profili.
Proprio in quel momento stavano conducendo i cavalli al passo fra due di questi immensi spunzoni, il sole coperto dalle creste affilate.
- Hai scelto di non macchiarti del delitto dell’omicidio, questo da solo basta a farti onore. Non avrai combattuto il male, ma almeno lo hai evitato. – osservò l’uomo lanciando uno sguardo alle loro spalle.
Leth sobbalzò sulla sella.
- Come lo sai? –
- Ho visto come ti muovi, sei molto precisa quando è richiesto. Sono rimasto stupito dai tuoi gesti scoordinati quando alla Fiera degli Schiavi hai tentato di colpirmi. Poi mi hai raccontato di essere una ladra, la migliore di Agrat, addirittura. – e qui si concesse una piccola risata di scherno, impregnata però di qualcosa che Leth individuò con stupore come affetto.
- Una ragazza abile come te non si sarebbe mai fatta acciuffare senza provare a difendersi, una ragazza come te non mi avrebbe mai permesso di raggiungere la Porta Orientale della città avendo servita su un piatto d’argento l’occasione di tagliarmi la gola. Ne ho dedotto che non hai mai ucciso, né mai ci hai provato. –
Leth annuì piano, lo sguardo puntato alla sabbia ai suoi piedi.
- La vita è sacra, e da una singola vita possono dipenderne molte. – spiegò in un sussurro.
- Uccidere mi fa ribrezzo. – mormorò così piano che non fu certa di essere stata del tutto udita.
Percepì che Krohs la stava fissando accigliato, ma non ebbe il coraggio di sollevare lo sguardo sulle sue iridi azzurre ora così buie finchè anche lui non esternò il suo parere a riguardo.
- Anche a me, Leth. Anche a me… - fece con voce stanca, quasi consunta da un peso che la ladra comprese come una puntura all’altezza del cuore.
Fu in quel momento che accadde.
La giovane non capì appieno, sentì solamente un lieve spostamento d’aria, prima che il braccio destro prendesse a bruciarle.
Il cavallo di Krohs impennò, lanciando un potente nitrito, e l’uomo lo voltò in fretta verso la sua compagna.
- Leth, scappa! – gridò, prima di sgranare gli occhi e farla cadere da cavallo con un violento spintone.
Qualcosa le passò appena sopra la testa, e Leth fece giusto in tempo a sputare un po’ di sabbia e a rendersi conto che il braccio stava sanguinando prima che gran parte dello spunzone calcareo alle sue spalle saltasse in aria sbriciolato sotto la potenza di chissà quale energia.
- Krohs! – chiamò, disorientata e spaventata da quel caos.
Cercò di ignorare il dolore al braccio e sguainò il suo fidato pugnale, scattando automaticamente in posizione di difesa.
- No, Leth, vattene! Scappa! – replicò quello, la spada sguainata e le redini ancora in mano, mentre il sole ormai calava.
In cima all’altra cresta, vestiti di nero e con strani gioielli ad adornare gli abiti, quattro individui li squadravano minacciosi.
Senza preavviso, uno di loro alzò una mano in direzione di Krohs e, chissà come, lanciò un getto di fuoco che costrinse il viandante a gettarsi a terra proprio come aveva fatto per salvare la ladra.
I loro cavalli, terrorizzati, scalpitarono e nitrirono, per poi partire al galoppo verso il pieno deserto.

Chi sono questi? Cosa diamine vogliono?

Strinse maggiormente la presa attorno al pugnale, non doveva avere paura, non poteva permettersi di avere paura.
Uno dei loschi assalitori le piombò davanti e sollevò una mano come aveva fatto il suo compare, ma la ragazza sapeva cosa aspettarsi e rotolò di lato, evitando l’attacco del nemico.

Magia! Questa è per forza Magia!

Considerò, mentre cercava di ragionare ed escogitare in fretta un piano d’azione.
A pochi passi di distanza, Krohs stava combattendo simultaneamente con gli altri tre ed era piuttosto in difficoltà.
Le aveva detto di scappare, ma come poteva abbandonarlo? Aveva un debito nei suoi confronti, non lo avrebbe mai lasciato in mano a quei folli!
- Krohs, sai che non puoi batterci! Daccelo! – esclamò uno di loro.
Lo conoscevano. Si erano già visti e cercavano qualcosa.

Il pacchetto di Oluk!

Leth fece una mezza giravolta su se stessa e si portò al fianco del suo nemico, piantando poi il suo pugnale nella coscia dello sconosciuto, all’altezza del ginocchio, e muovendolo con decisione verso l’alto.
L’uomo lanciò un grido straziante e cadde a terra tenendosi la gamba da cui il sangue aveva preso ad uscire a fiotti.

Fuori uno!

Corse in direzione di Krohs per dargli manforte, ma si bloccò quando lo vide trapassare da parte a parte il torace di uno dei nemici con la spada.
- A terra, Leth! – gridò piroettando a destra e spingendo al suo posto uno degli uomini in nero.
La ragazza obbedì, e vide con la coda dell’occhio un’altra scia luminosa solcare l’aria e colpire in pieno l’assalitore.
Di quell’azione, però, aveva notato anche un’altra cosa.
Nel voltarsi, qualcosa era scivolato fuori dalla camicia di Krohs, volando lontano sulla sabbia.
Anche l’ultimo nemico rimasto in piedi se ne accorse. Approfittò di un attimo di distrazione del suo avversario per assestargli un violento colpo nello stomaco che lo fece cadere bocconi e spiccò un salto in avanti, verso il punto in cui era caduto l’oggetto.
- Col cavolo! – urlò Leth, balzando nella stessa direzione e arrivando per prima a mettere le mani sul piccolo involto.
Se ne pentì immediatamente.
Una violenta ondata di calore le pervase il corpo dall’interno, le sembrava di stare andando a fuoco, intorno a lei una luce accecante.
Per un momento le parve di essere sul punto di esplodere e, terrificata, lasciò cadere il pacchetto.
La luce scomparve all’istante, di fronte a lei il nemico stava terminando il gesto necessario a pugnalarla in pieno petto.
In preda all’istinto, sollevò una mano e la spinse sulla sua faccia.
Un terribile rumore sfrigolante la indusse ad aprire gli occhi; con un urlo di terrore lasciò la presa e cadde a terra, mentre la spada di Krohs faceva capolino dallo sterno dello sconosciuto.
Cadde al suolo accanto a Leth, il volto deturpato da una cicatrice fresca e oscena, come se avesse infilato la faccia in una pozza di fuoco.
Prima che potesse succedere qualsiasi altra cosa, Krohs finì anche l’uomo che per primo aveva combattuto contro Leth e poi tornò di corsa al suo capezzale.
- Stai bene? – chiese, un rigagnolo di sangue che gli colava lentamente lungo la fronte e lo sguardo preoccupato.
La ragazza non rispose, gli occhi sgranati e i muscoli ancora tesi dal terrore e dal disgusto per ciò a cui aveva assistito.
- Leth, stai bene? – domandò ancora, il tono di voce più alto mentre la scuoteva per le spalle.
- Io… Sono… Sono stata io… Io l’ho… Come… - balbettò lei, ancora scioccata da quanto era successo al suo ultimo aggressore, gli occhi vuoti e aridi che sembravano fissarla nel buio.
Krohs esaminò rapidamente il cadavere, poi notò il pacchetto di stoffa bianca ai piedi della compagna di viaggio e tornò a voltarsi di scatto verso di lei.
Raccolse in fretta l’involto e lo infilò nella sua sacca per tornare a concentrarsi su Leth e sulla scena che li circondava.
Si alzò in piedi e il suo sguardo divenne più serio che mai.
Trasse un profondo respiro e si passò una mano fra i capelli, asciugandosi il sangue sulla faccia con una manica della camicia.
- A questo punto cambia tutto… - considerò enigmatico, mentre la luna dava il cambio al sole e le prime stelle facevano capolino nel cielo già buio.
Leth deglutì.
Non aveva capito nulla, ma una cosa la sapeva per certo, e la percepiva sottopelle come il sangue: quella volta si era ficcata davvero in un gran bel casino.













 
Note:

Gente, se Dio vuole sono riuscita ad aggiornare! xD
Chiedo scusa a chi aspettava il seguito di questa storia, ma la scuola e il lavoro in questi ultimi tempi sono stati particolarmente massacranti... ^^"
Finalmente iniziamo a scoprire qualcosina in più!
Innanzitutto abbiamo una finestrella sul passato di Leth: come si evince anche dal discorso di Krohs, l'Impero non è molto diplomatico nei confronti dei suoi oppositori, e si da il caso che la gente di Leth fosse etichettata come tale.
Certo, il sogno non ha spiegato poi più di tanto, ma molto presto avremo chiarimenti in merito...
Qualcuno aveva chiesto che fine avesse fatto il fantasy in questa storia: eccolo qui, nascosto per timore del governo centrale!
Mi rendo conto che le spiegazioni di Krohs risultino al 90% incomprensibili, ma nemmeno la nostra protagonista in realtà ci ha capito un granchè, quindi avremo modo di ottenere altre informazioni!
Piccolo momento di esaltazione personale... FINALMENTE SI PESTANO!
Scusate, ma adoro le scene di lotta/battaglia/sangue blabla... X°°
Ma cosa diamine è successo a Leth? E chi erano i loschi figuri vestiti di nero?
Nel prossimo capitolo Krohs ci dovrà un bel po' di spiegazioni...
A proposito! Visto che i nostri eroi(?) hanno iniziato a spostarsi pensavo di postare una piccola mappa del mondo che ho immaginato, così, giusto per capirci qualcosina di più fra tutti i nomi geografici... E se ne avete voglia avrei anche un disegno di Leth e Krohs da mostrare al gentile pubblico~
Li posto o lascio perdere? Mi affido al vosto giudizio... V.V
Come al solito grazie a tutti coloro che leggono/recensiscono/preferiscono e seguono. Davvero,non avrei mai pensato che questa storia avrebbe riscosso questo successo!
Vi voglio bene! <3
Kisses,
Koori-chan

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***








Capitolo V













La luna brillava silenziosa nel cielo, illuminando con i suoi pallidi raggi i corpi senza vita dei quattro assalitori, mentre la sabbia ancora calda filtrava il loro sangue.
Nel deserto c’era il silenzio più assoluto, così totale che Leth riusciva a sentire i battiti del suo cuore rimbombarle nel petto.
Era ancora seduta nel punto in cui si era lasciata cadere alla fine del combattimento, lo sguardo vacuo fisso a terra e le ginocchia raccolte al petto. Non si era più mossa, non voleva più farlo. Voleva rimanere lì, per sempre, finchè le dune non l’avessero inghiottita e il suo ricordo fosse perso per sempre.
Krohs non le aveva più detto niente, si era limitato a coprire il volto sfigurato del nemico con un lembo del mantello nero, prima di perquisire il cadavere e sottrargli il borsello.
Per Leth quella sarebbe stata una pesca facile, e forse avrebbe potuto saldare i conti con l’uomo, ma la sola idea di derubare un morto le dava la nausea.
Non era per attaccamento alla morale, no: già diverse volte si era vista costretta a raspare nelle tasche di un cadavere per evitare di morire di fame, ma quella volta era diverso.
Quella volta il corpo era ancora caldo, e nonostante il mantello sul viso quegli occhi continuavano a fissarla.
Era stata lei.
Lei, con le sue mani, con la sua pelle, con la sua volontà.
Lei aveva arso la carne viva di quell’uomo con un semplice tocco, lei ne aveva spento per sempre le iridi, rendendole secche come vetro scheggiato.

Piantala, non è colpa tua, è stato Krohs a dargli il colpo di grazia!

Tentò di convincerla la parte razionale di sé, ma il risultato non fu molto soddisfacente: un conato di vomito la costrinse a portare le mani alla bocca e a piegarsi in avanti.
Solo a quel punto Krohs alzò lo sguardo dal cadavere che stava esaminando e tornò da lei, accucciandosi al suo fianco.
- Hey… Va tutto bene, è tutto apposto, Leth… - sussurrò cercando di tranquillizzarla.
Lei alzò lo sguardo su di lui, e per un lungo momento sentì di provare un odio profondo nei suoi confronti.
Era colpa sua se era finita in quel casino, colpa sua che l’aveva comprata alla Fiera, colpa sua che l’aveva portata con sé, colpa sua che l’aveva coinvolta in tutto quello.
- Adesso alzati, coraggio… Dobbiamo proseguire… - le intimò con dolcezza, ignaro della bolla incandescente che stava per scoppiarle nel cuore.
Leth obbedì in silenzio, rifiutando però la mano che l’uomo le tendeva.
Cercò di ignorare il bruciore al braccio e si strinse nel mantello, prendendo a camminare a caso fra le dune.
- Abbiamo perso i cavalli. – sentenziò piatta dopo qualche passo.
- Sono scappati verso Nord-Ovest, dove stiamo andando noi… Li troveremo lungo il cammino, non ti preoccupare! – esclamò, positivo.
Si vide presto costretto a togliersi il sorriso dalle labbra, schiacciato dal sentimento negativo che opprimeva la compagna.
Sapeva quali pensieri agitavano il suo cuore, e proprio perché sapeva decise di lasciarla stare, proseguendo in silenzio lungo il cammino.
Come pronosticato, ritrovarono i cavalli dopo un quarto d’ora di marcia; non si erano allontanati molto, e per fortuna nello scontro non erano rimasti feriti. Rimontarono in sella e nell’arco di due ore raggiunsero la destinazione.
Un forte odore di salino punzecchiava le narici, e se Leth non fosse stata impegnata a disprezzarsi si sarebbe certamente meravigliata alla vista che si presentò loro scollinando l’ultima duna.
Limpido, vasto, luccicante sotto le stelle, il mare si estendeva a perdita d’occhio, punteggiato qua e là dai lumini delle barche dei pescatori.
Ai piedi della duna, lungo la costa, un villaggio dalle medie dimensioni si lasciava accarezzare dalle onde, quieto e accogliente dopo la baraonda del giorno.
Scesero fino in centro, alla ricerca di una locanda che potesse ospitarli per la notte e prendersi cura delle loro cavalcature.
Ancora una volta scelsero di condividere la camera, decisione affidata più a Krohs che altro, dal momento che la ragazza non aveva più aperto bocca da quando erano ripartiti.
Si decise a parlare solamente quando furono al sicuro dietro una porta chiusa, e le sue parole non furono certo quelle che l’uomo si era immaginato.
- Cosa c’è in quel pacchetto. –
Non era una domanda, era quasi un ordine. I suoi occhi blu erano ora foschi e addensati dalla rabbia, come un cielo che si prepara alla tempesta.
- Leth, non… - esordì il viandante.
- Krohs, ho ucciso un uomo, cosa c’è in quel pacchetto! – replicò, il tono di voce più alto e acuto.
- Ssssh! Non gridare! – le intimò il compagno di viaggio, portando le mani avanti come se avesse dovuto placare chissà quale belva selvaggia.
- Tu non hai ucciso nessuno, è stato un incidente, sono stato io a… - tentò.
- Gli ho bruciato la faccia, credi che sarebbe andato molto lontano se tu non fossi intervenuto?! Dei, cosa ho fatto… Dimmi cosa c’è in quel pacchetto o giuro che è la volta buona che mando a quel paese i miei precetti e ti taglio la gola! – lo minacciò, sguainando il pungale e cercando di mantenere salda la presa, nonostante la mano le tremasse visibilmente e un fastidioso groppo in gola le impedisse di respirare come si deve.
- Leth… -
- Dimmelo… - balbettò, gli occhi ormai velati di lacrime e di terrore.
Krohs mosse un passo in avanti, e con una singola falcata raggiunse la ragazza, circondandole le spalle in un abbraccio forte e al contempo delicato che la colse impreparata come una scarica elettrica.
Accadde, accadde e basta.
Lasciò cadere il pugnale che raggiunse il pavimento tintinnando e abbandonò la testa contro il petto dell’uomo, lasciando che profondi e dolorosi singhiozzi le scuotessero il corpo da cima a fondo.
Era consapevole del fatto che appena ripresa si sarebbe pentita amaramente di quel segno di debolezza, ma adesso proprio non ce la faceva, si sentiva spezzata dentro come una spiga di cristallo sotto una falce d’acciaio e piangere tutta la sua paura era l’unica cosa che riusciva a fare.
Krohs le portò una mano sul capo e prese ad accarezzarle piano i capelli, mentre lei si aggrappava alla sua camicia e cercava di inghiottire il dolore una volta per tutte.

Basta, Leth, smettila. Non serve a niente, smettila.

Eppure quell’abbraccio così inaspettatamente dolce la faceva sentire sicura, protetta, capita, la faceva sentire come non si sentiva da dieci lunghi anni.
- Va tutto bene, Leth… Possiamo gestirlo, possiamo domarlo… Non hai nessuna colpa, nessuna… - sussurrò Krohs quando sentì i respiri della ragazza farsi meno profondi e più cadenzati.
- Ho paura… - mormorò lei, sincera e nuda di fronte all’orrore di quella sera.
L’uomo sciolse l’abbraccio e la condusse fino a uno dei due lettini spartani, per poi farla sedere.
Raccolse la sua sacca da terra e si accomodò accanto a lei, sfasciando lentamente l’involto che gli aveva consegnato Oluk.
Ne emerse un medaglione dorato al centro del quale era incastonato un grosso rubino tagliato a sezione circolare.
Leth trasalì, aveva già visto quel medaglione.
- Perché ce l’hai tu? – domandò asciugandosi gli occhi, sempre più confusa e spaventata.
Lo ricordava, lo ricordava bene. Era l’ultima cosa che aveva visto prima di perdere i sensi, la notte in cui l’Impero aveva bruciato il suo villaggio e i suoi genitori erano stati uccisi.
Krohs si accigliò.
- Lo conosci? – domandò, stupito.
- Può darsi. – replicò la ragazza, incerta se dire la verità o meno.
Ci fu un lungo momento di silenzio, poi l’uomo riprese a parlare.
- Oggi ti ho parlato della Magia, di come gli antichi saggi l’abbiano imbrigliata in alcuni sacri manufatti di cui l’Imperatore si è servito per creare la sua potenza… - esordì.
- Ebbene, non tutti sono caduti nelle sue grinfie. Dei Sette Talismani solamente due sono riusciti a rimanere celati al suo dominio, e si da il caso che uno dei due sia proprio questo. –
Leth ponderò per qualche secondo prima di replicare.
- E per quale motivo dieci anni fa colui che mi inflisse questa cicatrice lo portava al collo? –
Quella frase fece calare il gelo all’interno della stanza.
Quella era un’accusa grave e intrisa di diffidenza, e Krohs sapeva di non poterle dimostrare nulla.
Avrebbe dovuto credergli sulla fiducia, non c’era altro modo.
- Chiunque sia stato a lasciarti quel segno, Leth, ti giuro sugli Dei che non sono stato io. Ci sono orde di studiosi al servizio dell’Imperatore che ogni giorno ricercano nuovi modi di clonare e imbrigliare la Magia: so che ultimamente hanno imparato a produrre e caricare nuovi Talismani, non mi stupirei se quello che hai visto altro non fosse che una copia del mio… - considerò, le sopracciaglia aggrottate mentre cercava una spiegazione.
- Quindi sai usare la Magia. – fu la conclusione a cui giunse la giovane.
- Perché prima non l’hai sfruttata per difenderti? – incalzò, curiosa e non ancora del tutto convinta a tornare a fidarsi di lui.
Krohs sospirò e ripose il medaglione nella sacca, non prima di averlo riavvolto nel panno bianco.
- Io non ho alcun potere magico senza il medaglione. Un mese fa si è rotto e sono stato costretto a portarlo all’Oasi affinchè Oluk lo riparasse. Credevo che il suo lavoro sarebbe stato sufficiente, invece ho scoperto che l’anima del cristallo si è scheggiata, e quindi avrà bisogno di un diverso trattamento per funzionare di nuovo. Finchè il mio Talismano sarà in queste condizioni io non sono altro che un comunissimo viaggiatore… - spiegò facendo spallucce.
Leth annuì, il respiro di tanto in tanto ancora spezzato dalla paura di poco prima.
Una domanda le martellava la coscienza, ma temeva ad esporre i suoi dubbi e non era del tutto certa di voler conoscere la verità. Prima che potesse anche solo aprire bocca, però, Krohs la anticipò.
- Quello che è successo stasera è molto strano, perciò devi starmi ad ascoltare con estrema attenzione, Leth. – incominciò, mentre dalla sacca faceva emergere la borraccia e delle bende e iniziava a medicarle la ferita sul braccio.
Quando prese a pulire il sangue rappreso attorno al taglio la giovane sussultò appena, stringendo i denti per resistere al bruciore.
- Vai avanti, ti ascolto… -
- Un Talismano non è semplice da usare. Innanzitutto è legato al suo possessore da un vincolo profondo, di modo che se anche venisse rubato difficilmente potrebbe essere utilizzato dall’eventuale ladro senza un allenamento intenso e molto faticoso. Avrai capito che non tutti possono usare la Magia, è necessario che il suo potere, anche in minima parte, sia presente nel sangue di chi vuole esercitarlo, altrimenti ogni sforzo sarebbe vano e anzi, la Magia risucchierebbe ogni forza vitale di chiunque provasse a utilizzarla, stroncandolo senza pietà. – raccontò.
- In effetti è stato doloroso… Ho pensato che sarei morta, sembrava che volesse bruciarmi da dentro… - ammise Leth, mentre Krohs le sistemava con un nodo la stretta fasciatura.
Quello scosse la testa e si guardò attorno con circospezione, quasi si fosse aspettato di vedere qualche altro nemico spuntare dai muri o da sotto il letto.
- No, Leth, non hai capito. Lì per lì ho pensato che il potere del Talismano si fosse incanalato in te e tramite il tuo corpo si fosse manifestato, ma i conti non tornano: il medaglione è rotto. –
- Quindi? Cosa diamine è successo? Come ho fatto a fare… insomma, quella cosa che ho fatto? – domandò, un fremito nella voce al ricordo del terribile rumore che aveva udito nel difendersi dallo sconosciuto.
Krohs chiuse gli occhi, alla ricerca del modo migliore per esporre la sua teoria, poi le mise una mano sulla spalla in un gesto quasi protettivo.
- Temo che la risposta sia estremamente semplice quanto di proporzioni colossali. Io credo che tu sia una Portatrice Innata. – spiegò.
- Una cosa?! –
Leth deglutì. Non sapeva perché, ma quel titolo non le ispirava niente di buono. Sembrava quasi la condanna ad un’incurabile malattia, qualcosa di terribile e drammatico.
- Un Portatore Innato è una persona nella quale il seme della Magia si presenta spontaneamente come alle origini; individui simili non hanno bisogno dei Talismani per esercitare i loro poteri… - così dicendo tese le labbra in un sorriso rassicurante e si alzò in piedi, avvicinandosi alla finestra appena incrostata di sale.
- Non preoccuparti, non saresti l’unica. E comunque la mia è solo un’ipotesi: ciò che è successo stasera potrebbe essere semplicemente un caso… -
La ladra sospirò e lasciò che il suo sguardo si perdesse nella luce della luna che, al di là del vetro, illuminava la città e il mare.
- Forse adesso è il caso di andare a dormire… - mormorò dopo qualche minuto di silenziosa riflessione.
Krohs annuì e si sfilò la camicia, appoggiandola sulla seggiola accanto al suo letto.
- Già… Oggi è stata una giornata intensa. Riposiamo, domani andrà meglio! – esclamò come buonanotte per poi darle le spalle e terminare di mettere in ordine le sue cose.
Leth non rispose, l’aria imbambolata e lo sguardo fisso sull’ampia schiena dell’uomo; la pelle abbronzata era solcata da decine di sottili segni bianchi, cicatrici di un passato ignoto e sicuramente ricco di avventure.
Improvvisamente la giovane si sentì strana, fuori luogo accanto a quell’individuo che aveva dimostrato di possedere tante qualità.
Che cos’era lei, se non una persona qualunque, una sciatta ladruncola di periferia senza una casa, senza radici?
Polvere, sabbia, cenere forse. Nulla di più.
Eppure adesso si riscopriva nuova, diversa, improvvisamente posta di fronte alla possibilità di dare una svolta alla sua vita, essere qualcuno, diventare completa.
Che ne sarebbe stato di lei se Krohs avesse avuto ragione e fosse stata una Portatrice Innata? Avrebbe potuto imparare a domare quel terrificante potere che l’aveva condotta a compiere un gesto tanto brutale e scellerato? Qualcun altro sapeva di quella cosa? Se la notizia fosse giunta alle orecchie dell’Imperatore? Avrebbe lei dovuto fuggire, nascondersi all’Oasi con gli altri e rinunciare del tutto alla sua libertà?
Sfilò gli stivali con calma, rallentata dal peso delle sue preoccupazioni, poi lanciò un’ultima occhiata al suo compagno di viaggio, intento pulirsi la fronte ancora incrostata di sangue.

Forse dovrei provare a fidarmi di lui sul serio. Dopotutto stasera mi ha salvata di nuovo…

Ponderò, imitandolo e scivolando sotto le lenzuola.

Fantastico, così sono doppiamente in debito!

Realizzò una frazione di secondo dopo con un leggero moto di stizza.
- Buonanotte, Krohs… - sospirò prima di soffiare sulla candela che illuminava la stanzetta per poi voltarsi su un fianco e dargli le spalle.
Calò una quiete composta, accarezzata di tanto in tanto dai bisbigli delle onde sui ciottoli in spiaggia.
Il respiro di entrambi era calmo e regolare, ma quando riuscirono finalmente a prendere sonno, ognuno avviluppato nei propri timori, la Luna era già alta sopra l’orizzonte.
Leth dormì un sonno profondo e senza sogni, e impiegò qualche secondo, la mattina dopo, a capire che la mano che la scuoteva dolcemente apparteneva a Krohs.
Si mise a sedere sbadigliando sonoramente, senza premurarsi di portare una mano alla bocca, mentre il compagno accanto a lei scuoteva la testa divertito.
- Sbrigati a prepararti, piccola selvaggia: oggi ci aspetta una lunga marcia! – esclamò radunando le sue cose.
Fecero colazione velocemente e lasciarono la locanda diretti al porto.
La giornata era splendida, e la brezza in arrivo dal mare rinfrescava la pelle e lo spirito dopo tutta quella strada nel deserto.

Così è questa Porto Agrat…

Leth aveva sentito parlare più volte di quella città che ogni giorno, grazie alle navi in arrivo dal Nord, riforniva direttamente la capitale di beni di ogni genere.
Era un centro relativamente piccolo, eppure il viavai di persone era così animato da non avere nulla da invidiare alla Piazza del Mercato di Agrat. 
Senza allontanarsi mai troppo dal suo compagno di viaggio, la ragazza trotterellava qua e là, sbirciando fra le imposte socchiuse delle vecchie case incrostate di sale e soffermadosi a spulciare le bancarelle del mercatino sotto i portici.
Ogni tanto Krohs rallentava il passo e la imitava, soffermandosi a soppesare fra le mani qualche strano oggettino dall’aria esotica e scambiando opinioni con la ragazza.
Dal canto suo, la ladra era estasiata da tutti quei colori e quei profumi che le solleticavano le narici.
Con gli occhi spalancati di stupore raggiunse la spiaggia e si lasciò cadere sulla sabbia tiepida. Di fronte a lei, lambite dalla marea, se ne stavano decine di barche colorate, la prua di ciascuna dipinta con un simbolo diverso.
- Krohs, è meraviglioso!- escamò, voltandosi ad incontrare lo sguardo dell’uomo.
Quello la raggiunse senza tuttavia sedersi accanto a lei.
- Non avevo mai visto il mare dal vivo! E’… è stupendo! – continuò la giovane, negli occhi il riflesso dell’acqua azzurra e limpida.
Krohs le rivolse un sorrisetto sghembo.
- Non esiste niente di bello e selvaggio come il mare… - constatò con un retrogusto malinconico nella voce.
Si riscosse in fretta, indicandole una bottega sotto ai portici all’esterno della quale sventolavano bandierine e scampoli di stoffa colorati.
- Devo fare alcune commissioni prima di partire… Al Lago la temperatura è più fredda rispetto alla costa, ti consiglierei di comprarti dei vestiti un po’ più caldi… - suggerì con un’occhiata allusiva all’abito tradizionale della Terra della Luce, che difficilmente l’avrebbe tenuta al caldo spostandosi a Sud.
Leth sorrise e si strinse nel mantello.
- Fra quanto ripartiamo? – domandò, già facendo il calcolo mentale della somma che avrebbe potuto destinare agli acquisti.
- Un quarto d’ora, sii rapida! – la ammonì l’uomo, salutandola con un cenno del capo e incamminandosi lungo la strada che costeggiava la spiaggia.
La ragazza si alzò in piedi e si scrollò la sabbia di dosso, poi si incamminò a sua volta dove indicatole, fischiettando accompagnata dai canti dei gabbiani.
La bottega era ben fornita, e gli abiti già confezionati erano molti e dai colori e dalle stoffe più vari.
Le piacevano i negozi di stoffe, le ricordavano quando da bambina andava a comprare con sua madre: spesso, dopo gli acquisti, la donna le regalava un piccolo nastrino colorato con cui legare i capelli ondulati.
Quel ricordo felice gliene portò alla mente uno molto più recente e assai più difficile da catalogare.
Presa dalla novità del luogo, da quando si era svegliata non aveva avuto un momento per riflettere su quanto accaduto la sera prima.
Quello che Krohs le aveva detto era in realtà un gran bel problema: se avesse avuto ragione, probabilmente, la sua vita sarebbe stata da considerarsi in pericolo.
L’aveva abbracciata.
Lì per lì non ci aveva fatto molto caso, sconvolta dalla paura e dalla rabbia, ma adesso notava come quello fosse il primo vero contatto fisico fra loro due da quando si erano incontrati ad Agrat, ignorando tutte le volte in cui l’aveva strattonata qua e là mantenendo salda la presa sui suoi polsi.
Ma la sera prima era stato diverso.
Vi era qualcosa di più dell’esigenza della fretta in quel gesto. Vi era dolcezza, forse affetto. Vi era desiderio di condividere il peso di quella scoperta.
Si sorprese a stare arrossendo di fronte alla debolezza che aveva mostrato crollando a quel modo, eppure sentiva di non essere stata giudicata.
Krohs non aveva più accennato a quella discussione, e questo non aveva fatto che avvalorare l’idea che si era fatta di lui come di un uomo riservato e, dopotutto, abbastanza sensibile.

Che strano tipo…

Constatò fra sé e sé facendo spallucce mentre esaminava un completo dalle tinte tenui dell’aurora.
Lo rimise a posto, non era il suo genere. In una cesta poco lontana individuò quello che cercava: abbandonati da una cliente insoddisfatta, un paio di pantaloni scuri e un bustino verde muschio sembravano chiamarla.
- E’ tutto fatto a mano, signorina. Taglia unica, è in fibra di Wyspos! – esclamò la commessa apparendole alle spalle come un avvoltoio.
Leth trasalì e tese le labbra in un sorriso infastidito.
Detestava essere interrotta mentre faceva acquisti, e non aveva la più pallida idea di cosa fosse la fibra di Wyspos.
Raspò nel borsellino che portava appeso alla cintura e si diresse al bancone per pagare, decidendo all’ultimo minuto che sarebbe stato saggio comprare anche una sacca come quella che aveva Krohs.
Quando un paio di minuti dopo uscì dalla bottega e tornò in spiaggia ad aspettare il suo compagno, Leth poteva dirsi più che soddisfatta.
Si sedette nuovamente sulla sabbia e aprì il borsello per controllare quanto le fosse rimasto; storse il naso, fra la locanda e il cambio d’abiti aveva speso più del previsto, avrebbe dovuto raggranellare qualcosina o non sarebbe mai riuscita a saldare il debito con Krohs.
Quasi avesse udito i suoi pensieri, l’uomo apparve svoltando l’angolo di un palazzo, i due cavalli che lo seguivano trattenuti per le redini.
Senza aspettare un momento di più, i due viandanti balzarono in sella, chi più agilmente e chi meno, e si lanciarono al galoppo lungo la costa.
Pur cavalcando a tutta velocità non sarebbero mai giunti al villaggio successivo in tempo per la notte, tuttavia a mano a mano che proseguivano verso Ovest il clima cambiava così come la vegetazione.
Il deserto stava pian pianino scomparendo, sostituito da piccoli arbusti spinosi e piante sconosciute e il caldo soffocante delle terre attorno ad Agrat era via via rinfrescato dalla leggera brezza marina in arrivo da Nord.
Pranzarono in fretta, e in fretta ripartirono.
- Dubito che ci siano altri di loro alle nostre calcagna, ma è meglio non rischiare. Prima arriveremo al molo, meglio sarà. – aveva spiegato Krohs, indicandole sulla vecchia mappa un puntino rosso in prossimità del Kirib. Da lì avrebbero poi preso una chiatta che avrebbe risalito il fiume fino a Leksaahl, la Città sul Lago.
- In questo modo si dimezza il tempo di marcia e saremo a destinazione in meno di una settimana! – aveva concluso riponendo la cartina nella sacca e rimontando a cavallo.
Si fermarono quando ormai il sole era in picchiata sull’orizzonte e le prime stelle facevano capolino in cielo.
Legarono i cavalli ad un piccolo alberello robusto sotto il quale disposero le loro cose, e mentre gli animali brucavano tranquilli e si riprendevano dalla lunga cavalcata, i due viaggiatori organizzarono la cena.
Accesero un grande fuoco con ramoscelli e sterpaglie che riuscirono a trovare nei dintorni, poi finalmente si sedettero e poterono consumare il loro pasto in tranquillità.
- Com’è Leksaahl? – domandò Leth sgranocchiando le banane essiccate che aveva preso all’Oasi e offrendone una manciata a Krohs.
Quello raspò nel sacchetto e si strinse nelle spalle, alzando lo sguardo al cielo.
- Mah, ho vissuto lì per molti anni, mi è difficile dare un giudizio sincero. In linea di massima la ritengo una bella città. La gente è tranquilla e non fa domande, e la vista sul lago non è niente male… - raccontò, stendendosi con le mani intrecciate dietro la testa.
- Hai viaggiato molto, vero? – incalzò la ragazza con un tono un po’ strano, quasi materno.
Krohs fischiò e sorrise.
- Molto è dire poco. Ho visitato tutte le Quattro Grandi Terre. Ormai sono passati quasi trent’anni da quando ho lasciato il mio villaggio, e all’epoca ero poco più che un bambino… - confessò con una lieve malinconia nella voce.
- Chissà, forse non lo riconoscerei nemmeno più se dovessi tornarci. O forse sarebbero loro a non riconoscermi più… - aggiunse in un soffio.
Leth si sdraiò accanto a lui, la sacca sotto il capo e le braccia incrociate al petto.
- A volte mi manca casa. Mi manca l’idea di potermi chiudere la porta alle spalle sapendo che dentro ci sarà qualcuno ad aspettarmi, mi manca la voce di mia madre mentre stende i panni e le mani forti di mio padre che mi prendono in braccio. Vorrei tornare, ma sarebbe inutile. Ormai il passato è passato… -
Percepì Krohs voltarsi su un fianco e sentì le sue iridi azzurre puntate sul suo viso.
- Avevo dieci anni quando sono arrivati gli uomini in nero. Hanno dato fuoco a tutto quello che trovavano, e hanno ucciso. Tutti quanti. Anche i vecchi, anche i bambini. Io e i miei amici eravamo andati al vecchio mulino quella sera. Restava in cima alla collina, e si diceva che fosse infestato dagli spiriti. Erano anni che desideravo andarci, e finalmente ero riuscita a convincere il gruppo. Non feci nemmeno in tempo ad entrare. Mio cugino, che era il più grande fra di noi, vide il fuoco da lontano e ci costrinse a tornare indietro. Non poteva immaginare… - si interruppe un momento, il bordo del mantello stretto nel pugno che tremava appena al ricordo.
- Non saremmo mai dovuti tornare. Molti di noi vennero uccisi dalle fiamme, altri dai soldati. Anche gli adulti non riuscirono a resistere a quella violenza. Mio padre morì cercando di difendere mia madre. Bruciarono entrambi assieme alla casa. Io fui più sfortunata, e me la cavai con questa cicatrice. – terminò con un cenno allo squarcio lungo il fianco.
- Non sono più tornata a Tani dopo quella notte. Non avrebbe senso, non è rimasto niente. –
Solo quando si accorse che Krohs le aveva poggiato una mano sulla spalla si rese conto di quello che aveva detto.
- Io… Scusa, non so perché te l’ho raccontato… Non farci caso, non…- ma ancora una volta fu costretta ad interrompersi, l’indice dell’uomo premuto contro le labbra.
- Non devi scusarti per le scelleratezze dell’Impero, Leth. – sussurrò, indicandole di alzarsi con un cenno della testa.
- Vedo che entrambi siamo stati privati di qualcosa di caro. Ma c’è un modo per evitare che questo sacrificio sia stato vano. –
La ragazza gli rivolse uno sguardo interrogativo, caricata dalla volontà nella voce dell’uomo, mentre mille domande le affollavano il cuore.
Di cosa era stato privato? Perché non tornava a casa da così tanto tempo? Che ne era stato della sua famiglia? Che anche loro fossero stati trucidati dai soldati dell’Impero?
- Cosa dovrei fare? – chiese mettendosi a sedere.
Krohs la guardò dritta negli occhi, lo stesso sguardo serio e deciso della sera prima.
- Se vorrai, Leth, ti insegnerò a padroneggiare la Magia. Loro ci vogliono ignoranti, ci vogliono isolati. Noi possiamo cambiare tutto questo. Possiamo ricordare alle genti delle Quattro Grandi Terre cosa significhi Libertà. Siamo il fuoco che arde sotto le ceneri, dobbiamo solamente provocare la scintilla, e l’incendio verrà da sé! – spiegò, negli occhi una luce nuova, una luce di speranza.
Leth trattenne il respiro.
Era vero, era per questo che aveva passato l’infanzia nascosta nei boschi, era per questo che i soldati dell’Impero avevano distrutto tutto! Fino a quel momento aveva sempre interpretato il suo essersi salvata come una punizione, una condanna ad una vita di solitudine ed espediente.
Adesso, però, tutto cambiava, e le carte in tavola ribaltavano l’andamento del gioco.
Se quello che diceva Krohs fosse stato vero, se lei fosse stata una Portatrice Innata, forse il fatto che la sua vita fosse stata risparmiata avrebbe avuto un senso.
Non sarebbe stata una condanna, ma un’opportunità.
Mentre il fuoco crepitava accanto a lei e le stelle brillavano in tensione nel cielo, Leth sentiva che la sua risposta le avrebbe cambiato per sempre la vita, e forse avrebbe cambiato anche le vite degli altri.
Ma non aveva paura, no. Per la prima volta nella vita sentiva l’energia scorrerle in corpo e sostenerla senza fremiti, senza indugi.
Annuì, il cuore colmo di convinzione, poi sorrise al suo nuovo compagno.
- Insegnami tutto ciò che sai. -












 
Note:

Ta-daaaan!
Eccoci qui, con un simpaticissimo e incredibilmente inutile capitolo di transizione! ~ :D
Beh, dai, inutile magari no... Krohs infatti incomincia a darci qualche spiegazione in più per quanto riguarda la Magia e il modus operandi del nostro adorabile Imperatore -sarcasm-.
Ma anche Leth finalmente racconta qualcosa di sé e prende delle decisioni importanti!
Il rapporto fra questi due sta finalmente prendendo forma, e non mi stancherò mai di dirlo, ma li amo, li amo tanto.
Nel frattempo il cammino prosegue verso Ovest, in direzione di nuove città e nuovi personaggi che non vedo l'ora di presentarvi. Già, perchè a breve infatti conosceremo la vecchia Lyd, citata qualche capitolo fa da Oluk, e scopriremo qualcosinain più sul passato di Krohs e sull'identità dell'Imperatore.
Come sempre ringrazio infinitamente chi legge, recensisce ecc... Non voglio essere ripetitiva, ma vi adoro veramente! <3

Ps: probabilmente il prossimo aggiornamento potrebbe richiedere un po' più di tempo, causa esami e viaggetto a New York con la mia nonna brontolona~
Farò comunque del mio meglio per tentare di aggiornare in fretta, nel frattempo, visto che il pc mi odia e non mi fa caricare le immagini che vi avevo promesso, mi tocca rinunciare a metterle qui.
Se volete vederle, comunque, le ho già pronte e sarò lieta di mandarvele via messaggio privato...
Scusate, sono una schiappa con l'informatica... xD

Kisses,
Koori-chan

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***






Capitolo VI







- Niente da fare, non ci riesco, sono impedita! –
La voce sconsolata di Leth risuonò sotto la placida luna, mentre il fuoco scoppiettava alla sua sinistra.
Avevano lasciato Porto Agrat già da tre giorni, e avrebbero raggiunto l’approdo sul Kirib nella tarda mattinata seguente.
Nel frattempo, ogni sera, Krohs cercava di insegnarle a utilizzare la Magia, senza ottenere però grandi risultati.
- Senti, secondo me hai preso un abbaglio e io sono solo una normalissima persona qualunque. E’ stato il tuo medaglione a farmi fare quella cosa, non c’entra la Magia! – si lamentò.
L’uomo sbuffò e si accarezzò il pizzetto, scuotendo la testa.
- E’ perché non ci credi abbastanza. Non ti stai impegnando, è evidente! –
La ladra roteò gli occhi e si lasciò cadere sul prato a pancia in su, le braccia e le gambe larghe come se fosse stata una stella.
- Non è vero! E’ che è difficile! Hai detto che devo riuscire a distinguere il seme della Magia dalla mia energia vitale, giusto? Ecco, non ce la faccio! Non sento neanche il minimo flusso, niente, come se fossi già bella stecchita! E sono tre giorni che ci proviamo! – piagnucolò dimenandosi a terra.
Krohs sbuffò e la fece tornare a sedere.
- Allora, stammi bene a sentire. Devi riuscire a separare la Magia da tutto il resto. Ma bada bene, non si tratta di comandarla, bensì di entrare in simbiosi con lei. – spiegò per l’ennesima volta.
- Ora mettiti di nuovo in posizione e chiudi gli occhi. – ordinò con fermezza.
Leth sbuffò e incrociò le gambe, poi poggiò i gomiti sulle ginocchia e tese le braccia in avanti, i palmi aperti verso l’alto.
- Ascolta. – sussurrò Krohs avvicinandosi a lei.
- Riesci a sentirlo? Si muove dalla mente al cuore, come il respiro… -
Le toccò delicatamente la fronte con gli indici e scese lentamente segnando gli zigomi e le guance, fino a giungere al mento; da lì proseguì ancora fino a posarle le mani sul cuore.
La ragazza aprì un occhio e sussultò appena nel ritrovare il volto del compagno a pochi centimetri dal suo.
- Concentrati. – sibilò lui con serietà.
- E come faccio a concentrarmi se mi stai appiccicato?! – sbraitò, forse un po’ troppo stridula.
L’altro scoppiò a ridere, sinceramente divertito, poi si alzò in piedi e si allontanò di qualche passo.
- Chiedo scusa, non pensavo di farti questo effetto! – la prese in giro con aria maliziosa.
- Smettila! – si finse offesa tornando a chiudere gli occhi.
Cercò di concentrarsi sul serio e trasse alcuni profondi respiri.

Dalla mente al cuore. Dalla mente al cuore.

Tentò di sincronizzare i pensieri alla sua respirazione, e pian piano dimenticò completamente tutto ciò le la circondava, totalmente concentrata sul sangue che riusciva a sentir fluire nelle sue vene.
Stava andando bene? Non poteva dirlo.
Improvvisamente però accadde qualcosa. Lentamente iniziò a percepire una sensazione strana, quasi come se dentro di se avessero preso a scorrere due dense lingue di lava incandescente. Una delle due si irradiava dal cuore a tutto il resto del corpo, mentre l’altra si muoveva lenta e sinuosa dalla testa al petto. Quasi si fosse accorto di essere stato percepito, il secondo flusso mutò natura e raffreddò fino a divenire ghiacciato, una strana sensazione che acquì sorprendentemente i sensi di Leth.
- Portalo alle mani. Concentrati. – sentì sussurrare Krohs poco lontano.

Una parola! Come diamine faccio a portare questo coso alle mani? Dei, quanto mi sento scema…

Pensò con un pizzico di imbarazzo, mentre strizzava le palpebre in cerca di concentrazione.
Iniziò a trarre profondi respiri con il naso, focalizzando il flusso dell’aria dentro di se.

Dalla mente al cuore. Dal cuore alle mani.

Sentì la seconda energia, quella fredda, guizzare e fremere dentro di lei, al livello della sua coscienza. La percepì contorcersi come un’anguilla, quasi l’ordine di spostarsi verso i palmi aperti sulle ginocchia fosse stato un qualcosa di sacrilego.
Piano, pianissimo, con lentezza quasi esasperante, il guizzo parve domarsi e scivolare riluttante verso gli arti superiori, arrancando controvoglia fino alle mani.

Coraggio, vienimi incontro… Collaboriamo…

Poi fu questione di un secondo, uno schiocco di dita, un battito di ciglia.
Come l’acqua che sfugge alla diga in un fiotto potente, qualcosa in Leth si liberò, il gelo la pervase da capo a piedi, eppure era piacevole, era buono, in qualche modo.
- Brava! Ce l’hai fatta! –
Appena udì la voce di Krohs spalancò gli occhi, notando che dai palmi delle sue mani guizzavano allegre due fiammelle scoppiettanti.
Sentiva il loro calore sulla pelle, ma era poco più che una carezza.
- Ci sono riuscita! Krohs, ci sono riuscita! – esclamò, gli occhi che le brillavano di gioia.
Detto fatto, le fiammelle si spensero in un soffio di fumo nero, e la sensazione di pace interiore che l’aveva pervasa fino a quel momento svanì di colpo.
- Ma… - balbettò, delusa.
- Ci vuole ancora un po’ di esercizio, ma direi che siamo sulla buona strada! – sorrise il compagno di viaggio battendole una pacca soddisfatta sulla spalla.
- Ora riposa, direi che per oggi hai faticato a sufficienza… - le concesse.
Leth sbadigliò, sentendosi improvvisamente stanca, quasi come se quelle parole avessero avuto il potere di risucchiarle ogni energia.
Stiracchiandosi raggiunse la sua sacca e si sdraiò, accoccolandosi avvotolata nel mantello; forse Krohs avrebbe voluto chiacchierare un po’, ma meno di due minuti dopo la ragazza stava già dormendo della grossa…
La mattina seguente li salutò con un cielo limpido e terso e un venticello frizzantino in arrivo da Ovest; fecero colazione rapidamente e montarono a cavallo, arrivando in vista dell’approdo in un paio d’ore abbondanti.
Peccato però che già da lontano si vedesse salire al cielo una colonna di denso fumo nero.
- E’ una cosa normale o dobbiamo preoccuparci? – domandò Leth, le mani già nervosamente strette attorno alle redini.
Krohs assottigliò gli occhi e controllò la cartina con aria tetra.
- Stai in guardia. – disse solamente prima di dare gambe al cavallo e partire al galoppo verso l’origine del fumo.
La ragazza deglutì e si lanciò dietro di lui, portando istintivamente una mano all’elsa del suo pugnale.
Non era pronta per combattere: non sapeva ancora dominare la Magia, e non aveva alcuna intenzione di rischiare di ridurre un uomo come quello che aveva bruciato la notte in cui erano arrivati a Porto Agrat. Ilo solo pensiero le fece venire la nausea, e grazie al cielo quando arrivarono all’approdo tutto era tranquillo.
O almeno più tranquillo di quanto non temessero.
Leth lasciò che lo sguardo vagasse sulle rovine fumanti di quello che doveva essere stato l’imbarcadero: grossi pali di legno ormai carbonizzati se ne stavano conficcati lungo le sponde limacciose del fiume, che scorreva placido e tranquillo fra i suoi argini.
Dall’acqua facevano capolino lunghe canne verdi e sinuose accarezzate dal vento e di tanto in tanto qualcosa, probabilmente ciò che restava di una vecchia casa, si incastrava fra i fusti sottili delle piante palustri, mentre uomini e donne di tutte le età si affaccendavano per salvare il salvabile e riparare ciò che era rimasto in piedi.
- Cos’è successo qui? – domandò Krohs dall’alto della sua cavalcatura ad un uomo sporco di fuliggine.
- Se volevate prendere la chiatta sono desolato, ma temo dovrete aspettare, signore! – fu la risposta dello sconosciuto.
- Sono arrivati nella notte e hanno dato fuoco a tutto quanto… La chiatta è affondata, e la casa dell’imbarcadero… beh, quelle palizzate sono tutto ciò che ne rimane… - aggiunse con un cenno del capo ai grossi tronchi che spuntavano dall’acqua.
- E non avete visto chi è stato? – dall’occhiata in tralice che le rivolse, Leth capì che anche Krohs condivideva i suoi timori.
Fu una donna a risponderle. Aveva i capelli legati in un fazzoletto colorato e le braccia forti e robuste di chi è abituato a lavorare la terra.
- Non li ha visti nessuno! L’unico che avrebbe potuto era il guardiano della chiatta, ma… Stava nella palafitta. – concluse con aria allusiva.
La ladra chiuse gli occhi, cercando di soffocare i ricordi di dieci anni prima.
Fuoco, ancora fuoco. Sembrava che le fiamme l’avessero maledetta e condannata ad un destino di morte e cenere.
- Leth… - riaprì gli occhi di scatto, ritrovandosi la mano del compagno sulla spalla.
- Va tutto bene, tranquillo… - si affrettò a rispondere.
Eppure un brutto presentimento aveva preso a strisciarle nel cuore come una biscia; era nervosa, quella situazione non le piaceva affatto.
Rimasero fermi un’ora presso il relitto dell’imbarcadero, chiedendo informazioni e cercando di organizzare un piano alternativo.
- Ci vorrà almeno una settimana prima che sia pronta la nuova chiatta, non possiamo permetterci di perdere tutto questo tempo. Non siamo al sicuro, qui. – spiegò il viandante sottovoce dopo aver trascinato la ragazza presso un’ansa del fiume un po’ più appartata.
- Pensi che sia opera dell’Impero? –
Krohs le voltò le spalle e si avvicinò alla sponda del fiume, dove i loro cavalli si stavano abbeverando.
Li prese per le redini e li condusse lontano dall’acqua, lanciando indietro qualche occhiata furtiva.
- Monta in sella, andiamo di fretta. –
Ripartirono al galoppo, i cuori appesantiti dal timore di essere seguiti.
Se erano stati gli uomini dell’Imperatore era più che evidente che la loro intenzione fosse rallentare il loro percorso, costringendoli ad attraversare le paludi.
Per quale motivo però non li avevano affrontati a viso aperto prima che raggiungessero l’approdo sul Kirib? Perché non li avevano uccisi nella notte, quando la loro guardia era bassa e i sensi a riposo? Come mai attendevano ad attaccarli?
Cavalcarono senza tregua per cinque giorni nei quali Krohs si adoperò con estrema dedizione per insegnare alla compagna di viaggio come utilizzare la Magia. Leth ne approfittò anche per apprendere qualche tecnica di combattimento, dal momento in cui l’uomo aveva mostrato di essere un guerriero esperto e capace.
Nonostante la fatica trovava divertente sedersi attorno al fuoco, la sera, e trascorrere un paio d’ore in meditazione, affinando i sensi e imparando ad evocare l’energia dentro di sé con sempre maggiore rapidità. Nemmeno l’esercizio fisico sembrava stancarla eccessivamente: Krohs era un ottimo maestro, e quei momenti erano quanto di più caro Leth avesse al mondo.
Erano i loro momenti, minuti in cui il mondo attorno sembrava sparire e tutto si riduceva a due persone diverse, distanti e  ugualmente testarde, due solitudini che erano riuscite a resistere alla collisione e ad amalgamarsi in un rispetto sincero.
Era in quei momenti che Leth si sentiva davvero felice e non aveva più paura del fuoco; la sera, il pugnale stretto nella mano destra e una sfera d’energia trattenuta con fatica nella sinistra, le fiamme tornavano ad essere quelle materne del focolare a Tani e lo scintillio delle stelle nell’oscurità non era più il ghigno luciferino della vita che le rinfacciava la sua stessa esistenza, bensì il suono di una risata cristallina e serena.
La mattina del sesto giorno fu un vento freddo da Sud a svegliarli.
Leth aprì un occhio e si strinse meglio nel mantello, Krohs era già in piedi e stava cancellando le tracce del loro accampamento.
- Sveglia, piccola selvaggia! – la salutò con un grande sorriso.
- Se avremo fortuna raggiungeremo Leksaahl in meno di un giorno di marcia! Questi cavalli sono davvero delle bestie infaticabili! – commentò di buonumore, offrendole una mela matura.
La giovane addentò il frutto con gusto e si passò una mano fra i lunghi capelli rossi, rivolgendo poi gli occhi al cielo.
- E’ nuvoloso… - osservò con la bocca ancora piena.
Krohs fece spallucce.
- Sarebbe meglio raggiungere il guado prima che il fiume ingrossi troppo… -
Leth non rispose, aveva ormai imparato a capire che quando non la guardava negli occhi era preoccupato. Cercò di non pensarci e diede metà della sua mela al suo cavallo, accarezzandogli il muso: dopo quasi due settimane, alla fine, si era affezionata anche a lui.
Raggiunsero il guado nel primo pomeriggio, ma i cavalli sembravano restii ad attraversare il fiume.
- Forza, bello, dai! – la ladra diede un colpetto ai fianchi della sua cavalcatura, ma l’animale si rifiutò di avanzare.
- Cosa significa? – chiese, già in allerta.
Krohs, che era avanti a lei di qualche metro, tornò indietro e prese possesso delle redini, riuscendo a condurre il cavallo lungo il sentiero sicuro che attraversava il fiume. Il letto era ampio, ma l’acqua era ancora bassa, giungere dall’altra parte non fu complicato. Sulla sponda occidentale, però, anche il cavallo di Krohs prese a dare segni di nervosismo.
- Forse è meglio fermarci un momento. E’ da stamattina che galoppiamo, saranno stanchi… - considerò l’uomo.
A nessuo dei due piaceva l’idea di interrompere la marcia, ma i cavalli non volevano saperne di proseguire, e fermarsi per qualche minuto si rivelò l’unica opzione plausibile.
Le nuvole in cielo si erano nel frattempo fatte più cupe e più dense, e nell’arco di dieci minuti la pioggia prese a cadere fitta e gelida.
- Sei sicuro che non sia meglio avanzare ancora un po’? – domandò Leth, alzando la voce per farsi sentire al di sopra dello scrosciare del temporale e sistemandosi il cappuccio sul capo, mentre il terreno della radura nella quale si erano fermati si mutava lentamente in fango.

Non mi piace questo luogo, mi sento osservata…

Forse Krohs avrebbe voluto risponderle qualcosa, ma una freccia andò a piantarsi proprio davanti ai suoi piedi, facendogli sguainare la spada d’impulso.
- Leth, al riparo! Prendi i cavalli! – esclamò, portandosi di fronte alla giovane per difenderla dal nuovo nemico.
Senza farselo ripetere due volte la ladra corse a slegare i cavalli, ma dovette nascondersi dietro un tronco di quercia per ripararsi dalle frecce che le piombarono addosso come grandine.
- Krohs! – lo chiamò.
Un uomo in nero spuntò dalla boscaglia e le si avventò contro.
Fece appena in tempo ad estrarre il pugnale per parare il fendente, poi rotolò di lato e spinse il suo avversario, facendolo cadere in un cespuglio.
Quello balzò in piedi, per nulla intimorito, e riprese il combattimento dove l’aveva interrotto.
Leth lanciò un’occhiata al compagno di viaggio, notando con disappunto che era alle prese con altri tre nemici.

Devo aiutarlo, non può farcela da solo…

Piroettò a sinistra dell’assalitore e se lo lasciò alle spalle, ma qualcosa la colpì in pieno petto, facendola cadere a terra.
Si rimise a sedere con fatica, il respiro mozzato dal dolore. Cos’era stato?
Alzò lo sguardo, di fronte a lei se ne stava un altro individuo ammantato di nero.
Non era molto alto, forse giusto una spanna più di lei, ma aveva il fisico asciutto e agile, e incastonati nei mezzi guanti di ferro che indossava c’erano due grossi medaglioni ametista.
Sapeva usare la Magia.
Il nemico alzò una mano contro di lei, pronto a finirla, ma Leth fu più svelta: raccolse un pugno di terra dal suolo e lo lanciò negli occhi al misterioso assalitore, superandolo e correndo in soccorso di Krohs.
Non poteva usare la Magia, era ancora inesperta e avrebbe rischiato di colpire anche lui. Dannazione, così era completamente inutile!
- Lasciatelo stare! – si ritrovò a gridare, prima di affondare il pugnale nella spalla di uno degli uomini in nero e recidere di netto un tendine.
L’uomo urlò di dolore e lasciò cadere l’arma, per venire trafitto dal suo avversario.
- Grazie! – esclamò Krohs, parando il colpo di un altro nemico.
- Ringraziami alla fine! – replicò la ragazza, alle prese con lo stesso problema.
Si ritrovarono schiena contro schiena, pronti a difendersi da un nuovo assalto, e Leth notò che l’individuo coi due medaglioni se ne stava in disparte, quasi avesse voluto assistere allo scontro solo come spettatore.
- Quel tizio là ha due medaglioni. Siamo nei guai, Krohs! – sibilò mentre cercava un modo di aprirsi una breccia nel muro dei nemici e tornare dai cavalli.
Lo sguardo dell’uomo saettò rapido al nemico incappucciato e si fece scuro d’un colpo.
- Sono troppi, dobbiamo scappare. Io creo il diversivo, tu vai dai cavalli! – replicò lui fra i denti.
Detto fatto, si scagliò contro i nemici roteando la spada sul capo, volutamente scoperto sui fianchi.
Gli avversari abboccarono e si fiondarono simultaneamente su di lui, dimenticando la presenza della ragazza, che si tuffò nella boscaglia ben decisa a raggiungere le cavalcature.
Fu con un grido di orrore che si accorse che uno dei due cavalli, più precisamente quello del compagno, era stato colpito da un fiotto d’energia che l’aveva ridotto a un macilento cumulo di carne fumante.
Disgustata, si portò una mano alla bocca e al naso per non sentire l’odore, mentre l’altro cavallo, il suo, nitriva imbizzarrito, terrificato dal tanfo di morte che si espandeva nell’aria nonostante la pioggia battente.
- Calmo! Calmo, va tutto bene! – protese le mani in avanti nel tentativo di tranquillizzarlo, e quando vi fu in parte riuscita sciolse il nodo che teneva le briglie assicurate al tronco di un albero.
Fu in quel momento che un verso strozzato sovrastò il rumore della pioggia, gelandole il sangue nelle vene.
Si voltò di scatto, notando con orrore che il nemico misterioso non si trovava più al suo posto.
Senza azzardarsi a lasciare andare il cavallo, tornò di corsa sul luogo dello scontro, rimanendo congelata dal terrore.
L’oscuro individuo ammantato di nero era in piedi al centro della radura, il lungo pugnale nero che stringeva in mano conficcato nel cuore di Krohs.
L’uomo le rivolse uno sguardo disperato, il sangue che colava lungo il mento in rivoli sciolti dall’acqua.
- No… NO! –
Svanì tutto.
La pioggia, la stanchezza, la paura. Sparì tutto quanto, fagocitato da una rabbia cieca e rovente come il respiro dell’odio.
Senza nemmeno accorgersene lasciò andare le redini e scattò in avanti.
Uno degli uomini dell’Imperatore le si parò davanti, ma in un gesto secco e preciso del pugnale gli squarciò la gola, venendo investita da un fiotto di sangue caldo e appiccicoso.
Non batté ciglio e proseguì per la sua strada, il cappuccio fradicio a lasciare visibili solamente gli occhi, ora ridotti a due fessure in cerca di morte.
L’assassino si riappropriò del suo pugnale e fece un balzo indetro, sulla difensiva.
Krohs cadde a terra, riverso nel fango.
In un paio di falcate Leth lo superò, marciando dritta e sicura verso i nemici, che presero a indietreggiare.
- Leth, vattene… - sentì sussurrare alle sue spalle.
Lo ignorò, pervasa da una rabbia mai provata prima.
- Andatevene via prima che vi uccida. – sibilò.
L’uomo dai due medaglioni scoppiò a ridere. Una risata sottile, in qualche modo sbagliata, ma la giovane non ebbe tempo di notarlo.
Quel suono scatenò ciò che era nascosto nelle viscere della sua ira.
Improvvisamente, senza che nemmeno ci fosse il tempo di reagire, gli alberi intorno a loro presero fuoco, e una muraglia di fiamme si frappose fra i nemici e i due viandanti.
Un urlo straziante informò Leth che uno dei nemici era stato raggiunto dalle fiamme, e questo fu sufficiente a riportarla alla lucidità.
Sconvolta guardò l’incendio davanti a sé avanzare spingendo gli assalitori verso il fiume, poi si voltò e corse al capezzale del compagno di viaggio.
- Krohs! Oh dei, cosa ti ha fatto! – esclamò, cercando di tamponare la ferita come poteva.
- Leth, lascia stare… Non puoi più… - balbettò a fatica.
- Taci. – replicò lei, seria.
- Alzati. Da sola non ce la faccio, ho bisogno che ti alzi. – e lo trascinò verso il cavallo, issandolo in sella fra sbuffi e imprecazioni.
Montò anche lei e diede gambe, voltandosi indietro solo una volta: l’incendio non accennava a spegnersi e le grida erano sempre più forti.
Cavalcò tutto il giorno sotto la pioggia battente, continuando a interpellare l’uomo sulla direzione da seguire.
- Resta con me, resta con me! Da che parte, Krohs? – continuava a chiedere, pregando tutti gli dei affinchè resistesse fino a destinazione.
Nel frattempo la vegetazione attorno a loro aveva ripreso a cambiare: non più arbusti bassi ed erba secca, adesso costeggiavano un’antica foresta di larici e querce, e il muschio cresceva in abbondanza.
Trascorsero la notte sotto ad un grande albero, riparati dalla pioggia dalle fronde rigogliose.
La ragazza passò la notte al capezzale del compagno, cambiandogli le bende ogni due ore e maledicendosi per non essersi mai interessata all’arte della guarigione.
Fu nelle ore più buie della notte, quelle che anticipavano l’alba, che la situazione peggiorò.
- Krohs, ti prego, non mollare… Vedrai che andrà tutto bene, ma non mollare… - sussurò cercando di mantenere salda la voce mentre si sfilava il mantello e lo adagiava sul corpo del moribondo.
- L-leth… è t-tardi… - sussurrò, la vista annebbiata e le membra scosse da violenti fremiti.
- No. No che non è tardi. – replicò lei, gli occhi colmi di lacrime.
- Leth, devi… devi starmi a sentire… -  intrecciò le dita a quelle della giovane, sulle labbra livide l’ombra di un sorriso.
- Devi promettermi che porterai il mio medaglione a Lyd… -
- Certo, ma prima… -
- Giuralo! – ma l’esclamazione lo fece tossire dolorosamente.
- Lo giuro. Hai la mia parola… - promise Leth, le guance rigate dalle lacrime.
Non poteva essere vero. Quello era un incubo, e presto si sarebbe svegliata.
Non poteva star morendo davvero, non lui, non l’unica persona che le avesse donato un po’ di felicità in tutti quegli anni!
Si morse il labbro inferiore con tanta violenza che prese a sanguinare, e con un gesto secco si asciugò le lacrime, facendosi passare il braccio destro di Krohs attorno al collo e trascinandolo in sella.
- Io porterò il medaglione a Lyd, ma tu verrai con me. Non ti mollo qui.  – sentenziò, sistemando la testa dell’uomo sulla sua spalla e controllando che le bende fossero a posto.
Krohs non rispose, ma la ragazza riusciva ancora a sentire il suo respiro contro il suo petto.
- Resisti ancora qualche ora, andrà tutto bene, te lo prometto. –

Ti prego, non morire. Ti prego.

Cavalcarono ancora, tutta la notte, sotto il diluvio, tanto che a un certo punto Leth non seppe più distinguere se quelle che colavano lungo il suo viso erano gocce di pioggia o lacrime.
Aveva paura, una paura tremenda.
Non era pronta a vederlo morire, non era pronta a rimanere sola un’altra volta.
Il solo pensiero le causava forti singhiozzi, ma non poteva permettersi di sussultare, o di lasciarsi andare al dolore: lei doveva essere forte, doveva raggiungere Leksaahl e trovare la vecchia Lyd.
I fremiti dell’uomo, nel frattempo, si facevano sempre più incontrollati, gli occhi velati dall’oblio e il viso freddo di morte.
Smise di piovere all’alba, quando un sole rosso sangue fece capolino dall’immenso specchio d’acqua del Lago Dailar, tingendone la superficie dei colori dell’attesa.
In lontananza, sulle sponde del lago, si profilava già la città, con le sue torrette e le bandiere al vento.
- Krohs, ci siamo! Siamo arrivati! – esclamò con un sorriso.
L’uomo non rispose, e lei si accorse con disperazione che non sentiva più il suo respiro.
- No. No, non ci provare… - balbettò spaventata.
- Vai, bello, vai! – spronò ancora il cavallo, lanciandolo a rotta di collo lungo la strada che portava in città.
La Porta Est era sguarnita, e per le strade vi era ancora poca gente, fatta eccezione di alcuni pescatori di ritorno da una notte di lavoro.
- Aiutatemi! Aiuto! – esclamò vedendo un gruppetto di uomini affaccendati attorno a una barca.
Quando videro in che condizioni si trovavano trattennero il fiato, spaventati.
- Vi prego, ho bisogno di sapere dov’è la vecchia Lyd! Aiutatemi, vi scongiuro! –
Uno di loro si fece coraggio e alzò un braccio, inidicando il camminamento in legno che, rialzato come una palafitta, costeggiava le sponde del lago.
- E’ quella casa laggiù, quella con il tetto spiovente e le bandiere bianche alle finestre…  Che gli dei siano con voi… - ma Leth era già ripartita, il grazie soffocato dal rumore degli zoccoli del cavallo.
Fu costretta a smontare, spaventata dall’idea che il pontile non potesse reggere il peso dell’animale.
- Krohs… Ti prego… -
E con estrema fatica mosse gli ultimi passi verso le scale che conducevano alla porta della grande casa in legno d’abete.
- Aiutatemi! Aiuto, vi prego! – gridò, straziata dal dolore.
Era bagnata fradicia, aveva sangue ovunque e i capelli sfuggiti alla coda sfatta le si appiccicavano al viso.
Gli occhi gonfi e rossi gridavano più della sua gola, e quando nessuno venne ad aprire lo sconforto più nero le attanagliò il cuore.
- Vi prego, aiutatemi! – urlò ancora fra forti singhiozzi, accasciata sotto il peso dell’uomo.
Fu in quel momento che la porta si aprì, rivelando una donna stordita dal sonno, alta e bella anche nella sua semplice vestaglia blu oceano.
- Santi dei… - sussurrò.
- Entra dentro, presto! – esclamò poi, scendendo le scale di corsa; aiutò Leth a sorreggere Krohs e lo trascinò dentro casa.
La donna guardò circospetta lungo il sentiero, poi chiuse la porta.












 
Note:

Salve a tutti e scusate il ritardo catastrofico!
Ho le mie scusanti: tornata dalle vacanze sono stata bombardata dagli Esami e non ho avuto nemmeno un briciolo di tempo per scrivere... Ma adesso mi sono messa in pari, ed ecco qua un bel capitolo DRAMMATICO.
Giuro che ho sofferto scrivendo l'ultima parte... Krohs, scusami, scusami tanto! çAç
Nel frattempo la nostra Leth fa passi da gigante -beh, più o meno... xD- nell'uso della Magia...
A quanto pare è meglio non stuzzicarla, perche reagisce proprio male!
Ma finalmente ci siamo lasciati alle spalle la Terra della Luce e siamo arrivati nella Terra dei Venti, alla Città sul Lago!
Krohs ce la farà? La vecchia Lyd sarà d'aiuto o il destino per il nostro vecchiaccio preferito è già scritto?
A proposito, tenete bene a mente il tizio con due medaglioni, perchè lo rivedremo presto~
Grazie mille a chi mi segue/legge/recensisce/il solito, vi voglio tanto bene! <3

Ah, giusto! vorrei approfittarne per fare gli auguri di compleanno alla meravigliosa Koaluch ... TANTI AUGURI, BELLISSIMA! <3

Okay. Ora ho finito. XD
Alla prossima!

Kisses,
Koori-chan





 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***





Capitolo VII







La casa della vecchia Lyd era molto più grande di quanto non sembrasse dall’esterno.
Varcata la soglia, Leth si ritrovò in un ampio salone stracolmo di chincaglierie di ogni tipo: di fronte all’ingresso vi era un caminetto in ardesia, sulla mensola decine di barattoli dai contenuti sconosciuti. In mezzo alla sala troneggiava un tavolo di legno sul quale erano accatastati libri, rotoli di pergamena e scampoli di stoffa, e abbandonate qua e là per la stanza se ne stavano alcune poltrone stracariche di cuscini e un paravento decorato con il disegno di un drago, probabilmente un oggetto di antiquariato.
- Presto, aiutami a metterlo sul tavolo! – esclamò la donna, facendo cadere libri e quant’altro per terra senza alcun ritegno per liberare il piano di legno levigato.
Con estrema fatica Leth adagiò il corpo inerme del suo compagno di viaggio e si spostò lateralmente per lasciare campo libero alla vecchia Lyd.
- Cosa è successo? – domandò mentre si spostava un ricciolo scuro da davanti agli occhi e apriva senza garbo la camicia di Krohs, esaminando la fasciatura per poi rimuoverla velocemente.
- Eravamo al guado sul Kirib… Siamo stati attaccati dagli uomini dell’Imperatore… - balbettò flebile, ancora scossa dal ricordo di quanto accaduto poche ore prima.
- E c’era un tizio… Aveva due medaglioni, e ha pugnalato Krohs… Dei, ditemi che non morirà… -
Lo sguardo di Lyd si fece cupo.
- No, se ci sbrighiamo. Esci dalla porta a destra e prendimi due secchi d’acqua al pozzo, svelta! – ordinò mentre con un gesto della mano accendeva il fuoco nel camino.
Leth fece come ordinato e si ritrovò in un piccolo cortile interno al centro del quale se ne stava un pozzo in pietra. Mise in moto la carrucola e riempì due dei tre secchi abbandonati ai piedi del pozzo, poi tornò in casa di corsa, cercando di non versare l’acqua che ondeggiava pericolosamente fino all’orlo dei recipienti.
- Presto, versali nel paiolo e dimmi quando bolle… - le ordinò la donna, che stava trafficando per fermare l’emorragia.
- Male, male… - la sentì sussurrare Leth, con il solo risultato di spaventarsi ancora di più.
Sospirò e chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi.
No, Krohs non l’avrebbe mollata in quel casino.
Ce l’avrebbe fatta e sarebbe tornato a punzecchiarla come sempre, sarebbe guarito e l’avrebbe aiutata a padroneggiare una volta per tutte quella dannata magia che aveva già causato loro tanti problemi.
- Signora, l’acqua! – avvisò quando vide la superficie incresparsi e le bolle salire a galla.
La donna alzò appena gli occhi e agitò una mano in sua direzione.
- Il terzo barattolo da destra, una manciata abbondante. Rimescola e aggiungi un cucchiaio della prima ampolla a sinistra. Quando diventa denso versane un mestolo in quella coppetta e portamelo. – spiegò senza nemmeno degnarla di uno sguardo.
Leth versò un pugno di foglie triturate di chissà quale pianta esotica, e sobbalzò quando l’acqua mandò un forte bagliore aranciato, poi aggiunse il liquido trasparente dell’ampolla e stette ad osservare finchè il contenuto del paiolo non divenne verde e limaccioso.
- Dovrebbe andare… Su, sbrigati, dammelo qui… - e senza nemmeno aspettare le strappò di mano la ciotola colma di quella sostanza densa e appiccicosa e prese a spalmarla sulla ferita, mentre l’aria attorno alle sue mani pareva illuminarsi appena, come se avesse nascosto con i palmi la fiammella di una candela.
Leth si avvicinò, il respiro ancora rotto dalla paura e dal dolore.
La donna impose le mani sulla ferita e chiuse gli occhi, una piccola ruga apparve fra le sue sopracciglia sottili.
Krohs spalancò gli occhi così all’improvviso che Leth non riuscì a trattenere un grido, ma fu questione di un attimo, la testa gli ricadde sul legno come inanimata, i capelli scuri sparsi sul viso.

Non sarà mica…?

La vecchia Lyd si asciugò le mani in uno straccio raccattato da terra e si lasciò cadere su una poltrona, esausta.
- Fuori pericolo. – comunicò con un grande sospiro.
- Avrà la febbre per un paio di giorni, ma almeno è salvo. Mica semplice ammazzare uno con la pellaccia dura come la sua… - commentò con un ghigno sghembo.
Finalmente si decise a posare lo sguardo su Leth, alzando appena un sopracciglio.
- Santi Dei, ragazza, sei conciata davvero in un modo pietoso! – esclamò nel notare i suoi capelli arruffati e il ventre e le braccia sporchi di sangue.
Si alzò in piedi e si guardò intorno, la mente occupata da chissà quali pensieri, poi sbuffò.
- Guarda te se doveva recarmi tutte queste grane… - borbottò, avvicinandosi a Krohs e facendo cenno alla giovane di avvicinarsi.
- Su, aiutami, lo portiamo di sopra… -
Fra sbuffi e imprecazioni salirono la scala di legno scricchiolante che conduceva al corridoio del piano superiore, sul quale si affacciavano diverse porte intarsiate.
Lyd ne aprì una con un colpo d’anca e trascinò Krohs, ancora privo di sensi, fino a un grande letto dalle coperte rimboccate.
- E ora vieni, o mi inzacchererai tutta la casa di sangue… - fece poi, incamminandosi fuori dalla stanza e verso la fine del corridoio.
Leth la seguì in silenzio, ancora non riusciva a decidere se la trovava odiosa o sopportabile.
- Allora, alla fine anche il vecchio Krohs si è deciso a viaggiare in compagnia, eh? E dimmi, ragazzina, come ti chiami? –
- Leth. – sbuffò, infastidita da quel continuo apostrofarla come se fosse stata una bambina.
Nonostante Krohs fosse fuori pericolo non si era ancora ripresa dallo spavento di quella notte, e non si capacitava di come quella Lyd potesse prendere la faccenda tanto alla leggera. Dopotutto una straniera si era appena presentata alla sua porta con un uomo pugnalato al cuore, non era certo qualcosa di comune!
- Leth… “Aurora” nell’Antica Lingua! Sicuramente di buon auspicio in questo mondo senza luce… -
Seguì la padrona di casa fino a un’altra scaletta che portava in una stanzetta al terzo piano. Di fronte a una piccola finestrella che dava sul lago vi era una grande vasca di maiolica con una tubatura di metallo che sporgeva dal muro proprio lì sopra.
Lyd armeggiò con alcune valvole e l’acqua prese a sgorgare dal tubo, riempiendo pian piano la vasca.
- Così mi ha portato una compatriota del Sud… Hai un accento strano, sei della Valle? – domandò, raccogliendo i lunghi capelli neri e mettendo così in mostra un paio di orecchie a punta.
Leth scosse il capo.
- Vengo dalle Selve, signora. Sono di Tani. – spiegò, stupendosi nello scoprire che anche Lyd era originaria dalle Lande Selvagge.
Erano anni che non incontrava qualcuno delle sue terre, e nonostante le circostanze si sentì un po’ meno sola.
- Ah, Tani… - mormorò la donna, il capo abbassato e una mano abbandonata nell’acqua mentre se ne stava seduta sul bordo della vasca.
- Mi ci recavo spesso, una volta… Per lavoro, sai. Ero amica dell’armaiolo. Mai conosciuto qualcuno migliore di lui nel suo mestiere. Ormai non ne forgiano più lame belle come quelle… - continuò con una nota di malinconia nella voce.
Leth sussultò, un sorriso orgoglioso ad incresparle le labbra.
- L’armaiolo? Io… io sono sua figlia… - spiegò mentre la mano correva istintivamente all’elsa del suo pugnale, questa volta ad accarezzarla e non a stringerla pronta alla battaglia.
Lyd si alzò in piedi e si asciugò le mani nella vestaglia blu. L’aria brusca e disinteressata di poco prima sostituita da un sorriso intenerito da quella confessione.
- Pensa te che strana coincidenza! Si da il caso che sia stata io a farti nascere… - raccontò.
- Sei nata in anticipo, quella poveretta di tua madre ha penato tanto per darti alla luce… E’ stata una fortuna per lei che mi trovassi in paese! E guarda un po’ che bella fanciulla che sei diventata. Non l’avrei mai detto a giudicare da quel mucchietto di ossa che eri… -
Leth sorrise imbarazzata.

Doveva essere un complimento?

- Siete una levatrice? – domandò in un sussurro.
Quella donna la metteva in imbarazzo: non riusciva a inquadrarla del tutto…
Lyd scoppiò a ridere, una risata che le parve quasi di scherno.
- Una levatrice? Anche! Levatrice, guaritrice, riparo oggetti e vendo amuleti. Tutto ciò che può portare aiuto e sollievo a questa povera gente… Chi ha un dono deve metterlo al servizio del suo prossimo… - aggiunse pensierosa.
- Coraggio, lavati di dosso tutto questo sudiciume e scendi in salotto, avrai fame… - la congedò poi, sparendo in un fruscio di stoffa dietro la porta.
Leth rimase immobile per qualche momento, poi si spogliò dei suoi pochi abiti e li lasciò cadere a terra, scivolando silenziosamente nella vasca.
L’acqua era tiepida e profumata dai sali colorati che la padrona di casa vi aveva versato prima di uscire.
Reclinò indietro la testa e chiuse gli occhi, accarezzata dalle prime luci del giorno che filtravano dalla piccola finestra.
Ce l’aveva fatta.
Aveva trovato a vecchia Lyd e aveva salvato Krohs.
In un solo momento percepì la tensione della notte crollare sulle sue spalle e si sentì improvvisamente stravolta.
Aveva una fame terribile iniziava a rendersi conto seriamente del suo aspetto: faceva veramente ribrezzo.
Prese a strofinarsi con foga e si lavò di dosso sangue e paura, lasciando che i muscoli si distendessero trovando un po’ di conforto nell’acqua calda.
Apparve al piano terra dopo una ventina di minuti, i capelli ancora bagnati raccolti in una treccia stretta e vestita con gli abiti nuovi.
- Vi ringrazio, signora, non so davvero come sdebitarmi con voi… - mormorò tormentandosi la punta gocciolante della treccia.
Lyd se ne stava seduta su una comoda poltrona davanti a una grande finestra con vista lago, fra le mani una tazza fumante.
- Tanto per cominciare smettila di darmi del voi e di chiamarmi signora, non sono così vecchia… - esordì facendole cenno di sedersi di fronte a lei.
Leth ne approfittò per studiare meglio la sua fisionomia.
Gli occhi mostravano un’antica saggezza e dedusse che doveva avere su per giù l’età di Krohs, ma il viso non recava alcun segno del tempo, la pelle perfetta e abbronzata sembrava marmo levigato ad arte dallo scalpellino.
Aveva le iridi del colore delle profondità del lago, di un blu così torbido da sembrare quasi nero; le palpebre erano truccate pesantemente così come le ciglia lunge, e il tatuaggio di un simbolo arcano le copriva la guancia e la palpebra sinistre.
Indossava un ampio abito bianco e un corsetto rosso mattone, diversi scialli colorati e una fascia verde che le teneva i capelli ricci e neri come l’ebano fermi in una complicata acconciatura.
Doveva tenere molto al suo aspetto.
In effetti, in tutta la sua vita, Leth non aveva mai visto una donna così affascinante e bella senza dover essere volgare.
Prese posto nella poltrona di fronte a lei e sprofondò fra i cuscini, estasiata dalla loro morbidezza e fu in quel momento che notò il medaglione verde a forma di goccia che la padrona di casa portava al collo.
- Vedo che sei a conoscenza di molte cose, Leth. – sentenziò Lyd, che aveva colto il suo interesse nei confronti del ciondolo.
- Come avrai ben capito anche io so usare la Magia, ma qui in paese credono tutti che le mie conoscenze si limitino all’erboristeria e all’antica arte medica. – raccontò, porgendole una tazza di tè alla menta e un vassoio di biscotti.
Leth divorò avidamente una manciata di biscotti e bevve un sorso di tè, godendosi il liquido caldo che scivolava giù per la gola.
- Hai detto di essere delle Lande Selvagge… - osservò dopo aver inghiottito un altro biscotto.
Lyd annuì con grazia, sul viso la stanchezza dei ricordi.
- Sono nata a Jhazal quando ancora era una capitale prospera e libera. Tempi ormai dimenticati… Sono stata costretta a fuggire e tenere nascosti i miei poteri, ho trascorso molti anni in cerca di un luogo sicuro e alla fine mi sono stabilita qui a Leksaahl. – spiegò con amarezza.
Poi parve riscuotersi e drizzò la schiena, i cerchi d’oro che portava ai lobi a tintinnare nel movimento.
- Ma adesso basta parlare di me. Raccontami come mai Krohs si è ridotto in quello stato e vediamo se potrò esservi d’aiuto… -
Leth appoggiò la tazza fumante su un tavolino basso e prese a raccontare di come avesse incontrato Krohs, del perché avesse deciso di seguirlo e di tutto quello che era capitato loro da quando avevano lasciato Agrat.
Ogni tanto Lyd la interrompeva con qualche domanda, oppure annuiva interessata al racconto. Solo quando Leth le spiegò dell’ipotesi di Krohs riguardo all’essere una Portatrice Innata la donna parve accigliarsi.
- Aspetta un momento. Vuoi dirmi che sei in grado di evocare la Magia senza l’aiuto dei Medaglioni? –
La giovane incassò la testa nelle spalle, terrorizzata dall’idea di aver rivelato qualcosa che avrebbe fatto meglio a tenere per sé.
Eppure Krohs si fidava della vecchia Lyd, e decise di fare lo stesso.
Aprì la mano destra e chiuse gli occhi, concentrandosi.

Dalla mente al cuore, dal cuore alla mano.

Improvvisamente un’allegra fiammella prese a scoppiettare sul suo palmo, illuminandole il viso di tenui bagliori.
Lyd la osservò con ammirazione.
- Molto bene… Sei rapida ad evocare l’energia… Krohs ha fatto proprio un buon lavoro… E quindi Oluk non è riuscito a riparare il suo medaglione, eh? – aggiunse alzandosi in piedi, una smorfia impercettibile a solcarle le labbra nel pronunciare il nome dell’uomo.
- Ovviamente. – aggiunse poi, la voce intrisa di un sentimento che Leth non fu capace di comprendere.
I due si conoscevano, ed evidentemente fra loro non scorreva buon sangue.
La donna scomparve un momento dietro al paravento con il drago, per riemergerne poco dopo con un grande cesto di vimini.
- Devo andare in paese a fare delle commissioni, non ti disturba restare qui da sola, vero? – domandò, già con la mano sul pomo della porta.
Leth scosse la testa, consapevole che una sua differente risposta non avrebbe minimamente influenzato i piani della padrona di casa.
Dopotutto era una donna delle Lande Selvagge proprio come lei, e gli abitanti di quelle terre erano noti per la loro proverbiale testardaggine.
Rimasta sola, finì di sorseggiare il suo té ormai raffreddatosi e prese a gironzolare per la casa, la sua sconfinata curiosità stuzzicata da tutti gli strani oggettini che pendevano dai chiodi alle pareti e dalle ampolle e dai barattoli sistemati sulle mensole.
Per quanto i suoi atteggiamenti la irritassero non poteva certo negare che quella Lyd fosse una figura ricca di fascino e mistero.
Proseguì la sua ispezione della casa fino al piano superiore, ma molte delle stanze erano chiuse a chiave o vuote, e non aveva voglia di scassinare le serrature con il rischio di farsi beccare e far infuriare la donna.
Dopotutto era solo grazie a lei se Krohs era fuori pericolo, e sebbene Leth sentisse fortissimo l’istinto di sgraffignare qualcosa, cercò di trattenersi, disgustata dal solo pensiero di tradire la sua ospitalità.
Tornando indietro si fermò un momento di fronte alla camera di Krohs, indecisa sul da farsi, poi spinse piano la porta e scivolò all’interno senza fare rumore.
Non era una stanza eccessivamente grossa, ma la grande finestra la faceva sembrare più spaziosa di quanto non fosse in realtà. Una piccola porta a vetri conduceva su un balcone di legno pieno di fiori al quale erano appese alcune bandiere bianche.
Leth lasciò che il suo sguardo vagasse sulla mobilia -un armadio, uno scrittoio e il grande letto a baldacchino- e che indugiasse sui dipinti e le mappe appese alle pareti.
Per un momento ebbe la strana sensazione che qualcuno avesse vissuto lì per molti anni e che se ne fosse andato all’improvviso, lasciando per tutto quel tempo la stanza immutata dall’ultima volta in cui vi aveva soggiornato.
Che fosse il compagno di Lyd? O forse un suo parente?
Si avvicinò lentamente al letto e si sedette sul bordo, guardando con dolcezza il volto di Krohs appena infastidito dalla febbre che stava salendo.
Era ancora pallido, ma non era il pallore di morte che aveva scorto durante la notte: quella era solo stanchezza, e con un lungo sonno rigeneratore era certa sarebbe tornato tutto come prima.
Si sorprese nel rendersi conto di quanto, in quel poco tempo, Krohs fosse diventato per lei più importante di qualsiasi altra cosa.
Da quando era rimasta sola, quella terribile notte a Tani, aveva evitato scrupolosamente di affezionarsi alle persone, consapevole che così avrebbe senz’altro sofferto di meno quando fosse giunto il momento di abbbandonarle, e ci era sempre riuscita.
Almeno fino a quando non aveva incontrato Krohs.
Era stato subdolo, filtrato sottopelle come un veleno, eppure non riusciva a rimproverarsi di quella debolezza.
Giorno dopo giorno aveva abbassato le difese, permettendo a quell’uomo di scaldarle il cuore e ricordarle cosa fosse vivere per qualcuno e non solo per inerzia.
Le aveva restituito la speranza persa anni prima, le aveva offerto un nuovo motivo per sorridere alla vita, per trovare ogni giorno la forza di alzarsi e dare il meglio di se.
Krohs aveva riportato il sorriso sulle sue labbra stanche, e di quello non poteva che essergli grata.
Gli accarezzò il viso in un gesto materno, scostandogli appena i capelli dalla fronte, e sorrise quando quello aprì stancamente gli occhi.
- Dovresti dimagrire un po’, non è stato piacevole trascinarti fin quassù… - sussurrò scoprendo i denti in un’espressione di pura gioia.
Krohs ghignò a fatica.
- O forse sei tu ad essere deboluccia… - mormorò a fatica.
Spostò lo sguardo a destra ed emise un sospiro rotto dal dolore.
- Ce l’hai fatta, alla fine… - commentò.
- Hai trovato la vecchia Lyd… - aggiunse.
La ragazza annuì.
- Siamo davvero così odiosi, noi del Sud? – domandò causando una leggera risata nel suo interlocutore, che strinse appena gli occhi per dominare una fitta al cuore.
- Bisogna saperla prendere, è una brava ragazza… - fece con aria di chi la sapeva lunga.
Leth tacque, una domanda a tormentarle la coscienza.
Da quanto tempo si conoscevano, lui e la vecchia Lyd? In che rapporti erano? Dopotutto lei non sapeva nulla di Krohs se non quel poco che aveva intuito in quei giorni di viaggio.
- Le ho raccontato cosa è successo e ha detto che riparerà il tuo medaglione. – disse invece, sopprimendo quell’interrogativo che le pungolava il cuore.
Cos’era, gelosia? Che assurdità.

Piantala, Leth. Non hai alcun diritto di precedenza su di lui.

Quella considerazione però, anziché distoglierla da pensieri sconvenienti, la fece avvampare in modo vergognoso.

Dei, di male in peggio!

Fu la voce di Krohs a riportarla alla realtà, mentre le dita dell’uomo andavano a intrecciarsi con le sue.
- Sei stata brava, Leth… -  sussurrò in un soffio.
Chiuse gli occhi, e il suo respiro si fece di nuovo profondo e cadenzato: si era riaddormentato.
La ragazza trattenne il respiro e fece scivolare lentamente la sua mano via dalla presa lieve del compagno.
Si chinò su di lui, posando un bacio leggero sulla sua fronte calda di febbre e uscì sul balcone, lasciando che il vento le scompigliasse i capelli ormai quasi del tutto asciutti.
Di fronte a lei, l’immensa distesa del Lago Dailar scintillava sotto i tiepidi raggi del sole del mattino, punteggiata di bianco e di rosso dove le vele delle imbarcazioni catturavano il vento e si spostavano placide increspando la superficie dell’acqua.
Lunghi pontili si addentravano verso il centro del lago, le fondamenta avvolte dalle alghe verdi e viscide e le alte case di legno a slanciarsi verso l’infinto del cielo.
Chiuse gli occhi e inspirò profondamente, le narici assediate da mille odori diversi.
Percepì la nota pungente del pesce appena pescato, odore di spezie scambiate con l’altra sponda, il profumo degli abeti e della resina portato dal vento che giungeva dalla foresta all’ombra della quale stavano quiete le case costruite sulla terraferma.
Si sorprese nell’individuare fra i mille rumori le grida dei gabbiani, convinta com’era che non si sarebbero mai spinti così lontano dalla costa.
Insieme a loro, le ali spalancate in posa statuaria, se ne stavano sui tetti delle case decine di cormorani scuri come la notte.
Uno di essi si alzò pigramente in volo, planando placido fino alla barca di un pescatore.
Incuriosita, portò una mano a schermare i raggi del sole e osservò meglio la scena, sorridendo nel vedere il vecchio regalare un pesce al pennuto e quello ringraziarlo con una leggera ed amichevole testata sul braccio.
Aveva sentito parlare della pesca con il cormorano, ma mai avrebbe immaginato che fra uomo e bestia potesse instaurarsi un simile legame.
Si sedette sulla spessa ringhiera di legno e portò un ginocchio al petto, stendendo l’altra gamba, poi appoggiò il capo sulle braccia incrociate e si perse nella contemplazione del panorama che si apriva di fronte ai suoi occhi, a ovest l’immensa distesa lacustre e ad est, in lontananza, le montagne di casa.
E mentre la brezza sollevava con delicatezza le sottili bandiere bianche appese qua e là ai balconcini della casa di Lyd, Leth comprese per quale motivo Krohs avesse deciso di trascorrere così tanto tempo in quel luogo.
Il Lago era pace, serenità.
Pur da straniera si sentiva parte di quel posto, quasi Leksaahl avesse atteso pazientemente il suo arrivo trattenendo il respiro.
Non avrebbe saputo dire con precisione quanto tempo era trascorso da quando si era seduta lì, ma il sole era già alto sull’orizzonte quando la voce squillante di Lyd la fece sobbalzare, infrangendo quel momento di quiete come un cristallo.
- Hey! Vuoi ammazzarti? Scendi da lì e vieni a occuparti del tuo cavallo! – urlò la donna dal pontile, le mani attorno alla bocca ad amplificare il suono.
- Dei, il cavallo! –
Come aveva potuto dimenticare la bestiaccia?!
Balzò giù dalla ringhiera e scivolò all’interno della stanza, facendo attenzione a non svegliare Krohs e precipitandosi fuori dalla grande casa di legno.
L’animale aveva percorso il pontile a ritroso e aveva raggiunto la terraferma, e al momento era intento a rosicchiare l’ostinata radice di chissà quale pianta.
- Puoi tenerlo dietro casa mia, ho un piccolo terreno al limitare del bosco. – le concesse Lyd mentre la ragazza prendeva il povero animale per i finimenti e lo conduceva lungo i passi della donna.
Raggiunsero un prato che terminava nella sponda limacciosa del lago, proprio dietro alla casa. Accanto al praticello circondato da uno steccato si ergevano quattro muretti in pietra, che Leth scoprì essere i muri perimetrali del cortile con il pozzo.
- E’ tutto collegato… Il pozzo porta l’acqua potabile, mentre quella per lavarsi la prendo direttamente dal lago con un sistema di pompe… - spiegò la padrona di casa indicando un intricato grumo di tubature che faceva capolino dal pelo dell’acqua appena sotto alla palafitta, mentre la ladra legava il cavallo alla staccionata.
- La Grande Terra avrà certamente portato devastazione, ma le loro conoscenze idrauliche sono davvero mirabili… - commentò poi conducendo la ragazza nuovamente all’interno del salotto e sistemando sul tavolo i suoi acquisti.
- Appena Krohs si sarà rimesso vedremo cosa posso fare con il suo medaglione… - considerò fra sé e sé sistemando delle spezie in un grande barattolo di terracotta e accendendo il fuoco sotto al paiolo con uno schiocco delle dita.
- Serve una mano? – domandò Leth, ancora un po’ in soggezione di fronte ai modi della guaritrice.
Quella ghignò, un’espressione che la terrificò.

No, non promette nulla di buono.

Pensò deglutendo.
Come da pronostico, la donna le riversò addosso una quantità infinita di ordini, ma non fu certo quello a preoccuparla.
- Vammi a prendere dell’acqua al pozzo e sbuccia tre patate, poi taglia i sedani e versa tutto nel paiolo. Mentre aspetteremo che sia pronta la zuppa vedremo un po’ come gestire i tuoi poteri. Non sia mai che sia solo quella vecchia volpe di Krohs a potersi divertire un po’! -






 
Note:

-suono di trombe e rullo di tamburi-
Rieccomi qui, Signore e Signori,  con un nuovo capitolo di Sotto la Cenere! :DDD
No, non sono morta, lo giuro. E' che domani ho ben due esami e capirete quindi che gli ultimi tempi sono stati abbastanza impegnativi per la sottoscritta... ^^"
Il caro Krohs è fuori pericolo, grazie al cielo!
No, non avrei mai potuto ucciderlo già al capitolo 6, lo amo troppo per farlo fuori così presto! XD
Qui facciamo la conoscenza di un nuovo personaggio, la vecchia Lyd, che ruba un po' la scena alla nostra ladruncola preferita. Una tipa strana, che nel corso della storia svelerà un carattere dalle mille sfaccettature: come dice Krohs, bisogna saperla prendere... xD
Ma se pensate che l'atmosfera serena e pacifica di Leksaahl possa portare un po' di tranquillità ai due poveri viandanti vi sbagliate di grosso: il peggio deve ancora arrivare~

Come sempre grazie mille a tutti quanti per il supporto e specialmente per la pazienza di aspettare gli agggiornamenti! <3
A presto! (spero xD)

Kisses,
Koori-chan





A proposito! Sono giunta alla conclusione che EFP mi vuole male.
Per le immagini vi metto il link a tumblr, che facciamo prima... xD

Ecco qua Leth e Krohs
...


http://31.media.tumblr.com/eb7baf2c86586725bf6a3c06d23c8566/tumblr_n5xmtiBQoC1rarwk3o1_500.jpg

E la malefica mappa... xD

http://31.media.tumblr.com/fb0b6132595d6a065a1da449dc5d1bec/tumblr_n8560dIOoc1rarwk3o1_500.jpg
 

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