Situations

di Julietds
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The beginning ***
Capitolo 2: *** True Story ***
Capitolo 3: *** The start of the decline and other clashes ***
Capitolo 4: *** My dear friend pt.1 ***
Capitolo 5: *** "Friends" will be "friends" ***
Capitolo 6: *** My dear friend pt.2 ***
Capitolo 7: *** Leaving you behind ***
Capitolo 8: *** Escape the fate pt.1: If home is where my heart is, then my heart has lost all hope ***
Capitolo 9: *** If I could stay clean, I could stay with my band! ***
Capitolo 10: *** Escape the fate pt.2: Runaway ***



Capitolo 1
*** The beginning ***


PROLOGO














Capelli neri appiccicati alla fronte, corpo grondante di sudore, centinaia ragazzi urlanti davanti a me e un forte mal di testa dovuto al troppo alcool misto a eroina in corpo quella sera.
Ecco com'era essere Ronal Joseph Radke.
Ero in quell'esatto momento in cui il rumore si fa ovattato per le mie orecchie e la mia mente si svuota completamente; è come se non fossi più nel mio corpo, come se non fossi io a dover cantare e fossi lì per mero caso. Il mio chitarrista mi fa un cenno, sono pronti ad iniziare. Ma io decisamente no, mi sento un cerchio alla testa. Cerco poco realisticamente di alzare il microfono per aprire questa serata ma riesco solo a fare qualche passo barcollando all'indietro prima di ritrovarmi per terra.
Tutto quello che ricordo dopo sono solo un mucchio di pallini neri che mi appannano la vista.
 


__________________________




CAPITOLO 1: THE BEGINNING


Settembre 1999.
Terza superiore, di nuovo. Il solito, fottutissimo liceo Mojave.
L'anno appena scorso era finita abbastanza male, ma che volete, a quindici anni chi ha voglia di studiare? Forse non avevo abbastanza pazienza per stare attento alle lezioni o anche solo per andare a scuola, non saprei.
Quest'anno probabilmente non cambierà un cazzo, ma finalmente ho trovato qualcuno con cui formare una band. Mitch è un tipo a posto, ci incontriamo quasi tutti i pomeriggi per le prove della nostra nuovissima band, i 3.0. Abbiamo un sound molto simile ai Blink 182, probabilmente anche perché la prima canzone che ho imparato a suonare è stata proprio Dammit dei Blink e hanno avuto un forte impatto su di me. Andiamo abbastanza bene: io suono e canto e lui mi fa da spalla; se continuiamo così potremmo anche pensare di partecipare al talent show scolastico quest'anno. Lo so, sarà una cosa un po' da sfigati, purtroppo questa scuola è piena di fighetti, ma si parte dal basso no?


***
 
Novembre 1999
 
La band va alla grande quindi ho deciso di trasferirmi da Mitch, che tanto vive solo con sua madre. In ogni caso mio padre era troppo occupato ad ubriacarsi continuamente, mio fratello maggiore Anthony ha altro a cui pensare e mia nonna è anziana. E così potremo provare anche tutti i giorni.
I professori non fanno altro che rompere per le mie frequentissime assenze ma non ci faccio caso, adesso io e Mitch siamo troppo presi dalla band e abbiamo suonato già in un paio di locali qui a Las Vegas. Finalmente sta iniziando ad andare tutto dannatamente bene.

 
***
Febbraio 1999
 
Sono tornato a casa da mio padre. La band è andata a rotoli. Mitch ha detto che era stufo e così abbiamo stroncato il futuro della band sul nascere. Ho lasciato anche la scuola da tre settimane, forse ci riprovo il mese prossimo. In compenso ho conosciuto un ragazzo un po' più giovane di me ma con i miei stessi gusti musicali, si chiama Robert, Robert James Ortiz, e mi ricorda molto una versione in miniatura di Slash. Lui suona la batteria e così abbiamo messo su una band di nome Lefty.
Sono ancora convinto che partecipare a questo talent sia una buona idea e così ne ho parlato a Robert. Sono andato da lui e gli ho detto “Hey Rob, che ne dici se partecipiamo al talent della scuola?” e lui mi ha risposto “Perché no! Abbiamo un buon sound e poi non mi dispiacerebbe vincere” e così ci siamo rimboccati le maniche, in marzo mi sono ri-iscritto a scuola e siamo tra i candidati di questo talent.
Spero che faremo un buono show e, magari, che ci lancino anche qualche reggiseno come alle vere rockstars.
 
 
***
 
Dicembre 1999
 
Finalmente è arrivato il fatidico giorno, oggi ci esibiremo.
Abbiamo passato gli ultimi due mesi ad allenarci senza sosta dopo scuola nel mio garage e ora siamo carichi al massimo. Siamo dietro le quinte e stiamo sudando fiumi di sudore e come noi un'altra trentina di ragazzi di età tra i 14 e i 18 anni.
“Vuoi?” Robert mi passa una birra e io ne mando giù qualche sorso. Sembra che ci sia qualche altra band che suona il nostro genere, così decido di fare un giro nel backstage finché non arriverà il nostro turno. Mi siedo su di un tavolo ed appoggio la schiena alla parete mentre sorseggio birra ripassando mentalmente il pezzo.
Un ragazzo moro con una paio di ciocche tinte di rosso, una pettinatura molto simile alla mia e una maglia degli Iron Maiden mi si avvicina, pare debba recuperare la sua attrezzatura; così a quanto pare lui fa parte di uno dei pochi gruppi simili al nostro. Lo osservo un po' senza dare troppo nell'occhio e poi finalmente mi decido a spiaccicare due parole.
“Hey, io ti ho già visto da qualche parte..siamo nello stesso corso di scienze no?” Ci pensa un attimo.
“Sì, ora mi ricordo.. Suoni anche tu stasera? Comunque piacere, Max Green.”
“Piacere mio, Ronnie Radke. Lefty. Anche tu hai una band giusto?”
“Almost Heroes, bassista. Beh, ora mi stanno chiamando i miei compari.. allora a dopo. E in bocca al lupo Ronnie”
“Tranquillo, devo andare anch'io. Crepi!”
Corro da Robert, dobbiamo esibirci tra qualche minuto.
“Ronnie, dov'eri finito?! E' cambiato il programma, noi siamo ora. Pare che la band che si doveva esibire prima di noi abbia avuto qualche problema con l'attrezzatura, allora entriamo prima noi”
Non ho neanche il tempo di ribattere che un organizzatore che del backstage ci manda di corsa sul palco.
“Ehr.. Ciao a tutti, io sono Ronnie e noi siamo i Lefty e stasera suoneremo la nostra prima canzone, che ho scritto io: Not the End”.
Inizio a suonare avvicinandomi al microfono… che cade. Meglio di così si muore. Letteralmente, di vergogna.
Però invece di scazzarmi continuo a suonare e rido, è quello che mi riesce meglio, sono conosciuto da tanti come un buffone svogliato, sono il mio piccolo pubblico e io sono abbastanza nervosetto.
Faccio per chinarmi a raccoglierlo ma, a parte il fatto che ho addosso una chitarra, il bastardo si è non so come incastrato tra i fili collegati ad un amplificatore che sta davanti all'asta. Fortunatamente qualcuno se ne accorge e viene in mio aiuto: Max. Pare che il microfono non vada, forse si è rotto. Tutte a me stasera, gli dico piano. Lui si mette a ridere e mi risponde “spero che la performance vi vada meglio perché fino ad ora è una strage..e non di ragazze”.
Ai tempi mi misi a ridere, poi me lo disse che scherzava e che nessuno se lo sarebbe ricordato seriamente.
Rimise – finalmente – il microfono sull'asta.
È strano, con lui mi sono sentito sin da subito come con un amico, a casa.
Sentivo che avrei potuto dirgli di tutto perché già con uno sguardo ci intendevamo alla perfezione. E così fu con uno sguardo divertito verso Max, che iniziai a cantare.
Appena dopo avermi aiutato con il microfono Max corse giù dal palco ma ogni tanto con la coda dell'occhio riuscivo a vederlo lì, in mezzo al pubblico, con la sua band che seguiva, a ridosso del palco e tutto eccitato, la nostra esibizione mentre teneva il tempo.
Sorridevo, sorridevo un sacco. Non era la mia prima volta su di un palco, non era il primo ragazzo con cui andavo d'accordo che conoscevo a scuola, era persino di una band rivale... ma sentivo che a questo incontro sarebbero seguite molte, moltissime avventure.
Dopo la loro – fenomenale, quel ragazzino ci sapeva fare alla chitarra! – esibizione, decisi di invitare Max a una festa post concerto che si sarebbe svolta lì vicino. Per fortuna accettò, altrimenti mi sarei dovuto inventare una qualsiasi altra scusa per rivederlo. Scherzammo e parlammo tutto il tempo, nessuno riusciva più a staccarci! Per la fine di quella serata eravamo amici.

E fu così che nel giro di qualche settimana fondammo insieme i “True Story”.




Ecco il primo capitolo della mia prima fanfic sugli Escape..l'ho presa molto alla lontana okay, ma mi piaceva l'idea di poter raccontare come si fossero conosciuti, come sia iniziato tutto. Gli Escape non sono nati dati da un giorno all'altro, hanno iniziato che erano ragazzini praticamente. A chi come me ha adorato gli Escape The Fate, penso farà piacere ripercorrere la loro storia dagli inizi: dalla nascità dell'amicizia tra Ronnie e Max fino alla dipartita di piu' di metà band.
Parentesi: ho dovuto saltare qualche anno, primo perchè volevo presentare un quadro generale della situazione della band a chi non sapesse a memoria proprio tutti i fatti e secondo non li so nemmeno io tutti cioè, ho tentato di spulciare ovunque su internet ma ovviamente ci sono periodi di cui non ho trovato "testimonianze" riguardo a che stavano facendo gli Escape.

Detto questo spero che vi piaccia e scusate il commento kilometrico al primo capitolo (se lo avete balzato non vi biasimo) ma è la mia seconda fanfic in assoluto! (La prima era su un manga, tutto un altro mondo praticamente)
Lasciatemi una recensione (se qualcuno la leggerà mai)!
Juliet.

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Capitolo 2
*** True Story ***







Ottobre 2000
 

Io e Max siamo diventati inseparabili ormai, pappa e ciccia, culo e camicia. Adoro quel ragazzo. È un idiota, ma lo adoro proprio per questo. Ed è lo stesso per lui.
Ho imparato a suonare il piano e la chitarra e mi sto cimentando anche nel canto, Max mi fa parecchio bene e io faccio bene a lui. Siamo continuamente in sintonia, a me però piacciono gruppi come i Thrice mentre lui si ispira più a Marilyn Manson. Ma è okay, ci scambiamo continuamente nuova musica, nuove idee.
In realtà li ascolta anche lui, forse perché essendo nell'ambiente degli skater, a 17 anni, è normale imitare Dustin Kensrue. Sto cercando di imparare a fare scream come lui. Anche lui e Teppei, il chitarrista, si sono conosciuti a scuola. Se non è un segno del destino questo.
Intanto noi facciamo progressi: ho lasciato definitivamente la scuola e passo sempre più tempo con Maxwell a suonare nel mio garage, abbiamo anche registrato la nostra prima demo con un pezzo che avevo scritto un paio di annetti fa; lo abbiamo cantato insieme, si chiama “This is not the end” e spacca, decisamente.
Per quanto riguarda le prove penso che un giorno i vicini chiameranno la polizia.
Facciamo versi di ogni tipo, suoniamo, ci scateniamo, diamo spettacolo insomma.
Penso che non sarà un giorno tanto lontano.
 
 
***
 
Febbraio 2002
 
Io e quel coglione di Max Green siamo fratelli e lo saremo per sempre, ora lo so.
Lo sapevo dal giorno che ci siamo incontrati per la prima volta che saremmo diventati amici ma ora è totalmente diverso. Con quel ragazzo divido qualsiasi cosa, purtroppo anche il bagno di quel buco che è il nostro appartamento. Ci sono arrivati solo due richiami da pubblici ufficiali per disturbo della quiete pubblica questo mese: questi si chiamano progressi. Progressi e multe. Per fortuna Max lavora in un negozio di scarpe ed io in un fast food così possiamo permetterci le multe, l'affitto e le feste.
18 anni e non sentirli. Sarà un anno che usciamo con la stessa compagnia. Sento che un giorno mi sveglierò e quel giorno, di colpo, sarò vecchio, ma fino ad allora voglio divertirmi e non pensare a nulla.

Torno a casa e porto la cena in un sacchetto, Max è sdraiato sul divano che ronfa. Un sorriso malefico appare sul mio viso, peccato che lui ancora non lo sappia. Prendo un megafono che teniamo in un angolo per le feste, in genere per avvisare tutti che è il momento di sgomberare l'area. “Maxwell Scott Green, si alzi lentamente e con le mani ben in vista” dico attraverso il megafono mentre il mio compare spalanca gli occhi di colpo e si butta giù dal divano con le mani dietro la nuca. “Non ho fatto nulla! Io neanche ci vivo qui!” urla prima di rendersi conto che nella stanza ci sono solo lui e uno scemo con un cappello da baseball e una polo blu con il marchio di un panino e di decidersi a mettermi il broncio.
“Indovina che c'è per cena.”

Saremo i vecchietti più marci dell'ospizio, io e Max.
 
 
***
 
Dicembre 2004
 
Io, Max, Bryan Monte Money, Rob e due nuovi ragazzi abbiamo formato una nuova band. Bryan lo conosco già da un paio d'anni, uscivamo con la stessa compagnia; io, lui e Max abbiamo avuto l'illuminazione e abbiamo pensato tutti e tre di chiamare Rob, conosciuto da Max dai tempi del talent della scuola e anche da Bryan. Beh in realtà Rob conosceva il cantante degli Almost Heroes che una sera, ad una festa, gli presentò il suo fenomenale bassista e altri amici. Avevamo deciso di formare una band già a metà dell'anno scorso ma ci mancava qualche componente e abbiamo sempre suonato insieme senza darci un nome fino ad ora.
Bryan ci ha presentato Omar Espinosa, batterista, e qualche mese dopo abbiamo reclutato un tastierista, Carson Allen.
Così ora siamo sei pazzi, disturbatori della quiete pubblica. Fortunatamente per la mia fedina penale ci siamo decisi a suonare in una sala prove.
Io non credo alle coincidenze, ma è stata proprio una fortuna che ci siamo ritrovati. Suonavamo tutti in band diverse e da un momento all'altro siamo finiti insieme, non si sa come, a suonare sotto un tetto comune, con il nome di Escape The Fate. Spero veramente che questa band duri.
Sarà la volta buona? Probabilmente no, ma ci vogliamo provare.

 
***
 
Maggio 2005
 
Sono diversi mesi ormai che gli Escape The Fate vanno avanti a gonfie vele, questi ragazzi sono grandiosi e poter essere il loro cantante significa molto per me, stanno diventando come una famiglia con il passare del tempo.
Questo mese ci siamo lanciati, parteciperemo ad un contest ad una radio, i cui giudici saranno i My Chemical Romance. Speriamo bene. Mandiamo il nostro pezzo e incrociamo le dita.
E si vede che le dita erano incrociate ben strette perché alla fine abbiamo vinto e, anche se non ci credo ancora, apriremo il concerto degli Alkaline Trio e Reggie And The Full Effect. Stiamo già suonando in giro da mesi ormai ma questo è forse la grande occasione che aspettavamo per emergere.
È un sogno che si avvera e quindi stasera si festeggia. Ce lo meritiamo alla grande.
 
“Ragazze, dovete brindare tutte con noi. E sapete perchè?” fa Max con fare serio e la voce leggermente alterata dall'alcool, rivolgendosi ad un gruppo di ragazze sedute ad un tavolo vicino al nostro.
“Perché noi siamo future rockstars” sorride sornione Maxwell.
“Ma che dici, noi lo siamo già!” lo correggo subito, badando bene a farmi ascoltare da tutte le ragazze.
Una ragazza bionda a cui ho circondato una spalla con un braccio mi domanda: “Con che band suonate?”
“Alkaline Trio!” mi precede con un gesto teatrale Monte. “Apriremo il loro concerto la settimana prossima, siete tutte invitate” urla da dietro di me Rob, alzando un boccale di birra.
Sicuramente abbiamo fatto una buona impressione dato che io e Max ci dividiamo a metà le bionde e le rosse e ne rimangono altre per i nostri soci.
Diversi round più tardi sgattaiolo via dalla camera in cui ho fatto la strage e mi incontro casualmente con Max, anche lui in boxer, nel corridoio che sta cercando una sigaretta. Rovisto nella mia giacca.
“Tieni barbone” lo sbeffeggio affettuosamente. “Fumiamocele fuori” suggerisce lui.
“Da quando Maxie?” lo prendo in giro imitando la voce di sua madre. Il fatto è che purtroppo non è casa nostra ma di un qualche amico di Monte che gliel'ha lasciata dato che è fuori Las Vegas per qualche giorno. Brutta idea. Abbiamo già conciato male la tappezzeria rovesciando un paio di bottiglie, così cerchiamo di non fare ulteriori danni.
Mi butto addosso una maglietta e ci sediamo sui gradini davanti casa.
Aspiro.
Guardo le onde che si infrangono all'infinito sul bagnasciuga. Avere una casa a San Pedro dev'essere figo, ma fa lo stesso se conosci qualche idiota che ti lascia una casa completamente libera per il weekend.
Mi giro verso Max che sta espirando. Ci osserviamo per una manciata di secondi, ci sorridiamo.
Siamo entrambi un po' intontiti dalla serata, dalla vodka, dal sesso, dal freddo.
“Lo so che non ce lo diciamo, ma sei il mio migliore amico. E hai anche bisogno di riprenderti perché ho davanti una faccia da zombie” dice ridendo e passandosi una mano sul viso. “Vado a prenderti una birra dentro” annuncia correndo verso la porta.
Di tutta risposta gli urlo dietro un “Nemmeno tu hai una bella cera, AMICO” ignorando che sono le quattro del mattino. Per fortuna qui intorno non ci sono molte abitazioni. Girandomi vedo Max che quasi cade nella sabbia aprendosi la porta addosso. Poi sarei io il rincoglionito!
Poco dopo lo vedo tornare con una bottiglia di Vodka piena a metà.
Sbatte contro il vetro della bottiglia un anello che porta sempre al dito medio e spiegandomi che era l'unico resto della nostra serata, dà ufficialmente il via al nostro post sbronza.
“Post sbronza featuring vodka. Il rum che fine ha fatto?” chiedo sorpreso del fatto che Max non lo abbia portato con la vodka. Quando tre ore fa l'ho visto in cucina ce n'era una bottiglia ancora chiusa.
“Mi sa che il rum ha avuto breve vita dopo essere finito nelle mani di Monte!”
Bene. Abbiamo finito anche il rum. Ci guardiamo negli occhi per un istante fulmineo, ma non ho neanche bisogno di aprir bocca: si fa rifornimento domani.
Però mi indigno. Monte ogni tanto è un po' tanto egoista. Intanto fortunatamente Max si sta dando da fare. Mi passa un purello con una mano e la bottiglia con l'altra.
Faccio un tiro, bevo un sorso e passo.
Tira fuori da chissà dove dello Xanax e me lo passa. Mando giù.
Lo guardo distrattamente mentre fa lo stesso.
“Ehi, ci buttiamo?” mi guarda un attimo con un mezzo sorrisetto. Sta cercando di capire se sto scherzando o se ho in mente qualche scherzo dei miei. Poi si alza lentamente.
“..se arrivo per primo offri tu domani!” mi urla mentre sta già correndo verso la riva.
“Bastardo!” gli urlo mentre lo rincorro. Lo prendo per maglietta e lo tiro nell'acqua ghiacciata. “Spero ti piaccia questo puttanella!”.

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Capitolo 3
*** The start of the decline and other clashes ***


Gennaio 2006
 
Sudo freddo, Max aveva detto che sarebbe tornato subito e mi ha abbandonato qui da solo nel backstage. Tra venti minuti dobbiamo salire sul palco e lui non è ancora tornato. È la seconda canottiera che mi cambio oggi. Sono seduto per terra con la schiena appoggiata al muro che sbircio per vedere quanta gente c'è stasera. Non riesco a vedere ma comunque abbiamo riempito il locale come solito. I ragazzi adorano le nostre canzoni, le ragazze ci lanciano di tutto sul palco. In questo momento vorrei solo che mi lanciassero Max, che spuntasse dal palco per venire nel backstage a dire “Ehi, ho trovato la roba! Siamo a posto per stasera!” e invece ancora non si vede.
“Andrà tutto bene, Ronnie” mi dice Omar. Non andrà bene nulla. Niente. Nada. Max è via da tre quarti d'ora. Che abbia avuto qualche problema? Io non ne voglio più. Già l'anno scorso ho dovuto rimetterci cinquecento e passa dollari per quell'idiota di un avvocato che mi sono trovato e quella giudice infame. Nancy Oesterle. Un amore di donna.
Ma il problema resta sempre lo stesso: Max è sparito e io ho bisogno di farmi da matti.
Inizio a pensare alle potabili alternative..Jack, il nostro pusher qui a LA? Vado a cercarlo.
Non lo trovo. Fermo due facce conosciute. “Ragazzi avete visto Jack?”
“No, mi dispiace. Stasera non si è fatto proprio vivo”
Me ne vado subito dopo l'aver sentito la parola no senza neanche salutarli. Ci mancava solo questa. Giro e rigiro avanti e indietro. Robert tenta di calmarmi in qualche modo ma io sto dando fuori di matto. Mando giù tutto l'oxycontin che mi è rimasto. Sento delle voci in lontananza nel backstage. Finalmente quell'idiota del mio migliore amico si è rifatto vivo. Gli vado incontro con le mani tremanti.
 
“Allora?” urlo quasi. Max tira fuori dalla tasca un sacchettino mezzo pieno di polvere bianca. “Non ho trovato di meglio per 700 dollari” dice alzando le spalle.
“E il resto?”
“Me la sono fatta in macchina.”
“Okay.” Prendo il sacchetto e sparisco in un bagno, dentro al quale mi chiudo per una decina di minuti.

 
***


Quando mi decido ad uscire sto decisamente meglio. Sento il solito orgasmo che percorre ogni membra del mio corpo, le mani smettono di tremare, i pensieri si calmano. Apro la porta molto lentamente. Per poco non cado in braccio a Max.
“Mi dispiace per prima amico”
“È tutto okay” risponde lui tranquillo sorridendomi.
“Andiamo nel mio camerino?”
“Sì, andiamo” dice lui trascinandomi per tutto il corridoio.
 
Restiamo lì una ventina di minuti.
“Senti che merda sta suonando la band che apre il nostro concerto!” urlo a Max.
 Lui ride.
“Amico la settimana scorsa eravamo sul palco durante la loro esibizione a scatenarci!”
“Lo so! Ero fattissimo. Quella si che era roba buona.”
“Lo so, lo so Ronnie. Non ho trovato granchè questa sera.”
“Non fa niente amico. Stavo per darti per perso! Ho cercato John per una mezz'ora buona ma nessuno sapeva dove fosse.”
“Huh? Jack intendi? In effetti non l'ho visto  questa sera” qualcuno viene a bussarci alla porta. Monte fa capolino avvisandoci che stiamo per entrare in scena.
Metto un braccio intorno al collo di Max. “Andiamo a sfondargli il culo!” urla mentre corriamo verso il palco.
Quel ragazzo è un idiota, non poteva non essere il mio migliore amico.
 
 
***

 
A fine concerto sono grondante, come sempre. Ho bisogno di una doccia ma Max che non è ancora soddisfatto mi propone di andare a vendere un po' della merce del tour per fare scorta di coca. Ovviamente accetto.
Appena usciamo dal retro tutta la folla ci si riversa addosso se non fosse per le guardie che ci salvano per un pelo. Decidiamo di uscire da un'uscita secondaria. Lì per fortuna ci aspettano – relativamente – pochi ragazzi che non sono riusciti ad entrare a sentire il concerto. Facciamo i bravi ragazzi e firmiamo foto, tette e magliette a tutti e riusciamo anche a tirar su 400 dollari di roba.
“Speriamo di tornare presto a LA, siete grandi ragazzi!” urlo mentre mi dirigo verso il bus con Max.

 
***
 
Maggio 2006
 
“Abbiamo prodotto il nostro primo EP e se ci va bene tra qualche mese uscirà il nostro primo album” dico all'intervistatrice. Sono ubriaco, Max è messo peggio di me, siamo tutti esausti. Per fortuna l'intervista non è stata particolarmente lunga, le cinque solite domande stupide: come state, ho saputo che è uscito il vostro primo EP, come va il tour, da quanto tempo vi conoscete, che tatuaggi avete.
Il mio corpo chiama ossicodone.
Il mio corpo chiama rum.
Il mio corpo chiama una serata come si deve, senza ricordare che l'ultima volta che ho dato il mio meglio sono andato in overdose.
E spariamocela.
 
 
***

 
Le cose non sono andate come volevamo. Come potevo aspettarmi.
Sabato mi sono visto quattro ragazzi della compagnia mia e di Max. Ho parlato al telefono con Chase, uno di loro, era fuori di sé, parlava di un conto in sospeso con un certo Michael di cui avevo già sentito parlare, un ragazzo di un gruppo rivale, diciamo. Ne avevo già sentito parlare da Max un paio di volte.
Così ci siamo accordati e dopo le due è passato a prendermi in macchina. Gli accordi consistevano nell'incontrarsi nel mezzo del deserto e fare i conti. Abbiamo passato lì una mezz'oretta in cui ho tentato inizialmente di far cambiare idea a Chase, ma poi quel Michael ha iniziato con gli insulti pesanti. Chase si era portato una pistola e io sapevo che non sarebbe finita bene. Alle 2.35 eravamo già in macchina, che lasciavamo Cook steso a terra.
Mi ricordo che mentre mi allontanavo e fissavo quel corpo stesso morto pensavo “ti prego, fai che non se ne accorga nessuno”. Poi sono diventati pensieri più realistici del tipo “ora da dove cazzo li tiro fuori i soldi per pagare di nuovo l'avvocato” e “speriamo che non mi scoprano la roba”.
 
 
***

 
26 settembre 2006
 
Dying Is Your Latest Fashion è finalmente uscito, siamo tutti euforici. Io e Max specialmente. Se non fosse per il processo che mi grava sulle spalle e la continua ricerca di soldi sarei finalmente quasi totalmente felice.

Quasi.

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Capitolo 4
*** My dear friend pt.1 ***






“Qual è stata la prima impressione che avete avuto l'uno dell'altro?”
“Ci incontrammo all'inizio del Warped Tour, nel 2007…”

 
Flashback, Agosto 2007
 
Avevamo appena pubblicato il nostro primo album, His Last Walk, ed ero così eccitato ai tempi. Era la prima edizione del Warped Tour a cui avremmo partecipato. Per me partecipare a questo tour era stato un sogno fino a quel momento, non avrei mai pensato di potermi esibire con tutte quelle altre band in una tournée così seguita. Ai tempi avevo 21 anni, un problema con gli alcolici e con qualche droga, ma anche tanta passione ed eccitazione addosso.
Conobbi molte band e intervistatori in quel periodo, finalmente stavamo emergendo. Il primo giorno uscii dal bus con Mike e Miles, volevamo fare un giro, guardarci intorno, intrufolarci nei backstage delle band che suonavano nei palchi principali. E fu proprio lì, sotto il sole cocente della California, che vidi per la prima volta Ronnie e Max che scherzavano l'un con l'altro sugli skateboards.
Ronnie Radke e Max Green, fondatori degli Escape The Fate. Avevo sentito il loro EP, erano bravi. Sapevo che in autunno saremmo stati in tour insieme così decisi di presentarmi.
Mi avvicinai: Ronnie era un ragazzo alto con il capelli neri scompigliati e non eccessivamente lunghi, indossava un paio di occhiali da sole, una bandana bianca e nera, una maglietta nera con un paio di buchi, dei pantaloni neri attillati e un paio di Camperos; Max invece portava i capelli leggermente più lunghi, due piercing al labbro inferiore, una maglietta di Marilyn Manson, una cintura coperta di borchie e dei pantaloni neri strappati.
Avevo sentito qualche storia su loro due. In tutte erano fattissimi ma chiunque avrebbe voluto essere lì con loro.
 
Voleva conoscerli di persona, voleva vedere se tutte le vicende che si raccontavano sulla coppia fossero vere. Si avvicinò ancora di più. Sul suo viso si accese il suo miglior sorriso. I due alzarono lo sguardo dallo skate su cui era Max: Ronnie era di fianco a lui che lo spingeva e l'altro cercava di non cadere.
“Hey. Bei trick poco fa... io sono Craig Mabbitt” disse leggermente imbarazzato poiché i due lo fissavano impalati.
“Max Green e lui-“
“Ronnie Radke. Ronnie Radke e Max Green. Anche se probabilmente non abbiamo bisogno di presentazioni” disse ridacchiando con il suo compare.
“Certo” rise Craig. “Mezza giornata al Warped Tour e..”
“..e già abbiamo quasi distrutto un palco” aggiunse Max.
“Distrutto?” disse Craig sorpreso.
“Oh si, stava suonando una band, sono fortissimi quei ragazzi, hanno un sound da paura. Beh insomma, al momento del breakdown me ne vado sul palco con loro facendo headbanging e dico al microfono che stanno andando alla grande, sai, che sono forti e che adoro quella canzone. Dopo che il chitarrista mi caccia via dalla scena, io e Max, che era di fianco a me seduto su una cassa vicina al palco, decidiamo di farci un giretto nel backstage. Ci piaceva un sacco una struttura che avevano montato per fare da sfondo e così volevamo vederla, da dietro sai” ripeté mentre si passava una mano tra i capelli unti a causa del sudore. Quel ragazzo non riusciva a stare fermo, continuava a gesticolare e a parlare in modo concitato. “E così siamo andati proprio dietro al palco e abbiamo parlato un po' con il loro manager che avevamo conosciuto casualmente; beh, abbiamo iniziato a scherzar-“ Ronnie si interruppe un paio di volte per lanciare un urlo ad un suo amico. “Seb! Sebastian!” nessuno nella folla si girò. “Sebastian Bach!”
“Aspetta, conosci Sebastian Bach?” Ronnie lo guardò senza capire e proseguì il suo racconto.
“..insomma stavamo cazzeggiando dietro al palco quando un nostro amico mi ha spinto verso il fondale e aggrappandomi per non cadere l'ho tirato giù per metà”
“Probabilmente nessuno si era accorto di nulla, né la band né i fans” aggiunse Max.
“Oh si, finché tu non mi sei caduto addosso tirandolo giù completamente. Il telo ci è caduto addosso e tutti si sono girati verso noi – o meglio, verso le nostre teste che spuntavano. Ce la siamo dati a gambe con il manager che ci stava dietro.”
“Già, penso che ci stia cercando ancora adesso!” rise Max.
Okay, di certo riflettevano le sue aspettative. Erano due ragazzi squinternati e troppo fatti per essere le 11 del mattino. Gli piacevano; così passò il resto della giornata insieme a loro combinando guai, facendosi presentare nuove band, scambiandosi pillole tra amici.
 
 
“Ero troppo fatto per una prima impressione. Il giorno dopo a Ventura, in California, collassai perché avevo troppa droga in corpo. Le persone comprendono cosa significa essere sotto il sole al Warped Tour? Immagina inoltre collassare per eroina.”
“Guardando indietro, forse era troppo fatto perché c'erano volte in cui noi lo avremmo preso a calci dopo. In quel periodo stavo ingoiando anch'io un sacco di pillole con il mio compare dei Bleed The Dream.”
“È vero! Tu mi portasti alcune di quelle! Aveva la roba migliore, giuro.” Disse Ronnie all'intervistatore mentre si toccava il pizzetto.
 
 
Lo portammo nel backstage cercando di farlo rinvenire a forza di schiaffi e acqua tirata in faccia mentre aspettavamo l'intervento dei paramedici presenti al tour ma nulla. Dopo pochi minuti arrivarono e se lo portarono via in barella. Qualche ora più tardi stava già meglio.
“Sono solo un po' scombussolato ragazzi” cercava di rassicurarci.
“Amico sei una roccia! Non mollare, abbiamo un tour da finire!” gli ripeteva Monte.
Ronnie aveva uno sguardo strano, come quello di una persona che si sveglia dal coma dopo mesi e ha una luce puntata in faccia. Cercò di alzarsi ma aveva le vertigini così Max si fece circondare il collo con un suo braccio e lo portammo fino al bus. “Vieni a trovarci più tardi?” mi urlò Ronald mentre entravano.
Passammo tutta serata insieme e, non soddisfatti, anche la notte.
Ronnie si era ripreso velocemente e già ingoiava nuove pillole.
Ci guardammo Le Facce della Morte I, II, III e IV sul loro bus e passammo la notte a bere, farci e chiacchierare di tutto e di più. Non avevo detto nulla ai miei compagni dei Bless The Fall che già mi sfottevano dicendomi frasi del tipo “allora, quando ti congiungerai agli Escape The Fate?” e “Non ci presenti le nostre future nuore?”. Ero lo zimbello della mia compagnia, ormai passavo più tempo con Max e Ronnie che con la mia vecchia band.
“Dico solo che sembrava fottutamente finto amico! Insomma guardali, fai saltare in aria una testa umana e tutto si ricopre di sangue per dieci minuti buoni.”
“Oh, andiamo! È la morte più epica della saga! È palesemente finta ma è fatta fottutamente bene, chiunque vorrebbe morire così se vedesse prima la scena a rallentatore!”
 
 
 “Ronnie mi invitò sul loro bus così ci rilassammo parlando di cazzate tutta la notte. Nessuno voleva venire su e infastidirci perché erano del tipo 'Sta succedendo qualcosa di fottutamente strano'.
Ma questa era la prima volta che pensai 'Forse c'è qualcosa di fottutamente sbagliato in questo ragazzo' e così fu. Il giorno dopo le cose andarono diversamente da come mi sarei aspettato…”
 
 
Il giorno dopo mi svegliai sfattissimo, con metà corpo appoggiato al bordo di una brandina sopraelevata nel bus degli Escape The Fate. Non realizzai subito dove mi trovavo ma una sonora caduta dal mio giaciglio mi fece scoppiare i ricordi e un irritante mal di testa. Tornai sul bus dei Bless The Fall senza dire una parola. Gli Escape The Fate stavano tutti dormendo, chi con qualche arto a penzoloni come Max, e chi per terra di fianco al letto come Ronnie.
Appena salì sul mio bus i ragazzi non mi vennero in contro ma continuarono le loro attività e sinceramente ne fui sollevato; andai diretto verso il mio letto e dormii per mezza giornata. Mi svegliai tutto sudato che erano le 4.30 del pomeriggio. Mi alzai dal letto e notai che ero solo. Uscii dal bus con l'intento di raggiungere gli Escape nel backstage del Lucky, uno dei due palchi principali a cui sapevo si sarebbero recati in giornata, ma per strada, in una piazzola semi deserta incontrai Ronnie che con una strana camminata si dirigeva altrove, verso il 13, l'altro grande palco.
Gli urlai dietro un 'Hey' ma evidentemente non mi sentì così lo rincorsi per salutarlo ma lui non rispose e continuò a camminare. C'era qualcosa che non andava. Mi ricordo che iniziai a pensare “Okay, penso di non piacere più a questo tipo.”
 
 
“Non eri tu, erano le droghe!” sbraitò Ronnie. “Era così la camminata?” chiese alzandosi dalla poltroncina e trascinandosi per qualche metro sulle gambe.
“La cosa divertente è che quando andai al Warped Tour nel 2009 come parte integrante degli Escape, feci  la stessa camminata! Sarò stato solo ubriaco. Le persone pensavano 'Amico, quel tipo è uno stronzo'.” 



 
Per questo quarto capitolo ho deciso di prendere un'intervista fatta a Ronnie e Craig da AP (se non erro), appena la ritrovo posterò qui sotto il link se qualcuno fosse interessato..
Comunque mi piaceva l
'idea di ripercorrere i ricordi di cui parlavano i due cantanti, immaginarsi come sono andate le cose e beh..come sono andata?
Recensitemi!

Al prossimo 
'My dear friend' pt.2,
Juliet

INTERVISTA ALTERNATIVE PRESS: http://fallinginreversefans.com/post/65727039841/alternative-press-magazines-interview-with-ronnie

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Capitolo 5
*** "Friends" will be "friends" ***


Dicembre 2007
 
Passarono settimane, mesi. Io e Max uscivamo con Craig e la nostra vecchia compagnia di tanto in tanto, non passò molto che fu organizzato un tour di cui eravamo gli headliner, Black On Black lo chiamarono.
“Questa canzone è per Craig Mabbitt, lui si che sa come fare festa!” ed iniziavo a cantare. Ai ragazzi dei Bless The Fall dava un fastidio cane ma a me piaceva divertirmi e non me ne preoccupavo.
 
 
Nei miei giorni migliori ero Ronnie Radke, il frontman di una delle band che ha sfondato nella scena musicale “alternativa”, amico del cantante dei Bless The Fall, cazzone inguaribile, sciupa femmine, party-harder. Negli altri giorni solo un ragazzo che non ha mai conosciuto sua madre e stava facendo a pezzi la sua vita, litigando continuamente con chiunque, venendo tradito.
Max era l'unico punto fermo presente nella mia vita.
Anche alla band tenevo, a Monte e Robert, ma con Maxwell era tutta un'altra cosa. Max è un fratello. Max è il mio migliore amico, una parte di me. Non potrei mai separarmi da lui.

“Non ci pensare amico. Gliela faremo vedere, promesso. Antonio e quei suoi amici spacconi sono solo dei perdenti, ci inventeremo qualcosa vedrai” mi ripeteva Max seduto sul divano di pelle nera mentre io facevo avanti e indietro in mezzo al bus.
Robert annuiva mentre faceva roteare le bacchette tra le dita e Monte si metteva a posto i capelli allo specchio in corridoio.
Le 3 di notte. Ecco la situazione che si prospettava a quest'ora sul bus degli Escape The Fate.
“Non è questo Max, stanno mettendo in giro brutte voci sulla band. Sai che mi danno un fastidio cane questo genere di cose” ripetei adirato.
“Guardate” fece ad un tratto Monte tirando fuori il telefono e porgendolo a Max. Io e Robert ci avvicinammo per capire di che si trattasse.
Era la foto di un cartellone esposto ad un qualche tour davanti a centinaia di ragazzini con sopra scritto 'Ronnie e Max perdenti eroinomani, consigliato cercare subito i biglietti per i loro concerti prima che la band si sfasci dopo quei 10 minuti di fama, se vi accontentate di due canzoni e mezzo prima del collasso'.

Era quello il mio tipo di amici. “Amici”.
 
 
***
 
 
Il giorno seguente mi svegliai a mezzogiorno con un'irritante emicrania.
Notai mezz'oretta più tardi che, a parte per la mia presenza, il bus era deserto. Mi feci un caffè, mi vestii ed uscii per scoprire che stesse succedendo. A una decina di metri dal bus si era radunata una piccola folla intorno ad un paio di ragazzi che apparentemente se le stavano dando di santa ragione: Maxwell e Antonio, uno dei nostri ex amici della compagnia di fattoni con cui uscivamo.
Antonio caricava Max, sollevandolo quasi sopra la spalla, mentre lui lo prendeva a pugni sulla schiena. Tutto sotto gli occhi esterrefatti di Robert che sembrava l'unico a cui fosse rimasto un briciolo di buonsenso. Purtroppo Robert vs il mondo non finiva mai come da lui desiderato, naturalmente. Decisi che era abbastanza. Corsi per mettermi tra i due ma Antonio mi diede un cazzotto in piena faccia e Maxwell gli morse il braccio tanto da farlo urlare; Monte e altri due ragazzi lo tennero mentre urlava insulti nei confronti dell'italiano che era trattenuto da Robert e un uomo della sicurezza.
Per fortuna si decisero ad intervenire.
“Lo avrei menato anch'io volentieri e lo sai Max, ma abbiamo già abbastanza casini in ballo” cercavo di spiegare a Max mentre lo portavamo via.
“Ronnie tu non hai visto, stavamo qui fuori tranquilli quando lui ha preso a provocarmi e a insultarti” rispose lui aggrottando la fronte.
“Immagino. Avrei fatto lo stesso per te. Ma in questo momento dobbiamo fare in modo che non possa avere ragione sul conto della band. Avremo la nostra vendetta, presto, ma non senza di me Maxie. Non mentre dormo, okay?”
Max ci pensò un attimo, tenendomi il broncio; poi mi sorrise e mi gettò le braccia al collo.
“Testardo” gli sussurrai amorevolmente.
“Idiota” rispose lui.

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Capitolo 6
*** My dear friend pt.2 ***


Febbraio 2008
 
“Ragazzi avete sentito l'ultima?” esordì una mattina Jack, amico della band nonché tecnico del suono che condivideva con loro il bus.

“Il cantante dei Blessthefall, Craig Mabbitt viene sbattuto fuori dalla band” lesse il ragazzo ad alta voce da un articolo online. “A dicembre la band, impegnata nel tour europeo con i Silverstein, è stata scaricata durante le esibizioni nel Regno Unito da Mabbitt che ha preferito dedicare del tempo a sua figlia. Ora che il cantante ha espresso il volere di tornare nella band, i membri si sono opposti preferendo continuare senza di lui. Potete trovare qui sotto i link ai messaggi diffusi dopo mesi di silenzio sui profili Myspace di Craig e della band.”

“Wow… sicuramente inaspettato. Quand'è che facciamo una pausa e scendiamo un po' da questo bus del cazzo?” chiese Max stiracchiandosi.

“Pazzesco..un giorno ti svegli e non ti vogliono più nella tua band quando il giorno prima eri il loro cantante, l'idolo delle masse. Mi ricordo ancora l'ultima volta che l'ho visto…”
 

 
 ***

 
Flashback, 24 dicembre 2007
 
Tutto quello che vedeva erano ciocche di capelli alternate a ragazzi urlanti che cercavano di attirarlo a sé. Sentiva il sudore ricoprirgli il corpo come un nemico sempre presente – durante le esibizioni, nelle notti in cui non si faceva di eroina da 48 ore, nei momenti peggiori. Però stavolta era per un buon motivo; stava saltando, correndo e scuotendo la testa come un ossesso sulle notte di Apocalypse mentre i fans attendevano trepidanti un suo gesto eclatante. Li accontentò. Si lanciò su di loro, si sdraiò, si lasciò cullare da centinaia di quelle mani che in parte lo sorreggevano e in parte lo strattonavano. Tutti volevano un pezzo di lui, un pezzetto di Ronnie Radke. In quel momento non sentiva nulla se non il rumore del suo respiro, l'unica prova che aveva ancora aria nei polmoni nonostante la mancanza d'aria, i tremori, la confusione e la stanchezza. Un mix letale che lo cullava tutte le notti prima di farlo crollare in un letto… circondato talvolta da amici preoccupati dal fatto che forse, una mattina, non si sarebbe più svegliato. Avrebbe potuto soffocare nel sonno o avere un'overdose e se nessuno lo avesse sentito? 'Cantante di una nota band muore nella notte per overdose. I compagni si dicono addolorati ed hanno annunciato che spargeranno le sue ceneri sulla folla al prossimo tour' avrebbero titolato i giornali. Un tour in memoria del povero cantante deperito, Max vestito da vedova addolorata e…no, Robert non lo avrebbe mai permesso fortunatamente. Il pensiero di Maxwell in versione sessantenne total black lo riportò alla realtà giusto in tempo per atterrare sul palco. Si congedò velocemente dal pubblico e fece ritirata nel backstage con il resto del gruppo.

“Bello spettacolo ragazzi!” urlavano voci entusiaste dei proprietari delle mani che davano lui pacche di incoraggiamento, pretendevano cinque, agognanti di una sua risposta.
Era accaldato e stanco, la fronte gli si stava letteralmente sciogliendo, però era stranamente felice. Salutò membri di qualche band che faceva loro da scalda-pubblico, niente di più. Salutò anche Craig quella sera.
L'ultima sera del tour.
“Hey amico, come va?” gli chiesi.
“Non molto bene, amico… qualcuno ha rubato tutta la merce della band dal nostro bus, almeno 500 dollari finiti nel cesso…”
Gli appoggiai una mano sulla spalla in segno di conforto.
“Tra poche ore sarà Natale e non potrò nemmeno vedere la faccia della mia piccola Leila Rose, e tutto per essere qui, per loro…” disse indicando la folla da dietro le quinte. “Ci mancava questa” disse infine rassegnato.
Ronnie ci pensò un attimo, poi si mise la mano nella tasca posteriore dei pantaloni e tirò fuori un fascio di banconote che a occhi e croce saranno parsi almeno 400 dollari all'altro. Glieli mise in mano.
“No, io non posso accettare.. Veramente Ronnie, apprezzo però…” disse Craig porgendoli indietro al cantante degli Escape The Fate; ma quest'ultimo spinse avanti una mano in un gesto di rifiuto.
“Tienili. Compra qualcosa di carino a tua figlia, dovresti essere con lei.” Disse cambiando tono di voce.
Era sincero. Gli occhi di Craig si fecero lucidi.
“Grazie amico. Veramente.” Si scambiarono un rapido abbraccio prima che Max e gli altri lo trascinassero via.

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Capitolo 7
*** Leaving you behind ***


Aprile 2008
 
“Ancora una volta non possiamo andare in tour come una normalissima band! E non parlo dell'Europa o del Giappone, ma degli Stati Uniti d'America! Casa nostra! Ma naturalmente chi vuole esibirsi fuori dal Nevada? Non Ronnie! Motivo per cui continua a violare la libertà provvisoria cercando ogni volta di non farsi beccare e a farsi di eroina, ma indovina? Non funziona come piano.” concluse animatamente Max. Questa volta era proprio incazzato. Anzi, meglio dire che ultimamente la situazione tra i quattro ragazzi era spesso tesa.

“Ronnie” lo implorò gettandosi sulle ginocchia del cantante. Ronald era seduto su di una sedia metallica in una stanza dalle pareti bianche illuminata dalla luce soffusa che proveniva da un'unica lampadina che puntava sul tavolo. Non vi erano mobili se non per altre tre sedie e un tavolo, anche lui in metallo. “Lo so, non è colpa tua, ma per favore. Fai contenta quella giudice e potremo andarcene da Las Vegas. Ti piacerebbe, lo so. Ti prego, sei il mio migliore amico. Voglio girarlo con te il mondo. Con la nostra band. Gli Escape The Fate.”

Ronnie restava in silenzio a labbra serrate, con le braccia incrociate e cercava di guardare altrove mentre Max non gli parlava. Indossava una canottiera rossa vecchia e strappata e un paio di pantaloni tagliati alle ginocchia, retti da una cintura di pelle con borchie. Una catena penzolava dal suo fianco.
Max lo guardava implorante, come un cucciolo bastonato. Si alzò e allungò le braccia fino a circondare il suo collo. Strinse e rimase così per diversi minuti, singhiozzando.
Ronnie voleva abbracciarlo, lo desiderava tantissimo. Eppure rimase per tutto il tempo a braccia conserte senza fiatare. Aveva paura, era stordito. Se lo avessero condannato? Non voleva neppure pensarci. Continuava a farsi pagare cauzioni su cauzioni da suo padre: ogni volta lo beccavano con qualcosa di illegale addosso.
Sembrava che la sua intera patria ce l'avesse con lui, eccetto per Max. Max era lì e c'erano anche Robert e Monte, dietro il grosso vetro nero che dava su quella stanza.
 
Max si staccò da lui.
In un secondo si sentì freddo, perso, vuoto.

“Ti voglio bene Max. Sei tutto quello che ho, insieme alla band.” I suoi occhi si riempirono di lacrime.
“Anche io te ne voglio Ronnie, anche io.”

Ronald cadde in ginocchio e scoppiò a piangere ma ormai sentiva distante il suo migliore amico. Era troppo tardi? Non poteva essere.
Il ragazzo guardò l'orologio appeso al muro. “Tra due ore abbiamo un servizio fotografico che ci ha procurato Elvis la settimana scorsa, mentre tu eri qui” ..Per la millesima volta pensò, ma si trattenne dal dirlo. “Cambiati se riesci.” Erano giorni che non si cambiava. Passava dal letto al bar, ai locali, alle feste, ai nightclub per poi tornare nel letto in condizioni pietose. A volte non lo trovava nemmeno nel letto ma di fianco, sdraiato per terra, con la siringa infilzata in un braccio. A volte aveva pietà di lui e gliela sfilava dalla vena sperando che non avesse un'overdose quella notte. A volte restava con lui, lo trascinava sulle lenzuola e rimaneva a lungo sdraiato accanto a lui ad accarezzargli i capelli; ma altre volte lo odiava, passava ore a rinfacciargli tutte i guai che la band aveva passato per colpa sua. Lui era giovane, lui voleva divertirsi, ma per colpa del suo migliore amico, che ogni volta passava il segno, non poteva.
Non avrebbero potuto continuare così, Max che era vagamente più lucido di Ronnie nella maggior parte dei momenti lo sapeva. Se lo sentiva già da parecchi mesi. Robert era stanco di fargli da madre e di trovarli mezzi morti, penzolanti da brandine che non appartenevano a loro. Bryan lo incitava a litigare con Ronnie e più volte aveva cercato di convincere lui e Robert a sbatterlo fuori dalla band; Max aveva sempre preso le sue difese. “Diamogli un'altra opportunità, lo convincerò a fare la riabilitazione” diceva agli altri due ragazzi. Ma ogni volta che aveva provato ad affrontare il discorso, il cantante si era sempre defilato riuscendo ad evitarlo.



***
 
Ore 15.30.
 
I ragazzi si erano riuniti all'inizio della zona desertica con il loro produttore e i fotografi, mancava solo lui. “Cosa vuoi inventarti ora, starà arrivando? Avrà solo trovato traffico?” Ronnie era in ritardo di mezz'ora e Elvis gli stava sclerando addosso. Monte e Robert se ne stavano in disparte, cercando di trattenere i fotografi. “Senti Max, hai provato a fare un ultimo tentativo? A me scoccia, veramente, Ronnie ha grandi potenzialità ma io ci metto i soldi e non mi piace quando devo pagare delle persone” disse indicando i fotografi alle sue spalle. “Per perdere tempo. Spiegalo al tuo amico” Max teneva le mani in tasca e guardava per terra. Non sapeva veramente cosa dire. Era imbarazzato e non aveva più scuse da elargire al suo amico.

Passarono altri quaranta minuti, i fotografi se ne andarono. Monte se ne tornò a casa. Ronald non si degnò nemmeno di avvisarli. Nemmeno si degnò di inventare una scusa, pur stupida che fosse. Alla fine l'ultimo ad essere rimasto era Robert. Appoggiò una mano sulla spalla dell'amico deluso.
“Mi dispiace Max” disse togliendosi gli occhiali. Era un gesto che faceva davvero per poche persone ed evidentemente era di grande spessore per lui. Aveva gli occhi di un bambino, Max lo sapeva.
Ora Max stringeva i pugni.
“Io vorrei aiutarlo Rob, ma non si fa aiutare. Lo vedi anche tu. Giorno dopo giorno.” Robert annuì ed entrambi rimasero qualche attimo in silenzio alla fine dei quali Max, che gli dava le spalle, si voltò con un'espressione vuota scavata in viso. “È finita.”
“Ne sei sicuro Max?” chiese il batterista, incredulo. Max annuì.
 
Il giorno dopo Ronnie non faceva più parte degli Escape The Fate.

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Capitolo 8
*** Escape the fate pt.1: If home is where my heart is, then my heart has lost all hope ***


ESCAPE THE FATE PT.1:

IF HOME IS WHERE MY HEART IS, THEN MY HEART HAS LOST ALL HOPE


“Mi hanno sbattuto fuori! Il mio migliore amico mi ha sbattuto fuori dalla band che abbiamo creato insieme!” urlava Ronnie alla cornetta. Era in una cabina telefonica e aveva ai suoi piedi una scatola piena di cianfrusaglie che gli appartenevano: la sera prima aveva provato a rientrare nell'appartamento che divideva con gli altri ragazzi ma la chiave non entrava nella serratura e notò poco dopo che di fianco alla porta era appoggiato uno scatolone con all'interno alcuni oggetti di sua proprietà. Alcuni vestiti mancavano. Se li è voluti tenere quel pezzente pensò quella mattina rovistando nella scatola, ancora con l'amaro in gola.

Non aveva sentito provenire nemmeno un rumore da dentro l'appartamento mentre cercava senza successo di entrare; sarebbe stato bello se i suoi ex amici fossero stati tutti in casa, quando lui era arrivato. Se li immaginava: Robert in piedi appoggiato allo stipite della porta della sala, Monte seduto al tavolo che cercava di non incrociare gli occhi degli altri due e Max sprofondato nel divano di pelle nera che si tormentava le unghie. E lui fuori che tentava come un idiota di capire perché quei tre avessero deciso tutto d'un tratto di cambiare la serratura. Li avrebbe chiamati, avrebbe colpito la porta così forte da buttarla giù, o più realisticamente l'avrebbe scassinata trovandosi davanti la scena più triste della sua vita. 'Sono tornato stronzi' avrebbe urlato a quegli zombie prima di cacciarli di casa.  E invece l'appartamento era vuoto. Probabilmente erano in giro a spassarsela.

“Non ho bisogno di loro, insomma… mi era già capitato di lasciare la band. Anche Omar se n'era andato, volevamo ripartire da zero. Le cose nella band andavano uno schifo e non era solo colpa mia. Cosa pensi? Anche Max si strafaceva di eroina e Xanax. Dove pensi che fosse stato lui quando io ero alle feste dei nostri amici, a farmi in bagno? Era lì a passarmi gli aghi. Però poi era tutta colpa del cantante drogato degli Escape The Fate. Non ho mai visto un centesimo, ci credi? Me li toglievano di mano, me li toglieva dalla vista. Del tipo 'Vieni Ron, andiamo a bucarci, chi se ne frega dei soldi' e poi li usava tutti per comprare la droga.”

Aveva addosso una giacca di pelle rovinata, una canottiera bucata, dei pantaloni tagliati e delle converse sporche. I suoi occhi erano rossi e i suoi capelli più unti del solito.

“Frank, mi puoi prestare cinquanta dollari?” l'amico dall'altra parte della cornetta riattaccò così Ronnie si vide obbligato a chiamare il prossimo della lista. “Ehilà Andy, sono Ronnie. Si, è da tanto che non ci sentiamo.. stiamo tutti bene, si.. Dovremmo vederci uno di questi giorni. Magari potremmo anche vederci ora, volevo chiederti se potessi prestarmi dei soldi.. Non te li chiederei se non.. Ah, ho capito.. Si..” annuiva alla cornetta. Una signora anziana bussava contro il vetro della cabina. Ronald mimò con le labbra un 'ho quasi finito' prima di procedere con la telefonata successiva.
“Ciao Dave, sono Ronnie. Sì, Ronnie Radke. Si, lo so che non ci sentiamo da qualche anno ma mi chiedevo se.. pronto? Pronto?” ormai aveva finito gli amici a cui rivolgersi. Si voltò e aprì per quanto poteva la porta della cabina. “Signora, per caso avrebbe una moneta da cinquanta centesimi?” l'anziana signora si tutta risposta gli lanciò contro la sua borsetta finché il cantante non si decise ad andarsene. Un paio di ragazzi lo riconobbero. Firmò qualche autografo ma si dileguò ben presto infilandosi il cappuccio prima che qualcun altro lo riconoscesse.

 
***
 
Vagò per qualche ora in giro per i sobborghi di Las Vegas, abbandonando la scatola contenente i suoi effetti personali vicino alla cabina telefonica; francamente non gli importava. Né per i vestiti, né per quella sudicia città: da sempre voleva andarsene da quella città corrotta e aveva assurdamente pensato che Max e la band potessero essere il suo biglietto per lasciarsi tutto lo schifo alle spalle.
Quel detto, “fa che la morte ti trovi vivo quando arriva”, aveva perso senso molto tempo fa per Ronnie. Era sempre sull'orlo del baratro.

Camminava per strada stringendosi nella sua giacca, cercando di proteggersi dal vento che soffiava per quelle stradine, quando lo vide.
Indossava un cappotto lungo color caffellatte con delle maniche troppo lunghe che gli coprivano i polsi, un paio di pantaloni grigi e dei grossi Rayban. I folti baffi coprivano per gran parte il suo volto mentre i suoi capelli scuri a malapena arrivavano alle spalle. Era seduto in quel bar a leggere il giornale, come se nulla fosse successo.
Ronald non ci pensò due volte. Si abbassò e prese una pietra da terra senza perdere il contatto visivo mentre l'uomo continuava imperterrito a leggere l'ultimo numero di Rolling Stones. Fece per lanciarla quando qualcuno, all'interno del bar, poggiò una mano sulla spalla dell'uomo.
Robert.
Il ragazzo abbassò lentamente il braccio dai muscoli ormai contratti e posò il sasso. Si rimise il cappuccio e si voltò cercando di sparire più velocemente possibile prima che uno dei due lo riconoscesse.

Avrebbe quasi giurato che il ragazzo dai capelli mossi, da sotto quegli occhiali da cui mai si separava, gli avesse accennato un sorriso in segno di compassione.







Ottavo capitolo, Escape the fate... che dire, ringrazio tutti quelli che ancora seguono la storia dopo duemila anni dallo scioglimento degli Escape e nonostante il fatto che finora abbia aggiornato una volta ogni morte di Papa, ma cercherò di darmi da fare piu' spesso d'ora in poi.
Perchè dividere il capitolo in due sottocapitoli?
Una nota a questo punto, è necessaria: ho deciso di dividere il capitolo in due sottotitoli "If home is where my heart is, then my heart has lost all hope" e "Runaway" perchè trattavano di momenti legati tra loro ma a distanza di qualche giorno uno dall'altro; se nella prima parte Ronnie sta ancora metabolizzando gli eventi della sera prima e il fatto che non sa piu' dove andare, nel secondo sarà già in fuga. E' sottointeso il passaggio in cui Ronald decide di mettersi in fuga, che sarebbe direttamente dopo che incontra Robert nel bar, ma prima di arrivare a questo succederà qualcosa che nessuno si aspetta... meno di tutti Max!

A proposito, qualcuno ha una mezza idea di chi sia l'uomo baffuto nel bar?

See ya soon,

Juliet.

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Capitolo 9
*** If I could stay clean, I could stay with my band! ***


29 marzo 2008
 
Il primo concerto dei nuovi Escape The Fate stava per avere inizio. Stavano finalmente per rinascere dalle loro ceneri pubblicamente; erano pronti a conquistare la folla una volta ancora, anche senza Ronnie. Non avevano bisogno di lui e di sottostare ai suoi comodi ogni momento. Erano parte di un esercito, lo guidavano e Craig, a sua volta, guidava loro. Max lo avrebbe aiutato a prendere la giusta strada ma già era uno di loro.

– Nervoso? – chiese Max al nuovo cantante.
– Leggermente – rispose con una risata nervosa. – Ho paura che mi mangino vivo o qualcosa del genere.
– Plausibile. Magari prima ti faranno a pezzi le ossa.
– Non dovresti tranquillizzarmi tu?!
Il bassista rise. – Dai andiamo, è il nostro momento.

Craig camminò fino agli scalini che portavano al palco con una mano di Maxwell poggiata sulla schiena. Era il suo momento, non poteva deluderli. Sentiva le grida di centinaia di ragazzini quando finalmente si decise ad entrare in scena. Il sole era accecante, era una giornata bella calda; infondo era marzo, era la normalità.

Era la normalità ma quel giorno preciso per lui nulla era normale. Sarebbe potuta accadere qualsiasi cosa da un momento all'altro.
Max arrivò di corsa da dietro e urlò incitando la folla a fare lo stesso.
In un istante Robert, Max e Bryan attaccarono con We won't back down e i fans si scatenarono. Infondo che potrebbe succedere di male? I commenti saranno sempre i soliti, al massimo riceverò qualche fischio dai vecchi fan. Craig si rilassò e iniziò a scuotere la testa al ritmo della batteria. Per metà della canzone il cantante fu scatenato: niente avrebbe potuto fermarlo, era bello carico quel giorno.
Verso la fine della canzone però, si prospettò una scena molto diversa e la band dovette arrestarsi: la folla aveva iniziato a fischiare talmente forte da non poter proseguire lo show, inoltre Craig aveva dimenticato parte del testo per colpa dello stress. “Impostori!” gridavano alcuni; “Craig fai schifo, tornatene a casa” sentì urlare qualcuno. Craig si voltò verso Max in cerca di aiuto, ma mentre il bassista cercava di zittire i ragazzini, il cantante incontrò tra il pubblico uno sguardo a lui familiare. Molto familiare.
Un ragazzo moro che stava tra in mezzo alla gente si fece avanti interrompendo uno spettacolo che ormai era sull'orlo del fiasco con la metà dei ragazzini che fischiavano contro la band e lanciavano loro bottiglie, spronati dal vecchio cantante. “Siete dei burattini, vogliamo i veri Escape The Fate!”, “Fate pena senza Ronnie!” urlavano i ragazzi. “Si, esatto! Siete dei traditori” urlava l'ex cantante da in fondo alla folla.

– Ora basta – disse Max ai suoi compagni. Si allungò verso il microfono e prese la parola. Ne aveva abbastanza di quelle bambinate. Infondo era colpa loro se il loro vecchio cantante era un cazzone arrogante e perennemente drogato? No. Max era stufo, stavano cercando di ricominciare una nuova vita con la stessa band che era miracolosamente riuscita a trovare un nuovo cantante, apparso dal cielo al momento giusto. Ma Ronald era un'idiota e, oltre a aizzare le folle contro di loro sul web, ora si era anche presentato al loro primo concerto. Era decisamente troppo.

– La prossima canzone è intitolata “Se potessi restare pulito, potrei stare con la mia band”! – disse con rabbia.

La folla si scatenò.

– Posso restare fottutamente pulito, stronzo! Posso restare pulito quando cazzo mi pare, stronzo! – ripeté più volte Ronald urlando come un forsennato, ma la band esplose nella canzone successiva, The Flood.

“I can't believe the drama that I'm in, the flood is getting closer, I don't think they know I know how to swim. You're feeling numb, from all that has become!
It leaves your gums, slips down your tongue and travels fast down towards your lungs.
And now I feel better..all because I'm...” cantò Craig.
“Leaving. You. Behind.” tagliò Maxwell ancora rabbioso, interrompendo il cantante. Nessuno lo aveva probabilmente mai visto così fuori di sé. Scoprirono dopo che si era fatto l'ennesima striscia di coca con un'aggiunta di svariate pasticche di ecstasy appena prima di salire sul palco.

Ronnie si allontanò continuando ad urlare loro contro con la voce ormai rotta. Molti dissero in seguito di averlo visto prendere a pugni gli uomini della sicurezza che l'avevano portato via, qualcuno giurò persino di averlo visto con le lacrime agli occhi, fuori di sé.

 
***

 
Maxwell era fuori di sé quando la band fece ritorno sul bus. Non firmò autografi né concesse foto a nessuno, non che ci fosse la fila per quelli anzi, dovettero essere scortati dalla sicurezza perché molti fan li insultavano e seguivano cercando di colpirli con oggetti come bottiglie, sassi e spranghe.
Mentre Robert, l'ultimo a salire sul bus, entrò e si chiuse la porta alle spalle, il bassista faceva avanti indietro.

Nessuno aveva il coraggio di parlargli, solo Craig tentò di poggiargli una mano sulla spalla ma il ragazzo se la scrollò di dosso prima di sbottare.
– Io non capisco che cazzo di problemi abbia quel decerebrato! Seriamente, come cazzo ha fatto ad entrare? Patetico. Se mai dovesse ripetersi una scena come quella di prima giuro che scendo dal palco e lo ammazzo con una spranga. E Robert sa che non scherzo – aggiunse in una risata isterica mentre puntava il dito contro il batterista.
Craig e Bryan lo guardarono, il primo dispiaciuto e il secondo esterrefatto.

– M-mi dispiace ragazzi, io.. sento di dovervi delle scuse. È stata anche colpa mia, ho dimenticato il testo e poi…

– Che dici Craig! Non centri tu, è tutta colpa di quel coglione. Pensavo lo avessero già sbattuto in prigione – rispose Bryan, ma dopo quell'affermazione tutti si ammutolirono.

Una manciata di minuti dopo Max si tolse la giacca e la lanciò sul divano annunciando al resto della band che sarebbe andato a sdraiarsi un po', il cantante fece lo stesso mentre gli altri due restarono insieme a commentare l'accaduto e poco dopo andarono a farsi una bevuta da alcuni loro amici ad uno stand allestito lì vicino.

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Capitolo 10
*** Escape the fate pt.2: Runaway ***


ESCAPE THE FATE PT.2:

RUNAWAY

 
15 Giugno 2008
 
L'agente bussò più volte sulla porta della casa del padre di Ronnie prima che quello venisse ad aprire.
“Posso aiutarvi agenti?”
“Cerchiamo Ronald Radke.”
“È mio figlio, che ha fatto?”
“È in casa?”
“No, è un paio di giorni che non lo vedo.”
L'uomo li guardò con fare interrogativo. Il poliziotto scortato da altri due colleghi si tolse il capello prima di proseguire. “Suo figlio non si è presentato all'incontro con il giudice di sorveglianza stamattina. È una faccenda grave. Suo figlio è in una brutta posizione. Possiamo entrare in casa a controllare?” Il signor Radke fece loro segno di entrare ma non trovarono nessuna traccia di Ronnie.

Quello stesso giorno la polizia di Las Vegas, sulle tracce dell'ormai fuggiasco cantante, fece mandare un annuncio sulla tv nazionale: Ronald Joseph Radke era ufficialmente ricercato per aver violato la libertà vigilata e aver omesso di riferirlo al suo giudice di sorveglianza.
“Cantante di una nota band metal in fuga” titolavano i giornali. La band si dissociava dalle scelte prese da quello che ormai era il loro ex cantante; tutto quello che suo padre aveva continuato a ripetere alla polizia e ai giornalisti locali era: “Non so dove sia adesso. Aveva lasciato la sua vecchia band, tra quattro giorni sarebbe dovuto volare in Virginia per registrare con un suo vecchio compagno, Omar Espinoza. È assurdo” ripeteva sgomento scuotendo la testa.

Metal, pensò Ronnie sbattendo il giornale sulla panchina su cui l'aveva trovato. Certo che al giorno d'oggi i giornalisti hanno una bella faccia tosta a etichettare qualsiasi cosa che non sia pop come metal.

 
***
 
17 giugno 2008
 
Ronnie girovagava sotto un ponte. Erano ormai due giorni che vagava per le strade della periferia di Henderson, una cittadina appartenente all'area urbana di Las Vegas. Era arrivato a toccare il fondo. Era esausto, erano due giorni che non si lavava, che non riusciva a dormire per paura che la polizia lo prendesse nel sonno, che non si faceva perché non aveva più soldi. Stava impazzendo, ma non voleva arrendersi. Aveva provato ad avvicinare qualche fan sperando di ottenere dei soldi, ma aveva solo ottenuto maggiore visibilità e così se l'era data a gambe infilandosi nuovamente il cappuccio di quella sua felpa nera ormai logora.

Era il giorno dopo la festa del papà, lunedì.

Gli mancava suo padre, ma non voleva tornare alla libertà vigilata; ma quale libertà vigilata! Sarebbe stata un lusso da quel momento. Quella giudice e tutta la polizia di Las Vegas avrebbero cercato mille e un modi per sbatterlo dentro. Tutti odiavano il cantante drogato di quella band di delinquenti metallari. Loro probabilmente si sarebbero rifatti una reputazione però. Gli unici a guardarlo come una persona degna di rispetto erano ormai solo i suoi fans. Sperando che qualcuno ancora seguisse il suo pietoso caso e, magari, lo difendesse in discussioni accese con la propria madre che seguiva il notiziario in cucina. Quello era il massimo a cui Ronald Joseph Radke potesse aspirare in quel momento; e di riuscire a concludere la giornata senza finire in manette ovviamente.
Era metà mattina quando Ronald, che stava camminando con questi pensieri in testa per una strada, vide una volante arrivare verso di lui. Provò a scappare per qualche decina di metri ma una volta arrivato all'angolo della strada venne sbattuto contro il muro malamente e ammanettato. Lo portarono verso la macchina che aveva ancora i lampeggianti accesi ripetendogli più volte i suoi diritti – che al momento consistevano in un misero “Chiudi quella bocca da coglione che ti ritrovi o ti trapassiamo il cervello con una pallottola e lo faremo passare come un incidente” – e gli misero una mano sulla testa per fargliela abbassare mentre entrava in macchina, arrestandolo sotto gli occhi esterrefatti dei passanti.

Fine della fuga.

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