Homeland_Frammenti d'Orgoglio

di Koori_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Kentoc'h mervel ***
Capitolo 2: *** Mhóid Bheith Saor ***
Capitolo 3: *** Cha togar m' fhearg gun dìoladh ***



Capitolo 1
*** Kentoc'h mervel ***





Kentoc'h mervel~Piuttosto che il Disonore, la Morte
 








Bretagne era sdraiata per terra, quando la voce del Generale De Gaulle l’aveva richiamata all’ordine.
Stava leggendo un vecchio libro di storie di fate sgraffignato alla libreria di Locronan un paio di settimane prima. Conosceva quei racconti a memoria e lei stessa li aveva narrati infinite volte a Normandie, in quei lunghi cent’anni di buio che avevano inghiottito la Francia ai tempi di Jeanne D’Arc.
Aveva appena girato a pagina trentasette, storcendo il naso di fronte al titolo della nuova storia –come poteva la Légende d’Ys essere considerata un racconto di fate? Quella era una storia vera!- quando la radio aveva preso a gracchiare disordinatamente dalla vecchia seggiola di paglia.
Qui Radio Londra!
Radio Londra, il motivo per cui aveva dovuto lasciare la sua casetta a Brest e rifugiarsi in una vecchia fattoria dimenticata da Dio a Ouessant. France l’aveva praticamente obbligata a lasciare la città, e in tutta onestà non aveva avuto troppi problemi ad assecondarlo: non le andava poi così tanto di farsi catturare dai Nazisti senza nemmeno avere il tempo di contrattaccare.
Sì, Bretagne era sempre stata una ragazza impulsiva, impetuosa e pericolosamente testarda, ma nel corso degli anni aveva capito che le ritirate strategiche potevano valere molto più di un azzardato scontro frontale.
Chiuse il libro premurandosi di tenere il segno con il dito indice intrappolato fra le pagine e si mise a sedere.
La voce di De Gaulle risuonò potente e decisa all’interno dell’umile stanzetta, quasi avesse ignorato il fatto che a Parigi Adolf Hitler passeggiava indisturbato e si faceva scattare fotografie come un turista, di fronte ai più significativi monumenti francesi.
Le gouvernement français, après avoir demandé l'armistice, connaît, maintenant, les conditions dictées par l'ennemi.” tuonò il soldato attraverso l’apparecchio radiofonico.
Bretagne storse il naso una seconda volta e incrociò le gambe, poggiando i gomiti sulle ginocchia e il mento sulle mani.
Sì, sentiamo a quali condizioni la Germania ha intenzione di calpestarci.
On peut donc dire que cet armistice serait non seulement une capitulation mais encore un asservissement.” continuò De Gaulle, la voce grave che sarebbe entrata nella storia.
La ragazza scosse la testa e si alzò in piedi, cercando di ignorare la rabbia che le bruciava le viscere.
Schiavi. Erano diventati schiavi.
La Francia era caduta, Calais distrutta, Rouen occupata. Il tricolore era stato strappato e gettato a terra, destinato alla polvere dell’oblio.
Era questo ciò per cui erano nati? Arrendersi, gettare la spugna, sottomettersi?
L'honneur, le bon sens, l'intérêt supérieur de la patrie commandent à tous les Français libres de continuer le combat là où ils seront et comme ils pourront.”
L’onore.
Bretagne arrestò la sua marcia nervosa di fronte al camino, spiata dalla sua immagine riflessa nello specchio appeso lì sopra.
I capelli mossi e gonfi d’umidità se ne stavano quieti nella stretta del nastrino rosso, scivolando giù per la spalla destra come un’ondulato mazzetto di carote.
Il visetto affilato, che Fran non perdeva mai occasione di paragonare al muso furbo di una volpe, era punteggiato di lentiggini, fitte come i papaveri che stavano pian piano conquistando i campi aggrappati alle falesie.
Gli occhi azzurri, grandi e sinceri come quelli di un bambino, erano ora  impegnati a rimproverarla con severità.
“Lucille, la coerenza adesso sarebbe cosa gradita.” sembravano dirle, delusi dal suo comportamento.
Già, la coerenza. Bell’affare.
La verità era che all’inizio il Nazionalsocialismo le era sembrato interessante.
Spazio vitale, tradizioni, purezza del sangue…
Forse che quel ridicolo omino venuto dall’Est avrebbe potuto restituirle la sua libertà, la sua indipendeza?
Forse che dopo tutti quegli anni di pigra e arrendevole abitudine avrebbe finalmente potuto tornare ad essere Breizh e non più Bretagne?
Dopotutto, in fondo al cuore, lei sapeva di non essere Francese, non lo era mai stata...
- Ma sei pazza?! Non dirai sul serio, keniterv?! – aveva esclamato un piovoso pomeriggio dell’anno precedente suo cugino Cornovaglia, un kouign-amann fumante e appiccicoso stretto fra le mani piene di graffi.
- Secondo te quel tipo parla sul serio? Credi davvero che questo sia il modo giusto di ottenere la libertà? – aveva domandato ancora, le sottili sopracciglia arcuate in un’espressione rabbiosa.
Lucille aveva addentato il suo kouign-amann facendo spallucce.
- Le premesse sembrano buone… - aveva borbottato a sua difesa, la bocca piena di dolce.
Cornovaglia aveva scosso la testa, sulle spalle una maturità che aveva poco a che spartire con il suo aspetto di bambino.
- No, Brit. La libertà non si ottiene con un pugnale piantato nella schiena. Ricorda l’ermellino, cugina… -
L’ermellino, candido emblema della purezza, di certo non si sarebbe macchiato di una colpa meschina come il tradimento, e questo Lucille lo sapeva bene.
Si era chiesta cosa avrebbe pensato la sua famiglia, e per un momento aveva avuto la sensazione che Irlanda l’avrebbe spalleggiata, ma l’immagine delle labbra pallide e serrate di Scozia si era presentata rapida e concreta al suo cuore, assieme alla frase che la giovane amava ripetere alle chiassose riunioni di famiglia: il Clann prima di tutto.
Si dava il caso che Bretagne avesse due famiglie, e che, pur votata al mare anima e corpo, i suoi piedi necessitassero comunque di sentire il calore del suolo francese.
Distolse lo sguardo dallo specchio, scacciando quei ricordi che le pungolavano il cuore, non desiderati.
Dalla radio, De Gaulle continuava il suo discorso: la Francia era caduta, ma poteva rialzarsi. Bastava solo che il popolo trovasse il coraggio di combattere, bastava solo mettere insieme un esercito che ricacciasse i Nazisti da dove erano venuti.
J'invite tous les Français qui veulent rester libres à m'écouter et à me suivre. Vive la France libre dans l'honneur et dans l'indépendance!
Viva la Francia libera nell’onore e nell’indipendenza.
Il discorso era concluso, la battaglia appena incominciata. Chi avrebbe risposto all’appello del Generale?
Lucille spense la radio e uscì di casa, diretta alla spiaggia.
Un forte vento da ovest spazzava il cielo e increspava di bianco la superficie del mare, mentre i cormorani stendevano le ali al sole e i gabbiani schiamazzavano nei loro giochi aerei.
Ma cosa le era venuto in mente?
Come poteva aver anche solo pensato di tradire Francia, che nonostante le incomprensioni aveva sempre mostrato di provare per lei un affetto smisurato?
Come aveva potuto osare pensare di abbandonare Normandie, per lei più che una sorella, sempre al suo fianco anche nei momenti più difficili?
E tutto questo per cosa?
Frankiz, Libertà.
Una parola il cui sapore era quello del mare, e non quello del sangue.
Lei era Breizh, sì, ma era anche Bretagne, la bambina sveglia e scalmanata che amava vestirsi da maschio, la spumeggiante ragazzina che ridendo sfidava l’oceano a viso aperto, la giovane donna che aveva fatto dell’onore la sua più alta morale.
“Piuttosto che il disonore, la morte.”, questo era il suo motto.
Avrebbe lei gettato l’onore alle ortiche, avrebbe calpestato i suoi ideali, distutto la sua famiglia, tradito la più solida delle amicizie?
Sarebbe stata in grado, una volta libera, di convivere con una simile onta, o forse sarebbe stata proprio la libertà a metterla in catene davanti alla sua coscienza?
De Gaulle aveva bisogno di uomini saldi e valorosi, di un esercito per scacciare il nemico e riprendersi l’orgoglio da esso strappato.
Bretagne puntò gli occhi sull’orizzonte, le labbra tese in un ghigno di determinazione.
La Francia chiamava alle armi?
- Kentoc'h mervel, Lucille.-
La Bretagna avrebbe risposto.














 
Note:

Riporto qui la traduzione del discorso di De Gaulle e di alcuni termini in Bretone che non sono spiegati nel testo.
 
“Il Governo Francese, dopo avere chiesto l’armistizio, conosce, ora, le condizioni dettate dal nemico.”
“Si può quindi dire che questo armistizio sarebbe non già una capitolazione, bensì un vero assoggettamento.”
“L’onore, il buon senso, l’interesse superiore della Patria comandano a tutti i Francesi liberi di continuare a combattere laddove si trovano e nel modo in cui riusciranno.”
“Invito tutti i Francesi che vogliono rimanere liberi ad ascoltarmi e a seguirmi. Viva la Francia libera nell’onore e nell’indipendenza!”
 
Keniterv cugina
Kouign-amann dolce tipico bretone

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Capitolo 2
*** Mhóid Bheith Saor ***





Mhóid Bheith Saor~Giuro di Essere Libero
 









Evelyn era sempre stata una ragazza infantile, e non che si fosse mai impegnata a negarlo. Non aveva mai mostrato particolare interesse nel crescere, nelle responsabilità, nei doveri: a lei importava divertirsi, nulla di più. Sì, a volte sapeva essere saggia, ma questo era dovuto più alla sua innata diffidenza nei confronti delle novità che a una vera e propria crescita interiore.
Evelyn era una piccola ribelle, e lo sarebbe sempre stata.
 





Adesso, sdraiata per terra con la lingua impastata di fango, ricorda quasi con piacere i rimproveri di suo padre.
 





“Devi essere più giudiziosa, Éire!”, e ancora “Adesso sei grande per queste cose, Éire!”, “Smettila di ficcarti nei guai, Éire!”
Odiava quando la chiamava con quel nome, perché in quel modo Caledonia rimarcava quanto lei fosse diversa dagli altri bambini.
Non che non se ne fosse accorta da sola, chiaramente, ma avrebbe di gran lunga preferito far finta di niente, nascondere la sua innaturale ed eterna giovinezza spostandosi di luogo in luogo, visitando le sue terre assieme al padre.
Non le interessava affatto rappresentare un ammasso di rocce e foreste pucciato nel mare come un biscotto: lei voleva giocare, correre, cantare. Magari anche fare a botte con quei ragazzini sfrontati giù al porto, giusto per fargli capire chi comandasse davvero a Inis Mór.
Dopotutto sapeva che suo padre non era davero arrabbiato con lei, e lo dimostrava il fatto che, ogni volta, l’uomo rinunciasse alle sue arringhe e si arrendesse a seguire la figlia in ogni sua follia, ridendo, cantando e tracannando birra senza ritegno.
 




 
Adesso, con il tacco di uno stivale piantato fra le scapole e le ginocchia che sanguinano, si rende conto che Caledonia la amava davvero, più di ogni altra cosa al mondo.
 





Era un giorno come un altro quando era arrivata lei, silenziosa e fragile sin dal primo momento.
- E questo sgorbio da dove è uscito? – aveva domandato storcendo il naso, in realtà dannatamente incuriosita da quel fagotto tutto grinze e ciccia.
Papà aveva sorriso e le aveva scompigliato i lunghi capelli rossi, già tutti spettinati.
- Questa, signorinella, è Kaitriona, tua sorella. –
Evelyn non avrebbe mai dimenticato lo strano brivido che l’aveva percorsa quando la piccina aveva aperto quegli enormi occhioni grigi come la tempesta e, con la manina, si era aggrappata al suo abito verde smeraldo.
L’aveva presa in braccio un po’ titubante, preoccupata che i suoi modi rozzi e tutto fuorché femminili potessero farle del male, e si era stupita nel sentirla così leggera.
- E’ come noi. – e non era stata una domanda, bensì un’affermazione. Un solo sguardo era stato sufficiente affinchè Evelyn capisse che quella bimba spuntata da chissà dove andava protetta innanzi a qualsiasi pericolo.
Caledonia aveva annuito e Irlanda, ancora troppo giovane, non era stata capace di scorgere la preoccupazione sul volto del padre, né di notare i segni della battaglia sotto il mantello di lana. Si era limitata a fissare la sorellina e a ridacchiare, mentre le lentiggini le danzavano sul volto.
- Secondo me ti hanno rifilato una Dama dei Boschi, è troppo bella per essere una bambina... – si era lasciata sfuggire poco dopo: la prima e unica novità che Evelyn non avesse accolto con diffidenza.
Papà le aveva appoggiato una mano sulla spalla, per ottenere la sua attenzione.
- In ogni caso, promettimi che resterete insieme, qualunque cosa succeda. –
Alla ragazzina non era piaciuto quel tono serio e grave, ma non aveva avuto il coraggio di opporvisi.
- Ma certo, papà! Col cavolo che cedo una Dama dei Boschi! – aveva scherzato, il suo solito sorriso sfrontato a mostrare un dentino caduto. Peccato che, quella volta, papà non avesse sorriso.
- Evelyn, giurami che sarai sempre libera. -
 




 
Adesso, a denti stretti e occhi pesti, l’amara consapevolezza di aver compreso troppo tardi quelle parole le riga le guance di sangue e di lacrime.
Ma ancora non cede.
 





Partì un giorno di Maggio, quando l’erica ancora non era fiorita e i gabbiani dormivano quieti.
Baciò Éire in fronte e Alba sul cuore, raccolse la spada e svanì nella nebbia. Non lo videro più, sulle Highlands o a Inis Mór.
Evelyn crebbe piangendo di notte e cantando di giorno, nel sorriso mite di Iona l’affetto del padre scomparso.
E mentre la piccola sbocciava come un cardo, bella e fedele nelle avversità, Irlanda ritrovava in fondo a un boccale il dolore tenuto nascosto, il peso di quell’ammasso di rocce e foreste di cui si era fatta carico da sola, cercando di evitare alla sorella l’infausto destino che Caledonia aveva temuto per loro.
Eppure insieme ridevano, ed erano felici, e pian piano anche le ferite più profonde trovavano una cura.
Infine anche Evelyn era diventata bellissima, una regina negli abiti verde smeraldo, i lunghi capelli lucenti sciolti sulle spalle in ciocche ondulate.
Lei e Iona erano una cosa sola, ormai: erano belle, erano giovani, erano felici e spensierate, ma soprattutto, proprio come voleva papà, Eirinn e Alba erano libere.
 




 
Adesso, la gonna strappata e il corsetto zuppo di sangue, è rimasto ben poco dell’antica bellezza, e ancora meno dell’amata libertà.
Ma, in nome di tutto quello che è stato, non è ancora pronta a mollare.
 





Tutto era perfetto, quando era arrivato lui, così perfetto che lì per lì nemmeno si era accorta del suo fare capolino da Sud, silenzioso come la neve. Era stato quando Iona aveva confessato di essere incuriosita da quel ragazzino così buffo che Evy, ormai giovane donna, era tornata a sentire nel fianco il pungolo della diffidenza di fronte alle novità.
No, di quel Sasana c’era poco da fidarsi.
Ma Iona era pur sempre sua sorella, e la curiosità aveva avuto la meglio sulla ragionevolezza, com’era sempre stato nella loro famiglia.
Il disastro era stato inevitabile.
Arthur, questo era il suo nome, aveva portato con sé guerra, dolore, carestia e morte, e se Iona era riuscita a cavarsela fra battaglie e compromessi, per Evelyn non era stato altrettanto semplice.
Lei non poteva scendere a compromessi, lei aveva fatto una promessa, e intendeva mantenerla, a tutti i costi.
 




 

Adesso, mentre il coltello strappa la prima ciocca, Evelyn trattiene il respiro. Sente Arthur ridere sguaiato mentre lavora con il coltello senza grazia, senza garbo.
Le ferisce la testa, ma sta soffrendo di un altro dolore, e questi non sono che graffi.
“Questi bei capelli rossi da puttana li porterò a Oliver, sarà felice di bruciarli di persona!”, ma a Evelyn non importa più della bellezza, può farne a meno.
Le altre ciocche cadono al suolo senza pietà, strappate, tagliate, si uniscono al fango senza rumore.
Non gliene frega niente se Cromwell brucerà la sua preziosa chioma, la stessa chioma che Iona, da piccola, si divertiva ad intrecciare e ornare di fiori.
Non gliene frega niente se il suo abito è ridotto a brandelli e se la sua schiena, un tempo bianca e perfetta, sarà lacerata per sempre dalle cicatrici di questo coltello.
Non porterà un copricapo per nascondere i capelli corti, da uomo.
Non fuggirà piangendo, e per quante volte Arthur la torturerà e la prenderà a calci, lei si rialzerà in piedi, sempre.
Sente Inghilterra ridere sguaiato assieme ai suoi uomini prima che, afferrandola per quei pochi capelli che le ha lasciato in testa, la volti e pianti gli occhi nei suoi.
- Allora, Ireland… ti arrendi? – ghigna beffardo.
Gli sputa in faccia, sangue, saliva e rancore.
Accoglie il calcio nello stomaco con dignità, trattenendo i gemiti di dolore.
E’ ancora in piedi, anche se le gambe iniziano a tradirla e la coscienza sta per abbandonarla.
-Porta questo messaggio al tuo capo, Arthur… - e si sorprende di quanto la voce, sebbene roca, fuoriesca solida e decisa dalle sue labbra.
Il biondo sorride strafottente, inconsapevole di quanto le parole che sta per udire saranno la sua maledizione.
- Mhóid Bheith Saor.







 

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Capitolo 3
*** Cha togar m' fhearg gun dìoladh ***


 


Cha togar m' fhearg gun dìoladh~Nessuno mi Attacca Impunito
 









- Devo ammettere che la pazienza è proprio la tua dote, Deirfiùr! – sghignazzava sempre Irlanda, un occhio nero e il braccio attorno al collo di Iona affinchè la sorregesse nella strada verso casa, di ritorno dalla locanda di turno.
- E per fortuna, Evy. Per fortuna… - ribatteva sempre lei, sforzandosi al massimo di mantenere un’espressione seria e contrita senza però ottenere quei gran risultati.
Sua sorella la faceva davvero infuriare, sì, ma non riusciva a tenerle il broncio per troppo tempo: il carattere solare di Evelyn la portava sempre a unirsi alle risate. E dopotutto era vero, la pazienza era senz’altro la sua dote migliore.
- Mi domando da chi tu l’abbia ereditata… Insoma, per quanto riguarda la bellezza direi che è ovvio, ma io non ho le tue stesse capacità di sopportazione… - continuava la rossa, lasciandosi cadere sul letto e chiudendo gli occhi.
- Per non parlare della modestia! – commentava poi Iona, sedendosi accanto a lei e alzando gli occhi al cielo, prima che entrambe scoppiassero a ridere.
A volte avrebbe voluto che quel discorso prendesse pieghe diverse, che Evy le raccontasse qualcosa di loro padre, ma era raro che la giovane perdesse tempo a rivangare il passato, a meno che non si trattasse di vecchie leggende o canzoni ormai dimenticate.
Tutto sommato, però, a Iona andava bene così.
Lei e Evy erano cresciute insieme: era Evy che le aveva insegnato a pescare, ad andare a cavallo e a riconoscere le orme degli animali nel sottobosco.
Era Evy che le fasciava le ginocchia sbucciate quando tornava in lacrime da una passeggiata nel bosco, era sempre Evy che, per aiutarla ad addormentarsi dopo un incubo, le cantava vecchie canzoni un po’ sconce imparate alla locanda e le faceva mille smorfie, solo per farla ridere.
Nelle giornate di sole andavano a passeggiare finchè le gambe stanche non le obbligavano a fermarsi; in quei casi Iona si divertiva a pettinare i lunghi capelli della sorella, rossi come le mele mature, e intrecciarvi fiori selvatici e rametti d’erica.
Evelyn invece rimaneva tranquilla, gli occhi chiusi e il viso rivolto ai raggi del sole che scaldavano le ossa. Poi iniziava a fischiare piano, finchè la sorellina non si univa con la sua voce dolce e cristallina alla canzone.
Quando Iona era diventata grande abbastanza da cavarsela da sola Evy se n’era finalmente tornata a casa, nella sua vecchia e silenziosa Inis Mór, e la giovane scozzese aveva finalmente potuto sperimentare un tipo di vita nuovo, diverso, suo.
Era in quel periodo che si erano conosciuti.
Un giorno qualsiasi, uno dei tanti di quella primavera grigia e silenziosa, si era spinta più a Sud del previsto in cerca di funghi ed erbe per la cena. Stava cantando una vecchia ballata quando l’aveva notato, la schiena ritta e lo sguardo attento fra l’erba.
Erano stati i suoi occhi a colpirla: verdi, come quelli di Evy.
- Buongiorno, straniero! – lo aveva salutato con un sorriso dolce e materno.
Il ragazzo si era guardato intorno spaesato, quasi avesse creduto che la giovane fosse rivolta a qualcun altro.
- Dici a me? – aveva domandato, un po’ titubante.
Iona aveva mosso qualche passo verso di lui, incuriosita dal suo volto.
- Mi chiamo Kaitriona, benvenuto nelle mie terre! – aveva continuato con un lieve inchino.
Lo sconosciuto aveva ricambiato goffamente l’inchino senza tuttavia distogliere lo sguardo.
- Io sono Arthur! – si era presentato.
Arthur, un nome decisamente insolito.
- Ti sei perso? – aveva chiesto ancora, vedendolo indeciso sul da farsi.
A questa domanda il ragazzino era avvampato e aveva messo su un broncetto preimpostato, a fingere grande offesa.
- Niente affato, no! So benissimo dove sono! – aveva replicato, con il solo risultato di far sorridere l’interlocutrice.
Era così che erano diventati amici, Iona e Arthur.
Da lui aveva appreso il Latino, e lei gli aveva insegnato i migliori incantesimi che conoscesse, pur non essendo del tutto certa di poter condividere il sapere dei druidi con uno straniero.
Ma Sasann era un giovane simpatico e, pur essendo entrambi riservati e molto timidi, erano subito entrati in sintonia.
Che male poteva esserci a stringere amicizia con qualcuno, dopo tutti quegli anni trascorsi in solitudine nel Gleann?
- No, Iona, levatelo dalla testa. Tu e quel ragazzo non dovrete vedervi mai più! – erano invece state le taglienti parole di Evelyn quando era venuta a sapere di quel nuovo legame.
- E perché mai? Arthur è un giovane a modo, è simpatico e…! – ma la sorella non le aveva dato modo di continuare.
- Iona, ascoltami bene. Quel Sasana non mi piace, proprio per niente. Devi fidarti di me, faresti maglio a girare alla larga da individui come lui. –
Ma la giovane non si era accontentata e, esasperata, si era passata una mano fra i lunghi capelli biondi, scuotendo la testa amareggiata.
- Tu parli in questo modo solamente perché sei gelosa, perché non hai nessuno al mondo oltre me e temi che Arthur possa rovinarti il tuo bel castello di sabbia! –
Irlanda aveva stretto i pugni lungo i fianchi, rendendo gli occhi due fessure.
- Fingerò che sia come dici tu, ma bada bene, Iona, e non dire che non eri stata avvertita: prima o poi quel ragazzino ti si rivolterà contro, e allora non potrai dare la colpa a nessuno all’infuori di te. – era stato il suo ammonimento, sibilato attraverso le ferite del cuore.
- Bene, sai che ti dico? Non me ne frega niente! Noi siamo amici, e non sarà certo la tua gelosia a separarci! – aveva gridato Iona, la pazienza e la modestia ormai ricordi lontani, prima di sbatterla fuori dalla porta.
- Ora tornatene a casa tua, Éire, e comunque stai tranquilla: nessuno mi attacca impunito! –
Un ultimo grido nella notte, e per lunghi anni le brulle colline scozzesi non udirono più il canto leggero di Evelyn.
Insieme al suo, però, si era spento anche quello di Iona.
Anni dopo, il respiro trattenuto di fronte alle ultime battute di “Romeo and Juliet”, Iona avrebbe infine capito che il suo legame con Arthur non poteva risolversi che con la morte, e si sarebbe sentita sporca e meschina per non aver dato retta alla sorella quando era il momento.
Ma all’epoca era solo una ragazzina, innamorata più di un ideale che di quel biondo straniero venuto dal Sud.
Avrebbe potuto immaginarlo, ma la spensieratezza della fanciullezza aveva messo tutto a tacere con grande maestria.
Non aveva voluto crederci, quando i primi villaggi avevano iniziato a cadere.
Non aveva voluto crederci, quando il fumo denso della guerra aveva fatto capolino all’orizzonte, al di là della collina.
Era stata costretta a cedere, quando aveva visto Arthur folle come non mai, la fiaccola ardente in una mano e la spada nell’altra, il viso imbrattato di sangue non suo.
Erano state lacrime, era stato dolore, era stato rancore, ma specialmente era stata vergogna, perché Evelyn l’aveva avvisata, e lei non aveva voluto ascoltarla.
Ora, la spada in pugno e il canto potente delle cornamuse nel vento, si appresta a combattere, a difendere il suo popolo.
Ricorda ancora bene le parole gridate a sua sorella, dense di un odio generato da un amore destinato alla rovina.
Ma Iona, dopotutto, è una ragazza paziente, e sopporterà anche un cuore spaccato, un futuro frustato dai sensi di colpa.
Alza appena il mento, negli occhi grigi l’orgoglio che sua sorella, in piedi accanto a lei a darle man forte, le ha sempre insegnato.
Sente la presa salda della mano di Evelyn sulla sua spalla, e si volta fino a incrociare i suoi occhi, verdi come quelli di Arthur.
- Hai coraggio, Deirfiùr, ti ammiro molto. –
Le ultime parole che sente, prima che l’urlo di Wallace risuoni violento nella valle e tutto diventi caos.
Cha togar m' fhearg gun dìoladh!
Proprio come aveva detto lei, e adesso comprende l’amarezza di quella promessa.
Non ci sono sconti, non c’è amore che tenga.
Nessuno mi attacca impunito”.


















 
Note:

Riporto qui la traduzione di alcune parole in Gaelico Scozzese e/o Irlandese non spiegate nel testo.
 
Deirfiùr sorella
Gleann valle
 

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