Bolle di felicità

di _Aras_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


NEW 1

Questa storia è stata pensata come uno spin-off di “Molecole di vita”, una long composta da dieci capitoli che ho scritto un paio d’estati fa. In realtà risulterà più lunga della storia originaria e avrà poco a che fare con essa, quindi si può leggere anche senza conoscere “Molecole di vita”.

Per essere certa che comprendiate tutto, vi faccio un brevissimo riassunto di quanto è successo precedentemente, ma non credo sia necessario leggerlo perché in questo primo capitolo è spiegato tutto.

In “Molecole di vita”:

Allie (la protagonista di questa storia) e Dafne, due ragazze inglesi, festeggiano la fine degli esami di maturità trascorrendo due settimane a Rodi, un’isola della Grecia. Qui Dafne conosce Michael, un ragazzo del posto con cui nasce subito un’amicizia ricca di sentimenti che crescono velocemente. Hanno solo dieci giorni per stare insieme, ma l’attrazione li porta a diventare più che amici e a trascorrere l’ultima notte insieme. Dovendo tornare in patria, i due si separano: non si tratta di una relazione a distanza, dovranno cercare di andare avanti con le loro vite. Nel frattempo, Allie decide di dare una possibilità a Thomas (il fratello di Dafne, che è in Inghilterra) dato che in quei giorni si sono sentiti spesso al telefono e hanno scoperto di provare qualcosa l’uno per l’altra.



Bolle di felicità

A story of everyday life







Capitolo 1

Thomas le stava aspettando da più di mezz’ora: era appoggiato al muro dato che tutte le sedie erano state occupate da una comitiva di vecchiette arrivate da chissà dove. Stava iniziando a stancarsi, dopotutto aveva passato l’intera giornata a studiare per l’esame che avrebbe dovuto dare di lì a pochi giorni. Era impaziente di rivedere Dafne e Allie, di riportarle a casa e mettersi a dormire, dato che il giorno seguente non si prospettava migliore.

Le due amiche avevano trascorso due settimane a Rodi, un’isola della Grecia dove avevano deciso di andare in vacanza dopo la fine della scuola. Dafne, sua sorella, sembrava aver fatto conquiste in quei giorni. Per lo meno, questo era ciò che gli aveva detto Allie.

Allie, la migliore amica di sua sorella, la ragazzina che aveva tormentato per anni finché non era cresciuta e, a quel punto, aveva cominciato a piacergli sul serio. Ricordava di aver tentato un approccio a una festa qualche mese prima, ma nelle condizioni in cui si trovava aveva ovviamente ricevuto un rifiuto. Da pochi giorni, tuttavia, avevano cominciato ad avvicinarsi. Paradossalmente, proprio mentre si trovavano agli angoli opposti dell’Europa avevano scoperto la chimica che c’era tra loro. Avevano iniziato a parlare al telefono quasi per sbaglio, quando lei aveva risposto alla chiamata destinata a Dafne, che era impegnata. Thomas si era sentito così felice dopo quella telefonata che aveva preso a cercarla tutti i giorni, magari anche solo per cinque minuti, per sentire la sua voce e ridere con lei. Aveva speso un sacco di soldi ma ne era contento. Le aveva proposto di andare al cinema insieme quando fosse tornata, per vedere un film di cui avevano discusso e che Thomas era convinto le sarebbe piaciuto. Lei, facendosi seria, gli aveva assicurato che ci avrebbe pensato e gli avrebbe dato una risposta al suo ritorno.

Un ritorno che si faceva attendere ma che, finalmente, era arrivato. Le vide avvicinarsi a lui, i volti sorridenti, mentre tiravano i trolley, attente a non urtare nessuno. Dafne lo abbracciò per prima: un gesto strano da parte sua, dato che non erano soliti scambiarsi quel genere di tenerezze, ma a cui rispose sinceramente.

«Ti trovo bene» approvò Thomas, guardandola. «Ti sei abbronzata.»

Dafne gli sorrise, prima di farsi da parte, consapevole che anche la sua amica avrebbe ricevuto un bel saluto. E infatti Thomas l’attirò a sé, un po’ impacciato a causa dell’improvviso cambiamento del loro rapporto, ma sollevato dal sentirla rilassarsi insieme a lui in quella stretta nuova e delicata.

«Ciao, Allie» mormorò prima di lasciarla andare.

«Ciao» gli sorrise lei. «Ti trovo un po’ addormentato» scherzò, «ma penso sia comprensibile data l’ora

«Allora è meglio andare a casa» replicò lui, invitandole a seguirlo nel parcheggio.

Dafne sembrava davvero star bene, sorrideva e aveva già preso a raccontargli tutto ciò che aveva visto, senza però fare il nome del ragazzo che aveva conosciuto. Thomas non aveva capito molto bene la situazione che si era creata, sapeva solo che aveva incontrato un certo Michael e che erano diventati inseparabili. Allie non gli aveva rivelato fino a che punto fosse giunto il loro rapporto e lui non ci teneva a saperlo, ma aveva messo in chiaro che, una volta tornata in Inghilterra, Dafne ne avrebbe certamente sentita la mancanza. E in effetti, per quanto naturale potesse sembrare il comportamento che stava tenendo in quel momento a occhi estranei, Thomas si rese conto che non era davvero se stessa. Dafne non era mai stata così entusiasta di nulla e, per quanto avesse apprezzato l’isola, era ovvio che stava cercando di enfatizzare ogni cosa, per non pensare invece alle persone che l’abitavano.

Allie, d’altro canto, se ne stava in silenzio a osservarla preoccupata, intervenendo solo ogni tanto in quel lungo discorso. Thomas la guardò nello specchietto retrovisore, distinguendo appena la sua figura nell’oscurità della notte, eppure avrebbe giurato di averla vista ricambiare lo sguardo.

«E il mare!» esclamò Dafne, richiamando la sua attenzione. «Mio Dio, non avevo mai visto dell’acqua così limpida e pulita! Sembrava di essere in una piscina, non fosse stato per i sassi sul fondo che rendevano il tutto ancora più meraviglioso.»

«Avete fatto anche un bagno di mezzanotte, spero» rispose Thomas, lanciando un’occhiata alla sorella. La sua reazione non fu però quella che si aspettava: il sorriso vacillò e gli occhi persero per un attimo la luce dell’eccitazione mentre rispondeva. «Sì, una volta.»

Incerto su cosa dire, inconsapevole del ricordo che quell’ingenua domanda aveva risvegliato, Thomas preferì lasciar perdere e alzare il volume della radio, dato che nell’abitacolo si era diffuso un silenzio che si stava facendo pesante. Fortunatamente mancava poco alla loro casa e, nel giro di qualche minuto, Dafne si era già defilata. Aveva preso la sua valigia e aveva augurato la buonanotte, sentendosi improvvisamente stanca a causa del volo. Disse ad Allie di non affrettarsi a raggiungerla, che tanto non l’avrebbe svegliata, e salì le scale.

Così loro rimasero in salotto, soli e muti finché lei non si richiuse la porta della camera da letto alle spalle. Poi Thomas si voltò a guardare Allie, confuso.

«Cos’ho detto?» domandò, sedendosi sul divano e invitandola a fare lo stesso. Lei gli si accomodò accanto con un sospiro e chiuse gli occhi, la testa reclinata contro lo schienale.

«Questo bagno di mezzanotte l’ha fatto con Michael, non con me» rivelò. «Ed è stato il momento in cui tutto è degenerato.»

«Si riprenderà» disse Thomas, con convinzione. «Ora è suscettibile perché è una sorta di ferita fresca, ma con il tempo le passerà.»

«Lo spero» mormorò lei, guardandolo negli occhi.

«Non credi?»

«Non l’avevo mai vista così» rispose solamente, prima di stiracchiarsi.

«Sei stanca?» chiese Thomas.

«Solo un po’.»

Forse quello non era il momento giusto, forse avrebbe dovuto prendere più seriamente lo stato d’animo di sua sorella, forse avrebbe dovuto aspettare almeno il sorgere del sole, ma Thomas voleva una risposta a quell’interrogativo che le aveva posto più di due giorni prima. «Hai pensato alla mia proposta?»

Lei annuì e aspettò un momento prima di parlare.

Aveva riflettuto a lungo, anche durante il viaggio di ritorno, e si era decisa ad accettare. Aveva scoperto che parlare con Thomas la faceva stare bene, l’aveva aiutata nei momenti in cui si sentiva un po’ sola, mentre Dafne era tutta presa da Michael. Lui era simpatico ed era cresciuto, non era più il bambino che le faceva i dispetti, né il ragazzino che la prendeva in giro. Ormai era un uomo, aveva degli ideali e un buon carattere, sebbene di tanto in tanto sembrasse regredire all’infanzia.

Aveva deciso di provarci, perché altrimenti si sarebbe tormentata a lungo su cosa sarebbe potuto succedere e lei odiava i rimpianti. Aveva ritenuto che, anche se non fosse andata bene, sarebbero comunque riusciti a mantenere un rapporto di neutralità, che lei non avrebbe perso la sua migliore amica per una storia finita.

«Credo che dovremmo uscire» disse, annuendo, felice di vederlo sorridere a quell’affermazione.

«Fantastico» la ringraziò. «Dopodomani?» domandò.

«Sei impaziente» rise Allie, dandogli un amichevole pugno sulla spalla. Lui le afferrò la mano prima che potesse ritirarla, intrecciando le dita con le sue. Lei abbassò per un attimo lo sguardo, andando a fissare le loro mani unite, poi rispose. «Cos’avevi in mente?»

«Avevamo detto qualcosa di semplice, film e pizza» le ricordò.

«Ah» esclamò Allie. Certo, avevano parlato di una piccola cosa, ma non credeva che sarebbe stato davvero un appuntamento così banale.

«Oppure potremmo cambiare piano. Qualcosa di più romantico?» tentò lui, che aveva notato l’espressione lievemente delusa sul suo viso.

Lei fece spallucce, trattenendo un sorriso e replicando con un semplice «Come vuoi, tocca a te organizzare.»

Quella frase non lo rincuorava affatto, consapevole che la prima impressione era importante e che, nonostante si conoscessero da anni, quello sarebbe stato il loro primo appuntamento e non avrebbe potuto cambiarlo. Ormai deciso a fare qualcosa di diverso, di originale o perlomeno non banale, promise: «Ti sorprenderò.»

Allie, contenta di averlo portato sulla buona strada, si sporse verso di lui e gli baciò la guancia. «Buonanotte» sussurrò, prima di sollevarsi lentamente, facendo scivolare le dita fuori dalla sua presa e salire le scale, diretta con un sorriso verso la stanza di Dafne, dove avrebbe passato la notte.

La mattina seguente, Thomas si svegliò presto. Nonostante avesse dormito meno del solito, si sentiva fresco e pimpante, pronto per una nuova giornata. Avrebbe dovuto continuare a studiare per l’esame che si avvicinava a un ritmo spaventoso, ma sapeva già che avrebbe passato ore per definire i dettagli dell’appuntamento che Allie gli aveva concesso e per organizzarlo. Senza contare che la ragazza stava dormendo dall’altra parte del corridoio e che quindi avrebbe avuto l’occasione di vederla anche quel giorno.

Si decise ad alzarsi e ad andare a bruciare un po’ di energie. Dopo una breve capatina in bagno e un caffè rubato a sua madre, che stava facendo colazione, uscì di casa. Aveva infilato le cuffiette dell’i-pod nelle orecchie e aveva cominciato a correre, mentre nella sua testa si affollavano le idee più diverse e contrastanti.

Con ogni probabilità, se avesse chiesto un consiglio a Dafne, avrebbe creato un appuntamento perfetto; tuttavia, preferiva arrangiarsi e magari non avere quel grande successo, piuttosto di riciclare le idee di qualcun altro. Voleva essere in grado di darle esattamente ciò che desiderava, per dimostrare, a lei ma anche a se stesso, che ne valeva la pena.

All’improvviso, tra le varie ipotesi difficilmente realizzabili, si fece spazio il ricordo di una scommessa vinta di cui doveva ancora riscuotere il premio. Un suo compagno di studi aveva accettato di mettergli a disposizione il suo appartamento quando glielo avesse chiesto; quella sembrava essere l’occasione giusta.

Dafne, come suo solito, si era svegliata alquanto presto e, attenta a non fare rumore per non svegliare l’amica, era scesa a fare colazione. Non era pronta per affrontare Martha, sua madre, che l’avrebbe sommersa di domande finché non le fosse venuto mal di testa, ma d’altronde non lo sarebbe mai stata.

Amava quella donna solare e affettuosa che l’aveva cresciuta e sostenuta nei momenti di difficoltà, ma talvolta era difficile sopportare il suo entusiasmo, specie quando non si era di buon umore. Per quanto fingesse di essere felice di essere tornata a casa nonostante la vacanza le fosse rimasta nel cuore, dentro sentiva un vuoto e una malinconia a cui non voleva cedere. Non avrebbe permesso a nessuno di vederla triste e abbattuta, perché nessuno avrebbe capito come avesse potuto legarsi così tanto a un ragazzo che conosceva da pochissimo, perché in fondo non lo capiva nemmeno lei.

«Dafne, tesoro!» l’accolse sua madre, andandole incontro e abbracciandola. «Come sei bella! Questa vacanza ti ha fatto proprio bene. Raccontami tutto, su!»

Dafne dubitava di essere poi così avvenente di prima mattina, con gli occhi ancora arrossati dal sonno e la tristezza nel cuore, ma lei ne sembrava sicura. Ricambiò il saluto e s’informò sulle novità in famiglia, evitando di narrarle le sue avventure, mentre preparava il thè. Tuttavia, Martha non abboccò e insistette perché le raccontasse la sua vacanza.

«È un posto bellissimo, è sempre soleggiato e l’acqua è cristallina. Sembra un altro mondo, almeno per me, dopotutto sono sempre stata abituata alla pioggerella insistente di questo paese. È caldo ma non afoso, perché c’è sempre un lieve venticello che rinfresca l’aria. E anche il cibo è diverso, molto saporito e tipicamente mediterraneo.»

«E la lingua? Hai avuto difficoltà a farti capire?» domandò, mentre la ascoltava curiosa, figurandosi nella mente ciò che le veniva narrato.

«Niente affatto. Quasi tutti comprendono l’inglese, forse perché è un luogo che vive di turismo. Ho anche imparato qualche parola in greco, quelle base per dimostrare che si apprezza il posto e la gentilezza degli abitanti» continuò.

«Per esempio?»

«Kalimera significa buongiorno, efharisto significa grazie, parakalo significa per favore, milate anglika? viene usato per chiedere se parlano l’inglese» rispose, tentennando un po’ con la sua pronuncia inesperta.

Seirí̱na significa sirena, pensò, ricordando che Michael le aveva tracciato quella parola sulla schiena con un pennarello indelebile.

«E hai conosciuto qualcuno?»

«Tutte le persone che ho incontrato sono sempre state amichevoli e bendisposte, intrattenendosi a parlare sebbene non mi conoscessero.» Si limitò a rispondere in questo modo, evitando ogni riferimento specifico, per passare poi a inzuppare i biscotti nella tazza.

«Zia Agatha come sta? Pensavo di passare da lei oggi, per accordarci riguardo al lavoro» disse, nel tentativo di distrarla per non farle approfondire il discorso.

«A dire la verità non la vedo da più di dieci giorni, è talmente oberata di impegni. Sono certa che ti sarebbe grata se andassi ad aiutarla» rivelò, prima di alzarsi. «Ora è meglio che vada a fare la spesa, voglio preparare un bel pranzo oggi, dato che siamo di nuovo tutti insieme» spiegò con un sorriso prima di uscire dalla stanza.

Dafne tirò un sospiro di sollievo, conscia di aver scampato la descrizione di coloro con cui aveva fatto amicizia, ma anche del fatto che non poteva dirsi salva per sempre.

Thomas rientrò dopo più di due ore, sfinito per la corsa ma anche soddisfatto, perché nel frattempo era riuscito ad accordarsi con l’amico per il favore che gli era dovuto. Scalciò le scarpe infangate in un angolo del portico e rientrò in casa, diretto in cucina per bere un bel bicchiere d’acqua. Quando giunse sulla soglia notò che al suo interno c’era già qualcuno. Era Allie, che dandogli le spalle stava preparando qualcosa sulla tavola. Grato di essersi avvicinato senza far rumore fino a quel momento, ne approfittò per fare altri due passi e fermarsi dietro di lei. Le circondò la vita con le braccia, stringendola in una dolce morsa, e lei sussultò, colta di sorpresa.

«Thomas!» lo rimproverò, rendendosi subito conto dell’identità del suo assalitore. Non cercò tuttavia di sottrarsi a quella presa mentre seguitava a parlare. «Mi hai quasi fatto rovesciare il thè!»

Lui si scusò con un sorriso, poi le posò un bacio sui capelli. Allie trattenne a stento un sospiro a quel gesto, doveva ancora abituarsi a quella nuova confidenza, e lo scacciò scherzosa. «Sei tutto sudato, per favore!» lo riprese, anche se in fondo quel contatto non le dava noia, piuttosto la confondeva, trovandola impreparata.

«Hai ragione» accondiscese lui, allontanandosi per andare a farsi una doccia, non prima però di averle ricordato con gioia l’impegno della sera seguente e di averle assicurato che lei ne sarebbe stata entusiasta.

Ora che se n’era andato, Allie si ritrovò piena di curiosità e aspettative. Da un lato avrebbe voluto sapere cosa avesse organizzato, dall’altro sperava che quella sorpresa le sarebbe piaciuta, non volendo deluderlo e mettere un’ombra su quell’appuntamento prima ancora che iniziasse. Scoprì di star aspettando con ansia che il tempo che la separava dalle ore che avrebbero trascorso insieme passasse, perché ora che aveva conosciuto il lato più dolce e amorevole di Thomas, dopo le infinite telefonate dei giorni scorsi, lo vedeva sotto un’altra luce. Ora fremeva dal desiderio di stare sola con lui, di scoprire ulteriori dettagli della sua vita, di vederlo ridere e di stare bene con lui.

Prima, però, avrebbe dovuto far ritorno a casa, per dar prova ai suoi genitori che era ancora in vita. Si sbrigò quindi a far colazione e chiese a Dafne, che se ne stava in camera a disfare la valigia, di darle un passaggio.

«Come stai?» chiese, approfittando della solitudine. Non era una domanda di cortesia, quanto piuttosto un interrogativo volto a capire quanto soffrisse realmente per la lontananza dal ragazzo che aveva conosciuto.

«Bene, perché?» rispose lei, come se non avesse capito il vero scopo di quelle parole.

«Dafne» la richiamò. «Quanto hai pensato a Michael da quando siamo tornate?» Decise di essere più diretta, rischiando forse di risultare dura e impertinente, ma era un rischio necessario per capire di quanto aiuto e supporto avrebbe avuto bisogno la sua amica nei giorni a venire.

«Siamo tornate da mezza giornata» le fece notare, senza dare una vera spiegazione. Dopo aver visto il suo sguardo insistente, però, si convinse a parlare. Dopotutto Allie era la sua più cara amica, l’unica persona su quell’isola piovosa che avesse conosciuto Michael e che sapesse cosa provava per lui. Non c’era nessun altro che la potesse capire a quel modo. «Tanto, mi manca e sono sempre più convinta che siamo stati degli idioti.»

Al suo sguardo dubbioso, Dafne continuò. Ora che aveva iniziato a parlare, sentiva il bisogno di sfogarsi.

«Sapevamo di avere poco tempo e che poi non ci saremmo più rivisti, eppure ci siamo cascati comunque. Non siamo riusciti a contenerci e siamo andati addirittura a letto insieme, nonostante avessimo deciso di fermarci all’amicizia. Come due bambini, siamo stati incapaci di pensare alle conseguenze e ci siamo limitati a soddisfare ogni nostro desiderio.»

Allie la osservò con attenzione mentre parlava: Dafne era triste, certo, ma soprattutto arrabbiata con se stessa per essersi cacciata in quella situazione. Lei l’aveva avvisata all’inizio, quando ancora non era successo nulla tra loro due, ma non se la sentiva di farglielo notare. Inoltre, non era nemmeno così certa che, al suo posto, lei si sarebbe comportata diversamente.

«Non essere troppo dura con te stessa. Non puoi vivere trattenendoti per paura delle conseguenze, hai fatto ciò che avrebbero fatto tutti» tentò di rassicurarla.

«Questo non lo rende giusto» commentò Dafne, distogliendo per un attimo lo sguardo dalla strada per puntarlo sull’amica.

«No, è vero» acconsentì. «Ma nessuno è perfetto» le ricordò.

«Spero solo di riuscire a superarlo presto, anche se ora come ora mi sembra impossibile» confessò, fermando l’auto davanti alla casa di Allie.

«Non disperare, ci penserò io a distrarti» la confortò, posandole una mano sulla spalla. «E poi chi lo sa cosa ci riserva il futuro!» esclamò, prima di salutare e scendere.

Aveva notato le macchine dei genitori parcheggiate in garage, quindi dovevano essere in casa. Entrò trascinandosi dietro il trolley e lo lasciò all’ingresso, chiamando a gran voce per salutarli. Suo padre era seduto sul divano, intento a guardare un programma televisivo, mentre sua madre stava spolverando il salotto. Si chinò per dare un bacio sulla guancia all’uomo e abbracciò la madre, che le era corsa incontro.

«Ancora non capisco perché non sei voluta tornare subito ma ti sei fermata a dormire da Dafne!» domandò subito, mettendola a sedere e accomodandosi accanto a lei.

«Non volevo rischiare di svegliarvi, non so mai quando dovete scappare per andare in ospedale» spiegò lei.

«Oh, ma non dovevi preoccuparti! Sai, pensavo che uno di questi giorni potremmo cenare tutti insieme, è da un sacco di tempo che le nostre due famiglie non si riuniscono!» propose. «Non credi che sarebbe una bella idea?»

Allie sorrise e approvò: era contenta che i suoi genitori apprezzassero la famiglia di Dafne, soprattutto perché voleva dire che avevano in simpatia anche Thomas. Per quanto non avesse intenzione di dir loro nulla finché la loro storia, sempre ammesso che fossero riusciti a costruire qualcosa, non fosse stata seria, era bello sapere che non avrebbe affrontato problemi. D’altro canto, anche Martha l’adorava e Dafne le aveva rivelato che sua madre aveva sempre incoraggiato il giovane a farsi avanti, pur non conoscendo i suoi veri sentimenti.

«Mi aiuti a preparare il pranzo, tra un po’?» domandò. «Mi mancano i nostri momenti madre-figlia.»

Allie rise, divertita dal tono che aveva usato. Non avevano mai condiviso grandi momenti, nonostante avessero un ottimo rapporto, a causa del lavoro di sua madre. Un lavoro che le richiedeva molto tempo e che si presentava urgente anche in quel momento. Il suo cercapersone squillò e la donna si affrettò ad afferrarlo, sbuffando.

«Tesoro, scusami tanto. Devo correre, c’è un emergenza» disse, alzandosi in piedi e salendo velocemente le scale per andare a cambiarsi.

Un attimo dopo, anche quello del padre emise lo stesso suono e la scena si ripeté.

Allie, con un sospiro, si lasciò scivolare lungo il divano. Non ne era sorpresa, era una tradizione, ormai. Progettavano di fare qualcosa insieme e poi, puntualmente, l’ospedale chiamava e tanti saluti a tutto il resto. Da bambina odiava quei momenti, aveva perso il conto delle volte a cui aveva chiesto ai genitori di cambiare lavoro, ma ora aveva capito. A tredici anni, durante l’ora di educazione fisica, aveva preso una pallonata in faccia. Ancora faticava a crederci, le sembrava impossibile che fosse successo davvero: non capitava solo alle protagoniste dei film sdolcinati che guardava Dafne, che poi si svegliavano tra le braccia del loro principe? Beh, lei, dopo aver battuto la testa a terra e aver perso i sensi, si era risvegliata in un ambulanza. Quando era arrivata al pronto soccorso e aveva visto sua madre che con il suo camice bianco le stava andando incontro, il sollievo era stato enorme. Da quel giorno non aveva più tentato di dissuaderli dall’andare a lavoro, anzi, li aveva incitati a sbrigarsi, perché c’era qualcuno che aveva bisogno del loro aiuto.

Così Allie si ritrovò sola e per una volta non si fece vincere dalla pigrizia. Trascinò la valigia al piano di sopra e cominciò a tirar fuori i vestiti, iniziando già a pensare a cosa avrebbe potuto indossare la sera dell’appuntamento con Thomas.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


NEW 2
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A story of everyday life







Capitolo 2

Mancava meno di mezza giornata all’appuntamento con Thomas e Allie era piena di impegni e commissioni. Di questo passo, sarebbe arrivata distrutta alla serata. I suoi genitori erano entrambi di turno e quindi, come al solito, toccava a lei pagare le bollette e fare la spesa. Aveva passato più di un’ora in fila per completare la prima parte del suo compito e ora, alle undici passate e con il portafoglio decisamente più leggero, stava entrando nel supermercato. Gemette quando notò le code sulle due sole casse aperte e sperò che si liberassero prima che giungesse il suo turno. Prese un carrello e cominciò a percorrere la prima corsia, quella dedicata al banco frutta, consultando attentamente la lista per non dover tornare indietro in continuazione.

Infilò un guanto usa e getta e afferrò una mela, controllando che non avesse ammaccature. Nonostante fosse circondata dal cibo, l’idea di mangiare non l’attirava per niente. Iniziava già ad avere un po’ d’ansia, quella sensazione inspiegabile che non l’abbandonava nemmeno quando si ripeteva che tutto sarebbe andato bene e che non c’era motivo di preoccuparsi. Sentiva una morsa allo stomaco da quando si era svegliata quella mattina e la consapevolezza che avrebbe dovuto fare tutto di fretta per ricavare il tempo necessario a prepararsi non l’aiutava. Cercò di concentrarsi sulla canzone che trasmettevano alla radio e sulla sua respirazione, mentre riempiva il carrello e spuntava la lista con una penna. Stava voltando l’angolo, la testa bassa impegnata a scorrere i nomi dei prodotti, e non si accorse che c’era qualcuno che si avvicinava nella direzione opposta. Ci fu un fragore metallico quando i due carrelli si scontrarono e Allie trattenne il respiro mentre andava a sbattere contro il manico in ferro.

Rialzò subito il capo, scusandosi per la sua distrazione, e guardò la ragazza che aveva davanti. Stupita, si rese conto di conoscerla.

«Alice» la salutò con un sorriso. «Come stai?»

Alice era stata una sua compagna di classe fino a un paio di mesi prima, quando il liceo era finito. Allie aveva sempre creduto che fosse carina sotto quell’aspetto trasandato che si era cucita addosso, ma la sua timidezza le aveva impedito di scoprire se le sue supposizioni fossero vere. Da che la conosceva, aveva sempre portato degli occhiali pesanti che, sebbene fossero tornati di moda, nascondevano i suoi occhi di un bel verde scuro. I capelli erano sempre raccolti in una coda di cavallo, gonfia a causa della massa riccia che racchiudeva, e l’assenza di trucco la faceva passare inosservata, quasi fosse invisibile, tra tutte le altre ragazze perfettamente curate. Era forse un po’ in carne, ma non grassa. Ciò che più di tutto la rendeva invisibile, e talvolta la faceva sembrare addirittura indisponente, era l’espressione apatica del suo viso. Allie poteva contare sulle dita di una mano le volte che l’aveva vista sorridere ed era un peccato, perché aveva un sorriso meraviglioso e dei denti perfetti.

«Bene, grazie» rispose lei, con gentilezza ma senza entusiasmo. Quasi scordò di ricambiare la domanda, cosa che poteva anche non interessarla ma che era simbolo di cortesia. «Tu?» chiese infine, notando che Allie rimaneva lì a fissarla.

«Magnificamente. Finalmente le vacanze, eh? Io sono appena tornata, tu vai da qualche parte?»

Allie era curiosa, lo era sempre stata, e forse quest’incapacità di farsi i fatti suoi poteva essere un difetto, ma nulla l’avrebbe fermata dall’interessarsi a chi la circondava. Inoltre, senza rendersene conto, ora che aveva incontrato Alice non pensava più all’ansia che l’aveva attanagliata fino a un attimo prima. Quella agitata, ora, sembrava Alice. Subito non ci aveva fatto caso, ma ora che la osservava meglio si rese conto che non sembrava poi così felice di vederla e, se in un primo momento ne fu delusa, poi si sentì confusa. Non erano mai state grandissime amiche, perlopiù conoscenti che avevano condiviso cinque anni della loro vita, ma non credeva che ci potesse essere quell’indifferenza tra loro. Alice sembrava non sapere cosa risponderle.

«Io…» temporeggiò, vagando con lo sguardò in cerca di un appiglio. «Non sono andata da nessuna parte per ora» mormorò infine, con il basso tono dolce che ricordava Allie ma anche con una punta di imbarazzo.

«Ti ho offesa in qualche modo?» domandò Allie, con la sua tipica schiettezza. Non capiva perché la ragazza si comportasse a quel modo: era sempre stata timida e riservata, ma non la ricordava così.

Alice fu colpita da quelle parole e la osservò dubbiosa, incerta su come rispondere. Cosa intendeva dire Allie e perché pensava che si sentisse offesa? Doveva essere colpa sua e della sua solita insicurezza, che la rendeva incapace di sostenere una conversazione senza apparire sciocca e scialba. «No» rispose infine, scuotendo il capo ma senza guardarla negli occhi. Gli occhi di Allie erano grandi e limpidi, la osservavano diretti, la mettevano in soggezione a causa della certezza che trasmettevano.

«Scusami, è che sei…» replicò allora Allie, cercando le parole giuste per non offenderla, «non sembri molto contenta di vedermi. Ma se non c’è problema, ti va di prendere un caffè quando abbiamo finito qui?» propose, dimenticando la montagna di cose che aveva da fare, affascinata da quella vicenda. Voleva scoprire perché Alice fosse così riservata, perché si fosse chiusa così in se stessa e, poiché dentro di sé aveva da sempre una vocazione da crocerossina, aiutarla a superare quel momento.

Era una decisione improvvisa, dettata più che altro dalla curiosità e dalla necessità di una distrazione, ma Allie la stava già prendendo sul serio e non avrebbe mollato facilmente la presa.

«Mi dispiace, non posso» rifiutò subito, quasi senza pensarci, come se fosse una reazione istintiva. E lo era: Alice non si trovava a suo agio a stare a lungo fuori casa con persone che non conosceva bene e, negli ultimi tempi, la situazione era peggiorata.

«Nemmeno cinque minuti?» insisté Allie.

«No, davvero, scusa» rifiutò ancora, cercando una scusa per andarsene. Perché Allie si era intestardita tanto? Non erano mai state amiche, non erano mai uscite insieme e di certo Allie non si era mai interessata a lei nei cinque anni precedenti, non in quel modo.

«Beh, almeno dammi il tuo numero di cellulare, così ci mettiamo d’accordo per un’altra volta» propose allora. A quest’idea, Alice non sapeva proprio come opporsi senza sembrare scortese e, per liberarsene in fretta, compose il suo numero sul telefono della ragazza. Non pensò nemmeno di digitarlo sbagliato, in modo da impedirle un futuro contatto: per quanto le avrebbe fatto comodo quella strategia – dopotutto non desiderava essere disturbata, stava tanto bene da sola nella sua stanza – non aveva la capacità di concepire un gesto tanto meschino.

Biascicando un saluto riuscì quindi a sorpassarla in fretta e tirò un sospiro di sollievo, mentre si sbrigava per non fare altri incontri.

Allie rimase lì per un altro momento, confusa ma soddisfatta di ciò che aveva ottenuto. Quando sentì la radiocronista informare gli ascoltatori dell’ora, però, si rese conto del tempo che era passato, del fatto che doveva finire di fare la spesa e altre mille cose e poi, quella sera, andare a un appuntamento.

Allie scese dall’auto e si avviò verso la casa di Dafne. Quella mattina l’aveva avvertita che aveva intenzione di andare a trovarla, aveva bisogno di aiuto per prepararsi a quella serata e, se per l’abbigliamento sarebbe stato più comodo un incontro a casa sua, per la preparazione psicologica poteva andar bene qualsiasi luogo. Ora era meno agitata di quella mattina, si sentiva più sicura di sé e non ne poteva più di aspettare: era l’attesa a ucciderla.

Non aveva considerato, però, che andando da Dafne aveva la possibilità di incontrare Thomas. Lui passava sempre molto tempo fuori casa, in giro con gli amici o all’università a studiare, era raro trovarlo a casa di pomeriggio. Anche in quel momento stava uscendo: quando Allie sollevò la mano per bussare alla porta d’ingresso se lo ritrovò davanti e per un soffio non si scontrarono.

«Ciao» si salutarono, quasi in contemporanea, e quasi allo stesso tempo sorrisero.

«Dove…» Allie stava per chiedergli dove stesse andando, ma lui la zittì, posandole un dito sulle labbra. La prese per mano e la condusse silenziosamente nel garage, richiudendo la porta dietro di sé. Erano stretti in quella stanza che conteneva fin troppe cose: un auto – la seconda non c’era solo perché il padre era andato a lavoro – e quattro biciclette, senza contare il divano vecchio che i coniugi non volevano buttare.

«Che succede?» domandò allora, mentre lui si sporgeva per accendere la luce.

«Mia madre era in cucina, non volevo che ci sentisse» spiegò.

Allie sorrise, riconoscendo la comicità della situazione. «Ti rendi conto che non siamo nemmeno mai usciti e ci stiamo nascondendo dalla nostra prima fan?» chiese, ridendo.

Lui si appoggiò all’auto con la schiena, ammettendo la verità della sua affermazione. «Non voglio che si metta in mezzo, non ora» insisté. «Pronta per stasera? O stai avendo dei ripensamenti?» Thomas sembrava sicuro di sé ma nel suo animo non lo era poi così tanto: temeva davvero che Allie potesse tirarsi indietro.

«E tu sei pronto con l’appuntamento a sorpresa?» replicò lei, senza rispondere alla sua domanda. Notò il suo disappunto, sebbene si fosse affrettato a rassicurarla sulla sua organizzazione perfetta.

«Hai qualche richiesta?» domandò allora, curiosa di carpire qualche dettaglio in più.

«Cosa intendi dire?» Non aveva capito il significato di quelle parole, era certo che non fosse ciò a cui la sua mente era corsa.

«Come devo vestirmi? Siamo all’aperto o al chiuso?» specificò Allie.

Thomas non voleva svelarle nulla: aveva già un po’ paura che ciò che aveva preparato non le sarebbe piaciuto, vedere una sua espressione dubbiosa ora non l’avrebbe aiutato. E poi, non c’era davvero bisogno di nulla di particolare. «Sarai perfetta in ogni caso» rispose con un sorriso.

Allie sbuffò, vedendo andare in fumo le sue possibilità di conoscere qualche dettaglio. Inoltre, quella frase non era affatto rassicurante per una ragazza: non c’era un abbigliamento che andasse bene in ogni caso e lei non poteva passare ore davanti allo specchio, indecisa, poiché lui non le dava nessuna indicazione.

«Non è vero, dai!» insisté. «Devo vestirmi elegante, casual» elencò, fissandolo, «…sexy?» provò infine, sperando in una reazione migliore.

Il sorriso sul suo volto si allargò e Thomas dovette distogliere lo sguardo per un attimo, sospirando. Lo stava già mettendo alla prova.

«Sarai perfetta in ogni caso» ripeté con convinzione. «Potresti venire anche in pigiama, non mi lamenterei.» Sperò che non lo prendesse alla lettera: era certo che sarebbe stata adorabile anche in pigiama, sì, ma vederla con un bel vestito non gli sarebbe dispiaciuto.

«Sei odioso» lo rimproverò lei, senza riuscire a non sentirsi comunque gratificata da quelle parole.

«È meglio che vada ora» mormorò lui, guardando l’orologio. «Passo a prenderti alle sette» le ricordò, prima di posarle un bacio tra i capelli e uscire.

Allie lo osservò allontanarsi e lo vide quando, dopo pochi metri, si voltò e incrociò il suo sguardo con un sorriso. Sospirando, uscì anche lei dal garage e andò a bussare alla porta d’ingresso. Sperava che Dafne fosse più informata di lei.

Martha le aprì e la fece entrare, sorridente. «Cerchi Dafne?» chiese, osservandole il volto.

«Sì, grazie» rispose Allie, aggrottando la fronte davanti a quello sguardo inquisitore.

«È per un ragazzo, vero?» le domandò la donna, lasciandola basita. Come poteva saperlo? Li aveva visti per caso?

«Ehm…» temporeggiò, lanciando un’occhiata alle scale alla ricerca della sua amica. «Io…» Prese un profondo sospiro, non sapendo cosa risponderle.

«Oh, tranquilla, cara! Non ne farò parola con nessuno» le promise, strizzandole un occhio. «È solo che ho riconosciuto il tuo sguardo» spiegò. «Spero che lui ne valga la pena» le augurò, implicando che lei aveva un candidato perfetto e sicuramente migliore del ragazzo a cui doveva pensare Allie. Chissà cosa avrebbe fatto se avesse saputo di chi si trattava!

«Lo spero anch’io» ribatté Allie, trattenendo una risata. «È di sopra?» chiese, alzando lo sguardo. La donna annuì e la salutò, rientrando in cucina, dove sembrava stesse cuocendo qualcosa di buono.

Allie salì le scale e bussò alla prima porta a destra; fu accolta da un “avanti!” gridato con disperazione. Entrò nella stanza e si fermò sulla soglia, sbigottita. Tutti i vestiti erano sparpagliati sul letto, qualcuno addirittura a terra, senza parlare delle scarpe, gettate alla rinfusa sul pavimento.

«Che diavolo è successo qui?» chiese, senza fiato. Dafne aveva disfatto la valigia la mattina precedente, ne era certa perché l’aveva vista.

La sua amica alzò lo sguardo sconsolata, prima di lasciarsi ricadere tra le coperte. «Volevo riordinare l’armadio dato che ieri ho buttato tutto a caso, ma ho scoperto di avere più indumenti di quanto ricordavo.»

«Ma stai bene?» domandò allora, insicura. Non capiva se era solo stanca o se quell’espressione nascondesse uno stato depressivo.

«Sì, sì, sto bene» sbuffò. «Michael è a Rodi e io sono qui, me ne sto facendo una ragione. Sono solo un po’ irritabile oggi, deve arrivarmi il ciclo» disse, stringendosi al cuscino.

Con un sospiro di sollievo, Allie si accomodò accanto a lei. «Rimanda lo stress a domani, ora ho bisogno di te» la pregò. «Sai qualcosa di quello che ha organizzato Thomas per stasera?»

Dafne scosse la testa. «Ho provato a indagare, immaginavo che me l’avresti chiesto, ma non ha voluto dirmi niente» rispose.

«Ma non mi ha neanche detto come devo vestirmi!» piagnucolò Allie, sconsolata.

«Onestamente, non credo che gli importi molto come ti vesti. Potresti anche andarci nuda, per lui non farà differenza» considerò.

Allie le scoccò un’occhiataccia. «Spero che, in caso decidessi di seguire il tuo consiglio e mi presentassi nuda, abbia una reazione diversa da quella che ha quando mi vede con tanto di sciarpa e cappotto» commentò, rubandole il cuscino che stringeva tra le braccia e lanciandoglielo addosso. Dafne scoppiò a ridere, prima di riprenderselo e posarlo al suo posto.

«Come ti senti?» chiese, curiosa. «Ansia? Perché lui l’ho visto alquanto agitato oggi» rivelò.

«Un po’, ma mi sta passando. Sai come sono, odio aspettare» rispose, ricordandosi all’improvviso dell’incontro di quella mattina. «Sai chi ho incontrato questa mattina? Alice Turner» raccontò.

«Non l’ho più vista da quando è finita la scuola» rifletté Dafne. «Come sta?»

«Neanche io. In realtà, credo che non l’abbiamo mai vista molto all’infuori della scuola neanche prima» meditò Allie. «Non avevo mai notato quanto fosse incredibilmente timida, alla fine è quasi scappata via.»

«Addirittura?» Anche Dafne era sorpresa da quel comportamento.

Tristemente, si rese conto che avevano sempre ignorato quella ragazza tanto dolce e tanto riservata che avevano conosciuto il primo giorno di liceo. Era così introversa che difficilmente veniva notata e, tranne per qualche parola ogni tanto e le uscite di classe, non l’avevano mai coinvolta nelle loro vite. Si sentiva quasi in colpa, soprattutto ascoltando il dettagliato resoconto che Allie le stava facendo del loro incontro. Non aveva mai pensato che lei potesse essere così sola come appariva. Magari non lo era nemmeno, dopotutto la conoscevano appena e non sapevano nulla della sua vita privata, ma il comportamento che aveva tenuto non prometteva nulla di entusiasmante. Fu grata di sentire che Allie aveva il suo numero di cellulare e che programmava di incontrarla, si ripromise di seguire il suo esempio.

«Riuscirai ad aiutarla, ne sono sicura» disse Dafne. «Dopotutto, ci sei riuscita anche con me.»

Allie le sorrise e le strinse la mano, ricordando la ragazzina timida che era stata.

Dafne aveva portato l’apparecchio per i denti sin da quando aveva sette anni, ma solo con la pubertà se n’era sentita imbarazzata. A causa delle risate dei suoi compagni di scuola, si era chiusa in se stessa e aveva cominciato a sorridere sempre meno, per non far vedere la ferraglia che aveva in bocca. Quando si erano presentati anche i brufoli, si era sentita ancora più a disagio, tanto da farsi la frangetta per coprire la fronte e tenere sempre la testa bassa, in modo da nascondere il volto. Tutte le altre ragazze erano nelle stesse condizioni, ma a lei sembravano delle modelle in confronto al riflesso che il suo specchio le presentava ogni mattina. Si sentiva bruttina e inadatta e solo grazie all’aiuto di Allie, che l’aveva pressata per uscire a prendere un gelato e si era accampata a casa sua per risollevarle il morale, aveva superato quel brutto periodo.

«Lei è messa peggio» commentò poi. Dafne fece spallucce, come a dire che non era rilevante. Avrebbe voluto avere la sua stessa sicurezza, ma sapeva che avrebbe tentato finché non avesse vinto.

Allie si avvolse in un asciugamano e uscì dalla doccia, tamponandosi i capelli con un altro panno. Aveva deciso di rimandare le pulizie di casa al giorno dopo e di passare il pomeriggio a rilassarsi, conscia che troppo nervosismo non le avrebbe fatto godere la serata. Aveva fatto un lungo bagno e aveva finalmente deciso come vestirsi. Aveva già preparato tutto sul suo letto: un abito lungo a fantasia floreale, in modo da poter mettere dei sandali bassi e apparire comunque slanciata, con una giacca leggera che lo faceva apparire meno elegante di quando non fosse in realtà. In questo modo si sentiva abbastanza sicura per ogni evenienza e, in casi estremi, avrebbe comunque potuto rimproverare Thomas per aver generalizzato troppo.

Si asciugò con cura i capelli, mettendoci più tempo del solito per assicurarsi che non le scappasse nessuna ciocca, e cominciò ad arricciarli.

Non voleva dar l’impressione di aver impiegato troppa cura alla sua preparazione per quell’appuntamento, ma nemmeno sembrare disinteressata.

Arrivata al punto più arduo, quello dei capelli proprio dietro la testa che faticava ad acconciare, dovette desistere a causa dello squillo del telefono. Posò il ferro sul ripiano in marmo e corse in camera. Era Thomas.

«Pronto?» rispose subito. Perché l’aveva chiamata? Era tutto saltato? Cambio di programma?

«Ciao, Allie. Se ti venissi a prendere tra dieci minuti, saresti pronta?» domandò.

La ragazza trattenne il respiro, certa che forse uno scherzo. Mancavano più di quaranta minuti alle sette e lei non era minimamente pronta. «No» rispose. «Cos’è successo?»

«Beh…» Thomas tentennò, non volendo rivelare il proprio errore. Poi pensò che la verità era comunque la migliore alternativa. «Ho guardato gli orari sbagliati, il film inizia alle sette e non alle sette e mezza» rivelò.

«Quindi immagino di non avere molta scelta» mormorò, irritata. Che razza di errore era quello? Anche un bambino sapeva consultare gli orari del cinema!

Lo sentì sospirare, prima di parlare. «Mi dispiace» si scusò. «Anzi, sai cosa?» riprese. «Prenditi tutto il tempo che ti serve, m’inventerò qualcosa.»

«Sicuro?» chiese, dandosi un’occhiata allo specchio. I capelli erano fatti a metà e le avrebbero richiesto almeno altri dieci minuti, senza contare che almeno un filo di trucco se lo voleva mettere.

«Sì, sì, certo. Io sono già in auto, posso aspettare lì da te?» domandò, pregando che gli concedesse almeno quello.

«Sì, certo. I miei non sono ancora tornati» lo rassicurò, prima di chiudere la chiamata e correre in bagno. Afferrò il ferro e iniziò ad arrotolarci i capelli, nella speranza che venissero bene.

Era una fortuna che i suoi genitori avessero un orario tanto improponibile: se fossero stati a casa, suo padre avrebbe assolutamente voluto sapere con chi avesse appuntamento, senza contare che una volta visto Thomas, sua madre avrebbe chiamato Martha all’istante. Così era tutto più tranquillo.

Aveva appena terminato di farsi i capelli quando suonò il campanello. Scese le scale velocemente, ricordandosi solo quando fu davanti alla porta di essere in accappatoio. Con un sospiro, si decise ad aprire ugualmente. Lo scorse con la coda dell’occhio, perché mentre la porta si spalancava lei era già voltata e stava tornando di sopra. «Aspettami in salotto» lo avvertì, prima di richiudersi in bagno per applicare un po’ di trucco sul viso. Non l’aveva nemmeno salutato nel tentativo di non farsi vedere in faccia. Non che lui non l’avesse mai vista struccata, la conosceva da sempre; tuttavia, non voleva fargli notare la differenza immediata.

Aveva messo solo un po’ di matita e mascara, un ombretto quasi invisibile e un rossetto chiaro. Un trucco naturale, ma che valorizzava comunque i suoi lineamenti. Si infilò gli abiti e preparò una piccola pochette e poi, con un’ultima occhiata allo specchio, uscì dalla sua stanza.

Thomas la stava aspettando seduto sul divano.









Buongiorno!
Voglio ringraziare coloro che hanno inserito questa storia nelle seguite e coloro che l’hanno recensita, ma anche chi la sta leggendo silenziosamente.

Spero abbiate apprezzato questo capitolo e, se vi va, scrivetemi la vostra opinione.

Intanto, vi lascio qualche riga, nella speranza di incuriosirvi un po’.

Anche se non lo dava a vedere, nemmeno Allie stava seguendo così attentamente il film. Lo adorava e lo conosceva quasi a memoria, ma in quel momento si sentiva circondata dal calore e dal profumo di Thomas e non riusciva a concentrarsi. Sentiva il suo sguardo addosso ma non aveva il coraggio di incontrarlo, così continuava a guardare davanti a sé, beandosi di quelle attenzioni.
Ogni tanto, però, non resisteva e gli lanciava un’occhiata mentre un sorriso si formava sulle sue labbra, consapevole che si sarebbe scontrata con il suo sguardo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


cap 3

Dov’erano rimasti?

«Ciao, Allie. Se ti venissi a prendere tra dieci minuti, saresti pronta?» domandò.

La ragazza trattenne il respiro, certa che forse uno scherzo. Mancavano più di quaranta minuti alle sette e lei non era minimamente pronta. «No» rispose. «Cos’è successo?»

«Beh…» Thomas tentennò, non volendo rivelare il proprio errore. Poi pensò che la verità era comunque la migliore delle alternativa. «Ho guardato gli orari sbagliati, il film inizia alle sette e non alle sette e mezza» rivelò.

Lo sentì sospirare, prima di parlare. «Mi dispiace» si scusò. «Anzi, sai cosa?» riprese. «Prenditi tutto il tempo che ti serve, m’inventerò qualcosa.»

[…]

Thomas la stava aspettando seduto sul divano.

Bolle di felicità

A story of everyday life




Capitolo 3

Allie capì di aver scelto l’abbigliamento adatto: Thomas indossava dei jeans scuri e una camicia bianca che sembrava risplendere sulla sua pelle abbronzata. Non aveva mai capito come potesse avere sempre un colorito tanto sano anche d’inverno. Si alzò non appena la vide arrivare e Allie si beò del sorriso che vide spuntare sul suo volto.

«Valeva la pena aspettare» commentò, osservandola. «Sei bellissima.»

«Grazie.» Allie lo guardò, senza riuscire a celare la felicità che l’aveva improvvisamente avvolta. «Stai molto bene anche tu, ti posso addirittura perdonare il fatto di avermi messo fretta.»

In realtà aveva impiegato meno tempo del previsto per finire di prepararsi, ma non sarebbero comunque riusciti a raggiungere il cinema in tempo.

«Cosa prevede la serata?» domandò, mentre si dirigeva in cucina per lasciare una nota ai genitori, dove spiegava di essere uscita e di non essere certa dell’ora in cui sarebbe tornata.

«È una sorpresa» le ricordò Thomas, aprendole la porta di casa.

«Non è saltata anche quella?» chiese, curiosa.

«In realtà è l’unica cosa che è rimasta» confessò, aspettando che chiudesse a chiave. Le aprì lo sportello dell’auto, un’azione che non aveva mai compiuto in vita sua per nessuno, se non per sua madre quando era incinta di Dafne. Allie sorrise, accomodandosi e sistemandosi il vestito. Considerò che, nonostante tutto, sembrava essere in grado di salvare la situazione.

In fondo a lei non interessava affatto il film, aveva accettato solo perché era stato lui a proporlo.

Thomas si allacciò la cintura e mise in modo, posò un braccio dietro al suo schienale per fare la retromarcia e, prima di inserire la prima, si fermò un attimo a guardarla, finché lei non gli intimò scherzosamente di muoversi, per non bloccare il traffico.

Allie non tentò nemmeno di capire dove la stesse portando: doveva essere una sorpresa e, ora che non poteva fare nulla per cambiarla, voleva davvero stupirsi. Così si mise ad armeggiare con la radio, consapevole che la cosa lo faceva innervosire. Si fermò su una stazione che trasmetteva una canzone dei One Republic: quel gruppo le piaceva, sebbene non riuscisse a ricordarsi i nomi delle loro canzoni. Riconobbe la melodia e cominciò a canticchiarla, accompagnata dalla risata di Thomas. Di certo non era per il suo tono, Allie sapeva di avere un’ottima voce.

Lately, I’ve been, I’ve been losing sleep

Dreaming about the things that we could be

But baby, I’ve been, I’ve been praying hard,

Said, no more counting dollars

We’ll be, we’ll be, counting stars

«Che c’è di divertente?» domandò, fermandosi.

Lui scosse la testa, incitandola a continuare e smettendo di ridere, sebbene fosse chiaro che c’era qualcosa che lo divertiva in quella situazione.

«Dai, dimmelo!» insisté lei. Lui continuò a negare, poi tolse una mano dal volante per prendere qualcosa dallo scomparto al suo fianco. Le porse un pezzo di stoffa nera e Allie l’afferrò, rigirandoselo tra le mani.

«Che cos’è?» domandò, sollevandolo per studiarlo.

«Una benda» rispose lui. «Indossala, per favore.»

Allie lo guardò, scioccata. Stava scherzando? Voleva farle una sorpresa, okay, ma non era necessario arrivare a quel punto. «Perché mai?»

«Perché non voglio farti vedere dove andiamo finché non siamo arrivati» spiegò.

«E chi mi assicura che non ti approfitterai della mia momentanea cecità?» chiese, in tono di sfida.

«Fidati di me» disse semplicemente. «Fa parte della sorpresa.»

Sbuffando, Allie lo accontentò, attenta a non rovinare i capelli. Thomas ne fu soddisfatto: se lei avesse visto dove si fossero fermati, di certo non ne sarebbe stata entusiasta. La vera sorpresa, dopotutto, non era visibile da una prima occhiata.

Thomas fermò l’auto dopo pochi minuti e l’aiutò a scendere, sostenendola con un braccio intorno alla vita per guidarla e non farla cadere. L’aiutò a salire un paio di gradini e la fece entrare nell’ascensore, sorridendo divertito al suo sussulto quando cominciarono a salire.

«C’è molto silenzio qui» commentò Allie, riferendosi non soltanto all’ascensore ma anche agli attimi precedenti. In effetti l’appartamento del suo amico si trovava in una zona abbastanza fuori città, c’era poco traffico e non avevano incontrato nessuno nell’androne del palazzo. Anche l’illuminazione stradale iniziava a farsi più rada del solito, ma questa caratteristiche poteva avere anche un lato positivo.

Le porte dell’ascensore si aprirono e Thomas le fece fare solo pochi passi, prima di aprire la porta dell’abitazione. La richiuse dentro di sé e, accese le luci, le slegò la benda. Quando aprì gli occhi, Allie si ritrovò la vista occupata da un fiore: un tulipano rosa, di un colore caldo e accogliente che esaltava quella forma particolare. Alzò lo sguardo, incontrando quello incerto di Thomas.

«Un fiore al primo appuntamento?» domandò, notandolo vacillare.

«Troppo presto? Mi avevano avvertito che non si fa, ma mi sembrava un’idea carina» si scusò guardando in basso.

«Non è troppo presto» lo rassicurò. «È un bel gesto, grazie.»

Strinse a sé quel fiore; pensava realmente ciò che aveva detto. È vero che solitamente non avrebbe gradito un simile regalo al primo appuntamento, ma la loro situazione non era ordinaria e dopotutto non si trattava di un mazzo di rose rosse, solo di un semplice tulipano.

Thomas tirò un sospiro di sollievo vedendo spuntare un sorriso sul suo volto: aveva scelto di lasciare quel piccolo dono all’appartamento, un po’ perché portarlo al cinema sarebbe stato scomodo, un po’ perché temeva una reazione peggiore e voleva evitarla in pubblico.

«Dove siamo?» domandò poi Allie, guardandosi intorno. Si trovavano in un corridoio stretto che portava a una stanza ancora al buio.

«Vieni» disse lui, porgendole una mano. Quando sentì Allie stringere la sua, s’incamminò verso la stanza e accese la luce. Era un salotto arredato in modo semplice e moderno: un divano rosso con un tavolino basso davanti e un grande televisore corredato di registratore e lettore dvd appeso al muro di fronte.

Thomas la invitò ad accomodarsi mentre si spostava in una stanza vicina, quella che sembrava essere la cucina. Allie si sedette, cercando di ascoltare cosa stesse succedendo. Sentì un ronzio simile a quello di un forno microonde in funzione e un noto scoppiettio. Popcorn? pensò, confusa.

Dopo poco Thomas tornò con una vaschetta di popcorn e due bottiglie di birra tra le mani.

«Ho pensato che potremmo concederci queste, dato che non c’è nessuno che ci controlla» spiegò, posando tutto sul tavolo.

«Hai rubato la pellicola per caso?» chiese Allie. Non poteva avere davvero il film che avrebbero dovuto vedere al cinema.

«No, ho pensato di andare sul sicuro. Non avevi detto che questo è il miglior film degli ultimi dieci anni e che dovevo assolutamente vederlo?» domandò lui, avviando il dvd e sedendosi accanto a lei.

Sullo schermo comparve la sigla de Il discorso del re.

Allie batté le mani in un istante di gioia, provocando una risata da parte di Thomas. Era contenta, non tanto per la scelta del film che adorava, ma perché questo dimostrava che lui l’aveva ascoltata davvero.

«Non te ne pentirai!» gli assicurò, infilando la mano nella vaschetta in equilibrio sulle loro gambe.

| { |

Thomas, che non era appassionato di film storici e preferiva di gran lunga guardarsi Il signore degli anelli, ogni tanto sembrava perdersi. Non capiva cosa stesse succedendo, quale personaggio interpretasse quell’attore, che anno fosse. Allora Allie gli spiegava tutto con gentilezza, con una voce interessata che permetteva di capire quanto le piacessero certi argomenti. Aveva imparato a conoscerla grazie alle loro lunghe telefonate, ma ora che ce l’aveva davanti era tutto diverso. Vedeva i suoi occhi brillare mentre ripercorreva la storia del re, mentre combatteva con se stessa: era troppo entusiasmata per raccontare tutto con calma e le parole si accavallavano in discorsi contorti. Aveva dovuto fare uno sforzo enorme per non scoppiare a ridere alla vista di quel dibattitto interiore. Gli era andata bene, dopotutto: lei era così impegnata a guardare il film che non si sarebbe nemmeno accorta del suo sguardo insistente. Era anche per quello che si distraeva tanto: invece di prestare attenzione agli attori, si ritrovava a osservare lei.

«Che c’è?» domandò Allie, voltandosi per guardarlo in faccia.

Lui aggrottò la fronte, confuso. Forse stava osservando con meno intensità di quanto immaginasse il film.

«Mi stai fissando» disse Allie. Avrebbe giurato di averlo visto arrossire, anche se in modo molto lieve.

«Ehm…» temporeggiò lui. «Preferisci che guardi la regina?» chiese, cercando di salvarsi.

«Che significa?»

«Beh, lei è una bella donna, ma stavo pensando che tu sei più carina» inventò, anche se a un’attenta analisi quelle parole si sarebbero rivelate vere.

Lei sbuffò, dandogli un pugno sulla spalla e mormorando un «idiota!» prima di tornare alla tv.

Thomas decise di provare a seguire il film e, cercando di agire con nonchalance, passò un bracciò intorno alle spalle della ragazza, appoggiandosi allo schienale del divano e sfiorandola appena. Si sentiva come un quindicenne alle prese con il primo appuntamento al cinema, un insieme di occhiate nascoste e tocchi improvvisati.

La sentì fremere al contatto, ma non commentò.

Non l’avrebbe mai ammesso, ma quel film iniziava a piacergli. Al di là del soggetto storico, la relazione tra il re e sua moglie era ammirevole. Era una storia molto romantica che in fondo lo attraeva: lei aveva scelto di sposarlo non per il suo ruolo, dopotutto era il figlio minore e non sarebbe dovuto diventare sovrano, piuttosto per la sua dolcezza nei suoi confronti. Il suo supporto nei lunghi anni spesi cercando di vincere la balbuzie, il fatto che nonostante questo per lei era l’unico uomo, ma anche il rapporto con le due figlie. Tutto aveva un’aria domestica e veritiera, anche se le loro vite dovevano essere alquanto pubbliche all’epoca.

Thomas apprezzava la naturalezza con cui veniva rappresentato il loro amore e sperava un giorno di raggiungere quel sentimento. Aveva avuto varie relazioni, più o meno serie, ma nessuna sembrava essere quella giusta. Anche mentre le frequentava, sapeva che mancava qualcosa: nessuna l’aveva fatto sentire a casa, nessuna era stata in grado di rendere così naturale la loro relazione. Si era sempre sentito quasi in dovere di uscire con loro, spinto dal desiderio o da un impegno: non aveva mai passato una serata semplicemente steso sul divano con loro senza far nulla, aveva sempre dovuto trovare qualcosa che riempisse il loro tempo.

Forse stava aspirando a troppo, forse le parole insistenti di sua madre gli avevano dato alla testa o forse stava solo esagerando il momento, ma sentiva che in futuro avrebbe potuto avere tutto ciò con Allie.

«A che pensi?» gli domandò la ragazza, notando il suo sguardo perso.

Lui le sorrise. «È un bel film» affermò, senza mentire.

«Lo so» concordò lei, sistemandosi meglio sul divano.

Il braccio di Thomas era ormai finito proprio sulle sue spalle, senza più il sostegno dello schienale, ma lei non sembrò curarsene.

Anche se non lo dava a vedere, nemmeno Allie stava seguendo così attentamente il film. Lo adorava e lo conosceva quasi a memoria, ma in quel momento si sentiva circondata dal calore e dal profumo di Thomas e non riusciva a concentrarsi. Sentiva il suo sguardo addosso ma non aveva il coraggio di incontrarlo, così continuava a guardare davanti a sé, beandosi di quelle attenzioni.

Ogni tanto, però, non resisteva e gli lanciava un’occhiata mentre un sorriso si formava sulle sue labbra, consapevole che si sarebbe scontrata con il suo sguardo. Allora prendeva un sorso di birra e immergeva la mano tra i popcorn, ringraziando la sua incapacità di consultare gli orari delle programmazioni cinematografiche.

| { |


«Ora sei tu che mi stai fissando» disse Thomas. Ed era vero. Il film era finito e Allie aveva volto lo sguardo verso di lui, curiosa di sapere qual era il responso.

«Beh?» domandò. «Che ne pensi?» Non si era resa conto subito di quanto erano vicini: lui la stava ancora abbracciando, i loro fianchi erano attaccati e le loro teste non poi così lontane.

«Mi è piaciuto» affermò, indugiando con gli occhi sulle sue labbra. Avrebbe voluto baciarla, ma sapeva che sarebbe stato davvero esageratamente presto. Forse a fine serata, prima di tornare a casa.

«Certo che ti è piaciuto, io ho ottimo gusto» gli ricordò, allontanandosi quasi impercettibilmente.

«Quindi devo ritenermi affascinante, dato che ti piaccio anche solo un po’» considerò lui. Stava scherzando e Allie non faticò a capirlo, non quando il tono della sua voce era così ironico. Thomas si era alzato e le stava porgendo la mano per aiutarla a sollevarsi, pronto a condurla in cucina, dove aveva apparecchiato il tavolo.

Non aveva previsto un grande menu: aveva preferito non andare al ristorante per avere maggior privacy, ma credendo di riuscire ad andare al cinema non aveva nemmeno il tempo di cucinare. Anche se la situazione era cambiata, non si riteneva un gran cuoco e aveva deciso di non avvicinarsi ai fornelli: aveva preparato dei piatti freddi che potessero essere pronti in qualsiasi momento.

Dopo che Allie si fu seduta, sistemò in tavola del riso alla cantonese, degli affettati e della frutta. Lei non si mostrò stupita da quella scelta, sebbene la trovasse singolare, e cominciò a servirsi mentre lo interrogava sulla provenienza di quei piatti. Si era messo a cucinare, se pur per poco tempo e con piatti semplici, o aveva ordinato tutto da casa?

Thomas non aveva fatto altro che passare al supermercato a ritirare gli affettati e sistemare la frutta, il riso l’aveva ordinato al suo ristorante cinese di fiducia. Scelse di dire la verità che, anche se non era lusinghiera, non era poi così tremenda.

«Non volevo rischiare di avvelenarti» disse, «non sono stato io a cucinare.»

«Non sei capace?» domandò allora lei, curiosa.

Lui scosse il capo e si sorprese di vederla ridere. «Nemmeno io» confessò. «Oddio, so buttare un piatto di pasta e cucinare una bistecca, ma nient’altro.»

«A me piace la pasta» commentò con un’alzata di spalle, versandole da bere.

«E quindi?» Allie finse di non capire dove volesse arrivare, ma si era resa conto che stava cominciando ad abbondare di allusioni a ciò che c’era tra loro. «Chi ha detto che cucinerò per te?»

«Come fai a sapere che non lo farai?» replicò lui.

«Al massimo dovrei fare come te: lasciare che se ne occupino gli altri per non rischiare di farti star male» ponderò, scherzando.

«Sono pronto a correre il rischio» le assicurò con un sorriso, scivolando con lo sguardo sul tulipano che era stato posato sulla tavola, accanto a lei.

«Poi non ti lamentare se starai male» lo avvertì.

«Conosco alcuni dottori, non sarà un problema farmi curare» rispose, riferendosi chiaramente ai suoi studi di medicina.

«Come va con gli esami?» domandò allora Allie. «Non ne hai uno tra poco?» Durante le loro telefonate le aveva raccontato di cosa l’avesse spinto a fare quella scelta, delle difficoltà degli anni passati e di quelle presenti, degli esami sempre troppo corposi e dell’imminente scadenza di alcuni di loro.

«La prossima settimana» disse. «Sono un po’ indietro a dire il vero ed è colpa tua.»

«Come sarebbe a dire colpa mia?»

«Non riesco a concentrarmi» ammise, osservando la sua reazione. «Ho sempre la testa da un’altra parte.»

Allie rise a quella risposta: un po’ le dispiaceva essergli d’intralcio, ma le faceva anche piacere sapere che pensava a lei. «Allora dovrò starti lontana per un po’.»

«Non è necessario» la fermò. «In questo modo posso mettermi alla prova.»

«Non vorrai propormi di ripassare anatomia con te, spero.» Allie mise le mani avanti, augurandosi che non stesse per fare quella squallida battuta che aveva sempre odiato.

«Mi dispiace deluderti, ma l’esame è di farmacologia» concluse, notando che Allie aveva smesso di mangiare da un pezzo.

«Pronta per la seconda parte della serata?» chiese mentre si alzava. Lei annuì, seguendo il suo esempio e accodandosi a lui quando si diresse verso la porta dell’appartamento.

«Andiamo via?» s’incuriosì.

«Non ancora» rispose, salendo le scale che portavano al tetto. Quel pomeriggio, quand’era venuto a controllare che tutto fosse al suo posto, aveva sistemato una trapunta e un paio di cuscini vicino alla porta, così ora non dovette fare altro che sistemare un momento prima di invitare Allie a stendersi con lui.

Erano le undici passate e il cielo era illuminato solo dalle stelle. C’era qualche lampione qua e là, ma non sufficienti a impedire la visuale. Non aveva mai amato molto rimanere fermo a guardare il cielo, nemmeno quando andava al mare, ma aveva pensato che era un posto come un altro per parlare e certo a lei non sarebbe dispiaciuto.

«Tu invece cos’hai intenzione di fare adesso?» domandò, guardandola.

«Non ne ho idea. I miei vorrebbero che m’iscrivessi a medicina, ma ormai è tardi e non fa per me. Credo che mi prenderò un anno sabbatico: cercherò un lavoretto e magari scoprirò cosa fare poi.»

«Credo che al Blue Secret cerchino una cameriera» la informò, non del tutto disinteressato.

«Come fai a saperlo?» lo interrogò.

«È il bar più vicino all’università, spesso mi fermo a mangiare lì con i miei amici» spiegò.

«Quindi avrei sicuramente un cliente che mi farà laute mance» scherzò.

«E io che pensavo che mi avresti fatto lo sconto!» rise Thomas. «Prova ad andare a vedere» continuò poi, più serio. «Sarebbe carino.»

«Cosa?»

«Beh, avrei una scusa per tormentarti e vederti di più» rivelò.

| { |

Già da un po’ avevano smesso di parlare ed erano rimasti semplicemente sdraiati in silenzio, a guardare il cielo e a pensare al rapporto inaspettato che stava nascendo tra di loro. Il fruscio degli alberi, mossi da un lieve venticello, li cullava in una calma quasi irreale per la città in cui si trovavano. Di tanto in tanto sentivano passare un auto e qualche risata giungeva dalle case vicine, ma nulla sembrava poter interrompere quello stato di quiete.

Allie si rese conto di essere più stanca di quanto si aspettasse, nonostante avesse preso parte del pomeriggio proprio per riposarsi. Le corse pazze di quella mattina l’avevano sfinita e ora sentiva che gli occhi lottavano per restare aperti. L’agitazione se n’era andata da un bel pezzo, da quando aveva incrociato gli occhi di Thomas nel salotto di casa sua, lasciandola però spossata. Rotolò sul fianco in modo da trovare una posizione più comoda e da poter guardare Thomas in faccia.

«Spero che tu non ti offenda se per caso mi capitasse di addormentarmi» sospirò, riuscendo appena a scorgere i suoi occhi nel buio che li circondava.

Lui ridacchiò prima di risponderle. «Sono così noioso?»

«No, ma oggi non ho avuto un attimo di pace» si lamentò, prima di passarsi una mano sulla fronte.

«Cosa ti ha tenuto così impegnata?» domandò allora, curioso.

«Le solite cose: spesa, bollette da pagare, lavatrici da riempire e poi svuotare, rapimenti in garage…»

Thomas rise a quella frecciatina, prima di toccarsi la punta del naso. «Sta per piovere?» chiese, sentendo un’altra goccia posarsi sulla sua guancia.

«Credo di sì» concordò Allie, mentre sentiva che le sue braccia cominciavano a bagnarsi.

«È meglio rientrare» disse Thomas, alzandosi e dirigendosi verso la porta del tetto per accendere la luce. In fretta, perché la pioggerella si faceva sempre più fitta, appallottolarono la trapunta e raccattarono i cuscini, prima di ritornare all’asciutto. Scesero le scale, diretti all’appartamento, mentre Allie cercava di dare una forma ai suoi capelli che, a causa dell’acqua, avevano perso la piega che si era tanto sudata.

Thomas entrò in bagno e tornò con un asciugamano, che le porse mentre posava la coperta su un angolo del divano. Allie cominciò a tamponarsi i capelli, guardandolo sistemare la stanza. Si era bagnato anche lui, ma questo non sembrava infastidirlo. Aveva passato una mano tra i capelli per spingerli indietro e ora avevano assunto una piega assurda che gli conferiva un’aria quasi infantile.

Si avvicinò e, fermatolo, cercò di sistemarli, rendendosi conto però che non sembravano propensi a seguire le sue direttive. Sbuffò, abbassando lo sguardo per incontrare il suo.

«Arrenditi, non ci riuscirai mai» le disse lui, con sicurezza.

«Sono troppo stanca per prenderla come una sfida» confessò, dopo averlo studiato per un attimo.

«Vuoi che ti porti a casa?» domandò allora Thomas, sfiorandole il collo con una carezza. Allie abbassò gli occhi verso la sua mano, incerta.

Era effettivamente sfinita ma non era sicura di volerlo lasciare; inoltre, lui avrebbe potuto interpretare male il suo desiderio, sebbene credesse che ormai la conoscesse abbastanza per non farlo. Così si limitò a guardarlo, senza parlare.

«Ti porto a casa» ripeté, questa volta con convinzione. Spense la luce della cucina – sarebbe tornato a sistemarla il giorno dopo – e l’accompagnò alla porta, posandole una mano sulla schiena.

Il tragitto in auto fu accompagnato solo dalle canzoni che trasmettevano alla radio, ma questo silenzio non era pesante, né imbarazzato. Si trovavano in uno stato di calma, una tranquillità che non necessitava di parole. Solo quando erano ormai arrivati a casa di Allie e Thomas stava per parcheggiare la macchina, sembrarono risvegliarsi da quel torpore.

«So che dovrei aspettare i tre giorni canonici, o perlomeno che tu rientri in casa così da potermi rifiutare senza vedere la mia faccia disperata, ma sono stato davvero bene con te stasera. Mi piacerebbe replicare» disse, guardandola sorridere alle sue parole.

«Saresti davvero disperato?» chiese lei.

«Immensamente» dichiarò.

«Allora suppongo di dover accettare» concordò Allie, ridendo. Si fece seria, però, notando lo sguardo di Thomas. La stava fissando e quasi la metteva a disagio. «Che c’è?» domandò, mentre lo vedeva tentennare. «Thomas?» lo chiamò ancora.

«Posso baciarti?» chiese lui, incontrando i suoi occhi. Allie sbatté le palpebre, sorpresa. Non per la richiesta, sapeva che quel momento sarebbe arrivato, anche se non credeva sarebbe stato quel giorno. Ciò che la stupiva era che lui le stesse chiedendo il permesso: aveva immaginato che l’avrebbe semplicemente baciata, senza tante esitazioni.

Non pensò nemmeno alla risposta, si avvicinò lentamente a lui, ricambiando lo sguardo. Anche se non aveva detto nulla, Thomas aveva capito. Lui non si mosse lentamente, anzi: in un attimo Allie si ritrovò le sua mani attorno al viso e le sue labbra sulle sue. Fu un piccolo bacio, dolce, a stampo. Niente di erotico o lascivo, ma sufficiente per chiudere nel migliore dei modi quella serata. Per un attimo Allie non sentì altro che lui intorno a sé: le sue mani, il suo profumo, la sua bocca. I respiri caldi che s’infransero l’uno contro l’altro quando si separarono sembravano testimoni di un’unione più profonda di quel semplice bacio.

«Ora vado» mormorò Allie, passandosi quasi inconsapevolmente la lingua sulle labbra.

Lui annuì, sussurrandole un saluto. «Buonanotte.»

«Notte» ripeté lei, chiudendo la portiera dell’auto.

Thomas la guardò rientrare, prima di lasciarsi andare contro il poggiatesta con un sospiro.

Cosa gli aveva fatto quella ragazza?

La canzone dei One Republic citata è “Counting Stars”. Thomas ride perché, nel pezzo del brano riportato, cantano “we’ll be, we’ll be, counting stars” e lui ha previsto di terminare la serata sotto le stelle, una coincidenza che trova curiosa.

Detto questo, voglio ringraziare coloro che hanno inserito questa storia nelle seguite e coloro che l’hanno recensita, ma anche chi la sta leggendo silenziosamente.

Spero abbiate apprezzato questo capitolo e, se vi va, scrivetemi la vostra opinione.

Vi ricordo il gruppo facebook dove potrete trovare spoiler della storia: Il diario di Aras

Intanto, vi lascio qualche riga, nella speranza di incuriosirvi un po’.

Nel giro di qualche secondo, la porta si spalancò. Ora aveva davanti a sé un ragazzo poco più grande di lei, con i lineamenti simili a quelli di Alice.
«Ciao, posso aiutarti?» le domandò, appoggiandosi allo stipite.
Allie gli sorrise. «Sto cercando Alice» lo informò.
«Posso chiederti chi sei?» domandò, un po’ confuso. Lei non comprese subito quell’espressione, ma gli rispose comunque. «Mi chiamo Allie, sono una sua amica.» Beh, era solo una mezza bugia. Non erano propriamente amiche, ma forse in futuro avrebbero potuto esserlo.
Lui aggrottò la fronte, come se quella frase non l’avesse convinto, ma la invitò comunque a entrare, mentre si presentava e chiamava la sorella, che doveva essere al piano di sopra. Si chiamava Nicholas ed era il fratello di Alice, come Allie aveva supposto.

Il prossimo capitolo arriverà tra una settimana, mercoledì 10 settembre.

Buona giornata :)


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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


cap 4
Bolle di felicità

A story of everyday life






Capitolo 4




Allie si svegliò all’improvviso, sentendo il cellulare squillare insistentemente. Doveva aver dimenticato di togliere la suoneria prima di coricarsi. Allungò la mano verso il comodino e tastò a vuotò finché non lo afferrò. «Pronto?» rispose, senza nemmeno guardare lo schermo. Era ancora mezza addormentata, non sapeva che ore fossero ma certo era troppo presto. Avrebbe potuto essere chiunque, non avrebbe cambiato il suo tono in ogni caso, che fosse Thomas, sua madre o la regina.

«Allie! Come stai? Ti sei divertita in vacanza?» Allie sospirò, riconoscendo la voce squillante di sua zia Claire.

«Sì, sì, certo» rispose, senza badare davvero a ciò che diceva. Guardò la sveglia: erano appena le dieci di mattina.

«Ma come, non hai niente da raccontarmi?» insisté la donna.

«Zia, mi hai chiamato solo per chiedermi di Rodi? Stavo dormendo…» rivelò, sperando di accelerare la conversazione e poter tornare al suo sonno.

«Oh, scusa, ti ho svegliata! In realtà ti ho chiamata per chiederti un favore» disse. Allie la invitò a continuare, curiosa per natura com’era. «Domani riprendo a lavorare e mia suocera è malata, così non può tenermi la bambina. Ti andrebbe di occuparti di Natalie?» chiese, incrociando le dita.

Natalie era la sua unica cuginetta, aveva cinque anni e dei folti capelli biondi che la facevano sembrare un angioletto. In realtà non era poi così paradisiaca, aveva un caratterino forte e deciso, era difficile farle accettare un rifiuto ed era molto esigente. Nonostante tutto, però, Allie l’adorava. Era come una sorella minore, l’unico membro della sua famiglia più giovane di lei e che aveva quindi bisogno della sua protezione.

«Certo, non la vedo da troppo tempo» acconsentì, sperando di trovarla di buon umore. Non era sicura di poter sopportare una giornata intera di urla e capricci.

«Oh, grazie! Vuoi venire qui tu o te la porto io? Tanto sono di strada per andare in ufficio.»

«Allora portala qui tu, così siamo sicure che non arrivo in ritardo» rispose, rigirandosi tra le coperte. Si accordarono per l’orario: Natalie sarebbe arrivata alle otto e mezza, quasi in piena notte insomma. Dopo aver chiuso la chiamata, Allie sbuffò, affondando la faccia nel cuscino.

Era un orario indecente, troppo presto per una ragazza in vacanza, certo troppo presto per una bambina: se avesse dormito più a lungo, sarebbe stata più riposata e magari anche più calma.

Ora che si era svegliata, tuttavia, Allie non riusciva più ad addormentarsi. Si ritrovò a pensare a Thomas, alle ore che avevano passato insieme, al bacio di quella notte.

Nonostante per lei fosse ancora presto, lui probabilmente stava già facendo la sua corsetta mattutina. Rotolò finché non riuscì a vedere la scrivania e fissò il tulipano che, prima di infilarsi a letto, ci aveva posato sopra. Stava già appassendo, colpa della sua stanchezza: avrebbe dovuto metterlo subito in acqua una volta rientrata in casa, ma se n’era dimenticata. Avrebbe provato a salvarlo più tardi, anche se dubitava che ci fosse qualche speranza.

Ricordando quei momenti insieme, si rese conto che la serata era andata benissimo, a dispetto dei numerosi imprevisti che erano pervenuti. Thomas si era evidentemente sforzato di risolvere ogni problema e Allie aveva ammirato questa sua costanza, sempre più sicura che una storia tra di loro avrebbe potuto funzionare.

La sua immaginazione stava galoppando: non era da lei fare simili progetti dopo un misero appuntamento, ma dopotutto conosceva Thomas da quand’era una bambina, era quasi cresciuta insieme a lui e aveva imparato a conoscerlo sempre meglio.

Allie si stiracchiò e si decise ad alzarsi. Entrò in bagno e non si guardò nemmeno allo specchio, prese subito una bella dose di sapone e iniziò a lavarsi la faccia. Quando Thomas l’aveva riportata a casa era decisamente troppo stanca e scombussolata da quel bacio per struccarsi, così si era spogliata e si era infilata subito a letto, addormentandosi in un istante. Aveva un trucco leggero, certo, ma questo non le aveva mai impedito di svegliarsi con delle striature nere sulla pelle intorno agli occhi. Si raccolse i capelli in una coda e scese a fare colazione: la casa era deserta anche quel giorno. Aprì il frigorifero per prendere il cartone del latte, ma si rese conto che era stato finito. Sbuffò e optò allora per un succo di frutta e qualche fetta biscottata, ma mentre lo stava versando in un bicchiere il suo sguardo s’imbatté sulla data di scadenza. A causa della fretta, ieri aveva preso un prodotto scaduto. Fantastico. Gettò il liquido nel rubinetto e risalì le scale. Se a casa non c’era nulla di commestibile, avrebbe fatto colazione al bar.

Mentre si cambiava, un’idea si presentò alla sua mente come un’illuminazione. Avrebbe potuto cogliere l’occasione per incontrare Alice.

Afferrò il cellulare per chiamarla, ma mentre stava per selezionare il numero si rese conto che, dato il suo comportamento del giorno precedente, avrebbe probabilmente ricevuto un rifiuto. Non volendo accettare tale possibilità, decise di presentarsi a casa sua.

Vi era stata una sola volta, qualche anno prima, per un progetto di gruppo, ma ricordava perfettamente dove si trovasse. S’infilò le scarpe, prese la borsa e le chiavi dell’auto e uscì di casa. Nonostante non si fossero mai frequentate, le due ragazze abitavano appena a cinque minuti di distanza, così Allie non avrebbe nemmeno dovuto rischiare un viaggio a vuoto. Parcheggiò la macchina di fronte casa e si apprestò a suonare il citofono. Si rese conto, però, che il cancello era aperto: così entrò in giardino e suonò il campanello vicino all’ingresso.

Nel giro di qualche secondo, la porta si spalancò. Ora aveva davanti a sé un ragazzo poco più grande di lei, con i lineamenti simili a quelli di Alice.

«Ciao, posso aiutarti?» le domandò, appoggiandosi allo stipite.

Allie gli sorrise. «Sto cercando Alice» lo informò.

«Posso chiederti chi sei?» domandò, un po’ confuso. Lei non comprese subito quell’espressione, ma gli rispose comunque. «Mi chiamo Allie, sono una sua amica.» Beh, era solo una mezza bugia. Non erano propriamente amiche, ma forse in futuro avrebbero potuto esserlo.

Lui aggrottò la fronte, come se quella frase non l’avesse convinto, ma la invitò comunque a entrare, mentre si presentava e chiamava la sorella, che doveva essere al piano di sopra. Si chiamava Nicholas ed era il fratello di Alice, come Allie aveva supposto.

La ragazza scese le scale con calma, bloccandosi sull’ultimo gradino quando vide chi aveva di fronte.

«Ciao, Alice. Scusa se sono piombata qui senza preavviso, ma mi chiedevo se ti va di andare a fare una passeggiata. Mi devi un caffè, ricordi?» domandò, guardandola negli occhi. Occhi che sembravano quasi spauriti, nascosti dietro quegli occhiali che li facevano apparire più piccoli di quanto fossero.

Lei tentennò, lanciando uno sguardo veloce al fratello che, da dietro le spalle di Allie, la osservava in silenzio. «Stavo pulendo le camere da letto» disse, mordendosi il labbro inferiore.

«Puoi continuare quando torni, non è mica urgente» s’intromise Nicholas.

Allie si trattenne dal voltarsi, colta di sorpresa. Forse quello sguardo dubbioso quando le aveva detto di essere un’amica di Alice era dettato dal fatto che raramente qualcuno si presentava in quel modo: un pensiero triste.

«Allora?» insisté, sperando di vincerla. Lei non sembrava molto propensa ad accontentarla, ma alla fine annuì, avvicinandosi a lei. Probabilmente era stata l’intromissione del fratello a convincerla.

Alice aprì la porta, salutando con un gesto Nicholas, mentre Allie gli rivolse un altro sorriso, pieno di gratitudine, e la seguì. Cominciarono a camminare verso il centro, in silenzio. Allie pensò a un argomento neutro con cui iniziare la conversazione, avendo capito che non sarebbe stata la sua compagna a parlare per prima.

«Poi ci dobbiamo fermare in un bar: a casa non avevo nulla per far colazione» l’avvisò, prima di decidersi a farle una domanda. «Allora, cosa farai adesso che il liceo è finito?»

Alice non le rispose subito, tanto che Allie iniziò a dubitare che i suoi tentativi di stringere amicizia con quella ragazza sarebbero andati a buon fine. Poi, quando stava per perdere le speranze, lei parlò. Una risposta breve e concisa, ma pur sempre una risposta. «Sono riuscita a entrare alla facoltà di archeologia.»

Allie ne rimase sorpresa: era una scelta davvero singolare e prestigiosa. «Wow, complimenti! Come mai hai scelto questa strada?» chiese, curiosa.

Anche questa volta, Alice esitò. Allie ancora non riusciva a comprendere il suo problema, non capiva quanto a fondo fosse radicata quella timidezza.

Alice era sempre stata la più introversa della classe, sin dalle elementari. Non riusciva a sentirsi a suo agio con gli estranei, spesso nemmeno con le persone che conosceva meglio. Trovarsi in una situazione nuova era un’esperienza spaventosa per Alice, l’impossibilità di avere sotto controllo ogni istante la faceva entrare in crisi.

Tutti la credevano un’asociale e non avevano torto. Alice odiava stare in mezzo alla gente, preferiva rinchiudersi in camera e stare sola, lontana dai giudizi e dalle derisioni.

Lei non era mai stata abbastanza bella, abbastanza simpatica, abbastanza solare, abbastanza normale. Da quando aveva memoria, ricordava solo gli sguardi divertiti e talvolta frustrati della gente, al suo passaggio. Non riusciva a capire come gli altri riuscissero a conversare senza conoscersi: come potevano essere certi di non annoiare i loro compagni, di non risultare saccenti o frivoli?

Lei aveva sempre avuto paura di dire la cosa sbagliata, di avere un tono di voce troppo acuto o troppo smorzato, di uscirsene con una stupidaggine. Così aveva sempre optato per il silenzio.

Ma nessuno la capiva, nessuno comprendeva l’assenza di fiducia in se stessa che aveva sempre caratterizzato la sua vita. Tutti avevano sempre approfittato di questo suo carattere introverso: negare un favore le era impossibile, avrebbe dovuto spiegare la sua scelta. Così cedeva sempre, in ogni campo.

Quante volte i suoi compagni di classe l’avevano sfruttata, copiando i suoi compiti o rubandole matita e gomma?

Quante volte aveva dovuto consegnare loro la merenda, incapace di opporsi?

Quante volte aveva passato la ricreazione chiusa in bagno, per non farsi vedere sola in un angolo del cortile?

Quante volte aveva sognato il momento in cui avrebbe iniziato il liceo, per allontanarsi da loro?

Ogni volta che la sua vita subiva una svolta, tuttavia, la sua situazione non mutava. Nessuno si interessava a lei, pochissime persone l’avevano trattata con gentilezza.

Per questo era rimasta sorpresa dal ritorno di Allie nella sua vita. Lei era stata una delle poche persone che non l’aveva mai derisa o considerata inferiore, ma non l’aveva nemmeno conosciuta bene. Non capiva perché ora si fosse interessata a lei, perché la cercasse con insistenza e le porgesse quelle domande.

Fece un respiro profondo, cercando di non darlo a vedere, e si decise a risponderle. Non voleva apparire sciocca anche in quel momento.

«Perché mi ha sempre interessato il passato e soprattutto il lavoro di coloro che scoprono il passato. È un compito difficile ma estremamente gratificante.» In realtà c’era anche un altro motivo, ma non lo disse ad alta voce. Era un lavoro che implicava il contatto con oggetti o esseri non più in vita, che non potevano metterla a disagio, che le permettevano di restare in controllo.

Allie annuì a quell’affermazione. «Vorrei avere la tua sicurezza, io non ho idea di cosa farò tra un’ora, figuriamoci nel futuro» sospirò.

Senza rendersene conto, Alice si lasciò scappare un risolino. La sua sicurezza?

Allie la guardò interrogativa, senza capire perché avesse avuto una simile reazione. «Che ho detto?»

«Nulla» rispose la ragazza, scuotendo il capo, prima di fermarsi davanti a un bar. «Qui?» domandò.

Allie annuì e si accomodò a un tavolino, posando la borsa accanto a sé. Cercò con lo sguardo il cameriere che, avendole viste, si stava avvicinando. «Cosa vi porto?» domandò, estraendo un taccuino e una penna dalla tasca del grembiule.

«Un cappuccino e una pasta alla crema» disse Allie, aspettando che anche Alice parlasse.

«Un succo di frutta.»

Il ragazzo se ne andò, dopo aver preso nota dei loro ordini, lasciandole sole. Allie stava per domandarle qualcos’altro del suo piano di studi, dato che entrambe era appassionate di storia forse avrebbero avuto qualcosa di cui discutere, quando il bip del cellullare l’avvisò dell’arrivo di un sms. Era Thomas.

Buongiorno, bellissima. Sei sveglia?

Allie sorrise alla vista di quelle poche parole. Non si era sorpresa del fatto che lui la stesse già cercando, aveva dato prova di essere estremamente impaziente da quand’era tornata.

Buongiorno. Sono sveglia, sì, anche se non per mia scelta.

Premette Invio e sollevò lo sguardo, trovando Alice che la fissava incuriosita. Non appena i loro occhi si incontrarono, la ragazzo abbassò i suoi sul tavolo.

«Scusa» disse Allie, posando il telefono davanti a sé e sorridendo al cameriere che era tornato con i loro ordini. Stava versando lo zucchero nella tazzina quando sentì un altro bip. La sua mano, come se fosse libera dal suo controllo, corse ad aprire il messaggio.

«Ieri sera sono uscita con un ragazzo» affermò, guardando Alice. «Si sta assicurando che sia ancora viva» scherzò, prima di leggere il messaggio.

Chi ha osato svegliarti?

Credevo non ti saresti alzata prima dell’ora di pranzo, dato com’eri stanca ieri sera.

Questa notte, lo corresse mentalmente Allie, con un risolino.

Mia zia ha chiamato. Sono in centro con un’amica, possiamo parlare più tardi?

Si sentiva in colpa a lasciarsi distrarre dal telefono quando aveva quasi costretto Alice a uscire con lei, così cercò di liquidarlo, nonostante una parte di sé volesse continuare a parlare con lui.

«Solo un secondo» l’avvisò, alzando un dito. La sua risposta non si fece attendere.

D’accordo. Divertiti, mentre io tento (e fallisco) di studiare per l’esame.

Con un ultimo sorriso, Allie rimise il telefono in borsa e posò gli occhi sulla ragazza che aveva di fronte. Nonostante i suoi tentativi di nasconderlo, poteva vedere che era interessata a quel nuovo sviluppo.

«È il fratello di Dafne» rivelò, osservando la sua reazione.

Alice spalancò gli occhi, sorpresa: i parenti delle amiche non erano off-limits? Lei non aveva alcuna esperienza in fatto di ragazzi, ma ricordava i discorsi che aveva sentito a scuola riguardo i limiti da non superare alla ricerca dell’uomo perfetto. Ma non era solo questo a stupirla: il fatto che Allie si stesse confessando con lei era inaspettato. Non capiva il suo interesse nei suoi confronti, anche se poteva pensare che fosse semplicemente curiosa di come fosse la vita per una persona asociale com’era lei; non immaginava che avrebbe condiviso le sue confidenze.

«La nostra compagna di classe?» domandò, ritenendo che forse aveva capito male.

Allie però annuì, addentando la pasta.

«Oh, a proposito! Dafne ti saluta.»

«Davvero?» Alice non poté trattenersi dall’emettere quell’esclamazione stupita, anche se solo a mezza voce.

«Certo» mentì Allie. Beh, non le aveva detto di salutarla davvero, ma era certa che l’avrebbe fatto se avesse saputo che sarebbero uscite insieme. Aveva notato la sua espressione il giorno prima, quando le aveva raccontato del loro scontro al supermercato.

Allie finì di bere il cappuccino e, notando che anche la sua compagna aveva svuotato il bicchiere, andò a pagare. I tentativi di Alice di dividere il conto, per quanto misero, andarono a vuoto. Allie insisté nell’offrire tutto, dato che l’aveva trascinata fuori di casa senza preavviso. Poté notare, in quell’occasione, che la resistenza di Alice le permetteva di tirar fuori la voce che altrimenti restava spesso inudita.

| { |

Mentre le due ragazze stavano tornando indietro, Allie si mise a imitare l’isterica professoressa di matematica che le aveva accompagnate per i cinque anni precedenti e Alice, nonostante la timidezza, non poté fare a meno di ridere.

Una risata che però cessò presto, interrotta dalle sue continue paranoie.

Allie si stava dimostrando molto amichevole, troppo amichevole. Non era abituata a essere considerata in quel modo da qualcuno di estraneo alla sua famiglia e, dopo tutti gli scherzi subiti nel corso degli anni, non riusciva a credere che le sue intenzioni fossero completamente buone.

Le dispiaceva non riuscire a fidarsi delle persone, ma aveva imparato nel modo peggiore che fidandosi troppo si finisce solo per ferirsi.

Allie notò quell’ennesimo cambiamento d’umore e, dato che ormai mancavano poche centinaia di metri alla casa della ragazza, si decise ad affrontarla.

Sapeva che correva il rischio di spaventarla, ma aveva bisogno di essere onesta con lei. Si fermò, costringendola a fare lo stesso, e senza staccare lo sguardo dal suo cominciò a parlare.

«So che non siamo mai state molto unite in passato, Alice, e mi dispiace. Mi dispiace perché mi sono resa conto che in questi cinque anni che abbiamo condiviso avremmo potuto frequentarci ed essere amiche. So che in gran parte è colpa mia, perché ho avuto varie possibilità di coinvolgerti nella mia vita e di entrare nella tua e le ho sprecate; non mi sono resa conto che siamo sempre state solo conoscenti. Solo ieri ho capito il mio errore e vorrei rimediare: vorrei che fossimo amiche. Dopotutto, siamo vicine di casa e sono certa che avremmo un’infinità di cose da dirci se solo iniziassimo a parlare davvero. Allora, vuoi essere mia amica?» concluse con un sorriso, ma trattenendo dentro di sé il respiro.

Alice era rimasta a fissarla con gli occhi spalancati, quasi scioccata da quelle parole inaspettate. Per un attimo Allie temette che sarebbe scappata via, tanto sembrava spaventata. Poi la vide annuire.

Era stato un breve movimento del capo, Alice quasi non si era resa conto di aver accettato quell’assurda proposta. Ancora non capiva perché lei volesse essere sua amica.

«Guarda che sono seria» l’avvertì Allie, che aveva notato la sua insicurezza.

«Perché?» domandò semplicemente.

«Perché no?» replicò lei. «Cos’abbiamo da perdere?»

Ridotta al silenzio, Alice ricominciò a camminare verso casa. Era certa che Allie si sarebbe pentita di quella scelta una volta capito quanto noiosa e banale fosse la sua vita. In pochi minuti arrivarono all’ingresso e Allie si preparò a salutare, quando Nicholas comparve all’improvviso.

«Oh, siete tornate!» esclamò. «Alice, nostra madre ti stava cercando, ha detto di raggiungerla appena torni perché è urgente» la informò, sedendosi su una poltroncina da giardino.

Lei annuì e salutò Allie con un «Allora, ciao» più forte del solito prima di rientrare in casa. Allie fece per voltarsi e andare alla macchina, quando il ragazzo la bloccò.

«Sei un angelo per caso?» le domandò, fissandola.

«Cosa?» Allie lo guardò stupita, pensando che forse aveva sentito male.

«Sei un angelo?» ripeté lui, togliendole ogni dubbio. Faceva sul serio. Ci stava provando.

«Non mi risulta» rispose, cercando di andarsene ma senza riuscirci. Lui le stava ancora parlando e non voleva essere sgarbata, allontanandosi senza considerazione.

«Sicura?» insisté. «Quando hai detto di essere un’amica di Alice quasi non ci credevo. Non ha molti amici, o perlomeno nessuno che io conosca. Non sarai il suo angelo custode?»

Allie dovette ammettere che quell’ipotesi le piaceva, nonostante arrivasse da un ragazzo che le faceva il filo. Così scosse il capo, risoluta ad andarsene.

«Se così fosse, lo verrei a dire a te?»

«Se vuoi, puoi prenderti cura anche di me» le offrì, alzandosi con un sorriso pieno di sottintesi.

Questa volta non rispose nemmeno, si limitò a salutare con la mano mentre si avvicinava all’auto.

Da non credere. Com’è che Alice, timida e riservata, aveva un fratello così spigliato?



| { |



Una volta arrivata a casa, Allie si affrettò a ripescare il cellulare dalla borsa e a digitare un sms diretto a Thomas.

Come va lo studio?

Si stese sul divano e, afferrato il telecomando, si mise a cercare qualcosa di interessante. Impresa ardua in piena estate.

Potrebbe andare meglio. Sono troppo distratto…

Allie sorrise: poteva capire che genere di distrazione avesse. Ora che era di nuovo sola, anche lei si ritrovava in balia dei ricordi della sera precedente e, soprattutto, del bacio. Se un contatto tanto delicato poteva farla sentire così, cos’avrebbe provato con un bacio più passionale? O con un altro genere di approccio? Meglio non pensarci.

Quali sono questi pensieri assillanti che t’impediscono di concentrarti?

Allie alzò il volume del televisore: aveva trovato un documentario su Maria Antonietta. La qualità delle immagini suggeriva l’idea che fosse vecchiotto e il soggetto non era dei suoi preferiti, ma in mancanza di alternative migliori si accontentò.

Sicura di volerli sapere? Non vorrei corromperti l’anima!

Allie rise. Questo era molto più interessante della defunta regina di Francia.

Temo che la mia anima non sia più così pura come un tempo: il mio peggior difetto è la curiosità e, anche in questo momento, comanda lei.

Era vero. Era troppo curiosa e, prima o poi, quella sua caratteristica le si sarebbe ritorta contro, ma in quel momento non le importava.

In questo caso… Credo di aver fatto un sogno questa notte, un sogno veramente bello. Non ricordo bene dove fossi, non era il luogo l’importante. Era buio, o forse ero io ad avere gli occhi chiusi… Non potendo vedere, gli altri miei sensi erano più forti. Ricordo di aver sentito caldo, ma non un’afa soffocante, piuttosto come il tepore del sole al tramonto. Ricordo un profumo dolce e indefinito che m’inebriava e un tocco soffice e delicato… Cosa credi che significhi questo sogno?

Allie si scoprì a trattenere il respiro mentre leggeva, rapita da quelle parole. Si rese conto anche di essere arrossita. Lei non arrossiva mai.







Buongiorno!

Voglio ringraziare coloro che hanno inserito questa storia nelle seguite e coloro che l’hanno recensita, ma anche chi la sta leggendo silenziosamente.

Spero abbiate apprezzato questo capitolo e, se vi va, scrivetemi la vostra opinione.

Intanto, vi lascio qualche riga, nella speranza di incuriosirvi un po’.

«Com’è andata la tua sessione di studio?»
«Abbastanza producente, anche se ogni tanto tendevo a distrarmi» rivelò, avvicinandosi appena a lei.
«Forse dovresti prendere del… come si chiama quella cosa che aiuta ad aumentare la concentrazione?»
«Fosforo?» ipotizzò Thomas. «Non credo sarebbe utile nel mio caso.»
«No?» lo stuzzicò lei, sorridendo.
Lui scosse la testa. «Avrei bisogno di qualcosa di più… umano» disse, mentre le posava una mano sul collo con un tocco delicato. Allie abbassò appena gli occhi, osservando la misera distanza che li separava e avvertendo il calore della sua pelle irradiarsi in lei.

Il prossimo capitolo arriverà tra una settimana, mercoledì 17 settembre.

Buona giornata :)


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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


cap 4
Bolle di felicità

A story of everyday life






Capitolo 5




Quando la sveglia si era messa a suonare, alle otto di mattina, Allie fu tentata di gettarla contro il muro. Non lo fece solo perché sapeva che poi sarebbe toccato a lei raccoglierne i pezzi. Sbuffando, si era alzata dal letto e aveva cominciato a prepararsi per la giornata. Avrebbe dovuto badare a Natalie, la sua cuginetta, finché sua zia era al lavoro: si trattava solo di poche ore, dato che la donna aveva un contratto part-time da quando era nata la bambina.

Allie si era già messa d’accordo con Dafne per passare la mattinata al parco: la piccola avrebbe potuto giocare anche con gli altri bambini, dando quindi ad Allie una maggiore libertà, e le due ragazze avrebbero avuto il tempo di parlare. Dafne aveva accettato, decidendo di approfittarne anche per far pratica con la nuova macchina fotografica che le avevano dato a lavoro.

Alle otto e mezza, puntuale come sempre, la macchina di sua zia Claire si fermò davanti casa e, non appena la donna aprì la porta posteriore, una bimba si slanciò fuori e corse verso Allie, che si era fermata sotto la veranda. La prese al volò e se la tirò in braccio, mentre lei le dava due baci appiccicosi sulle guance.

«Ciao, Natalie» la salutò, stringendola meglio. Ormai aveva cinque anni ed era diventata pesante, non sarebbe riuscita a sostenerla ancora a lungo.

«Cosa facciamo oggi?» le domandò subito lei mentre le passava le braccia intorno al collo.

Allie rise a quell’esuberanza e le promise che si sarebbe divertita, senza svelarle nulla, alimentando quindi la sua insistenza.

«Natalie, scendi da Allie e vieni a darmi un bacio, su» la chiamò la madre che aveva osservato la scena divertita. La piccola obbedì e Allie si ritrovò a sperare che mantenesse quel comportamento per tutta la giornata.

«Grazie ancora, Allie. Io finisco all’una, la passo a prendere più tardi» l’avvertì.

Lei annuì, mentre sua zia staccava il seggiolino dal sedile posteriore e lo posava a terra, cosicché potesse servirsene Allie. Poi risalì in auto, salutando ancora una volta la figlia prima di mettere in moto e dirigersi al lavoro.

«Cosa facciamo?» domandò Natalie, attaccandosi a sua cugina.

«Fammi prendere la borsa e poi andiamo, okay?»

Di corsa, perché la bambina si era fatta impaziente, Allie raccattò portafoglio, telefono, occhiali da sole e mise tutto in borsa, poi si accinse a fissare il seggiolino. Era un’impresa più difficile di quanto si aspettasse e solo grazie all’aiuto di Natalie, che da piccola grande esperta la guidava nei movimenti, riuscì nell’intento. Si allacciò le cinghie da sola, mentre Allie la controllava dallo specchietto retrovisore.

Una volta pronte, Allie partì in direzione della casa di Dafne. Avrebbe dovuto passare a prenderla dieci minuti prima, ma quel piccolo ritardo non era nulla in confronto alle sue abitudini. Dafne uscì non appena sentì l’auto fermarsi davanti casa sua e si accomodò sul sedile del passeggero.

«Ciao» la salutò, baciandole la guancia sinistra. «Questo invece non è da parte mia» disse, baciandole anche quella destra.

Allie sorrise, ricambiando il saluto e parlando a Natalie che le osservava con attenzione. «Questa è la mia amica Dafne, passerà la giornata con noi.»

«Ciao, Natalie» la salutò lei. «Ma come sei carina! Quanti anni hai?» domandò, sfiorando con la mano la tuta colorata che indossava.

«Cinque, ma tra poco ne compio sei» la informò orgogliosa, mostrandole una manina aperta.

«Hai qualcosa da raccontarmi?» chiese Allie all’amica, inserendo nella radio un cd di musica per bambini che aveva scaricato appositamente per quel momento.

«Tipo?»

«Hai qualche novità?» insisté, senza parlare esplicitamente. Questa volta Dafne capì dove voleva andare a parare e sbuffò, incrociando le braccia e guardando fuori dal finestrino. Odiava quando la gente intorno a lei sembrava camminare in punta di piedi, sperando di non far rumore e non guastare il suo equilibrio.

«Siamo tornate da pochi giorni: no, non ho dimenticato Michael; no, non ho trovato un rimpiazzo; no, non ho intenzione di prendere l’aereo e tornare da lui e no, non ho ancora preparato il mio epitaffio» rispose scocciata.

«Okay, scusa, non lo chiederò più.» Allie parcheggiò l’auto e alzò le mani in segno di resa, guardando l’amica negli occhi.

Il parco che aveva scelto si trovava a poche centinaia di metri dalla casa di Dafne ed era corredato di scivoli, altalene, trenini e ogni tipo di giostre per bambini. Al suo interno, infatti, si scorgevano solo mamme o babysitter intente a controllare i piccoli che giocavano e, talvolta, qualche anziano che ricordava i vecchi tempi. Non c’era nessuno della loro età, non era certo un luogo frequentato da ventenni. Ad Allie, tuttavia, piaceva molto. Nonostante gli schiamazzi e le crisi di pianto continue, o forse proprio per quello, lo trovava un luogo allegro e pieno di vita.

Aiutò Natalie a scendere e la lasciò correre verso lo scivolo, dove una fila di bambini stava già aspettando il suo turno, raccomandandole di non correre lontano. Lei e Dafne si sedettero su una panchina, in silenzio.

Mentre estraeva la macchina fotografica dalla borsa e, puntandola in alto verso le fronde degli alberi, la regolava, Dafne disse: «Mi è stato detto di riferire quando mi porti a casa, perché a quanto pare c’è qualcuno che vuole vederti.»

Allie sorrise, approfondendo l’argomento, curiosa. «Ti ha raccontato qualcosa dell’altra sera?»

Dafne scosse il capo. «Ti aspettavo da me ieri e certo non credevo che le tue prime parole di oggi sarebbero state per Michael, non quando tu hai chiaramente qualcosa di più interessante da condividere.»

«È stato un appuntamento migliore di quanto immaginassi» rivelò Allie.

«Perché non avevi grandi aspettative o perché è stato veramente sorprendente?»

«La seconda. Diciamo che è stato bravo a risolvere tutte le complicazioni che sono spuntate fuori.»

«Cioè?»

«Beh, innanzitutto ha sbagliato a leggere gli orari del cinema, così abbiamo perso lo spettacolo. Poi è anche cominciato a piovere mentre eravamo sul tetto, ma non è stata una grande tragedia» raccontò.

«E quindi che avete fatto?» domandò Dafne, curiosa di sapere come si fosse comportato suo fratello.

«Abbiamo visto Il discorso del re in un appartamento di non-so-chi e, dopo mangiato, siamo saliti sul tetto a guardare le stelle.»

«E…» la incoraggiò, desiderosa di sapere come si fosse conclusa la serata. Dopotutto, l’essere soli sotto un cielo stellato era un momento alquanto romantico.

«E?»

«Vi siete baciati?»

Allie rise e annuì. «Non credo tu voglia sapere i dettagli, ma è stato un bacio dolce, quasi casto, in macchina prima di rientrare a casa» le disse, osservando la sua reazione.

Dafne sorrise, felice per l’amica e il fratello che sembrava finalmente essersi reso conto dei suoi sentimenti.

* * *

«Cos’hai fatto ieri, quindi?» chiese Dafne, puntandole la macchinetta addosso.

«Oh, giusto! Volevo parlartene. Sono uscita con Alice» riferì, sorridendo all’obiettivo.

«Davvero? Com’è andata?»

«È stato… strano» disse, indecisa. Non era ancora riuscita a dare un nome alle sensazioni che aveva provato quand’era con lei. «È timida e riservata, non crede in se stessa e sembrava non capire perché fossi lì. Quando le ho detto che volevo essere sua amica è rimasta quasi scioccata» raccontò.

«Hai intenzione di rivederla?»

«Certo. Sarebbe ipocrita da parte mia scomparire dopo ciò che le ho detto, no?»

«Posso venire anch’io?» le domandò. Voleva far parte di quella sua iniziativa volta ad aiutare Alice, era convinta che sarebbe riuscita a capirla più di quanto non potesse fare Allie. Senza nulla togliere alla sua amica, era stata lei a trovarsi in una situazione simile in passato, mentre Allie era sempre stata forte e solare, desiderosa di vivere e gioire.

«Non devi neanche chiederlo» le rispose Allie. «Anche se credo che si sconvolgerà a vederci insieme?»

«Perché?» Loro due erano grandi amiche da quand’erano appena ragazzine, tutti lo sapevano e sicuramente anche ad Alice non era sfuggito. Perché avrebbe dovuto sorprendersi?

«Le ho detto che sono uscita con tuo fratello e aveva un’espressione talmente sbigottita che pareva avessi ucciso qualcuno. Magari pensa che, dati questi sviluppi, il nostro rapporto si sia incrinato» le raccontò, stringendosi nelle spalle.

«Che sciocchezza!» esclamò Dafne, prima di rendersi conto di quanto le aveva detto. «Aspetta, hai raccontato dell’appuntamento prima a lei che a me?» domandò, quasi offesa.

Sentiva di avere la precedenza su una notizia simile, data la loro amicizia di lunga data e il suo rapporto con entrambi.

«Non è colpa mia!» si difese Allie. «Mi ha scritto mentre ero con lei, che dovevo fare?»

Prima che Dafne avesse il tempo di replicare, Allie lanciò un grido. Si era voltata solo per un momento per osservare la reazione di Dafne e ora che aveva posato nuovamente gli occhi sulla piccola Natalie la vide spingere a terra un bambino. Non sembrava essere una spintarella leggera, non faceva parte di un gioco: era un atto dettato dall’irritazione che si poteva chiaramente leggere sul viso della bambina. Rimase lì a fissarlo dall’alto al basso, con le manine sui fianchi e il volto spazientito, mentre Allie la raggiungeva.

«Natalie!» la sgridò. «Perché l’hai fatto?» domandò mentre aiutava il bambino a rialzarsi e gli puliva i vestiti, assicurandosi che non si fosse fatto male.

«È cattivo» sbottò lei, mentre lui protestava agitando le mani. Allie si guardò intorno, alla ricerca della mamma del bambino. Vide una signora venire nella loro direzione con passo affaticato, probabilmente a causa del pancione.

«Come ti chiami?» gli domandò, posandogli una mano sul braccio e stringendo quella di Natalie non l’altra.

«Victor» disse lui. «E non sono cattivo!»

«Sono sicura che non lo sei» lo rassicurò, prima di rivolgersi a Natalie e chiederle cosa avesse fatto di preciso per indispettirla.

«Mi ha dato un bacio come fanno i grandi» urlò la bambina, passandosi una mano sulla bocca. «Non può farlo, lui non è grande!»

«Neanche tu!» rimbeccò lui.

Allie non poté trattenersi e scoppiò a ridere, divertita. In quel momento anche la madre di Victor li raggiunse e volle informarsi di cosa fosse successo. Allie le raccontò la vicenda, scambiando un sorriso con quella donna.

«Natalie, Victor non voleva mica farti male. Ti ha dato un bacio perché pensa che sei una bella bambina» tentò di spiegare.

«No, mi ha spinto, non è più bella!» protestò lui, subito interrotto dalla madre che lo ammonì per la sua impulsività.

Allie scosse il capo, cercando di far ragionare la cuginetta che non voleva saperne di scusarsi e che non sembrava credere alle sue parole. Solo dopo non meno di cinque minuti le due donne riuscirono a far sì che smettessero di guardarsi in cagnesco e li lasciarono correre via, per poi notare che, poco dopo, erano nuovamente insieme, questa volta in un clima più pacifico.

Mentre tornava da Dafne, che l’aveva aspettata sulla panchina, li osservò ridere insieme sull’altalena. Si scoprì a pensare che quello a cui aveva appena testimoniato sembrava lo sviluppo, a incredibile rapidità, del rapporto che l’aveva unita a Thomas nel corso degli anni.

* * *

Allie stava lavando il piatto su cui aveva mangiato Natalie, mentre la bambina guardava un cartone animato alla televisione e Dafne controllava le foto che aveva fatto quella mattina. A quanto pare, la sua presenza era richiesta altrove per pranzo e certo lei non si era fatta pregare. Non amava cucinare, preparare la pasta per Natalie era stata un’esercitazione più che sufficiente. La madre di Dafne e Thomas, invece, era una cuoca provetta e, come se non bastasse, avrebbe avuto una scusa per rivedere lui senza insospettire nessuno.

Aveva appena finito di sciacquare le posate quando il campanello di casa suonò e, asciugandosi le mani, si diresse alla porta. Sua zia era davanti a lei, un po’ in anticipo in realtà. Allie la fece entrare, posando l’asciugamano su un mobile e conducendola in salotto, dove si trovava sua figlia. Convincerla a tornare a casa non fu semplice: voleva continuare a guardare la televisione e poi tornare al parco, indifferente alle insistenze della madre. Dato che le sue proteste non venivano accolte, Natalie cominciò a piagnucolare, con il solo risultato che Claire s’irritò ulteriormente e uscì di casa. Aveva in mente di spostare il seggiolino che aveva lasciato ad Allie sulla sua auto, ma era anche consapevole che sua figlia doveva aver pensato che volesse andarsene. Un attimo dopo, infatti, se la ritrovò attaccata alle gambe, ancora in lacrime.

Osservando quella scena, Allie ebbe l'ennesima prova che la piccola aveva sicuramente ereditato quel suo caratterino irascibile dalla madre. Quando la macchina si fu allontanata, Allie tornò in casa e si sedette accanto a Dafne che si sporse a mostrarle una foto.

Erano Natalie e Victor sull’altalena, rivolti l’uno verso l’altro e con la risata sulle labbra.

«Sono carini» commentò.

«Molto» concordò Dafne. «Te ne stamperò una copia quando vado in ufficio» promise, prima di alzarsi. «Andiamo?»

Allie annuì, prima di chiudersi un attimo in bagno per darsi una sistemata. Niente di speciale, voleva solo assicurarsi di avere un aspetto dignitoso prima di vedere Thomas. Scosse la testa, guardando l’immagine che lo specchio le trasmetteva: una giovane donna che era sempre stata fiera e sicura di sé e che ora si ritrovava con gli occhi lucidi e le guance spruzzate di rosso al ricordo di un bacio. Si lavò le mani e si decise a uscire.

Il tragitto in auto iniziò con uno strano silenzio a cui nessuna delle due era abituata: quand’erano insieme trovavano sempre qualcosa di cui parlare, per quanto banali potessero essere gli argomenti. Quel silenzio non era causato da un vuoto mentale che impediva loro di discutere di un qualsivoglia soggetto, quanto piuttosto dal fatto che la testa di entrambe era occupata da temi che temevano di portare alla luce. L’imminente incontro di Allie e Thomas: una non voleva insistere sulla concitazione dell’amica; l’altra non voleva focalizzare tutto su se stessa. L’assenza di Michael: una cercava di non pensarci, o perlomeno di non nominarlo, per non deprimersi troppo; l’altra non voleva risvegliare ricordi dolorosi.

A un tratto, però, Dafne se ne uscì con un’esclamazione. «Sai cosa dovremmo fare?» disse, voltandosi verso l’amica. «Un bel rewatch di Downton Abbey! È passato troppo tempo dall’ultima volta che l’abbiamo visto.»

Allie sorrise, annuendo. «Sai che non potrei mai rifiutare una proposta del genere» concordò.

Quella era la serie tv inglese per eccellenza, almeno secondo la sua non molto modesta opinione. Riusciva a unire l’amore per la storia di Allie alla passione di Dafne per le storie d’amore complicate.

«Quanto tempo ci vorrà?» domandò, sperando che fosse la sua amica a fare i calcoli. Era sempre stata la più brava in matematica e lei stava guidando, non poteva certo perdere la concentrazione per un motivo simile.

«Allora: le puntate durano più o meno un’ora, sono quattro stagioni per nove puntate, più o meno…» rifletté. «Circa trentasei ore» decretò. «In due o tre giorni di tour de force dovremmo farcela.»

«Potremmo convertire anche Thomas» propose Allie, senza riuscire a trattenersi.

«Sono sicura che lo farebbe» rise Dafne. «Ma spiegare la sua presenza a nostra madre sarebbe problematico. A meno che non abbiate intenzione di venire allo scoperto» disse.

Allie si voltò un momento e la guardò di sottecchi, indecisa se riderle in faccia o ignorare quell’assurda osservazione. «Se glielo dicessimo, un istante dopo starebbe già appendendo i manifesti e prenotando la cappella per il matrimonio» le fece notare, mentre parcheggiava.

Dafne, costretta ad ammettere la verità di quell’affermazione, annuì e scese dall’auto, seguita subito da Allie. Una volta entrate in casa, fu chiaro che Martha stava cucinando. Il rumore del olio che friggeva riempiva le stanze, altrimenti silenziose, mentre un profumo invitante si disperdeva nell’aria.

«Mamma, siamo arrivate» l’avvertì Dafne, entrando in cucina. La tavola era già apparecchiata e Martha si muoveva velocemente tra i vari fornelli accesi. Si voltò e sorrise alla figlia, avvisandola che il pranzo sarebbe stato pronto in un quarto d’ora, prima di tornare al lavoro.

Dafne tornò allora in salotto, dove Allie era rimasta ad attenderla osservando le foto disposte regolarmente sul lungo mobile. Ritraevano quella famiglia nel corso degli anni e nei momenti più disparati, erano piccole testimonianze di vita reale che agli occhi di chiunque presentavano delle persone sorridenti e unite.

Prima che avesse il tempo di parlare, Dafne udì dei passi affrettati scendere le scale e attraversare la stanza. Sorrise all’amica e si ritirò in bagno, lasciando soli i due giovani.

Thomas si avvicinò lentamente, guardandola con attenzione. Era la prima volta che la vedeva da quando si erano separati dopo l’appuntamento e si scoprì a osservarla con occhi diversi. Era assurdo come un semplice bacio avesse cambiato le cose. O forse era stata la serata nel suo insieme a fargli capire quanto seriamente gli piacesse? Gli sembrava ancora più bella e solare del solito.

«Ciao» la salutò, accostandosi a lei.

Allie ricambiò il saluto, divertita alla vista dei suoi capelli arruffati. A quanto pare lui non era diventato insicuro di sé com’era successo a lei, tutt’altro. Sembrava più naturale di prima e questo le piaceva.

«Come stai?» parlarono insieme e insieme si misero a ridere, cercando di mantenere un tono di voce basso per non farsi udire dalla madre di lui.

«Com’è andata stamattina con tua cugina?» domandò allora, appoggiandosi al caminetto.

«Bene, è stato più semplice di quanto immaginassi» rispose Allie. «La tua sessione di studio, invece?»

«Abbastanza producente, anche se ogni tanto tendevo a distrarmi» rivelò, avvicinandosi appena a lei.

«Forse dovresti prendere del… come si chiama quella cosa che aiuta ad aumentare la concentrazione? Dovresti saperlo, dato che studi medicina.»

«Fosforo?» ipotizzò Thomas. Non era poi così ovvio, c’erano vari prodotti che avrebbero potuto aiutarlo, se solo la causa della sua distrazione fosse stata un’altra. «Non credo sarebbe utile nel mio caso.»

«No?» lo stuzzicò lei, sorridendo.

Lui scosse la testa. «Avrei bisogno di qualcosa di più… umano» disse, mentre le posava una mano sul collo con un tocco delicato. Allie abbassò appena gli occhi, osservando la misera distanza che li separava e avvertendo il calore della sua pelle irradiarsi in lei.

«Per esempio?» domandò, mentre il suo sguardo si posava irrimediabilmente sulla bocca di lui.

Thomas spostò appena la mano, sfiorando con il pollice il suo labbro inferiore. Allie alzò gli occhi per incontrare i suoi, avvertendo la pressione del suo dito farsi via via più forte, finché lui non lo allontanò e lo sostituì con la propria bocca. Come quella sera, fu un bacio dolce e delicato ma caratterizzato questa volta da un’urgenza nuova. Ora che entrambi avevano conosciuto il sapore di quel bacio erano più impazienti; ora che non erano soli ma nella stessa casa di Martha sapevano di doversi sbrigare pur desiderando che quel momento non finisse mai.

Thomas si staccò per primo, fece un piccolo passo indietro e scese con la mano fino ad afferrare la sua. «Quando vuoi che ci rivediamo?» le chiese, accarezzandole il palmo.

Allie ci pensò un momento: voleva essere certa di poter godere fino in fondo di quel secondo appuntamento, senza pensieri che la preoccupassero e senza la stanchezza che l’assopiva. «Domani sera» sussurrò, notando che il rumore proveniente dalla cucina si era attenuato.

«Vuoi un’altra sorpresa?» domandò Thomas, adeguandosi al suo tono.

Allie sorrise, ricordandosi improvvisamente di un particolare importante. «No» mormorò. «Restiamo da me? I miei sono di turno.»

Lui annuì prima di stringerla nuovamente a sé, incurante del fatto che il pranzo era ormai pronto e sua madre sarebbe potuta entrare da un momento all’altro. La baciò ancora e questa volta non si limitò ad accarezzarle le labbra. Allie aprì la bocca, giusto quel poco necessario per far sì che le loro lingue s’incontrassero, andando a conoscere il sapore dell’altro, condividendo un atto più profondo e passionale dei precedenti. Allie immerse le mani nei suoi capelli che, già scompigliati, assunsero una forma ancora peggiore. Lo avvicinò a sé, senza riuscire a pensare a null’altro che lui.

Nessuno dei due udì i passi di una ragazza scendere le scale, né la voce di Martha che annunciava il pranzo. Se non furono sorpresi in quel momento di trasporto fu solo grazie all’intervento di Dafne che entrò velocemente in cucina e trattenne la madre, parlando con un tono talmente elevato da risvegliarli da quel dolce torpore in cui erano caduti.

Si separarono di scatto, consci dello scampato pericolo, e dopo essersi scambiati un ultimo sguardo andarono in cucina a distanza di qualche secondo. Allie si accomodò accanto a Dafne e la ringraziò con lo sguardo, mentre rifletteva sulla singolarità di quella situazione. Lei e Thomas erano usciti una sola volta, eppure questo non li tratteneva dallo scambiarsi baci pieni di passione. Allie, che pure non era una ragazza che amava aspettare, non era mai stata così impulsiva. Eppure non si pentiva di nulla, assolutamente nulla.

Buongiorno!

Voglio ringraziare coloro che hanno inserito questa storia nelle seguite e coloro che l’hanno recensita, ma anche chi la sta leggendo silenziosamente.

Spero abbiate apprezzato questo capitolo e, se vi va, scrivetemi la vostra opinione.

Intanto, vi lascio qualche riga, nella speranza di incuriosirvi un po’.

«Posso fare qualcosa per aiutarti?» chiese Allie, guardandola negli occhi. Ogni frase di circostanza sarebbe stata inutile: Dafne sapeva che prima o poi tutto si sarebbe sistemato, che con il tempo non si sarebbe più sentita così, che infine avrebbe solo sorriso al ricordo di quell’estate mentre un altro ragazzo, uno più vicino a lei, le sarebbe stato accanto. Il problema era il presente, il tempo necessario a raggiungere quello stato di benessere che si prospettava tanto lontano.
«Distraimi, se ci riesci» sospirò lei, fissando il soffitto.

Il prossimo capitolo arriverà tra una settimana, mercoledì 24 settembre.

Buona giornata :)


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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


cap 4
Bolle di felicità

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Capitolo 6



Quella mattina Allie non si era svegliata a causa dell’allarme del cellulare che la riportava alla realtà, né con il suono poetico degli uccellini che non si erano mai presentati al suo davanzale. Era stato un movimento improvviso a destarla: aveva sentito il materasso sussultare sotto di sé, come se qualcuno ci si fosse lanciato sopra. Quando ebbe aperto gli occhi, si era trovata davanti il volto di Dafne.

«Daf?» la chiamò, incerta. Forse stava sognando. Ma dopotutto nei suoi sogni non le capitava mai di svegliarsi, non in quelli belli perlomeno.

«Fammi una foto?» le chiese la ragazza, porgendole la sua macchina fotografica.

«Cosa?» Allie si tirò a sedere, stiracchiandosi. Era ancora mezza addormentata e non riusciva a capire perché la sua amica fosse sul suo letto e cosa volesse.

Dafne si alzò e, dandole la schiena, sollevò la maglietta. Sulla sua pelle si vedeva ancora la scritta che le aveva fatto Michael quand’erano a Rodi. Allie non riusciva a decifrarla, un po’ perché era in una lingua a lei sconosciuta, un po’ perché era decisamente sbiadita.

«Fammi una foto, prima che se ne vada del tutto» le ripeté Dafne, voltandosi a guardarla.

«Credevo che fosse già sparito. Insomma, era un indelebile, ma è passata più di una settimana» disse, sorpresa, prima di afferrare la macchinetta fotografica e avvicinarla al viso.

«Lo credevo anch’io, ma è più resistente di quanto appaia» rispose Dafne, ritornando in posizione.

Un flash riempì la stanza quando Allie scattò la foto e, appurato che si vedeva a sufficienza il disegno, riconsegno tutto a Dafne. «Come stai?» le domandò.

Questa volta Dafne non provò nemmeno a risultare offesa da quell’insistenza, sapeva che il disappunto si vedeva chiaramente sul suo volto. Era sempre riuscita a nascondere quella sensazione di vuoto che provava da quand’era tornata, magari non perfettamente, ma tanto che nessuno a parte Allie pensava che non stesse bene. Quella mattina, però, quando si era alzata ed era andata in bagno, aveva scorto quasi per sbaglio quella scritta riflessa sullo specchio. In un attimo, tutte le sue difese sembravano essersi disintegrate. Aveva cercato di non guardarlo nei giorni passati, perché quell’immagine portava inevitabilmente con sé i ricordi di giorni meravigliosi che erano finiti. Ora, però, con la consapevolezza che presto quell’ultimo simbolo che le permetteva di tenere Michael vicino a sé se ne sarebbe andato, non voleva lasciarlo. Così si era precipitata da Allie, senza nemmeno far colazione, per chiedere il suo aiuto.

«Come vuoi che stia? Oggi mi manca un sacco e mi sento un’idiota perché non riesco a… beh, non dimenticarlo, non voglio dimenticarlo, ma non riesco nemmeno a superarlo» gemette, stendendosi accanto a lei.

«Posso fare qualcosa per aiutarti?» chiese Allie, guardandola negli occhi. Ogni frase di circostanza sarebbe stata inutile: Dafne sapeva che prima o poi tutto si sarebbe sistemato, che con il tempo non si sarebbe più sentita così, che infine avrebbe solo sorriso al ricordo di quell’estate mentre un altro ragazzo, uno più vicino a lei, le sarebbe stato accanto. Il problema era il presente, il tempo necessario a raggiungere quello stato di benessere che si prospettava tanto lontano.

«Distraimi, se ci riesci» sospirò lei, fissando il soffitto.

Allie annuì, iniziando a pensare a un’attività che potesse impegnarla tanto da non lasciarle il tempo di crogiolarsi nel dolore. Stava per parlare, quando il campanello di casa suonò.

Sapeva già chi era. Sorpresa dalla presenza dell’amica, si era dimenticata che si era messa d’accordo con Thomas per andare a correre insieme quella mattina.

Si alzò dal letto e si avvicinò alla porta della stanza. «È Thomas. Dovevamo uscire insieme, ma gli vado a dire che rimandiamo» l’avvisò.

«No, per favore» la fermò, mettendosi a sedere. «Tanto adesso devo andare a lavoro. Esci con lui» disse, raggiungendola.

«Sicura?»

Dafne annuì, precedendola per le scale e dirigendosi verso l’uscita. «Grazie dell’aiuto» la salutò.

«Sai che ci sono sempre» le ricordò Allie. Dafne aprì la porta e uscì, mentre suo fratello entrava, lanciandole uno sguardo stupito. Non pensava di trovarla lì.

«Cos’è successo?» domandò a Allie quando furono soli.

«Ricordi» rispose solo lei, scuotendo la testa. «Vado a cambiarmi» lo avvertì, iniziando a salire le scale.

«Non mi saluti nemmeno?» chiese Thomas. Allie si bloccò e, dandosi mentalmente della stupida, fece dietrofront.

«Scusa, stavo pensando a Dafne» disse, dandogli un bacio sulla guancia.

Lui la strinse a sé per un momento. «Stamattina l’ho vista molto giù di morale» concordò. «Su, va pure a cambiarti. Poi ne parliamo.»

* * *

«Che cos’hai in mente?»

Allie gli aveva raccontato del dialogo che aveva avuto poco prima con Dafne e della sua necessità di distrarsi. Thomas aveva capito subito che lei aveva già un progetto adatto a quell’evenienza.

«Andiamo in discoteca questa sera» propose. «Noi tre, un paio di tuoi amici così non ti sentirai solo in mezzo a noi donne, e poi voglio invitare Alice.»

Lui annuì, ricordando la ragazza timida di cui gli aveva parlato.

«Credi che sia la cosa giusta?» domandò, incerto. «Non mi sembra dell’umore adatto.»

«È proprio per questo che è perfetto. Con la musica assordante non riuscirà a pensare a Michael e sarà costretta a lasciarsi andare almeno per un po’» spiegò Allie.

Thomas si strinse nelle spalle, ancora poco convinto, ma accettò di aiutarla. «Se lo dici tu.»

«Non sei d’accordo.» Non era una domanda, piuttosto un’affermazione. Era chiaro che il ragazzo non aveva molta fiducia in quel piano.

«Non è quello… Io non avrei scelto questo metodo per risollevarle il morale, ma tu sei la sua migliore amica e la conosci certamente meglio di me. Se dici che è la cosa giusta da fare, mi fido.»

«Davvero?»

Thomas annuì, prima di accelerare il passo e iniziare a correre. «Vieni?» domandò. Allie lo raggiunse con uno scatto, ma stare al suo fianco fu più complicato. Thomas era allenato, faceva movimento quasi tutti i giorni e sembrava non sentire la fatica, mentre lei, che era solita poltrire sul divano, non aveva la sua resistenza. Presto cominciò a crearsi della distanza tra loro, ma non appena se ne accorse lui rallentò e si adeguò all’andatura di Allie, senza lamentarsi.

«Dove vuoi andare stasera?» chiese, guardandola.

Allie non aveva ancora deciso il locale e dovette riflettervi: doveva esserci la giusta quantità di confusione, ma senza eccedere. La musica doveva essere forte, ma soprattutto apprezzabile: non voleva andare in uno di quei posti dove il dj sembrava essere stato raccattato per strada.

«Che ne dici del Silver Light?» propose, ricordando il locale in cui si era recata solo una volta, per il diciottesimo compleanno di una compagna di classe, ma che le era piaciuto molto.

«Sì, è carino» concordò Thomas. «Vuoi che ti passo a prendere io?»

«Grazie» ripose, sorridendogli. «Poi potremmo anche passare da Alice, dubito che venga da sola» pensò.

«Cosa dirai a tua madre?» s’incuriosì. Non era mai uscito con loro due, dubitava che Martha avrebbe accettato quel cambiamento senza vedervi nulla sotto.

Thomas ponderò per un momento le alternative, prima di decidersi per una semplice scusa. «Che accompagno Dafne da te e io esco con degli amici.»

«Non è nemmeno una bugia» si complimentò Allie.

«Fammi capire una cosa» cominciò lui. «Stasera usciamo come amici? O possiamo considerarlo un terzo appuntamento?»

«Non sono sicura che una nottata in discoteca possa considerarsi un appuntamento» commentò lei.

«Quindi sono autorizzato a chiederti quando possiamo rivederci da soli?» domandò, rallentando fino a fermarsi davanti a una panchina. Si sedettero, mentre Allie annuiva.

«Magari questa volta potremmo variare però. Prima Il discorso del re, poi Il signore degli anelli… credo che abbiamo sperimentato abbastanza film per il momento, non credi?»

«Cosa vorresti fare?» le domandò allora, incuriosito.

Allie rifletté un momento, ricordando i loro primi due appuntamenti. Il secondo era stato abbastanza simile al primo: Allie aveva la casa libera quella sera, così Thomas era andato da lei con due pizze e il dvd della sua saga preferita. A dire la verità, non le era piaciuto il film, ma non le era pesato. Thomas si era sforzato per farla contenta e aveva apprezzato i suoi gusti qualche giorno prima, ora toccava a lei cercare di capirlo. Non ci era riuscita, non aveva visto la bellezza di quel mondo fantasy, e non era riuscita nemmeno a ingannarlo. Nonostante i suoi sforzi nel fingersi interessata, lui aveva intuito che lo spettacolo non le piaceva e le aveva proposto di cambiare dvd, ma lei si era rifiutata.

Non si era annoiata: anche se le vicende non l’appassionavano, la vicinanza di Thomas, la sua mano posata sul suo fianco e il suo respiro caldo che di tanto in tanto s’infrangeva sul suo viso la tenevano occupata.

Aveva apprezzato quei due incontri tranquilli e privati che avevano permesso loro di conoscersi meglio e stare soli, ma ora voleva cambiare. Voleva un appuntamento che le facesse scoppiare il cuore nel petto, che la emozionasse come nient’altro e che la facesse divertire, non solo ammaliare.

Non riuscendo però a pensare a nulla che le facesse provare tutte queste emozioni allo stesso tempo, optò per un’alternativa che comunque sarebbe stata diversa dal solito.

«Andiamo al mare» disse, osservando la sua reazione. Thomas strabuzzò gli occhi, sorpreso.

«Guarda in alto» la invitò, alzandole il mento con un dito. «Cosa vedi?»

«Il cielo?» rispose lei, non capendo dove volesse arrivare.

«E cosa vedi nel cielo?»

«Nuvole?» continuò. Ora aveva capito.

«Appunto. Tu sei ancora abituata al cielo soleggiato della Grecia che ti permette di passare le giornate al mare. Scommetto che tra un’ora comincia a piovere, qui. Non credo che ci convenga andare al mare con la pioggia» spiegò.

«Basta aspettare un bel giorno di sole» disse Allie, alzando le spalle.

Thomas sbuffò. Non gli dispiaceva l’idea, ma per essere certo di trovare un giorno in cui non piovesse forse avrebbe dovuto aspettare un bel po’, e lui voleva uscire subito con lei.

«E dove vorresti andare di preciso?»

«Bournemouth» rivelò Allie con un sorriso. Poteva capire la sua preoccupazione, ma in quella località era più semplice di quanto non si pensasse trovare un bel giorno di sole. Anche Thomas lo sapeva, perché vide l’apprensione andarsene dal suo viso.

«Okay» acconsentì. «Devo dare questo maledetto esame e poi sono tutto tuo» sospirò.

Allie rise a quelle parole e gli baciò la guancia, contenta.

«Dai, andiamo» lo incitò, alzandosi. Cominciò a correre, pur sapendo che in pochi istanti lui l’avrebbe raggiunta e, se avesse voluto, superata.

* * *

«Lo dici tu a Dafne o lo faccio io?» le domandò Thomas, appoggiandosi al muro. Aveva accompagnato Allie a casa e ora avrebbe dovuto correre ancora per raggiungere la sua.

«Lo faccio io» si offrì lei. «Tu pensa a invitare un paio di amici e a studiare per il test.»

Lui sorrise, chiudendo gli occhi per un momento. «Spero solo di passarlo.»

«Certo che lo passerai» ribatté Allie. Thomas non era mai stato così insicuro, ma questo argomento era veramente ostico e il fatto che continuasse a pensare a Allie non lo aiutava. Lei invece sembrava così sicura di lui, come se avesse assimilato la determinazione che gli mancava. Adorava quella sua capacità di credere in lui, in tutti, quella cieca fiducia nel mondo.

Si rialzò e la raggiunse in un passo, spingendola contro la parete per baciarla. Adorava baciare quelle labbra così morbide, sentire il suo sapore dolce, sfiorare la sua pelle delicata. «Grazie» sussurrò, baciandola si nuovo.

La sentì sorridere addosso alla sua bocca mentre si allontanava. «Ciao» mormorò, lanciandole un ultimo sguardo.

«A stasera» lo salutò lei, guardandolo correre via.

Ancora con il sorriso sulle labbra, entrò in casa e si sedette su una sedia in cucina. Afferrò il telefono e compose il numero di Dafne, per avvisarla dei suoi piani.

Fu una telefonata breve e affrettata, dato che la sua amica stava lavorando e il negozio era pieno di clienti che volevano far sviluppare le foto delle loro vacanze. Non le era sembrata entusiasta dell’idea, ma era certa che con il tempo si sarebbe abituata e non le sarebbe dispiaciuto. In caso contrario, Allie suppose che non ci fosse differenza tra deprimersi a casa e deprimersi fuori casa.

Con Alice fu un’altra storia. La ragazza sembrò sorpresa di ricevere la sua chiamata, ma ormai Allie era avvezza alla sua sfiducia. Inizialmente aveva pensato che Allie scherzasse quando le aveva proposto di andare in discoteca: non era certo il tipo che frequentava quel genere di feste e credeva che lei l’avesse capito. A dire il vero, non frequentava nessun genere di feste. Aveva rifiutato, adducendo la scusa di un impegno di famiglia improrogabile, ma Allie aveva insistito.

«Hai diciannove anni ormai» le aveva detto. «Sono certa che la tua famiglia non si lamenterà se esci con gli amici piuttosto che stare con loro.»

Era stato inutile ripeterle che no, non poteva andare. Allie aveva detto che si sarebbe presentata a casa sua e avrebbe convinto i suoi genitori a darle la serata libera, se Alice non fosse riuscita a convincerli da sola. Sapendo che loro non avrebbero fatto alcuna resistenza, ma anzi l’avrebbero incoraggiata a uscire e divertirsi, Alice si era trovata costretta ad accettare.

Aveva acconsentito con un tono poco invitante, ma era pur sempre una risposta positiva. Allie si rese conto che forse quello non era l’ambiente ideale per aiutarla a vincere la timidezza, che forse era troppo caotico e avrebbe dovuto procedere con più calma, ma era pur sempre una buona occasione.

Dopo aver convinto le due ragazze, Allie si infilò in doccia e, data l’ora ormai tarda, decise di saltare la colazione e aspettare direttamente il pranzo, nonostante lo stomaco brontolasse, richiedendo nutrimento.

Questa volta i suoi genitori sarebbero stati contenti: sapevano che era uscita con un ragazzo nei giorni precedenti, ma non conoscevano la sua identità. Allie non aveva voluto svelargliela, consapevole che poi la voce sarebbe volata fino a casa di Thomas. Avrebbero dovuto mettersi d’accordo su come dare la notizia, ma dopotutto non stavano nemmeno insieme: era chiaro che si piacevano, che provavano qualcosa l’uno per l’altra, ma non era ancora nulla di serio e non avevano mai affrontato quel discorso. Allie non aveva fretta di uscire allo scoperto: le piaceva quella segretezza, era elettrizzante.

Tuttavia, i suoi genitori avevano storto il naso quando si era rifiutata di fornire loro il nome del ragazzo che stava frequentando. Si fidavano di lei ed erano certi che non era un cattivo ragazzo, ma naturalmente restare all’oscuro li preoccupava.

Quella sera sarebbe uscita con Dafne – questo era tutto ciò che dovevano sapere – e si sarebbero rilassati.

Allie uscì dalla doccia e si asciugò velocemente, raccogliendo i capelli in una crocchia provvisoria per poter mettere a bollire l’acqua per la pasta. Poi tornò in bagno per asciugarli, senza impegnarsi troppo questa volta. Era inutile sforzarsi per dare una bella piega ai capelli, dato che con il movimento di quella sera e il caldo che avrebbe patito nella bolgia della discoteca non sarebbero durati più di mezz’ora.

Sentì la porta di casa aprirsi e dei passi che salivano le scale. «Allie?» Sua madre la stava chiamando.

«Eccomi» rispose, uscendo dal bagno e avvicinandosi a lei.

«Perché hai messo l’acqua sul fornello?» le domandò, scendendo in cucina ora che l’aveva trovata.

«Per la pasta?» ribatté. Era ovvio.

«Quante volte ti ho detto che ne mangi troppa? Non ti fa bene pranzare sempre con gli stessi cibi» la rimproverò. «Ora facciamo una bella zuppa.»

Allie sbuffò, guardandola mentre spegneva il fuoco e gettava l’acqua nel lavandino. Date le sue abitudini alimentari, Allie non era adatta all’Inghilterra. Preferiva una dieta mediterranea, ricca di sapori e alimenti variegati, alle classiche zuppe e ai bolliti inglesi.

«Sai che non so fare nient’altro» si giustificò.

«Allora vieni qui e osserva ciò che faccio» le rispose la donna. «Devi imparare a cucinare, non sei più una bambina. Come farai quando andrai a vivere da sola o quando ti sposerai?»

Sbuffando ancora, Allie si affiancò a lei. Era sempre la stessa storia: eppure sua madre era moderna, credeva nell’indipendenza femminile e rifiutava l’idea che il ruolo della donna fosse relegato alla vita domestica.

«Ordinerò al takeaway, oppure troverò un uomo che cucini al posto mio» affermò. Sapeva che la sua soluzione era molto improbabile: la prima opzione era decisamente costosa, la seconda era possibile ma non nel presente. Non che pensasse di arrivare a un tale livello con Thomas – sarebbe potuto anche succedere, sì, ma aveva solo diciannove anni, non si sarebbe certo sposata a quell’età – ma in quel caso doveva considerare che nemmeno lui era un mago ai fornelli.

«Non essere ridicola» la sgridò sua madre. «Tieni, taglia questo» disse, porgendole una cipolla.

* * *

Allie stava finendo di truccarsi e, per una volta, era in perfetto orario, quando il cellulare cominciò a squillare. Ricevere una chiamata poco prima di uscire, soprattutto se viene da qualcuno che si dovrebbe vedere entro pochi minuti, non è mai un buon segno.

«Ciao, Alice» rispose, incrociando le dita. Aveva un brutto presentimento.

«Allie, scusa ma non posso venire.»

«Cosa? Perché?» domandò, trattenendo un sospiro di frustrazione. «I tuoi ci hanno ripensato? Vuoi che venga lì?»

«No, non è quello. Non sto bene» rispose lei e in effetti la sua voce appariva ancora più debole del solito.

«Mi dispiace. Che cos’hai?» Quella mattina non aveva parlato di nessun malessere.

«Ho un po’ di febbre» spiegò la ragazza.

«Che sfortuna! Volevo presentarti Thomas e poi avresti potuto rivedere Dafne» sospirò Allie.

«Scusa» ripeté lei e questa volta sembrò davvero dispiaciuta.

«Riposati» le disse Allie. «E chiamami appena guarisci, così ci rivediamo un altro giorno» l’avvertì.

«Ciao» fu il suo ultimo saluto, prima di chiudere la chiamata.

Allie si guardò allo specchio. Non voleva essere cattiva, ma non poteva dire onestamente di crederle. Insomma, era chiaro che Alice non aveva voglia di uscire con lei quella sera e quella febbre era arrivata proprio al momento opportuno. Nella sua mente non poteva non nascere l’idea che fosse solo una scusa, una bugia che le aveva propinato per restarsene chiusa in casa. Tuttavia, se davvero le aveva mentito, Allie pensò che non sarebbe stato giusto sforzarla ancora. La prossima volta le avrebbe proposto qualcosa di più tranquillo.

Ritornò a truccarsi, consapevole di essere ora in ritardo.

Quando il campanello di casa suonò, infatti, si stava ancora vestendo. Cercò di sbrigarsi, infilando le scarpe mentre si sistemava la maglietta.

«Allie, c’è Dafne!» gridò sua madre dal piano di sotto. Non le rispose nemmeno, si affrettò solo a mettere i documenti e le chiavi in borsa, afferrò il telefono e uscì dalla stanza.

«Eccomi» disse, scendendo le scale. La sua amica la aspettava davanti alla porta d’ingresso: indossava un vestitino leggero e aveva raccolto i capelli in una coda alta. Fu contenta di vedere che si era preparata bene per quella serata, evidentemente era già più propensa a trascorrere la notte in discoteca in confronto a quel pomeriggio.

«Ciao» la salutò. «Noi andiamo, ho le chiavi quindi non serve che mi aspettiate. Buonanotte» si rivolse ai suoi genitori, prima di uscire con l’amica e richiudersi la porta alle spalle.

«Sbaglio, o sei più sexy del solito?» le domandò Dafne, guardandola negli occhi.

«Non ci provare» la ammonì, scuotendo un dito in segno di diniego davanti al suo volto. «Questa sera è per te, non per lui.»

«In questo caso, grazie» le sorrise. «Vuoi salire davanti?» chiese, fermandosi davanti alla macchina.

Allie avrebbe potuto accettare l’offerta, ma per mettere in evidenza come quella non fosse un appuntamento con Thomas quanto piuttosto un’uscita tra amiche, rifiutò e aprì lo sportello posteriore.

«Buonasera» l’accolse lui, voltandosi per guardarla. Allie ricambiò il saluto e si allacciò la cintura, permettendosi di fargli un rapido occhiolino che non gli sfuggì, perché lo vide sorridere.

«Alice non viene» li informò. «A quanto pare ha la febbre,» spiegò, «quindi possiamo andare direttamente al Silver Light

Thomas annuì e mise in moto, mentre Dafne si voltò per guardarla. «Ma non avevi detto che veniva, oggi pomeriggio?»

Lo sguardo di Allie fu una risposta più che eloquente. «Sì. Sembra che le sia salita improvvisamente.»

Dafne sospirò, risistemandosi al suo posto, consapevole che lei si era comportata allo stesso modo in passato. Quand’era una ragazzina sopraffatta dalla timidezza e dalla vergogna aveva inventato le scuse più fantasiose per non uscire e non doversi sottoporre a un continuo esame da parte di chiunque incrociasse il suo cammino. Poteva capire benissimo il timore di Alice nell’affrontare quella serata e non la biasimava per il suo comportamento, per quanto fosse comunque sbagliato, perché anche lei aveva lasciato vincere le sue paure più spesso di quanto non le piacesse ricordare.

«Thomas, chi hai invitato?» domandò Allie.

«Due miei compagni di corso, Robert e Phil» rispose lui. «Tu forse li conosci: sono venuti da noi un paio di volte» disse, rivolto alla sorella.

«Forse» gli concesse Dafne. «Ho una vaga immagine di tre ragazzi che giocano alla playstation.»

«Dubito che fossero loro, in questo caso» commentò Thomas. «Eravamo decisamente troppo cresciuti quando ci siamo incontrati per giocare ai videogiochi.»

«Ma tu ci giochi ancora» gli fece notare.

«Solo ogni tanto quando mi annoio. Non mi ritrovo con i miei amici a fare il nerd.»

«Che c’è di male nei nerd?» s’intromise Allie. Aveva sempre trovato adorabili quei ragazzini dolci e timidi che in pubblico non sanno di che cosa parlare ma tra loro sono esperti di mondi paralleli. Sicuro, potevano essere anche fastidiosi quando pretendevano di farla entrare in quei mondi, ma non li disprezzava di certo.

«Niente, ma non sono uno di loro» rispose lui con un’alzata di spalle. «E poi,» continuò, «usare il joystick è un buon allenamento per il movimento della mano in sala operatoria.»

«Anche supponendo che sia vero» ribatté Dafne. «Non sei a quei livelli.»

«Ancora» puntualizzò lui, cercando nello specchietto retrovisore gli occhi di Allie e, una volta che li ebbe trovati, le sorrise.

Quando passò davanti alla discoteca per raggiungere il parcheggio, Thomas scorse i suoi amici fermi all’ingresso, intenti a fumare. Dovette girare in tondo per cinque minuti prima di trovare un posto adatto, mentre le sue due compagne di viaggio gli indicavano strettoie improponibili o già occupate da una moto che arrivava a vedere solo all’ultimo momento.

Si sentì un po’ ridicolo a dirigersi verso la porta del locale tenendole entrambe a braccetto, ma lo avevano assillato finché non aveva dovuto cedere. Stavano camminando sulla ghiaia e volevano evitare di cadere e fare una brutta figura prima ancora di entrare.

«Non le terrai per te tutta la serata, spero!» esclamò Phil, salutando l’amico quando i tre li raggiunsero. Dafne e Allie si staccarono da lui, ora che avevano posato i piedi su un pavimento più sicuro.

«Phil, Robert,» li presentò, «questa è mia sorella Dafne, lei è Allie.» Lanciò uno sguardo a Robert, tentando di fargli capire che doveva tenere a freno la lingua. Era stato lui a prestargli l’appartamento e sin da subito non si era risparmiato frecciatine che a lui non facevano né caldo né freddo, ma che avrebbero potuto mettere Allie a disagio, soprattutto visto che non lo conosceva.

Che avesse intuito o meno ciò che Thomas voleva dirgli, Robert non disse nulla di imbarazzante e si limitò a salutarle con due baci sulle guance, come fece Phil.

«Entriamo?» domandò Allie.

Senza bisogno di rispondere, i due ragazzi si avviarono all’entrata con la carta d’identità in una mano e i soldi nell’altra. Una volta superata la porta, sembrò di essere in un'altra dimensione.

All’esterno si sentiva la musica, certo, ma in modo molto attutito. Dopo pochi passi il cuore sembrava aver cominciato a battere in accordo alla canzone, le orecchie parevano ovattate tanta era la confusione e la pista, non ancora completamente piena, vibrava a causa delle persone che vi ballavano sopra. Allie sorrise, stringendo il braccio di Dafne e trascinandola in mezzo alla folla. Si adeguò in fretta al ritmo con cui si muoveva chi la circondava e, come Dafne, si mise a ballare senza pensare a nient’altro. I capelli cominciarono a farle caldo in pochi minuti, ma non se ne preoccupò, continuando a saltare come se non ci fosse nient’altro da fare. È difficile dire quanto tempo passarono sulla pista; in quei momenti non si fa più riferimento alla regolarità dell’orologio, bensì alla sensazione di spensieratezza e quasi d’incoscienza che si raggiunge.

A un certo punto, quando ormai cominciava a mancar loro il respiro per via dell’afa e del movimento, sgusciarono fuori e incontrarono i tre ragazzi che, appoggiati al bancone, stavano bevendo.

«Cosa prendete?» domandò Phil mentre chiamava il barista con un gesto della mano.

«Un pesca-lemon» ordinò Dafne, sorridendo al ragazzo che le porse in un attimo il bicchierino.

«Un mojito» scelse invece Allie, sostenendosi alla spalla di Thomas. Osservò la sua amica che chiacchierava amabilmente con Phil e che, d’un tratto, svuotò il liquido in un colpo solo e posò il bicchierino vuoto sul legno. Ebbe un fremito, la sua tipica reazione quando beveva alcolici. Lanciò un rapido sguardo a suo fratello e a Allie, che se ne stavano vicini ma in silenzio.

«Voi non venite a ballare?» chiese ai due ragazzi. Non era interessata a nessuno dei due e sentiva che, anche se li avesse conosciuti meglio, la situazione non sarebbe cambiata. Tuttavia non voleva costringere i due neo-piccioncini a una serata insieme senza che avessero la possibilità di stare davvero insieme. Intuendo forse dove volesse andare a parare, la seguirono di nuovo in pista.

Allie aveva appena afferrato il suo bicchiere e le sarebbe servito del tempo per finirlo; non potevano lasciarla sola, quindi Thomas sarebbe dovuto rimanere con lei anche se non avesse voluto, e non era quello il caso.

* * *

Allie chiuse lo sportello dell’auto e scacciò subito le scarpe: le dolevano i piedi, dopo tutto quel tempo senza mai sedersi. Dafne non era in condizioni migliori, infatti si rilassò contro il sedile e chiuse gli occhi, sfinita. Thomas, che non poteva capire la loro situazione e aveva l’unico problema di essere stanco poiché non aveva potuto bere altro che una coca cola, uscì dal parcheggio e si diresse verso casa.

«Allora, ti sei divertita?» domandò Allie, allungando le gambe sul sedile.

«Sì» sospirò Dafne. «Anche se ora sento che potrei dormire per un giorno intero.»

Allie ridacchiò mentre si sistemava per stare più comoda. Nessuno parlò durante il viaggio di ritorno, il silenzio era rotto solo dalle canzoni tranquille che trasmetteva la radio.

Dafne si era davvero divertita, aveva apprezzato l’idea di Allie ed era riuscita a distrarsi. Aveva pensato a Michael solo per un istante e poi, ricordando che si trovava lì proprio per farlo uscire dalla sua testa almeno per un po’, aveva scacciato quell’immagine e aveva ripreso a ballare. Aveva passato una bella serata, aveva conosciuto due ragazzi simpatici che avrebbero potuto essere degli ottimi amici. Non avevano tentato nessun approccio, o perlomeno non le era sembrato, e aveva gradito la loro discrezione. Non era dell’umore adatto per flirtare con loro e nemmeno per respingerli.

Si riscosse dalle sue riflessioni quando l’auto si fermò: erano davanti alla casa di Allie.

«Grazie del passaggio» disse la ragazza, prima di salutare e scendere. Dafne guardò suo fratello: stava tentennando, sicuramente voleva augurarle la buonanotte da solo ma la sua presenza gli impediva di seguirla.

«Vai» lo incitò, indicando con un gesto del capo Allie che stava frugando nella borsa, probabilmente alla ricerca delle chiavi.

Lui obbedì di buon grado, uscendo dalla macchina e raggiungendola con poche falcate.

«Ehi» la richiamò.

«Ho dimenticato qualcosa?» gli domandò, confusa.

Lui annuì, accostandosi a lei. «Posso baciarti?»

Allie scoppiò a ridere, divertita. «Devi smettere di chiedermelo» lo ammonì, prima di passare una mano dietro il suo collo per avvicinarlo a lei. «Baciami» soffiò, a pochi centimetri dalle sue labbra.

Thomas non si fece pregare e catturò quella bocca delicata con la sua, in un bacio che significava molto. Era un ringraziamento per il suo continuo sostegno, un segno d’ammirazione per l’amicizia che dimostrava a Dafne, un gesto che voleva trasmettere i suoi sentimenti ancora confusi nei suoi confronti, ma anche un semplice atto dettato dall’attrazione che lo legava a quella giovane donna sorprendentemente bella e affascinante.

«Buonanotte» mormorò, guardandola negli occhi.

«Buonanotte» ripeté lei, regalandogli un ultimo sorriso.

Buongiorno!

Voglio ringraziare coloro che hanno inserito questa storia nelle seguite e coloro che l’hanno recensita, ma anche chi la sta leggendo silenziosamente.

Se volete leggere altri spoiler, questo è il mio account facebook, dove pubblico di tanto in tanto qualche frase.

Spero abbiate apprezzato questo capitolo e, se vi va, scrivetemi la vostra opinione.

Intanto, vi lascio qualche riga, nella speranza di incuriosirvi un po’.

«Hai intenzione a dedicarti solo a Alice, o posso convincerti a uscire anche con me un giorno?» chiese, sedendosi sul letto, a pochi passi da lei. «Non mi sembra giusto restringere la tua conoscenza della nostra famiglia a un solo membro» continuò.

Il prossimo capitolo arriverà tra una settimana, mercoledì 1 ottobre.

Buona giornata :)

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


cap 4
Bolle di felicità

A story of everyday life





Capitolo 7

Quella mattina, Allie era stata svegliata dalla suoneria del cellulare e, ancora una volta, era sua zia a chiamarla. Quel giorno non avrebbe dovuto andare a lavoro e quindi sua suocera, che si occupava della piccola Natalie quando sua madre era impegnata, aveva sfruttato l’occasione per andare a trovare un’amica. Il suo capo, però, l’aveva chiamata e le aveva quasi ordinato di presentarsi comunque in ufficio per terminare delle pratiche che erano state dimenticate nei giorni precedenti. Si trattava solo di un paio d’ore di lavoro, ma non poteva portare la bambina con sé. Così aveva chiesto ad Allie se poteva affidarla a lei. Rifiutare sarebbe stato impossibile in ogni caso, così aveva accettato e ora si ritrovava nuovamente al parco con la sua cuginetta.

Questa volta aveva chiesto ad Alice di accompagnarla e lei aveva acconsentito subito, con una rapidità che l’aveva sorpresa. Evidentemente nei due giorni scorsi era passata non solo la febbre, che le aveva impedito di andare in discoteca con loro, ma anche una parte della riluttanza che aveva nei confronti della loro amicizia.

Alice si sentiva in colpa per il modo in cui si era comportata. Non era malata, tuttavia aveva sentito una morsa allo stomaco per tutta la giornata, un’agitazione che non era riuscita a scacciare finché non aveva avvisato Allie della sua assenza. Sapeva che, una volta che fosse stata sicura di poter rimanere a casa, si sarebbe sentita meglio. Sapeva quindi che la sua difficoltà era puramente mentale e che, con una grande dose di buona volontà e coraggio, avrebbe potuto vincerla. Non ci era mai riuscita: anche quando si impegnava con tutta se stessa finiva quasi per avere un attacco di panico. Come sempre, anche quella sera decise che rinchiudersi in camera, pur consapevole che il rimorso l’avrebbe divorata, era la sua alternativa migliore.

Con il passare del tempo e l’allontanarsi di quell’occasione che la spaventava, Alice aveva riacquistato un po’ di coraggio e aveva deciso che, alla prima occasione, sarebbe uscita con Allie e avrebbe cercato di comportarsi con naturalezza, senza timori. Così, quando aveva ricevuto quella chiamata improvvisa quella mattina, non ci aveva nemmeno pensato. Aveva accettato e basta.

Aveva conosciuto Natalie, una bambina dolcissima che non la vedeva come una ragazza spaventata dalla vita, bensì come una semplice amica di sua cugina e che l’aveva presa subito in simpatia. Alice adorava i bambini per questa loro indole buona: guardavano il mondo con occhi felici e fiduciosi, non erano ancora corrotti dai pregiudizi e non provavano piacere nel ferire chi li circondava. Se solo fossero rimasti tutti bambini.

Allie non aveva mai parlato di quella serata, si era limitata a riferire il dispiacere di Dafne e a promettere un incontro nei giorni a venire. Avevano discusso invece del loro futuro e Alice si era ritrovata a parlare molto, dato che Allie le chiedeva continuamente informazioni sul suo corso di studi.

La madre di Natalie era passata a prenderla al parco non appena era riuscita a liberarsi, così Allie aveva accompagnato la sua amica a casa. Era entrata e ora le stava scaricando un programma per il computer di cui avevano parlato prima. Grazie a quel prodotto avrebbe potuto vedere anche vecchi documentari storici che altrimenti risultavano introvabili.

Alice era andata in cucina a prenderle qualcosa da bere, mentre lei era rimasta accanto al computer. Non restò sola, tuttavia, perché non appena la ragazza fu uscita dalla stanza un’altra persona entrò.

«Ciao, Allie» disse Nicholas. Lei si voltò e lo vide appoggiato alla porta.

«Buongiorno» lo salutò con un sorriso, prima di tornare a guardare lo schermo.

«Come stai?» le domandò, avvicinandosi.

«Bene, grazie» rispose lei, senza interrompere il suo lavoro. «Tu?» ribatté, per non essere scortese.

«Molto bene. Sono felice di rivederti.»

Allie alzò gli occhi al cielo, approfittando del fatto che lui non potesse vederla. Non poteva affrontarlo perché dopotutto non le stava dicendo niente di provocante, ma era chiaro che ci stava provando. Sentiva il suo sguardo sulla schiena e percepiva l’impazienza nella sua voce; voleva che si girasse e lo guardasse.

«Hai intenzione a dedicarti solo a Alice, o posso convincerti a uscire anche con me un giorno?» chiese, sedendosi sul letto, a pochi passi da lei. «Non mi sembra giusto restringere la tua conoscenza della nostra famiglia a un solo membro» continuò.

«Per ora mi basta Alice» si limitò a dire, cercando di non apparire scortese.

«Beh, dovresti considerare che, se uscissi con me, la tua amicizia con Alice sarebbe più salda.»

«Cosa ti fa credere che io abbia bisogno di uscire con te?» replicò allora, voltandosi verso di lui. «Non hai considerato che magari sto già uscendo con qualcun altro e quindi non posso accettare la tua proposta?»

«Questo non ti vieta di conoscere persone nuove, come me. Perché, sei fidanzata?»

Quella domanda posta a bruciapelo la fece tentennare un momento. Non era fidanzata, non aveva nemmeno un ragazzo dato che la storia con Thomas si stava ancora sviluppando e non avevano mai affrontato quel discorso. Tuttavia non era nemmeno libera, lei non si sentiva così.

«No, ma-»

La sua risposta fu bloccata dalla voce di Alice che stava tornando con due bicchieri di thè fresco.

«Nick» esclamò, stupita di aver trovato il fratello nella sua stanza. «Ne vuoi uno anche tu?»

Lui scosse il capo. «No, adesso esco» la informò, andandosene prima che Allie avesse il tempo di completare la sua frase.

Perfetto, pensò, sbuffando. Ora crede che io sia disponibile.

* * *

Allie guardò il cellulare, per l’ennesima volta. L’esame di Thomas doveva cominciare alle undici di quella mattina, ora era l’una e mezza passata e quindi doveva aver finito già da un po’. Quando gli aveva scritto per augurargli buona fortuna e ripetergli che era sicura che l’avrebbe passato, lui le aveva promesso di farsi sentire non appena fosse uscito dall’aula.

Suo padre l’aveva rimproverata per quella sua fissazione che non si era calmata nemmeno durante il pranzo, ricordandole che era tornato a casa appositamente per stare un po’ con lei, pur sapendo di avere poco tempo prima di doversi presentare nuovamente in ospedale.

Allie era dispiaciuta per quella sua apparente assenza, ma non riusciva a scacciare quel pensiero dalla sua testa. Non riusciva a smettere di pensare che magari lui non si faceva sentire perché l’esame era andato male e, dopo tutte le volte che lui le aveva confessato di faticare a concentrarsi a causa sua, si sentiva colpevole.

Finalmente, proprio mentre stava per bagnarsi le mani per lavare i piatti, il telefono cominciò a squillare. Se le asciugò velocemente e rispose.

«Ehi, sei a casa?» le domandò subito Thomas, con una voce indecifrabile.

«Sì.» Allie era confusa: cosa significava quella domanda? Stava per chiedergli com’era andata, ma lui la interruppe.

«Posso venire lì?»

«Sì, certo» acconsentì, dato che suo padre se n’era appena andato.

«Cinque minuti e sono da te» la avvisò, prima di chiudere la chiamata con un breve saluto.

Allie restò a fissare lo schermo oscurato del cellulare, senza capire cosa fosse successo.

Thomas fu da lei in pochissimo tempo, forse anche meno di cinque minuti. Allie uscì subito di casa, curiosa ma anche preoccupata da quella sua scarsità di parole. Quando lo vide scendere dall’auto, però, capì che era andato tutto bene. Thomas le sorrise e le si avvicinò, stringendola in un abbraccio con tanta foga da farla scoppiare a ridere.

«È stupefacente. Mi sembrava di non sapere niente e poi, quando ho avuto il foglio del test tra le mani, è come se mi si fosse aperto un mondo. Non credo di aver preso il massimo, ma non ci devo essere andato molto lontano» le raccontò, sorridente.

«Sono contenta, sapevo che ce l’avresti fatta» rispose Allie, guardando i suoi occhi luminosi di gioia.

«Stasera usciamo?» domandò, tenendola per le mani. «Voglio festeggiare.»

Allie annuì, senza parole. Non l’aveva mai visto così sollevato ed era felice di essere la prima persona da cui era corso e con cui voleva festeggiare.

«Andiamo al bowling» le propose. «E non ho dimenticato la mia promessa. Appena le previsioni meteo annunceranno un giorno caldo e soleggiato andremo a Bournemouth» continuò.

«Ti straccerò stasera» lo avvisò, sorridendogli.

«È una sfida?»

«Assolutamente sì» esclamò, alzandosi in punta di piedi per baciarlo. Era la prima volta che lo faceva. Fino a quel momento era sempre stato lui a fare il primo passo, talvolta chiedendole addirittura il permesso, e sebbene lei avesse sempre accettato e ricambiato il gesto non aveva mai preso l’iniziativa. Vedendolo così felice non era riuscita a trattenersi: condivideva quel sentimento e voleva farglielo capire nel migliore dei modi.

«Se è questa la ricompensa, credo che darò subito un altro esame» mormorò, posandole un bacio sulla punta del naso e stringendola nuovamente a sé.

Allie ridacchiò, la testa appoggiata al suo petto. «Quindi ora sei libero?»

«Sì, questo era l’ultimo» annuì. «Le lezioni riprendono tra più di un mese, quindi ora posso riposarmi.»

«E cos’hai intenzione di fare?» domandò, sospingendolo sulla sedia a dondolo e sedendosi accanto a lui.

Lui la fissò per un momento, come se si fosse perso nei suoi occhi, poi rispose: «Beh, non mi pare di essere l’unica persona che non ha programmi per l’immediato futuro, no?»

Allie scosse il capo, correggendolo. «Non ricordi cosa ti ho detto al nostro primo appuntamento?»

«Mi hai detto molte cose» ragionò. «A cosa ti riferisci?»

«All’immediato futuro» ripeté candidamente Allie, mettendolo alla prova. Thomas dovette riflettere per un po’: avevano davvero parlato molto quella sera, sdraiati sul tetto a guardare le stelle, ma trovò abbastanza in fretta ciò che voleva dire la ragazza.

«Vuoi trovarti un lavoro.»

«E tu mi hai parlato del Blue Secret» continuò lei, annuendo. «Voglio andare a informarmi.»

Allie ci aveva ragionato negli ultimi giorni e in quel momento la decisione che aveva preso le sembrava sempre più giusta. Era bello vedere una persona felice per i risultati raggiunti, indaffarata in un’attività che le impegnava corpo e anima, perché a dispetto della fatica necessaria per riuscire in quell’impiego, l’orgoglio che si prova alla fine dà un senso alla vita. Lo vedeva negli occhi entusiasti di Thomas, nei racconti dei genitori, nella voce di Alice da cui percepiva la passione per quell’insolito corso di studi, nelle parole di Dafne quando le capitava di leggere i suoi scritti.

Avrebbe voluto avere qualcosa di simile anche lei, qualcosa che la facesse faticare ma che la ripagasse appieno. Allie sentiva un vuoto dentro di sé quando si fermava a riflettere su questa questione. Non aveva ancora trovato nulla che l’entusiasmasse così tanto, nulla che la mettesse alla prova. Non aveva nemmeno un lavoro che la tenesse impegnata.

Le probabilità che il posto al Blue Secret fosse ancora libero e che venisse assegnato a lei erano esigue, ma aveva scelto di provare lo stesso. Non era certo il genere di impegno che aveva in mente, ma data la sua incertezza sull’identità di ciò che voleva davvero e la noia che la colpiva quando non aveva nulla da fare, era comunque una buona scelta. Avrebbe avuto qualcosa da fare, avrebbe impiegato il suo tempo finché non avesse capito cosa voleva davvero.

«Quindi vuoi abbandonarmi proprio ora che sono sempre disponibile?» mugolò Thomas, mettendo il broncio.

«Non posso mica starmene sempre a casa» ribatté ridendo.

«Vuoi che ti accompagni?» le domandò allora, posandole una mano sul ginocchio.

Allie lo ringraziò con un sorriso ma scosse la testa. «Voglio farlo da sola.»

«Adesso?»

«No, resta ancora un po’» rispose, stringendogli la mano e posando la testa sulla sua spalla.

Restarono così, in silenzio, senza preoccuparsi del fatto che chiunque passasse per strada poteva vederli.

«Thomas?» lo chiamò, quando un pensiero le attraversò la mente e la confuse.

«Cosa c’è?»

«Stasera siamo soli o ci sono anche i tuoi amici?» Aveva dato per scontato di essere l’unica invitata a quell’uscita al bowling, ma poi aveva considerato che forse lui progettava di festeggiare anche con coloro con cui aveva condiviso quella prova.

«Vuoi invitare qualcuno?» replicò, con voce titubante.

«Non hai risposto alla mia domanda» gli fece notare.

«Neanche tu.»

«Thomas!» lo richiamò, alzando il volto per incontrare i suoi occhi.

«Non pensavo di portare nessun altro» ammise. Allora lei annuì, sorridente. Non sarebbe stato un problema se avesse deciso di organizzare una comitiva di amici, ma l’idea che volesse solo lei le faceva piacere.

«La tua risposta?» insisté, curioso.

«No, non voglio invitare nessuno» lo rassicurò, avvertendolo stringere più forte la sua mano.

«Dovremmo entrare» considerò Thomas, osservando il cielo. «Sta per mettersi a piovere.»

Thomas aveva avuto ragione. Nel giro di pochi minuti avevano cominciato a scendere piccole gocce e poi, all’improvviso, sembrava di essere stati catapultati sotto una cascata. Aveva aspettato che la pioggia cessasse per un po’, ma dato che si stava facendo tardi decise di correre in auto e tornare a casa nonostante il maltempo. Sua madre lo stava ancora aspettando per il pranzo, sebbene fossero le due e mezza passate. Stranamente non aveva fame: prima era stata la morsa dell’agitazione a chiudergli lo stomaco, poi l’eccitazione per il buon risultato che era certo di aver conseguito.

Una volta sola, Allie tentennò. Avrebbe voluto andare in centro e controllare se al Blue Secret fosse ancora disponibile il posto, ma la pioggia smorzava un po’ il suo entusiasmo. Alla fine decise di andare comunque: prese l’ombrello più grande che aveva in casa e s’infilò in auto, incrociando le dita.

* * *

Il colloquio era andato bene, o almeno così pensava Allie, anche se non aveva alcuna esperienza in merito. Non aveva mai lavorato prima, non ne aveva mai sentito il bisogno dato che la sua famiglia era benestante e la scuola e le attività sportive la tenevano impegnata. Non aveva referenze, né un curriculum da presentare dato che aveva deciso così all’improvviso e, in ogni caso, non avrebbe saputo cosa scriverci. Tuttavia la proprietaria del bar non sembrava curarsene e le aveva spiegato sorridendo le mansioni che, se fosse stata assunta, avrebbe dovuto compiere. Quando Allie aveva affermato onestamente che pensava di riuscirci e che si sarebbe impegnata a fondo per migliorare dove non fosse stata sufficientemente abile, lei aveva annuito. Le aveva chiesto il numero di telefono e le aveva promesso che l’avrebbe chiamata entro un paio di giorni per farle sapere la sua decisione.

Allie se n’era tornata a casa soddisfatta: se anche non avesse ottenuto il posto, poteva almeno dire di averci provato. In quel caso, avrebbe continuato a cercare; ora che aveva fatto un primo colloquio, sentiva di poter proseguire senza problemi.

Thomas sarebbe passato a prenderla presto, verso le sei e mezza, così si era fatta una doccia veloce e aveva raccolto i capelli in una coda alta. Quello non era un appuntamento romantico quanto piuttosto un’uscita all’insegna del divertimento, l’importante era quindi stare comoda e non era necessario apparire troppo affascinante. Indossò dei semplici jeans e una maglietta e, per una volta in vita sua, poteva dire di essere veramente in anticipo. Erano le sei e venti e lei era già seduta in veranda ad aspettarlo.

Si stupì quando vide un’auto parcheggiare sul marciapiede vicino a casa sua e un ragazzo che si avvicinava al suo giardino. Quando non ci fu più la siepe a oscurarle la visuale lo riconobbe. Sapeva già che non era Thomas, non era la sua macchina e il proprietario era leggermente più basso. Era Nicholas.

«Ciao, Allie. Sei già fuori, perfetto» la salutò, andandole incontro.

«Che ci fai qui?» domandò, confusa, mentre si alzava.

«Sto andando in centro, mi chiedevo se ti andava di venire a bere un drink con me» spiegò, sorridendole.

Allie sbuffò. «Sto uscendo anch’io» disse.

«Potremmo approfittarne per uscire insieme» insisté lui.

«Con… un amico» continuò.

«E a quest’amico dispiacerebbe molto rimandare?»

«Dispiacerebbe a me» sbottò. «Quindi puoi andare» lo invitò, accompagnando le parole con un gesto della mano.

«Non hai proprio intenzione di darmi una possibilità?» tentò ancora, osservandola.

«Mi dispiace ma non sono interessata» rifiutò, mentre Thomas fermava l’auto a pochi metri da loro. Al rumore della ghiaia calpestata, Nicholas si voltò.

«È questo il tuo amico?» chiese, guardando il ragazzo scendere e ricambiare il suo sguardo, perplesso. Non aspettò nemmeno l’ovvia risposta, si avvicinò a lui e disse: «Ehi, è proprio urgente questa vostra uscita? Pensavo di portare Allie in centro.»

«Nicholas!» esclamò Allie, incredula, mentre Thomas la guardava.

«Che c’è? Se per lui non c’è problema…» ribatté, alzando le spalle.

«E tu chi saresti?» domandò Thomas, squadrandolo dall’alto in basso.

«Che tono! Potrei farti la stessa domanda» gli fece notare Nicholas, sostenendo il suo sguardo.

«Sono il suo ragazzo» replicò.

«Beh, mi sa che non la pensate allo stesso modo allora. Lei ha detto che sei un amico» gli rivelò, ghignando.

«Nicholas, vattene!» sbottò Allie, avvicinandosi a loro. «Adesso» ordinò.

Alzando le mani in segno di resa, lui obbedì, mentre camminava all’indietro per continuare a osservarli. Anche dopo che se ne fu andato, Thomas e Allie rimasero in silenzio.

Thomas era confuso, non aveva capito cosa fosse appena successo ma si sentiva furioso. Allie non sapeva che dire: l’ultima frase di Nicholas prometteva una lunga discussione e forse addirittura un litigio, in ogni caso non si prospettava niente di buono. Il clima felice di quel pomeriggio sembrava dimenticato.

«Thomas» sospirò, alzando lo sguardo. Incontrò i suoi occhi duri e un’espressione contratta, tanto che si zittì subito.

«Chi cazzo era?» Non l’aveva mai sentito parlare così, con una voce tanto secca e tagliente.

«È il fratello di Alice» cominciò, ma lui la interruppe subito.

«La tua amica timida? Beh, sembra che lui sia in grado di parlare per entrambi e anche di più.»

Lei annuì, incapace di sostenere il suo sguardo. Si sentiva colpevole: se lei si fosse fatta meno problemi, se non avesse temuto di apparire sgradevole e avesse messo subito in chiaro che non era interessata a lui e che stava frequentando qualcun altro, magari non sarebbe andata così.

«Non mi hai mai detto di averlo incontrato» sembrava un’accusa e forse lo era davvero.

«Non credevo ci fosse niente da dire» si giustificò. Stavano per litigare? Sembrava di sì.

«Mi sembra che ci sia molto da dire» ribatté lui.

«Non pensavo che facesse sul serio» disse, scuotendo la testa.

«Quindi non è la prima volta che ti chiede di uscire» constatò Thomas.

Allie rispose solo con un cenno del capo. Già dal loro primo incontro, Nicholas aveva iniziato a flirtare con lei. Non aveva mai ricambiato, ma effettivamente non lo aveva nemmeno respinto. L’aveva preso per un ragazzo spigliato e diretto, ma aveva sempre creduto che stesse scherzando. Non immaginava che potesse arrivare a comportarsi in un modo simile.

«Beh, se ha creduto che tu volessi uscire con lui e che io fossi solo un amico come un altro, tu non devi averlo allontanato. Probabilmente ti piaceva» sostenne, senza guardarla, mentre arretrava.

«No, Thomas…»

«Non sono in vena di uscire adesso» la bloccò, aprendo lo sportello dell’auto. «Ci vediamo» disse solamente, prima di ripartire in fretta.

Allie restò a guardarlo mentre si allontanava, ammutolita. Non aveva saputo dire nulla per giustificarsi, non era riuscita a spiegarsi e chissà cosa stava pensando lui in quel momento. Era chiaramente arrabbiato, non le aveva lasciato nemmeno il tempo di parlare. Rientrò in casa e si lasciò cadere sul divano, stanca.

Ce l’aveva con Nicholas per essersi presentato da lei e aver detto quelle cose, senza pensare alle conseguenze.

Ce l’aveva con Thomas perché non le aveva permesso di chiarire la situazione e ora probabilmente la reputava una ragazzina che non si accontentava di uscire solo con lui.

Ce l’aveva con se stessa per non essere stata diretta sin da subito con Nicholas.

Non riusciva a riflettere, troppi pensieri le affollavano la mente. Thomas si era offeso perché lo aveva definito un amico, ma lui come reputava il loro rapporto? Come l’avrebbe definita: un’amica o la sua ragazza? E ora la sua percezione era cambiata?

Afferrò il cellulare dalla borsa e scorse la rubrica. Aveva bisogno di parlare con qualcuno che la capisse e la confortasse, aveva bisogno di Dafne. Restò con il dito sollevato a mezz’aria. Dafne era la sorella di Thomas. Sarebbe stato giusto chiamarla e metterla in una posizione difficile?

No, certo che no. Richiuse il telefono, sospirando.

Doveva risolvere quel problema da sola.





Buongiorno!

Voglio ringraziare coloro che hanno inserito questa storia nelle seguite e coloro che l’hanno recensita, ma anche chi la sta leggendo silenziosamente.

Se volete leggere altri spoiler, questo è il mio account facebook, dove pubblico di tanto in tanto qualche frase.

Spero abbiate apprezzato questo capitolo e, se vi va, scrivetemi la vostra opinione.

Intanto, vi lascio qualche riga, nella speranza di incuriosirvi un po’.

Fu Alice ad aprirle. «Ciao, Allie» la salutò. «Avevamo un appuntamento?» le domandò, confusa, mentre la faceva entrare.
«No» la rassicurò lei, scuotendo il capo. «In realtà, sono qui per tuo fratello. Ho bisogno di parlargli» rivelò.
«Nicholas?» ripeté lei, ancora più perplessa di prima.
«Sì» annuì Allie. «È in casa?»

Il prossimo capitolo arriverà tra una settimana, mercoledì 8 ottobre.

Buona giornata :)


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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


cap 8
Bolle di felicità

A story of everyday life





Capitolo 8

Allie aveva dormito poco e male, si era svegliata di continuo, aveva fatto sogni agitati che non riusciva a ricordare e alle sei aveva ormai rinunciato a riaddormentarsi. Aveva aperto la finestra per far entrare la luce del sole nascente e si era seduta sul letto. Era rimasta così, in silenzio, per una quantità imprecisata di tempo. Con la mente continuava a ripercorrere l’episodio della sera precedente, l’improvvisa comparsa di Nicholas e quella specie di litigata con Thomas. Non era stato un vero e proprio litigio: lui aveva dimostrato di essere offeso e ferito ma non le aveva permesso di spiegare, se n’era andato arrabbiato senza capire davvero cosa fosse successo.

Mentre si rigirava nel tentativo di addormentarsi, quella notte, Allie aveva creato una dozzina di ipotetici discorsi con cui avrebbe potuto chiarire la situazione. Avrebbe ricostruito la storia dal primo momento, partendo dal giorno in cui si era presentata a casa di Alice per invitarla a fare una passeggiata e aveva incontrato il ragazzo. Avrebbe ripetuto, anche decine di volte se fosse stato necessario, che c’era stata un’incomprensione tra loro e, mentre Allie credeva che lui stesse solo scherzando, evidentemente Nicholas era più serio di quanto lei pensasse. Avrebbe sottolineato il fatto che però non lo aveva mai incoraggiato e, se per caso l’aveva fatto, era stato inconsciamente, perché lei non era affatto interessata. Lei era più che felice di frequentare solo Thomas e non le sarebbe nemmeno passato per il cervello di conoscere qualcun altro.

In tutti questi scenari, però, non aveva considerato che lui avrebbe potuto interromperla come aveva fatto la sera prima, che magari non avrebbe voluto ascoltarla e difficilmente poteva imbavagliarlo e legarlo a una sedia finché non avesse finito il suo discorso.

A un certo punto, incapace di dormire e trovare un metodo valido per risolvere il problema, aveva avuto la tentazione di chiamare Dafne. Ma di nuovo aveva desistito. Era certa che Thomas non le avesse detto niente e che, avendo l’occasione di raccontarle tutto in prima persona, lei l’avrebbe convinta e avuta dalla sua parte. Tuttavia non sarebbe stato giusto porla tra di loro, costringendola a scegliere uno dei due se la questione non si fosse risolta con facilità.

Questo era proprio uno dei motivi per cui aveva tentennato e si era presa un paio di giorni per decidere se accettare o meno la proposta di Thomas di uscire insieme, quando glielo aveva chiesto per telefono. Avrebbe potuto sicuramente sopportare una delusione se tra di loro non si fosse creato un rapporto duraturo, ma lui era pur sempre il fratello della sua migliore amica. Aveva dovuto considerare che, in caso fosse finita male, Dafne si sarebbe trovata in una posizione imbarazzante e lei non voleva perderla. Alla fine aveva deciso di provare comunque: erano due adulti e quindi dovevano essere in grado di comportarsi civilmente in ogni caso. Era ancora fermamente convinta della sua scelta, non aveva rimorsi ma era certa che sarebbe stata piena di rimpianti se avesse agito diversamente. E poi Thomas le piaceva davvero, la faceva stare bene e non le chiedeva mai troppo. Nonostante quel problema di cui avrebbe fatto volentieri a meno, aveva apprezzato molto il loro rapporto fino a quel momento.

Sarebbe andata a parlargli e avrebbe insistito finché lui non avesse ascoltato ogni sua parola. C’era però anche un’altra questione da risolvere: Nicholas.

Non era disposta a rischiare che la scena si ripetesse, né ad aspettare che lui si rifacesse vivo per sgridarlo. Forse la soluzione migliore era quella di recarsi a casa sua e dirgli chiaro e tondo che non era interessata a lui e che con ogni probabilità non lo sarebbe mai stata, nemmeno se le cose con Thomas non avessero funzionato. Indipendentemente dal caso particolare in cui si trovava, non avrebbe mai apprezzato un ragazzo che si comportava con tanta strafottenza come quella che aveva dimostrato di avere lui. Gli avrebbe intimato di smettere di flirtare con lei e di cercare qualcun’altra, perché così stava perdendo il suo tempo.

Si rendeva conto che quella discussione avrebbe potuto mettere in imbarazzo Alice, perché dopotutto aveva conosciuto suo fratello solo perché si era interessata a lei, ma in quel momento non le importava. Aveva imparato a voler bene ad Alice, al suo cuore timido ma generoso, tuttavia non era la sua priorità. Avrebbe mantenuto i rapporti, se anche lei l’avesse voluto, ma dovendo scegliere tra Alice e l’amica di sempre con il ragazzo che le piaceva, non aveva dubbi.

Era ancora presto, ma non ne poteva più di aspettare. Cominciò a vestirsi e scese per fare colazione, stupendo i suoi genitori per la sua presenza in cucina a quell’ora. Disse di avere un impegno in centro per un colloquio di lavoro, dato che la sera prima non aveva raccontato di essere già andata al Blue Secret. Non parvero convinti, la sua faccia non riusciva a liberarsi di quell’espressione stanca e un po’ triste con cui si era svegliata.

Decise di andare a piedi, ci avrebbe messo più tempo – nonostante Nicholas abitasse alquanto vicino a lei – e avrebbe avuto più probabilità di trovarlo sveglio. Non sapendo se lavorasse o avesse altre occupazioni che lo costringevano ad alzarsi presto, non poteva essere certa di trovarlo a quell’ora.

Nel giro di venti minuti era arrivata e ora stava bussando alla porta d’ingresso. La sua sicurezza aveva iniziato a vacillare: non era mai stata un’amante delle scenate e ancora non sapeva come si era convinta a presentarsi a casa sua per affrontarlo, ma sapeva anche che doveva farlo.

Fu Alice ad aprirle. «Ciao, Allie» la salutò. «Avevamo un appuntamento?» le domandò, confusa, mentre la faceva entrare.

«No» la rassicurò lei, scuotendo il capo. «In realtà, sono qui per tuo fratello. Ho bisogno di parlargli» rivelò.

«Nicholas?» ripeté lei, ancora più perplessa di prima.

«Sì» annuì Allie. «È in casa?»

«Sì, sta facendo colazione» rispose, voltandosi verso la cucina e chiamandolo.

Allie sentì lo stridio di una sedia che strisciava sul pavimento e poi lo vide comparire sul vano della porta. Si bloccò con una fetta biscottata in mano, guardandola. Lei gli rivolse solo un cenno del capo accompagnato da poche parole: «Dobbiamo parlare.»

Appoggiata la colazione sul tavolo, lui le si avvicinò in silenzio mentre Alice, che non ci stava capendo niente, scelse di tornare in cucina.

«Buongiorno» la salutò. Sembrava un’altra persona: non aveva nessun sorriso malizioso, il suo tono era calmo e non più sfacciato, anche il suo atteggiamento sembrava meno ricercato.

«Sono venuta solo per chiarire un paio di cose» cominciò, ma lui la interruppe subito.

«Si tratta di ieri sera? Perché se è così-»

«Sì, e ora lasciami parlare, per favore» quasi sputò quelle due parole, irritata. Cos’era questa mania di bloccarla di continuo? Prima Thomas, ora lui. Voleva essere ascoltata.

«Io sono venuta qui per Alice, perché l’ho conosciuta al liceo e voglio creare un’amicizia che, per vari motivi, non è nata negli anni passati. Alice. Non te. Non voglio troncare da subito il rapporto di fiducia che sta crescendo tra di noi, ma se continui a comportarti in questo modo sarò costretta a farlo e quando tua sorella si chiederà perché me ne sono andata, tu sarai il responsabile. Quindi, se non hai la capacità di rispettare i desideri altrui, prova almeno a farlo per lei.»

Nicholas aprì la bocca e stava per risponderle, ma lei lo zittì. «Non ho finito. Ti ho detto che Thomas è un amico perché abbiamo cominciato a frequentarci da poco e non abbiamo ancora deciso come definirci, ma questo non significa che sia un amico come tutti gli altri. Lui mi piace e no, non ho intenzione di conoscere nessun altro per fare un confronto. Mi basta lui, ora. E se anche in futuro cambiassi idea, sarà una mia scelta. Quindi smettila di flirtare con me, di chiedermi di uscire o di vedere nelle mie parole più di quanto non ci sia. Se non ti ho rifiutato brutalmente prima è solo perché finora ho cercato di essere gentile e rispettosa, ma ieri sera hai superato il limite. Non m’importa se sei il fratello di Alice, non m’importerebbe se fossi il principe ereditario: devi smetterla.»

Era risultata più dura di quanto non si proponesse, ma interrompendola aveva scatenato la sua irritazione e risvegliato l’ira della sera precedente.

Ora che aveva terminato di parlare, lui continuava a rimanere in silenzio.

«Posso?» domandò poi, per assicurarsi che avesse finito. Allie annuì, sbuffando.

«Stavo per chiederti scusa. So di aver esagerato ieri sera: ero un po’ brillo e, anche se so che non è una giustificazione, è uno dei motivi principali per il mio comportamento» spiegò.

«Non erano nemmeno le sette» gli fece notare, scettica. Il suo sguardo, però, sembrava sincero.

«Ero stato in giro con un amico…» disse, come se questo potesse chiarire il fatto che fosse mezzo ubriaco a un orario simile. «Comunque, mi dispiace. L’idea di venire da te ce l’avevo già, non avevo capito che i tuoi tentativi di schivare le mie proposte fossero così seri. Per quanto riguarda ciò che ho detto, invece, temo che l’alcol tiri fuori il peggio di me» continuò. «Non ti starò più tra i piedi, giuro. Se in futuro cambierai idea, sai dove trovarmi, ma per ora rinuncio.»

«Sul serio?» chiese, esitante. Non pensava che sarebbe stato così facile, che lui si sarebbe scusato subito e avrebbe accettato le sue parole.

Ma Nicholas annuì. «Scusami anche con…» rifletté, ma non riuscì a ricordare il nome, «lui

«Thomas.»

«Thomas» ripeté, trattenendo un sorriso. «Spero di non aver creato problemi tra di voi.»

Allie distolse lo sguardo. Non voleva rivelargli ciò che era successo, era una questione personale di cui nessuno era a conoscenza e certo lui non sarebbe stata la prima persona che avrebbe informato.

«Mi auguro che tu sia fedele alla tua parola» disse, prima di voltarsi e aprire la porta, urlando un saluto ad Alice mentre usciva.

Per raggiungere la casa di Thomas doveva passare nuovamente davanti alla sua e poi camminare per un bel tratto di strada, almeno trenta minuti. Non sarebbe stato un problema, aveva deciso di andare a piedi per avere il tempo di pensare e calmarsi, ma mentre si avvicinava alla sua abitazione si rese conto di voler fare qualcosa di particolare. Non voleva limitarsi a delle scuse verbali, voleva fargli capire che era davvero dispiaciuta di quell’incomprensione – perché pensandoci bene non era nient’altro, anche se era comunque colpa sua – con un gesto che lo sorprendesse. Ricordando le loro lunghe conversazioni nel tentativo di trovare un dettaglio che l’aiutasse, Allie si soffermò su una caratteristica che avevano scoperto di avere in comune: nessuno dei due sapeva cucinare.

Non si sarebbe certo buttata a capofitto in esperimenti che non le sarebbero certamente riusciti, ma suppose che un piccolo tentativo non avrebbe fatto male. Dopotutto era presto e aveva ancora molto tempo per raggiungerlo, non erano nemmeno le nove di mattina.

Invece di proseguire, svoltò a destra nella stradina che conduceva a casa sua e rientrò. I suoi dovevano essersene appena andati e Allie si ritrovò a pensare che ultimamente era stata molto fortunata da quel punto di vista: quando doveva incontrarsi con Thomas o aveva qualcosa da fare, come in quel momento, non c’erano mai.

Prese il libro di ricette di sua madre e cominciò a sfogliarlo, alla ricerca di un dolce semplice e veloce che le permettesse di fare bella figura e di non bruciare la cucina. Alla fine optò per dei semplici biscotti con gocce di cioccolata: li aveva mangiati solo un paio di volte dato che sua madre preferiva creare prodotti più complessi, ma ricordava il loro buon sapore e la preparazione sembrava alla sua portata.

Si raccolse i capelli e infilò un grembiule, controllando di avere tutti gli ingredienti. Con un sospiro, cominciò a mescolare zucchero, burro e uova, sperando con tutto il cuore che i suoi sforzi fossero ripagati.

* * *

Allie stava osservando il suo lavoro con un sorriso. I biscotti erano riusciti alla perfezione, non aveva bruciato nulla – alcuni erano solo leggermente tostati – ed emanavano un profumino invitante. Ne assaggiò uno, giusto per essere sicura che anche il loro sapore fosse come ricordava, e ne fu soddisfatta: erano morbidi ma non eccessivamente friabili, si sentiva la cioccolata ma anche un pizzico di vaniglia. Li sistemò in una vaschetta di plastica, aggiungendo a mano a mano anche lo zucchero a velo, che chiuse con un coperchio arancione. La infilò in borsa, attenta a non farla rovesciare, e si avviò verso l’auto.

Aveva impiegato quasi un’ora e mezza per ottenere quel risultato, andando con calma per non sbagliare, e ora non voleva ritardare ancora il suo incontro con Thomas. Mentre osservava i biscotti lievitare nel forno, aveva ripetuto ancora una volta ciò che programmava di dirgli e ormai si sentiva sicura di sé, certa che lui avrebbe capito.

Quando si trovò a bussare alla porta di casa sua, però, si rese conto che c’era qualcosa che non aveva previsto. Fu Martha ad aprirle, sorpresa di trovarla lì. Senza rendersi conto che la sua richiesta era impossibile da accontentare, Allie se ne uscì con la solita frase di circostanza. «Buongiorno, c’è Dafne?»

«No, Dafne è a lavoro» le rispose la donna, stupita che lei non lo sapesse. Ovviamente Allie lo sapeva, in un remoto angolo del suo cervello doveva esserci quell’informazione, ma non l’aveva presa in considerazione. Aprì la bocca per ribattere ma dovette richiuderla, senza parole. Cosa avrebbe potuto dirle per convincerla a farla entrare senza tirare di mezzo Thomas?

«Oh, giusto, che scema che sono» esclamò, cercando di guadagnare tempo. «Vedi, io…» spostò lo sguardo, alla ricerca di un’ispirazione. «Io non trovo più una delle mie maglie e ieri sera Dafne mi ha detto che potevo passare a vedere se magari ce l’aveva lei» inventò. «Forse è finita nella sua valigia quand’eravamo in vacanza.»

Martha assentì mentre si faceva da parte per farla entrare. «Vuoi che ti aiuti?» domandò, gentile e disponibile come sempre. Allie però aveva già notato l’aspirapolvere sul pavimento del salotto e lo straccio sopra la tavola.

«No, grazie, non ce n’è bisogno. Non voglio rubarti altro tempo» la rassicurò, accennando alle sue pulizie.

«Se sei sicura…»

Lei annuì energicamente, compiendo un piccolo passo verso le scale.

«Vai pure a cercarla e non farti problemi se ti serve aiuto» le ripeté la donna, tornando al suo lavoro.

Con un sospiro di sollievo, Allie salì le scale ed entrò nella camera dell’amica. Posò la borsa sul letto e si guardò intorno, indecisa. Abituata ad avere la casa vuota per gran parte della giornata, non aveva considerato che avrebbe potuto esserci la madre di Thomas in giro. Uscì dalla stanza senza far rumore e si avvicinò alla porta davanti, chiusa. Bussò un paio di volte ma nessuno rispose. Si decise quindi ad aprirla, sebbene il silenzio le indicasse già che non c’era nessuno dall’altra parte. La camera di Thomas era infatti vuota.

Delusa, con pochi passi si ritrovò nella stanza di Dafne e, chiusa la porta, si adagiò sul letto. Avrebbe dovuto aspettare? Quando sarebbe tornato? Non poteva certo chiederlo a Martha, lui non le avrebbe mai perdonato il fatto di averle svelato che si stavano frequentando, soprattutto dato che non si erano lasciati nel migliore dei modi la sera precedente.

Avrebbe dovuto chiamarlo? Voleva fargli una sorpresa e poi non era sicura che lui sarebbe tornato a casa subito, sapendo che lei era lì.

Ormai era stesa lì da cinque minuti e cominciava a preoccuparsi. Insomma, non poteva mica restare in quella stanza per tutta la mattina senza insospettire la donna al piano di sotto! Aveva passato ore a immaginare il loro incontro, le parole che gli avrebbe detto, e ora non lo trovava nemmeno.

Stava per rinunciare e tornare più tardi con un’altra scusa quando sentì la porta d’ingresso sbattere e dei passi frettolosi salire le scale. Doveva essere lui, tanto più che lo udì entrare nella sua stanza. Si alzò in piedi e si sistemò freneticamente capelli e vestiti mentre prendeva un respiro profondo, poi uscì in corridoio. Lui l’aveva già superata e si stava dirigendo verso l’ultima porta, quella del bagno.

«Thomas» lo chiamò, prendendolo di sorpresa e costringendolo a voltarsi. Evidentemente non aveva notato la sua auto nel vialetto.

«Che ci fai qui?» Non aveva usato un tono rude come quello della sera precedente, ma nemmeno gentile come quello di un tempo.

«Devo parlarti» rispose, compiendo un passo verso di lui.

«Tu non devi fare proprio niente, io invece devo farmi una doccia» ribatté, aprendo la porta che aveva davanti.

«Ma io voglio parlarti» replicò allora lei.

«Devo lavarmi» ripeté Thomas, chiudendosi in bagno.

Sbuffando, Allie rimase sola nel mezzo del corridoio. Ora che lui era tornato non voleva andarsene, ma non voleva neanche aspettarlo. Certo, lui sarebbe uscito nel giro di qualche minuto, poteva già sentire l’acqua che scorreva. Thomas si stava comportando come un bambino: rifiutare di parlarle, sbatterle la porta in faccia… Erano adulti, dovevano essere in grado di discutere dei loro problemi senza fare quelle inutili scenate.

Agendo d’impulso e quasi senza rendersi conto di ciò che stava facendo, entrò anche lei nel bagno.

«Che fai?» esclamò lui, voltandosi a guardarla. Non poteva vederla bene dato che il vetro della doccia era lavorato in modo da impedire una chiara immagine di chi si trovava dall’altra parte, ma sapeva che era lei.

«Voglio parlare» insisté, puntando lo sguardo dove vedeva la forma sfocata della sua testa e imponendosi di non spostarlo da lì.

«Proprio adesso?»

«Troveresti un’altra scusa anche dopo» lo accusò, appoggiandosi con la schiena alla porta. Lo sentì sospirare mentre riprendeva a lavarsi.

«Quella di ieri è stata solo un’incomprensione, non c’è mai stato niente tra me e Nicholas e non ci sarà mai» iniziò, ma lui la interruppe.

«Lo so.»

«Cosa vuol dire “lo so”? Perché ti stai comportando così allora?» domandò, sorpresa. Ormai era chiaro che quel giorno nulla poteva andare come aveva immaginato.

«So che non c’è stato niente, ma tu hai comunque scelto di non dirmi che lui ci stava provando con te e non l’hai respinto, quindi non posso fare a meno di pensare che dopotutto non ti desse così fastidio.»

«Se mi avessi lasciato il tempo di spiegare, forse avresti capito» l’accusò, prima di cominciare a parlare. «L’ho conosciuto quando sono andata a casa di Alice per la prima volta. Se ci ripenso adesso, è chiaro che ha iniziato fin da subito a flirtare con me, ma io non me ne ero accorta. Cioè, ovviamente avevo notato le frecciatine e gli inviti velati a uscire con lui per conoscerlo, ma credevo che scherzasse. Lui non m’interessava e quindi non avevo nemmeno pensato che io potessi interessare a lui. Quando è diventato più esplicito, non volevo essere troppo dura e rifiutarlo perché è il fratello di un’amica e non volevo incrinare l’amicizia che è appena nata tra di noi. Non pensavo che sarebbe arrivato a tanto.»

Thomas rimase in silenzio per qualche istante, riflettendo sulle sue parole, e Allie cominciò a pensare che si fosse finalmente reso conto che non doveva preoccuparsi, ma le sue speranze morirono udendo la sua domanda. «Anche io sono il fratello di una tua amica. È per questo che non hai rifiutato il mio invito?»

«Non essere ridicolo» sbuffò. «Ho accettato di uscire con te perché volevo farlo e, se ci pensi un attimo, non mi sono fatta problemi a rifiutarti in passato.»

Thomas dovette ammettere che aveva ragione e, chiudendo l’acqua, si avvolse in un asciugamano. «Quindi io dovrei ignorare il fatto che quel tizio ti ha chiesto di uscire davanti a me, come se fossi uno che passava per caso?»

«Sono andata da lui stamattina: si scusa, ha detto che era un po’ brillo e che d’ora in poi mi lascerà in pace» rivelò Allie. I suoi occhi non riuscirono più a mantenere la promessa che aveva fatto quand’era entrata e percorsero senza volerlo il corpo di Thomas mentre lui usciva dalla doccia. Aveva addosso un asciugamano che lo copriva dalla vita in giù, ma il petto era completamente scoperto. Non lo vedeva senza maglietta da anni e fu grata di poter godere di quella visione in quel momento: non avrebbe voluto restare con la bocca spalancata come un’idiota al mare, davanti a decine di persone.

«Sei andata da lui?» chiese Thomas, sentendo una fitta di gelosia allo stomaco. Non riusciva a mandar giù l’idea che Allie si fosse presentata prima da Nicholas e poi lì.

«Sì» annuì lei, distogliendo lo sguardo da tutta quella pelle scoperta per puntarlo sul suo volto. «Volevo mettere le cose in chiaro.»

Lui annuì, ma Allie non poté fare a meno di notare che aveva lo sguardo perso e non sembrava convinto di ciò che gli aveva detto. «Siamo a posto?» chiese, avvicinandosi e cercando di incontrare i suoi occhi.

«No, non credo» negò lui.

«Perché?» Quell’interrogativo le era uscito con un tono più scoraggiato di quanto non volesse.

«Io sono tuo amico?» le domandò, guardandola finalmente negli occhi alla ricerca di una risposta.

«Certo» rispose subito lei, senza nemmeno pensare a ciò che nascondeva quella domanda.

Lui scosse la testa. «No, Allie, io non sono tuo amico» la corresse. «Dafne è tua amica, Alice è tua amica, Robert e Phil potrebbero essere tuoi amici ma io non sono un tuo amico.»

Aveva capito dove voleva andare a parare. Ricordava la frase che Nicholas aveva detto la sera precedente, quando lui si era definito il suo ragazzo.

“Mi sa che non la pensate allo stesso modo, allora. Lei ha detto che sei un amico.”

«E cosa sei?» ribatté. «Il mio ragazzo? Quando l’abbiamo deciso?»

«Avrei dovuto chiedertelo?» replicò lui, scettico. Non avevano sei anni, non le avrebbe mandato un bigliettino chiedendole di diventare la sua fidanzatina come avrebbe fatto alle elementari.

«Non sapevo che avessimo deciso di essere una coppia» insisté lei. Non pretendeva una dichiarazione romantica o un gesto plateale, ma lui non aveva mai accennato al fatto che la loro relazione avesse raggiunto quel punto.

«Abbiamo superato da un pezzo l’amicizia, se non te ne sei accorta» le fece notare.

«Vuoi dirmi che ogni volta che hai baciato una ragazza, poi ti sei definito il suo fidanzato?» chiese Allie.

«Non sono il tuo ragazzo semplicemente perché ti ho baciata» spiegò, posando una mano sul suo collo. «Noi stiamo bene insieme, sappiamo ridere ma anche aiutarci quando c’è un problema, possiamo stare anche in silenzio e non ci pesa. La prima cosa che ho fatto, quando ho superato l’esame che mi ha tormentato per settimane, è stata venire da te. Credi che mi comporterei così se fossi un’amica qualsiasi?»

Allie scosse il capo, comprendendo le sue parole. «Quindi, quand’è che siamo diventati più che amici?»

Thomas sorrise, accarezzandole le labbra con il pollice. «Non credo che possiamo definire un giorno esatto, è successo e basta.»

Allie ricambiò lo sguardo mentre ricordava una frase che l’aveva colpita mentre, studiando per gli esami di fine anno, leggeva il libro di letteratura.

«I cannot fix on the hour, or the spot, or the look, or the words, which laid the foundation. It is too long ago. I was in the middle before I knew that I had begun*» recitò a bassa voce, mentre lo vedeva avvicinarsi sempre di più a lei. Finì a mala pena di parlare che già le sue labbra avevano raggiunte le sue e l’avevano travolta in un bacio che avrebbe ricordato per lungo tempo.

Era il primo bacio che riceveva con la consapevolezza, e non solo la percezione, che Thomas provava per lei un affetto profondo, tanto che la definiva “la sua ragazza” e dimostrava una gelosia irritante ma anche lusinghiera nei suoi confronti.

Lo strinse a sé, passando le mani sulla sua schiena nuda, avvertendo il suo petto umido che le bagnava la maglia e i suoi capelli che le gocciolavano addosso.

Si sentì pervadere da una sensazione di benessere e gioia, le sembrava di essere in una bolla di sapone che la proteggeva da ogni preoccupazione e le permetteva di essere puramente, completamente felice.

Allontanandosi da quella bocca tentatrice per riprendere fiato, mentre Thomas scendeva sul suo collo e si soffermava su quel punto che amava tormentare, Allie si rese conto che anche lui era felice. Non solo emotivamente. Non l’aveva mai visto, o sentito, così felice.

*Orgoglio e Pregiudizio: Non so dire l'ora, il luogo, lo sguardo, o le parole che hanno posto le basi. È stato troppo tempo fa. Mi ci sono trovato in mezzo prima di accorgermi che fosse cominciato.

Buongiorno!

In questi ultimi giorni ho notato che il numero di coloro che seguono questa storia sta lentamente salendo e, sebbene sia comunque esiguo in confronto a molte altre storie presenti su questo sito, per me siete comunque importantissimi e questo fatto mi rende immensamente felice e orgogliosa.

Voglio ringraziarvi tutti, perché sapere che qualcuno apprezza ciò che scrivo mi fa sempre piacere e mi aiuta nei momenti in cui la stanchezza e la frustrazione mi spingerebbero altrimenti a mollare tutto.

Ringrazio in particolar modo coloro che dedicano qualche minuto della loro vita per farmi sapere ciò che pensano dei capitoli, riuscite sempre a strapparmi un sorriso.

Nei primi capitoli pubblicati c’è il link a un gruppo facebook che non esiste più, ho scelto di eliminarlo perché i membri seguivano una storia di un paio di anni fa e purtroppo non sono in contatto con loro da molto tempo.

Qui potete trovare il mio account facebook, aggiungetemi :)

Stavo pensando di aprire un nuovo gruppo dedicato solo a “Bolle di felicità”, quindi fatemi sapere se vi piace l’idea e se vorreste farne parte. Scrivetemi anche per messaggio privato se non vi va di lasciare una recensione completa, non c’è nessun problema per me.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, nel frattempo vi lascio il solito spoiler che spero vi incuriosisca:

«Hai intenzione di darmi del lei ancora per molto?» domandò, avvicinandosi. «Non sono poi così vecchio.»
Dafne lo osservò: aveva i capelli corti e accuratamente pettinati, una barbetta appena accennata che evidenziava i lineamenti regolare del suo volto, lunghe ciglia scure che circondavano gli occhi di quel colore intenso che aveva già notato. Nonostante l’aria curata e matura, non doveva avere più di venticinque anni.
«Di solito non do del tu ai clienti» si giustificò, concentrandosi sul computer.

Il prossimo capitolo arriverà tra una settimana, mercoledì 15 ottobre.

Buona giornata :)


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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


cap 9

Dov’erano rimasti?

Era il primo bacio che riceveva con la consapevolezza, e non solo la percezione, che Thomas provava per lei un affetto profondo, tanto che la definiva “la sua ragazza” e dimostrava una gelosia irritante ma anche lusinghiera nei suoi confronti.
Lo strinse a sé, passando le mani sulla sua schiena nuda, avvertendo il suo petto umido che le bagnava la maglia e i suoi capelli che le gocciolavano addosso.
Si sentì pervadere da una sensazione di benessere e gioia, le sembrava di essere in una bolla di sapone che la proteggeva da ogni preoccupazione e le permetteva di essere puramente, completamente felice.
Allontanandosi da quella bocca tentatrice per riprendere fiato, mentre Thomas scendeva sul suo collo e si soffermava su quel punto che amava tormentare, Allie si rese conto che anche lui era felice. Non solo emotivamente. Non l’aveva mai visto, o sentito, così felice.

Bolle di felicità

A story of everyday life





Capitolo 9

Allie trattenne il respiro, sorpresa da quell’inaspettato contatto. Lui non sembrò accorgersene, troppo concentrato ad assaporare la sua pelle. Ritornò sulla sua bocca, richiedendo un altro bacio che Allie non si sognò nemmeno di rifiutare, ma che dovette interrompere quando lui si pressò nuovamente addosso a lei, permettendole di sentirlo ancora una volta.

«Thomas» boccheggiò, spostando le labbra sulla sua guancia. Lui si scostò appena, giusto i centimetri necessari per allontanare quella parte del suo corpo da lei.

«Scusa» mormorò, incapace di fornire altre giustificazioni.

Allie scosse appena la testa, rassicurandolo, prima di baciarlo di nuovo. Era rimasta stupita perché non aveva pensato a quell’evenienza, non perché fosse qualcosa di inopportuno. Thomas era in bagno, nudo, coperto solo da un asciugamano, e la stava baciando con passione dopo averle detto che, per lui, lei era molto più che un’amica. La sua era una reazione naturale e impossibile da biasimare, tanto più che nemmeno Allie poteva dire di non trovare tremendamente eccitante quella situazione.

La loro relazione però era appena cominciata, era troppo presto per fare un simile passo e, anche se così non fosse stato, quello non era certo il luogo né il momento adatto.

«Ti aspetto in camera» lo avvertì, staccandosi dalle sue labbra e guardandolo negli occhi. «C’è una sorpresa» annunciò, sorridente.

«Cosa?» domandò lui, incuriosito. Non era nuova, tra loro, l’usanza di fare una sorpresa, ma fino a quel momento era sempre stato lui l’artefice e lei la beneficiaria.

«È una sorpresa» ripeté, sgusciando fuori dalla sua presa e poi dal bagno. Prese la borsa, che aveva lasciato in camera di Dafne, e attraversò il corridoio per sedersi sul letto di Thomas. Sentiva ancora l’aspirapolvere in funzione, evidentemente Martha stava facendo delle grandi pulizie, perché era già da un bel po’ che Allie si trovava lì. Sapeva che non sarebbe potuta rimanere ancora a lungo, non se voleva evitare di far crescere in lei dei sospetti. L’armadio di Dafne non era poi così grande e non conteneva così tanti vestiti da richiedere più di un’ora di ispezione per trovare un semplice capo. Aveva ancora del tempo, però, e voleva sfruttarlo tutto.

Thomas arrivò subito, aveva indossato un paio di jeans e una maglietta, i capelli ancora umidi.

«Adesso mi dici di che si tratta?» domandò, sedendosi dinanzi a lei.

Sorridendo, Allie estrasse la vaschetta dalla borsa e la posò tra di loro, togliendo il coperchio. «Li ho fatti prima di venire qui» rivelò, osservando la sua reazione.

«Non hai detto che non sai cucinare?» chiese, corrugando la fronte.

Allie annuì. «Ho voluto provare comunque» rispose, alzando le spalle. «Vuoi assaggiare?» propose, prendendo un biscotto uno e alzandolo davanti alla sua faccia.

Senza smettere di guardarla, Thomas diede un morso. Il suo sguardo era così intenso che, per un attimo, Allie temette di arrossire.

«È buoniffimo» approvò, ancora con la bocca piena, rubandole l’altro pezzetto dalle mani per ingoiarlo.

«Non ne hai mangiato uno?» le domandò, prendendone un altro dalla vaschetta.

Allie scosse il capo, mentre lo osservava avvicinare la mano a lei, imboccandola a sua volta.

«Come mai hai deciso di provare proprio ora? Speravi di addolcirmi con i biscotti?»

«Quello è uno dei motivi, sì» annuì.

«Ce ne sono altri?»

«Volevo farti capire che ci tengo a te, che mi dispiace di aver sbagliato» spiegò, prima di concludere: «Questo non toglie che una parte della colpa sia anche tua.»

«Che ho fatto?» Il suo tono era genuinamente sorpreso, non pensava di aver fatto nulla di male. Riteneva più che giusta la sua reazione.

«Non mi hai dato il tempo di parlare e dirti come stavano le cose. Se avessi aspettato un momento, invece di scappare via subito, questo non sarebbe stato necessario.»

«Ma non ci saremmo chiariti davvero, non come abbiamo fatto questa mattina» le fece notare. Ed era vero. Se la questione si fosse risolta la sera precedente, con ogni probabilità non sarebbero arrivati al punto di definire il loro rapporto di coppia. «E poi, non mi avresti fatto i biscotti, quindi ci ho guadagnato il doppio» rise, afferrandone un altro.

Allie si unì alla sua risata e lo spinse giocosamente, facendo cadere di schiena sul letto. Lui però fu veloce e le afferrò il polso, costringendola a seguirlo, rovesciando i biscotti sul lenzuolo.

«Guarda che disastro!» lo rimproverò, incapace di arrabbiarsi davvero. Sentiva la felicità scorrerle nelle vene, un’energia vitale che non aveva mai sentito prima.

«Ssh» la zittì lui, posandole un dito sulle labbra e tendendo l’orecchio.

Ora che stava prestando attenzione, anche Allie si rese conto di non sentire più l’aspirapolvere, ma anzi dei passi che salivano le scale. Si alzò di scatto e, afferrata la borsa, si precipitò in camera di Dafne, senza nemmeno controllare se Martha avesse potuto scorgerla in corridoio. Si risistemò i capelli che, a seguito dei loro movimenti, non erano più in ordine e infilò una maglia in borsa. Uscì dalla stanza proprio mentre la donna stava mettendo piede sul pianerottolo.

«Oh, Allie!» esclamò, trovandosela davanti. «Hai trovato ciò che cercavi?»

«Sì, certo» annuì, aprendo la zip della borsa per farle vedere il tessuto della maglia. «Era finita dentro un cardigan di Dafne, assurdo!» inventò, cominciando a scendere le scale e notando che Martha la stava seguendo. Doveva essere salita solo per assicurarsi che fosse ancora viva, dopotutto ci aveva messo davvero troppo tempo. Un po’ le dispiaceva raggirarla in quel modo ma si consolò con il pensiero che, una volta scoperta la verità, sarebbe stata talmente felice per lei e Thomas che non se ne sarebbe curata.

Thomas. Per la fretta di non farsi beccare, non l’aveva nemmeno salutato. Ormai era arrivata davanti alla porta d’ingresso e stava per augurare buona giornata alla donna prima di uscire, quando decise che, se doveva mentire, almeno doveva farlo per bene.

«Che idiota!» disse, enfatizzando la sua falsa sorpresa. «Ho dimenticato il cellulare in camera di Dafne» raccontò, «faccio una corsa a prenderlo» concluse, guardando Martha.

Salì di corsa le scale ed entrò in camera di Thomas, senza preoccuparsi di bussare, non ne aveva il tempo.

«Dimenticato qualcosa?» domandò, voltandosi verso di lei. Aveva già raccolto le briciole dal letto e aveva sistemato la vaschetta mezza vuota sulla scrivania.

«Sì» assentì, afferrandolo per il colletto della maglia. «Bacio» sussurrò, sporgendosi verso di lui.

Forse a un occhio estraneo quel comportamento poteva apparire stupido, più adatto a una tredicenne che a una ragazza matura; ma ora che era certa del suo affetto, Allie sentiva il bisogno di baciarlo, di stringerlo a lei.

Thomas non si fece pregare, posando le labbra sulle sue in un bacio veloce ma pieno di passione.

«Ciao» mormorò Allie, prima di baciarlo di nuovo e decidersi a scendere una volta per tutte.

Salutò Martha, forse troppo bruscamente, e si rinchiuse in macchina. Solo allora emise un profondo sospiro, cercando di metabolizzare ciò che era successo quella mattina.

Non avrebbe dovuto ignorare le parole di Dafne. L’aveva avvertita, quando si trovavano ancora in vacanza e tra lei e Thomas non c’erano che telefonate e promesse, che la tendenza a farsi scoprire nei momenti intimi era una caratteristica di famiglia. Se già rischiavano di essere beccati in momenti così tranquilli, non osò immaginare cosa sarebbe successo quando la loro relazione fosse arrivata agli stadi successivi.

* * *

La mattinata era stata insolitamente calma, quasi nessuno si era presentato in negozio e Dafne aveva potuto approfittare di quella tranquillità per scrivere. L’ispirazione l’aveva colpita mentre si trovava in discoteca. Ed era strano perché non c’era nulla che collegasse la storia che si delineava piano piano nella sua mente con la vista della barista che si mangiava con gli occhi un ragazzo seduto su un divanetto. Era la prima volta che, invece di una storia romantica o profondamente introspettiva, creava un giallo. Sarebbe potuto diventare un vero e proprio romanzo, data la sua propensione alla loquacità e i più insignificanti dettagli che già le si presentavano davanti.

Non aveva detto niente a nessuno, nemmeno ad Allie che era sempre stata la sua prima lettrice. Voleva essere certa di poter portare a termine, o perlomeno iniziare, questo lavoro prima di farne parola con qualcuno. Aveva una strana sensazione, un presentimento che non aveva mai provato prima, come se sentisse dentro di sé che quella storia poteva diventare davvero qualcosa di importante.

Stava tracciando su un foglio i lineamenti che avrebbero dovuto appartenere alla protagonista, il cui nome doveva ancora essere deciso, quando sentì la campanella sopra la porta suonare. Alzò lo sguardo e si trovò davanti un giovane dagli occhi d’un verde intenso che la fissava.

«Posso aiutarla?» chiese, riponendo l’album e la matita dentro un cassetto, prima di alzarsi.

«Sì, grazie. Avrei bisogno di alcune fototessere per il passaporto.»

«Ha già delle foto che vuole ristampare o ne vuole di nuove?» si informò, osservandolo.

«Vorrei farle adesso» rispose, avvicinandosi alla rientranza dallo sfondo azzurro dov’era posta la sedia che veniva utilizzata in quelle occasioni. Si era mosso senza nemmeno aspettare un suo invito, doveva essere un cliente abituale.

Dafne prese la macchina fotografica e si passò il cordino dietro il collo. Accese il faretto, cercando la posizione migliore per illuminare il suo volto.

«Deve partire per un viaggio?» domandò, per riempire il silenzio. Si sentiva sempre in imbarazzo quando si trovava sola con un cliente senza aver nulla da dire.

«Sì, vado a Brasile» rivelò lui con un sorriso, sistemandosi meglio sulla sedia.

«Lavoro o piacere?» Quasi esultò quando riuscì a trovare la luce perfetta: quel faretto era ormai vecchio e faticava a restar fermo, avrebbe dovuto dire a sua zia di sostituirlo.

«Piacere» replicò, trattenendo una risata. Dafne non capì quel comportamento ma non se ne curò, doveva sbrigarsi per evitare di perdere altri cinque minuti a ritrovare la posizione.

«Sorrida» disse, prima di iniziare a scattare. Era fotogenico, lo notò subito. Già nella prima foto era venuto bene, ma le avevano insegnato a scattarne almeno una decina, così che il cliente potesse scegliere quella che preferiva. Continuò quindi il suo lavoro, finché non vide il sorriso sul volto dell’uomo restringersi. I muscoli facciali dovevano dolergli dopo tutto quel tempo.

«Abbiamo finito?» chiese, massaggiandosi la mascella. Forse era stata un tantino troppo cauta.

«Sì» annuì, inserendo la scheda della memoria nel computer. «Ora mi dica quale preferisce.»

«Hai intenzione di darmi del lei ancora per molto?» domandò, avvicinandosi. «Non sono poi così vecchio.»

Dafne lo osservò: aveva i capelli corti e accuratamente pettinati, una barbetta appena accennata che evidenziava i lineamenti regolari del suo volto, lunghe ciglia scure che circondavano gli occhi di quel colore intenso che aveva già notato. Nonostante l’aria curata e matura, non doveva avere più di venticinque anni.

«Di solito non do del tu ai clienti» si giustificò, concentrandosi sul computer.

«Ma te lo sto chiedendo io» le fece notare. «Per favore» aggiunse, con un tono più dimesso e speranzoso.

«D’accordo» acconsentì, mentre apriva la prima foto. «Qui sei venuto bene» commentò, facendosi da parte perché anche lui potesse vedere lo schermo.

«È un complimento?» ribatté lui, facendola pentire delle sue parole. Avrebbe dovuto capire da subito, da quando lui le aveva chiesto di trattarlo in modo più informale, che era un tipo espansivo e che non si sarebbe lesinato ogni frecciatina possibile. Un po’ come Michael, pensò. Ma Michael era diverso: sapeva scherzare e divertirsi, sì, ma aveva un animo profondo che l’aveva colpita, era in grado di riflettere e agire in modo coscienzioso.

«Qui invece no» continuò, fingendo di non aver sentito. In quella seconda foto aveva gli occhi leggermente chiusi e il suo volto attraente ne risentiva molto.

«Tu dici? A me sembra di avere uno sguardo enigmatico» scherzò, mentre muoveva l’indice sullo schermo.

«No, assolutamente no» rise Dafne, più per il tono della sua voce che per le parole pronunciate, proseguendo con la sequenza.

«Quale mi consigli?» le domandò, fissandola tanto intensamente da costringerla a voltarsi e incontrare i suoi occhi.

«La prima è decisamente la migliore» rispose Dafne, ritornando alla foto.

«Allora mi fido» annuì, spostandosi per permetterle di alzarsi.

«Tu non sei d’accordo?» Dopotutto il cliente era lui, avrebbe dovuto essere una sua scelta e lei non voleva intromettersi.

«Credo che, se tu l’hai preferita, debba andar bene» insisté, aprendo il portafoglio. «Quanto ti devo?»

«Quattro sterline» gli comunicò, prendendo le foto dalla stampante e infilandole in una bustina trasparente con il logo del negozio.

«Sei qui da sola?» Quella domanda la spiazzò, incapace di comprendere cosa volesse sapere realmente.

«No… la proprietaria è nel laboratorio» spiegò, indicando la porta alle sue spalle con un cenno del capo.

«E puoi prenderti una pausa?»

«Come?» Lo stava osservando appoggiata al bancone, la bocca non era spalancata solo perché aveva ancora del contegno dalla sua parte. Aveva avuto una brutta sensazione quando si era informato sulla presenza di qualcun altro in quel luogo, come se avesse bisogno di solitudine per qualche motivo poco raccomandabile. Si diede subito dell’idiota, perché ora era chiaro che le sue intenzioni erano meno moleste di quanto si aspettasse. Non si stupì, quindi, quando lui le pose un’altra domanda.

«Posso offrirti un caffè?»

«Perché dovresti?» ribatté subito, ritrovando lo spirito che pensava di aver lasciato a Rodi. Lui non le piaceva, per quanto fosse bello non riusciva ad attrarla, ma era ciò di cui aveva bisogno. Qualcuno che la sfidasse, che la facesse mettere in gioco, che tirasse fuori l’ironia e il sarcasmo con cui era solita rispondere ad approcci tanto diretti e improbabili. Proprio come aveva fatto Michael.

«Sei una bella ragazza, perché non dovrei?» replicò, sorridente.

«Ti rendi conto che tutto finirebbe con quel caffè, vero? Non ci sarebbe nessun dopo.» Decise di essere onesta, ma questo non sembrò scoraggiarlo.

«Quindi vieni a prendere un caffè con me?»

Dafne abbassò lo sguardo mentre la sua fermezza vacillava. Forse non era tornata proprio come prima, ma di certo aveva ritrovato parte di quel suo carattere così particolare. Lui era riuscito a farla reagire solo perché le ricordava Michael, se n’era resa conto, e non sarebbe stato giusto sfruttarlo per questo. Ma dopotutto si trattava solo di un caffè ed era una sua offerta… Seguendo l’istinto, sebbene il suo cervello le urlasse di fare il contrario, accettò.

Andò ad avvisare sua zia della sua intenzione di prendersi una piccola pausa e la donna non fece obiezioni: era una mattinata calma e poteva badare da sola al negozio per un po’.

I due uscirono quindi in strada, diretti al primo bar sul loro cammino che non distava più di un paio di minuti dal negozio.

«Cosa posso portarvi?» Una cameriera si materializzò davanti a loro silenziosamente, prima ancora che si fossero sistemati sulle sedie.

«Un caffè?» La proposta dell’uomo, rivolta a Dafne, trovò un rifiuto.

«Un cappuccino, grazie» rispose invece, mentre lui ripeteva la sua scelta senza nemmeno pensarci.

«Non lavori lì da molto, non ti ho mai vista prima» notò, prendendo una sigaretta dalla tasca della giacca e accendendola.

«No, ho iniziato da meno di due settimane» confermò, osservando la spirale di fumo che si alzava nell’aria.

«Ne vuoi una?» le domandò, accortosi del suo sguardo.

Dafne scosse la testa, ripensando alle parole di Michael. “Sai, se proprio vuoi morire conosco metodi più rapidi e indolori del cancro ai polmoni.”

«Quanti anni hai?»

«Non lo sai che non si domanda l’età a una donna?» rimbeccò Dafne, prima di sorridere alla cameriera che le stava riportando l’ordine.

«Non sei certo abbastanza anziana da aver paura di rivelare la tua età» si giustificò.

Con un sospiro, Dafne cedette e confessò: «Quasi diciannove.» Poi, incuriosita, ricambiò. «Tu?»

«Ventisei» ammise, guardando la sua reazione. Era più vecchio di quanto si aspettasse, ma non di molto. Non diede a vedere la sua lieve sorpresa, nascondendo il viso dietro la tazzina.

«Cosa stavi disegnando quando sono entrato?»

«Mi hai vista?» Dafne si ritrovò a pronunciare quella domanda inutile, sperando che si fosse dimenticato di quel momento. Stava abbozzando l’immagine della protagonista di quello che avrebbe potuto essere il suo primo romanzo, era una cosa personale di cui nessuno era a conoscenza, non voleva che lui fosse il primo a venirne a conoscenza. «Nulla, non stavo disegnando nulla» negò, nonostante fosse evidente che mentiva.

Lui però sembrò capire che non era intenzionata a parlare e cambiò discorso, non volendo forzarla.

«Cosa ti ha spinto a lavorare come fotografa?»

«In realtà è solo un modo per guadagnare un po’ di soldi. Mi piace, certo, ma non è la mia vera passione» minimizzò.

«E qual è la tua vera passione, allora?»

Dafne lo guardò, resistendo appena all’impulso di scuotere la testa. Aveva sbagliato. Aveva creduto che uscire con lui le avrebbe fatto bene, che l’avrebbe distratta dal pensiero ricorrente di Michael, che l’avrebbe aiutata a fare un piccolo passo avanti verso la libertà da quel legame a distanza che le impediva di essere felice. Aveva torto. Non faceva che ripensare a lui, a ciò che gli aveva detto e che non si sentiva di ripetere a colui che aveva davanti. Ed era assurdo, perché aveva condiviso pochi giorni con Michael e non si era fatta problemi a rivelargli ogni suo più intimo segreto. Sin da subito c’era stata un’attrazione fatale che li aveva uniti, che aveva abbattuto ogni barriera dettata dalla convenienza.

«Io scrivo» ammise, per poi guardare l’orologio che teneva al polso.

«Cosa?»

«Un po’ di tutto» disse, senza dar peso alle suo parole. Stava per alzarsi, non riuscendo più a star seduta lì sapendo che pensava a Michael.

«Sei innamorata?»

Dopo quella domanda improvvisa e inaspettata, fu il suo turno di chiedere delucidazioni. «Cosa?»

«Hai sempre lo sguardo perso, sembri essere su un altro pianeta e ogni tanto sorridi senza rendertene conto, di sicuro non per quello che ti dico io» spiegò.

Le guance di Dafne assunsero un colorito più rosato e lei dovette trattenersi dal coprirle con le mani. Odiava arrossire in pubblico.

«Come pensavo» annuì lui, con un sorriso. «Temo di dover rinunciare subito. O forse ho qualche possibilità di vincere?»

Dafne scosse il capo, mordendosi le labbra. «Temo di no» rispose, mentre si sollevava. Aprì la zip della borsa ed estrasse il portafoglio per pagare il cappuccino, ma lui la bloccò.

«No, offro io.»

«Sicuro?»

Lui annuì di nuovo con un cenno del capo.

«Grazie» mormorò, infilandosi gli occhiali da sole, prima di allontanarsi.

* * *

Dafne ci aveva pensato per ore, da quando era tornata dal bar dove aveva lasciato quell’uomo non aveva fatto altro. Si era resa conto che non sapeva nemmeno il suo nome. Nella speranza di dimenticare Michael, anche solo per un po’, era uscita con uno sconosciuto. Era stato inutile, perché il loro carattere era così simile che per tutto il tempo le erano passati per la mente i ricordi di quegli intensi dieci giorni. Fisicamente non si assomigliavano affatto: Michael era più giovane, aveva un sorriso più fresco e abbagliante, gli occhi più grandi e la carnagione più abbronzata. Era anche più basso dell’uomo che aveva conosciuto quella mattina, tanto che la superava solo di pochi centimetri. Se fossero stati una coppia e avessero avuto l’occasione di frequentarsi a lungo termine, Dafne avrebbe dovuto rinunciare ai tacchi, non le piaceva l’idea di essere la più alta. Sarebbe stato un sacrificio fatto con piacere, pur di avere la possibilità di averlo vicino.

Invece di svagarsi, aveva finito per pensare sempre più a lui, tanto che ora se ne stava seduta sul letto a gambe incrociate con il cellulare tra le mani. Aveva sotto gli occhi la rubrica, per la precisione il numero di Michael evidenziato in giallo.

Voleva chiamarlo, ogni cellula del suo corpo fremeva per il bisogno di sentire la sua voce, unico mezzo per fingere di averlo più vicino. Non avrebbe potuto toccarlo, stringerlo, baciarlo. Non avrebbe potuto vederlo, osservare la sua reazione, sorridere e perdersi nei suoi occhi. Ma avrebbe potuto immaginarlo. Poteva fingere che lui fosse sdraiato al suo fianco, che le sussurrasse all’orecchio, che le sue mani le accarezzassero la vita mentre i loro respiri si confondevano.

Premette il pollice sul suo numero e attese. Il telefono cominciò a squillare un po’ in ritardo, forse per la distanza che li separava. Solo dopo quattro bip, quando cominciava a perdere le speranze e riattaccare, sentì un rumore gracchiante.

«Dafne.» La voce di Michael, solare e decisa proprio come la ricordava, le diede un sollievo immenso.

«Ciao» lo salutò, mentre un sorriso si formava sulle sue labbra.

«Come stai?» Adesso? Ora che ti sento e so che non mi hai già dimenticato? Ora che posso finalmente udire di nuovo la tua voce? O nei giorni passati? In tutti i momenti in cui ti penso e non ci sei? Quando mi chiedo perché sono salita su quell’aereo?

«Bene» sospirò, limitandosi a quella risposta impersonale. «Tu?»

«Non mentire» l’ammonì dolcemente. «Come mai mi hai chiamato?»

«Ho sbagliato?» domandò, temendo davvero di aver agito male. Si erano ripromessi di mantenere i contatti, di restare amici e informarsi l’uno sull’altro; ma si erano anche giurati di andare avanti, di non rimanere bloccati in quella sottospecie di relazione durata poche ore.

«No, assolutamente no» la rassicurò. «Mi fa piacere sentirti, non pensare neanche al contrario. Volevo dire: cosa ti ha spinto a chiamarmi adesso

Dafne avrebbe voluto apparire forte e sicura, ma non voleva mentire. Così scelse l’unica risposta onesta che si sentiva di dare, l’unica affermazione che racchiudeva tutti i suoi sentimenti, i suoi dubbi e le sue paure.

«Mi manchi» disse solamente la ragazza, stringendosi un cuscino al petto.

Lo sentì sospirare e la sua voce, quando rispose, risultò più flebile. «Mi manchi anche tu, tanto.»

Dafne si morse il labbro inferiore, sforzandosi di trattenere le lacrime che iniziavano a velarle gli occhi. Non voleva piangere, non voleva comportarsi come una bambina; era adulta e doveva imparare a controllare le sue emozioni. Emozioni complicate, contrastanti; emozioni che le riempivano l’anima e non le permettevano di respirare. Era così felice di sentire nuovamente la sua voce, di poter parlare con lui e ridere insieme, ma allo stesso tempo la consapevolezza che non poteva fare altro, che non poteva vederlo o toccarlo le faceva male.

Michael si schiarì la voce prima di riprendere a parlare, formulando una domanda meno impegnativa che lasciasse loro il tempo di rasserenarsi. «Allora, hai iniziato a lavorare da tua zia?»

«Sì, già da un bel po’. Il tempo di disfare la valigia ed ero già da lei. Mi sta piacendo,» raccontò, mentre i battiti del suo cuore rallentavano a poco a poco, «è un’attività interessante che mi permette di allenare la mia creatività. Non è il lavoro dei miei sogni, ma è bello.»

«A proposito di quello, mi devi mandare qualcuno dei tuoi scritti. Non mi hai fatto leggere nulla e sono curioso» la incitò.

«No, per favore» negò, scuotendo la testa sebbene lui non potesse vederla.

«Perché no?»

«È…» si bloccò, alla ricerca della parola più adatta per descrivere la sensazione che le impediva di condividere le sue creazioni. «È imbarazzante. Tutto ciò che scrivo è personale, mi sembrerebbe di rivelare una parte troppo grande di me.»

«Io conosco già buona parte di te» le fece notare, ridendo, riferendosi a quell’ultima notte di passione che avevano condiviso.

«Michael!» lo richiamò, stizzita, ma senza trattenere un sorriso.

«Seriamente, non ti fidi di me?» le domandò, con voce ilare ma meno maliziosa.

«Certo che mi fido di te, non è quello il problema…»

«Ma non abbastanza da farmi leggere ciò che scrivi» la interruppe.

Dafne sbuffò, cedendo alla sua richiesta. «Va bene, ti manderò qualcosa. Ma sei sleale, non dovresti raggirarmi così!» lo rimproverò. Sembravano aver recuperato una certa tranquillità, avendo accantonato la critica questione della lontananza che pur rimaneva sempre in fondo ai loro cuori. Una questione che ritornò presto in superficie con le parole di Michael, che senza pensarci se ne uscì con un proverbio ricco di significati.

«In guerra e in amore, tutto è lecito.»

Dopo quelle parole il silenzio cadde tra loro.

Dafne si era appena ripresa da quel “Mi manchi anche tu” e quella citazione non l’aveva aiutata. La loro relazione era complicata, senza una definizione, ma una cosa era certa: non era guerra. Si trattava allora di amore? Non poteva essere, non doveva. Erano lontani, troppo lontani perché un sentimento simile non li ferisse gravemente.

Michael, d’altro canto, si stava dando dell’idiota. Avrebbe potuto ribattere con centinaia di battute diverse, cosa l’aveva spinto a pronunciare proprio quella? Nulla avrebbe potuto essere più fuori luogo data la loro situazione. Ora non sapeva come rimediare, cosa dire per farsi perdonare quell’indelicatezza e farle tornare quel bellissimo sorriso che, lo sapeva, se n’era andato dal suo volto.

Al contrario di ogni previsione, fu Dafne a riprendere la parola. «Tu hai trovato lavoro, invece?»

«Ho un colloquio proprio domani» le rivelò, tirando un sospiro di sollievo. «Non c’è ancora nulla di sicuro, ma ho una bella sensazione.»

«Di che si tratta?»

«Un villaggio turistico sta cercando un bagnino. Quello che c’è adesso sta per sposarsi e poi si trasferirà sul continente, quindi hanno un posto vacante» spiegò.

«Davvero?» Poteva avvertire la felicità nella sua voce e la consapevolezza che una notizia simile la entusiasmasse tanto gli riempiva il cuore di gioia. «Spero che ti assumano. Posso già immaginarti come bagnino!»

Michael rise, cogliendo il tono di quelle parole.

Nonostante i ricordi che si ripresentavano prepotenti alle loro menti, portando con sé un’amara tristezza per il passato, quella telefonata rese entrambi più sereni. Parlarono per più di un’ora, finché la linea non si interruppe per la fine del credito. A Dafne non importò, l’unico rimpianto fu quello di non averlo potuto salutare per bene, impreparata a quella brusca fine di chiamata. Stesa sul letto, ora più calma e rilassata, fu certa di aver agito nel modo migliore. Sapere che anche lui pensava così spesso a lei, che serbava con ardore le memorie di quei giorni stupendi la rendeva immensamente felice. Pensò che avrebbe potuto farcela, che con il supporto di qualche chiamata occasionale il suo cuore sarebbe guarito – lentamente, certo, non si illudeva di tornare in piena forma in poco tempo – e un giorno avrebbe potuto essere di nuovo spensierata. Ancora stentava a credere che avrebbe potuto provare quelle emozioni con un uomo che non fosse Michael, ma si convinse che con lo scorrere dei giorni – delle settimane o dei mesi – ci sarebbe riuscita.

Per la prima volta dopo tanto tempo, si addormentò con il sorriso.

Voglio ringraziarvi tutti, perché sapere che qualcuno apprezza ciò che scrivo mi fa sempre piacere e mi aiuta nei momenti in cui la stanchezza e la frustrazione mi spingerebbero altrimenti a mollare tutto.

Ringrazio in particolar modo coloro che dedicano qualche minuto della loro vita per farmi sapere ciò che pensano dei capitoli, riuscite sempre a strapparmi un sorriso.

Nei primi capitoli pubblicati c’è il link a un gruppo facebook che non esiste più, ho scelto di eliminarlo perché i membri seguivano una storia di un paio di anni fa e purtroppo non sono in contatto con loro da molto tempo.

Qui potete trovare il mio account facebook, aggiungetemi :)

Stavo pensando di aprire un nuovo gruppo dedicato solo a “Bolle di felicità”, quindi fatemi sapere se vi piace l’idea e se vorreste farne parte. Scrivetemi anche per messaggio privato se non vi va di lasciare una recensione completa, non c’è nessun problema per me.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, nel frattempo vi lascio il solito spoiler che spero vi incuriosisca:

«A cosa stai pensando?» Le parole di Thomas la riportarono alla realtà, richiamandola da quella momentanea sosta nel passato.
«Mio padre insiste per sapere chi è il misterioso ragazzo che mi porta in giro senza il suo permesso» raccontò.
«Dovrei avere il suo permesso?» domandò, mentre si voltava a guardarla per un secondo.
Allie scosse la testa. «Devi avere solo il mio, di permesso» lo corresse, prima di sospirare. «Non credi che sia arrivato il momento di dirlo ai nostri genitori?»

Il prossimo capitolo arriverà tra una settimana, mercoledì 22 ottobre.

Buona giornata :)


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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


cap 10
Bolle di felicità

A story of everyday life







Capitolo 10





Quella mattina Thomas era passato a prenderla presto, perlomeno per i suoi orari. Non erano nemmeno le otto e già erano in macchina, diretti verso Bournemouth. Il sole splendeva nel cielo come succedeva poche volte in Inghilterra, era l’occasione perfetta per trascorrere una giornata al mare, come si erano promessi.

I suoi genitori si erano stupiti di vederla scendere a fare colazione di buon’ora e, quando lei li ebbe avvisati dei suoi piani per la giornata, suo padre non si risparmiò le solito critiche per quella sua recente propensione alla segretezza.

«Si può sapere con chi vai al mare?» le aveva domandato suo padre, studiandola.

«Con un amico» aveva risposto, fingendo un’indifferenza che non lo dissuase dal continuare.

«Lo stesso amico con cui sei uscita spesso in queste settimane, immagino. Ce l’ha un nome?»

«Sì, papà, ce l’ha» aveva replicato con voce stizzita. Non le piaceva quando si metteva a farle l’interrogatorio, le sembrava che non avesse fiducia in lei. Allie non avrebbe avuto problemi a rivelar loro l’identità del suo spasimante, se solo questo non avesse comportato l’immeditata diffusione della notizia e la conseguente iperattività di Martha, la madre di Thomas, che avrebbe dato il via ai preparativi per il matrimonio.

«Allie, non usare quel tono con me!» la rimproverò, posando la tazza sul tavolo e puntandole contro l’indice.

«Quale tono? Ho semplicemente risposto alla tua domanda» si schermì.

«Come si chiama?» insisté, senza smettere di fissarla. Aveva uno sguardo duro, quello che sin da quand’era bambina aveva usato per punirla e che la metteva in soggezione.

«Lo saprai a tempo debito» ribatté, sforzandosi di sostenere quell’occhiata.

«C’è un motivo per cui non vuoi dirmelo? Forse perché sai già che non mi piacerà?»

«Oh, no, ti piacerà. Ne sono sicura» sorrise, portandosi il bicchiere di latte alle labbra.

«James, ha diciannove anni, lasciala respirare! Non vorrai diventare come mio padre!» lo richiamò la moglie, posandogli una mano sul braccio.

Il nonno materno di Allie non aveva mai approvato la relazione tra sua figlia Susanne e quell’uomo, come lo definiva sempre. John aveva dieci anni in più di sua moglie e l’aveva conosciuta quando lei ne aveva appena sedici. Inutile ribadire il disappunto del suocero per quella differenza d’età e ricordare tutti gli sforzi che aveva fatto per cercare di allontanare la giovane da lui, senza risultato. Tutta quella storia era una vera fortuna per Allie, che poteva contare sull’appoggio della madre ogni volta che suo padre si opponeva a una sua scelta.

«A cosa stai pensando?» Le parole di Thomas la riportarono alla realtà, richiamandola da quella momentanea sosta nel passato.

«Mio padre insiste per sapere chi è il misterioso ragazzo che mi porta in giro senza il suo permesso» raccontò.

«Dovrei avere il suo permesso?» domandò, mentre si voltava a guardarla per un secondo.

Allie scosse la testa. «Devi avere solo il mio, di permesso» lo corresse, prima di sospirare. «Non credi che sia arrivato il momento di dirlo ai nostri genitori?»

Ormai la loro storia era diventata, se non seria, più sicura di quanto era anche solo una settimana prima. Le era piaciuto mantenere il segreto, avere un alone di mistero ad avvolgerli mentre i loro familiari tentavano invano di farli parlare; adesso, però, stava diventando stressante. Suo padre premeva per conoscere l’identità del suo spasimante e lei temeva di farsela scappare senza averlo prima deciso con Thomas.

«Sicura di volerlo fare?» si assicurò, senza esprimere la sua opinione.

«Tu non vuoi?» volle sapere Allie.

Thomas respirò a fondo, indeciso. «Se la situazione fosse diversa, non avrei nessun problema. Temo solo che poi non ci lasceranno più in pace» ammise, osservando la sua reazione.

«E quindi? Non saremmo in grado di affrontarli, secondo te?»

Thomas si ritrovò a sorridere e a scuotere la testa, costretto a darle ragione. «Va bene, glielo diremo» annuì.

«Quando?» s’informò Allie.

«E come?» replicò lui, sospirando e sistemandosi meglio sul sedile.

«Insieme?» propose la ragazza, cercando i suoi occhi. Lui si permise di incontrare i suoi solo per un istante, la strada stava diventando sempre più affollata.

«Mia madre aveva proposto di cenare tutti insieme quando sono tornata, ma poi non si è mai presentata l’occasione. Potremmo trovarci tutti insieme, così basterà un annuncio e sarà meno imbarazzante» continuò.

Thomas annuì, ormai convinto. «Sì, sembra la soluzione migliore. Hai pensato anche a una data?»

«No» negò lei. «Devo prima controllare i turni dei miei e, in ogni caso, sperare che non ci sia una chiamata d’emergenza come al solito.» Poi, ricordandosi improvvisamente della novità che non gli aveva ancora riferito, proseguì: «Ieri sera mi ha chiamata la proprietaria del Blue Secret: sono assunta! Inizio la settimana prossima.»

«Sono contento per te» la appoggiò con un sorriso, mentre s’infilava nel parcheggio e cercava un posto vuoto dove lasciare l’auto. «Ora riprendere l’università non sarà così deprimente.»

«Non ti farò nessuno sconto» lo ammonì, tirandogli la lingua.

«Non ti darò nessuna mancia» ribatté lui, imitando il suo tono stizzito, pizzicandole una gamba.

Allie rise, scacciando la sua mano con uno schiaffo, prima di indicare un spazio libero. «Là.»

Thomas si affrettò a parcheggiare, prima che qualcun altro gli rubasse il posto, permettendosi anche di complimentarsi con lei per il suo buon occhio.

«Ti fai i complimenti da solo?»

«Come?» domandò, voltandosi a guardarla.

«Hai detto che ho buon occhio, sottintendendo che quindi – dato che stiamo insieme – tu devi essere attraente» spiegò lei, sistemandosi gli occhiali da sole sul viso.

«Non volevo dire nulla del genere, ma sono felice di sapere che mi trovi avvenente» commentò Thomas, uscendo dall’auto e ridendo al suo richiamo sdegnato.

Aprì il portabagagli per scaricare la borsa con gli asciugamani, mentre Allie gli si affiancò legandosi i capelli in una coda. «Abbiamo trovato proprio una bella giornata» considerò, guardando il cielo.

Thomas seguì il suo sguardo e non poté che annuire. Il cielo era d’un azzurro limpido, terso e privo di nubi come raramente l’aveva visto. Il sole splendeva forte, costringendolo a stringere gli occhi per la troppa luce. Un paio di aquiloni solcavano l’aria, tirati da bambini schiamazzanti che correvano sulla spiaggia. Sentiva il calore irradiarsi sulla sua pelle mentre una lieve brezza marina, che avrebbe impedito loro di scottarsi, metteva in moto le girandole piantate sulla sabbia.

Nonostante la bella giornata, il litorale non era molto affollato e trovarono subito un posto dove stendersi. Se Allie aveva visto il suo ragazzo mezzo nudo solo qualche giorno prima, lui non poteva dire lo stesso. L’ultima volta che lei aveva indossato il costume in sua presenza era stata qualche anno prima, quando entrambi avevano partecipato a una festa in piscina. Non si era perso una sola delle sue mosse, quindi, quando si era apprestata a togliersi il vestito leggero che indossava, permettendogli di vedere quel corpo perfetto che lo faceva impazzire anche quand’era nascosto dai vestiti.

«Allora, ho scelto un bel costume?» La sua domanda lo colse di sorpresa; alzando lo sguardo, capì che lei si era resa conto che l’aveva fissata per tutto il tempo.

«Sì, ti sta molto bene» si complimentò, senza fare troppa attenzione alla fantasia del bikini e avvicinandola a sé per baciarla. Sentire la sua pelle a contatto con le dite, senza indumenti a prevenire quel contatto, era un’esperienza nuova. Fino a quel momento aveva al massimo infilato le mani sotto la sua maglia, ma non era la stessa cosa. Ora poteva sentirla appieno contro di sé, senza doversi fare strada tra la stoffa. Era calda e delicata, liscia, così invitante da fargli desiderare di non staccarsi mai.

«Tu resti così?» chiese Allie, indicando con un cenno del capo i vestiti che indossava ancora. Senza aspettare una sua risposta, aveva già afferrato i bordi della maglietta e stava per tirarla verso l’alto per sfilargliela, quando si fermò. Per un attimo si era dimenticata dov’erano. Non sarebbe stato appropriato compiere quel gesto in una spiaggia, davanti ad altre persone e molti bambini. Thomas però aveva intuito le sue intenzioni e, piacevolmente colpito dalla sua intraprendenza, l’aveva baciata di nuovo, questa volta più velocemente ma non per questo con minor intensità.

Mentre la ragazza si accomodava su un asciugamano e cercava la crema solare nella borsa, si spogliò.

«Vuoi che te la spalmi io?» si offrì con tono scherzoso, accomodandosi al suo fianco.

«Sì, grazie.» La sua risposta, pronunciata con un dolce sorriso sulle labbra mentre si voltava per dargli la schiena, lo colse di sorpresa. Aprì quasi meccanicamente il tubetto e spruzzò del prodotto sulla sua pelle, vedendo il suo primo sogno erotico diventare realtà. Certo, nel suo vecchio sogno non era Allie la protagonista, ma un’attrice di cui non ricordava il nome che aveva visto all’epoca in un film. L’accarezzò gentilmente, stendendo la crema dalle spalle fino al fondoschiena, spostando il laccetto del reggiseno quando gli era d’intralcio. Non era la prima volta che spalmava la crema sulle spalle di una ragazza, l’aveva già fatto in passato con alcune delle sue ex, eppure questa volta sembrava diverso. Forse perché non se lo aspettava, forse perché Allie era una continua sorpresa che non riusciva a prevedere… Era una ragazza così allegra e solare, aperta alla vita, piena di malizia nascosta che stava imparando a riconoscere ma che ancora non aveva compreso appieno.

Quello era un gesto intimo, sensuale, e sebbene si definissero ormai una coppia non aveva pensato di essere già giunto a una tale familiarità.

«Hai bisogno di aiuto per qualche altra parte del corpo?» s’informò, sfiorando ancora una volta la sua vita sottile.

La ragazza sospirò, lasciandosi andare all’indietro per posare la testa contro il suo petto e guardarlo dal basso. Aveva un sorriso beato sul volto, gli occhi luminosi e ridenti. «Grazie, credo che possa bastare» rispose, afferrandogli una mano e intrecciando le dita alle sue. «Vuoi che ricambi il favore?» domandò, cercando il suo sguardo.

«No» rifiutò, scuotendo il capo. «Magari più tardi, adesso resta così» disse, circondandola con le sue braccia per tenerla ferma.

«Non mi starai diventando sdolcinato?» scherzò Allie, nonostante apprezzasse quel momento di tacite tenerezze.

«Non preoccuparti» la rassicurò, perché davvero non era quello il caso. Lei non se n’era accorta perché data la loro posizione i loro corpi non erano poi molto a contatto, ma quel massaggio che le aveva riservato aveva avuto effetto anche su di lui. Aveva bisogno di tempo per ritrovare la calma: anche solo immaginare le sue mani che vagavano sul suo corpo per cospargerlo di protezione solare contribuiva a peggiorare la situazione.

*

Il mare era pulito, di un azzurro intenso che sembrava fondersi con il cielo sulla linea dell’orizzonte, mosso da onde spumose che viaggiavano lentamente verso la costa per infrangersi sui bagnanti e schizzare i bambini. Portavano con sé una brezza leggera eppure abbastanza insistente da costringere una signora a tenersi il cappello con la mano per non farlo volare via. L’acqua era meravigliosa ma Allie, che era stata da poco a Rodi, non poté evitare di paragonarla alla trasparenza di quella greca e trovarla quindi inferiore. Tra la spiaggia sabbiosa su cui si trovava e il litorale di sassi e pietruzze di qualche settimana prima, avrebbe scelto il secondo, sebbene il fondo le facesse male alle piante dei piedi in modo inimmaginabile. Ma se avesse dovuto scegliere tra quella meraviglia della natura e la spiaggia, comunque molto bella, di quel momento dove c’era anche Thomas, senza dubbio avrebbe rinunciato di cuore all’aria mediterranea.

L’acqua era fredda e Allie si fermò dopo pochi passi, cercando di abituarsi a quella temperatura. Thomas, invece, si era buttato in avanti immergendosi completamente ed era tornato in superficie pochi istanti dopo, scuotendo la testa per spostarsi i capelli dal viso.

«Che fai lì? Vieni!» la incitò, tendendo un braccio nella sua direzione.

«Aspetta un po’, è troppo fredda» aveva risposto lei, guardandolo avvicinarsi.

«E se ti facessi cadere?» la stuzzicò, allungandosi per chiudere le gambe di lei in una morsa con le sue.

«Non ci provare» lo ammonì, allargando le braccia alla ricerca dell’equilibrio. Thomas aveva voglia di scherzare, era evidente. Ondeggiava tentando di portarla con sé, ma inutilmente. Allie aveva puntato i piedi nel fondale, dove stava a poco a poco sprofondando, e resisteva con tutte le sue forze.

«Thomas!» lo richiamò ancora. «Dai, raccontami quand’è stata l’ultima volta che sei venuto al mare» chiese, sperando di distrarlo.

Ci riuscì.

«Due anni fa. Sono venuto proprio qui con degli amici – anche Robert e Phil, li hai incontrati quella sera in discoteca – per una settimana, ci siamo accampati in tenda. Siamo stati sfortunati, negli ultimi tre giorni ci sono stati ripetute bombe d’acqua e ci siamo salvati dalla polmonite solo perché ce ne siamo andati. Il piano originale, infatti, era di rimanere due settimane» narrò. «L’anno scorso invece siamo andati in Scozia: il tempo non era migliore, però la notte la passavamo in una locanda, quindi era già un passo avanti.»

O forse no.

Allie aveva sperato di sviare la sua attenzione dai tentativi di farla cadere in acqua, ma era stata lei a perdere la concentrazione mentre ascoltava le sue parole. I piedi di Thomas erano saliti lentamente e se n’erano stati sospesi fuori dal suo campo visivo finché non ebbe finito di parlare, poi con una modesta pressione dietro le ginocchia la costrinse a piegare le gambe e la sbilanciò in avanti. Affondò in acqua, mentre le mani di Thomas l’afferravano sotto le braccia e la sostenevano quel tanto che bastava a non farle bagnare anche il viso, che subì comunque gli spruzzi generati dalla caduta.

«Stronzo!» esclamò, afferrandolo per le spalle per sostenersi. Lui, in risposta, scoppiò in una risata.

«Adesso non è più fredda» le fece notare, circondandole la vita con le braccia e muovendo le gambe per restare a galla.

«Non è una giustificazione» lo riprese. «Dovrai comprarmi un gelato per farti perdonare.»

«Non basta un bacio?» tentò, accostando le labbra alle sue.

«No» negò, scuotendo la testa e mordendosi la guancia per non far scappare il sorriso. «Non basta.»

«Neanche se fosse più di un bacio?»

Lei rifiutò ancora l’offerta. «Solo se fosse al sapore di panna e cioccolato» ribatté, «come il gelato che piace a me.»

*

Thomas ripagò il suo debito. Dopo pranzo – un panino imbottito e un bicchiere di coca cola trangugiati velocemente al tavolino di un bar – comprò due coppette di gelato, una alla menta per lui e una panna e cioccolato per lei. Prima di porgergliela però s’infilò un cucchiaino di gelato in bocca e senza aspettare la sua reazione – dopotutto gli aveva sempre ripetuto che non aveva bisogno di chiederle il permesso – si gettò sulle sue labbra. Allie aprì subito la bocca, dandogli così la possibilità di spingervi il miscuglio di gelato che era ormai diventato liquido. Lei non si era accorta del suo rapido movimento con le coppette e avvertendo quel sapore dolce si stupì, pur senza interrompere il bacio.

Aveva quasi dimenticato le parole che gli aveva detto qualche ora prima, la stizza era svanita subito tra gli scherzi e le risate, ma era felice di vedere che lui se n’era ricordato. Mentre lo baciava, sotto le occhiate scocciate delle vecchiette del paese, si sentiva a casa. Protetta, desiderata, amata. Le sue braccia erano un porto sicuro dove sapeva di potersi riparare se mai fosse stata sorpresa da una tempesta.

Thomas interruppe quell’abbraccio appassionato per darle un altro bacio, più veloce e casto, un semplice sfioramento di labbra, e poi un altro e un altro ancora, finché non si decise a parlare.

«È meglio che mangiamo il gelato, prima che diventi completamente liquido.»

S’incamminarono verso il centro del paese, dove durante l’estate era sempre presente il mercatino caratteristico. Una schiera di bancarelle colorate e profumate, circondate da turisti entusiasti e accompagnate dalla musica che dei ragazzi stavano suonando in un angolo della strada. Banchi pieni zeppi di souvenir, cartoline, magliette con la foto della spiaggia o con la mappa della città, guide turistiche e collanine con la scritta Bournemouth glitterata. Lunghe file di vestiti dai colori vivaci e dalla fantasia floreale, foulard e bermuda, costumi di tutti i tipi, parei e capelli di paglia affiancati a berretti con il logo del paese. Teli ricoperti di chincaglierie, bracciali, anelli, collane, orecchini, occhiali da sole tutti mischiati tra loro in un intreccio di fili da far impazzire gli acquirenti.

Ma anche sezioni più artigianali, statuette in legno lavorate a mano che rappresentavano le forme più disparate, dagli animali domestici alle sirene. Una collezione di conchiglie di tutte le dimensioni per i collezionisti, banchi di prodotti tipici da cui proveniva un profumino delizioso, l’immancabile carrello dei gelati che lavorava senza interruzione, il classico venditore di palloncini e il rivale che li attorcigliava per creare spade e delfini.

Infine, seduto su una pietra con una vecchia Polaroid tra le mani, stava un signore dall’aria un po’ svanita che dava da mangiare a un gattino. Vedendolo scattare una foto a una donna posata sulla balaustra di fronte a lui, Allie si rese conto di un fatto che, per un’altra coppia, sarebbe stato sconvolgente.

«Non abbiamo una nostra foto insieme» disse, alzando lo sguardo su Thomas. Non avevano mai avuto l’occasione di farne una, dato che i loro erano perlopiù incontri clandestini e l’idea di mettersi in posa non aveva mai attraversato la loro mente. Non era grave, Allie non credeva di aver bisogno di un pezzo di carta lucida per ricordarsi di lui, ma sarebbe stato carino averne comunque uno.

«Ne facciamo una?» propose, indicando con un cenno del capo il signore che era tornato alla sua postazione. Lui annuì mentre già gli si stavano avvicinando, mano nella mano senza nemmeno rendersene conto.

«Buongiorno» lo salutò Thomas, richiamano la sua attenzione. «Ci potrebbe scattare una foto?»

Con un sorriso, l’uomo si portò la macchinetta fotografica all’altezza degli occhi e li invitò a sistemarsi, mentre si lisciava i capelli con la mano destra. Doveva essere un tic nervoso, perché Allie l’aveva visto compiere la stessa azione anche prima.

Stretti in un abbraccio un po’ scomodo ma necessario per la foto, aspettarono pazientemente di sentire il clic della Polaroid, con due sorrisi felici che cominciavano a scemare per il dolore alle guance. Se l’era presa con calma il signore, ma finalmente aveva premuto il pulsante. Rilasciarono un sospiro di sollievo e Thomas seppellì una risatina tra i capelli di Allie, prima di avvicinarsi per chiedere quale fosse il compenso.

«Niente, è un omaggio» aveva risposto, afferrando la stampa e sventolandola per asciugare l’inchiostro.

«Ma no, mi dica quanto le devo» aveva insistito, aprendo il portafoglio.

«Nulla» aveva ripetuto, prima di osservare orgoglioso la sua piccola opera e porgerla al giovane. «Sotto alla foto c’è il logo del ristorante dove lavoro. È qui vicino, se vi va passate a farci un salto» li informò, per tornare poi al micio che lo aspettava al suo posto.

I colori erano ancora leggermente sbiaditi, ma l’immagine era comunque sufficientemente chiara. Erano venuti bene, stretti l’uno vicino all’altra con le mani ancora intrecciate.

Con un sorriso, salutarono e si avviarono sulla spiaggia per un’ultima passeggiata sulla battigia prima di prendere la via del ritorno. L’acqua lambiva loro le caviglie e, quando le onde giungevano alla riva, bagnava i pantaloni di Thomas. Il sole stava tramontando, il cielo aveva già assunto una sfumatura rosa che diventava sempre più simile all’arancio. La brezza della mattina era scomparsa, lasciando spazio a un’aria più calma e affascinante. Allie aveva requisito la foto per se, infilandola nella borsa, prima di proporre un gioco.

«Fammi una confessione.»

«Cosa?» aveva domandato Thomas, senza capire a cosa si riferisse.

«Sì, una cosa tipo: non so mangiare con le bacchette cinesi» spiegò.

«Davvero non sei capace?» chiese, guardandola scuotere la testa, prima di pensare a ciò che avrebbe potuto dirle. «Non so far volare un aereoplanino di carta» ammise.

«Ma lo sanno fare tutti!» si stupì, ridendo.

«Lo so costruire, ma i miei non volano» disse, stringendosi nelle spalle.

«Non so fare l’inchino.»

«A che ti serve saper fare l’inchino?» domandò, scettico.

«Se mai incontrassi la regina…»

Thomas rise, prima di ammettere un’altra delle sue debolezze. «Non so far rimbalzare i sassi sull’acqua.»

«Nemmeno io» lo appoggiò Allie, pensando alla sua prossima frase. «Non so giocare a poker.»

Thomas sbuffò: «E io che volevo proporti di giocare a strip poker… O forse è meglio così, se vinco io è più divertente» scherzò.

«Sei ingiusto» lo rimproverò lei, infilando le dita sotto l’orlo della maglia per pizzicargli un fianco.

«Allora un giorno t’insegnerò, così potremo giocare ad armi pari» si offrì, prendendole la mano.

«Quando ho detto che sono disposta a giocare?»

«Non lo faresti?» ribatté lui, cercando di incontrare il suo sguardo ma senza riuscirci, dato che quello di lei vagava sulla spiaggia per evitarlo.

«Chissà cosa ci riserva il futuro» sospirò poi, prima di lasciarsi andare a una risata e correre via, per non lasciargli capire quanto l’attirasse quella proposta indecente. Molto. Troppo.

*

Avevano cenato al ristorante indicato sulla polaroid. Ristorante. Locanda sarebbe stata una parola più adeguata. Un tipico posticino sul mare, arredamento un po’ datato in legno, poco frequentato, calmo, servizio veloce. Avevano preso una pizza, nonostante il posto avesse una nomea per il pesce che cucinava. Quando erano saliti in auto stava già facendo buio, il tempo era passato in fretta e la giornata sembrava essere stata troppo corta. Cullati dalla musica della radio, avevano passato quasi un’ora a ipotizzare i risvolti della loro confessione ai genitori.

La madre di Thomas avrebbe fatto i salti di gioia e li avrebbe sgridati per averla tenuta sulle spine, avrebbe ribadito che lei aveva sempre saputo che sarebbero diventati una coppia e che la loro prima figlia avrebbe dovuto avere il suo nome. Suo padre avrebbe grugnito qualche felicitazione senza badarvi molto, troppo preso a guardare le discussioni politiche alla televisione per far caso alla novità. Quello di Allie, al contrario, avrebbe tirato interiormente un sospiro di sollievo all’idea che il ragazzo di sua figlia non era un ragazzo montato, probabilmente drogato, che frequentava giri clandestini; all’apparenza, però, avrebbe riservato a Thomas uno sguardo minaccioso, per assicurarsi che si comportasse a dovere. Sua madre invece avrebbe appoggiato Martha, passando sopra al suo desiderio di accaparrarsi il primo bimbo, e avrebbe organizzato mentalmente le lezioni di cucina che avrebbe dovuto dare a sua figlia.

Ora che avevano accettato l’idea di uscire allo scoperto, sebbene non avessero ancora deciso quando, erano meno attenti alla segretezza. Almeno, Allie lo era.

«Non voglio tornare a casa» disse, quando ormai mancavano pochi minuti per raggiungerla.

«Come?» domandò Thomas, approfittando del semaforo rosso per voltarsi a guardarla.

«Non mi va di dormire da sola stasera» spiegò, gli occhi fissi in quelli di lui. I loro sguardi restarono incatenati per qualche secondo, mentre lei attendeva una risposta e lui non aveva il coraggio di sperare che lei intendesse davvero ciò che pensava.

Un clacson li riportò alla realtà: il semaforo era diventato verde e Thomas non se n’era accorto. Ripartì, alzando una mano in segno di scuse senza rendersi conto che il conducente dietro di loro non poteva vederlo.

«Cosa vuoi dire?» chiese, concentrandosi sulla strada ma con il cuore che fremeva per l’attesa.

«Posso dormire con te?» Allie aveva quasi sussurrato quella proposta, accarezzando la mano che lui teneva sul cambio.

Thomas sorrise e il tono della sua voce era testimone della gioia e del sollievo che provava. «Non lo devi nemmeno chiedere.»

«I tuoi non ci beccheranno?» aveva domandato poi Allie, ripensandoci con meno sicurezza di prima.

«Saranno già a letto, è tardi» l’aveva rassicurata. Non ne era così convinto, ma in tutta onestà non gliene importava affatto.

Fortunatamente aveva avuto ragione. Quando fermò l’auto davanti casa, aspettando che il portone del garage si aprisse, notò che non c’era una luce accesa. Entrarono in silenzio, in punta di piedi, attenti a non far rumore. Il cuore di Allie batteva così forte che per un attimo temette che lui potesse sentirlo, che i suoi genitori si svegliassero per quel rumore continuo e assordante che le bombardava in testa. Si fermarono al pianoterra per usare il bagno: essendo più lontano dalla stanza dei suoi genitori, era meno probabile che li sentissero.

Pronti, salirono le scale tenendo le scarpe in mano, come due ragazzini che rientravano tardi per la prima volta in vita loro e non volevano farsi sgridare dai genitori. Una volta giunti sul pianerottolo, Thomas si sbrigò a farla entrare nella sua stanza e richiuse la porta dietro di sé, girando la chiave nella serratura. Solo allora si concessero un sospiro di sollievo.

Accesa la luce, restarono comunque zitti. L’emozione era palpabile ma così anche il lieve velo di imbarazzo per quella situazione nuova. L’idea di aver sbagliato, però, di aver fatto una proposta affrettata, non sfiorò mai la mente di Allie.

«Hai qualcosa che posso indossare?» chiese, posando la borsa sulla scrivania.

Thomas annuì, aprendo meccanicamente un cassetto e scrutandone il contenuto. «Vuoi una maglia o una canotta?» domandò.

«Una canotta va bene» gli assicurò, allungando una mano per prendere quella pallottola di stoffa rossa che le stava porgendo. Si voltò, dandogli le spalle, e si tolse il vestito. Sapeva che era inutile, che lui l’aveva vista in costume solo poche ore prima e che poteva comunque guardarla da dietro, ma ora era in biancheria intima e spogliarsi guardandolo in viso gli avrebbe dato l’impressione sbagliata. Mentre si cambiava, sentì il fruscio degli abiti che cadevano a terra e capì che anche lui si stava svestendo.

La canotta le arrivava poco sotto al sedere, nemmeno metà coscia era coperta. Sapeva che stava osando troppo, soprattutto se le sue intenzioni erano solo quelle di dormire, ma non poteva farlo con il reggiseno addosso. Aprì il gancetto dietro la schiena e lo sfilò con qualche difficoltà senza togliere la canotta. Avvertì il respiro trattenuto di Thomas mentre quel pezzo di biancheria cadeva a terra e lei si inginocchiava a raccoglierlo, per posarlo sopra al vestito. Si voltò verso di lui, mentre una leggera ansia le stringeva il cuore.

Thomas indossava un paio di pantaloncini corti e nessuna maglietta. Un abbigliamento improbabile per dormire. Si ritrovò a pensare che probabilmente era solito coricarsi solo in mutande, ma aveva voluto evitare per non metterla in imbarazzo. Gliene fu grata, perché non sapeva come avrebbe reagito se l’avesse visto in quel modo.

«Che parte vuoi?» le chiese, indicando il letto.

Allie alzò le spalle. «È lo stesso.» Lei aveva sempre dormito in un letto singolo, così non le aveva mai creato problemi dover condividere un matrimoniale.

«Allora io dormo a destra» disse Thomas, avvicinandosi al suo lato a scostando il lenzuolo leggero. Allie seguì il suo esempio, stendendosi accanto a lui.

Thomas spense la luce, la circondò con le braccia e le lasciò un bacio sulla fronte, prima di posarvi il mento. Allie sentì il suo respiro tra i capelli e cercò una posizione più confortevole con le gambe, finendo a scontrarsi con le sue.

«Stai comoda?» le domandò, allontanando la testa dalla sua per poterla vedere in viso. Lei annuì, alzando lo sguardo. Avrebbe potuto giurare che, nonostante il buio, l’aveva visto sorridere. Lo sentì muoversi e poi avvertì delle labbra che si posavano sulle sue. Labbra dolci e decise, labbra che conosceva bene, labbra che la baciavano con adorazione. Sospirò di piacere, lasciandosi andare a quel bacio, scorrendo con una mano lungo il suo braccio fino a raggiungere la spalla e afferrare i suoi capelli.

«Thomas» mormorò, mentre lui si spostava sulla sua guancia. «Io non…»

«Lo so» la rassicurò lui, stringendole un fianco e posando un bacio più dolce sulla sua mascella.

Non dubitò nemmeno per un istante che lui non avesse capito cosa voleva dire. Thomas continuò a baciarla e ad accarezzarla dolcemente, ma senza mai tentare un approccio troppo intimo. La stava venerando, dedicandole tenere attenzioni senza pretendere nulla di eccessivo in cambio. Allie si strinse a lui, beandosi di quei momenti. Il sonno li accolse con serenità, stetti in un abbraccio sincero, con il sorriso sulle labbra e la felicità nel cuore.

Voglio ringraziarvi tutti, perché sapere che qualcuno apprezza ciò che scrivo mi fa sempre piacere e mi aiuta nei momenti in cui la stanchezza e la frustrazione mi spingerebbero altrimenti a mollare tutto.

Ringrazio in particolar modo coloro che dedicano qualche minuto della loro vita per farmi sapere ciò che pensano dei capitoli, riuscite sempre a strapparmi un sorriso.

Nei primi capitoli pubblicati c’è il link a un gruppo facebook che non esiste più, ho scelto di eliminarlo perché i membri seguivano una storia di un paio di anni fa e purtroppo non sono in contatto con loro da molto tempo.

Qui potete trovare il mio account facebook, aggiungetemi :)

Stavo pensando di aprire un nuovo gruppo dedicato solo a “Bolle di felicità”, quindi fatemi sapere se vi piace l’idea e se vorreste farne parte. Scrivetemi anche per messaggio privato se non vi va di lasciare una recensione completa, non c’è nessun problema per me.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, nel frattempo vi lascio il solito spoiler che spero vi incuriosisca:

«Thomas, perché la porta è chiusa a chiave?»
Quella frase, pronunciata con forza dalle labbra di Martha, e il rumore della maniglia che veniva forzata ma resisteva alla pressione li svegliò. Allie s’irrigidì di colpo, le membra tese e gli occhi sbarrati fissi davanti a sé, mentre Thomas si tirò a sedere mugugnando una scusa.

Il prossimo capitolo arriverà tra una settimana, mercoledì 29 ottobre.

Buona giornata :)


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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


cap 11
Bolle di felicità

A story of everyday life







Capitolo 11

«Thomas, perché la porta è chiusa a chiave?»

Quella frase, pronunciata con forza dalle labbra di Martha, e il rumore della maniglia che veniva forzata ma resisteva alla pressione li svegliò. Allie s’irrigidì di colpo, le membra tese e gli occhi sbarrati fissi davanti a sé, mentre Thomas si tirò a sedere mugugnando una scusa.

«L’ho chiusa? Non me lo ricordavo nemmeno, forse ero troppo stanco…»

«Apri» ordinò la donna, lasciando la maniglia.

«Perché?» domandò lui. Lo sguardo di Allie, spaventato, salì per incontrare il suo.

«Faccio una lavatrice prima di andare a fare la spesa, devo prendere i vestiti sporchi» spiegò.

«Non ne ho in camera» mentì lui, pensando che avrebbe dovuto trovare un modo per lavare ciò che aveva indossato il giorno prima senza farlo sapere a sua madre. «Adesso posso tornare a dormire?» borbottò, simulando una voce assonnata.

Dall’altra parte della porta gli rispose il silenzio. Thomas non osò muoversi, non sapendo se lei se ne fosse andata. Poi uno sbuffo e una mezza minaccia lo raggiunse, mentre la donna stava già per scendere le scale. «Non rimanere a poltrire fino a mezzogiorno!»

Solo allora si concessero un sospiro di sollievo. Thomas si stese di nuovo, circondando il corpo di Allie con le braccia e immergendo il viso tra i suoi capelli. «Buongiorno» mormorò, sorridendo.

«Buongiorno.» Allie si girò per vederlo in viso, scostandosi i capelli dagli occhi. «Dafne mi aveva avvisato, ma non avevo voluto crederle» commentò.

«Di cosa stai parlando?»

«Mi aveva detto che la vostra famiglia ha un’innaturale propensione a farsi beccare nei momenti sbagliati» spiegò, puntando un gomito sul materasso e sostenendosi la testa con una mano.

«Se mia madre fosse riuscita a entrare, non avremmo nemmeno dovuto faticare a rivelarle che stiamo insieme» le fece notare, chinandosi per darle un bacio.

«Pensi davvero che l’avrebbe presa bene? Dopotutto ci avrebbe trovati a letto insieme» ribatté lei.

«Ma non abbiamo fatto niente.»

«E secondo te lei ci avrebbe creduto?» Lo guardò scettica, consapevole che Martha avrebbe frainteso la situazione. Nonostante li adorasse e li invitasse senza tanti sottintesi a uscire insieme, Allie era certa che trovarli nello stesso letto non l’avrebbe resa felice. Per quanto potesse affermare di fidarsi di loro, restavano due giovani – presumibilmente innamorati – vestiti solo di un surrogato di pigiama, tra le lenzuola, di prima mattina. In quanti avrebbero onestamente pensato che non avevano fatto nulla?

Thomas si limitò ad alzare le spalle, indifferente dato che il pericolo era scampato, e a sporgersi per rubarle un altro bacio. Questa volta Allie rispose, smettendo di parlare e posandogli una mano dietro il collo, per tenerlo a sé. Ancora immersa nel torpore mattutino, spazzato via solo momentaneamente dall’arrivo di quella che forse avrebbe potuto definire suocera, si abbandonò alla sua dolcezza. Accarezzandogli la base dei capelli, s’immerse in quel mondo ovattato fatto solo di piacere e sospiri, di tenerezza e calore. La mano di Thomas, posata fino a quel momento appena sopra il suo ginocchio, risalì lungo la gamba, soffermandosi sul fianco per terminare il suo viaggio sulla sua vita, che strinse per avvicinarla al suo corpo. La canotta che aveva indossato la sera precedente si era inevitabilmente alzata nel corso della notte, scoprendola fino all’ombelico. Il contatto con la pelle di Thomas fu quindi diretto, vitale. Allie non era stata più timida di lui: il suo petto nudo l’aveva attirata subito e le sue mani erano scese lungo la sua schiena forte, per passare poi agli addominali che, sebbene non fossero scolpiti o evidenti, si avvertivano al tatto. Spinto dalla passione – a cui nemmeno Allie era immune – Thomas la spinse di schiena sul letto per sovrastarla e poterle baciare più facilmente il collo e la pelle delicata del petto, arrivando fino all’incavo dei seni, dove la veste gli impediva di continuare.

Ora che poteva respirare liberamente, Allie recuperò la lucidità. «Aspetta» ansimò, posando una mano sul suo torace per fermarlo.

«Cosa c’è?» s’informò, tornando all’altezza del suo viso.

«No» disse solo Allie, scuotendo la testa, mentre lo invitava a stendersi nuovamente accanto a lei. «Non è il momento giusto.»

Thomas si buttò di schiena, trattenendo un gemito frustrato, mentre lei riprendeva a spiegarsi. «Sei il fratello di Dafne e… sei importante per me. Non voglio che roviniamo tutti perché abbiamo corso troppo e bruciato le tappe. Non è ancora il momento, né il posto» considerò. «Siamo a casa tua, tua madre è al piano di sotto, tuo padre e Dafne chissà dove, magari fuori dalla porta. Non è il luogo adatto.»

Thomas sospirò e dovette ammettere che aveva ragione, almeno nella seconda parte del suo discorso. Sul fatto che fosse troppo presto, invece, avrebbe avuto da ridire, ma forzarla non era nelle sue intenzioni.

«D’accordo» annuì infine e fu ringraziato con un bacio veloce ma delicato.

«Hai dormito bene?» domandò mentre si voltava su un fianco per poterla vedere in viso.

«Sì, hai un letto molto comodo» aveva sorriso Allie, grata della sua comprensione.

«Vuoi fare colazione?»

«In effetti ho fame» confessò. «Ma aspetterò, c’è ancora tua madre di sotto» disse poi.

«Tra un po’ se ne va» la rassicurò, posando una mano sul suo fianco, questa volta sopra la canotta.

«Tuo padre?»

«Sarà al lavoro.»

«Non ne sei sicuro?»

«A meno che non sia malato – cosa che non è mai successa negli ultimi anni – dovrebbe essere in ufficio» le garantì.

«E Dafne è già partita?» s’informò.

«Hai paura anche di Dafne?» Si stupì dell’eccessivo timore che stava dimostrando verso i membri della sua famiglia. Poteva capire i suoi genitori… ma Dafne! Era sempre stata la sua migliore amica e, che lui sapesse, i rapporti non si erano mai incrinati.

«Certo che no!» lo bloccò. «È solo che potrebbe farsi un’idea sbagliata di ciò che c’è stato tra noi e non voglio che questo accada. Voglio essere io a spiegarle tutto, a raccontarle della nostra situazione, delle scelte che abbiamo fatto. Non voglio che fraintenda» spiegò.

«Quindi che facciamo?» domandò Thomas, confuso. Non potevano restare a letto tutto il giorno, anche se la cosa non gli sarebbe dispiaciuta poi così tanto.

«Scendi a vedere quando esce Martha e controlla che la casa sia vuota, poi posso lasciare il rifugio anch’io» disse, con parole rapide e decise.

*

«Hai sentito anche tu?» chiese Allie, staccandosi da lui e sedendosi. «Credo che sia uscita.»

Thomas annuì, distendendo le braccia prima di alzarsi e infilarsi una maglietta. «Vado a controllare» le disse mentre le lasciava una carezza sui capelli.

Sua madre si era finalmente decisa ad andare al supermercato, anche se era passata più di un’ora da quando l’aveva avvisato della sua imminente partenza svegliandolo di colpo. Thomas stava morendo di fame e anche Allie non era da meno perché, anche se aveva finto di non accorgersene, aveva chiaramente sentito il suo stomaco brontolare.

La casa era deserta, come immaginava. Suo padre doveva essere a lavoro già da un bel po’ e anche Dafne non era presente. Stava per chiamare Allie e invitarla a scendere per far colazione, quando il vassoio posato sulla credenza richiamò la sua attenzione. Avrebbe potuto portargliela in camera. Oppure no. Soppesò l’idea per qualche istante, cercando di decidersi. Non voleva apparire troppo svenevole, non lo era mai stato e quel gesto non mancava di dolcezza, ma Allie aveva l’assurda capacità di tirar fuori i lati più nascosti e insospettabili del suo animo. Posò la caffettiera sul fornello, approfittando di quel momento per valutare le sue opzioni. Se avesse scelto di salire le scale con il vassoio, avrebbe dovuto riempirlo e lui non aveva idea di cosa preferisse la ragazza per colazione. Era un argomento che non avevano mai toccato, non ce n’era mai stata l’occasione, e non ricordava di aver mai iniziato la giornata a tavola con lei.

Compiere una decisione non si rivelò necessario, perché sentì dei passi veloci scendere le scale e Allie fece la sua comparsa in cucina mentre stava versando il caffè nelle tazze.

«Come mai sei scesa? Non temevi di essere vista?» le domandò, aprendo il frigorifero per prendere il latte e posarlo sulla tavola.

«Non ho sentito nessun rumore e tu non hai mai parlato, ho immaginato che non ci fosse nessun altro» spiegò, accomodandosi su una sedia.

Aveva indossato di nuovo l’abito del giorno prima e aveva raccolto i capelli in una coda, sembrava pronta per andarsene. Thomas scoprì di non apprezzare quel pensiero, forse troppo assuefatto dal tempo passato con lei nelle ultime ventiquattr’ore.

Si servì di ciò che Thomas le aveva posto davanti con una tale naturalezza che sembrava non avesse fatto altro in tutta la sua vita. Non era la prima volta che faceva colazione in quella casa, ma di solito dormiva dall’altra parte del corridoio, con Dafne.

«Avevi proprio fame» notò Thomas, indicando la confezione di biscotti che avevano finito.

«Anche tu» ribatté lei, guardandolo e ridendo divertita.

«Cosa c’è?» domandò, senza comprendere cosa la rallegrasse tanto.

Allie prese una salvietta e avvicinò la mano al suo viso, passandola sul suo mento. Poi gli mostro la carta bagnata. «Eri sporco di latte» spiegò, continuando a sorridere e contagiando inevitabilmente anche lui.

Le loro risate s’interruppero allo stesso momento, quando udirono la chiave girare nella serratura e il cigolio della porta d’ingresso che si apriva. Si zittirono, lo sguardo fisso in quello dell’altro. Allie era sgomenta, Thomas solo fremente per ciò che sarebbe inevitabilmente successo. Entrambi avevano dato per scontato che fosse Martha di rientro dalla spesa, ma i passi veloci che si avvicinarono a loro non corrispondevano a quelli della donna. Accompagnata dallo scricchiolio delle sue scarpe, Dafne superò la porta della cucina senza nemmeno voltarsi, diretta verso le scale. Non vi mise piede, però, perché nonostante non stesse prestando attenzione aveva colto con la coda dell’occhio due figure alla sua sinistra. Girò sui tacchi e compì un paio di passi, fermandosi sulla soglia.

Non si era sbagliata. Davanti a lei, seduti al tavolo della cucina con la tavola ancora apparecchiata per la colazione, stavano suo fratello e la sua migliore amica. Mentre lui era quasi indifferente alla sua presenza – non la guardava neppure, lo sguardo era fisso sulla ragazza che aveva di fronte – gli occhi di Allie sembravano quasi colpevoli.

«Buongiorno» salutò, fissandola, incapace di trattenere il sorrisino divertito che si delineò sulle sue labbra.

Allie boccheggiò per un momento, non sapendo cosa dire, e lanciò un rapido sguardo a Thomas che non aveva ancora voltato la testa per guardare la sorella. Poi riportò gli occhi su di lei e aprì la bocca per parlare, anche se ancora non sapeva quali parole le sarebbero uscite. Dafne fu più veloce.

«Immagino che ieri vi siate divertiti» considerò, sistemandosi la borsa sulla spalla.

«No, noi non…» Allie negò senza nemmeno badare a ciò che le aveva detto l’amica, scuotendo la testa con forza e agitando le mani in segno di diniego.

«Non vi siete divertiti?» domandò allora lei, perplessa per la sua espressione agitata. Thomas, per la prima volta da quand’era entrata, dimostrò di aver riconosciuto la sua presenza e sorrise alle sue parole, beccandosi subito un’occhiataccia dalla sua ragazza. Compreso che in quel momento era di troppo, si alzò e uscì dalla cucina, incrociando gli occhi della sorella mentre le passava accanto con uno sguardo che lei non riuscì a comprendere appieno.

Lo sentì salire le scale mentre lei si avvicinava al tavolo e vi puntava le mani, guardando Allie dall’alto.

«C’è qualcosa che mi vuoi raccontare?»

Lei accennò un movimento della testa, come per recuperare le idee, poi parlò lentamente per dar peso alle parole. «Non siamo andati a letto insieme... Cioè, tecnicamente sì, ma solo per dormire. Non abbiamo fatto niente» spiegò, ingarbugliandosi con le parole. «Ieri è stata una giornata bellissima e non avevo voglia di tornare a casa da sola, così sono rimasta qui.»

«Niente?» ripeté Dafne, lievemente sorpresa.

Allie non si era mai fatta troppi problemi a bruciare le tappe con un ragazzo. Non che la si potesse definire una facile, aveva una dignità e prendeva le sue decisioni seguendo il cuore e l’istinto, ma non aveva mai rallentato le cose per eccessiva prudenza. Non stava frequentando Thomas da molto tempo, è vero, ma più di una volta Dafne si era ritrovata a chiedersi cosa aspettassero a rendere più seria e pubblica la loro storia. Sembrava che fosse lei quella più impulsiva ora, soprattutto dopo la sua avventura in vacanza.

«Niente» confermò, sostenendo il suo sguardo curioso e indagatore. «Però abbiamo deciso di dirlo ai nostri genitori, anche se non sappiamo ancora quando» annunciò.

«Finalmente» sospirò Dafne, poi le pose una domanda che le vorticava in testa da quando era entrata in casa. «Perché oggi sei così… strana?» In mancanza di aggettivi migliori, utilizzò il più generico e immediato che le venisse in mente.

Allie chiuse gli occhi per un attimo prima di parlare, come se volesse cancellare gli ultimi minuti della sua vita e i pensieri che li avevano accompagnati. «Lo so, sono stupida. Avevo paura che prendessi male il fatto che ho dormito qui con Thomas…» sbuffò, incrociando le braccia. «Lui è tuo fratello e la cosa è ancora un po’ strana per me. Non sono mai dovuta entrare in casa tua di nascosto, soprattutto di nascosto da te!»

Dafne si limitò ad annuire, comprendendo i dibattiti interiori con cui doveva convivere l’amica. Non commentò, decise di lasciarle un po’ di tempo per fare ordine mentale da sola. Era certa che ogni rassicurazione sarebbe stata inutile, perché lei sapeva che tra di loro non c’erano problemi, che era e sarebbero state comunque amiche e suo fratello non poteva cambiare tutto ciò.

Lo squillo del cellulare, che interruppe il silenzio totale in cui si trovavano, la colse di sorpresa ed Allie rispose immediatamente senza nemmeno guardare il display.

«Ciao, sono Alice.» La voce che le giunse sembrava sicura, dava l’impressione di una persona sorridente e allegra, non certo la ragazza che ricordava.

«Ciao» la salutò, stupita. Era sempre stata lei a mettersi in contatto, Alice non l’aveva mai chiamata prima. «Come stai?» domandò, guardando Dafne che la stava osservando confusa, non potendo udire la conversazione.

«Bene, grazie. Ti ho chiamato per chiederti se ti va di uscire a fare shopping oggi pomeriggio» propose, e questa volta la sua voce ebbe un lieve tentennamento che però non fu notato.

«Certo» accettò subito, sorridendo. A quanto pare Alice aveva deciso di aprirsi, di darle la possibilità di mostrarle quanto potesse essere divertente e naturale stare insieme a un’amica. Non avrebbe rifiutato quell’occasione.

«E…» esitò un momento prima di continuare la frase. «Se vuoi puoi chiedere a Dafne» terminò con l’intonazione di una domanda, ma Allie non se ne curò, troppo esaltata all’idea di questo suo sbocco sulla vita.

«È proprio qui davanti a me, ora le chiedo se è libera. Resta in linea» l’avvisò, posando il telefono contro la maglietta per tappare il microfono prima di riassumere quel breve dialogo all’amica, che rimase più sorpresa di lei.

«Davvero?» chiese in un sussurro, con gli occhi spalancati. Non aveva ancora rivisto Alice dalla fine della scuola, ne aveva avuto la possibilità quella sera in discoteca ma lei non si era presentata. Vedendo che Allie annuiva con convinzione, accetto di buon grado la proposta. Era certa che sua zia le avrebbe concesso il pomeriggio libero, in fondo lavorava da lei solo provvisoriamente e non avevano impegni in quei giorni, quindi la donna sarebbe stata in grado di gestire il negozio da sola.

«Passiamo a prenderti vero le tre» la informò Allie, riponendo il telefono nella borsa dopo aver salutato la ragazza.

«Come mai quest’invito?» domandò Dafne, incuriosita.

«Non lo so, non me l’ha detto, ma meglio così! L’importante è che si sia decisa» considerò, controllando l’orologio. «Forse è meglio che vada ora, ci vediamo più tardi.»

La salutò con un bacio sulla guancia, poi si diresse in salotto, dove Thomas se ne stava steso scompostamente sul divano a guardare la televisione. «Mi porti a casa?» annunciò, sporgendosi dallo schienale per raggiungere il suo viso.

«Di già?»

Allie rise, posando le labbra sulle sue in un bacio leggero. «L’ora di rientrare è già passata da un pezzo» gli fece notare, accarezzandogli una guancia.

«D’accordo» sbuffò lui, sollevandosi e stiracchiandosi la schiena. Afferrò le chiavi dell’auto dal mobiletto e si avviò verso la porta, un braccio posato sulle spalle di Allie e la mano a giocare con la punta dei suoi capelli.

*

«Allora, cosa pensi che ti comprerai oggi?» chiese Allie, chiudendo a chiave l’auto che aveva deciso di lasciare in un parcheggio ancora lontano dalla zona in cui si trovavano i negozi, ma sempre libero. Non voleva rischiare di non trovare posto più avanti e dover tornare indietro, perdendo tempo.

Alice si voltò a guardarla, sorpresa da quella domanda. Quando aveva proposto quell’uscita all’insegna dello shopping, non aveva pensato di acquistare davvero qualcosa. Il suo era stato un gesto dettato dal desiderio di superare la timidezza, non dal bisogno di nuovi vestiti o prodotti.

«In realtà, credo non mi serva niente» ammise, stringendosi nelle spalle.

«Per piacere!» rise Allie, lanciando un’occhiata a Dafne che camminava al suo fianco. «Nessuno esce con me per fare shopping e ritorna a casa senza aver preso niente!»

«Beh, se trovassi qualcosa di carino potrei comprarlo, sì» ipotizzò allora la ragazza, per nulla convinta.

«Certo che lo prenderai!» l’incoraggiò Dafne, rivolgendole un sorriso.

Non era ancora riuscita a trovare la denominazione adatta all’emozione che aveva provato nel rivedere Alice.

Felicità? No, era un sentimento troppo allegro per quel momento.

Confusione? Anche, ma non spiegata totalmente ciò che sentiva.

Sollievo? Un po’, perché aveva visto che lei aveva fatto uno sforzo per uscire e sapeva che quello era un passo importante sulla strada che doveva percorrere.

Ma anche delusione, perché era ancora evidentemente in difficoltà e lei avrebbe dovuto capirlo prima, lei che si era trovata in una situazione simile.

«Entriamo qui!» disse Allie, prima di prendere Alice per un braccio e trascinarla in un negozietto all’angolo della strada. Dall’esterno non sembrava più grande della sua camera da letto, ma una volta entrata Alice si rese conto che c’era molto più di quanto apparisse. Era stretto ma molto lungo, con un’infinita fila di appendiabiti al centro e ai lati, così da lasciare appena lo spazio necessario per camminare. «Vengo spesso qui» le rivelò Allie, mentre iniziava a guardare i vestiti alla sua destra. «Ci sono cose bellissime e si spende poco».

Alice annuì, prima di seguire il suo esempio e infilarsi in quel mare di stoffe colorare. Ben presto, decise che quello non era il posto per lei. Le maglie avevano tonalità troppo sgargianti, gli abiti erano troppo corti e leggeri perché potessero starle bene. Allie e Dafne, invece, avevano già le braccia piene e si stavano dirigendo ai camerini. Dafne posò i vestiti sullo sgabello al suo interno e si voltò, notando che Alice non sembrava apprezzare il posto. «Non provi niente?» domandò, mentre la ragazza le si avvicinava.

«No. Non c’è niente che mi possa stare bene» rispose.

«Per favore!» esclamò con uno sbuffo, prima di afferrare un abito dalla sua pila e metterlo tra le sue mani.

«Prova questo» disse ed entrò nel suo camerino. Quell’affermazione le era parsa più un ordine che un consiglio e Alice valutò che forse era meglio ascoltarla. Dafne si era rivelata una degna compagna di Allie, solare e decisa, pronta ad accoglierla nella sua vita sebbene la conoscesse solo in modo superficiale. Per un certo verso era contenta che si stessero comportando in quel modo con lei: la trattavano come una loro pari, non come una ragazzina che ha bisogno di essere consolata e assecondata.

Diede un’occhiata a ciò che aveva tra le mani. Era un bel vestito nero e bianco, con una fantasia artistica. Era bello, ma non era sicura che, una volta indossato, lo sarebbe piaciuto ancora. Con un sospiro, si infilò in un camerino, si spogliò dei jeans e della maglietta e lo indossò.

Le arrivava poco sopra il ginocchio e il modello – che le aderiva fino a sotto il seno, per continuare in un’ampia e morbida gonna – le nascondeva i fianchi, che aveva sempre ritenuto troppo grassi.

«Come ti sta?» chiese Dafne, prima che la sua testa spuntasse da un lato della tenda. Studiò per un istante la sua immagina allo specchio, poi si lasciò andare a un sorriso entusiasta.

«Sei bellissima» si complimentò, tirando completamente la tenda. Alle sue spalle comparve Allie, che appoggiò le parole dell’amica prendendo ad annuire.

Alice deglutì, non sapeva cosa pensare. Quell’abito le stava oggettivamente bene, doveva ammetterlo. Ma non l’avrebbe mai portato, ne era certa. Non avrebbe mai avuto l’occasione di indossare un capo d’abbigliamento tanto sbarazzino, non si sarebbe mai sentita a suo agio a girare così. Sarebbe stata carina, ma incapace di essere altrettanto simpatica.

«Non lo so… Non credo che lo userei molto» si oppose, senza incontrare gli occhi delle ragazze.

«Sciocchezze! Ti sta a pennello e in ogni caso costa poco, non sarebbero soldi buttati al vento» la incentivò Allie. «Vieni fuori, alla luce fa un altro effetto» la invitò. Alice obbedì e dovette darle ragione: i faretti posizionati sul soffitto le permettevano di notare i punti luci sui fianchi, che altrimenti non avrebbe visto.

Rendendosi conto che nonostante tutto non era riuscita a convincerla, Allie insisté: «Se non lo prendi tu, te lo regalo io».

«Okay» sospirò Alice, arresasi. «Lo compro».

Giunsero alla cassa dopo più di mezz’ora data la mole di vestiti, maglie e pantaloni che Dafne e Allie si ostinavano a provare, finendo poi per acquistare solo un paio di capi. Alice se n’era stata seduta su un pouf ad aspettare che finissero e ad ammirare la loro sicurezza, mentre sfilavano da un camerino all’altro senza badare agli altri clienti che di tanto in tanto le guardavano.

Estrasse il portafoglio dalla borsa e depose l’abito sul bancone, dov’era accomodato un giovane commesso.

«Hai fatto una buona scelta» le disse, digitando il prezzo alla cassa.

«Come?» si ritrovò a chiedere, senza comprendere quelle parole, mentre alzava gli occhi per incontrare i suoi. L’osservò con un’attenzione che prima non gli aveva dedicato. Doveva avere la sua età - sicuramente non era più vecchio di lei – era… moderatamente attraente. Il suo aspetto pulito e gentile non la faceva infiammare di desiderio, ma quando mai lo era stata?

«Questo abito ti sta molto bene» dichiarò mentre lo infilava in una borsetta con il logo del negozio. «Non lo dire in giro» continuò, alzando l’indice davanti alle labbra e guardandola con un sorriso, «ma ti faccio uno sconto.»

Alice non riuscì a rispondere, spiazzata. Nessun ragazzo le aveva mai parlato a quel modo, nessuno le aveva rivolto nemmeno una minima attenzione. Probabilmente colui che aveva davanti soffriva di un problema alla vista. O forse la stava solo prendendo in giro, come tutti avevano sempre fatto.

Pagò in silenzio, incapace di reagire a una provocazione e tanto meno di ribattere a un approccio di altro genere, dato che non l’aveva mai sperimentato prima. Intascò il resto senza controllare e uscì dal negozio mormorando un «Buongiorno» che lui pensò di aver solo immaginato, tanto flebile era la voce che l’aveva pronunciato. Aspettò Allie e Dafne all’aperto, confusa e spaesata. Non capiva cosa le fosse appena successo.

Buonasera :)

So che sono in ritardo, in tremendo ritardo dato che l’ultimo aggiornamento risale al 22 ottobre. Non posso addurre la scusa di non aver avuto il tempo per scrivere, poiché la storia è già completa da un po’: ho dovuto scegliere tra molti impegni e ho dovuto dare la priorità ad altre cose, relegando in secondo piano Efp e allontanandomene per un po’. Ora però sono tornata e mi scuso con voi per non aver avvertito. Non che questa storia sia tanto popolare da far notare la sua assenza, ma se state leggendo significa che almeno un po’ vi piace e con voi mi scuso davvero.

Vi ringrazio, tuttavia, per essere rimasti qui ad aspettarmi.

I capitoli totali sono quindici, epilogo compreso, quindi non manca molto alla fine.

Avrete notato, forse, che questo non è il giorno della settimana in cui ero solita pubblicare. L’appuntamento del mercoledì riprenderà dal 19 novembre, tra qualche giorno. Ho deciso di pubblicare questo capitolo oggi perché è stato il mio primo momento di libertà e sentivo il bisogno di condividerlo con voi.

Questa voglia gli spoiler del prossimo capitolo sono due, spero con questo di farmi perdonare almeno un po’ e di invitarvi a continuare questo percorso fino alla fine.

«È impegnata?»
«Come?» Dovette chiedergli di ripetere, colta alla sprovvista da quell’interrogativo.
«Ha un fidanzato?»

*

«Il mio istinto mi dice di provare a conoscerti.»
A quelle parole, le labbra di --- si piegarono spontaneamente in un sorriso, subito riflesso in quelle di ---.

Istinto.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


cap 12
Bolle di felicità

A story of everyday life







Capitolo 12

A partire da quella mattina, Allie non avrebbe più potuto restare a letto a poltrire. Era il suo primo giorno di lavoro al Blue Secret e si era alzata presto per non essere in ritardo. Non dormiva più già da un po’ quando la sveglia aveva cominciato a suonare, agitata per quella nuova esperienza che avrebbe dovuto affrontare. Si era vestita sobriamente e con abiti comodi dato che avrebbe dovuto correre avanti e indietro per il locale tutto il giorno. Aveva raccolto i capelli in una coda alta per avere un aspetto più ordinato e aveva mangiucchiato qualche biscotto insieme a un bicchiere di latte. Non aveva fame, lo stomaco era ancora chiuso per l’ansia che quel nuovo impegno le procurava, ma sapeva di non poter restare a digiuno. Si sarebbe calmata in poco tempo, giusto quei minuti necessari a familiarizzare con il suo posto di lavoro e gli altri dipendenti.

Aveva salutato i suoi genitori con un sorriso ed era salita in macchina, stranamente in anticipo. Jennifer, la proprietaria, le aveva detto di presentarsi quindici minuti prima dell’apertura per avere il tempo di conoscere le sue mansioni, ma quando entrò nel bar mancava ancora mezz’ora.

Era l’unica dipendente ad essere arrivata, la stessa Jennifer stava ancora accendendo le luci e le macchine del caffè per farle scaldare.

«Buongiorno» la salutò, invitandola ad avvicinarsi. «Pronta per il primo giorno?»

Allie annuì, posando la borsa sul bancone. Poté solo rispondere al saluto, perché poi Jennifer iniziò a indicarle la zona di cui si sarebbe dovuta occupare, ricordandole comunque che se aveva bisogno d’aiuto non doveva esitare a chiederlo. Si trattava solo di pochi tavoli, meno di quanti ne avrebbe dovuti gestire in futuro. Oltre a lei c’erano altri due camerieri – William e Janine – che lavoravano lì da qualche anno e l’avrebbero aiutata in caso di difficoltà. Si prese qualche minuto per studiare il listino, mentre Jennifer le spiegava la composizione dei prodotti dai nomi più strani, che lei non conosceva.

William e Janine arrivarono insieme, ridendo e richiamando la sua attenzione. Biondi, alti, occhi verdi e pelle chiara, si assomigliavano in modo talmente evidente che Allie giudicò fossero fratello e sorella. Sì, ma non solo. Cogliendo lo sguardo che ormai dovevano essere abituati a vedere negli occhi della gente, la informarono più precisamente della loro parentela: erano gemelli. Solari e simpatici, Allie si trovò subito a suo agio con loro, mentre l’agitazione di quella mattina era scemata senza che lei se ne rendesse conto.

Non dovettero aspettare molto perché i primi abitudinari clienti si presentassero. Chi aveva il quotidiano in mano, chi il telefono all’orecchio già immerso nella giornata lavorativa, chi ancora assonnato prendeva un caffè forte per iniziare la giornata, chi si fermava per ristorarsi dopo una corsetta mattutina e chi, più tardi, veniva a ripararsi dalla pioggia che aveva iniziato a scrosciare all’esterno.

Allie non trovò grandi difficoltà, gli ordini non erano complessi e Jennifer – aiutata da due donne con cui non aveva ancora avuto l’occasione di parlare, dato che erano arrivate appena in tempo per l’apertura – le porgeva le varie tazze e bicchieri in pochi istanti.

Verso le undici il locale si trovò in uno stato di quiete quasi assoluta, solo una manciata di persone erano presenti data l’ora particolare: tardi per la colazione, presto per un aperitivo prima di pranzo.

A uno dei suoi tavoli si era appena accomodato un ragazzo, un volto che le sembrava di aver già visto ma che non ricordava con precisione.

«Buongiorno, cosa posso portarle?» domandò con un sorriso, facendo scattare la penna che teneva in mano, pronta a scrivere.

«Un caffè lungo, grazie» ordinò lui, mentre la osservava con sguardo curioso, indagatore, perché anche lui aveva la stessa sensazione.

Allie annuì, mantenendo il sorriso di cortesia che dall’inizio della mattinata non se n’era mai andato dalle sue labbra, e fece dietrofront per dirigersi al bancone.

Porse il foglietto con l’ordinazione e il numero del tavolo a Jennifer e attese che il caffè fosse pronto, sforzandosi di ricordare dove l’avesse incontrato. Sforzi vani da parte sua ma produttivi nel ragazzo, che l’accolse con un’occhiata consapevole quando tornò.

«Grazie» disse, sfiorando la tazzina fumante. «Scusa, so che quella che sto per farti è una domanda strana, ma per caso sei passata al negozio d’abbigliamento Floreal l’altro pomeriggio?»

Come un lampo che squarcia il cielo, l’immagine del commesso le si presentò alla mente. «Sì. Tu lavori lì, vero?» ribatté, muovendo la testa in segno di assenso.

«Sì» confermò lui. «Eri con una ragazza che ha comprato un vestito…» continuò, avvicinandosi al punto che più gli interessava della conversazione.

Alice, per forza. Dafne aveva acquistato un paio di pantaloni.

«È impegnata?»

«Come?» Dovette chiedergli di ripetere, colta alla sprovvista da quell’interrogativo.

«Ha un fidanzato?»

«No, ma perché me lo chiedi?» Scosse il capo, sorpresa. L’aveva vista solo per pochi minuti e non le aveva parlato – non che lei sapesse, perlomeno – era assurdo che fosse interessato a lei.

«Credi che le farebbe piacere conoscermi?» domandò invece, senza rispondere.

Allie ci pensò un attimo prima di rispondere, valutando la situazione. Il giovane che aveva davanti era carino, aveva un’espressione che ispirava fiducia e non sembrava troppo espansivo o spericolato. Tutte caratteristiche che lei avrebbe ritenuto perfette per Alice, ma di cui non poteva essere sicura dato che non lo conosceva. Nonostante la naturale simpatia che le suscitava, restava un altro problema – più grande e serio – da affrontare: Alice sarebbe stata interessata a un ragazzo, un qualsiasi ragazzo, data la sua timidezza?

Ieri era stata abbastanza aperta, aveva preso parte alla conversazione senza mostrare sforzi troppo evidenti sebbene fosse chiaro che non si trovasse completamente a suo agio. Tuttavia, questo non era sufficiente per dare ad Allie la certezza che sarebbe stata in grado di sentirsi bene anche con uno sconosciuto – bello, simpatico e alla mano, ma pur sempre sconosciuto – che sembrava interessato a lei.

«Vedi, Alice è molto timida…» rispose, cercando un modo per spiegarsi senza dargli un’impressione sbagliata dell’amica e allo stesso tempo senza che le sue parole sembrassero una scusa. «Non sono sicura che sia interessata a conoscere qualcuno in questo momento.»

«Ma non sei nemmeno sicura che le darei fastidio» insisté, speranzoso.

«No» ammise.

«Allora potresti darmi il suo numero o un altro contatto?» domandò, estraendo il cellulare dalla tasca dei jeans.

Allie scosse il capo. «Mi dispiace, no.» Rifiutò, non era sua abitudine fornire numeri di telefono di altre persone, nemmeno quand’era sicura che queste non avrebbero avuto nulla in contrario, e questo non era uno di quei casi. «Se vuoi posso informarmi, ma non ti darò il suo numero» spiegò.

«Allora ti do io il mio» propose lui, tentando un metodo alternativo.

«Posso chiederti cosa ti spinge a insistere tanto per conoscere una ragazza che hai visto a malapena?» chiese, incapace di trattenersi.

Lui abbozzò un sorriso. «Mi ha colpito la sua semplicità, la sua innocenza. Non era interessata agli abiti più sgargianti e appariscenti, sembrava accontentarsi di stare con te e quell’altra ragazza senza aver bisogno d’altro. Era di una naturalezza disarmante» confessò, ricordando la sua faccia intimorita al complimento che le aveva fatto.

«Okay, dammi il tuo numero» acconsentì Allie, piacevolmente colpita da quelle parole e dalla sua capacità di inquadrare Alice alla perfezione, senza nemmeno conoscerla. Gli porse il blocchetto e la penna – Jennifer le aveva imposto di lasciare il cellulare in borsa, per evitare distrazioni – e lui prese a scrivere con una grafia disordinata e allungata.

«A proposito, mi chiamo Edmond.»

*

Allie decise di approfittare dell’ora e mezza di pausa pranzo per tornare a casa a mangiare e recarsi subito dopo da Alice: la buona impressione che Edmond le aveva lasciato era ancora fresca e voleva sfruttarla fino in fondo per convincere l’amica. Decise anche di non scendere troppo nei dettagli, di informarsi solo su un ipotetico e futuro ragazzo interessato a lei, per evitare di spaventarla con l’imminente realtà di quella prospettiva.

Non fece nemmeno in tempo a suonare il campanello che la porta d’ingresso si era già aperta. Nicholas stava uscendo di casa e se lo ritrovò davanti, inaspettato, mentre si bloccava sullo zerbino.

«Ciao» la salutò lui, visibilmente stupito di incontrarla.

«Ciao» rispose in tono incolore, deviando lo sguardo dai suoi occhi. Sebbene lui avesse ammesso di aver compreso il suo errore e promesso di non ripeterlo, Allie non riusciva a comportarsi in modo amichevole con lui.

«Come stai?» domandò, più per tentare di dare il via a una conversazione che per reale interesse.

«Bene» disse, sbrigativa. «C’è Alice?»

Nicholas annuì. «Sì, è in cucina.» Allie accennò a un salutò con il capo e lo superò, pronunciando forte il nome dell’amica. Lui però la bloccò, richiamandola e trattenendosi dal prenderle un braccio per fermarla, consapevole che non avrebbe apprezzato il gesto. «Scusami» la pregò e, finalmente, riuscì a incontrare il suo sguardo.

Allie tentò di farsi passare quell’irritazione che le era salita alla sua vista, ci provò davvero e con impegno, ma vi riuscì solo parzialmente. «Ci proverò» promise sinceramente, prima di avanzare verso la ragazza che era comparsa sulla soglia della cucina.

Alle sue spalle la porta si era chiusa e Nicholas era uscito. «Ciao, Alice» salutò con un sorriso. «Ho così tante cose da raccontarti!»

Alice la invitò a sedersi, lanciando un’occhiata alla porta dietro cui era sparito il fratello. Sapeva che c’era stato uno screzio tra lui e Allie, che lui aveva interpretato male la gentilezza di lei, ma nessuno dei due le aveva spiegato dettagliatamente cos’era successo, forse per evitare di metterla in mezzo.

«Ho poco tempo, però, dato che oggi ho iniziato a lavorare» continuò Allie. «Sono in pausa pranzo.»

«Al Blue Secret?» domandò, ricordando il nome del locale che le aveva nominato qualche giorno prima.

Allie annuì. «So che ho appena iniziato ed è presto per dare un giudizio, ma devo dire che mi sto trovando bene, sono gentili con me e non mi sembra di avere compiti troppo complessi. Poi magari mi faranno diventare una schiavetta, ma intanto…» rise, facendo spuntare un sorriso anche a lei.

«Sei andata al mare?» le domandò Alice, curiosa e desiderosa di partecipare attivamente a quella conversazione.

«Sì, è stato magnifico!» esclamò l’amica, con gli occhi che brillavano per la contentezza del ricordo e per l’apparente spontaneità che Alice stava dimostrando quel giorno. Le raccontò la giornata con entusiasmo, riservandosi solo alcuni dettagli che riteneva troppo privati per essere condivisi e che temeva l’avrebbero messa in imbarazzo. Pose l’attenzione soprattutto sulla felicità che i momenti condivisi con Thomas le facevano provare, mentre con la mente già progettava le parole necessarie per legare a quei ricordi la domanda per cui era andata da lei.

«È semplicemente… oddio, non so se esiste una parola per definirlo. È stupendo stare con lui, per la prima volta mi sento davvero completa, in compagnia di qualcuno che mi capisce alla perfezione e sa accettarmi per come sono.»

Era vero. Nonostante avesse avuto altre relazioni e avesse sempre sentito un forte legame con i suoi ex ragazzi, nessuno le aveva fatto provare una tale intensità di sentimenti. Ovviamente la sintonia non si limitava alle relazioni amorose, anche Dafne sapeva comprenderla benissimo, ma lei era la sua migliore amica. Ciò che provava per Thomas era diverso, era un’altra gamma di emozioni che nessun’amica poteva suscitarle.

«E tu, invece? Non hai nulla da raccontarmi? Qualche spasimante che hai tenuto segreto?» domandò poi, assumendo un tono più gioioso.

La mente di Alice corse subito all’immagine del commesso che le aveva rivolto la parola un paio di giorni prima, comportandosi con lei in un modo totalmente nuovo. Rifiutò, però, l’idea che lei potesse interessargli: era assurda. Non era mai piaciuta a nessuno, troppo timida e banale per essere notata, figuriamoci ricordata. Non si capacitava del fatto che qualcuno potesse avere a cuore la sua esistenza.

Scosse il capo. «No, nessuno» rispose. «A chi vuoi che interessi?» Aveva pronunciato quelle parole senza volerlo, lasciando libero campo ai suoi pensieri che, aiutati dalla familiarità che stava instaurando con Allie, non si erano preoccupati di parlare troppo.

«Non dire così!» la rimproverò lei, incrociando le braccia. «Se non hai ancora avuto un ragazzo non significa che non l’avrai in futuro. E se indosserai il vestito che hai preso l’altro giorno, sono sicura che avrai la fila fuori dalla porta di casa» ribatté, lanciandole una frecciatina apparentemente casuale, dato che Alice non poteva sapere della sua conversazione con Edmond.

Le guance di Alice s’imporporarono mentre dentro di lei prendeva vita una battaglia di sentimenti contrastanti. Una parte di lei avrebbe voluto raccontarle ciò che le aveva detto quel ragazzo per avere un consiglio, per capire se stava immaginando tutto o se era solo una fantasia repressa; d’altro canto, però, temeva di apparire una bambina sciocca e incapace di relazionarsi con un essere di sesso opposto, cosa tra l’altro vera.

«Io…» tentennò, indecisa. Poi fece un respiro profondo e iniziò a parlare, sforzandosi di convincersi che non aveva nulla da perdere e che Allie non le avrebbe mai riso in faccia. «C’è un ragazzo, in effetti. Il commesso del negozio dove ho preso il vestito. Mi ha detto che ho fatto un’ottima scelta e che mi sta davvero bene. È… un complimento?» Parlò tutto d’un fiato, senza pensare a ciò che diceva tanto quei dubbi l’avevano tormentata nelle ore passate.

Quella notizia era nuova per Allie. Edmond le aveva detto di aver notato Alice, non di averle parlato. Ora che lei le aveva riferito quell’episodio, non avrebbe nemmeno dovuto dannarsi per scoprire se lui avrebbe potuto interessarle senza andare troppo sul personale.

«Certo che è un complimento!» esclamò, sorridente. «È una cosa positiva» aggiunse, notando che quella dichiarazione non sembrava rallegrarla. «Perché non sei contenta? Lui non ti piace?»

«No, non è quello. Sono io che non piaccio a lui» rispose Alice, senza incontrare il suo sguardo.

«Ma se mi hai appena detto che ti ha lusingata!»

«Sì, ma non mi conosce. Se mi conoscesse, non gli piacerei» insisté, tirando fuori tutte le sue debolezze e le sue paure. «Io non piaccio ai ragazzi.»

«Non essere ridicola» la riprese Allie. «Sono certa che se ti conoscesse gli piaceresti ancora di più. Non permettere alla timidezza di impedirti di vivere felice.»

Alice sollevò gli occhi a quelle parole e li puntò su quelli di lei. La fissò in silenzio, leggendo in lei un’ulteriore conferma a ciò che aveva appena detto. Che fosse possibile?

«Lui com’è? Carino?» chiese Allie, curiosa di sentire la sua opinione.

«È… sì, è carino. Sembra gentile» rispose, ripensando a lui e alle sue parole, alla prima impressione che le aveva suscitato.

«E non vorresti conoscerlo meglio? Perché chiaramente lui vorrebbe conoscere meglio te

Alice sospirò, sostenendosi la testa con una mano. «Non saprei che cosa dirgli» confessò. «Come ci si comporta con un ragazzo?»

Aveva visto innumerevoli film romantici, commedie in cui l’amore vinceva sempre e i due protagonisti avevano un feeling invidiabile. Sembravano vivere in simbiosi, sapevano cosa piaceva all’altro e quali argomenti evitare, sapevano aiutarsi e supportarsi in ogni occasione. Ma quella era finzione. Loro erano sempre perfetti e lei non lo era per niente. In un ipotetico appuntamento, se ne sarebbe rimasta muta ad aspettare la fine della serata.

«Non ci sono delle regole» spiegò Allie dolcemente, stringendole una mano e guardandola negli occhi. «Non c’è un copione da seguire, bisogna solo essere se stessi. Non devi sforzarti di fingere una personalità che non è la tua. Segui l’istinto.»

Istinto. Se avesse seguito l’istinto, Alice sarebbe rimasta rintanata sotto le coperte per tutta la vita. Tuttavia aveva capito cosa intendeva l’amica, pur non essendo sicura di essere in grado di farlo.

*

Allie se n’era dovuta andare presto, la pausa stava per finire e non voleva arrivare in ritardo. Prima di uscire, però, era riuscita a strappare ad Alice la promessa che sarebbe passata a trovarla al bar entro qualche giorno. E quella promessa era stata mantenuta.

Fortunatamente si era ricordata di avvisarla – «così sono sicura di avere un po’ di pausa quando ci sei e posso stare con te» le aveva detto – e Allie aveva potuto chiamare Edmond per avvisarlo del momento in cui sarebbe dovuto andare al locale. Aveva visto l’indecisione di Alice, il suo desiderio di vivere contrapposto alla paura di lasciare il suo rifugio solitario. Aveva deciso che quel tentativo non avrebbe fatto male: organizzare un appuntamento al buio – anche se solo unilateralmente – al bar sembrava una prospettiva sicura. Se Edmond avesse avuto cattive intenzioni, non avrebbe avuto la possibilità di metterle in pratica e se Alice si fosse trovata in difficoltà lei sarebbe sempre potuta intervenire.

Così ora Alice se ne stava seduta su un tavolino con un thè caldo tra le mani e ascoltava il divertente resoconto della giornata di Allie. Non immaginava che quando l’amica si sarebbe alzata per riprendere a lavorare, invitandola a rimanere per finire con calma il suo thè, un’altra persona avrebbe occupato il suo posto. Se l’avesse saputo, avrebbe certamente fatto di tutto per evitare quella situazione e non si sarebbe presentata affatto.

«Buongiorno.» Una voce, che sembrava diretta verso di lei, le fece alzare lo sguardo dalla tazza fumante per puntarlo su una figura che si stagliava davanti a lei. Un ragazzo. Il commesso. «Posso sedermi?» domandò lui, sfoggiando un sorriso gentile e sicuro, una mano già posata sullo schienale della sedia che si trovava di fronte a lei.

Alice si limitò ad annuire in silenzio, interdetta. Era solo una coincidenza averlo incontrato o c’era qualche piano di cui era all’oscuro sotto? Cercò Allie, ma la ragazza sembrava essersi volatilizzata. Riportò allora l’attenzione sul giovane che le sedeva davanti, cercando con tutta se stessa di rimanere calma.

Lui la stava guardando con quei suoi occhi grandi che la mettevano in soggezione; poteva contare sulla punta delle dita le volte in cui un ragazzo le aveva rivolto uno sguardo simile e, ad ognuna di esse, corrispondeva il volto di uno dei suoi familiari.

«Mi chiamo Edmond» si presentò, porgendole una mano che lei si ritrovò a stringere senza rendersi conto di aver allungato la sua.

«Alice» rispose, riportando lo sguardo sulla sua bevanda.

«È un piacere conoscerti, Alice.»

«Come mai ti sei seduto qui?»

Avevano parlato insieme, l’uno sopra l’altro, con toni ben diversi. La voce di Edmond era vellutata, carezzevole, mentre sperava di riuscire a farla sentire a suo agio e di non sembrare uno stalker. Quella di Alice era confusa, quasi intimorita e molto più bassa di quella di lui.

Edmond trattenne a stento un sospiro a quella domanda, evidentemente non sarebbe stato facile guadagnare la sua fiducia, e si accinse a rispondere. «Ti ho notata l’altro giorno, ma forse te ne sei già accorta… Vorrei conoscerti meglio» confessò, cercando quegli occhi che sembravano scappare dai suoi.

Ad Alice si mozzò il respiro in gola, quell’idea quasi la spaventava. Era abituata a essere ignorata e derisa senza che nemmeno le si rivolgesse la parola, non voleva dare la possibilità a quel ragazzo, a Edmond, di conoscerla per poi disprezzarla proprio come tutti gli altri.

«Ti dispiace che sia qui?» chiese lui, dato che non aveva ricevuto risposta alla sua affermazione precedente.

Alice si costrinse ad alzare lo sguardo prima di parlare. «No… però non credo sia il caso.»

«Perché no?»

Ancora quella domanda. Perché? Già, perché? Come ogni volta, Alice non seppe formulare una frase sensata. La mente sembrava svuotarsi quando le si chiedeva di giustificare una sua scelta, forse perché queste sue decisioni erano dettate dalla paura che l’attanagliava, dall’incapacità di gettarsi in qualcosa di nuovo. Non c’era un motivo razionale che le ingiungesse di allontanarsi da lui, non appariva pericoloso, tuttavia ogni cellula del suo corpo la pregava di proteggersi da ogni possibile dolore.

«Alice?» la richiamò, allungando una mano per sfiorare la sua che era appoggiata mollemente sulla tazza. Sussultò, tanto che qualche goccia di thè le cadde sulla pelle facendola sobbalzare ulteriormente per il contatto con quel liquido caldo.

«Scusa» mormorò, ritraendosi da lei che finalmente lo stava guardando.

Sarà stato quel tocco inaspettato, l’irritazione che sentiva alla mano, il perdono chiesto con umiltà o forse qualcos’altro che non riusciva a definire, ma d’un tratto le parole cominciarono a uscire dalle sue labbra con rapidità. «Non ti piacerei. Non c’è niente in me che t’interesserebbe conoscere. Io non sono interessante, non sono… non sono come tutte le altre ragazze. Perderesti solo tempo.»

Edmond sorrise mestamente e scosse la testa, poi la guardò. «Vedo che non sei come le altre, sì, ma non mi pare un fattore negativo. E non sono d’accordo, non credo affatto che perderei il mio tempo ma anche se così fosse, beh… sono disposto a rischiare.»

«Perché?» Era la prima volta che le capitava di essere lei a porre quella domanda.

«Non lo so» ammise alzando le spalle, come se non fosse necessaria una giustificazione. «Il mio istinto mi dice di provare a conoscerti.»

A quelle parole, le labbra di Alice si piegarono spontaneamente in un sorriso, subito riflesso in quelle di Edmund.

Istinto.

Alice cominciò a credere che anche in lei stesse nascendo un nuovo genere d’istinto, quello che vuole vivere.

Buongiorno :)

Grazie.

Non potete immaginare che gioia sia tornare dopo tre settimane, aspettandosi di essere circondata dal vuoto data l’assenza prolungata, e vedere invece il numero di coloro che seguono questa storia crescere piano piano. Grazie

Il prossimo capitolo sarà pubblicato mercoledì 26 novembre, eccovi gli spoiler:

Infine sospirò e ammise: «È Edmond.»
«E che aspetti a rispondere?» la incitò allora Allie.

*

«Chi è?» domandò Allie, che a differenza sua non era riuscita a sentire nulla.
«Presumo sia Michael» ipotizzò lui. «È tutto il giorno che fissa il telefono e non credo abbia altri ragazzi che le girano intorno in questo periodo.»

*

«Fammi sentire bellissima.»

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


cap 13
Bolle di felicità

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Capitolo 13

Allie girò la manopola del forno per spegnerlo e lo aprì, facendosi aria per scacciare il calore che ne uscì. Attenta a non scottarsi, afferrò la piastra con le presine e la sfilò dal suo appoggio per sistemarla sopra i fornelli. Richiuse lo sportello e con una spatola spostò i biscotti su un largo piatto decorato con piccoli fiorellini azzurri, ricoprendoli poi con lo zucchero a velo.

Nel forno ancora caldo mise l’arrosto, che aveva acquistato alla rosticceria vicino casa, per riscaldarlo. Si tolse poi il grembiule, dato che i suoi ospiti stavano per arrivare.

Come capitava abbastanza spesso, i suoi genitori avevano entrambi il turno di notte e lei si trovava da sola. Aveva così deciso, complice anche il fatto che finalmente erano riusciti a fissare una data per il grande annuncio, di dare una cenetta a casa sua. Pochi invitati: Thomas, Dafne e Alice. Un ritrovo intimo e semplice, per passare la serata con gli amici anziché in solitudine.

Aveva fatto di nuovo i biscotti alle gocce di cioccolato, l’unico dolce che era mai stata in grado di realizzare, che erano piaciuti tanto a Thomas. Per la cena vera e propria, invece, aveva voluto andare sul sicuro e aveva ordinato un piatto già pronto che avrebbe solo dovuto cercare di non bruciare.

La prima ad arrivare fu Alice. Era venuta a piedi, tanto abitavano vicine, e aveva portato un piatto di tartine fatte in casa.

«Dovrei dirti che non dovevi disturbarti, ma in realtà hai fatto bene, sono sicura che sono ottime» la ringraziò Allie.

«Mi hanno insegnato a non presentarmi mai a mani vuote» rispose semplicemente lei, alzando le spalle. Diede un’occhiata alla tavola apparecchiata per quattro dov’era stato posato il piatto. Sapeva chi sarebbe stato presente alla serata, Allie l’aveva avvertita, e nonostante avesse raggiunto una certa confidenza con lei e Dafne, l’idea di dover incontrare Thomas la inquietava un po’.

Aveva sentito solo buone cose su di lui, com’era ovvio dato che tutto ciò arrivava dalla ragazza che lo stava frequentando, ma non poteva evitare di sentirsi un po’ in imbarazzo al pensiero che magari avrebbe fatto la figura della sciocca, perché lui di certo non si aspettava una persona come lei.

La sua preoccupazione divenne ben presto reale, perché nel giro di un paio di minuti il campanello suonò di nuovo. Dafne entrò per prima, sorrise alle due ragazze e le salutò con un bacio sulla guancia. Thomas, invece, parve non notarla in un primo momento, troppo impegnato a baciare la sua ragazza. Solo quando lei si staccò, ridendo, lui posò lo sguardo su Alice. La osservò per un momento, curioso di conoscerla dato che Allie gli aveva parlato tanto di lei, e poi le sorrise con cortesia. A una prima impressione sembrava corrispondere all’idea di ragazza timida e riservata che aveva in mente, anche quando lei rispose al suo sorriso poté notare una certa cautela nel suo gesto.

Tuttavia, Alice rispose prontamente con un «E tu devi essere il famoso Thomas» al suo «Tu devi essere la famosa Alice.»

Allie aveva osservato contenta quella presentazione, sembravano essersi simpatici.

«Per fortuna Alice ha portato degli stuzzichini, altrimenti non avreste avuto molta scelta in fatto di cibo» disse, mantenendo l’attenzione sulla ragazza mentre indicava con un cenno del capo il piatto posto al centro della tavola.

Le guance di Alice s’imporporarono appena, mentre con la testa bassa cercava di fare respiri profondi ma impercettibili per scacciare quel rossore.

«È buono» giudicò Dafne, che aveva già provveduto a servirsi.

«Però sento un buon profumo arrivare dalla cucina» disse Thomas, lanciando un’occhiata all’altra stanza.

«Sì, ma non è opera mia» spiegò Allie. «Ho pensato che sarebbe stato più sicuro in questo modo, così non rischio di avvelenarvi» commentò, guardandolo di sottecchi mentre lui tratteneva una risata. Il riferimento alle parole che aveva pronunciato al loro primo appuntamento era perfettamente chiaro.

«Però ho preparato dei biscotti» continuò, alzando questa volta gli occhi per osservarlo direttamente. Questa volta non riuscì a contenersi e ridacchiò insieme a lei, mentre le altre due ragazze, ignare dei fatti a cui alludevano, si limitarono a scuotere appena la testa, senza capire.

«Allora, pronte per iniziare?» domandò Thomas, accomodandosi a tavola.

Dafne sospirò e mugugnò un «Non finirai mai di fare questa domanda?» mentre Alice, incerta sulla risposta da dare, si versò da bere. L’indomani sarebbe iniziato l’anno accademico e tutti i presenti, tranne Allie, si sarebbero dovuti presentare all’università. Se Thomas avrebbe ripreso le lunghe lezioni di medicina, tanto estenuanti quanto interessanti, le due ragazze avrebbero dovuto affrontare per la prima volta questo nuovo corso di studi. Letteratura inglese per Dafne, archeologia per Alice.

La prima si trovava divisa tra una gamma di sensazioni diverse: entusiasmo, quasi esuberanza, ma allo stesso tempo timore per l’ignoto e agitazione. La seconda, invece, vedeva quell’evento quasi solo in luce positiva: ora non ci sarebbe più stata una classe di compagni a tormentarla, sarebbe stata invisibile se l’avesse voluto e questa volta non in senso brutale. Sarebbe stata libera, avrebbe potuto concentrarsi sulle materie che amava senza dover subire l’umiliazione di sbagliare davanti a una ventina di adolescenti maligni.

«Certo che sono pronte» esclamò Allie, tornando dalla cucina con il vassoio dell’arrosto tra le mani.

«Adesso che inizierete a frequentare, potrò imbucarmi alle feste degli universitari con voi!» dichiarò, sorridente, prima di sedersi al suo posto, accanto ad Alice e davanti a Thomas.

«Quindi vuoi solo sfruttarci!» s’indispettì Dafne, mettendo un finto broncio, mentre Thomas ribatteva invece con un «Puoi imbucarti anche con me, se vuoi.»

Allie ignorò il doppio senso di quella frase e gli rispose senza guardarlo, scacciando la sua proposta con un gesto della mano. «Non sarebbe altrettanto divertente, non posso mica festeggiare con te come farei con loro!»

«Perché, cos’è che ti impedirei di fare?» domandò. In tutta risposta, Allie si limitò a ridere e a dargli un amichevole calcio sotto il tavolo, prima di spostare l’attenzione su un altro argomento, uno meno personale e privato.

«Non immaginerete mai cosa mi è capitato ieri mattina al bar!» disse, prima di iniziare a raccontare l’ennesimo episodio divertente di cui si ritrovava testimone da quando aveva iniziato a lavorare.

*

Allie aveva notato che, nel corso della serata, lo sguardo di Dafne si era ripetutamente abbassato verso la sua borsa, per rialzarsi qualche istante dopo, triste e abbattuto. Aveva evitato di chiederle una spiegazione, ritenendo che se avesse voluto condividere i pensieri che la tormentavano l’avrebbe fatto di sua spontanea volontà. Si era limitata a guardare Thomas, ma lui aveva alzato impercettibilmente le spalle in una risposta negativa.

Quando si udì il classico bip di un cellulare, però, il movimento di Dafne fu talmente improvviso e fremente che fu impossibile fingere di non averlo notato. Tuttavia, anche questa volta il suo telefono le presentò uno schermo vuoto.

Di fronte a lei, Alice si portò la tracolla sulle gambe e vi immerse le mani, alla ricerca del suo vecchio cellulare. Lo trovò dopo un paio di minuti, sperduto tra le mille cianfrusaglie che non aveva mai tolto dato che quella era l’unica borsa che utilizzava. Sullo sfondo illuminato spiccava una busta bianca che le indicava l’arrivo di un nuovo messaggio.

Scusandosi con i convitati, che avevano seguito i suoi movimenti, aprì l’sms. Arrossì e un piccolo sorriso spuntò sulle sue labbra non appena lesse il nome del mittente, anche se cercò di non darlo a vedere. Sforzi vani, perché tutti avevano notato quel cambiamento.

«Se è urgente, puoi rispondere» le disse Allie, vedendola fissare lo schermo senza muovere un dito.

«Oh, no» rispose, scuotendo il capo e sollevando lo sguardo. «Non è urgente, può aspettare.»

«Sicura?»

Alice annuì e allora Allie si chinò verso di lei e le parlò a bassa voce, per dare un’aria più privata alla loro conversazione. «Dalla tua espressione sembrava meritarsi un po’ d’attenzione.»

Alice scosse nuovamente la testa. Ormai si era ridotta a esprimere la sua opinione a cenni. Non voleva ammettere l’identità del mittente, trovava imbarazzante il fatto di aver ricevuto un suo messaggio mentre si trovava a cena fuori, non voleva farlo sapere agli altri – sebbene avesse ormai fiducia in loro – ma tacere sarebbe stato scortese.

Infine sospirò e ammise: «È Edmond.»

«E che aspetti a rispondere?» la incitò allora Allie, che vide confermata la sua ipotesi.

«No, non è educato» rifiutò, infilando il telefono in borsa e cercando disperatamente un altro argomento di conversazione.

Alla vista di quello scambio di battute, Thomas si sorprese sempre più dell’abissale differenza tra Alice e suo fratello, quel Nicholas. Lei, così riservata e dolce, addirittura timorosa di apparire maleducata nell’utilizzare il telefono a tavola. Lui, così strafottente e odioso, tanto da credere di potersi intromettere nella relazione che sarebbe poi nata tra Allie e lui. L’unica spiegazione plausibile che gli si presentò alla mente fu che uno dei due fosse stato adottato.

Mentre lui si perdeva in quelle meditazioni, le tre ragazze avevano dato vita a una conversazione che faticava a comprendere, forse focalizzata su uno di quei noiosi telefilm di cui erano appassionate. Rimase perso nell’oblio dell’incomprensione per alcuni minuti, finché non si udì un altro squillo di telefono.

Questa volta era davvero quello di Dafne. A differenza dell’amica, lei scattò in piedi, mormorò una scusa e sparì in cucina. L’unica parola che riuscì a udire, prima che si chiudesse la porta alle spalle, assomigliava a un mal pronunciato «Kalispera

«Chi è?» domandò Allie, che a differenza sua non era riuscita a sentire nulla.

«Presumo sia Michael» ipotizzò lui. «È tutto il giorno che fissa il telefono e non credo abbia altri ragazzi che le girano intorno in questo periodo. Di certo non è un’amica, non aspetta le tue chiamate in questo modo.»

Allie annuì, lanciando uno sguardo preoccupato alla porta chiusa della cucina. Quella doveva essere la seconda volta che si sentivano, perlomeno secondo ciò che le aveva detto Dafne. In confronto allo stato in cui si trovava nell’immediato ritorno in patria, la sua amica stava decisamente meglio. La tristezza le era passata, ora usciva e rideva senza problemi, ma poteva vedere chiaramente che una parte di lei era ancora legata ai ricordi di quelle due settimane di vacanza e probabilmente lo sarebbe sempre stata.

Alice, dal canto suo, non aveva idea di chi fosse quel Michael. Ne aveva sentito pronunciare il nome qualche volta, ma nessuna delle due le aveva spiegato per bene che ruolo avesse nelle loro vite e lei non l’aveva mai chiesto, temendo di risultare sfacciata e invadente. Non si erano mai fatte problemi a parlarle di qualsiasi altro argomento, quindi pensò che se quello volevano tenerlo privato non era in suo potere far cambiare loro idea.

*

Seduta su una sedia con lo sguardo apparentemente rivolto alla finestra buia, ma in realtà perso nel paesaggio leggero di Rodi, Dafne stava sorridendo come aveva fatto poche volte nell’ultimo mese.

«Scusa il ritardo, ho avuto un po’ di problemi a casa» iniziò Michael, prima ancora di rispondere al suo saluto.

«Nulla di grave spero» replicò lei, ricordando quel giorno di alcune settimane prima, quand’era avvenuto uno scambio di battute pressoché identico a causa del ritardo con cui il ragazzo si era presentato alla casa dove abitava lei.

«No, solo gli ultimi isterici preparativi per la partenza di mia sorella. Se ne va tra un paio di giorni» spiegò. Stava parlando di Jennifer, l’intelligente sorellina che grazie a una borsa di studio avrebbe trascorso l’anno scolastico a Londra. L’aveva incontrata solo un paio di volte e le era parsa simpatica, un affetto accresciuto dal fatto che a causa della sua permanenza in Inghilterra, Michael sarebbe potuto passare a trovarla e approfittarne per rivedere anche lei.

«Oh, bene. Poi dalle il mio numero di telefono, così potrà contattarmi una volta arrivata.»

Michael la ringraziò per quell’offerta, prima di cambiare tono e chiederle, con voce bassa e dolce, come si sentisse. Era chiaro che non si trattava di una domanda di cortesia. Avrebbe potuto renderla, in modo più esplicito, con un «Stai ancora pensando a me? Hai trovato qualcuno con cui mi dimenticherai?»

Il «Bene, tu?» con cui rispose Dafne non lo ingannò, aveva capito dal tono evasivo che aveva utilizzato che, proprio come lui, era ben lontana dal trovare un nuovo interesse amoroso.

«Potrei stare meglio» sospirò, scegliendo di essere completamente onesto, anche se questo non avrebbe fatto altro che contribuire a rattristare l’atmosfera.

«Vorrei vederti» confessò Dafne, adattandosi al suo tono di voce senza difficoltà.

«Domani vado a comprare la webcam nuova» le promise, anche se non era esattamente ciò che lei desiderava.

«Non sono sicura che basti» mormorò, talmente piano che lui le chiese di ripetere. Approfittò di quel momento per riportare l’allegria tra loro – o almeno per provarci – cambiando la frase. «Sai che domani inizio l’università?»

Michael restò confuso per un momento, non gli sembrava la stessa frase di prima, ma decise di stare al gioco. «Sì? Pronta a diventare una scrittrice vera e propria?»

«Vado a studiare letteratura, non a scriverla» gli ricordò, ridendo. Una risata un po’ sforzata, aveva la tristezza che inevitabilmente la invadeva durante quelle chiamate ancora nel cuore, ma comunque migliore dell’umore di poco prima.

«Una cosa non ti impedisce di fare l’altra» ribatté, prima di rimproverarla. «La mail con cui mi mandavi i tuoi scritti deve essersi persa, perché io non l’ho ancora ricevuta.»

Dafne sorrise, grata che non potesse vedere la sua espressione colpevole. «Ah sì? Uh, che peccato.»

«Dafne!» la richiamò, con voce profonda. «Mandamela, per favore.»

«Ma a te non piaceranno! Abbiamo gusti diversi» gli fece notare.

«Come puoi dire una cosa del genere? Sono certo che li adorerò.»

«Ah sì? Quindi non sei stato tu a criticare il fatto che leggessi Orgoglio e Pregiudizio, o che ascoltassi Christina Aguilera…» replicò, elencando le varie occasioni in cui lui l’aveva stuzzicata in passato.

Michael sbuffò, prima di passare a una minaccia. «Sai che potrei convincere Allie a mandarmeli al posto tuo senza troppi problemi.»

«Cosa ti fa credere che lei possa accedere al mio computer?» domandò, inorridita da quella possibilità. Era consapevole che non stava scherzando, non totalmente.

«Credo che, una volta che ha in testa una cosa, possa fare di tutto.»

Questa volta fu il turno di Dafne di sbuffare, arrendendosi e maledicendosi per aver tirato fuori quell’argomento. D’altra parte, però, la malinconia sembrava essere stata accantonata.

«A proposito di Allie: lei come sta?»

«Benissimo» rispose Dafne, lanciando un’inutile occhiata alla porta che aveva chiuso prima. «Ora sono a casa sua. Stavo cenando con lei, mio fratello e un’amica.»

«Sei sicura di poter stare al telefono?» chiese, non volendo distoglierla da un momento di svago con persone che potevano essere fisicamente presenti accanto a lei.

«Sì, nessun problema» lo rassicurò, prima di formulare a sua volta una domanda. «Le nostre foto sono ancora appese in città?»

A un orecchio estraneo sarebbe sembrato assurdo – ogni tanto lo era anche per lei – ma durante i giorni che avevano trascorso insieme, Michael l’aveva convinta a posare con lui come modella per una piccola azienda d’abbigliamento del posto. Le sue copie delle foto erano gelosamente custodite nell’ultimo cassetto della scrivania, l’unico che si poteva chiudere a chiave.

«Sì e stanno facendo successo, in eff-»

Un suono ripetitivo, tipico dopo la fine di una chiamata, sostituì la sua voce. Sbuffando, Dafne posò il cellulare sul tavolo e attese che richiamasse. L’avrebbe fatto lei, ma aveva talmente pochi soldi nel telefono che non sarebbero riusciti a parlare nemmeno per un paio di minuti.

Il telefono, però, non sembrava intenzionato a squillare e l’idea che anche Michael avesse terminato il credito si fece strada nella sua mente. Dopo quasi cinque estenuanti minuti di attesa, si decise ad alzarsi e tornare in sala.

Scoprì che, in sua assenza, Alice se n’era andata. Allie e Thomas erano accoccolati sul divani, immersi in una profonda sessione di baci appassionati che avrebbe preferito non vedere. Si schiarì la gola, con lo sguardo puntato sulla tavola da pranzo ancora apparecchiata, richiamando la loro attenzione. Notò, dall’orologio appeso alla parete, che si era fatto alquanto tardi.

«Io andrei a casa» esordì, guardando alternativamente il fratello e l’amica. «Non voglio rischiare di non sentire la sveglia proprio domani.»

Thomas annuì, lanciando una veloce occhiata alla sua ragazza. Non sembrava intenzionato ad andarsene, non in quel momento e forse nemmeno per tutta la notte.

Infilò una mano in tasca e ne estrasse le chiavi dell’auto, poi le lanciò a Dafne, che le afferrò prontamente, intuendo come sarebbe andata a finire la serata.

«Buonanotte.» Quell’augurio le uscì come una domanda; non le sembrava molto adatto salutarli in quel modo, ma non sapeva che altro dire. Solo Allie le rispose con un «Notte, Daf», mentre si chiudeva la porta d’ingresso alle spalle.

Espirò a fondo, appoggiata a una colonna del portico. Era stato strano. Sapere che suo fratello frequentava Allie era una cosa, ma vederli amoreggiare sotto i suoi occhi e immaginarne la conclusione era un’altra. Non era una puritana, non si era mai fatta problemi a discutere con la sua migliore amica di questioni scottanti, ma questa volta si trattava di Thomas. Non ci teneva proprio a conoscerlo in quelle vesti.

*

Quando la porta si chiuse, Allie scoppiò a ridere, posando la testa sulla spalla di Thomas.

«Mi sa che l’abbiamo spaventata» disse, sistemandosi meglio per poterlo vedere in viso.

Lui tirò la faccia in una smorfia e commentò: «Neanche a me piacerebbe vederla in queste situazioni.»

«Non sarai il solito fratellone geloso e protettivo che prende a calci il ragazzo di turno» inquisì Allie, accomodandosi meglio sulle su gambe.

«No» la rassicurò, stringendo le braccia intorno alla sua vita. «Ma mi darebbe comunque fastidio. Ora, perché stiamo parlando di Dafne?» domandò, sporgendosi verso di lei per baciarla. Allie ridacchiò prima di lasciarsi andare contro le sue labbra, circondandogli il collo con le braccia.

«Saliamo?» mormorò, staccandosi appena da lui per appoggiare la fronte contro la sua. Prese il sorriso di Thomas come una risposta affermativa e si alzò, trascinandolo con sé. Salì lentamente le scale e svoltò a destra, aprendo la porta di fronte a quella della sua camera da letto.

«Questa è la stanza degli ospiti» annunciò mentre accendeva la luce. Era uno degli ambienti che più amava della casa, con il suo arredamento che giocava con i toni del bianco sulle pareti e dell’azzurro sulle cortine del baldacchino, mentre il mobilio di chiaro legno smaltato accompagnava i due tappetini soffici ai lati del letto. Aveva tentato più volte di convincere i suoi genitori a permetterle di trasferirsi lì, lasciando la piazza singola e la scrivania con intarsi rosa che aveva voluto da bambina, ma non avevano mai acconsentito.

Ora però non c’erano e, poiché non si sarebbe mai sognata di stendersi con Thomas dove solevano dormire loro, voleva approfittare del letto ampio e decisamente più comodo che aveva a disposizione.

«Come mai qui?» chiese Thomas, chiudendosi la porta alle spalle.

«Non ti piace?» ribatté Allie, sorridente, mentre camminava all’indietro verso il letto e, a braccia aperte, si appoggiava alle colonne.

«Può andare» annuì lui, raggiungendola con due falcate e coprendole le mani con le sue. «E ora?»

Il sorriso di Allie si allargò ancora di più mentre alzava la testa e la piegava all’indietro per raggiungere meglio le sue labbra. «Domanda sbagliata» sussurrò.

«Posso baciarti?» soffiò lui, stringendo la presa e intrecciando, per quanto poteva, le loro dita. Allie non dovette nemmeno annuire – non avrebbe nemmeno potuto, tanto i loro volti erano vicini – perché Thomas si era già gettato sulla sua bocca. Presa dall’emozione, staccò le mani dalle colonne senza pensare che così facendo avrebbe sbilanciato anche Thomas: caddero all’indietro, rimbalzando sul materasso e sbattendo la testa l’uno contro l’altro.

Gemendo per il dolore e trattenendo un’imprecazione, Thomas rotolò sul fianco per toglierle di dosso il suo peso. Allie invece scoppiò a ridere, coprendosi la fronte con una mano e guardandolo con la coda dell’occhio.

«Com’è che sei così allegra stasera?» domandò Thomas, colpito da quell’inusuale spensieratezza. Allie era sempre stata una ragazza molto solare, ma ora gli sembrava ancora più ilare del solito.

«Sono felice» rispose semplicemente lei, mentre si sollevava sulle ginocchia per guardarlo dall’alto. Lo scavalcò con una gamba, andando così a sedersi sulle sue cosce, prima di invitarlo a mettersi seduto. «Vieni qui.»

«Dov’eravamo rimasti?» Quasi non riuscì a finire di parlare perché le labbra di Thomas l’avevano bloccata, tornando ad accarezzare le sue con gentilezza e passione crescente. Sentì le sue mani infilarsi sotto l’orlo della maglia e afferrarle i fianchi, spingendola se possibile ancora più vicina al suo corpo. Lasciando che le sue membra seguissero l’istinto, Allie posò una mano sulla sua nuca per trattenerlo in quel bacio caldo e coinvolgente, mentre l’altra aveva tirato fuori la camicia dai jeans e stava scorrendo sulla sua schiena.

«Allie» mormorò Thomas, scendendo con la bocca sul suo collo per lasciarvi una scia di umidi baci. Quel nome racchiudeva tutto: un’invocazione, un ringraziamento, una dichiarazione ma in quell’istante soprattutto una domanda.

Thomas sentiva che quello non era uno dei soliti momenti di coccole, sentiva che era diverso e che sembrava essere destinato a non finire mai. Non osava dar voce alla sua speranza, sebbene questa sembrasse esplodere da un momento all’altro nel suo cuore.

«Sì» rispose lei, comprendendo subito il vero significato che si nascondeva dietro il suo nome e il tono con cui l’aveva pronunciato. Lo riportò all’altezza del suo viso per baciarlo di nuovo, mentre le mani di Thomas le sollevavano la maglietta, costringendola ad allontanarsi un attimo per sfilarla. Il resto dei vestiti la seguì nel giro di pochi minuti, un tempo che parve infinito per la difficoltà di spogliarsi cercando di restare lontani il meno possibile. Stesi sulle lenzuola, ormai quasi completamente nudi, i baci tornarono a farsi più calmi e delicati, una tranquillità ritrovata per la consapevolezza che nel giro di un attimo la passione avrebbe avuto modo di sfogarsi.

Fu Allie la più impaziente. Afferrò l’orlo dei boxer e lo spinse verso il basso, invitando Thomas, steso sopra di lei, a gettarli via. Senza farsi pregare lui obbedì, togliendo anche le sue mutandine, unico pezzo di stoffa rimasto tra loro, senza smettere di guardarla negli occhi.

«Aspetta» disse, bloccandosi mentre stava per stendersi di nuovo, per piegarsi a terra e frugare nelle tasche dei pantaloni. Sarà stata una sensazione premonitrice che lo avvisava di essere pronto o la semplice consapevolezza che il futuro riserva sorprese inaspettate, ma prima di uscire di casa aveva pensato bene di infilarsi in tasca un preservativo.

«L’avevi programmato?» scherzò Allie, vedendolo tornare con quella cartina in mano. Lui la posò sul letto, accanto a loro, riprendendo la sua posizione sopra di lei.

«Forse inconsciamente» ammise, accarezzandole una guancia e sorridendole. «Sei bellissima» mormorò, abbassando una mano per accarezzarle il seno.

«Fammi sentire bellissima.»

Quando udì quelle parole, Thomas fece scivolare la mano ancora più in basso, destinata a carezze più audaci. La sentì sussultare contro di lui, intorno a lui, mentre con le labbra vezzeggiava il suo seno. Si staccò solo per un istante, giusto il tempo di srotolare il preservativo prima di tornare da lei.

Mentre si faceva strada dentro di lei, anima e corpo, circondato dalle sue braccia che gli stringevano le spalle, dalle gambe incrociate sui suoi fianchi e dal suo dolce profumo che gli irretiva i sensi, Thomas avvertì una sensazione nuova per la sua intensità. Udendo i suoi ansiti, baciando la sua pelle, beandosi del suo calore, Thomas sentì di aver trovato casa. Una casa amorevole e viva.

Inebriato da quelle emozioni, diede voce ai suoi pensieri senza valutare l’importanza delle parole che avrebbe pronunciato.

«Credo proprio di amarti.»

Buongiorno :)

Vi ringrazio per essere arrivati fino a qui, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e sono felicissima di vedere che piano piano crescete sempre.

Ci stiamo avvicinando alla fine, ormai manca davvero poco :(

Il prossimo capitolo sarà pubblicato mercoledì 3 dicembre e ora, come sempre, un piccolo spoiler:

«Ciao» lo salutò, gli occhi che brillavano di felicità ora che finalmente lo rivedeva.
«Wow!» La sua esclamazione la fece ridere e le parole pronunciate dopo la portarono ad abbassare gli occhi, colpita. «I miei ricordi non ti fanno giustizia. Sei bellissima.»

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


cap 14
Bolle di felicità

A story of everyday life







Capitolo 14

Thomas si portò una mano sugli occhi e sbuffò, irritato dal fatto di essere stato svegliato dall’unica striscia di luce che penetrava dalle fessure della tapparella. Voltò la testa verso destra, ritrovandosi davanti i capelli arruffati di Allie. La ragazza stava dormendo al suo fianco, rannicchiata contro di lui.

Sospirò, ripensando a ciò che era successo quella notte.

«Credo proprio di amarti.»

Aveva pronunciato quelle parole senza nemmeno pensarci, erano uscite dalla sua bocca veloci e incontrollate. Allie si era bloccata per un attimo, sembrava raggelata mentre lo fissava negli occhi senza dire nulla. Fu uno sguardo lungo, intenso, infinito. Ciò che aveva detto era vero, lo sentiva in fondo al suo cuore, sapeva che non si stava sbagliando. Tuttavia, sapeva anche che non era ancora il momento per una tale dichiarazione. La loro relazione era ancora troppo recente per un simile passo, non riusciva a capire come gli fosse passato per la testa di dire esprimere quel pensiero ad alta voce.

Lei non aveva risposto, nessuna replica a quelle parole se non un eterno minuto di silenzio e poi un bacio, con cui voleva farsi perdonare. Avrebbe potuto ribattere con il tipico «Anche io», ma non sarebbe stato onesto e non poteva mentirgli, non voleva. Così aveva lasciato parlare i suoi occhi, sperando che trasmettessero il messaggio.

Ti voglio bene, ma non so se ti amo già.

Forse.

O forse no.

Forse in futuro.

No, sicuramente in futuro.

Probabilmente già adesso inizio ad amarti un po’.

Ma come si fa a sapere quand’è davvero amore e quando invece è solo un’infatuazione?

Quel silenzio gli aveva fatto male, ovviamente, ma la ferita si era risanata in fretta. L’iniziale sofferenza dovuta al fatto che la sua dichiarazione – per quanto involontaria – non era stata ricambiata fu sostituita dalla consapevolezza che non era stata nemmeno respinta. Perché non era tutto bianco o nero. Non era solo una scelta tra amore e non-amore. Si trattava di un sentimento importante, il più forte di tutti; un’emozione che cresce piano piano e con tempi diversi in ogni persona. Sapeva di non essergli indifferente, lo leggeva a chiare lettere nei suoi occhi. Sapeva che lei gli voleva bene, che teneva a lui, che il suo non era un affetto a senso unico. Aveva solo bisogno di un po’ più di tempo.

Così aveva risposto al suo bacio, accettando quella manifestazione al posto delle parole.

Anche in quel momento la stava baciando. Scivolava con le labbra lungo la sua guancia, accarezzandole il braccio nudo posato sopra il lenzuolo con la punta delle dita, incurante del fatto che fosse appena l’alba e Allie avesse voglia di dormire ancora.

La sentì risvegliarsi sotto le sue carezze, muovendo lentamente le membra per stiracchiarsi, e la vide sorridere mentre avvertiva i suoi baci.

«Buongiorno» mormorò Allie, aprendo gli occhi.

«Buongiorno» la salutò, prima di stringerla a sé e affondare il volto tra i suoi capelli.

«Hai dormito bene?» Lo sentì annuire, ma non poté trattenersi dal continuare, divertita. «Sei sicuro? Mi sembri un po’ rigido.»

Thomas ridacchiò e si allontanò da lei per poterla guardare in viso. «È mattina» rispose, alzando le spalle.

Non si aspettava una tale reazione da Allie – ci sperava, ma non credeva che lei si sarebbe davvero comportata così – e si sorprese quando, lanciata un’occhiata alla sveglia al suo fianco e appurato che era ancora presto, si sollevò e si sedette a cavalcioni su di lui.

Si chinò per baciarlo, scacciando con una mano i capelli che si intromettevano tra loro. Quell’aspetto di Allie era nuovo per lui: doveva ancora abituarsi alla sua passionalità e intraprendenza. Le sfilò la maglia che aveva indossato per dormire con un gesto rapido, prima di racchiudere il suo seno nelle mani e tornare a baciarla con vigore ancora maggiore.

«Tom» ansimò Allie, voltando la testa per poter parlare. Non era facile articolare una frase sensata con le labbra di Thomas che lasciavano baci infuocati sul suo collo. «Aspetta» lo pregò, cercando di trovare le parole adatte, ma senza riuscirci. Sapendo che quella richiesta non era dovuta a un ripensamento – non avrebbe avuto un simile tono di voce, in quel caso – Thomas non le badò e continuò a scendere, finché le sue labbra non presero il posto delle mani.

«Ieri sera» continuò Allie, chiudendo gli occhi per il piacere. «Io non volevo-»

Fu interrotta dal movimento brusco di Thomas, che aveva invertito le posizioni schiacciandola sotto di sé e tappandole la bocca con la sua.

«Shh» mormorò lui, guardandola negli occhi. «Possiamo parlare dopo?» domandò, scostando le mutandine con una mano. Allie annuì, pensando che se non aveva fretta di affrontare l’argomento probabilmente non era rimasto molto ferito dal suo silenzio. O forse, rifletté infilando la mano nei boxer, era solo troppo eccitato per fermarsi a discutere.

Con qualche manovra, resa difficile dal loro tentativo di non allontanarsi, riuscirono a liberarsi della biancheria. Stava per accadere, erano pronti e frementi d’eccitazione, le mani intrecciate e le labbra alla costante ricerca delle loro compagne, quando un pensiero si presentò come un lampo nella mente di Thomas e il giovane imprecò.

«Non ho un preservativo» disse, guardandola e sperando che lei fosse più fornita di lui. Allie lo fissò in silenzio per qualche istante prima di sospirare frustrata. «Nemmeno io.»

Non aveva mai avuto bisogno di comprarne, se n’era sempre occupato il ragazzo che frequentava. Thomas sbuffò, stendendosi al suo fianco con le braccia incrociate dietro la testa. Allie respirò a fondo, fissando il velo teso sopra al baldacchino del letto.

Aveva un’idea.

Non era una cosa che amava fare, le era successo solo un paio di volte in passato, ma in quel momento non riusciva a trovare una ragione per non farlo.

Si girò su un fianco, il gomito puntato sul cuscino e una mano a sostenerle la testa, mentre con l’altra accarezzava lievemente il ventre di Thomas. Il ragazzo la guardò, spostando per un attimo lo sguardo per seguire i suoi movimenti.

«Tom» lo chiamò, con un sorriso provocante sul volto. Tom. Era stato naturale passare a quel nomignolo la sera precedente, mentre il suo respiro spezzato le rendeva difficile parlare. «Non corro rischi, vero?» domandò, avvicinandosi alle sue labbra.

«Allie?» La osservò, quasi incredulo, augurandosi con tutto il cuore di non aver capito male. I suoi occhi, luminosi e invitanti, sembrarono confermare il pensiero che le sue parole avevano suscitato. «No» rispose, accogliendo il bacio che lei stava per dargli. «Nessun rischio» le assicurò.

«Bene» soffiò Allie, prima di scendere a piccoli passi a baciargli il pomo d’Adamo, quel punto delicato alla base del collo, il torace, rincorrendo la mano che giocava sul suo basso ventre. «Sarebbe stato un peccato.»

*

Dafne, sentendo una vibrazione al suo fianco, immerse la mano nella borsa ed estrasse il cellulare. Lo schermo illuminato le indicava l’arrivo di un nuovo messaggio. Accavallò le gambe e cercò di nascondere le sue azioni alla vista del professore che stava spiegando, appoggiato alla cattedra. Non credeva che l’avrebbe richiamata, non credeva nemmeno che gli interessasse ciò che stava facendo, ma era il suo primo giorno di università e farsi beccare già distratta non sarebbe stato un buon inizio.

Era un sms di Michael.

Buongiorno :)

È arrivata la webcam nuova, quando posso farmi perdonare l’interruzione di ieri?

Si morse il labbro inferiore per trattenere un sorriso e si affrettò a controllare l’orologio per poter digitare una risposta. La lezione sarebbe finita nel giro di un quarto d’ora e poi sarebbe potuta tornare a casa.

Ciao :)

Tra un’ora sono tutta tua!

Un breve colpo di tosse dietro di lei la fece sussultare. Gettò velocemente il telefono nella borsa e si voltò, trovandosi a fissare il volto già noto di un giovane uomo. Lo ricordava bene: ventisei anni, occhi verdi, barbetta curata, probabilmente di ritorno da un recente viaggio in Brasile.

Lui le sorrise, prima di indicarle con un cenno del capo di rivolgere l’attenzione al professore. Dafne si risistemò sulla sedia, le guance in fiamme, e osservò l’uomo in fondo alla sala in modo quasi maniacale per evitare di essere nuovamente richiamata da quello che doveva essere il suo assistente.

Non credeva fosse uno studente, sarebbe stato fuori corso di circa sei o sette anni. Aveva l’età giusta per essere il suo assistente, il tipico sapientone che l’avrebbe tormentata agli esami ora che aveva il potere di trovarsi dall’altra parte della cattedra. Si accorse che la lezione era finita solo quando una ragazza la superò per uscire dall’aula e allora si sollevò anche lei, timorosa di voltarsi ma consapevole di non poterlo evitare.

«Buongiorno» la salutò lui, impedendole di seguire il desiderio di scappare.

«Buongiorno» ripeté, facendo un mezzo giro su se stessa per vederlo. Gli rivolse un piccolo sorriso, quello che usava da bambina per fingersi innocente davanti ai suoi genitori quando aveva combinato un guaio. Non aveva mai funzionato e nemmeno in quel momento sembrava farlo.

«Non ti interessa il corso?» le domandò, salutando con un cenno del capo il professore che se ne stava andando.

«Sì, certo che m’interessa. È stato solo un attimo…» Non seppe come concludere la frase, ma d’altronde non le risultò neppure necessario, perché le sue labbra si spalancarono in un sorriso divertito. La stava prendendo in giro.

«Credo sia arrivato il momento di presentarci, che dici?» propose. «Harry.»

«Dafne» disse, stringendo la mano che le stava porgendo. «Sei l’assistente del professore?» chiese, incuriosita.

Lui annuì, notando che non sembrava contenta della notizia. «Perché hai quell’espressione?»

«Non mi farai pesare il fatto di averti rifiutato senza nemmeno conoscerti, vero?» domandò, ridendo, anche se in fondo quella possibilità la spaventava un po’.

Lui negò, scuotendo la testa, prima di rassicurarla. «L’hai fatto perché sei innamorata. Gran parte della letteratura parla d’amore, di sentimenti e di scelte che talvolta non si possono contrastare. Se ti maltrattassi per il modo in cui hai agito, vorrebbe dire che non ho capito niente di tutto ciò che ho studiato.» Poi, lanciando un’occhiata alla borsa che stringeva sotto il braccio, chiese: «Era lui?»

«Sì» confermò Dafne, prima di accomiatarsi. «Scusa, ora devo andare. Ci vediamo» lo salutò, sorridente, mentre iniziava già a dirigersi verso la porta.

«A presto» annuì lui, allontanandosi verso la cattedra.

Dafne s’incamminò verso casa, riflettendo sulla verità di quel vecchio detto secondo cui il mondo è bello perché è vario. Harry – ora sapeva il suo nome – aveva subito accolto il suo rifiuto, comprendendone le ragioni e augurandole la felicità. Nicholas, il fratello di Alice, aveva invece tormentato Allie finché non aveva provocato una scenata prima di capire che le sue avances non erano gradite. Michael… beh, Michael non si poteva paragonare a nessuno dei due. Lui non era stato rifiutato, anche se aveva tentato – inutilmente, proprio come lei – di rifiutare l’attrazione che li univa e che alla fine aveva vinto.

Sua madre stava già spadellando per la cena di quella sera, ignara dell’annuncio che l’attendeva. «Com’è andata l’università?» le domandò, sentendola rientrare.

«Bene» rispose, senza perdersi in lunghi convenevoli. «Più tardi scendo ad aiutarti, ora devo fare una cosa» le disse, mentre saliva le scale.

Si chiuse in camera e aprì il computer, approfittando del tempo necessario all’accensione per cambiarsi in abiti più comodi. L’applicazione che aveva scaricato appositamente per le videochiamate e che conteneva solo l’email di Michael l’avvisava, con un pallino verde, che il ragazzo era già connesso. Diede il via alla chiamata, sedendosi sulla sedia e sistemando la webcam perché le inquadrasse il viso. Dopo un paio di secondi sullo schermo spuntò una nuova finestra e, al suo interno, il volto sorridente di Michael.

«Ciao» lo salutò, gli occhi che brillavano di felicità ora che finalmente lo rivedeva.

«Wow!» La sua esclamazione la fece ridere e le parole pronunciate dopo la portarono ad abbassare gli occhi, colpita. «I miei ricordi non ti fanno giustizia. Sei bellissima.»

Anche lui era bellissimo, ma non ebbe la forza di dirglielo. Si perse a fissare i suoi occhi che, nonostante la modesta risoluzione che la telecamera permetteva, l’attiravano come per magia. Erano occhi grandi, invitanti, gentili. «Mi fai una giravolta?» le domandò, senza perdere il sorriso.

«Cosa?»

«Su, fatti vedere» la pregò.

Dafne sospirò, sebbene quella richiesta le facesse piacere, e si alzò, spostando la sedia e allontanandosi di qualche passo cosicché la webcam la inquadrasse tutta. Si alzò in punta di piedi e compì una piroetta, poi riportò gli occhi sullo schermo. «Contento?» chiese mentre si avvicinava e si sedeva di nuovo.

Michael annuì, appoggiando il mento sul palmo della mano e fissando direttamente l’obiettivo, tanto intensamente che a Dafne sembrava di averlo davanti a sé. Dafne non parlò, persa per un attimo a ricambiare quello sguardo.

«Perché sei così silenziosa?» le domandò, abbassando gli occhi per osservare la sua figura sulla finestra della videochiamata.

Dafne scosse la testa, ricacciando indietro le lacrime che minacciavano di uscire, gli occhi già umidi. Sbuffò prima di rispondere: «Sto diventando ripetitiva.»

«Perché?»

«Mi manchi» ammise, alzando le spalle, rassegnata ormai a quell’emozione che la colpiva ogni volta che gli parlava e che tuttavia non avrebbe voluto abbandonare, perché se era il prezzo da pagare per risentire la sua voce e rivedere il suo volto, era disposta a conviverci.

«Anche tu mi manchi, lo sai» rispose, prima di rilasciare un lungo sospiro. «Perché ci siamo messi in questa situazione?» domandò, forse a se stesso, passandosi le mani sulla faccia.

«Perché siamo amici speciali?» propose Dafne, ricordando l’assurda definizione con cui avevano tentato di spiegare ciò che li legava. Michael rise, annuendo. Il suo sguardo cadde sullo sfondo che s’intravedeva dietro Dafne e, un po’ per cambiare discorso e un po’ per pura curiosità, chiese: «Mi fai vedere la tua stanza?»

«Non c’è molto da vedere» lo avvisò, mentre staccava il cavo del caricabatteria e prendeva in mano il computer, ruotandolo lentamente di trecentosessanta gradi. E davvero la sua stanza non era nulla di speciale. Pareti di un colore che pareva indefinito, forse per colpa della cattiva risoluzione, un letto che a occhio e croce doveva essere di una piazza e mezza, un armadio, un comò e una scrivania sormontata da tre mensole piene zeppe di libri.

«Tu dove sei?» Vedeva, dietro la sua testa, un colore simile all’azzurro chiaro, ma non capiva a cosa corrispondesse.

«Al ristorante di mia madre» rivelò, scostandosi per permetterle di vedere l’ambiente. «Dà sulla spiaggia.» Quel colore pallido era il cielo, che si stagliava soleggiato e privo di nubi sul mare mosso e di un blu più intenso. Un panorama meraviglioso che rimpiangeva fortemente.

«Non lavori oggi?»

«Solo nel pomeriggio» la informò, prima di tornare a insistere sull’argomento che avevano toccato anche la sera precedente. «Forza, mandami quest’email. La leggo in diretta.»

Dafne rifiutò, scuotendo la testa. «Te la mando» concesse, aprendo la cartella che conteneva i suoi scritti. «Ma leggila più tardi, quando hai del tempo.»

«Perché?» domandò, senza comprendere il motivo di quella sua richiesta.

«Così non dovrai fingere che ti piaccia, avrai il tempo per inventare una scusa» scherzò, studiando l’elenco dei file per scegliere quale mandare.

«Allora ti farò sapere che ne penso la prossima volta» rispose, risparmiandosi la solita critica alla sua bassa autostima.

«Mandata» lo informò, tornando a guardarlo.

«Stasera avremo ospiti a cena» esordì, cominciando a raccontare della decisione di Allie e Thomas di rendere pubblica la loro relazione e del ruolo di mediatrice che avrebbe dovuto assumere in caso di complicazioni.

*

Dafne lanciò uno sguardo tra il divertito e il compassionevole a Thomas, che se ne stava seduto tutto impettito sul divano mentre lei finiva di apparecchiare la tavola. Aveva indossato una camicia azzurra, quella che portava solo per le grandi occasioni, e si era pettinato con cura i capelli. Il risultato era un ragazzo visibilmente agitato, racchiuso in un’immagine che non gli si addiceva per niente. Posò gli ultimi piatti e gli si avvicinò, sedendosi accanto a lui.

«Agitato?» domandò, sorridente, prima di passargli una mano tra i capelli per scompigliarli un po’.

«No, che fai!» la bloccò, afferrandole il polso, ma ormai era troppo tardi.

«Come ti sei conciato?» lo rimproverò, riprendendo a spettinarlo con l’altra mano. «Non essere ridicolo, ti conoscono da sempre, non hai bisogno di impiastricciarti i capelli per fare buona impressione. Anzi, con ogni probabilità peggioreresti le cose.»

Quando lui lasciò la presa, sospirando, passò all’altro problema. «E questa camicia? Non è che se te la abbottoni tutta ti rende invisibile» continuò, slacciando i primi bottoni dato che l’aveva chiusa completamente, risultando quasi strozzato dal colletto.

Una volta che ebbe finito, Thomas si lasciò andare all’indietro, appoggiandosi scompostamente allo schienale.

«Perché sei così agitato?»

«Stiamo dando per scontato che a loro questa notizia piacerà, ma niente ce lo assicura» le fece notare. «Magari suo padre tenterà di farmi fuori.»

Dafne rise a quell’idea, rialzandosi. «Lo diamo per scontato perché è esattamente ciò che succederà. Non farti troppe paranoie» lo ammonì, dirigendosi in cucina per andare a prendere le bottiglie da portare sulla tavola. Stava per varcare la soglia della stanza, quando si udì il suono del campanello.

«Vai tu?» gli domandò, invitandolo con un sorriso e un cenno del capo ad alzarsi, prima di riprendere il suo compito.

Non era necessario quell’incoraggiamento, perché al rumore Thomas era balzato in piedi e aveva preso a sistemarsi la camicia, avvicinandosi all’ingresso.

Fece un respiro profondo e aprì la porta, trovandosi davanti il volto allegro di Susanne e, dietro di lei, quello leggermente più burbero di suo marito James.

«Ciao, Thomas. Come stai?» gli domandò la donna, mentre entrava in casa. «È passato un bel po’ di tempo dall’ultima volta che ti ho visto» ricordò.

«Sto bene, grazie» rispose lui, con un sorriso garbato stampato in faccia. «Voi? Immagino che il lavoro vi tenga molto impegnati.»

«Non c’è mai un momento di pace» annuì Susanne, prima di ricordarsi che il giovane sognava di seguire la loro strada. «Ma non preoccuparti, tra qualche anno arriverà anche per te il momento» gli disse. Lui non capì se il suo era stato un tentativo di incoraggiamento o una semplice constatazione, ma la informò del fatto che proprio quell’anno avrebbe dovuto iniziare un periodo di tirocinio.

«Se capiterai da noi, magari ti facciamo fare un giro. Vero, James?»

L’uomo sembrò riscuotersi all’udire il suo nome, probabilmente non si era riposato abbastanza dopo il turno di notte. Accennò una risposta con un movimento del capo, prima di replicare, rivolto a lei: «Non credo che lo facciano iniziare da Chirurgia d’Urgenza, non sopravvivrebbe alla prima giornata.»

Thomas spostò lo sguardo su Allie che gli stava sorridendo, nascosta alla vista dei genitori. Trattenne un sospiro disperato a quelle parole, che non sembravano promettere molto bene. Mentre i due coniugi avanzavano, salutando suo padre e Dafne, lui ne approfittò per avvicinarsi furtivamente a Allie e lanciarle un’occhiata carica di significato.

Le domande che gli riempivano la testa: Perché glielo stiamo dicendo? Stavamo tanto bene in segreto… Se poi non saranno contenti di ciò che diremo?

Ma anche l’amore che ormai aveva confessato e che la dichiarazione che avrebbe dovuto fare avrebbe confermato, l’attrazione sempre più forte che li univa, la passione che dopo la notte appena trascorsa conoscevano.

«Ciao» la salutò, limitandosi all’unica parola che gli era concessa al momento.

«Ciao» ricambiò, sfiorandogli la mano con la sua mentre lo superava e raggiungeva Dafne.

*

«Certo, i giovani di adesso sono diversi da com’eravamo noi alla loro età. Sono sempre in giro, stanno fuori fino a tardi e delle volte non rientrano nemmeno. E non possiamo neppure arrabbiarci, perché sono maggiorenni e s’impuntano sul loro diritto di fare ciò che vogliono.»

Nessuno aveva immaginato che la cena sarebbe stata accompagnata da simili discorsi. Non era certo la premessa migliore per l’annuncio che avrebbero dato a minuti. I quattro genitori, capitanati da Martha, stavano ribadendo la crisi di valori che sembrava aver colpito i loro figli e più in generale la loro generazione, indifferenti al fatto che si trovassero proprio vicino a loro. Stranamente, la donna non aveva mai tentato di suggerire una relazione tra i due giovani innamorati, cosa che non aveva dimenticato una sola volta in passato.

Thomas, tutt’altro che tranquillo all’udire quella conversazione, si era sbottonato i polsini della camicia e aveva ripiegato le maniche fino al gomito, accaldato. La cura con cui si era preparato sembrava essere stata dimenticata, sovrastata dalla preoccupazione sempre più seria per una reazione infelice.

Allie, seduta davanti a lui, cercava inutilmente di calmarlo con la sola forza dello sguardo e delle frasi che, apparentemente dirette a Dafne, gli rivolgeva.

«Ma prima o poi metteranno la testa a posto e capiranno che non possono continuare così. Certo, nemmeno noi eravamo dei santi, ma avevamo divertimenti più sani. Ve le ricordate le partite a bowling e le giornate al luna park? Quanto tempo abbiamo passato sulla ruota panoramica? E i falò in spiaggia? Ora pensano solo a saltare in discoteca e ubriacarsi nei pub!»

Martha continuava convinta con il suo sproloquio, chiaramente ignara del modo in cui occupavano il tempo i suoi figli. Sì, passavano effettivamente delle nottate a ballare, ma non avevano nemmeno dimenticato i parchi divertimento, le passeggiate tranquille sulla battigia e il semplice piacere di passare del tempo con le persone amate.

Stanco di sentirla parlare e di tormentarsi sulle loro possibili reazioni, Thomas si alzò in piedi, richiamando il silenzio con un colpo di tosse.

Rimase per un momento in silenzio, fissato da occhi incuriositi. Allie, seppur con un sorriso incoraggiante sulle labbra, tratteneva il fiato. Respirò a fondo e parlò, con lo sguardo puntato su di lei.

«Ho… Abbiamo» si corresse, sorridendo, «una cosa da dirvi. Forse vi sembrerà strano, forse non ci crederete nemmeno perché effettivamente non ce lo aspettavamo neanche noi. Io e Allie ci conosciamo da sempre, e il nostro rapporto è stato un po’…» s’interruppe, alla ricerca della parola giusta per descrivere i continui alti e bassi che aveva vissuto.

Ricordò sé stesso, da bambino, rincorrerla per tirarle le codine in cui aveva raccolto i capelli.

Ricordò che, da ragazzino, la stuzzicava e la prendeva in giro inventando difetti che non aveva, perché l’aveva sempre trovata bellissima.

Ricordò i primi orribili approcci che aveva tentato, quando ormai aveva capito che provava una simpatia speciale per lei.

Ricordò il sorriso costante sulle sue labbra, quel sorriso che resisteva a ogni agguato e che lo rassicurava, perché talvolta si comportava talmente da stronzo da fargli temere che lei lo odiasse. Il sorriso che aveva anche in quel momento, mentre s’intrometteva per dargli un suggerimento.

«Contrastante?»

«Contrastante» annuì, riprendendo a parlare. «Probabilmente avevamo bisogno di un po’ di distanza che ci permettesse di conoscerci e allo stesso tempo ci impedisse di saltarci addosso.»

Si rese conto dell’interpretazione sbagliata che potevano avere quelle parole con un attimo di ritardo, quando sentì sua sorella, al suo fianco, trattenere una risata.

«Cioè, che ci impedisse di battibeccare di continuo. La vacanza di Allie e Dafne ci ha dato questa possibilità e durante quei giorni qualcosa è cambiato. Al loro ritorno tutto sembrava diverso. E ora…» sorrise, riportando lo sguardo che aveva lasciato vagare per la sala su di lei. «Ora stiamo insieme.»

Alla sua voce, che si affievolì pian piano nella mente dei presenti, seguì un silenzio che parve infinito. Il sollievo che credeva avrebbe provato una volta terminato il suo annuncio non arrivò, era ancora troppo insicuro data la passività dei loro genitori. Non osava guardarli, non voleva farlo. L’unica cosa sicura in quella stanza era lo sguardo di Allie, da cui non voleva staccarsi.

Dopo quella che parve un’eternità, un rumore simile a un soffio ruppe la quiete. Poi una risata, breve e spezzata, che prese una nota gioiosa. Martha stava osservando suo figlio, felice, orgogliosa, ridente, probabilmente pronta a far partire un applauso. Il suo «finalmente! Sapevo che sarebbe arrivato questo momento» risvegliò anche gli altri. Susanne sorrise ai due ragazzi, alzando il bicchiere di vino in un brindisi silenzioso, che Dafne rese esplicito.

«A Thomas e Allie» disse, imitando il gesto della donna. Thomas si sedette e afferrò il suo bicchiere, gli occhi puntati in quelli della ragazza che aveva davanti. Solo James non si unì al brindisi, mantenendo un tono più basso e ripetendo controvoglia la frase. Furono chiare, invece, le parole che rivolse alla moglie, senza curarsi di abbassare il tono per non farsi sentire da Thomas. O forse – probabilmente – lo fece apposta.

«Ripensandoci, non sarebbe male averlo come recluta in reparto.»

Buongiorno :)

Siamo alla fine, manca solo l’epilogo, che arriverà – credo, perché quel giorno potrei avere un esame e non vi assicuro nulla – mercoledì 10 dicembre.

Vi ringrazio per essere giunti fino a qui, spero di non avervi delusi.

Vi lascio uno spoiler, l’ultimo:

Quando aprì la luce della camera, il suo cuore perse un battito per lo spavento. Davanti a lei, agghindate, eleganti e totalmente inaspettate, stavano Allie e Dafne.
«Tanti auguri, Alice!» esclamarono, sorridenti, baciandole le guance.

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Capitolo 15
*** Epilogo ***


epilogo
Bolle di felicità

A story of everyday life







Epilogo

Alice chiuse la porta e vi si appoggiò, sfinita. Nonostante l’università fosse iniziata da appena una settimana le lezioni, per quanto interessanti, si erano già fatte pesanti. Quel giorno aveva finito tardi, era uscita dall’edificio alle diciotto passate e si sentiva stanchissima. Salì le scale per raggiungere la sua stanza e gettarsi a letto, in modo da poter riposare un po’ prima dell’arrivo dei parenti.

Era il suo compleanno e, come d’abitudine, sua madre aveva organizzato una cena con nonni e zii di cui lei sarebbe dovuta essere la protagonista.

Quando aprì la luce della camera, il suo cuore perse un battito per lo spavento. Davanti a lei, agghindate, eleganti e totalmente inaspettate, stavano Allie e Dafne.

«Tanti auguri, Alice!» esclamarono, sorridenti, baciandole le guance.

«Finalmente non sono più l’unica vecchia!» rise Allie, sedendosi sul letto.

«Che ci fate qui?» domandò, sorpresa di vederle. Sorpresa che sapessero che era il suo compleanno. Non ricordava di aver detto loro la data di recente, e non poteva credere che lo ricordassero dai tempi della scuola, soprattutto dato che non aveva mai festeggiato.

«Che domanda! Siamo venuti a prenderti per andare a far festa» rispose Dafne, aprendo l’armadio e cominciando ad analizzarne il contenuto.

«Questa sera vengono i miei parenti, non posso uscire» rifiutò, scuotendo la testa. Non avrebbe accettato in ogni caso, per quanto apprezzasse il fatto che si fossero offerte. Con ogni probabilità avrebbero voluto portarla in discoteca o in un locale sconosciuto, affollato e – per tutti gli altri – divertente.

«Abbiamo già sistemato tutto con i tuoi genitori, non c’è problema» la rassicurò Dafne, estraendo l’abito che aveva comprato qualche settimana prima al negozio dove lavorava Edmond.

«Dove mi volete portare?» sospirò, sedendosi sulla scrivania, incapace di nascondere il suo sguardo sconfortato.

«Ti piacerà» le assicurò Allie, sorridendole in modo incoraggiante.

Alice chiuse gli occhi ed si lasciò andare a un profondo respiro.

Doveva calmarsi.

Doveva fidarsi.

Allie e Dafne erano sue amiche, le volevano bene – per quanto quell’idea fosse assurda, ormai ci aveva fatto l’abitudine e ci credeva – e non avrebbero fatto nulla che potesse ferirla.

Doveva credere alla loro promessa. Voleva credere alla loro promessa.

Voleva ripagarle dell’attenzione che le prestavano, della delicatezza con cui la trattavano, comprendendo la sua sfiducia e cercando di aiutarla. E se questo significava uscire a festeggiare, nonostante la stanchezza, nonostante l’imbarazzo, avrebbe dovuto farlo.

«Che devo fare?» chiese, alzandosi in piedi e spostando lo sguardo dall’una all’altra.

*

Nel giro di mezz’ora, Alice era pronta. Le ragazze le avevano fatto mettere il vestito e avevano scovato, nascoste nell’ultima scatola in fondo all’armadio, un paio di scarpe eleganti con il tacco basso, le uniche adatte al suo abbigliamento. Allie le aveva raccolto i capelli in una treccia e aveva applicato un trucco leggerissimo, invisibile all’occhio umano ma comunque in grado di eliminare le tracce di stanchezza dal suo volto.

Guardandosi allo specchio, Alice si sentiva bella. Le era capitato raramente di provare una tale sensazione, forse solo un paio di volte nella vita. Non come Allie e Dafne, ma si sentiva carina, riusciva ad apprezzare il suo corpo e quelle forme che le erano sempre parse troppo abbondanti.

Stava scendendo le scale per raggiungere i suoi genitori e avvertirli della loro uscita, si sosteneva al corrimano, lievemente insicura con quelle scarpe che non aveva quasi mai indossato. Li chiamò ma non udì risposta, così si avventurò per il corridoio e guardò in cucina: nessuno. Percorse qualche altro passo, trovandosi davanti alla porta del salotto, insolitamente chiusa. L’aprì e, di nuovo, il suo cuore perse un battito.

Una volta spalancata la porta, la luce si accese senza che lei allungasse la mano per premere l’interruttore e un vociare improvviso le riempì le orecchie. Davanti a lei, anch’essi vestiti di tutto punto, stavano i suoi genitori, suo fratello, Thomas e Edmond.

Arrossì, distogliendo lo sguardo dal ragazzo. Era piacevolmente sorpresa da quell’iniziativa: non aveva mai ricevuto una festa a sorpresa, non aveva mai avuto nessuna persona che tenesse tanto a lei da organizzarla. C’erano pochi invitati, solo quella manciata di persone a cui voleva bene e che era felice di avere vicino in quel momento. Sorrise, chiedendosi con quale giustificazione Edmond fosse stato incluso alla lista dei presenti.

Amico? I suoi genitori avrebbero davvero creduto che lei avesse un amico maschio? Eppure era proprio così.

Quel ragazzo così strano - sì, perché negli ultimi tempi tutto le sembrava strano – che aveva voluto conoscerla nonostante la sua timidezza, la sua riluttanza a un ulteriore rifiuto. Un rifiuto che non era mai arrivato, perché sebbene lei si fosse comportata come al suo solito, pur sforzandosi di apparire più estroversa, lui non se n’era andato. L’aveva trattenuta al bar per quasi un’ora al loro primo incontro, le aveva strappato il numero di telefono e le aveva scritto in continuazione, con un’insistenza nuova e sconosciuta per lei. Non aveva capito – anche in quel momento non ne era consapevole – che quel desiderio di sentirla, di conoscerla andava oltre la semplice amicizia. E tuttavia lui non aveva mai tentato un approccio troppo diretto, forse consapevole che così facendo l’avrebbe spaventata e allontanata da sé.

Le era rimasto accanto, almeno virtualmente, senza aspettarsi nulla in cambio, accogliendo le sue scuse quando gli diceva di essere impegnata e non poter uscire. Non l’aveva forzata ma aveva trovato comunque il modo di rivederla. Dietro lo schermo del telefono, Alice era riuscita ad aprirsi con più facilità, così lui sapeva che università frequentasse, che lezioni seguisse e che strani orari avesse.

Un pomeriggio, mentre stava uscendo in strada per tornare a casa dopo due ore di Arte Antica, se l’era ritrovato davanti. Si era scoperta meno intimorita del solito, forse perché sentiva di conoscerlo sebbene l’avesse visto solo una volta. Lui l’aveva accompagnata sino alla porta di casa, scherzando e ascoltandola mentre, presa da un’insolita loquacità, gli raccontava la sua giornata.

Era felice di rivederlo anche quella sera, di avere un’altra possibilità di stare con lui.

*

Guardandola entrare nella stanza, Thomas si sentì immensamente orgoglioso di lei. Il suo amore per Allie cresceva di giorno in giorno, così come il rispetto e l’ammirazione per il suo carattere altruista. Conosceva Alice da poco, ma aveva seguito il lento processo che l’aveva portata ad aprirsi al mondo grazie ai racconti di Allie. La sua ragazza gli aveva descritto tutto, ogni incontro, ogni problema, ogni piccola conquista. Sebbene la vera protagonista di tutto ciò fosse Alice, non era a lei che stava pensando Thomas.

Lui pensava ad Allie, a colei che offriva il suo aiuto senza secondi fini, alla giovane donna che dimostrava di avere un cuore grande e buono. A colei che amava. Aveva smesso di fingere che la dichiarazione che gli era scappata qualche giorno prima fosse avventata, che non fosse completamente vera: l’amava, lo sapeva, e il fatto che lei non avesse ancora ricambiato quella confessione non cambiava nulla.

Le sorrise, avvicinandosi a lei.

«Ci sei riuscita» disse, circondandole la vita con un braccio.

«A fare cosa?»

«Ad aiutarla. Guardala» la incitò, indicando Alice con un cenno del capo. La ragazza stava ridendo con Edmond e Dafne, sembrava spensierata e il rossore che l’aveva assalita inizialmente era scomparso. I suoi genitori la stavano osservando seduti sul divano, felici come non mai perché finalmente la loro bambina aveva superato i problemi che l’avevano tormentata a lungo.

Thomas sposto velocemente lo sguardo lungo la stanza, notando l’assenza di una persona.

«Ciao.»

Riconobbe all’istante la voce alle sue spalle, sebbene non l’avesse sentita che per pochi minuti qualche settimana prima. Allie lo sentì irrigidirsi al suo fianco e gli strinse la mano nel tentativo di calmarlo, poi si voltò per guardare Nicholas.

Lo salutò, cercando di non apparire scortese ma anche senza mostrare falso entusiasmo. Era inevitabile incontrarlo in quell’occasione, lo sapeva e aveva avvertito Thomas prima di partire. Aveva sperato che Nicholas avesse il buonsenso di ignorarli o perlomeno di comportarsi in modo appropriato, data la loro storia passata.

«Volete da bere?» domandò, porgendo loro due calici.

«Questa è… coca cola?» Allie afferrò il bicchiere e lo studio per un attimo, incredula.

«I miei genitori sono astemi, non teniamo alcolici in casa» spiegò, sbuffando, prima di spostare lo sguardo su Thomas con insistenza perché accettasse la sua offerta. «Non è avvelenato» scherzò.

«Me lo auguro» commentò lui, prendendo un primo sorso. Non aggiunse nient’altro, rimase zitto a fissare la parete in fondo alla stanza fingendo di non vedere il ragazzo. Per quanto desiderasse sforzarsi di essere più gentile, provare a non pensare al loro precedente incontro, non ci riusciva. Al suo fianco, Allie cercava il suo sguardo per incitarlo a sciogliersi, senza risultati.

Nicholas, stanco della tensione che li circondava, sbottò: «Okay, questo silenzio non mi piace. Voglio solo scusarmi per come mi sono comportato, non ero completamente in me quel giorno e non voglio davvero mettervi i bastoni tra le ruote. Mi sembra che ora tutto vada bene tra di voi, no?»

Allie annuì con gratitudine alla sua domanda. Aveva apprezzato la sua decisione di scusarsi di nuovo, questa volta davanti a Thomas.

«Allora siamo a posto?» chiese lui, porgendo la mano a Thomas. Com’era successo pochi minuti prima quando gli era stato offerto il bicchiere, Thomas non rispose subito. Fissò la mano che, tesa a mezz’aria, aspettava di essere stretta nella sua. Non sollevò nemmeno gli occhi per incontrare quelli di Nicholas, aveva capito dal tono della sua voce che era sincero. Lentamente allungò il braccio, chiudendo in una morsa ferrea la mano che aveva davanti, per trasmettere tutta la sua determinazione nel costringerlo a rispettare la promessa che aveva appena fatto. Sentì che anche la sua stretta si rafforzava in un istintivo tentativo di opporsi a lui.

«Bene» disse Nicholas, sciogliendo la presa dopo qualche istante. «Ora vado a mettere un po’ di musica, altrimenti ci addormentiamo.»

*

Alice dominava la stanza, in piedi da sola a fianco al tavolo, mentre tutti gli altri erano seduti sul divano o su una sedia a guardarla. Stava scartando i regali, curiosa e anche un po' imbarazzata dall' essere al centro dell’attenzione. Il primo pacco, compatto e rettangolare, non lasciava molto spazio a dubbi: doveva essere un libro. Quando ne vide la copertina, però, rimase comunque stupefatta. Il volume conteneva tutta la storia della vita sulla Terra, era stato redatto dai migliori esperti del campo e lei aveva desiderato acquistarlo per mesi. Aveva sempre desistito per via del prezzo esorbitante e non aveva mai immaginato che la sua famiglia potesse farle un dono simile. Posò il libro sul tavolo e si avvicinò ai suoi genitori per ringraziarli. Dopo averle baciato la guancia sua madre la trattenne in un abbraccio e quando la lasciò, Alice vide che aveva gli occhi umidi. Le sorrise e passò a suo fratello, che aveva contribuito al regalo.

L'altro pacchetto assomigliava a un cubo e Alice non aveva idea di cosa potesse contenere. Lo scartò con delicatezza - le avevano insegnato a non sprecare nulla, nemmeno la carta da regalo - per trovarsi davanti a una scatola illustrata che presentava in evidenza l'immagine del suo contenuto. Meravigliata guardò Allie, che immaginò esserne l'ideatrice.

«Oh mio dio, non dovevate, davvero. Chissà quanto vi sarà costato! E ora non mi serve, ci vorranno anni prima che cominci a lavorare...» Non era mai stata brava ad esprimersi in queste occasioni: mentre parlava si rese conto che sembrava quasi infastidita dal regalo, come se non lo fosse piaciuto, così si zittì e rimase a guardare l’amica senza aggiungere altro.

«Lo so, ma così quando lo userai, tra qualche anno, penserai di nuovo a questo momento» commentò Allie.

Sorridendo, soddisfatta di quella spiegazione, Alice ringraziò le due amiche con un bacio sulla guancia, esitando poi quando fu il turno di Thomas. Non aveva una grande confidenza con lui, non si sentiva completamente a suo agio nel compiere un gesto per lei così intimo, ma era decisa a non permettere alle sue paure di rovinarle la serata e così, facendosi forza e scacciando i pensieri, lo accolse allo stesso modo.

Le sue guance s’imporporarono quando si trovò davanti Edmond, in attesa di ricevere il medesimo trattamento. Lo sentiva molto più vicino di Thomas, non era l’estraneità ad imbarazzarla quanto piuttosto il fatto che tra loro sembrava esserci sempre un po’ di tensione, l’aria sembrava farsi frizzante quando lo guardava.

«Grazie» mormorò, posando le labbra sulla sua pelle e avvertendo la sensazione pungente dell’accenno di barba che aveva sulle guance.

«Non hai ancora visto il mio regalo» le rivelò, posandole una mano sulla base della schiena per trattenerla.

«Cosa?» domandò, confusa, sollevando lo sguardo per incontrare il suo. Solo in quel momento si rese conto che la musica era sovrastata dal chiacchiericcio creato dalle ragazze, probabilmente d’accordo con Edmond per far sì che il loro spostamento non fosse molto evidente.

Sorridendo, infatti, lui la trascinò fuori dalla stanza e si fermò nel corridoio. Dalla tasca dei pantaloni estrasse un piccolo cofanetto di velluto rosso e glielo porse, aspettando una sua reazione.

«Cos’è?» chiese scioccamente Alice, sorpresa.

«Aprilo» la incitò, posandolo sulla sua mano. La ragazza si rese conto che stava tremando e si affrettò a far scattare la chiusura, in modo che quel fremito non si notasse.

Sul rivestimento scuro spiccava un ciondolo d’un azzurro intenso contornato da finimenti argentei, la forma arzigogolata non si poteva rinchiudere in una definizione classica ma il risultato era splendido.

«È magnifico» sospirò, puntando gli occhi in quelli di Edmond. «È per me?»

Lui rise, scuotendo la testa a quella domanda inutile.

«Perché?» Perché questo regalo? Perché hai voluto darmelo in privato? Perché sembri tenere così tanto a me?

Lui la fissò per qualche istante prima di rispondere, valutando le parole migliori e la quantità di verità che lei avrebbe potuto sostenere.

«Perché sei mia amica e ti voglio bene, mi sembrava un bel modo di dimostrartelo.» Perché con questa tua innocenza mi sconvolgi e non poterti dire tutta la verità mi tormenta.

Alice annuì e abbozzò un sorriso, posando il cofanetto sul mobile vicino a loro prima di mettersi la collana.

«Bellissima.»

Alice non riuscì a capire se quel complimento fosse diretto a lei o alla collana.

«Vuoi ballare?» La domanda lo sorprese, portandola ad incollare di nuovo gli occhi sui suoi.

«Qui?»

«La musica c’è» rispose Edmond, alzando le spalle e porgendole una mano. Sì, la musica c’era. Ma ballare con lui, così, da soli?

Sembrava un’azione troppo intima per due amici, un momento troppo imbarazzante per lei che non aveva mai affrontato una situazione simile.

«Non dovremmo andare di là, almeno?» Provò a raggiungere un compromesso, ma l’ennesimo cenno di indifferenza le fece capire che lui non era d’accordo.

Prese un respiro e strinse la mano che lui non aveva allontanato da lei, posando l’altra sulla sua spalla.

Edmond sorrise, lo vide e lo sentì quando lui posò la testa a lato della sua e la curva delle sue labbra le marchiò la fronte, risvegliando in lei un calore nuovo, non solo d’imbarazzo ma anche di eccitazione.

Si muovevano appena, spostando il peso ora su un piede ora sull’altro, e per la prima volta Alice sentì tutto l’impiccio di un silenzio dettato dalla timidezza che ancora cercava di vincere in lei.

«Respira» le sussurrò, stringendole la stoffa dell’abito all’altezza della vita. Non si era nemmeno resa conto di essere tanto tesa, ora che lui aveva parlato poteva sentire i muscoli rigidi che faticava a rilassare.

«Vuoi tornare di là?» chiese Edmond, notando che sembrava incapace di tranquillizzarsi.

«No» rifiutò Alice con decisione, scuotendo il capo. «Restiamo qui.»

Era decisa a combattere contro quell’ingiustificata timidezza, a lottare e vincere nonostante la battaglia fosse lunga e ardua.

Doveva farlo per se stessa, per poter avvicinarsi alla felicità.

*

Dafne si chiuse la porta della camera alle spalle e sospirò, sfinita. Era stata la prima ad andarsene e un po’ le dispiaceva, ma non poteva più sopportare Nicholas. In mancanza di altre persone con cui passare il tempo – i suoi genitori si erano ritirati presto, Allie e Thomas erano sempre appiccicati e anche Edmond non aveva mai lasciato Alice – si era avvicinato a lei e aveva cominciato a parlarle. Poi aveva continuato a parlarle, per tutta la sera. Poco importa che a lei non interessasse nulla dei suoi discorsi sullo sport e sulle corse automobilistiche, aveva continuato a informarla sulla sua vita finché non le era venuto il mal di testa. Così aveva salutato Alice e se n’era andata, sapendo che la voce che voleva sentire era un’altra. Una più dolce, più familiare, più amata.

Scalciò le scarpe e si sedette sul letto, trascinando con sé il portatile. Lo accese e controllò subito se il pallino che le interessava si era illuminato di verde. No. Sbuffò, sporgendosi per prendere il telefono dalla borsa. Aveva bisogno di sentirlo.

Stava per avviare la chiamata quando un cambiamento sullo sfondo del computer catturò la sua attenzione. Ora era verde. Si affrettò a cliccare sul nome di Michael e due finestre scure andarono subito a riempire lo schermo.

«Dafne?» Il suono arrivò prima dell’immagine, portandola a sorridere. Un sorriso che si paralizzò non appena lui comparve sul suo computer. Era in una stanza poco illuminata, probabilmente la sua camera da letto, con addosso… beh, Dafne non vedeva cosa indossasse, ma certo una maglia non era tra questi indumenti. L’aveva già visto in costume, l’aveva visto addirittura nudo – a dire il vero poteva contare sulle dita di una mano le volte in cui l’aveva visto vestito di tutto punto, dato che si erano conosciuti al mare – ma tutto ciò risaliva a tanto, troppo tempo prima.

«Michael» lo salutò, sollevando lo sguardo dal suo petto nudo e dalle sue braccia forti per incontrare quello di lui, consapevole che lui l’aveva vista.

«Ti sei vestita così carina per me?» domandò, osservando l’abito che indossava.

Dafne sorrise, scuotendo la testa. «Sono stata alla festa di compleanno di un’amica» spiegò. «Tu, invece, ti sei svestito così per me?»

«Per chi altri?» rise lui, mentre il suo sguardo si faceva più intenso. «Non credi di avere troppa stoffa addosso, in confronto a me?»

«Cosa vuoi che faccia, uno spogliarello in diretta?» ribatté sprezzante, infilando le gambe sotto il lenzuolo e appoggiandosi alla testiera del letto.

«Non sarebbe una cattiva idea» acconsentì Michael, accompagnato dal cigolio della sedia che protestava ai suoi tentativi di mettersi comodo.

«Ehi!» protestò, incapace di nascondere l’enorme sorriso che continuava a formarsi sulle sue labbra.

«Sei stata tu a proporlo, non prendertela con me!» le ricordò al suo richiamo stizzito. «Non ci sarebbe nulla di male» aggiunse poi, con un’alzata di spalle.

«Non mi toglierò i vestiti davanti allo schermo di un computer» ribadì, decisa, incrociando le braccia al petto.

«Te li leverei io, se potessi.»

«Lo so» sospirò, conscia che stava dicendo la verità. Nei pochi giorni che avevano trascorso insieme l’attrazione era stata innegabile, tanto che nonostante i tentativi di opporglisi aveva ceduto. Solo perché si trovavano in due paesi diversi, non significava che si fosse attenuata. Anzi, ora la sentiva ancora più intensamente poiché sapeva cosa si stava perdendo.

«L’ho fatto in passato» continuò lui, percorrendo con lo sguardo il profilo del suo corpo, per quanto gli fosse possibile.

«Sì» annuì, ricordando quella notte, l’ultima notte. «Ma non mi hai tolto i vestiti, al massimo la biancheria» lo corresse.

«È stato comunque piacevole.»

«Sì» sospirò di nuovo, prima di allungarsi verso il comodino e prendere un elastico con cui legarsi i capelli. Cominciava a sentire caldo, le immagini dei suoi baci appassionati e del suo sapore erano vivide nella sua mente.

«Vorrei rivivere quel momento.»

«Oh, Michael!» gemette, frustrata, fissando il suo volto. «Smettila di parlare così, non mi fa bene, non ci fa bene.»

«Dafne?» la chiamò, sorpreso da quel repentino cambio d’umore.

«Non so esattamente come passi il tuo tempo libero, ma l’ultima volta che l’ho fatto è stata con te e sono passati più di due mesi. Mi manca, tu mi manchi e ricordare quanto stavamo bene insieme e quanto è stato bello non mi aiuta» continuò, agitando le mani e dimenticando di tenere un tono basso dato che i suoi genitori dormivano nella stanza accanto.

«Oh.» Michael esitò prima di porle la domanda, temendo di essere troppo invadente o che lei si offendesse. «Non ti sei…aiutata, da sola?»

«No!»

«Non è mica una brutta cosa» la rassicurò in fretta, interpretando quella risposta come un rifiuto stizzito.

«Non è quello… Non sarebbe lo stesso. Non farei che sentire la differenza dall’ultima volta e probabilmente starei ancora peggio» spiegò Dafne, sbuffando e alzando gli occhi al cielo.

«Quindi hai intenzione di fare voto di astinenza finché non ti innamorerai di qualcuno?» Si rese conto che le sue parole potevano essere fraintese: sembravano implicare che tra loro fosse stato amore, cosa che non avevano mai chiarito davvero dato che erano sempre stati intenti a minimizzare il loro rapporto per convincersi che non si trattasse di un legame profondo. «O perlomeno finché non ti piacerà abbastanza qualcuno da farci l’amore?»

«Non lo so» rispose Dafne, scuotendo la testa, prima di accigliarsi e interrogarlo. «Perché stiamo parlando di questo?»

«Perché mi trovi terribilmente affascinante» scherzò Michael, mentre pensava ad un altro argomento di conversazione, perché quel discorso stava diventando troppo peccaminoso anche per lui. Dafne, tuttavia, non sembrava intenzionata a lasciar perdere.

«Credi che riuscirò ad innamorarmi di qualcuno?» chiese, la voce più flebile e l’espressione più seria.

«Sì, ne sono sicuro» rispose lui. Ne era davvero convinto: erano giovani, non potevano davvero pensare di essere destinati a vivere per sempre con l’idea di aver perso la loro occasione. Tra i sette miliardi di persone che popolavano il mondo doveva esserci qualcun altro in grado di farli sentire a casa, amati come non mai.

«E quanto credi ci vorrà?»

«Non lo so» disse, stringendosi nelle spalle. «Non importa. Non c’è nessuna fretta, quando arriverà il momento giusto qualcuno prenderà possesso del tuo cuore e i giorni che abbiamo passato insieme ti sembreranno insignificanti in confronto alla felicità che proverai. Ma io ci sono, sempre. Siamo amici, no?»

«Amici speciali» lo corresse lei, con la voce rotta e gli occhi umidi ma il sorriso sulle labbra.

Sì, lui ci sarebbe sempre stato. Come amico o come qualcosa di più. Non avrebbe mai potuto farlo uscire dalla sua vita, nemmeno volendo. Michael era parte di lei.

*

La festa era andata bene, Alice si era divertita e Allie era stata davvero soddisfatta del risultato: aveva vinto. La sua amica era riuscita ad aprirsi al mondo, a mettere tutta se stessa nella lotta alla timidezza e aveva già raggiunto un livello di espansività notevole rispetto a com’era qualche settimana prima. Ora stava tornando a casa, con Thomas seduto al suo fianco sul sedile del passeggero. Non era stato facile convincerlo a lasciarla guidare, l’istinto di prendersi carico di quel compito era troppo forte in lui, così come in tutti i ragazzi che aveva conosciuto. La macchina però era sua ed era riuscita ad averla vinta.

«Sei sicura che posso dormire da te?» le domandò, incerto. Allie gli aveva detto che i suoi genitori sarebbero stati in casa quella sera ma gli aveva anche assicurato che poteva comunque fermarsi da lei. Lui non era totalmente sicuro di trovarsi a suo agio in quella situazione.

«Sì, nessun problema.»

«Con i tuoi in casa? Non mi pare una buona idea» insisté, perché a meno che non avesse insonorizzato la camera da letto non sarebbe stato così confortevole come sembrava pensare.

«Perché? Tanto non faremo mica sesso» replicò con un’alzata di spalle, portandolo ad assumere un’espressione ancora più stupita.

«Sono felice che tu mi abbia consultato prima di prendere questa decisione» rispose, ironico, sprofondando nel sedile.

Allie sbuffò prima di voltarsi verso di lui e dargli la spiegazione che stava aspettando con uno sguardo rassegnato. «Ho il ciclo.»

La notizia lo colpì all’improvviso e lo fece sentire un’idiota. Avrebbe dovuto capirlo o almeno valutare l’idea, dopotutto stava studiando medicina e il fatto che regolarmente lei l’avrebbe mandato in bianco non doveva sorprenderlo. Stava per scusarsi, ma la sua risata lo fermò.

«Se anche entrassero per spiarci, saremmo sobriamente vestiti e non potranno dire nulla.»

«Sobriamente?» ripeté, notando la scelta delle parole. «Hai un pigiamone della nonna nell’armadio?»

Allie rise, fermando l’auto davanti al garage e aspettando che il portone automatico finisse di aprirsi. «Può essere.»

Nonostante le rassicurazioni della ragazza, Thomas non si sentì completamente a suo agio mentre si spogliava e si infilava sotto le coperte del letto nella stanza degli ospiti, aspettandola mentre lei si stava struccando in bagno. Non gli era mai capitato di dormire a casa di una ragazza mentre i suoi genitori erano presenti. Si rese conto che il suo ragionamento tendeva all’ipocrisia, dato che lei non si era fatta problemi a passare una notte da lui quando ancora la loro relazione non era nota e le conseguenze, se fossero stati scoperti, sarebbero state decisamente peggiori.

«Ti sei trasferita qui?» domandò, quando lei entrò nella stanza.

«No, sono troppo pigra per spostare tutti i miei vestiti qua» rispose Allie, stendendosi accanto a lui. «La uso solo quando ci sei tu» rivelò, sistemandosi su un lato per poterlo vedere in viso.

«Solo per me?»

«Solo per te» annuì, sporgendosi per posargli un bacio sulle labbra.

C’era una nuova dolcezza in quel contatto, una nuova meravigliosa sensazione di gioia nell’abbraccio che stavano condividendo. La prima volta che avevano dormito insieme si erano limitati a un sonno casto e silenzioso in camera di Thomas, nascosti al mondo che li circondava e frementi per la nuova piega che stava prendendo la loro relazione. La seconda volta era stata in quello stesso letto, dopo aver consumato per la prima volta il loro amore. Ora era diverso.

Non potendo intraprendere attività particolarmente erotiche, erano costretti a lasciarsi cullare dalla serenità e dal calore emanato dai loro corpi, dovevano perdersi nel tenero piacere dettato dalla loro vicinanza.

Fu una scoperta nuova e splendida, sentirsi parte di un mondo nuovo in cui non c’era bisogno di parole o di azioni, ma solo del suono ritmico del loro respiro e dell’unione delle loro anime.

In questa quiete, la mente di Allie aveva lavorato a fondo.

«Tom» lo chiamò, scostandosi appena per vederlo in faccia. «Quando abbiamo fatto l’amore per la prima volta mi hai detto che ti eri innamorato di me e io non ti ho risposto…»

«Non fa nulla, non preoccuparti» la interruppe, accarezzandole i capelli.

«No, ascoltami» insisté lei, prendendogli la mano e stringendola al petto. «Era presto per me, ero ancora annebbiata dal sesso e non me la sono sentita di ricambiare, perché sapevo che non sarei stata completamente sincera e sicura di me» spiegò e prese un respiro profondo prima di continuare.

«Ora però ho avuto il tempo per rifletterci, sono calma e le mie parole sono assolutamente vere: ti amo» disse, stringendo più forte la sua mano e fissandolo negli occhi.

Thomas rimase immobile ad osservarla, s’immerse nelle sue iridi sincere e sentì il cuore scoppiare di gioia. La baciò, lasciando la sua mano per circondarle il viso, avvicinandosi al suo corpo il più possibile. In quel bacio condensò tutto l’amore che provava per lei, quella moltitudine di sentimenti che non aveva mai provato con tale intensità nella sua vita. Baciò la sua anima, il suo cuore grande e il sorriso eterno che l’avevano fatto innamorare.

«Ti amo anch’io» sussurrò, staccandosi solo per un attimo dalle sue labbra per permettere al suo sguardo di incrociare quello di lei e accompagnare quelle parole nel suo spirito.

Ti amo.

Anche quest’avventura è finita, un altro capitolo della mia vita concluso.
È stato bellissimo condividere questo lavoro con voi, meraviglioso vedere che l’avete apprezzato e mi avete aiutato, con la vostra forza, a non abbandonarlo.
Il tempo per la scrittura, ora che ho iniziato l’università, si è drasticamente ridotto, non scrivo da settimane, ma non abbandonerò mai davvero quest’attività che mi lascia sempre con una sensazione di gioia e soddisfazione.


Grazie per essere arrivati fino a qui, spero che questa storia vi rimanga nel cuore, almeno in piccola parte, e che vi abbia lasciato qualcosa.


Il desiderio di lottare per la vostra felicità - come ha fatto Alice.
La forza di rischiare per la vostra felicità - come hanno fatto Thomas e Allie.
La speranza costante che, prima o poi, sarete davvero felici – la stessa che Michael e Dafne tengono stretta.
La volontà di rendere felice le persone a voi care – come conta di fare Edmond.

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