WHO NEEDS A HEART WHEN THERE'S NO ONE TO LOVE?

di Miss Dumbledore
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #00 — PROLOGUE ; sepolcri imbiancati. ***
Capitolo 2: *** #01 — THE FIRST TIME; Carne e Verità. ***
Capitolo 3: *** #02 — THE DAY AFTER; Linee di Confine. ***
Capitolo 4: *** #03 — DEAL WITH IT ; Calore e Neve. ***
Capitolo 5: *** #04 – NIGHT THOUGHTS ; Consciamente ed Inconsciamente. ***
Capitolo 6: *** #05 — BALLAST ; Routine. ***
Capitolo 7: *** #06 — AFTERMATH ; Passato e Presente. ***
Capitolo 8: *** #07 — POWDER ; Fantasmi e Orme. ***



Capitolo 1
*** #00 — PROLOGUE ; sepolcri imbiancati. ***


WHO NEEDS A HEART WHEN THERE'S NO ONE TO LOVE?


Più un cuore è vuoto e più pesa.”
Augusta Amiel-Lapeyre



Una ragazza ricca e tradita fin troppe volte, sfiduciata e arrabbiata nel profondo nei confronti degli uomini.
Un gigolò che si destreggia fra le donne più facoltose e sole della città usando il suo charme e il suo corpo come fonte di guadagno.
Lei che si sente un involucro vuoto.
Lui una cosiddetta “puttana di alto bordo”.

Come si incroceranno le loro strade? Cosa c'entrano i loro mondi l'uno con l'altro e cosa li ha portati a incrociarsi quando sono solo i soldi ad accomunarli?
Lei, non la classica bella ragazza, una bellezza discreta dai lineamenti particolari.
Lui affascinante, ferino e decisamente gettonato fra le signore; il classico uomo da ormone impazzito.
Lei con un carattere forte e un cuore che sembra essere stato asportato gli fa una proposta.
Superficialità e un viaggio interiore intrapreso dalla porta di servizio s'incrociano per arrivare alla stessa destinazione.







#O – PROLOGUE ;

sepolcri imbiancati.




Il denaro, del quale si dice tanto male, svolge almeno una funzione benefica: quella di distrarre dalle miserie del cuore.”
Henri Duvernois




Entrò nel salotto del club, sfacciata imitazione di quelli americani e che aveva sempre guardato con sdegno pensando che fossero solo un covo di sepolcri imbiancati che guardavano il mondo con la puzza sotto al naso dall'alto della loro montagnola di soldi al pari di mosche su una pila di sterco.
Un paio di poltrone e due divani messi in circolo attorno ad un tavolino da caffè, quel salottino era stato arredato per il club del libro o le ore del thè delle signore più attempate ed era pressoché inutilizzato, soprattutto il mercoledì mattina. Ad aspettarla seduto su un divanetto a leggere pigramente il giornale c'era un giovane uomo di massimo venticinque anni dai capelli neri e scarmigliati studiatamente, indubbiamente attraente da quello che poteva vedere attraverso la camicia beige con le maniche arrotolate sugli avambracci e dei jeans attillati quanto bastava per far vedere i muscoli in tensione delle cosce delle gambe elegantemente accavallate. Aveva un bel viso, notò quando si voltò verso di lei, probabilmente attirato dal ticchettio dei suoi stivaletti sul pavimento mentre gli si avvicinava. Aveva una bellezza particolare, con grandi occhi blu, non azzurri , ma intensi come il mare dove c'è l'acqua alta. Il collegamento mentale fu immediato, come quando andava da piccola con sua madre in spiaggia e guardava l'orizzonte.
Lui piegò il giornale e lo posò sul divano accanto a sé alzandosi per raggiungerla.
«Buongiorno.» la voce era calda, avvolgente, mentre le porgeva la mano e accennava un sorriso.
Gli strinse la mano con sicurezza e lui ricambiò il suo sguardo.
«Salve, immagino che lei sia Ian..» disse e non aspetto nessun invito prendendo posto su una poltroncina accanto a lei. La studiò qualche istante senza far trasparire nessuna particolare espressione sul viso.
«Sì e lei Amelia.» concluse quelle presentazioni al contrario riprendendo posto sul divano che aveva occupato fino a poco prima, una delle regole, a quanto le aveva spiegato l'ochetta giuliva di cinquant'anni ridacchiando che aveva parlato di lui a sproposito alla festa di beneficenza qualche sera prima sotto un ingente dose di Martini, la regola era niente cognomi, per questioni di privacy.
Poi, dopo un altro Martini e chiacchiere inutili in cui le aveva scucito il nome del baldo giovane, l'aveva accompagnata alla toilette e mentre lei svuotava la sua vescica le aveva lasciato la pochette in mano e lei aveva rubato il numero dal super tecnologico cellulare che le era costato una barca di soldi, ma non sapeva quasi nemmeno usare, quindi figurarsi mettere un codice per lo sblocco.
Da avere il numero e seguire l'idea malsana che le vorticava in testa già da tempo e che quella chiacchierata aveva solo contribuito a riportare in superficie il passo era stato breve.
«Dunque, a quanto ho capito, ha un'offerta per me.» aprì il discorso incrociando le mani in grembo l'uomo con tranquillità, in fondo per lui era routine questa, no?
«Quattrocento, una notte intera.» contrattò freddamente, seduta con naturalezza su quella poltroncina che sapeva di pelle stantia come se non stesse contrattando la sua verginità.
«Briciole, non lavoro un'intera notte per niente.» cercò di inchiodarla con lo sguardo magnetico.
Lei lo studiò per qualche istante, non facendo trasparire nessuna emozione se non un certo fastidio.
«Non sopravvaluto la mia verginità, stia tranquillo, infatti io parlavo dell'anticipo.» spiegò con un gesto spazientito della mano.
«Interessante.. e la cifra finale?» si sistemò meglio sul divanetto, protendendosi leggermente verso di lei.
«Altri 400, la mattina dopo.»

Le puttane non vengono pagate per fare sesso, ma per andarsene.”
«Mi sembra un'offerta ragionevole.» annuì.
«Le condizioni sono semplici: si fa a modo mio, te ne vai la mattina dopo senza domande e deve rimanere tutto in quella stanza,» chiarì rigidamente. «mi sei stato caldamente consigliato, spero non siano soldi sprecati.»
Era passata dalla forma di cortesia al tu senza accorgersene, come non aveva fatto troppi giri di parole per arrivare a parlare dell'affare per cui erano entrambi lì e lei aveva saltato scuola. Sua madre era stata quasi felice di sapere che “bruciava” con delle amiche, forse solo per come le aveva definite, o forse perché le era sembrato di scorgere un po' della vecchia Amy in quella richiesta. Sua madre era sempre stata tipa da “se ogni tanto non hai voglia di andare a scuola, piuttosto dimmelo che almeno posso coprirti”. Se avesse saputo cosa stava facendo sarebbe rabbrividita.
«Non lo saranno, sono sicuro che ogni lode non sia stata minimamente gonfiata.» sorrise malizioso.
«Lo spero.» ribatté secca. «Ah, un'altra cosa, vorrei ti sottoponessi a degli esami per le malattie veneree, io prendo la pillola e non ho intenzione di usare il preservativo;» aggiunse pragmatica come se gli stesse chiedendo di passarle il sale. «naturalmente ti fornirò i risultati dei miei per garantire la mia buonafede.» bloccò sul nascere la risposta dell'uomo davanti a lei porgendogli una busta gialla che aveva tirato fuori dalla borsa oversize.
«Non credo comunque che essendo vergine avresti potuto aver contratto qualcosa di più di una candida.» rispose ironico prendendo la busta, la sua espressione sembrava dire “sì, chi ci crede”. Amy evitò di farvi caso più di tanto: era stato così anche quando una settimana prima l'aveva chiamato dicendogli a chiare lettere che lei voleva una compagnia accettabile per perdere la verginità e che dall'accordo che voleva proporgli ci avrebbe guadagnato ampiamente entrambi.
«Mi aspetto una tua chiamata non appena riceverai i risultati degli esami e li preferirei a busta chiusa, se non è un problema.» si alzò in piedi considerando il discorso chiuso, aveva sistemato quello che andava sistemato e quindi era inutile dilungarsi troppo.
La studiò ancora qualche istante poi la seguì mettendosi in piedi anche lui e prendendole la mano sfiorandola con le labbra in un'imitazione di un delicato baciamano, anche se sembrava più una velata presa in giro dalla luce che brillò negli occhi blu che non staccò neanche un istante dai suoi.
«Ma certo, è un piacere fare affari con te.» sorrise lasciandole la mano.
«Ne sono consapevole, spero di poter dire lo stesso di te,» fece un sorrisetto forzato in risposta. «buona giornata.»
«Lo sarà.» suonò come una promessa.. oppure quasi una minaccia. Non riuscì a classificarla e decise di non rimuginarci troppo per non avvelenarsi il cervello con riflessioni inutili.
«Buona giornata a te.»
Si voltò lasciandosi alle spalle quello strano uomo, prima che la decisione che l'aveva animata fino a quel momento potesse scemare in quella strana sensazione che le metteva addosso quell'individuo anche fin troppo strafottente. L'unica era sperare che fosse bravo a letto.

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Capitolo 2
*** #01 — THE FIRST TIME; Carne e Verità. ***


#O1 – THE FIRST TIME ;
Carne e Verità.

When you feel my heat, look into my eyes: it’s where my demons hide; don’t get too close, it’s dark inside: it’s where my demons hide.*


Se non esistesse il cuore dell'uomo, non ci sarebbe disperazione sulla terra.”

Romain Gary




Il campanello suonò e si diresse con un passo misurato, indossava bella biancheria, era depilata e ben vestita, con quei tacchi che facevano tic-tac sul parquet e rimbombavano per la casa vuota. Era tutto quello che voleva, ogni dettaglio era per soddisfare le sue aspettative, una specie di regalo d'addio a Amy.
Non era emozionata, nervosa o anche solo incuriosita. Le mani non erano sudate, ebbero solo un leggero tremore al secondo giro di chiave.
«Buonasera.» le sorrise Ian, splendido nella sua maglietta beige con una stampa astratta di colore leggermente più scuro, sui cui aveva una giacca sportiva grigio scuro con delle toppe di cuoio sui gomiti.
«Buonasera.» lo accolse con un tono quasi.. professionale, gelido.
«Un po' di vino?» tirò fuori da dietro la schiena una bottiglia con attaccato un bigliettino con dello spago, come se niente fosse. Lei la prese e l'osservò sospettosa facendosi da parte per farlo entrare.
Una breve occhiata all'esterno le fece notare che cominciava a nevicare fitto e grosso, tanto che gli alberi del giardino erano già quasi del tutto imbiancati. Richiuse velocemente la porta distogliendo lo sguardo in fretta. La neve era una di quelle cose belle che una volta la facevano emozionare come una bambina, una di quelle piccole cose che una volta le scaldavano il cuore. Ricordava ancora chiaramente tutte le volte che aveva ballato sotto quei fiocchi con un sorriso sulle labbra screpolate e le guance arrossate.
«Non devi fingere.»disse lei duramente mentre lui si guardava attorno assorto senza aver notato la sua reazione.
«Non sto fingendo, è semplice cortesia.» rispose distrattamente senza guardarla.
Lei ignorò la sua risposta e guardò il bigliettino, semplice, color avorio in cui all'interno c'era scritto “Felice deflorazione” con una una calligrafia un po' sghemba in inchiostro blu. Fece una smorfia di disappunto ripiegandolo e si diresse verso la cucina.
«Aspettami nella stanza alla tua destra, mettiti pure comodo.» si voltò dirigendosi in cucina, prendendo un cavatappi da un cassetto e due bicchieri a stelo ben panciuti dalla credenza. Cosa stava facendo? Perché voleva uccidere così l'unica parte di lei rimasta allo sfacelo della sua anima?
Perché ormai pesa troppo per conviverci ancora, è ora di troncare ogni rapporto con la tua umanità; si rispose duramente mentre versava il vino nei bicchieri e li portava a colui che l'avrebbe aiutata a spegnere l'ultima scintilla che le rimaneva.
Ian era di spalle quando entrò, sembrava parecchio preso nel guardare le foto poggiate sulla mensola del camino acceso; sua madre ne era stata così entusiasta quando l'aveva vista. Era sempre stato il suo sogno, un bel camino di pietra grezza a vista su cui disporre tante belle foto degli attimi felici della sua vita, per esserlo ancora un po' riguardandoli. C'erano le foto del matrimonio, con sua madre raggiante nel suo abito bianco in pizzo e il suo neo marito che la stringeva da dietro sovrastandola tanto era il dislivello di altezza fra loro, alcuni scatti di famiglia, alcune in posa, altri fatti a tradimento a discapito di qualcuno, una mandata da suo fratello quando era stato a quel corso a Berlino, sorridente davanti a una grande cattedrale di cui nemmeno ricordava il nome. Quelle di Amy, invece, si fermavano a più di un anno prima, con la foto del suo sedicesimo compleanno, tutti attorno a una torta da supermercato alla frutta, sorridenti e un po' sfatti, ma veri. Sembrava una persona diversa, non per il trucco un po' colato e i capelli scombinati, ma per l'espressione. C'era una tale vita nel suo sguardo, nel suo sorriso che avrebbe travolto chiunque; quel viso, contrapposto a quello del presente la faceva sembrare ancora più fredda, quasi inesistente.
«Ti avevo detto di metterti comodo, a proposito, carino il bigliettino.. fa sempre parte del servizio o è un'extra gentilmente offerto dalla casa?» esordì distogliendo in fretta lo sguardo dai ricordi che una volta le facevano male e ora la lasciavano solo rumorosamente vuota. Probabilmente sarebbe stato molto meglio organizzare la cosa in una stanza d'albergo, farlo venire lì, oltre ad essere un rischio per la sua privacy, era anche un modo per permettergli inconsciamente di tirare fuori vecchi fantasmi. Come il fatto di riposare lo sguardo su quelle foto che ignorava sistematicamente ogni volta che entrava in quella stanza, ma voleva che quell'ultimo sfregio a sé stessa doveva succedere in luogo che le avrebbe ricordato costantemente cos'aveva deciso, cos'aveva scelto per sé stessa.
«Oh no, questo è solo per te, sai, una circostanza inusuale merita qualcosa con cui festeggiarla.» si voltò con nonchalance l'uomo.
«Dovrei sentirmi onorata?» si accigliò leggermente sedendosi comodamente sulla sua poltrona preferita di fronte al fuoco, dove di solito si metteva a leggere con una tuta sformata addosso, gli occhiali e i capelli raccolti malamente. Probabilmente in qualche album c'era anche una foto di lei in quella mise. Da quando suo fratello aveva scoperto la sua passione per la fotografia non faceva che scattare “pieces of life” come li chiama lui.
Era un bel contrasto, ora, con un bel vestito, i tacchi vertiginosi e un bicchiere di vino bianco in mano.
«Oh, credo che ci voglia qualcosa di molto più– eclatante.» ribatté lui rigirandosi in mano il bicchiere che aveva preso quando lei glielo avevo porto. Si sedette sul divano di fronte a lei poggiando con nonchalance il braccio sullo schienale e accavallando le gambe in una posa da seduttore consumato.
Chissà se aveva un copione per quegli incontri, dimodoché ogni donna che dovesse servire fosse soddisfatta. Come un bravo cameriere.
Studiava le clienti, ne indovinava i gusti e le inclinazioni per farle sentire amate, desiderate.. ne conosceva e condivideva i peccati per legarle a sé indissolubilmente dimodochè non potessero più sfuggirgli.
In fondo, un certo Heinlein non aveva detto “Le puttane svolgono lo stesso lavoro dei preti ma molto più scrupolosamente.” ?
«Mhm, potrei stupirti.» commentò lei, più per non far cadere il discorso che non per un vero interesse verso quella conversazione forzata. Di rito.
Bevve tutto d'un sorso il vino pentendosi amaramente di aver lasciato la bottiglia in cucina.
«Oh, non ne dubito.» ammiccò bevendo anche lui quasi tutto il suo bicchiere.
Amelia rimase in silenzio, sembravano arrivati ad un punto morto e lei non sapeva che fare con lui che sembrava farle la radiografia. Doveva riprendere in mano il controllo della situazione. Si alzò cercando di far sembrare il più naturale possibile quello scatto improvviso e gli si avvicinò lentamente, chinandosi per prendergli il bicchiere che teneva fra le mani.
Le fermò il polso con una presa delicata, ma decisa, tenendola ferma così, per metà chinata su di lui occhi negli occhi. Sentì la stretta calda della mano avvolgerle il polso sottile, quasi come una scossa. La tirò a sé leggermente, con delicatezza, facendo in modo che dovesse essere lei a volersi chinare sempre di più, altrimenti avrebbe potuto benissimo tirarsi indietro, ma non lo fece, anzi, lasciare che fosse lui a condurre il gioco la rilassò, contro ogni sua aspettativa e mania di controllo. La attirò a lui lentamente, calibrando ogni millimetro con la flemma di chi sa che l'attesa spesso è meglio del bacio stesso. O del piacere, in quel caso.
Si sentiva il suo respiro caldo e inebriante sulla pelle del viso, odorava di buono e di vino. Qualche altro centimetro e sentì l'odore della sua pelle, che le solleticava persino il palato, quasi avesse un sapore dolceamaro, forte e pungente. Odorava di nebbia, tabacco e qualcosa che poteva ricollegare vagamente all'arancia, ma non era quello, era molto più carnale, era l'odore della sua pelle.
Continuarono a guardarsi negli occhi e nonostante fisicamente fosse lei a sovrastare lui, sembrava il contrario. La forza di quegli occhi blu intenso che l'avevano colpita fin dall'inizio —assieme ad un bel fondoschiena e la visione d'insieme decisamente non male— ma erano stati quei pezzi d'oceano a metterla al muro. A farla decidere.
Sembrava quasi un bacio normale, senza quel contesto che sporcava tutta la poesia che secondo la fantasia comune doveva esserci in una situazione del genere. Le loro labbra ora quasi si sfioravano, ma nessuno dei due accennava a voler distogliere lo sguardo, in quella muta sfida che serpeggiava fra di loro. Un respiro un po' profondo di lui la fece risvegliare da quella specie di ipnosi.
«Vado a portare giù i bicchieri.. o vuoi altro vino?» chiese con un leggero tremolio della voce a metà della frase, in fondo era attratta da lui, il suo corpo non era morto assieme alla sua anima.
«No grazie, ma se serve a te..» rispose lui con un tono caldo che le fece venire un brivido lungo la schiena. Aveva sempre pensato che una delle parti più seducenti di un uomo era la voce, e a quanto pareva lo sapeva anche lui.
«Non ho mai avuto bisogno di coraggio liquido.» ne ho già abbastanza di mio, rispose per poi rimettersi dritta e voltargli le spalle.
Si rintanò da vera codarda in cucina, contraddicendosi da sola. Aprì la lavastoviglie distrattamente e vi mise dentro i bicchieri pensosa. Non aveva dubbi o ripensamenti, era solo stranita da tutte quelle parole, quei giochi di sguardi che facevano sembrare quella situazione come un semplice gioco di seduzione mentre era tutto preconfezionato, fasullo. Era tutto falso, com'era stata la sua vita troppe volte.
Lo sentì arrivarle da dietro, ma non si voltò, lo lascio avvicinare facendo finta di niente, richiudendo la lavastoviglie e recuperando un tappo di plastica da un cassetto su cui campeggiava un'apetta dondolante su una molla. Richiuse la bottiglia e finalmente si voltò per andare a metterla in frigo, ritrovandoselo molto più vicino di quanto aveva previsto.
Di nuovo il suo odore l'avvolse come una coperta fumosa, stuzzicandole i sensi.
«Pensavo fossi scappata.» le disse a mezza voce.
«Questa è casa mia.» ribatte con ovvietà senza riuscire a muoversi di un centimetro. Bloccata.
«Hai ragione.» mormorò. Era bloccata contro il piano della cucina, un passo indietro e ci avrebbe appoggiato la schiena e lui le toglieva ogni via di fuga davanti. Ma perché pensava in termini di prigionia? Non l'aveva voluta lei quella situazione? Non si era forse prodigata lei stessa per finire in quella situazione? E lui faceva solo il suo lavoro, per cui era stato assoldato e pagato da lei stessa.
«Metto via questa e sono subito da te.» fece un respiro profondo aggirandolo. Non capiva perché stesse giocando al gatto e al topo con lui quando non ne aveva bisogno, quando non si capiva nemmeno chi era il felino e chi il roditore. Decisamente avrebbe preferito far parte della prima specie, ma qualcosa le diceva che non era esattamente così che stavano le cose.
Mise la bottiglia nel frigorifero nel maggior tempo possibile senza dar l'immagine di voler rimandare, poi si voltò e lo vide. Esattamente nella stessa posizione di quando gli aveva voltato le spalle solo che adesso l'osservava intento in chissà quale pensiero. Era bello, su questo non c'erano dubbi, sicuramente se non lo fosse stato non sarebbe stato così gettonato.
Le si avvicinò con lentezza, perfettamente naturale, eppure c'era sempre quella nota stonata nell'aria che non riusciva ad identificare. Quando le fu davanti le poggiò le mani sulla vita e lei dovette farsi violenza per non arretrare, per mantenere quella fredda visione di sé che lui aveva avuto fin dall'inizio. Per rimanere credibile anche a sé stessa.
Quando le fu così vicino da invaderla col suo respiro caldo non riuscì più a trattenersi, gli immerse le mani nei capelli e riempì il piccolo spazio vuoto che c'era fra loro. E quello fu il loro primo bacio, e in quel preciso momento, mentre sentiva già il suo sapore sulle labbra e la loro morbidezza che le sfiorava, un pensiero che durò solo un istante, fuggevole che dimenticò subito dopo, alla presa con questioni di ben altra importanza, fu che l'inizio della fine doveva per forza essere così, avere il suo odore, il suo sapore, la sua bellezza ammaliatrice, macchiata di peccato mascherato dalle buone maniere e dalle convenzioni.
Lo baciò, assaporò e morse, non vi fu nulla di poetico né mistico. Furono sospiri a fior di labbra e mani che sfioravano e toccavano ciò che potevano raggiungere.
Contro quel frigo si consumò il primo atto del suo lento e crudele addio al suo cuore.
«Niente finzioni, non voglio che sembri qualcosa che non è.» gli sospirò a fior di labbra inchiodandolo con lo sguardo, con una mano sul suo petto e l'altra ancora stretta nei suoi capelli morbidi.
Per quanto inutile sia anche un topolino può travestirsi da leone, bastava crederci.
«Nessuna finzione.» annuì senza sfuggire dal suo sguardo, e anche se in quel momento stava probabilmente recitando una parte rompendo la sua promessa nel momento stesso in cui la pronunciava lui sembrava capirla, con quello sguardo così blu reso ancora più liquido dal desiderio e lei decise di credervi. Di mentire a sé stessa.
«Seguimi.» mormorò facendo scivolare la mano che fino ad un momento prima era sul suo petto nella sua che era ancora posata sul suo fianco. In realtà non lo prese propriamente per mano, per amor della precisione gli circondo il polso con la mano piccola che non riusciva nemmeno a circondarlo del tutto. Si sfilò velocemente da quella posizione scomoda e lui si lasciò guidare su per le scale di legno dopo un ultimo sguardo. Entrarono nella stanza di lei, carina e accogliente con un bel letto a una piazza e mezza con un copriletto su cui troneggiava la bandiera inglese. Quando lui riprese il controllo della situazione e la fece stendere sul letto per mettervisi sopra affondarono nel materasso morbido. Aveva voluto la verità e lui gliela stava dando, comprese la rossa fra un bacio e l'altro. Lui nelle questioni carnali era quello esperto e voleva comandare. Solo che probabilmente non aveva considerato che per quanto inesperta, sopra o sotto che fosse, Amelia non era una tipa da lasciarsi sopraffare. Si era sfilata le scarpe mentre sentiva le mani di cui correre lungo le sua gambe, sempre più su raggiungendo sempre più inesorabilmente il limite del vestitino corto che aveva indossato quella sera, già di parecchio sollevato dalla foga dei movimenti. Fece correre la mano sotto la giacca di lui levandogliela senza tante cerimonie, senza paura di sembrare goffa o troppo sfacciata, come immaginava sarebbe stato se al posto di quell'uomo di cui conosceva solo il nome –Ian– e il mestiere –puttana d'alto bordo– ci fosse stato qualcuno a cui teneva davvero; e questa cosa le piaceva davvero, la entusiasmava e la faceva sentire forte e impudente. Anche se non era così, in quel momento lei fu la predatrice e –realizzò– anche lui lo era. Due animali che lottavano per il territorio a suon di baci, di morsi e carezze tutt'altro che tenere. La sospinse più verso la testata del letto, visto che a quella altezza le sue gambe al di sotto del ginocchio penzolava oltre il bordo. Lei si lasciò spostare docilmente mentre aveva già le mani sotto la sua maglietta, desiderosa di sentire la sua pelle contro la propria e lui per si stacco per un attimo dal suo collo che stava lentamente e allo stesso tempo voracemente torturando per farsela sfilare.
Non c'era sentimento, cuori che battevano all'unisono e amori sussurrati a mezza voce perché troppo importanti per essere gridati. C'era passione, giochi di labbra, sguardi languidi che s'intrecciava e poi lasciavano, visi arrossati e l'odore della loro pelle mischiato in un profumo primordiale che spingeva i loro corpi a chiedere sempre di più.
Le sfilò le autoreggenti, non con delicatezza e reverenza come in ogni film, mentale o hollywoodiano che fosse, ci si aspetta, ma quasi strappandogliele, veloce come chi consumato dall'esperienza sapeva cosa faceva, un gesto abituale macchiato dalla passione.
Era tutto confuso, come eternamente bloccato su una linea di confine dondolando un po' di qua dove giocava l'esperienza e la freddezza calcolatrice e un po' di là dove regnava la passione e l'autocontrollo andava a farsi fottere, nel senso letterale del termine.
Decise di passare all'attacco anche perché sentirlo mentre le mordicchiava il collo e la sfiorava soltanto e lei era ancora vestita la stava innervosendo. Lo ribaltò senza troppa delicatezza per stendersi praticamente sopra di lui. Si mise a cavalcioni e lo baciò con aggressività mentre lui le metteva le mani sotto la gonna accarezzandole e stringendole i glutei.
Lei gli accarezzava il petto sodo, seguendo le linee sottili dei muscoli appena accennati che guizzavano sotto le sue dita.
Lui la stava facendo impazzire mentre risalendo pian piano con le mani le tirava su il vestito fino ad obbligarla ad alzare le braccia per farselo sfilare. Le sembrava di essere in un sogno, era tutto così surreale e allo stesso tempo di una realtà schiacciante, sentiva ogni nervo in lei che si risvegliava mentre le loro labbra erano strumenti per divorare l'altro con quanta più foga e i loro bacini si sfioravano e allontanavano. Fu tutto naturale, abbandonò ogni pensiero e semplicemente dedicò ogni suo pensiero a spogliarlo per sentire la sua pelle contro la propria, l'istinto primordiale che sapeva esattamente cosa fare si risvegliò in lei e la travolse, fra i sospiri e i gemiti e quando arrivò il momento si accorse che voleva guardarlo negli occhi, era stupido, da romanzetto rosa, ma un momento prima che lui facesse ciò per cui era stato pagato gli immerse le mani nei capelli come aveva già fatto più e più volte quella sera e lui le piantò quelle iridi pazzesche nelle sue.
Forse stava per dire qualcosa, ma lei in ogni caso l'anticipò scuotendo la testa tempestivamente, voleva quel silenzio, voleva sentire ogni volta che respirava, ogni piccolo spostamento d'aria, voleva che tutto quello, che stava andando oltre le sue aspettative apocalittiche, non fosse rovinato da qualche stupida frasucola di circostanza. La guardò intensamente per qualche istante, poi capì e la baciò, la baciò e cancellò l'ultima traccia di purezza che le rimaneva allo stesso tempo e non sapeva dire se fosse una cosa buona o brutta. Di colpo ogni suo pensiero che aveva cercato di riaffiorare in quella nebbia di annullamento totale venne definitivamente spazzato via da quell'unica verità. Niente di poetico o moralmente alto, semplicemente fu come se il suo corpo si fosse risvegliato dopo quasi diciott'anni di sonno perpetuo in un misto di dolore e un'unica scarica elettrica di piacere che diede inizio a tutto.
E così ebbe davvero inizio la fine.

Aveva sentito, tempo addietro, che alcune ragazze dopo la loro prima volta piangevano, ridevano incontrollate o che si erano sentite come se dopo mancasse qualcosa. Per lei fu qualcosa di ancora diverso, si sentì uguale e allo stesso tempo svuotata. Non sentiva quella mancanza di cui le avevano parlato, né si addormentò all'istante completamente appagata, semplicemente, con il corpo caldo di lui che ancora l'avvolgeva come una coperta d'indolenza le sembrava che non fosse assolutamente cambiato nulla anche se aveva appena scoperto cosa si provava a sentire con l'intero corpo. Era tutto uguale, lo guardò ancora per qualche istante negli occhi e capì l'intento di quell'ennesima pazzia senza senso che aveva fatto. Voleva sentire, voleva risvegliare quello che era rimasto sopito in lei per troppo tempo e non ce l'aveva fatta. Lui la guardava pacifico e rilassato, ma continuò a non dire nulla, rimasero in quel silenzio carico dell'eco dei loro sospiri e gemiti. All'improvviso quella vicinanza divenne soffocante e non desiderò altro che scostarsene.
Slegò le braccia dal suo collo e le appoggiò sul suo petto dandogli una leggera spinta, lui capì all'istante spostandosi di lato e mettendosi steso di lato a fissarla mentre si metteva per metà seduta e cercava nel cassetto del comodino il suo posacenere e il pacchetto di sigarette ancora chiuso che di solito teneva di scorta quando le finivano.
Merda, erano nell'altro comodino e lei aveva bisogno di fumare.
«Puoi guardare nel comodino accanto a te? Dovrebbero esserci un posacenere e un pacchetto di Lucky.» parlare di nuovo, sentire il proprio tono neutro spezzare quel silenzio che fino a quel momento era stato solo un velo caldo che l'aveva protetta dalla realtà fu come sentirsi improvvisamente nuda in mezzo ad una bufera.
Ian le diede la schiena e si mise a frugare nel cassetto tirando fuori un posacenere di metallo e il pacchetto ancora integro. Richiuse il cassetto con uno schiocco secco che la fece sobbalzare uscendo dalle sue elucubrazioni.
«Tieni.» le sorrise tranquillo come se nulla potesse intaccare la sua pace. Lei, dal canto suo, sentiva la contrapposizione con l'estremo rilassamento del corpo con la sensazione che ci fosse qualcosa di estremamente storto nella sua testa.
Aprì pensosa il pacchetto e stava per prendere una sigaretta quando lui la bloccò prendendole il pacchetto di mano sempre con un mezzo sorriso dipinto sul volto.
«Aspetta.» le disse semplicemente capovolgendo una sigaretta e rimettendola a posto nel pacchetto.
«La sigaretta del desiderio.» rispose al suo sguardo accigliato come se quella frase potesse spiegare tutto e lasciandola ancora più basita.
«La cosa?» chiese confusa portandosi i capelli indietro passandoci dentro la mano ben aperta.
«La fumi per ultima esprimendo un desiderio quando la accendi.» le spiegò porgendole il pacchetto.
«È stupido.» commentò riprendendolo e tirando fuori una sigaretta.
«È carino.» le accese la sigaretta che si era portata alle labbra con un accendino che evidentemente aveva preso dal cassetto anche se si era dimenticata di chiederglielo.
«Mhm.. non penso.» gli porse il pacchetto aperto. Lui lo prese e lo appoggiò sul comodino.
Rimase così, a fissare il soffitto, mentre assaporava l'unica cosa che dai vari racconti di adolescenti curiose era risultata veritiera: le sigarette dopo il sesso erano ancor migliori dell'ultima della giornata.
«Perché hai scelto di farlo in questo modo?» domandò all'improvviso Ian rompendo una delle clausole.
Fece un tiro dalla sigaretta che teneva fra le dita, pensosa mantenendo lo sguardo fisso sul soffitto verso cui si dirigevano le volute di fumo.
«L'ho messo in chiaro all'inizio perché, semplicemente volevo gestirmela da me la mia prima volta, nessuno avrebbe fatto esattamente come volevo e comunque mi sarei dovuta impegnare a conoscere dettagli inutili di una vita che non mi interessava minimamente, quindi meglio cosi.»
Un'alzata di spalle, come se stesse parlando di una partita di calcetto.
La guardò intensamente, chiedendosi come una persona, una donna, potesse ridursi così, emotivamente nulla.
Sentendosi osservata si voltò tirando un'altra boccata di fumo ricambiando lo sguardo profondo, dannatamente blu. Gli passò rapita una mano fra i capelli morbidi e neri. Con quel buon odore di pulito, mentre i loro sguardi non accennavano a districarsi. Con lentezza le prese la sigaretta che teneva fra le dita, allungandosi su di lei per spegnerla nel posacenere sul comodino, mentre con l'altra mano già che le teneva il viso. Poi mentre si tirava indietro si fermo su di lei e la baciò. E si morsero, si baciarono e assaporarono ancora una volta, perché quella era la sua notte. La notte in cui tagliava l'ultimo legame rimasto con la vecchia Amy e rimaneva solo Amelia, la persona che aveva creato poco a poco chiunque avesse amato. Chiunque avesse amato e poi perso.


Dopo la seconda volta si sentiva stanca, ma la presenza estranea accanto a lei nel suo letto non le permetteva di rilassarsi abbastanza da chiudere gli occhi. Era così curiosamente ridicolo quanta fiducia ci volesse nel semplice atto del dormire accanto a una persona, mentre per farci sesso non ci volesse nulla. Non aveva voglia di fumare ancora, non aveva voglia di parlare. Non aveva voglia di voltarsi e vedere quell'estraneo accanto a sé.
«Il bagno..?» sentire la domanda venire dall'oggetto dei suoi pensieri la infastidì ancora di più, in quell'isola di estrema lucidità in un mare di sonnolenza che le intorpidiva il corpo, ma non la mente. Impedendole di cedervi.
«La porta blu, quella con la targhetta toilette.» rispose atona. Sentì il materasso alzarsi e i passi leggeri dei piedi nudi sul pavimento dopo che aveva superato il tappeto ed era arrivato sul parquet. Una porta aprirsi e chiudersi. Una chiave che girava nella toppa.
Sembrava tutto scandito da quei rumori semplici, quasi non si accorse del respiro liberatorio quando chiuse gli occhi portandosi una mano sul viso col palmi rivolto verso il soffitto. La luce dei lampioni filtrava tenue dalla finestra, ma dava lo stesso fastidio, forse perché riverberata dal biancore della neve che continuava a posarsi incurante dell’assassinio dell'anima che stava accadendo in quella casa. Non sapeva più nemmeno lei perché l'aveva fatto, le motivazioni che aveva dato –che si era data– non valevano poi molto a cose fatte. Forse voleva di nuovo sentire qualcosa, forse voleva semplicemente ferirsi pur di ricominciare a sentire. E invece niente, le sue manie di controllare ogni cosa le accadesse erano state soddisfatte, la prima volta era stata anch'essa— soddisfacente. Perché quella parola stonava così tanto in quell'ambito? Scacciò quel pensiero molesto archiviandolo come stupido e autoimposto per sentirsi normale, giusta. Una tiritera che era riuscita a debellare da tempo e non intendeva riaccogliere nella sua testa solo perché aveva appena accolto qualcos'altro fra le gambe che non fossero le sue mutande.
Si alzò a sedere un po' troppo in fretta provocandole un leggero capogiro che la costrinse ad appoggiarsi alla testata del letto allungando tempestivamente il braccio prima di crollare. Doveva fare un respiro profondo chiudendo gli occhi per riprendersi in fretta e raggiungere il comò dove c'era una maglietta che avrebbe potuto mettere perché cominciava a sentire freddo e non se la sentiva ancora di mettersi sotto le coperte. La sua ripresa divenne impellente quando sentì il rumore dello sciacquone attutito attraverso la porta chiusa e capì che a breve sarebbe uscito dal bagno e l'avrebbe trovata lì nuda nel corpo e nell'animo, e se alla prima neanche ci pensava la seconda non era un'opzione. Non l'avrebbe vista debole.
Si fece forza per alzarsi, ancora un po' stordita, ma determinata. Attraversò la stanza più in fretta che poté e si aggrappò al comò fino a farsi sbiancare le nocche. Aveva la vista appannata che le ricordò che non aveva mangiato dall'ora di pranzo quando si era fermata nel suo fast food vegano preferito, l'unico in tutta la città a dire il vero, dopo delle commissioni. Era stata in giro anche praticamente tutto il pomeriggio per poi ritrovarsi a dover preparare e sistemare ogni cosa, compresa se stessa, usando anche il tempo che aveva preventivato per un pasto precotto da infilare in microonde.
Aprì il primo cassetto e prese una delle magliette a maniche corte troppo grandi per lei che aveva rubato a suo fratello, che benché fosse più piccolo di lei d'età, la superava di almeno una ventina di centimetri e forse anche di più in altezza. Se la infilò in fretta sentendo che la copriva fin quasi alle ginocchia.
Click. La porta si aprì silenziosa dopo lo scatto leggero della serratura, ma non sentì i suoi passi sul parquet. Si voltò dopo un ultimo respiro profondo per calare su di sé la maschera di intoccabilità che aveva mantenuto fino a quel momento: Ian, così aveva detto di chiamarlo nessun cognome.
Lui non aveva detto.
Lei non aveva chiesto.
La fissava appoggiato allo stipite della porta incurante della sua nudità; in fondo con il lavoro che faceva sarebbe stato ridicolo se fosse stato pudico.
«Così ti piacciono i cartoni animati.» commentò divertito.
«Come?» gli lanciò una breve occhiata perplessa non capendo da dove venisse quel commento decisamente fuori luogo.
«Bhe, la tenda della doccia di Spongebob e la maglia con sopra un– un animaletto strano verde col becco e il cappello..» parlò come se stesse parlando di api e di fiori a una bambina di cinque anni un –bel– po' ottusa. Si guardò la maglia che aveva indossato in tutta fretta e scoprì che aveva indossato la maglia con l'ornitorinco di un cartone animato estremamente stupido che il suo fratello estremamente stupido, nonostante i sedic'anni compiuti, adorava. Di tutte le maglie rubate –fra cui anche una più dignitosa dei Pink Floyd, tanto per dire– aveva pescato quella.
Scrollò le spalle indifferente. «La tenda l'ho vista in un supermercato e l'ho trovata carina.» nessun commento sulla maglietta, nessuna spiegazione. Non avrebbe permesso nessuna infiltrazione nella sua vita, nel suo scarno ambito affettivo.
Si era appoggiata senza accorgersene al mobile con la schiena ed entrambe le mani, probabilmente un'altra inconscia barriera che aveva eretto pur di non mostrare debolezza, persino in quel momento, con quell'estraneo nel suo territorio.
Aveva un'assurda voglia di pasta aglio, olio e peperoncino, ma non era buona mossa prepararsi qualcosa di potenzialmente letale se solo dopo avesse respirato nel raggio di cinquecento metri dall'uomo che aveva pagato per una notte di sesso. Profumatamente pagato.
Nonostante questi discorsi mentali fossero parecchio convincenti di meno lo era la consapevolezza che in frigo c'era ben poco dato che sua madre, che di solito si occupava della spesa, era in vacanza in montagna con tutta la famiglia. Meraviglioso! E lei continuava ad aver fame.
«Vado a farmi un panino.» si voltò senza aspettare risposta. Non le importava cosa avrebbe potuto pensare di lei, di certo far colpo su di lui non era fra le sue priorità.
Scese le scale lasciando scivolare le mano sul corrimano di legno lucido e scuro, accarezzò distrattamente la piccola sfera lucida e bianca di marmo alla fine girandoci intorno per raggiungere la cucina. Le sembrava così surreale la casa vuota, un uomo lasciato solo, e soprattutto nudo, nella sua stanza mentre lei andava a farsi uno spuntino di sotto. Passò dal soggiorno per prendere il cellulare, controllandolo distrattamente. Sua madre l'aveva chiamata circa un'ora prima, probabilmente voleva sapere se un ladro,violentatore e assassino era entrato in casa per rubarle la sua virtù —che andava decisamente svalutata dopo quella sera— pensando che comunque le avrebbe permesso di interrompere il delitto e riferirle se aveva rimesso il latte in frigo e svuotato la lavastoviglie. Forse voleva solo trovare una scusa per tornare giù da quel cucuzzolo su cui si era fatta trascinare per amore nonostante fosse un'ostinata fan del mare e del caldo.
Un altro paio di messaggi privi d'importanza e uno di suo fratello che le aveva mandato su Whatsapp una foto di lui e del suo amico Eric —con cui divideva il piccolo chalet accanto a quello di loro madre e del marito— in un bar, o meglio una specie taverna in cui il legno e la birra facevano da padroni. Avevano i segni bianchicci degli occhialoni in viso e dividevano il tavolo con alcune ragazze decisamente promiscue e dedite alla socializzazione a giudicare dalle facce soddisfatte dei due adolescenti il cui cervello si trovava affogato dagli ormoni. Il messaggio era di poche parole: “Sono felice che tu non sia venuta, altrimenti avresti fatto paura alle mie spasimanti! A Eric invece manchi.” più una serie di faccine allusive su cui preferì non indagare mentre poggiava il telefono sul piano della cucina e apriva il frigo pensierosa tirando fuori quello che rimaneva del cinese che aveva ordinato la sera prima. Si appoggiò con la schiena al ripiano masticando pensierosa gli spaghetti di soia freddi, probabilmente avrebbe dovuto metterli nel microonde, ma la voglia di fare qualunque cosa che fosse fuori dallo stretto necessario era pari a zero. Perlomeno erano ancora imbevuti di tutte le salse in cui li immergeva ogni volta.

~*~


Era lì che mangiava con quegli occhi così strani —nocciola quasi gialli— fissi in un punto imprecisato, masticava e guardava il vuoto con quella maglietta extralarge che faceva solo intuire le forme al di sotto, i capelli sconvolti che le incorniciavano il viso. Ed era bella, bella quando abbassava la guardia e l'unica espressione che aveva sul viso non era eccitazione, desiderio, sfida o calma glaciale, ma semplice e tiepida tranquillità; eppure c'era qualcosa che non cambiava mai in lei, neanche in quei momenti di quieta solitudine. Era un rumore di sottofondo appena udibile, lo si notava solo se si tendeva l'orecchio, se si era disposti ad ascoltare.
Restò nascosto nella penombra, lei scendendo non aveva acceso nessuna luce. Sembrava che fosse la nota predominante nella sua vita, si crogiolava nella penombra, né buio né luce, semplice e indifferente penombra. Il cellulare accanto a lei cominciò a vibrare e la vide sobbalzare per quella crepa nell'immobilità che regnava in quel momento. Guardò il cellulare accigliandosi poi, con uno sbuffo, lo prese in mano e rispose.
«Dimmi Ma'.» un tono neutro, appena macchiato da una nota di fastidio malcelata.
«Tutto bene qui.» telegrafica, indifferente.. quindi non era così distante solo con gli estranei –con lui– ma anche con la madre e le persone più vicine a lei.
«Sì, mi ha scritto stasera.» rimase nell'ombra rubandole quella piccola parentesi di vita quotidiana, per semplice curiosità. Di solito si faceva le sue idee su ogni cliente, probabilmente chiunque facesse il suo lavoro avrebbe potuto benissimo fare lo psicologo, faceva parte del tutto, capire le persone e cosa volevano, perché meglio si faceva, più le si accontentava e di conseguenza la probabilità che diventasse un'abituè diventava più alta e quindi più soldi che da gente a caso. Una specie di reddito fisso.
Lei era strana, sembrava la classica ragazzetta ricca e viziata con una mania di controllo al di sopra dei limiti umanamente possibili e i soldi di papino a disposizione. Eppure c'era dell'altro, oltre alla saccenza e alla freddezza che la rendeva uguale a molte altre ragazze e ragazzi di quel quartiere, c'era quel distacco che la contraddistingueva, che all'inizio aveva attribuito ai soldi che aveva in tasca e il ruolo che giocava lui nella società, ma vedendola parlare con la madre— quella deduzione era stata scalzata da una sensazione che non si poteva definire a parole, ma che era solo istintiva.
Nonostante questo non riusciva ad inquadrarla, capirla e non era ancora pronto ad abbandonare la sua prima impressione.
«No, Ma'.. nessun ladro, stupratore e maniaco assassino di vergini.» la sentì dire e si accorse che aveva perso un pezzo di conversazione grazie alle sue elucubrazioni su di lei. Sembrava la solita conversazione madre-figlia a parole, però mancava quella scocciatura mista all'affetto necessaria nel tono della ragazza, sembrava stesse ordinando una pizza. Difettava di emozioni.
«Mnh, okay.» la sentì dire mentre prendeva un'altra forchettata tenendo il cellulare fra la spalla e l'orecchio. Ascoltava in silenzio masticando, magari una filippica sulla sicurezza di una ragazza sola in casa di notte, non poteva capirlo né dalla faccia di lei né dal mormorio di sottofondo che veniva dal cellulare.
«Ho sistemato tutto—» cominciò bloccandosi di colpo con la bocca aperta come se stesse per dire qualcos'altro. «Sì, anche quello, se ho detto che ho fatto tutto vuol dire che ho fatto tutto.»
La guardò osservare lo scatolino e spostarsi dalla sua posizione per buttarlo mentre ascoltava ancora sua madre che a quanto pareva era logorroica quanto la figlia era silenziosa.
«Te l'ho detto, non mi serve nulla, digli di non spaccarsi la testa per niente.» borbottò mentre metteva la forchetta nella lavastoviglie e la richiudeva.
«No, no, no..» bloccò sul nascere un altro discorso. «Sono stanca, parlaci tu e spiegaglielo.. diglielo che non ho nulla contro di lui. Okay. Okay. Notte.» e chiuse la conversazione, sembrava esausta mentre poggiava il cellulare e si riavviava i capelli.
Lui, in quel lasso di tempo, era rimasto nascosto lì sulla soglia, lo schermino illuminato del microonde segnava le 00:23, lui era lì sin dalla prima serata anche se le ore trascorse gli sembrava che fossero state compresse fino a prendere le sembianze di massimo una di esse.
«Mi spii?» la voce di lei lo sorprese in fallo, facendolo sentire come un bambino beccato a rubare dal borsellino dell'intransigente nonna.
«Affatto, pensavo ti fossi soffocata mangiando e sono sceso a controllare, mi devi ancora la mia commissione.» rispose indossando una maschera di tranquilla indolenza, con addosso solo i boxer che aveva raccattato da terra prima di scendere.
«Mhm, hai ragione.» gli dava ancora le spalle. Seguì una piccola pausa che lo fece sentire scomodo e fuori posto.
«Vuoi mangiare?» domandò lei all'improvviso voltandosi di scatto.
«No, grazie.» rispose tranquillo.
«Vuoi del vino?» continuò imperterrita, come se stesse cercando qualcosa da fare, qualcosa che smuovesse quel silenzio melmoso che si era adagiato fra loro.
«No, grazie.» ripeté.
«Vuoi andartene?» lo spiazzò mentre lo guardava dritto negli occhi, uno sguardo incolore che lasciava solo intendere che lo stava studiando.
«Devi essere tu a volermi mandar via.» le spiegò serafico, senza lasciarsi intaccare troppo dalla cosa. Certo, lo incuriosiva come persona, ma non ci avrebbe certo perso il sonno, bastava solo che avesse i suoi soldi.
«Già.. Allora cosa vuoi?» continuò imperterrita senza scoprirsi, rifiutandosi di farlo.
«Non sono io a dettare le regole.» le fece notare mentre si rendeva conto di essersi mosso verso di lei lentamente e di starlo ancora facendo. Passo dopo passo.
Lei storse la bocca contrariata, ma non disse nulla, rimanendo impassibile a parte quel piccolo segno di aver sentito qualcosa.
«Sei tu la cliente pagante e si da il caso che tu abbia prenotato i miei servizi per tutta la notte.» continuò, facendo un passo ad ogni parola. Avvicinandosi con circospezione, come se lei fosse un animale feroce, che solo un movimento brusco avrebbe potuto farlo scattare ad azzannargli la gola.
«La cliente pagante ora vuole bere.» evase bruscamente dalla discussione sgusciando nell'ormai angusto spazio che era rimasto fra loro. Invece di andare al frigorifero si diresse verso uno scaffale sopraelevato aprendo l'anta mettendosi in punta di piedi. Era piena di bottiglie di ogni tipo, soprattutto superalcolici, notò con un'occhiata veloce.
«Ti piace il rum?» domandò voltandosi già con una mano tesa. Lui non capiva, non capiva quei modi di fare, gli sfuggiva come a frenare ogni suo impeto. Era tutto così surreale, lei nel letto e quella fuori dal letto erano due persone diverse; non che facesse queste grandi dimostrazioni e lui non le pretendeva di certo, ma di solito le inquadrava subito le clienti, lo aiutava a gestirle. Lei gli sfuggiva di continuo. A letto, nonostante fosse inesperta e si vedesse da qualche timida incertezza, era allo stesso tempo decisa, passionale, quasi travolgente. Quando l'aveva deflorata gliel'aveva visto negli occhi il dolore, gliel'aveva sentito nelle unghie che gli affondavano nelle spalle, la mano che gli aveva stretto i capelli, ma la sua espressione facciale non era cambiata di una virgola, non un mugolio o un sospiro, un lamento.. aveva sostenuto il suo sguardo, sfidandolo a fermarsi, a darle della debole. Non ci aveva messo sentimento, o almeno, non quello che ci si aspettava da una vergine nel sesso; ci aveva messo tutto tranne i sentimenti giusti.
Non aveva letto in quegl'occhi promesse d'amore eterno, paura, timorosa timidezza.
Allo stesso tempo non aveva visto quel vuoto che sovrastava ogni altro sentimento di solito.
C'era stato solo istinto, forza, tanta forza da far quasi paura, travolgente, passione, voglia.
C'era stata tanta carne e nessun vezzo interno, nessuna parola, illusione.
Carne e Verità.
Dura e cruda realtà.
«Sì.» la osservando attentamente, senza perdersi nessun suo movimento mentre quasi si arrampicava sulla cucina per prendere una bottiglia troppo in altro per la sua misera statura. L'osservò quando andò a prendere due bicchieri, uno normale e uno da shot, mettendogli davanti sull'isola al centro della stanza quello più piccolo e prendendo per sé quello più capiente, riempiendoli abbondantemente entrambi.
«Prego.» gli indicò con un gesto vago della mano lo sgabello di fronte al suo dopo esservici arrampicata sopra.
Lui vi si sedette con tranquillità, entrambi mezzi nudi davanti ad un bicchiere di rum a testa.
La ragazza fece un cenno alzando il bicchiere e con un gesto secco ne buttò giù una bella sorsata.
Lui fece lo stesso col suo shot mentre lei veniva scossa da un brivido involontario per il liquido caldo che aveva fatto bruciare la gola anche a lui.
«Ancora?» e senza aspettare risposta gliene versò un altro bicchiere.
«Hai proprio bisogno di bere?» chiese all'improvviso lui non riuscendo più a contenere la curiosità.
«Cosa intendi?» si mise subito sulla difensiva rispondendo con un altro punto interrogativo alla domanda.
«Sembra che tu abbia una voglia irrefrenabile di bere, ma non ne capisco il motivo.» si sforzò di mantenere un tono vago e rilassato.
«Non ne ho bisogno, semplicemente è bello bere in compagnia, se lo si fa da soli si scade nell’alcolismo.» assunse un tono e un'espressione abbastanza stizziti, come se ogni goccia d'alcol buttasse fuori un po' di ghiaccio che sembrava regnarle dentro.
«E approfitti di ogni occasione per farlo?»
Stavano parlando di ogni quanto si faceva un bicchierino mentre lui era lì, pagato, per fare sesso con lei. Non che fosse una cosa troppo strana, molte donne lo cercavano per crearsi l'illusione per una sera di avere una relazione appagante in cui un giovane uomo le trovava attraenti, l'avevano portato a cene, ad eventi di beneficenza. Le donne utilizzavano i gigolò in modo molto più sottile ed emotivo di quanto facessero gli uomini con le prostitute. Certo, questo non voleva dire che non ci fossero le vecchie porcone, ma in generale il sesso non era sempre l'obbiettivo finale, c'era più un appagamento personale. A volte lo facevano solo per sentirsi meno sole.
Ma lei lo faceva per solitudine? Non sembrava il tipo, sì, era sola, ma sembrava più una scelta personale che una condizione imposta. Però, forse, nonostante non sembrasse così, si sentiva sola e basta, ed era molto più semplice di come aveva intuito.
Probabilmente era solo una ragazzina viziata, ricca e maniaca del controllo.
«Sarebbe meglio se tu non giudicassi così facilmente le persone, potresti rimanere deluso un giorno.» si limitò a ribattere seccamente re-indossando la sua maschera di imperturbabilità. Però lasciò il proprio bicchiere ancora mezzo pieno allontanandolo di poco con gesti distratti delle dita.
Lo inchiodò con lo sguardo e lui decise che erano già state dette troppe parole, che non avrebbe ceduto alle sue provocazioni né tantomeno avrebbe sprecato la nottata a cercare di inquadrarla quando lei faceva di tutto per sfuggire da ogni definizione. Aggirò il bancone con lentezza, studiandole il viso per captare ogni minima reazione potesse attraversarlo. Preferiva fare sesso con lei piuttosto che stare dietro ai suoi tentativi di conversazione sconclusionati.
Lei rimase immobile, seguendolo con lo sguardo, in guardia, come se si sentisse un animale che stava per essere braccato.
Le si mise davanti, era alta quanto lui appollaiata su quello sgabello che compensava la trentina di centimetri di differenza che c'erano fra loro.
Le mise una mano fra i capelli scostandoglieli, molto lentamente, e avvicinò il viso al suo per poi abbassarlo lentamente e posarle le labbra sul collo depositandovi leggeri baci partendo dalla spalla lasciata per metà scoperta dal collo largo della t-shirt e risalendo pian piano.
«È parte del mio lavoro, inquadrare le persone..» era arrivato a metà collo, la sentiva tremare leggermente sotto le sue labbra «..per capire cosa vogliono..» ora percorreva delicatamente la mandibola. Arrivo fino all'orecchio e poi si scostò per guardarla negli occhi. «..e dare loro ciò che davvero desiderano.» concluse in un soffio, con un tono caldo e roco. Lei gl'infilò di scatto le mani nei capelli dietro la nuca e fece cozzare le sue labbra contro le sue, con forza e irruenza, forse voleva solo farlo stare zitto, o semplicemente la sua offensiva l'aveva smossa. Le mise una mano sotto la maglia, impaziente mentre lei gli accarezzava ogni pezzo di pelle che riusciva a raggiungere allargando le gambe per farlo mettere in mezzo e sentirlo più vicino.
E la terza volta fu forte, appassionata, impaziente , senza lasciarsi respiro e con i boxer non del tutto sfilati che gli circondavano le caviglie.

~*~

Quando ebbero finito lei rimase qualche istante appoggiata alla sua spalla col respiro corto, ancora seduta su quello sgabello, con le unghie che quasi gli affondavano nelle spalle e probabilmente avevano lasciato segni rossastri.
Aveva ragione, l'aveva capita. Era stato passionale, era stato forte. Era stato sesso, puro e semplice e a quella definizione si aggrappava beandovisi; nessun pensiero controverso, nessuna emozione in cui affondare, era stato splendidamente fisico. E le piaceva, come si sentiva libera, sfrontata, priva di ogni inibizione mentre mentre riprendeva fiato e lo allontanava con delicatezza, completamente nuda, ma senza vergogna alzandosi in piedi con un leggero salto per colmare la distanza fra i suoi piedi e il parquet. Non le importava che fosse il primo uomo che la vedeva completamente nuda e non solo a pezzi, non le importava che fosse l'unico ad esserle entrato dentro, in modo così splendidamente fisico, e averla guardata negli occhi mentre veniva travolta dalle sensazioni che ogni sua terminazione nervosa aveva sentito all'unisono come mai prima d'allora.
Aveva fatto bene a scegliere un professionista, ci sapeva fare, a quota tre orgasmi raggiunti nei modi più disparati –ossì, pensò deliziata, ci sapeva fare eccome– si sentiva indolenzita e piacevolmente leggera. In pace.
La faceva sentire in pace non essere amata e non dover amare per provare quella gran soddisfazione che in molti dipingevano come il coronamento di quel sentimento che tanto la ripugnava, rifletté mentre raccoglieva la maglia da terra e se la infilava con lentezza, indolenza. Lui intanto si era tirato su i boxer e si era seduto sullo sgabello di fronte a quello su cui avevano appena consumato il loro terzo amplesso.
«Penso tu ti sia meritato un extra.» abbandonò un po' di quella rigidità che la contraddistingueva mentre allungava le braccia per stiracchiarsi.
«Sempre al suo servizio mylady.» commentò lui facendole l'occhiolino sorridendo malizioso.
«Vado a prendere una sigaretta.» annunciò lei facendo per andarsene, salvo poi voltarsi verso di lui.
«Se vuoi puoi dormire nella stanza degli ospiti, ma non mi darebbe fastidio se tu volessi fermarti nel mio letto.»
Non c'era nessuna inflessione particolare nella sua voce, aveva detto addio alla speranzosa Amy quella sera, o forse anche troppo tempo addietro per ricordarsi come fosse davvero sperare in qualcosa ardentemente, era un invito come un altro. Una considerazione.
«Solo se fai mezza con me della sigaretta che stai per fumare.» le rispose scendendo a sua volta dallo sgabello, sembrava aver rinunciato a capirla e a lei andava più che bene. Sarebbe stato più semplice così conviverci fino al mattino dopo.
Una tregua.
Fra di loro.
Con sé stessa.
Solo fino al mattino.
Senza doversi difendere, semplicemente dividere una sigaretta e dormire, senza nessuna promessa di fiducia o impegno da parte sua che non fosse il pagamento del lavoro, davvero ben svolto per la sua modesta se non nulla esperienza.
«Okay, sta bene, pensavo chiedessi un extra quindi mi è andata più che bene.» rispose facendo una smorfia che somigliava ad un sorriso, senza dubbio un effetto postcoito.
«Penso che con l'ultimo extra che mi hai promesso le bollette si pagheranno egregiamente.» ribatté malizioso affiancandola mentre si dirigevano verso le scale.
«Hai così tanta fiducia in te stesso?» storse il naso.
«Sono solo pienamente conscio delle mie capacità.» sorrise di rimando il ragazzo, che sembrava così giovane, chissà com'era finito a fare quel lavoro.. i guadagni erano indiscutibilmente alti, su questo non aveva dubbi, ma non riusciva ad immaginare come fosse finito ad accontentare vecchie signore per lavoro. «Badi a non sottovalutarle lei, miss.»
Sembrava una minaccia piena di ogni ammiccamento che più le sarebbe piaciuto inserirvi. Lo osservò, o meglio, lo studiò interessata come non aveva fatto da molto tempo; perdere tempo con le persone, a cercare di capirle non era più cosa che le interessava, preferiva farsi i fatti propri e ignorare ogni essere umano che le gravitava attorno. Era più semplice, più sano.
«Non le sottovaluto, fidati di me.» ribatté con nonchalance mentre raggiungevano la porta della sua camera e lui gliela apriva in un buffo gesto di galanteria.
«Prego.» continuava a sorridere, sembrava facesse parte del pacchetto, chissà come doveva essere sorridere per lavoro, di sicuro a fine giornata dovevano fargli davvero male le guance.
«Ma che gentile.» ironizzò con un piccolo cenno del capo che doveva somigliare ad un velato ringraziamento mentre entrava e senza accertarsi che la seguisse si avvicinò al letto per prendere una sigaretta. Si distese sentendo il materasso affondare accanto a sé e il suo calore.
Fumarono in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri passandosela con naturalezza, una volta arrivata alla fine lei si gustò l'ultimo tiro ben consapevole che quella era l'ultima della giornata e segnava il giusto confine fra veglia e sonno. Si sistemò sotto le coperte e voltò le spalle con tranquillità a Ian di cui sentiva il calore lambirla anche attraverso la piccola distanza che c'era fra loro.
«Buona notte.» il suo respiro sul collo la fece rabbrividire dalla sorpresa come scoprire che aveva colmato in fretta lo spazio fra loro stringendola a sé. Era bello sentire il calore umano di qualcuno avvolgerla, senza nessuna pretesa assurda di un futuro assieme. Un rapporto del genere l'avrebbe potuto anche sopportare. Sesso, sigaretta, sesso, sigaretta e qualche chiacchiera priva di significato, addormentarsi in un letto caldo poi la mattina dopo salutarsi e non avere il peso di un'altra anima sulle spalle.
«Sì— anche a te.» mormorò sovrappensiero mentre il torpore che le avvolgeva il corpo non ne voleva sapere di raggiungere anche il cervello. Forse il fatto che non si fidasse di lui influiva non poco sul suo istintivo senso di sopravvivenza che le diceva a chiare lettere di non chiudere gli occhi accanto al pericolo. La differenza fra uomo e donna –la colpì quella riflessione prima di convincere del tutto sé stessa di zittirsi e riposarsi– era che all'uomo bastava il mero sesso, la donna voleva anche una borsa dell'acqua calda, se così si poteva definire, che le scaldasse il letto fino al mattino dopo.
Fece un ultimo respiro profondo e finalmente si arrese al sonno accogliendolo come un vecchio amico. Senza sogni, pacifico.



*Quando senti il mio calore, guarda nei miei occhi: è dove i miei demoni si nascondono; non avvicinarti troppo, dentro di me c'è il buio: è dove i miei demoni si nascondono.
Imagine Dragons, “Demons"


note dell'autrice: questa parte è per i lettori coraggiosi che sono arrivati fino a qua. Questa è la mia prima originale e ho una fifa blu, ma questo non toglie che ce la sto mettendo tutta. Proprio per questo ho aspettato il primo capitolo per aggiungere questa noticina a piè pagina per chiedervi un parere sincero su ciò che ho scritto e ringraziare le persone che già la seguono. Mi incoraggiate a continuare con questo piccolo esperimento, sperando che possa essere qualcosa di più.
With love. :)

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Capitolo 3
*** #02 — THE DAY AFTER; Linee di Confine. ***


#O2 - THE DAY AFTER ;

Linee di Confine .






"Il povero cuore, mosso quaggiù
da qualche tempesta,
non trova la vera pace
che dove non batte più."
Johann Gaudenz Von Salis-Seewis

Si svegliò con una sensazione di caldo soffocante che quasi le mozzava il respiro, c'era qualcosa di sbagliato in quel calore che l'avvolgeva. Quando provò a muoversi sentì che col naso stava sfiorando qualcosa: di colpo prese coscienza del suo corpo con estrema chiarezza. Era accoccolata fra le braccia di qualcuno, un uomo per essere precisa, che la teneva stretta a sé in modo abbastanza inquietante per una che era abituata a dormire da sola. La sera prima era vividamente impressa nella mente, niente serie di flashback che la risvegliavano dalla beata incoscienza. Solo duri e crudi fatti, e fanculo alle storielle rosa che raccontavano di risvegli pacifici dopo un sonno immediato post-coito da sogno, come se un orgasmo fosse una nuova marca di sonniferi.

Cercò di districarsi da quella posizione piuttosto scomoda da cui riusciva solo a vedere il petto dell'uomo che aveva pagato per deflorarla. Messa così non è che suonasse tanto bene, a dire il vero.
Più si spostava più lui la stringeva a sé, ma soffriva di crisi di abbandono? Poggiò i palmi sul petto e fece leva per riuscire finalmente a scostarlo da sé e respirare. Scivolò piuttosto goffamente fuori dalle coperte e zampettò ancor più goffamente fino al bagno e vi si chiuse dentro per riassestarsi mentalmente e fisicamente.
Quando uscì dal bagno lo trovò disteso mollemente nel suo letto con gli occhi spalancati e brillanti, troppo svegli per i suoi gusti, tanto che le venne il dubbio che poco prima l'avesse fatto apposta a trattenerla solo per farle dispetto mentre lei si contorceva come un lombrico.
«Buon giorno.» sorrise del tutto a suo agio, mentre lei cercava di sembrare meno spaesata e più sicura di sé. Non importava che indossasse una maglia di un cartone animato che quasi le arrivava alle ginocchia e avesse un nido di rondine al posto dei capelli, non era quello a destabilizzarla, lui non era nessuno di cui le interessasse il giudizio, ma quello sguardo.. quello sguardo la inquietava.
«Buon giorno.» rispose ritornando ad essere sé stessa e chiudendo fuori quella parte di lei che verso la fine della serata si era messa quasi a scherzare con semplicità, la tregua era finita.
Il sole entrava tenue attraverso le tende, probabilmente era l'alba, le sette di mattina. Gli diede le spalle per frugare nel cassetto del comò, tirandone fuori una busta in cui aveva messo i soldi ritirati pochi giorni prima dal conto che si era aperta da quando si era trovata il primo piccolo lavoretto quasi due anni prima. Prese gli ottocento già concordati prendendo qualche altra banconota per l'extra che gli aveva promesso; era stranita dal fatto di essersi dimenticata la sera prima di dargli l'anticipo e perché lui per primo non glieli aveva chiesti? Faceva anche questo parte del suo lavoro, far sembrare un rapporto di lavoro una serata normale per far felici le signore sole? Ma lei non cercava questo, ma il potere che derivava dal fatto di essere il cliente pagante e non "l'amante”. Il potere di poter decidere, il potere di essere stessa senza essere rifiutata, il potere di cacciarlo via e farsi una buona colazione. Richiuse il cassetto e si voltò avvicinandosi con disinvoltura a lui che era ancora lì fermo a studiarla con estrema attenzione, si era sentita quelle pozze blu addosso mentre contava i soldi come adesso che glieli porgeva con tranquillità, come se lo facesse tutti i giorni.
«Ecco qua, c'è anche l'anticipo che avrei dovuto darti ieri sera.» voce ferma e tranquilla che avrebbe fatto invidia al miglior giocatore di poker. Bene Amelia, non hai perso smalto.
«Non fa niente, basta che ci siano tutti.» alzò un sopracciglio mentre scorreva velocemente le banconote di grosso taglio controllando, probabilmente, quanto era effettivamente l'extra. Sembrava pensieroso, forse non ci contava troppo sulla sua liquidità considerandola una ragazzina. Questo pensiero le fece venire un moto di stizza, un prurito fastidioso. Odiava essere sottovalutata per la propria età, come se un numero contasse qualcosa. C'erano cinquantenni teste di cazzo cento volte più di lei.
«Ovviamente, compreso l'extra.» chiarì pragmatica rimanendo in piedi accanto al letto.
«Ho visto.» annuì mentre si metteva seduto e scostò le coperte per alzarsi. Evidentemente l'antifona l'aveva colta.Le puttane non vengono pagate per fare sesso, ma per andarsene.”
«È ora che vada.» disse, come per chiarire il concetto.
«Sì, perfetto, quando hai finito qua mi trovi di sotto.» gli diede le spalle e uscì dalla stanza recependo un “okay” in risposta quando era già sulla porta. Non aveva nulla da dirgli e trovava inutile starsene lì a guardarlo rivestirsi, ormai quello che avevano da dirsi –e farsi– era stato esaurito col sorgere del sole. Uno dei punti non contrattabili era che se ne andasse senza domande la mattina dopo, lei intanto avrebbe fatto colazione, dato che sentiva lo stomaco brontolare.
Si era già versata il latte sui cereali ai frutti di bosco quando lui spuntò sulla porta perfettamente vestito e i capelli neri spettinati.
«Io vado, so dov'è la porta.» il tono di voce che usò non le piacque per niente, c'era una strana sfumatura all'interno, che non riusciva ad identificare.
«È stato un piacere fare affari con te.» aggiunse sempre fermo sulla soglia della cucina.
«Anche per me.» rispose e un lampo di malizia gli attraversò lo sguardo. Lei annuì e basta, congedandolo così.
«Ciao.»
«Ciao.»
Quando sentì la chiave girare e la porta aprirsi e chiudersi rimase a fissare i cereali che stava rimestando pensosamente nella tazza. Quasi non le sembrava vero che fosse tutto lì, finita la nottata tornava alla sua vita quotidiana. Ripensò ai baci, ai morsi, alle carezze chiedendosi cosa ci fosse davvero qualcosa di importante in quel gesto attorno a cui girava il mondo. Il sesso –sì, fisicamente travolgente, bello, forte e indimenticabile– ma non così necessario da non poter vivere senza, le sembrava. Forse quei pensieri derivavano solo dal fatto che era reduce da una notte davvero piacevole e soddisfacente quindi –forse– per un po' sarebbe stata in riserva, di sicuro aveva fatto bene a cercare un esperto, perché se avesse fatto affidamento su uno qualunque sarebbe stata ad una probabile quota zero soddisfazione, stanchissima e impegnata in un'imbarazzata conversazione del mattino dopo in cui avrebbe dovuto far attenzione a non distruggere il fragile ego del malcapitato.
Non si sentiva diversa, non sarebbe cambiato molto dalla mattina prima se non avesse avuto quello strano dolorino al basso ventre e le membra indolenzite dall'attività fisica, chissà perché ne parlavano così tanto, di perdere la verginità, come se fosse una tappa importante e magica, forse quando lo si faceva con amore era diverso, forse era solo questione di mentalità.
Finì i cereali e prese il cellulare per controllare l'ora, erano le otto e mezza circa e lei doveva procurarsi ancora le ultime cose da inviare con un corriere a sua madre in montagna; in realtà avrebbe dovuto raggiungerli lì per la vigilia, ma non aveva proprio voglia di festeggiare, quindi avrebbe mandato i suoi regali più quelli che le aveva lasciato detto di comprare per conto loro visto che erano per lo più videogiochi non ancora usciti quand'erano partiti e un paio di libri. In realtà oltre a quello c'erano anche altre cose, ma sua madre era fissata sul fatto che i regali dovessero essere una sorpresa e dato che suo fratello imbastiva 'la caccia al regalo' da quando aveva cominciato a camminare ed ora aveva trovato un complice in Francesco era diventata un'impresa nasconderli, dunque la soluzione si era presentata quando Amelia aveva deciso di rimanere a casa. Proprio quel giorno c'era l'uscita dell'ultimo libro dell'autore preferito di sua madre –uno tutto romanticismo e seghe mentali, per usare un francesismo– che lei aveva sempre snobbato, ma a quanto pareva in libreria per il lancio del libro ci sarebbe stato anche il genio della letteratura moderna che aveva partorito quelle stronz– idee geniali e avrebbe potuto fare una fila interminabile con delle sognatrici attempate e mariti disperati che avevano avuto la sua stessa idea per farsi autografare la propria copia e fare un gradito regalo alle loro dolci metà e figlie. Perlomeno sperava che questo l'avrebbe rabbonita una volta che le avrebbe detto che non li avrebbe raggiunti al bungalow e perlomeno via telefono non avrebbe potuto ucciderla. Forse.
Era stata una mattinata lunga, la libreria era stata proprio come se l'era immaginata: tediosa ed esasperante. L'autore era un bell'uomo sulla quarantina che ammiccava ad ogni donna che gli si avvicinava con occhi adoranti. Dov'erano finiti i poeti brutti e gobbi, belli solo e solamente dentro? Probabilmente in uno scantinato buio e umido a scrivere poesie deprimenti.
In più l'aveva chiamata una sua compagna di classe che l'aveva infastidita per più di mezz'ora con chiacchiere vuote su quanto si sarebbe divertita con loro quella sera in discoteca e che ci sarebbe stato anche suo fratello maggiore con un paio di amici che facevano i modelli di una linea di vestiario piuttosto famosa, difatti era stato grazie a loro che erano stati invitati a quell'evento. Un po' per noia, un po' per levarsela di torno aveva accettato frettolosamente tagliando corto accampando una scusa; più le trattava male più le ronzavano intorno, era una cosa che non riusciva a comprendere, come le persone potessero umiliarsi da sole in quel modo per persone a cui non importava niente come lei. Dal canto suo si sarebbe già mandata a quel paese da sola.
Appena rientrata era andata a dormire sentendosi letteralmente a pezzi, il letto odorava ancora di sesso e c'era una piccola macchia di sangue sulle lenzuola che lei aveva guardato perplessa per qualche istante riflettendo sul fatto che l'unica prova che la notte prima era stata reale era quello oltre al leggero dolore che persisteva nel basso ventre. Così aveva tirato su le coperte ripromettendosi di cambiare il lenzuolo più tardi e crollando sul copriletto. Si era svegliata alle otto di sera, e ora aspettava in cucina mangiando una banana, visto che era a digiuno dalla mattina e aveva intenzione di bere. Il cellulare vibrò sul bancone, si alzò con calma, buttò la buccia e prese una chewingum dalla borsa, poi uscì chiudendosi la porta alle spalle. Ormai sembrava routine, uscire con gente per cui non provava nessun interesse, ben vestita e truccata solo per interrompere la noia. C'era un SUV nero esageratamente vistoso ad aspettarla davanti al cancelletto con la musica talmente alta che la sentiva dall'altra parte del vialetto di porfido, i vetri oscurati le impedivano di vedere gli occupanti dell'auto, ma immaginava ci fossero i fantomatici modelli, Elisa e suo fratello di cui dimenticava sempre il nome. Mentre chiudeva il cancelletto dando la schiena al mostro succhia benzina la portiera si aprì mostrandole un giovane latino sorridente.
«Sera bellezza, la carrozza è qua che la aspetta.» le disse senza nemmeno scendere dall'auto guardandole il culo senza alcuna vergogna, in tutta risposta Amelia lo studiò qualche istante in cui decise che il fisico poteva compensare la nocciolina che aveva al posto del cervello.
«Spero tu non sia il principe azzurro o rimarrei parecchio delusa.» rispose stampandosi in faccia il solito sorrisetto strafottente che utilizzava spesso. Si sentirono delle risatine soffocate dall'interno dell'auto.
«Piacere, io sono Gabriel.» le tese la mano con un gran sorriso.
«Piacere.» rimase sulle sue.
«Oh, Amy, non puoi capire quanti fighi ci saranno questa sera!» la investi con la sua voce acuta e ridacchiante Elisa non appena prese posto sul sedile posteriore, mentre l'altra stava seduta davanti assieme al fratello che dal posto di guida alzò gli occhi al cielo verso i passeggeri attraverso lo specchietto.
«Ciao anche a te.. Oh, immagino.» commentò restia a farsi coinvolgere in quella conversazione inutile.
«Tu vedi di controllarti stasera, va!» le intimò il fratello tirando fuori lo stereotipo del fratellone iperprotettivo che in assenza del padre si sente in dovere di fare le sue veci. Sarebbe stato un arduo compito considerando che la forza di gravità che esercitava il buco nero che aveva fra le gambe quella ragazza, attirava più uccelli che mutande, pensò senza curarsi di celare l'espressione scettica; ma in fondo chi era lei per giudicare, che solo quella mattina aveva pagato un uomo per scoparla?
Intanto il discorso era degenerato in uno scambio di battute di cui il succo era che Elisa aveva diritto a farsi qualunque essere che respirasse nel raggio di trecento metri, magari non detto così a chiare lettere. Intanto i due ragazzi accanto a lei si intromettevano qua e là a darle man forte, probabilmente per mero interesse personale, in fondo era bella e quasi sicuramente entro la fine della serata uno dei due o entrambi sarebbero finiti nel bagno della discoteca con lei. Amelia si estraniò dal discorso che non la interessava minimamente e che sarebbe finito in battutine sessiste squallide e frecciatine prendendo il cellulare: suo fratello le aveva scritto per chiederle quando avrebbe detto alla madre che lei non li avrebbe raggiunti per la Vigilia perché lo stava pressando fino al limite dell'esasperazione. Inarcò un sopracciglio e passò oltre controllando pigramente il resto. Niente di interessante, come al solito. Non era timida, non lo era mai stata, si notava dalla postura che assumeva seduta comodamente sui sedili posteriori circondata dalle chiacchiere. Appariva come la classica snob che non pensava il discorso potesse essere di un livello accettabile per lei.. il che in parte era vero.
«Comunque stasera ci divertiremo, vero Amy?» chiuse secca il discorso Elisa rivolgendosi a lei.
«Ma certo, il fattore discoteca piena di modelli non è da sottovalutare.» rispose accomodante infilandosi il cellulare nella tasca del giubbotto.
«Esatto, poi il dj è quello bravissimo e fighissimo della festa delle donne dell'anno scorso.» le diede man forte la ragazza pensando di aver trovato un'alleata.
«Mhm, sinceramente non è che fosse un granché.» storse il naso pensando alla corte esagerata che le aveva fatto facendole passare la voglia di dargli anche solo una chance: sembrava il classico tipo colla, uno di quelli che ti seguiva come un cagnolino fino a sfinirti e togliendoti il tuo spazio vitale. E neanche un cane troppo fedele dato che dopo il suo ennesimo secco rifiuto era andato a strofinarsi contro la gamba di un'altra ragazza del loro gruppo, altrettanto disgustata.
«Ma cosa dici? Era meraviglioso, gli sbavavano dietro tutte!» ribatté concitata la ragazza con una vocetta acuta.
«Solo perché una cosa piace non vuol dire che sia bella, è più probabile che la maggior parte della gente abbia cattivo gusto, basta vedere il successo di certi fenomeni letterali.» rispose con estrema calma alzando le spalle.
«Spenta Eli, nulla da fare.» ridacchiò il fratello mentre la ragazza arricciava le labbra infastidita.
«Hey, non mi avevi detto che era così forte questa tua amica.» commentò il ragazzo ispanico.. di cui già aveva già scordato il nome.
Elisa incrociò le braccia e sbuffò. «Twilight è una storia d'amore meravigliosa e senza tempo.. e di solito non si dice che non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace?»
Evidentemente aveva colto subito l’allusione a quella saga con cui aveva continuato a tormentarla in classe finché non era sbottata dicendo che non trovava nulla di romantico o addirittura attraente in uno stalker possessivo fino all’ossessione e brillantinato.
Amelia alzò gli occhi al cielo. «Solo che “ciò che piace" nove volte su dieci è dettato da gente senza gusto.»
«Ah, ci rinuncio!» alzò le braccia la ragazza infastidita più che mai, in quel momento ebbe la netta sensazione di essersela inimicata. I ragazzi sghignazzarono divertiti dal dibattito.
«Oggi Amy ha il dente avvelenato, attenzione.» commentò bonario il guidatore mentre si immetteva in un parcheggio stracolmo di ragazzi pompati e ragazze in tacchi alti e vestitini che lasciavano ben poco all'immaginazione. Decisamente una festa di gran classe.
Okay, forse un po' di malumore lo era.
«Madames et Monsieurs, eccoci arrivati!» annunciò il ragazzo.
«Luigi fa poco il figo.» commentò uno dei suoi amici. Luigi, ecco come si chiamava!
Scesero tutti dal macchinone e si godette quell'attimo di pace dalla musica spacca timpani prima di entrare nel locale, il chiacchiericcio e le risate della gente l'avvolsero assieme al freddo pungente che la fece scuotere da un brivido involontario rendendola cosciente di ogni centimetro di pelle scoperta delle sue gambe che erano proprio troppi.
Elisa si aggrappò al braccio del tipo che le aveva aperto la portiera sorridendo a trentadue denti pensando di aver fatto la genialata del secolo ed infastidirla.
«È strano che tu e mia sorella siate amiche, sembra che veniate da due pianeti opposti.» la voce di Luigi che spuntò al suo fianco quasi la prese di sorpresa.
Amelia distolse lo sguardo dalla ragazza e gli sorrise, con quel sorriso che aveva imparato a fare per sembrare in pace con sé stessa, ma che non raggiungeva mai gli occhi.
«Siamo più che altro delle conoscenti che però sono finite in classe assieme.. ed eccoci qua.»
«E lei lo sa?» le chiese amichevole, come se non stessero parlando di sua sorella.
«Immagino di sì, non sono esattamente quella che si dice una tipa espansiva.» rispose rilassata stringendosi nella giacca, cominciava a sentire davvero freddo.
«Mhm..» commentò lui pensieroso e raggiunsero gli altri.
Dopo qualche chiacchiera inutile col buttafuori e altre ancor più inutili con i due modelli avevano finalmente raggiunto il loro tavolo ―anche se chiamarlo così le sembrava un’esagerazione, dato che nello spazio angusto era poco più di un tavolinetto da caffè― Amy era sgusciata via buttando giù due shot di tequila e lanciandosi immediatamente in pista, le dava noia starsene seduta costretta a urlare per parlare di cose insulse. Era davvero acida quella sera, pensò facendosi un'autoanalisi veloce, tutta la pace post-coito era svanita lasciando posto all'insoddisfazione e la stizza per ogni cosa che provasse ad avvicinarsi. Forse era per questo che tutti tendevano a scopare come conigli. La pista era invasa da gente con troppi soldi, anoressiche e modelli pompatissimi, decisamente non era mai stato il suo ambiente, considerando che aveva un fisico formoso e che la palestra la vedeva una volta al mese quando aveva voglia di sfogare il nervoso.
Si limitò a trovarsi uno spazio e iniziare a ballare dopo aver ingoiato altri tre shots al bar, aveva bisogno di distrarsi.
Dopo un po' di tempo sentì delle mani che le si poggiavano sui fianchi e qualcuno che le ballava alle spalle, continuò a muoversi ignorandolo, quando sentì che il tizio le faceva leggermente pressione per voltarsi verso di lui, fece una giravolta aggraziata per quanto le permettessero i tacchi e si trovò davanti un bel ragazzo biondo con un sorriso bianco e dritto all'americana per quanto le luci intermittenti le permettessero di notare. Gli appoggiò le mani al petto ballando vicinissimi, poi lui le si avvicinò all'orecchio per urlarle con un forte accento. «Hey bellezza, sei qua tutta sola?»
Classico, aprivano bocca e perdevano ogni fascino.
Lei gli sorrise poggiandogli le mani sulle labbra morbide facendogli segno di no con la testa, meglio che stesse zitto se avesse voluto arrivare al sodo. Lui sembrò apprezzare l'approccio tanto che le si appiccicò ancora di più addosso se mai fosse stato possibile.
Era tutto confuso, la musica, le luci e l'alcol stavano facendo il loro corso, ma dell'ultimo ce n'era troppo poco in circolo per permetterle di non pensare, evadere. Fece segno al bell'imbusto che voleva andare al bar e dopo lottato non poco per districarsi da quelle braccia nerborute si inoltrò fra la folla riconquistando il bancone che essendo sopraelevato le dava una buona visuale sia della pista che dei tavoli. Elisa era sparita fra la folla e al loro erano rimasti i ragazzi, che sui divanetti accanto a loro avevano portato due ragazze, mentre uno di loro, da lì non distingueva quale, stava parlando con un ragazzo muovendosi un po' per fingere di ballare con un bicchiere in mano.
Prese il suo Mojito con pochi frutti di bosco e triplo rum e fece il giro per raggiungere i ragazzi attraverso le scale rivestite di moquette verde, scelta interessante, forse serviva per mascherare il vomito di chi aveva alzato tropo il gomito.
«Hey Amy, dov'eri scomparsa?» le urlò nell'orecchio abbracciandola di slancio il fratello di Elisa lasciandola interdetta. Era piuttosto alticcio e aveva lasciato la ragazza con cui stava parlando sul divanetto di sasso.
«A ballare, di solito è questo che si fa in una discoteca.» gli urlò di rimando dandogli qualche colpetto sulla schiena non sapendo come comportarsi.
«Noo, sbagliato. Si beve e si rimorchia!» ridacchiò divertito della sua stessa battuta.. o almeno, probabilmente lui l'aveva intesa così. La rossa lanciò uno sguardo al ragazzo che le aveva aperto la portiera a inizio serata in cerca di aiuto.
Per fortuna capì la situazione e urlando qualche “amico andiamo a sederci” e “sì ti voglio bene anch'io” glielo scollò di dosso piazzandolo sul divanetto di nuovo accanto alla ragazza tutt'altro che acqua e sapone con cui parlava prima, rivolgendole di nuovo tutte le sue attenzioni.
Lei si guardò intorno e prese posto sul divanetto a debita distanza dalle coppiette bevendo il suo cocktail e riposando i piedi.
Non era arrivata nemmeno a metà del bicchiere e già sentiva più alcol che sangue scorrerle nelle vene. Forse una banana era troppo poco per essere considerata un pasto.
Quando si alzò in piedi si ritrovò con piacere a barcollare leggermente e la testa svuotata.
«Andiamo a ballare principessa?» uno degli amici del fratello di Elisa –quello con cui non aveva nemmeno scambiato le generalità base– l'aveva sorretta, con un sorriso lei annuì. Era tutto sbagliato ma andava bene così.
Lo seguì fra la calca, la mano grande che le avvolgeva il polso sottile e si lasciò guidare fino a che non trovarono abbastanza spazio per muoversi. Sentiva tutto ovattato dentro di sé, in netto contrasto con la musica e il corpo forte di lui che le si strusciava contro. Gli aveva poggiato un braccio sulle spalle, passandogli ogni tanto le mani fra i capelli sudati. Baciarsi con persone sconosciute in mezzo ad altrettanti sconosciuti era una sensazione che l'aveva sempre aiutata a fuggire da sé stessa, lasciarsi usare pur di non dover affrontare il fatto di avere paura di non essere abbastanza era diventato persino facile, fino a che era diventata lei quella che usava gli altri, per dimenticare, senza curarsi troppo di chi fossero.
Qualche discussione confusa e qualche canzone dopo erano finiti nel bagno, in un cubicolo in cui lei che aveva avvolto le gambe attorno alla vita del ragazzo schiacciata contro il muro.
Non pensava, ma agiva e poi realizzava cosa stava facendo, le mani correvano ovunque, carezzando qualunque cosa fosse a portata di mano.
Alla ricerca di sempre di più, anche se non capiva se fosse l'alcol a volerlo o lei. Ad un tratto, troppo tardi, quando lei era già seduta sul ripiano del lavandino e lui aveva già infilato il preservativo si accorse che lei, per quanto si volesse convincere di sì, non voleva quello. La consapevolezza la colpì come un pugno allo stomaco mentre lui entrava dentro di lei senza tanti complimenti e le sbavava sul collo. Come bloccata in un limbo, sentiva il proprio corpo muoversi contro la propria volontà e seguire i movimenti del ragazzo resi goffi dall'alcol.
Era così presa a voler dimostrare a sé stessa che lei poteva vivere una vita del genere da non riuscire a fermarsi a chiedersi se la volesse davvero.
Non era come voleva lei, lui era troppo affrettato, quel posto puzzava e la musica rimbombava aldilà della porta. Era tutto tremendamente sbagliato e la sua testa non voleva saperne di sbloccarsi mentre assisteva ai movimenti automatici del suo stesso corpo senza intervenire. Durò tutto lo spazio di un attimo, lui finì e si accasciò su di lei tanto che il fastidio ebbe la meglio portandola a spostarselo di dosso.
Scese con passo traballante e si sistemò meglio che poté davanti allo specchio mentre il tizio sembrava sul punto di collassare. Lei voleva solo andarsene, mentre una parte di lei si chiedeva cosa ci fosse sbagliato in quello che aveva appena fatto e l'altra cosa ci fosse di sbagliato in lei e basta. Uscì dal bagno e si confuse fra la folla, desiderosa solo di aria. Lasciò distrattamente che le timbrassero l'interno del polso e uscì prendendo una lunga boccata d'aria gelida. Aveva lasciato la giacca nel guardaroba e si gelava, ma in quel momento non le importava, mentre si spostava i capelli dalla nuca sudata.
Prese le sigarette dalla pochette, allontanandosi il più possibile dai gruppetti di ragazzi appena fuori dalla porta e se ne accese una, poi prese il cellulare e ne illuminò lo schermo senza nemmeno vederlo. Si sentiva la testa annebbiata dall'alcol, divisa fra istanti di lucidità e confusione. Doveva tornare a casa, rimanere lì avrebbe peggiorato solamente la sua sbornia portandola a risultati ben peggiori di una sveltina malriuscita nel bagno. Chiamò un taxi e spense la sigaretta rientrando, per prendere la giacca.
Arrivata a casa buttò i tacchi in un angolo dell'entrata e si diresse veloce al letto, spogliandosi dal vestitino corto. Quando appoggiò la testa sul cuscino sentì avvolgerla un profumo estraneo e un paio di occhi blu le apparvero dietro le palpebre chiuse mentre tutto girava. Quanto tempo deve passare prima che una presenza sparisca dal tuo letto? E dalla tua vita? C'è forse un tempo base che bisogna sopportare prima di poter dimenticare? Pensieri da ubriaca che non l'avrebbero portata da nessuna parte– Però forse il gigolò poteva rendersi utile per risolvere uno dei suoi problemi.
Se lui era l'unico modo per soddisfare le sua smania di controllo –rifletté mentre il sonno calava su di lei– poteva essere una valida alternativa all'esito disastroso di quella serata.
Si alzò di scatto ancora barcollante e decise che doveva cambiare le federe, le lenzuola, tutto; cacciare via quei pensieri molesti e il suo odore, tutti gli odori che le erano rimasti attaccati alla pelle. Goffamente tirò le coperte fino a lasciare solo il materasso, buttando cuscini lenzuola e coperte in un ammasso confuso per terra. Poi si spogliò del tutto per buttarsi dritta in doccia, incurante del fatto che fosse ancora truccata e che il mondo girasse davvero troppo velocemente intorno a lei. Quando si sentì abbastanza pulita uscì avvolgendosi in un asciugamano e un breve sguardo al casino che c'era per terra e al materasso le fecero capire che non avrebbe avuto la forza di rifare il letto per bene. Quindi raccolse un cuscino e il plaid da terra e si buttò sul letto. Il profumo di Ian, quel profumo di nebbia e agrumi ancora persisteva e l 'avvolse mentre finalmente si lasciava andare.


Come ogni volta che beveva la mattina dopo si svegliò presto e con un mal di testa lancinante che le trapassava le tempie. I ricordi non abbastanza confusi della sera prima vennero presto scacciati mentre, dopo essersi messa una maglia e delle mutande, si trascinava giù dalle scale per andare a prendere un antidolorifico e un caffè. Dopo aver buttato giù il medicinale prese il cellulare, controllando i messaggi distrattamente mentre accendeva la macchinetta del caffè. Ovviamente Elisa le aveva scritto chiedendole dove fosse finita, l'avevano anche chiamata un paio di volte, notò. Si affretto a rispondere dicendo che era troppo ubriaca e aveva preso un taxi, sicura che comunque l'avrebbe letto nel tardo pomeriggio svegliandosi in una condizione peggiore della sua. Poggiò con un sospiro l'apparecchio sul ripiano della cucina per farsi il caffè, cercando di non pensare a niente.
In realtà il suo cervello continuava imperterrito a riportarla senza pietà sui ragionamenti della notte prima, l'unica cosa a cui non voleva pensare. Si accorse che ancora prima di potersi fermare si era ritrovata a paragonare il ragazzo della sera prima con Ian, senza poterci fare nulla. E non capiva.
Forse, anzi sicuramente, era per il solo fatto che se il primo era stato “bravo” il secondo aveva fatto schifo. Solo per quello. Non c'era stata chimica. Si appoggiò all'isola della cucina con la tazza fumante fra le mani fissando il liquido nero.
La verità era che aveva perso il controllo e quello l'aveva bloccata. Semplicemente non era riuscita ad accontentarsi e ogni cosa che aveva fatto quel ragazzo le era sembrata terribilmente sbagliata perché non era lei a tenere le redini del gioco.
La dura verità era che lei aveva bisogno di avere il controllo di ogni minima cosa le si avvicinasse, perché non poteva permettersi di perderlo. Lei aveva bisogno di qualcosa di certo, di un punto fermo.
Lei aveva bisogno di certezze e nessun rapporto occasionale glie l'avrebbe date. Non erano le certezze che ogni ragazza cercava, lei non voleva avere la certezza che ci sarebbe stato qualcuno con lei, lei non voleva la certezza di essere amata. No, lei voleva la certezza che poi quella persona se ne sarebbe andata, che come lei non si sarebbe affezionata a lui anch'esso avrebbe fatto lo stesso. Lei voleva delle linee di confine che nessuno avrebbe osato valicare. Aveva bisogno di qualcuno che le ricordasse costantemente chi era. Un'anima morta, un cuore vuoto.
Aveva bisogno di qualcuno che non invadesse la sua solitudine, ma che la soddisfacesse.
L'idea della notte prima tornò a balenarle in mente. Lasciò la tazza ancora intatta e andò a riprendere il cellulare, scorrendo veloce la rubrica, decise per un messaggio dato l'orario e con un leggero tremore della mano lo inviò.
Devo farti una proposta.”
Un trillo la fece sobbalzare, possibile che fosse già sveglio a quell'ora? Che avesse già risposto?
Scommetto che sarà interessante come la prima. Colazione?”




note: duuuunque, voi non avete idea di quanto mi abbia resa felice veder crescere la gente che segue questa storia, sul serio. You make me smile.
La storia con questo capitolo comincia a prendere piede, insomma, è una cosa molto sperimentale e spero che la trama non sia troppo strana per voi e che si capisca cosa voglio trasmettere. Grazie mille a chi segue, recensisce e preferisce.
Alla prossima. 
With love. :)



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Capitolo 4
*** #03 — DEAL WITH IT ; Calore e Neve. ***


#03 – DEAL WITH IT ;

Calore e Neve.


Esiste un solo modo di essere felice grazie al cuore: non averlo.”
Paul Bourget


Era arrivata da poco vicino al bar concordato —che era un luogo completamente diverso da quello del loro primo incontro, niente di esoso, un semplice baretto come puoi trovarne a milioni per le strade— eppure ora era bloccata, poco distante dalla vetrina dimodochè se lui fosse già arrivato almeno non l'avrebbe vista. Mentre si dava una sistemata e si vestiva non ci aveva pensato poi molto e nemmeno durante il viaggio in autobus che l'aveva portata fin lì. Ecco qual'era il problema: non aveva pensato. Aveva semplicemente agito d'istinto, come d'istinto ancor prima aveva mandato quello stupido messaggio seguendo quell'idea strampalata che le era balzata in testa.
La cosa che davvero la teneva bloccate i suoi stivali imbottiti alla neve che ricopriva il marciapiede era il fatto che se una volta qualunque decisione l'aveva presa così, su due piedi, senza pensarci troppo e seguendo l'istinto ora lei non era più così, non aveva più quei lampi di genio che spesso la portavano a stravolgersi la vita dal nulla. Era cambiata, era diventata più indifferente, ferma.
Eppure era lì, ormai da cinque minuti buoni, a fissare la porta del bar. E doveva decidere in fretta perché sia che lui fosse arrivato prima di lei che decidesse che non valeva più la pena aspettarla o che stesse arrivando in quel momento l'avrebbe trovata lì impalata come una cogliona.
Fu un attimo e di nuovo l'istinto prese il sopravvento su di lei, fece un passo dopo l'altro e aprì la porta immergendosi nell'ambiente caldo che profumava di caffè e brioche mentre una voce rassicurante nella sua testa le diceva che in fondo aveva lei il controllo e si sarebbe potuta tirare indietro in qualsiasi momento.
Si guardò per un attimo intorno, cercandolo con lo sguardo finché non lo vide che parlava con la barista con un sorriso birichino e i capelli spettinati ad un tavolino all'angolo. Si prese un attimo per studiarlo approfittando del fatto che non l'avesse ancora notata. Sotto la luce tenue di quella mattinata nuvolosa assumeva dei colori totalmente diversi, ma rimaneva comunque bello, nel modo di muoversi, come piegava la testa leggermente di lato mentre sorrideva alla ragazza che sembrava parecchio lusingata dalle sue attenzioni. Indossava un maglione morbido e piuttosto largo in una fantasia improponibile alla Bill Cosby e riusciva comunque a farlo sembrare bello, dannazione.
Probabilmente nemmeno l'avrebbe riconosciuta, in quella mise, avvolta in un maglione larghissimo di lana doppia, coperto da un chiodo più grande di qualche taglia, il viso affondato in una sciarpa enorme arrotolata più volte intorno al collo, dei jeans scoloriti e gli hug lunghi fino al ginocchio. Il confronto con le altre due volte in cui si erano visti —lei vestita bene, con i tacchi che non la facevano sembrare così irrimediabilmente bassa come in realtà era e i bei vestiti attillati— era d'obbligo. In fondo l'aveva vista anche nuda, quindi il problema non si poneva in realtà.
Prima che potesse notarla lì impalata —di nuovo, ma che le prendeva?— si diresse verso di lui, proprio in quel momento la vide e le rivolse un sorriso smagliante.
«Eccoti finalmente.»
«Era lei che aspettavi allora?» gli chiese la ragazza mentre le lanciava un'occhiata per studiarla. Non sembrava per niente infastidita dal fatto che li avesse interrotti.
«Esatto, è lei.» confermò con semplicità Ian senza fare una piega mentre Amelia si sedeva di fronte a lui e poggiava la borsa sulla sedia accanto.
«Allora sai già cosa vuoi?» le rivolse un sorriso smagliante la bionda. Come faceva la gente ad essere così di buon'umore a quell'ora del mattino? Beh, forse non era reduce da una sbronza.
«Mhm, sì.» annui mentre tirava giù la zip della giacca di pelle imbottita. «Un cappuccino e una brioche alla marmellata, grazie.»
La barista non sembrò infastidita dal suo tono ermetico e nemmeno dal fatto che sembrava l'unica a rendersi conto che a quell'ora di mattina non era umanamente possibile essere così sorridenti senza farsi venire una paresi facciale.
«Brutta nottata?» le chiese il ragazzo non appena la bionda non si fu allontanata.
«Movimentata.» borbotto mentre si sfilava il cappellino di lana e cercava di riavviarsi i capelli impossibili che si era ritrovata al risveglio, monito del perché non si dovrebbe mai andare a letto con i capelli bagnati e annodati. Dopo qualche tentativo di pettinarli quella mattina si era arresa e si era semplicemente fatta una treccia che ora le ricadeva sulla spalla.
«Ti offendi se ti dico che si vede?» sorrise lui poggiando i gomiti sul tavolo e intrecciando le mani sotto il mento, mentre la fissava allegramente.
«Evidentemente tu hai avuto una nottata più felice della mia.» decise di soprassedere buttando il discorso su di lui, nonostante non fosse poi così sicura di voler sapere cosa esattamente avesse fatto.
«A giudicare dalla tua faccia non credo che ci voglia poi molto, ma in ogni caso sì, è stata una serata decisamente.. soddisfacente.» la famigliarità con cui le parlava la lasciò un po' interdetta o forse era solo il suo evidente buon'umore mischiato ai doppi sensi che non cercava di velare minimante. Si ritrovò a pensare di nuovo che fosse senza pudore o vergogna di alcun tipo. In quel momento arrivò la ragazza portando le loro ordinazioni, salvandola dal dover rispondere.
«Ecco qua, mi stupisco sempre di come tu faccia a mangiare tutta questa roba e rimanere in forma.» sorrise la bionda poggiando sul tavolo tre brioche, una ciambella e due cappuccini.
«Attività fisica Beth, suppongo.» evidentemente era un'abituè di quel posto notò mentre osservava silenziosa il loro scambio di battute. Era vero che non voleva sapere troppo di lui, ma allo stesso tempo voleva studiarlo e in parte capirlo. Comprendere con che persona avrebbe avuto a che fare, se “l'affare” fosse andato in porto
La ragazza si allontanò mentre Amelia toglieva i lati esterni della brioche. Ricordava come le sue amiche quando facevano colazione assieme la prendessero in giro perché la sezionava così e le sembrò un tempo così remoto da stordirla.
«Allora, devo ammettere che il messaggio di questa mattina mi ha incuriosito.» interruppe le sue elucubrazioni facendole alzare lo sguardo per incontrare quegli occhi blu che la studiavano quanto lei studiava lui. Stavano entrambi prendendo le misure dell'altro, cercando di capire cos'avesse in mente, di carpirne le intenzioni, i pensieri.
A dire il vero aveva sorpreso anche lei, ma quello non poteva dirlo, era ancora restia a scoprirsi con lui, quindi decise di prenderla alla larga.
«Mi dispiace deluderti, ma quando ti spiegherò che cosa intendo proporti non la troverai così strana.»
«Anche solo il fatto che tu mi abbia cercato ancora lo è, non ti facevo una tipa da bis.» disse con semplicità mentre intingeva la prima brioche nel cappuccino. Ad un secondo sguardo notò che erano entrambe al cioccolato.
«Forse è vero, ma credo che non lo troverai un patto svantaggioso.» fece un'alzata di spalle mentre dava un morso alla propria brioche attenta a non far cadere la marmellata bollente. Dovette mordersi la lingua per non imprecare mentre si sentiva il palato ustionato. Lui probabilmente lo intuì lo stesso dalla smorfia che fece e non poté trattenersi dal fare quella che risultò una risatina trattenuta, una specie di singhiozzo attutito anche dal fatto che aveva la bocca piena.
«Attenta, sono appena uscite dal forno.»
«Comunque,» lo fulminò con un'occhiataccia che si discostava un po' troppo dal suo carattere ormai indolente pulendosi la bocca con un fazzolettino. «comunque la proposta è questa: quando ho bisogno— dei tuoi servizi ti chiamo, tu rispondi e poi te ne vai. Niente domande o intromissioni nella mia vita privata. In pratica stessi termini dell'altra volta, solamente che non devi rimanere per la notte.»
Lui si prese del tempo per finire quel che rimaneva della prima brioche al cioccolato in silenzio, senza staccarle gli occhi di dosso.
«Ti sbagliavi, è interessante.»
«Va bene e quindi?» tagliò corto sbrigativa, cominciava ad averne abbastanza di quel suo atteggiamento. Sembrava quasi che volesse non troppo velatamente prenderla in giro con qualunque parola uscisse da quelle labbra.
«E quindi accetto, ma non posso garantire la mia reperibilità sempre, non avrei solo te come cliente.» prese la seconda brioche mentre lei aveva avvolto le mani fredde attorno alla tazza bollente e ne beveva un sorso.
«Comprensibile, io ti ho semplicemente esposto, per così dire, le linee guida.» fece un altro sorso sentendo la schiuma del latte che le sporcava il naso. Poggiò la tazza sotto lo sguardo vigile del suo interlocutore e si ripulì in fretta prima che lui potesse fare ulteriori battutine. «E va anche pattuito un prezzo.»
«Ovviamente.» fece una smorfia come se quella fosse una questione di minima importanza, se gestiva così i suoi affari si stupiva del fatto che potesse anche solo permettersi quella colazione. «Ma piuttosto—» lasciò la frase in sospeso facendole inarcare un sopracciglio come un silenzioso interrogativo.
«Piuttosto?» si ritrovò ad incalzarlo quando capì che non voleva smetterla di masticare con tutta calma e continuare la frase.
«Piuttosto.. perché questa, come dire, scelta?» domandò mentre con il cucchiaino prendeva quel che rimaneva della schiuma del latte nella sua tazza e la mangiava, probabilmente per non sporcarsi come aveva fatto lei poco prima.
«In che senso?» finse di non capire dove voleva andare a parare. Seppur minima, quella intromissione nella sua vita e nelle sue motivazioni la infastidiva, aveva fatto quella scelta proprio per non dover dare spiegazioni superflue. Per mantenere il controllo, per poter tracciare le sue linee di confine certa che l'altra parte le avrebbe rispettate.
«Bhe, non mi sembri una ragazza che non riesce a trovare neanche uno straccio di esemplare dell'altro sesso disposto a fare sesso con lei. Se poi è senza conseguenze..» fece un'alzata di spalle.
«Preferisco fare a modo mio, le persone sono impegnative. Tutto qua.» rispose dura per poi riprovare a dare un morso alla sua brioche che nel frattempo si era raffreddata.
«Tutto qui?» insistette.
«Tutto qui.» se voleva sentirsi fare dei complimenti oppure la tragica storia della sua vita aveva sbagliato persona.
Calò il silenzio mentre lei finiva la sua colazione e lui rigirava pigramente il cucchiaino nella tazza di fronte a lui, osservandola. La fissava di continuo, aveva il brutto vizio di non distogliere lo sguardo neanche per un istante, come se fosse capace di leggerle i pensieri che le frullavano nella testa. Quegli occhi blu così profondi erano la cosa che l'aveva davvero colpita, risvegliando uno strano fastidio alla bocca dello stomaco, come una stretta. Ricordava molto il panico.
«Va bene.» spezzò il silenzio riappoggiando la tazza vuota sul piattino con un leggero tintinnio.
«Va bene?» domandò un po' interdetta con la propria di tazza a mezz'aria, visto che l'aveva colta nell'atto di bere quello che rimaneva del suo caffè.
«Ci sto, per i prezzi decideremo in seguito.» le sorrise tranquillo e lei si accorse in quel momento che aveva tenuto le spalle in tensione per tutto il colloquio, quando finalmente riuscì a rilassare i muscoli indolenziti.
«Perfetto.» appoggiò anche lei la tazza senza distogliere lo sguardo, in quella lotta non intendeva perdere. «I patti sono chiari, solo sesso, niente fronzoli, moine o finzioni. Io faccio la mia vita e tu la tua e nessuno dei due dovrà fingere di interessarsi a quella dell'altro.»
«Mi sembra giusto, mi faciliti il lavoro così.» annui tranquillo mentre tirava fuori il portafogli e appoggiava una banconota sul tavolo, annunciando che il colloquio era terminato e così la loro colazione di lavoro. Le sembrava un buon inizio, pensò, tirando fuori anche lei una banconota da cinque euro e poggiando la sua parte su quella di lui. Poi si alzò per prima, infilandosi la giacca con la cuffia di lana in una mano e la borsa appesa al gomito.
«Arrivederci.» salutò senza tanti preamboli mentre lui rimaneva ancora seduto prendendosela con calma.
«Alla prossima, allora, donna di ghiaccio.»
Lei ignorò quell'ultima affermazione e uscì come se niente fosse. In fondo anche se era fastidioso il suo lavoro lo sapeva fare e si sarebbe assicurata che i loro dialoghi d'ora in avanti si sarebbero limitati allo stretto necessario.


~*~


Ian osservò vagamente divertito la sua schiena sparire dalla sua visuale, pensando a quanto quella ragazza fosse strana comincio a mangiare la ciambella. Non era una di quelle sentimentali che dopo una scopata di dichiarano amore eterno, quello l'aveva capito subito, eppure era tornata. Per qualche arcano motivo aveva deciso che la loro collaborazione lavorativa sarebbe diventata una specie di contratto a chiamata. Sorrise tra sé e sé per l'analogia.
«Hey, che hai da sorridere?» Beth si era seduta al posto che poco prima aveva occupato la rossa e ora lo osservava attenta, con quel suo sguardo sempre solare e aperto.
«Niente, riflettevo su quanto le persone siano strane.» allargò il sorriso a suo beneficio.
«Non dirmi che ora frequenti quello stoccafisso, era così rigida che sembrava un ciocco di legno.» lo prese in giro bonariamente.
«Hai proprio ragione.» rise sommessamente, senza perdere quell'aria pensosa.
«Deve averti proprio colpito se ti corrucci così.»
«È sicuramente una persona interessante, quello sì, ma non preoccuparti, io ti aspetterò per sempre.» riprese la sua aria giocosa scacciando la strana ragazza dal cuore di ghiaccio dai suoi pensieri.
«Se continui a dirlo potrei prenderti sul serio.» gli fece l'occhiolino mentre entrambi si alzavano e lui cominciava a coprirsi per affrontare il gelo esterno. La città era quasi del tutto ricoperta di neve, un po' sporcata dai passanti e dalle macchine un po' bianca e intoccata sulle aiuole e sui tetti.
«Io ci spero sempre, ma tu non mi credi.»
«Dovresti smetterla di dire così perché se non inizierò io a prenderti sul serio lo farà di sicuro Mike.» lo ammonì bonariamente la ragazza tornando dietro al bancone.
«Allora mi batterò per la tua mano.» assunse un'aria semi-seria che la fece scoppiare a ridere.
«E moriresti nel giro di cinque secondi.»
«Probabile.» si unì alla sua risata stranendo gli altri clienti del bar, i pochi mattinieri che avevano sfidato il freddo.

~*~

«Mamma insomma, te lo ripeto, non è successo nulla, sto bene, solo non mi va di fare un viaggio per festeggiare una festa di cui non m'interessa.»
Quella conversazione ormai andava avanti da dieci minuti buoni ripetendo sempre le solite tre frasi, quella tiritera cominciava a stancarla. Alla fine suo fratello –quello smidollato – aveva ceduto spifferando a loro madre che non li avrebbe raggiunti per la Vigilia come aveva promesso. E lei che aveva sperato di poter chiamare all'ultimo momento così nessuno avrebbe potuto farci nulla, magari usando la neve come scusa.
Ora sua madre straparlava dall'altra parte della cornetta e nonostante il segnale fosse disturbato riusciva a capire perfettamente le parole "famiglia, feste, i miei figli, cuore, madre" etcetera, etcetera...
Insomma, cercava di farla sentire in colpa sperando in un ripensamento.
«Non sarei comunque di compagnia e poi sai che la montagna non mi è mai piaciuta particolarmente.»
«Ma amore questo che c'entra? Io ti voglio qui anche se dovessi tenere il broncio per tutto il tempo.» la voce di sua madre in questi casi assumeva sempre un'inflessione infantile, tanto che sembrava facesse solo i capricci. In realtà lei capiva i suoi sentimenti, ma non poteva fare a meno di isolarsi, soprattutto durante le feste in cui si supponeva avrebbe dovuto essere gioiosa.
«Lo so mamma, lo so.» sospirò lasciandosi cadere sul divano e passandosi una mano fra i capelli in cui cominciava a spuntare la ricrescita castana.
«E allora perché non ci raggiungi? Sei ancora in tempo sai?» la voce si era fatta terribilmente triste. Sentì una di quelle rare fitte allo stomaco che la lasciavano solo più spossata e vuota del solito.
«No mamma, mi dispiace.» il sospiro dall'altra parte fece intuire che anche quella battaglia era vinta.
«Sai che non mi piace che siamo divisi.. ma almeno parla con Francesco e spiegalo anche a lui che non è colpa sua.»
«Si prende troppe responsabilità, passamelo.»
«Okay, ciao tesoro–» un breve silenzio dall'altra parte del telefono poi di nuovo la voce di sua madre dopo quella breve esitazione. «Ti voglio bene.»
«Sì.»
Non è che non volesse essere una figlia migliore, che non volesse renderla felice, ma proprio non ci riusciva. Quei momenti di intimità famigliare la bloccavano come un cane randagio messo alle strette e finiva sempre per dire qualcosa di spiacevole, oppure, come in quella situazione, semplicemente bloccarsi e non riuscire a partire. Avrebbe voluto davvero renderla felice, il problema era che non le importava abbastanza.
Passò qualche altro minuto per convincere il compagno della madre che la sua assenza non era nulla di grave e che non aveva niente a che fare con la nuova situazione famigliare. Anche dopo tutto quel tempo lui si sentiva ancora un intruso e si preoccupava dei suoi sentimenti molto più di quanto suo padre avesse mai fatto. Era un brav'uomo.
Dopo essere riuscita a calmare gli animi si era semplicemente stesa sul divano nel soggiorno su cui ormai era calato il buio senza riuscire a pensare a nulla. Non aveva sonno, era stanca in un altro modo. Si coprì con la coperta di lana e si voltò verso la finestra, le cui pesanti tende erano rimaste aperte. Nonostante il riscaldamento fosse acceso sentiva tanto freddo da tremare. Forse non veniva da fuori dopotutto, il freddo, quali erano state le parole di commiato di quello strano uomo?

Arrivederci, donna di ghiaccio.”
Già, forse aveva ragione, forse dopotutto il freddo veniva da dentro. Continuò ad osservare vacuamente lo scorcio di paesaggio attraverso la finestra, mentre pian piano prendeva sonno.
Aveva ricominciato a nevicare.

Si risvegliò in piena notte, con ancora il cellulare stretto fra le mani e ci mise un po' per rendersi conto di dove si trovasse. La neve cadeva fitta ricoprendo qualunque cosa in un biancore che rifletteva la luce dei lampione in modo irreale. Guardò l'ora con gli occhi ancora appannati dal sonno mentre si metteva seduta e la coperta di lana scivolava per terra. Si ritrovò a pensare se fosse troppo tardi per chiamare il suo nuovo “impiegato" oppure addirittura troppo presto. Era stanca, ma non sarebbe più riuscita a riaddormentarsi, mentre il freddo ricominciava a tormentarla facendole venire i brividi.
Optò per un messaggio, se fosse stato ancora sveglio le avrebbe risposto, altrimenti avrebbe fatto a meno di lui per quella sera. Non è che ne sentisse proprio il bisogno, solo che doveva riempire quell'infinità di tempo in qualche modo e lui era stata la prima distrazione a cui aveva pensato.
Il cellulare le vibrò fra le mani.

Posso essere lì fra un'oretta."
Rispose con un semplice okay, poi si alzò lasciando l'apparecchio sul divano per accendere il fuoco. Forse un po' di freddo così se ne sarebbe andato, pensò, mentre accendeva i ciocchi.
Se ne stava per terra accoccolata vicino al caminetto, avvolta nella coperta di lana, quando il campanello finalmente suonò. Controvoglia si alzò, chiedendosi se fosse stata davvero una buona idea chiamarlo.
«Al suo servizio Milady, lei chiama, io accorro.» la salutò troppo allegramente il ragazzo, lei in tutta risposta si limitò a farlo entrare in fretta chiudendogli la porta alle spalle.
«Immagino che di solito funzioni così. » ribatté atona.
«Circa.» si spettino i capelli distrattamente in cui i fiocchi di neve cominciavano a sciogliersi. «Fa un caldo d'inferno qua dentro.»
«Allora spogliati.» le uscì dalle labbra in tutta risposta, senza pensarci troppo. Era stanca di parlare, stanca di tutto. Aveva solo bisogno di una pausa da tutto quel rumore.
«Come siamo frettolose stasera.» la studiò attentamente con quelle pozze d'oceano mentre si toglieva la giacca e l'appoggiava all'attaccapanni. Quegli occhi le davano quasi più fastidio di tutte le parole messe assieme, la facevano sentire una cavia da laboratorio.
Lo afferrò per il collo del maglione e lo attirò a sé per baciarlo, doveva farlo smettere. Tutto quel freddo, quel rumore, i sensi di colpa che non ne volevano sapere di arrivare e che la tormentavano con la loro assenza sotto forma dell'eco delle voci dei suoi famigliari. Nonostante Amy non ci fosse più, la sua eco continuava a tormentarla, come un'ombra.
Lui rispose al suo bacio ubbidiente stringendola a sé dopo un breve istante di attonita sorpresa.
Le sue labbra erano calde, nonostante fosse appena arrivato dall'esterno. Così le sue mani che erano scivolate in fretta sotto il maglione di lana mentre indietreggiavano goffamente verso il soggiorno. Prima ancora che avessero raggiunto il divano lei gli aveva sfilato velocemente il maglione, lasciandosi spogliare con la stessa fretta. Desiderava rubargli tutto quel calore, sentirselo addosso su ogni centimetro della pelle, fino a che non le fosse entrato dentro, fino alle ossa. Voleva un po' di quel calore per sé, per fermare quei tremiti, quel freddo che la faceva sentire come una marionetta nelle mani capricciose della vita.
Che enorme sciocca era stata, pensò prima di lasciarsi andare del tutto, a pensare di poter colmare la sua distanza dalla realtà con la vicinanza fisica. In fondo con lei non aveva mai funzionato.
Ma per un po' di calore, solo per un'altra volta, forse poteva mentire un'ultima volta a sé stessa. Solo per quell'ultima volta.
Fu tutto tanto travolgente tanto catastroficamente breve. Si ritrovò senza fiato, fra le braccia di quell'uomo –mentre cercava di evitarne lo sguardo tenendo gli occhi ben chiusi– a chiedersi quanto ci avrebbe messo il gelo a tornare.
Sentì la pelle del divano scricchiolare mentre lui si spostava. E il freddo puntualmente ricominciò a strisciarle addosso alla pelle imperlata di sudore, nelle vene dove un cuore che non conosceva disgelo lo pompava inesorabile. In silenzio riaprì gli occhi e sempre evitando di guardarlo mentre recuperò della carta e la coperta di lana e ci si avvolse dentro, scossa da un brivido involontario mentre sentiva la lana ruvida sulla pelle.
«Hai freddo?» la sua voce ora un po' più roca la raggiunse come se provenisse da un altro mondo.
«Sì.» rispose senza nessuna inflessione nella voce continuando a dargli le spalle, in piedi vicino al fuoco che scoppiettava allegramente.
«È per questo che la casa sembra una sauna?» anche se non lo vedeva in faccia percepì con un certo distacco l'inflessione della voce che denotava pura e semplice curiosità.
Scrollò le spalle senza aggiungere altro, mentre continuava a fissare le fiamme.
Lo sentì muoversi alle sue spalle, mentre i suoi passi felpati lasciavano la stanza. Era quasi divertente quanto poco le importasse che un estraneo girasse per casa sua come se niente fosse.
Quando tornò sentì la sua presenza ingombrante alle sue spalle, se solo si fosse chinato un po' più in avanti avrebbe potuto sfiorarla.
«Sigaretta?» si spostò al suo fianco facendole finalmente sollevare la testa per incontrare il suo sguardo. Sembrava estremamente tranquillo, pacifico.
Annuì e lui ne tirò fuori una dal pacchetto di Lucky Strike che teneva fra le mani e gliela infilò gentilmente fra le labbra secche e spaccate. Poi glie l'accese con uno Zippo che si rimise in tasca. Solo in quel momento notò che si era rimesso i pantaloni e ora se ne stava a piedi nudi a accanto a lei.
«Sono le mie?» si stupì di quanto sembrasse priva di ogni tonalità la sua voce, come quella semplice frase le graffiasse la gola come carta vetrata.
«Mi ricordavo dove tenevi le tue scorte.» scrollò con semplicità le spalle facendola annuire di nuovo. Le sfilò dalle labbra la sigaretta e fece un tiro lungo, per poi scrollare la cenere nel caminetto. Poi gliela rimise fra le labbra, come se fosse la cosa più normale del mondo, quella strana intimità ovattata che si era creata fra di loro.
«Quanto ti devo?» distolse finalmente lo sguardo facendo uscire una mano dal bozzolo in cui era avvolta per prendere fra le dita la Lucky dopo aver fatto un lungo tiro.
«Non mi aspettavo di risentirti così presto.» ribatté lui spostandosi per appoggiarsi al muro accanto al caminetto, osservandola con le braccia incrociate sul petto nudo.
«Avevi altri programmi per stasera?» chiese guardandolo senza vederlo davvero, quella era davvero una serata strana, la portava troppo indietro per poterla gestire.
«No davvero, lo dicevo solo perché mi hai sorpreso.» fece un mezzo sorriso che lei notò appena.
«Bene allora, quanto ti devo?» voleva solo che se ne andasse e la lasciasse sola, potersi riaddormentare.
«Ti manderò un messaggio con i dettagli domani, ora non ho voglia di fare i conti.» si scostò dalla parete con un piccolo scatto andando a raccattare i suoi vestiti sparsi per la stanza.
«Se a te va bene così.» si sedette sul divano, sempre avvolta nella coperta, facendo cadere la cenere in un vaso lì accanto.
Continuava ad osservarlo senza vederlo davvero, mentre come un fantasma si muoveva per il suo soggiorno silenziosamente e si rivestiva. La neve fuori continuava a cadere inesorabile, sotto un lampione vide un'auto che prima non c'era parcheggiata vicino al suo cancelletto. Probabilmente era quella di Ian.
«Bene, io vado.» la riscosse a voce alta. Spense la sigaretta spingendo il mozzicone nella terra del vaso e si alzò anche lei.
«Ti accompagno alla porta.» si sentiva intontita, come se stesse galleggiando in un mondo fatto di fiocchi di neve che la raggiungevano ovunque sciogliendosi in mille gocce fredde scivolandole su ogni centimetro del suo corpo. Si chiese a cosa fosse servito chiamarlo solo per mostrarsi in quello stato quando non aveva che agito come palliativo per qualche istante.
Quando aprirono la porta l'aria gelida dell'esterno la investì con violenza, mentre il sapore dell'aria invernale le invadeva la bocca ad ogni respiro.
«Buona notte.» le lanciò un'occhiata strana fermo sulla soglia. Amelia si limitò ad annuire rispondendo con un “Anche a te" distratto, per poi chiudere la porta ancora prima che lui le avesse voltato le spalle. Ora tremava più di prima, sentiva il sudore freddo scivolarle lungo la schiena mentre raccoglieva da terra le mutande e il maglione e li indossava.
Si accovacciò di nuovo accanto al fuoco in posizione fetale mentre la testa cominciava a vorticarle pericolosamente facendo sembrare persino il terreno instabile.


Si risvegliò con la testa pesante come dopo una brutta sbornia con una musichetta fastidiosa le trapanava le meningi.
Mugugnò infastidita mettendosi seduta a fatica, sentiva ogni muscolo dolerle, forse perché si era addormentata per terra. Finalmente quella suoneria fastidiosa smise dandole un po' di pace, si stropicciò gli occhi mentre apriva e chiudeva la bocca impastata. Stava giusto pensando che doveva farsi forza e raggiungere la cucina per bere quando quel rumore infernale ricominciò. Si guardò intorno confusa rendendosi conto che era la suoneria del suo cellulare, quindi si trascinò fino al divano per prendere quell'apparecchio e rispondere senza nemmeno guardare il chiamante. Solo sua madre poteva essere così insistente.
«Ma’ stavo dormendo, sono ancora viva, quindi ti prego, sii breve.» borbottò con voce impastata appoggiandosi coi gomiti e il mento alla seduta del divano.
«Sei sicura di essere ancora viva? La tua voce sembra venire dall'oltretomba.»
La voce dall'altra parte della cornetta la lasciò spiazzata, tanto che spostò dall'orecchio il telefono per guardare lo schermo attonita.
«Hey, sei morta davvero?» la voce maschile uscì dalla cornetta ricordandole che lui era ancora in linea. Senza pensarci due volte chiuse la chiamata con decisione, irritata. Come faceva ad essere sveglio a quell'ora? E perché la chiamava all'alba, non aveva niente di meglio da fare?
Da fuori veniva una luce tenue che illuminava a malapena il soggiorno, la neve aveva smesso di cadere, ma non prima di aver ricoperto con uno spesso strato tutto.
Si alzò a fatica e nonostante l'avesse fatto con calma ci mancò poco che non barcollasse per un calo di pressione che le annebbiò la vista per qualche istante. Era messa peggio di quello che credeva, pensò rabbrividendo mentre ancora avvolta nella coperta si avviava verso la cucina.
Poggiò il cellulare finalmente silenzioso sul ripiano e si versò un bicchiere d'acqua fresca di frigo poi si mise a rovistare nei cassetti. Sua madre aveva la pessima abitudine di mettere le cose in un ordine tutto suo, infatti, se non ricordava male, il termometro doveva essere assieme a penne e graffette da qualche parte in un cassetto della cucina.
Mentre aspettava che il termometro emettesse la sua sentenza in parte già ovvia si ritrovò a scivolare per terra, con solo uno strato di lana fra lei e il pavimento gelido. Il suo bip elettronico e ripetuto si sovrappose alla suoneria del telefono che continuava a tormentarla. Faticosamente si rimise in piedi e rispose a quell'uomo fastidiosamente insistente, mentre con la mano che teneva la coperta stringeva anche il termometro.
«Capisco che tu ci tenga ad essere pagato, ma sappi che non ho in programma di scappare in Uruguai all'alba solo per non pagare un debito, quindi potresti evitare di essere così insistente?» era sempre stata una pessima malata, ed era rimasta sorprendentemente una delle poche cose che non era affatto cambiata.
«Alba?» domandò Ian dall'altro capo del telefono, probabilmente attonito dall'aggressione verbale.
«Sì e sappi che chiamare le tue clienti prima ancora che i galli si sveglino non è una buona strategia di marketing.» ribatté acida gettando un'occhiata al display del termometro: 38.5.
«Merda.» borbottò contrariata fra sé e sé sperando di averla perlomeno attaccata a quello scassapalle.
«E da quando il sole sorge alle cinque di sera scusa?» sembrava stesse trattenendo una risata e nemmeno tanto bene, il che la fece innervosire ancora di più.
«Da mai.»
«Per l'appunto, hai dormito fino ad adesso?» le domandò sempre più divertito. Lanciò un'occhiata al microonde dove in effetti l'orologio segnava le 17:14.
«Sì, allora che volevi?» cambiò discorso in fretta infastidita dal fatto di non poterla avere vinta contro quell'idiota che si divertiva a spese del suo malumore. «Se vuoi i soldi dimmi la cifra e ti faccio un versamento sul tuo conto adesso.»
«Preferirei averli in contanti, in ogni caso non avevo chiamato per questo, non ho dubbi sulla tua liquidità e poi so dove abiti.» l'ultima parte della frase doveva essere una sorta di battuta a giudicare dal suo tono spensierato, ma non la fece ridere, anzi.
«Parli come uno strozzino.»
«Ci siamo svegliati con la luna storta, eh?»
«Come mi sono svegliata è affar mio, che volevi allora?» tagliò corto mentre si trascinava di nuovo sul divano con una bottiglia d'acqua sotto il braccio.
«Niente è che ieri notte–» il suo tono da giocoso si fece improvvisamente serio. «ieri notte non sembravi star bene.»
«Sto da Dio, tranquillo, il tuo reddito fisso è salvo.» rispose brusca mentre il suo corpo si ribellava a quella affermazione provocandole qualche colpo di tosse.
«Hai la tosse di un ottantenne asmatico, fumi troppo.» quel tono serio, quella preoccupazione la lasciarono basita.
«Sto benissimo grazie.» si trattenne dal mandarlo a fanculo infondendo più veleno possibile in quelle tre parole. Non sapeva nemmeno perché si tratteneva a dire il vero, come se importasse cosa ne pensava di lei. «Se ora abbiamo finito con la chiacchierata cuore a—» trattenne un altro di colpo a stento. «cuore io—» Ma evidentemente il suo corpo non la pensava come lei sulla questione dignità. Così scoppiò in un eccesso di tosse tanto che l'unica cosa che poté fare fu allontanare il telefono finché non riprese respiro.
«Sì, hai ragione, stai proprio una favola.» lo sentì dire in tono di rimprovero una volta riavvicinato l'apparecchio all'orecchio.
«Esatto, quindi ciao.» chiuse la chiamata per poi accovacciarsi scossa dai brividi in un angolo del divano poggiando una guancia contro la bottiglia gelata sperando che l'inferno la inghiottisse presto.
Almeno si spiegavano le riflessioni deliranti della sera prima e il suo comportamento strano. E con questo pensiero si consolò riaddormentandosi senza nemmeno accorgersene.





note dell'autrice:
che è molto contrita, lo giuro. So che è passato molto tempo da quando pubblicai questa storia e molte cose sono cambiate, ma la mia voglia di scrivere no. E quindi eccomi qua, dopo aver superato insidie e pc rotti, rieccomi all'attacco con questo capitolo che in realtà è stato scritto molto tempo fa, come molti altri che seguiranno presto.
Il discorso è il solito, qualunque parere, seppur educato, sarebbe una manna dal cielo. Devo crescere ed imparare ancora molto, quindi mi affido a voi.
Grazie a chi leggerà, anche dopo così tanto e ai nuovi arrivati. :)

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Capitolo 5
*** #04 – NIGHT THOUGHTS ; Consciamente ed Inconsciamente. ***


#04 – NIGHT THOUGHTS ;
Consciamente ed Inconsciamente.

L'amore e il denaro sono come quelle persone che fingono di non conoscersi e che si incontrano di continuo ad appuntamenti segreti.”
Abel Bonnard


Quando si svegliò per la secondo a volta era ancora più confusa della volta precedente, le era parso di sentir chiamare il proprio nome nonostante fosse sola in casa.
Si tirò su stancamente, sentendo che la testa pesante le intimava di tornarsene a dormire. Stava riflettendo di obbedirle quando sentì bussare alla porta e poi aprirsi. Merda, si era dimenticata di chiuderla a chiave quando quell'uomo era andato via e ora era arrivato un ladro a finire quello che l'influenza aveva iniziato. Si buttò precipitosamente a terra facendo cadere la bottiglia di plastica e trascinando con se la coperta per affermare l'attizzatoio appoggiato vicino al focolare.
Così la trovò Ian, con le gambe ancora per metà intrappolate dalla lana arrotolata seduta in mezzo al soggiorno che gli puntava contro non troppo minacciosamente l'attizzatoio. Gli scappò una risata mentre lei lo fissava stralunata.
«Non pensavo che mi sarei divertito tanto con te.» l'apostrofò gioviale accennando qualche passo verso di lei, ma fermandosi immediatamente quando lei agitò l'attizzatoio a mo' di avvertimento.
«Che cazzo ci fai qua?!» ringhiò mentre lui inarcava un sopracciglio stupito.
«Al telefono sembravi in fin di vita e devi esserlo se ti sei dimenticata di chiudere a chiave una casa come questa.» fece un ampio gesto del braccio. «Ora potresti mettere giù quel coso?» aggiunse in tono gentile, quasi condiscendente.
«Non hai ancora spiegato che ci fai a casa mia nel mezzo della notte.» non accenno a cedere nemmeno di un millimetro, se lui aveva come hobby il furto con scasso e aveva individuato in lei una preda facile si era sbagliato. Per quanto in quel momento, ne era cosciente, non rappresentava una reale minaccia.
«Sono qua per empatia, sai quel sentimento che gli esseri umani provano ogni tanto?» il suo sarcasmo non l'aiutava a fidarsi di sicuro.
«Oh quindi ti dispiace per la ragazzina ricca e sola che ne sta a casa con la febbre? Perché non vai a fare volontariato alla Caritas piuttosto?» cominciava a sentire le forze abbandonarle il braccio che tendeva l'asta di ferro, tanto che cominciò quasi a tremare. O forse era per il freddo.
«Va bene, dopo ci andrò, ora devo fare volontariato ad una cocciuta ragazzina che sembra uno zombie.» le rispose in tono morbido avvicinandosi lentamente. Se non fosse stata così debole avrebbe resistito di più, non sentiva il bisogno di essere accudita e tanto meno si fidava di quell'individuo, ma le mancavano le forze. Quindi optò per affrontare la morte a testa alta.
«Sappi che non mi fido di te.» borbottò mentre le sfilava di mano l'attizzatoio e lo rimetteva al suo posto dietro di lei.
«Ci mancherebbe.» sorrise lui accovacciato di fronte a lei. «Ora ce la fai a tornare sul divano mentre vado a vedere se in cucina hai qualcosa di commestibile da farti mangiare?»
«Non sono un'invalida.» lo fulminò con lo sguardo facendolo solo ridacchiare mentre si rialzava e se ne andava nella stanza accanto. Lo seguì con lo sguardo fino a che non sparì oltre la soglia per poi strisciare miseramente di nuovo al suo angolo sul divano che aveva occupato e scaldato fino a poco prima.
Prese le sigarette che miracolosamente erano rimaste appoggiate sull'altro lato del sofà, ma si rese conto solamente quando ne aveva già una fra le labbra che non aveva l'accendino. Un mugolio di disappunto le uscì istintivamente dalle labbra perdendo quel poco di orgoglio che le era rimasto dopo aver strisciato per tutto il pavimento del salotto. E lui arrivò puntualmente sulla soglia a ricordarglielo.
«Che succede?» aveva la fronte corrugata, gli occhi blu sembravano più scuri del solito forse grazie al maglione blu scuro quasi dello stesso colore che indossava quella sera.
«Niente.» mugugnò con ancora la sigaretta fra le labbra. Non voleva il suo aiuto, ma un accendino. Lui invece di andarsene dopo quella risposta rimase ad osservarla e poi scoppio a ridere.
«Ho capito, ho capito.» le si avvicinò tirando fuori qualcosa dalla tasca, per un attimo lei si irrigidì pensando che fosse un coltellino o qualcosa del genere e che stesse per ucciderla non appena aveva abbassato la guardia.
Invece tirò fuori lo stesso zippo della sera prima e lo fece scattare accendendoglielo davanti.
«Ecco e non fare quella faccia, sembra che ti aspetti che stia per ucciderti da un momento all'altro.»
«Appunto.» tirò ha boccata mentre lui poggiava l'accendino accanto a lei.
«Te lo lascio, ma non dovresti fumare troppo.» scosse la testa sorvolando sul suo ultimo commento mentre lei scoppiava in un eccesso di tosse. «Appunto.» le fece il verso, per poi sparire di nuovo chissà dove per la casa.
Incupita lei se ne rimase a tossire e fumare come un ottantenne testardo mentre guardava fuori dalla finestra. Quando il divano cominciò a vibrare sobbalzo tanto che della cenere cadde per terra. Maledicendo la tecnologia e la batteria del suo cellulare che durava davvero troppo per essere di ultima generazione.
Vedere che era suo fratello a chiamarla migliorò un po' il suo malumore.
«Hey.» salutò tirando su con il naso, decisamente non era il modo migliore per sembrare in salute.
«Sera splendore, sapevo che eri ancora sveglia, raffreddore natalizio?» di sottofondo alla voce del fratello sentiva della musica, forse dei Pink Floyd e qualche voce che chiacchierava e rideva.
«Come al solito, tu che combini?» rispose passandosi una mano fra i capelli annodati.
«Che resti fra noi, ma abbiamo invitato due ragazze al bungalow stasera, quindi tutto alla grande.» la frase era stata pronunciata in un sussurro cospiratore.
«Aha, cerca solo di non farti beccare da mamma, sai come la pensa sul rapporto fra il sesso e i suoi figli. Sarebbe meglio che ti beccasse con una bong alta quanto te.» lo ammonì fra un colpo di tosse e l'altro mentre spegneva la sigaretta nel vaso accanto a lei. Sua madre non sarebbe stata contenta nemmeno di questo.
«Oh non preoccuparti.» dalla risata sonora che seguì quella frase intuì che con molta probabilità se non la bong, l'erba c'era di sicuro. Si strinse la base del naso fra l'indice e il pollice chiudendo gli occhi mentre le tempie cominciavano a pulsare.
«No, figurati.» mormorò tranquilla. «Perchè mi avevi chiamata, comunque?»
«Ah, vero! Ecco io—»
«Possibile che nella tua cucina l'unica cosa che si possa trovare sono solo tisane e cibi precotti dalla dubbia provenienza?» Ian aveva davvero un'aria scandalizzata, affacciato sulla soglia del soggiorno, aveva rimboccato le maniche del maglione fino ai gomiti e teneva in mano una barattolo di tisana alle alghe o qualcosa di simile e nell'altra del dado liofilizzato.
«Ma chi c'è lì con te?» Amelia non fece in tempo a reagire che già stava ridendo farneticando di relazioni e altre stronzate che si confondevano in uno schiamazzare di galline. Alzò la mano col palmo rivolto verso l'uomo che ne stava ancora sulla soglia osservandola, sembrava divertirsi a spiarla mentre parlava al telefono con la sua famiglia. Prima con sua madre, poi con suo fratello.
«Non è nessuno, sto guardando la TV. Sono malata, te lo ricordi?» questo non lo calmò, anzi si smise a schiamazzare più di prima. Lo salutò velocemente mentre farneticava di infermierini o cose del genere, mettendo fine a quella tortura e si assicurò di spegnere quell'aggeggio infernale. Stava davvero diventando un ottantenne inacidito.
«Dicevamo?» si voltò verso Ian che si era appoggiato allo stipite con le braccia incrociate.
«Di quanto è vuota della tua dispensa.» sembrava divertito dalla balla che aveva raccontato al telefono, probabilmente pensava che fosse una ragazzina. E in fondo, per certi sensi lo era.
«Non faccio io la spesa.» scrollò le spalle. «E se fossi in te lascerei stare quella tisana, fa schifo.»
Era stato uno dei tanti esperimenti falliti di sua madre, che adorava provare a cucinare cose strane ed esotiche di cui un buon terzo venivano bocciate al primo assaggio e messe in fondo alla dispensa nella speranza che venissero in qualche modo inglobate da essa sparendo per sempre dalla faccia della terra. Ovviamente ciò non accadeva mai, quindi il risultato era che quando mancava da troppo tempo loro si ritrovavano con la dispensa dolorosamente piena di schifezze immangiabili.
«La colf si è licenziata?» la punzecchiò.
«Una cosa del genere.» si rifiutava di parlare della sua famiglia con lui, aveva già oltrepassato ampiamente i limiti anche solo essendo lì senza essere stato chiamato, non l'avrebbe fatto scavare nel suo scarno ambito affettivo più del necessario.
«Capisco, quindi dovremmo arrangiarci con quello che c'è.» sorrise mentre apriva il barattolo che teneva ancora in mano annusandone il contenuto con aria sospettosa. «E buttare questa cosa prima che ti aggredisca nel sonno.»
«Senti,» cominciò cercando di mettersi dritta in modo abbastanza fluido, la testa che pulsava e ora aveva ricominciato a girare non aiutava. «io apprezzo davvero quello che stai facendo–»
«No, non è vero, lo odi, ma sei sola in questa enorme casa con un febbrone da cavallo e io sono un gentiluomo.» la interruppe rapidamente facendola sbuffare. E lei che aveva cercato di essere diplomatica!
«È vero, mi da fastidio quindi tu e il tuo galateo contorto siete pregati di uscire da casa mia.» buttò alle ortiche i buoni propositi mentre con una mano si appoggiava al bracciolo del divano cercando di rimanere in piedi senza barcollare come una moribonda.
«Mi dispiace, ma non lo farò, mia madre non ne sarebbe per niente contenta se non dessi sfoggio della mia ottima educazione.» appoggiò quello che teneva in mano sulla poltrona accanto a lei e senza lasciarle il tempo di protestare la rimise a sedere. Era invadente, troppo. «Quindi ora tu te ne stai qua seduta e io ti faccio un bel brodino.»
«Mi chiedo cosa ne penserebbe tua madre del mestiere che fai.» gli rispose acidamente mentre inerme veniva imbacuccata di nuovo nella coperta di lana.
«Oh, ne sarebbe assolutamente disgustata, ora sta buona e assumi tanti liquidi.» continuò a sorridere chinato su di lei dopo averla sistemata, con quegli occhi blu allucinanti che scintillavano di divertimento. Rimase per un attimo confusa a ricambiare lo sguardo, poi –facendole provare un notevole disappunto che ricondusse alla febbre– scostò per primo lo sguardo posandolo sul vaso accanto a lei aggrottando la fronte. «E smettila di uccidere quella povera pianta, ti porto un posacenere.»
Dopodiché si rimise dritto e si diresse verso la cucina senza che lei riuscisse a proferir parola. Come diavolo ci era finita con la febbre e tutto il corpo dolorante a farsi fare da balia dall'uomo che pagava per fare sesso per non avere nessun rapporto umano? C'era qualcosa che suonava completamente sbagliato.

Correva veloce, voleva urlargli di fermarsi, ma non aveva più fiato. Alzò una mano per raggiungerlo—
«Amelia?» sentì una voce calda chiamarla salvandola dall'incubo che cominciava già svanire, si ricordava a malapena che stava rincorrendo qualcuno, l'unico strascico era il fiato corto e il braccio teso coi muscoli in tensione, come se fosse stato pronto a scattare.
«Amelia.» questa volta il tono era più deciso, meno titubante, ma aveva sempre una sfumatura così— non avrebbe saputo come definirla se non calda, sembrava sciogliere i sudori freddi che le correvano lungo la schiena facendola rabbrividire. Aprì piano gli occhi gonfi, la luce glieli fece bruciare.
«Quanto ho dormito?» domando con voce impastata mentre se li sfregava e sentiva quel che rimaneva del trucco del giorno prima sbavarsi ancor più di prima. Doveva sembrare un panda che aveva fatto a botte con un rinoceronte.
«Un'oretta, tranquilla.» quando ricominciò a mettere a fuoco vide il viso di Ian vicinissimo al suo.
«E tu che ci fai ancora qui?» nonostante la frase in sé sarebbe potuta sembrare brusca, ma il filo di voce sfinita con cui la pronunciò la addolcì, era talmente a pezzi che non aveva la forza di prendersela con nessuno.
Lui alzò semplicemente gli occhi al cielo e mormorò: «Ti ho fatto il brodo, ma credo di averci messo un po' troppa pastina.»
Sembrava vagamente imbarazzo mentre le si sedeva accanto con un vassoio che aveva trovato chissà dove sulla gambe.
«Va bene così, mi piace.» sussurrò quasi senza voce, poi prese lo scottex che aveva appoggiato accanto al piatto e si soffio il naso dandogli la schiena.
«Sembri peggiorare ogni minuto di più, ho guardato un po' in giro, ma non hai nessun medicinale che vada bene.» si sistemò meglio avvicinandosele e poggiandole con delicatezza il vassoio sulle gambe mentre lei tirava fuori a fatica le braccia dalla bozzolo in cui l'aveva avvolta prima.
«Non ne abbiamo.» prese la prima cucchiaiata con la mano tremante facendo attenzione a non rovesciare nulla.
«Almeno hai provato la febbre?» corrugò la fronte senza indagare oltre, ormai aveva smesso di rimproverare le sue esigue scorte, a quanto pareva.
«Sì.» ingoiare era una tortura, sentiva a malapena i sapori. Esagerava sempre quando era malata, se ne rendeva conto anche lei quando guariva, ma quando era in quello stato si sentiva in punto di morte dal primo starnuto.
«Quando?» la esortò quando si rese conto che non avrebbe detto altro.
«Quando eravamo al telefono credo.»
«Dovresti riprovarla.»
Il suo tono di rimprovero, la sua presenza accanto a lei, il suo calore che sentiva assurdamente anche attraverso i vestiti la facevano sentire a disagio. Appoggiò il cucchiaio nel piatto lentamente e alzò lo sguardo verso di lui.
«Ora che hai soddisfatto le aspettative di tua madre puoi andartene.» doveva suonare come una domanda, ma sembrò più un invito a levarsi brevemente fuori dalle palle e lei non si corresse.
«Eh?» domandò stupito inclinando leggermente la testa di lato mentre sbatteva e ciglia scure un paio di volte.
«Ora che mi aiutato soddisfacendo il tuo ego col ruolo di cavaliere dalla scintillante armatura, non sarebbe ora di tornartene alla tua vita?» provò a spiegarsi rimanendo sempre più sulle sue.
«Se pensi questo, ti sbagli di grosso.» si alzò in piedi innervosito.
Lei non disse nulla e semplicemente lo fissò con quella che sperava sembrasse indifferenza e non solo uno sguardo vacuo di una bambola di porcellana rotta.
«Sei davvero la ragazzina più impossibile con cui abbia mai avuto a che fare.» si arrese per primo e prese la porta sotto lo sguardo vigile della ragazza. Non un saluto o una parola in più da parte di nessuno dei due. Sentì la porta richiudersi e dopo qualche altra cucchiaiata si arrese poggiando il vassoio per terra accanto a sé e sdraiandosi priva di forze per riaffondare nei suoi incubi senza nessuna speranza di poter essere di nuovo salvata.

Quando si svegliò di nuovo si accorse che si era agitata tanto nel sonno che la coperta a malapena le copriva le gambe. Abbassò il braccio teso, ultimo rimasuglio dell'incubo e si mise a sedere mentre il caldo la soffocava. La febbre doveva essere scesa, perché man mano che si diradava la nebbia nella sua testa dovuta alla sonnolenza tornava più lucida di prima di addormentarsi.
Gli occhi vagarono per la stanza che odorava di chiuso e si soffermarono sul tavolino, vicino alla pianta dal cui vaso erano stati tolti i mozziconi di sigarette e messi nel posacenere preso dalla sua camera. C'era ancora il vassoio col piatto di minestra ormai fredda ai piedi del divano. Tutte tracce del suo passaggio in quella casa e del fatto che si era preso cura di lei.
Si alzò di malavoglia per andare ad abbassare il riscaldamento trascinando per terra distrattamente la coperta da cui caddero degli oggetti con un tonfo attutito dal tappeto spesso.
Abbassò lo sguardo titubante, indecisa se abbassarsi rischiando un calo di pressione o lasciare tutto lì per terra quando lo vide proprio ai suoi piedi: il suo accendino. Si chinò lentamente per raccoglierlo, assieme alle sigarette e il cellulare trovandosi a fissarlo stolidamente.
Troppe tracce di lui, come impronte sulla neve fresca che le ricordavano quei momenti confusi. Lui si era preso cura di lei e la cosa la disgustava.
Che fosse stato per autocompiacimento, pietà o pura e semplice empatia, come aveva dichiarato lui, non le importava, la sola idea di essere sembrata vulnerabile davanti a qualcuno era qualcosa di inaccettabile. Anche perché nessuno faceva niente per niente.
Una volta abbassata la temperatura della casa mise in carica il cellulare e si fece una doccia, quando tornò a controllarlo trovò vari messaggi e un paio di chiamate perse. Era stata in quello stato catatonico per tre giorni e il tempo era passato in nonnulla a forza di passare fra sonno e veglia.
Si decise a mangiare la minestrina dato che ormai era stata fatta e dopo averla scaldata al microonde la finì lentamente.
La febbre era scesa notevolmente, questo la fece decidere a fare due passi per prendere una boccata d'aria intanto che anche la casa lo faceva, dato che aveva chiuso le imposte e spalancato le finestre. Magari sarebbe potuta passare da una drogheria a prendere qualche bene di prima necessità.
Si coprì per bene e dopo essersi infilata soldi, sigarette e –dopo qualche esitazione – anche il suo Zippo in tasca uscì chiudendo
si la la porta alle sue spalle.
La neve scricchiolava sotto gli stivali imbottiti ed era abbastanza alta da separarla dallo strato di ghiaccio che si era formato sicuramente sotto di essa.
Le mani affondate nelle tasche della giacca imbottita toccarono l'accendino riportandola a pensare inevitabilmente di nuovo a Ian. Per quanto volesse sforzarsi di classificarlo come approfittatore data la sua indole diffidente non poteva fare a meno di pensare che nulla in casa era sparito, alla sua voce gentile mentre la risvegliava da quell'incubo ricorrente di cui una volta sveglia non ricordava nulla, come se per autodifesa semplicemente la sua testa cancellasse qualunque cosa potesse fare male.
La verità era che conosceva quel ragazzo da meno di una settimana, ma era riuscito a scuoterla tanto da farle provare piccoli barlumi di emozioni. La famigliare stretta allo stomaco tornò a farsi sentire, come se il panico volesse per forza uscire allo scoperto, facendole stringere i pugni nelle tasche.
Si accese una sigaretta e continuò a camminare, tenendo stretto quell'accendino il cui metallo era diventato caldo a forza di essere stretto inconsciamente.

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Capitolo 6
*** #05 — BALLAST ; Routine. ***


#O5 – BALLAST* ;

Routine.

A volte è più facile confidarsi con un estraneo. Chissà perché. Forse perché un estraneo ci vede come siamo realmente, e non come vogliamo far credere di essere.”
Carlos Ruiz Zafon


Si era svegliata da circa mezz'ora e stava riflettendo pigramente cosa prepararsi per pranzo dato che erano le due passate quando il campanello suonò.
Ancora in pigiama e con i capelli scompigliati andò ad aprire, trovandoselo davanti, splendido come sempre.
«Non ti aspettavo così presto.» disse a mo' di saluto spostandosi dalla soglia per farlo entrare.
«Hai una strana concezione della parola “presto" tu.» non sembrava irritato con lei per il suo comportamento del giorno prima, anzi, era fin troppo calmo. «Comunque ero già in giro e ho pensato di passare di qua già che c'ero.»
«Okay, vado a prenderti i soldi.» dandogli le spalle salì al secondo piano. Ci aveva pensato su, chiedendosi se non dovesse addirittura offrirgli dei soldi per il fatto che si era preso cura di lei, così da delineare di nuovo i confini che le sembravano terribilmente labili in quel momento. Oppure non farne parola come se fosse stato tutto un brutto sogno.
Quando tornò giù non lo vide nell'atrio, quindi proseguì per la cucina seguendo l'istinto: infatti lo trovò che con sguardo critico studiava la busta della sua spesa della sera prima abbandonata sull'isola che consisteva in schifezze e cibi precotti.
«Mangi mai qualcosa di salutare?» si voltò verso di lei quando sentì i suoi passi.
«In frigo ho dell'insalata.» scrollò le spalle indifferente. Chissà se criticava le abitudini alimentari di tutte le sue clienti o riservava quell'onore solo a lei. «Ecco qua, la cifra è quella che mi hai inviato per messaggio.»
Lui osservò la mazzetta per qualche istante poi la mise in tasca senza nemmeno prendersi il disturbo di controllare se ci fossero tutti.
«Bene, l'accendino era lì vicino alle tue sigarette e l'ho già preso. Siamo a posto.» storse le labbra come se vi fosse qualcosa che lo irritava profondamente.
«Bene.» rispose telegrafica seguendolo mentre si dirigevano all'entrata.
A dire il vero era irritata anche lei e non sapeva come far passare quel prurito fastidioso. Il fatto di essere in debito con lui la infastidiva enormemente anche se il fatto di dire semplicemente grazie era fuori questione. Lui di sicuro non si era preso cura di lei per semplice buon cuore, ma nonostante ne fosse cosciente, quel fastidioso punto in sospeso non la lasciava in pace.
«Alla prossima.» lo salutò sulla porta.
Lui fece un sorriso mesto e la inchiodò con lo sguardo per qualche istante prima di voltarsi e procedere sul vialetto.
«Alla prossima.» rispose in ritardo già di spalle alzando una mano.


I giorni passavano tutto uguali, da quando lo vide declinò gli inviti ad uscire delle compagne di classe e se ne rimase a casa a guardare qualche film al caldo e fare i compiti assegnatile per le vacanze di Natale. Siccome frequentava una scuola privata avevano iniziato prima le vacanze, quindi aveva molto più tempo da perdere di un normale studente delle superiori, nonostante questo Natale incombeva sempre più vicino e con esso una festa di beneficenza proprio alla Viglia con cui sua madre si era presa la rivincita sulla sua scelta di non raggiungerli per festeggiare. In pratica le aveva intimato di andare a nome loro dato che, parafrasandola, non aveva nulla di meglio da fare. Certe volte si atteggiava davvero da snob, cosa ridicola visto che lei e i suoi figli erano praticamente nuovi di quell'ambiente e solo grazie al matrimonio con Francesco. Senza contare che quelle feste le odiava più di lei e approfittava della freddezza della figlia per avere un rappresentante come si deve di quella famiglia, non tanto perché le importava cosa pensassero di lei, ma per il marito che facendo il notaio e doveva tenerseli buoni come clienti, nonostante fosse comunque di buona famiglia.
Non aveva chiamato nemmeno Ian per far passare il tempo perché ogni volta che vedeva il suo nome nella rubrica il fastidioso prurito tornava a farsi sentire e rifiutava l'idea di doversi sentire in debito con lui.
In ogni caso avrebbe passato volentieri tutte le vacanze a casa in solitudine, non chiedeva altro che silenzio e pace. Di solito usciva per spezzare la routine e per non far preoccupare sua madre, un conto era che sospettasse e basta che non aveva relazioni umane degne di questo nome, un conto era vederlo.
Così arrivò la Vigilia con la chiamata di sua madre di prima mattina che le ricordava che a quella festa “ci doveva proprio andare" dato che aveva già chiamato per confermare la sua presenza, il resto della conversazione passò da Francesco che le chiedeva scusa per obbligarla a sobbarcarsi quell'impegno al posto suo e suo fratello che le augurava scherzosamente buona fortuna.
La serata, che era dedicata ai senzatetto e i bambini abbandonati, fu noiosa come previsto, fra chiacchiere vuote in cui le chiedevano dove fossero o come stessero i suoi genitori e del suo percorso di studi. Solo quando salì sul taxi che l'avrebbe riportata a casa si rese conto con suo grande orrore che aveva passato gran parte della serata a cercare distrattamente un paio di occhi blu.
Quella notte dormì un sonno agitato e pieno di figure sfuggenti, svegliandosi all'alba sudata fradicia con una mano tesa verso il soffitto come in procinto di afferrare qualcosa.
La lasciò cadere con un tonfo sul piumone voltando la testa verso il comodino dove la radiosveglia segnava la data tanto temuta.
«E così anche quest'anno è arrivato.» sospirò atona.
Camminare nella città vuota e luminosa grazie a tutte le decorazioni allo scopo di spegnere quell'inquietudine l'aveva portata in quel posto, ancora una volta non era riuscita a sfuggire a quella ricorrenza che la ossessionava da anni.
Era ferma, nemmeno lei sapeva da quanto, dall'altra parte della strada a fissare quei cancelli senza il coraggio di attraversarli, con in mano un mazzo di margherite che aveva comprato lungo la strada da un fioraio miracolosamente aperto.
Alla fine finiva sempre lì a fissare con uno sguardo vuoto lo squarcio di cimitero che poteva scorgere chiedendosi vagamente quale potesse essere la sua fra tutte quelle lapidi.
Le poche persone mattiniere in giro a quell'ora, forse per la messa o per le commissioni dell'ultimo minuto le passavano accanto silenziose, come se fosse invisibile.
«Cosa diavolo ci faccio qui?» mormorò a sé stessa lasciando perdere per l'ennesima volta e buttando il mazzo di fiori in un cestino mentre a passo svelto prendeva la via di casa senza notare lo sguardo intenso che la seguiva dall'interno di un bar.


~*~


Era lei. Era sicuramente lei, anche se quel comportamento non si addiceva con la figura rigida che si era creato nella sua testa.
L'aveva notata voltando lo sguardo verso l'esterno, mentre faceva colazione con suo fratello e la sua fidanzata. Dovevano aspettare gran parte della famiglia che era andata a messa come ogni anno, preferendo quella mattutina a quella di mezzanotte, sua madre non li obbligava ad entrare in chiesa, anche se aveva fissato la regola che si svegliassero presto e li portassero in macchina fino alla funzione come penitenza. Sua madre odiava i lavativi.
Mentre assonnato rifletteva su quella ingiustizia l'aveva notata, era assurdo, ma l'aveva riconosciuta subito. Anche se era tutto sbagliato.
Le spalle basse, le braccia abbandonate lungo i fianchi, se ne stava immobile come una bambina spaventata a fissare qualcosa davanti a sé. In mano aveva un mazzo di margherite che prendevano inerti.
Se ne stava semplicemente ferma dandogli le spalle, come se fosse incosciente di tutto. In un primo momento pensò e forse stava aspettando qualcuno, ma escluse quell'ipotesi quasi subito. Semplicemente sembrava che se ne stesse lì a fissare il cimitero davanti a lei, ma non sembrava intenzionata ad entrarci, come se stesse prendendo coraggio.
Non poteva dirlo con certezza, ma le mani parevano tremare, prima di stringere più forte il mazzo di fiori già sgualcito e raddrizzare la schiena di colpo. Con un gesto secco la vide lanciarli nel cestino e allontanarsi di fretta.
«Oi, che fai?» la voce di suo fratello lo riportò alla realtà facendogli realizzare che si era alzato in piedi senza nemmeno accorgersene.
«Cosa? Ah.. scusa.» borbottò riportando lo sguardo su Beth e Mike che lo fissavano straniti.
«Ma che ti preso tutto d'un tratto?» gli domandò aggrottando le sopracciglia mentre Ian si rimetteva a sedere chiedendoselo anche lui.
«Niente, mi sembrava di aver visto una persona che conosco.» borbottò pensieroso.
«Scommetto che era una donna, Casanova dei miei stivali.» gli sorrise furbescamente Beth.
«In un certo senso..»


~*~


«Grazie per gli obbiettivi, ti adoro! Anche se il libro per mamma potevi evitartelo, sembrava una quattordicenne quando ha visto l'autografo, uno spettacolo orrendo!
I regali da te sono già arrivati?»
«Non ancora, il corriere ripassa oggi pomeriggio visto che stamattina non mi ha trovata.»
«Anche quest'anno ci sei stata vero?»
«Sì.»
«Dovresti smetterla Amy. Lo dico per te, essere così legata al passato non ti fa bene...»
«Infatti non lo sono.»
«Amy..!»
«È la verità, ora goditi il Natale e non preoccuparti per me.»
«Come se fosse facile.»
«Sono io la sorella maggiore, quello è un mio compito, fa il bravo e non dirlo a mamma.»
«Come sempre..»
Lasciò il cellulare accanto a sé sul divano mentre fissava con uno sguardo spento il soffitto, certe volte suo fratello era davvero troppo intuitivo per essere dell'altro sesso.
Quando suonarono il campanello era ancora lì immobile in stato catatonico. Si alzò svogliata ed andò ad aprire senza nemmeno controllare chi fosse. Quando aprì la porta rimase congelata sul posto, aldilà del cancelletto due occhi verdi la fissavano.
«Buon Natale piccola.» la sua voce era sempre la stessa, il volto aveva qualche ruga in più e si era stempiato, ma lo avrebbe riconosciuto ovunque. Pensava di averlo dimenticato, ma non era possibile, anche dopo tutti quegli anni. Richiuse velocemente la porta senza dire una parola girando la chiave a doppia mandata. Come diavolo l'aveva trovata?
Si passò una mano fra i capelli quasi strappandoseli dalla foga mentre il campanello ricominciava a suonare.
«Vattene, non ho nulla da dirti.» quasi strappò il filo del citofono nella foga di rispondere prima che attirasse l'attenzione dei vicini.
«Andiamo, è Natale, dovresti essere più educata con tuo padre.» la voce gracchiante dall'altra parte della cornetta la fece rabbrividire dal disgusto.
«Quando lo trovi fammelo sapere e ora vattene prima che chiami la polizia.» gli intimò fermamente, neanche un accenno di debolezza nella voce dura.
«Non c'è bisogno di essere così dura, sono qui per farti gli auguri. »
«Non sono credente, ora vattene.»
«Tanto ci rivedremo.» concluse lui prima che potesse riattaccare, con la telecamera puntata sul cancello controllo che se ne fosse davvero andato rendendosi conto forse era più sconvolta di quanto pensasse quando prese il cellulare e scrisse febbrilmente un messaggio. Aveva bisogno di una distrazione, il più presto possibile.
Un'ora più tardi, quando controllò il cellulare dopo aver appoggiato i pacchi in salotto che il corriere aveva finalmente consegnato, arrivò la risposta.

No Miss Ghiacciolo, per me non ci sono festivi. Posso passare per le 23:00, va bene?"
Digitò una riposta telegrafica per poi mettersi a scartare i regali giusto per fare qualcosa e non pensare che, nonostante avesse spento qualunque emozione, quell'unico legame col passato che non riusciva a recidere l'aveva messa in una situazione davvero scomoda.


~*~


Quando arrivò davanti alla casa della ragazza calata la notte da parecchie ore, era un po' in ritardo perché sua madre l'aveva trattenuto più del necessario per sapere chi era quell'amico che doveva andare trovare così a tarda sera. Se n'era uscito con una mezza verità dicendo che era solo a casa dato che i parenti erano lontani e lui andava a fargli compagnia. Ed ora si ritrovava con un vassoio di avanzi poggiato sul posto del passeggero che avrebbe potuto sfamare una famiglia di tre persone per due giorni. Sul sedile posteriore c'era il suo ugualmente grande, quindi era fuori discussione che si portasse a casa tutta quella roba. In fondo l'avrebbe fatta mangiare un po' di cibo vero e basta.
Era una nottata particolarmente gelida, quando finalmente scese dalla macchina venne aggredito dal freddo, facendolo rabbrividire. Si avvicinò al campanello per suonare quando sentì uno scricchiolio sotto la scarpa.
Abbassando lo sguardo rimase perplesso dal notare che era un mazzo di margherite molto simile se non lo stesso che Amelia aveva buttato quella mattina.
Quando lo fece entrare sentì su di sé il suo sguardo indagatore.
«E quello cos'è?» saltò la parte dei saluti come al solito.
«Cibo vero Mylady, sempre che non la offendano gli avanzi di un Cenone Natalizio da popolani.» rispose con un sorriso per nascondere il disagio. Forse avrebbe fatto meglio a lasciarli in macchina e attirarsi le maledizioni di tutti i bambini affamati in giro per il mondo buttandoli piuttosto che darglieli.
«E perché li porti a me?» inarcò un sopracciglio. Con lei non riusciva mai a capire davvero cosa pensasse, anche se avesse dovuto usare l'istinto avrebbe detto che sembrava solo stupita, non infastidita.
«Perchè ne ho troppi e sarebbe uno spreco se andassero buttati, come quel bel mazzo fiori qua fuori.» se c'era una cosa che aveva capito di lei, però, che un ottimo modo per portare la conversazione ad un punto morto era menzionare le sue questioni personali.
«Quale mazzo di fiori?» la vide sbattere le palpebre più veloce del normale mentre il suo corpo si metteva automaticamente sulla difensiva facendo mezzo passo indietro.
«Quando sono arrivato l'ho visto proprio sotto al tuo campanello.» piegò la testa leggermente di lato, non si aspettava una reazione così esagerata.
«Che fiori erano?» sembrava che la cosa la mettesse davvero a disagio, forse erano davvero i fiori che le aveva visto in mano quella mattina.
«Margherite.» non riuscì ad aggiungere nient'altro mentre la guardava ricomporsi.
«Capisco.» si rimise definitivamente la maschera di imperturbabilità lasciandolo un po' interdetto da quei continui repentini cambiamenti. «Dammelo, lo appoggio in cucina.»
Prese il vassoio e lo lasciò a togliersi la giacca mentre spariva dietro la soglia.
Quando la raggiunse la vide che fissava assente fuori dalla finestra, non poté pensare ad altro che distrarla. Sembrava— come dire? Persa.
La prese per le spalle e la fece voltare gentilmente cominciando a baciarla con delicatezza, facendo scivolare le mani sotto il maglione di lana pesante. Quasi subito la sentì lasciarsi andare e ricambiare. Sembrava che cercasse di evadere dalle preoccupazioni e da fantasmi più grandi di lei, non sapeva come facesse a intuirlo, ma ogni volta che chiudeva gli occhi la rivedeva di spalle, mentre se ne stava immobile in mezzo al marciapiede a fissare delle tombe.
Non capiva cosa fosse tutta quella preoccupazione per lei mentre la circondava il polso sottile e la guidava verso il piano di sopra, fermandosi ogni due gradini per baciarsi e spogliarsi a vicenda.
Era diversa solo per il fatto che era molto più vicina alla sua età delle sue clienti e le loro somiglianze finivano lì.
Lui faceva quel lavoro per guadagnarsi da vivere, sfruttando la paura della solitudine degli esseri umani, mentre lei sembrava quasi cercarla come se fosse l'unica salvezza.
Lui passava le feste con la sua famiglia e lei davanti ad un cimitero.
Lei sembrava un pezzo di ghiaccio, ma una delle nozioni che ti insegnano fin da bambini è che quando qualcosa è troppo freddo si può finire ustionati lo stesso. Mentre si buttavano sul suo letto e lei si ostinava a non spostare lo sguardo si sentiva sommerso da quelle due iridi nocciola che lo divoravano sotto le ciglia scure. Sembrava di cadere in un buco nero, attratto inevitabilmente dalla sua forza di gravità.
Non riusciva a spiegarselo, come non riusciva a darsi una motivazione logica sul perché si fosse preoccupato per lei tanto da presentarsi a casa sua qualche giorno prima.
Forse voleva credere che non fosse solo quella ragazzina viziata che sembrava, forse desiderava che non fosse solo una pozzanghera sporca in cui non riusciva a vedersi riflesso, ma un abisso da esplorare.


~*~

«Tu hai mai amato?» le chiese all'improvviso, steso accanto a lei, probabilmente sfruttava la stanchezza per scucirle informazioni. Nonostante la prima regola che aveva imposto era che lui sarebbe dovuto rimanere fuori dalla sua vita privata, inspiegabilmente, rispose.
«Forse.» disse seccamente mentre buttava fuori il fumo.
«Mhm.» mugugnò assorto mettendole addosso una strana sensazione. Fastidio, disagio.. angoscia?
Rimase silenziosa con lo sguardo fisso davanti a sé, fin troppo cosciente della sua presenza accanto a lei, desiderosa di non approfondire l'argomento più del necessario. Che se ne stesse zitto, lo pagava per fare sesso, non per psicoanalizzarla.
«E perché ora non lo fai più?» domandò infine lui voltandosi verso di lei e rubandole la sigaretta dalle mani, per attirarne l'attenzione. Lei si voltò verso di lui con un espressione a cavallo fra sorpresa e l’infastidita, incontrandone così lo sguardo curioso.
«Che vuoi dire?» domandò.
«Lo sai benissimo.» sorrise piegando leggermente le labbra furbescamente.
«No, non lo so.» lo guardò storto mentre lui si fumava quello che rimaneva della sua sigaretta.
«Perché ti rifiuti di amare ancora?» sembrava non avesse paura di parlare d'amore, proprio lui che faceva quel lavoro. Lui che fingeva l'amore per donne tristi e sole.
Lei ci rifletté qualche istante, pensosa.
«Ho smesso di farlo tanto tempo fa, non lo trovo necessario.. o forse semplicemente non ne sono più capace.» rispose fin troppo sincera. Forse lo era stata perché la giornata l'aveva provata più di quanto pensasse. Forse si era illusa di poter chiudere col passato –con la vecchia sé stessa– ma quando il passato si era letteralmente presentato alla sua porta non aveva potuto fare a meno di sentir scricchiolare pericolosamente l'armatura che si era creata per rimanere intoccata dal mondo esterno e dai suoi stessi ricordi.
Rimasero in silenzio, poi la sigaretta finì, lei lo pagò e lui se ne andò, il suo dovere l'aveva fatto, l'aveva distratta. E anche se era cosciente che usava il sesso –usava lui– per non pensare non poté fare a meno di chiedersi che male ci fosse. Anche solo il suo profumo che rimaneva leggero intriso nelle lenzuola la rilassava
Mentre mangiava gli avanzi che gli aveva portato si disse che in fondo era il modo migliore, non faceva del male a nessuno ed entrambi ci guadagnavano.
Se per qualche istante poteva sentirsi viva anche lei era forse sbagliato usarlo quanto più poteva? Alla fine era un'abitudine –non avrebbe mai parlato di “dipendenza" come un ubriaco con l'ennesima bottiglia in mano– molto meno lesiva di molte altre.


Nei giorni seguenti lo chiamò quasi tutti i giorni, a volte si ritrovava a chiedersi dove trovasse tutto quel tempo libero. Certo, si presentava da lei sempre a tarda notte e se ne andava dopo nemmeno due ore, ma non aveva altre clienti? Ogni volta che lo chiamava lui arrivava. Era uscita una sola volta per andare a ballare con le sue campagne di classe, ma a parte quell'episodio si ritrovava a rifiutare qualunque proposta. Usciva lo stretto necessario per comprare le sigarette o buttare la spazzatura. Viveva in un mondo surreale in cui i suoi contatti con l'esterno si riducevano a Ian. E dopo aver fatto sesso c'erano sempre quei dieci minuti in cui lei fumava e lui provava ad estorcerle qualche informazione.


«Come mai non sei con la tua famiglia?»
«Non mi piace la montagna.»


«Ma tu hai degli amici, Miss Ghiacciolo?»
«Conoscenti perlopiù.»
«Perchè?»
«Non mi piacciono le persone.»
«Questa sì che è buona!» una risata sommessa.
«Mhm..»


«Amelia.»
«...»
«Amelia..?»
«...»
«..Mel?»
«Mel?»
«Pensavo ti fossi addormentata.»
«No, ma— ”Mel"?»
«Chiamarti per nome è troppo lungo quando devi ripeterlo trenta volte per farti considerare. »
«Come ti pare. Comunque che volevi?»


«Come mai odi le persone?»
«Non ho mai detto che le odio, solo non mi piacciono.»
«E non è la stessa cosa in sostanza?»
«No, per odiare qualcuno prima devi averlo amato.»
«Ne sei sicura?»
«Sì, lo sono.»
«...»
«...»
«..forse hai ragione.»

Capodanno era arrivato e passato. Lei era stata ad una festa in una villa dei tanti ragazzi ricchi che l'avevano organizzata, si era ubriacata ed era finita in una stanza con un tizio di cui ricordava a malapena il nome. Anche quella volta era stato insoddisfacente, non capiva perché, ma nessuno sapeva trasmetterle quel calore che Ian riusciva a infonderle anche solo sfiorandola facendo sparire qualunque cosa anche solo per poco. Se n'era andata all'alba con un taxi e la sera lo aveva chiamato.
Non sopportava l'idea di esserne così dipendente, ma allo stesso tempo non riusciva a farne a meno.
Lui si era presentato sorridente come al solito a mezzanotte passata ed era rimasto quasi fino al sorgere del sole.


Due giorni dopo l'aveva richiamato e mentre lo aspettava aveva deciso di andare a prendersi le sigarette al distributore dietro l'angolo visto che le stava finendo, quando tornò lo trovò già davanti al cancelletto, appoggiato alla macchina parcheggiata proprio lì davanti.
«Eccoti finalmente.» l'accolse mettendosi dritto.
«Ero andata a prendere le sigarette.» scrollò le spalle oltrepassandolo per aprire il cancelletto. Aveva già infilato le chiavi nella toppa quando una busta nella cassetta delle lettere la distrasse dal blaterare di lui sul fatto che fumava troppo.
La tirò fuori rigirandosela fra le mani mentre attraversava il vialetto: non aveva francobollo ed era completamente bianca, qualcuno doveva averla consegnata a mano poco prima, dato che era infilata nella cassetta solo per metà e quando era uscita non l'aveva notata.
«Hai visto chi l'ha lasciata?» chiese al suo accompagnatore alle sue spalle mentre infilava le chiavi nella porta d'ingresso.
«Cosa?»
«Questa busta.» gliela mostrò una volta entrati.
«No, era già lì quando sono arrivato.»
«Okay, fai quello che vuoi, io arrivo subito.» dopodiché senza nemmeno togliersi la giacca andò in cucina per aprirla. Aveva un brutto presentimento.
Strappò la carta senza troppa delicatezza: dentro c'era un foglio bianco ripiegato in quattro con sopra il suo nome scritto in biro blu.
Lo aprì rimanendo impassibile mentre leggeva le poche righe scritte con una grafia spigolosa e quasi illeggibile.
«Brutte notizie?» Ian apparve sulla soglia con uno sguardo corrucciato. Lei scosse la testa cominciando a fare a pezzi il foglio.
«No, solo pubblicità.» buttò i pezzetti nel cestino assieme alla busta e poi lo superò svelta andando verso le scale.
«Allora? Non vieni?» gli chiese con un piede già sul primo gradino.
«Spero proprio di sì.» sorrise da solo a quella battutina da tredicenne demente facendole alzare gli occhi al cielo.
Nel letto si aggrappò a lui graffiandolo, mordendolo, tenendo gli occhi serrati perché era sicura che se l'avesse guardata attentamente avrebbe notato che c'era qualcosa che davvero non andava. Per niente.
Lui rispondeva al suo corpo, ai suoi bisogni, avvolgendola in quel calore in cui si crogiolava per quei pochi istanti di distrazione senza conseguenze.
Dopo rimasero ancora qualche istante stretti, come se avesse capito che ne aveva bisogno, che aveva bisogno di qualcosa che la facesse sentire viva e non solamente vuota e stanca, soprattutto quella sera. Quando si spostò senti un gran freddo raggiungerle le ossa. Riaprì gli occhi lentamente vedendolo mentre frugava fra i vestiti ammucchiati ai piedi del letto per poi tornare al suo fianco.
Aveva preso l'abitudine di aprirle tutti i pacchetti per capovolgerne una. Lei lo lasciava fare.
«Bagno.» gli comunicò quando le rivolse uno sguardo interrogativo vedendola alzarsi.
«Io intanto l'accendo.»
«Puoi prenderne una per te se vuoi, eh.»
Non sentì la risposta perché passando davanti alla finestra le era parso di vedere un'ombra sotto il lampione, lasciandola impietrita a fissare la strada vuota. Probabilmente era stata la stanchezza, però—
«Mel?» la sua voce la riscosse e senza guardarlo girò intorno al letto e si chiuse in bagno.
Quando tornò a letto lui la osservò attentamente passandole la sigaretta già accesa. Quella fu la prima sera in cui non disse nulla, ma si sentiva il suo sguardo trapanarle il cranio.
Quando spense il mozzicone nel posacenere si alzò come al solito, ma invece che rivestirsi subito, sparì in bagno anche lui.
Si accoccolò sotto le coperte calde rivolta verso la porta chiusa aspettando che uscisse dargli i soldi e vederlo andar via.



*equilibrio / zavorra / zavorrare

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Capitolo 7
*** #06 — AFTERMATH ; Passato e Presente. ***


#06 – AFTERMATH ;

Passato e Presente.


C'è una storia dietro ogni persona. C'è una ragione per cui loro sono quel che sono. Loro non sono così perché lo vogliono.
Qualcosa nel passato li ha resi tali e, alcune volte, è impossibile cambiarli."

Sigmund Freud


La suoneria di un cellulare si introdusse nel suo sonno agitato facendole spalancare gli occhi di colpo. Si srotolò dalle coperte per sporgersi dal bordo del letto frugando nel mucchio di vestiti ai suoi piedi.
«Pronto?» biascicò mentre strisciava sulla pancia per tornare sul letto.
«Ti ho svegliata tesoro?»
«Mhn, no—» si fermò a fissare perplessa il mucchio di vestiti per terra notando un paio di jeans e una maglietta più in là. «cioè, sì, ma tranquilla.»
«Ti godi le vacanze dormendo fino a tardi, e i compiti?» la voce di sua madre sembrava divertita nonostante il rimprovero.
«Mi hai chiamata di prima mattina per chiedermi se ho fatto i compiti?» non riuscì ad ammorbidire il tono critico.
«Non rivolgerti così a tua madre.» la sentì distintamente trattenere un sorriso, come se ce l'avesse davanti. «Comunque ti ho chiamata per dirti che anticipiamo il rientro a dopodomani, a quanto pare ci sarà una tempesta di neve o una bufera.. Non so nemmeno se sono la stessa cosa, so solo che mi rifiuto di rimanere quassù bloccata anche se Francesco e tuo fratello sembrano trovarlo divertente.»
«Immagino..» borbottò sommersa dal fiume di parole.
«Ti mando la lista della spesa, tanto immagino che non ci sia niente in casa.»
«Okay, okay, tanto domani Carla dovrebbe tornare dalle vacanze, la faccio fare a lei.» rispose distrattamente mentre, dirigendosi verso il bagno, studiava i vestiti non suoi sparsi per il pavimento.
«Forse è meglio visto che non hai la macchina.. La chiamo io dai, lascia stare.»
«Okay.»
La chiamata durò il tempo necessario per andare al bagno, mettersi qualcosa addosso e rassicurare sua madre sul suo stato di salute, la salutò in cima alle scale, chiedendosi se fosse davvero preparata a scoprire cosa c’era al pian terreno.
Lo trovò in cucina, che –in boxer– curiosava nel suo frigo come se nulla fosse.
«Buongiorno.» lo vide sobbalzare quando la sentì.
«Oh, buongiorno.» le sorrise spuntando con tutti i capelli arruffati da dietro l’anta. «Non hai proprio nulla da mangiare per colazione, ma la fai mai una spesa decente?»
«Diciamo che non è nel mio ambito di competenza.» gli si avvicinò allungando un braccio per prendere la bottiglia d’acqua. «Come mai sei ancora qui?»
«Ieri sera sono crollato, come te d'altronde, quando sono uscito dal bagno eri già nel mondo dei sogni e sembravano piuttosto agitati.»
«Non importa, basta che non pretendi di farti pagare la notte intera.» si allontanò per appoggiarsi con la schiena all’isola e bere. La notte prima, grazie alla lettera che aveva ricevuto, era stata tormentata dallo stesso incubo che spuntava ogni volta che era vulnerabile.
«Non sarei mai così meschino.» chiuse il frigo e le sorrise radioso, quel buon’umore mattiniero la infastidiva. Come si fa ad essere così allegri quando si è appena scesi dal letto? «Ora vestiti però, andiamo a fare colazione fuori.»
«Perché?» inclinò la testa leggermente da un lato perplessa.
«Perché io ho fame e tu devi fare una colazione decente, tranquilla, ognuno paga per sé.» la verità era che non sapeva perché avrebbe dovuto dire di no. Cioè, lo sapeva, ma non trovava una motivazione valida per cui una colazione avrebbe distrutto quell’equilibrio precario che avevano creato. In fondo sarebbe uscita lo stesso a fare colazione perché nel frigo non aveva più latte né nulla da mangiare. Quindi perché no?
«Ci mancherebbe solo che ti offra la colazione con quello che ti pago.»
«È un sì?» sembrava sorpreso, come se non si aspettasse che lei sarebbe effettivamente venuta. Sembrava piacevolmente sorpreso.
«Ho fame e come tu mi hai fatto gentilmente notare il frigo è vuoto.» scrollò le spalle uscendo dalla cucina, chiedendosi se si fosse dovuta sorprendere anche lei di aver accettato senza indugi.
Dopo essersi preparati alla bell’e meglio ed essersi coperti per bene dato il cielo scuro che minacciava pioggia a catinelle salirono nella macchina di Ian diretti al bar più vicino.
«Mi aspettavo un’auto più vistosa da parte tua, comunque.» disse Amelia allacciandosi la cintura di sicurezza. Non che ci capisse molto di auto, distingueva a malapena una Smart da un SUV, ma insomma, ad occhio poteva dire quali fossero le auto che gli uomini prendevano per compiacere e spargere il proprio testosterone e quali per utilità.
«Come mai?» sorrise lui mettendo in moto.
«Beh, non è che tu non ti possa permettere una—» rifletté un secondo su quali fossero le auto che aveva visto più spesso nel girone dei dannati che era l’alta società. «Porche, per esempio.»
«Sono scomode e troppo basse, se voglio correre lo faccio in moto.» era un guidatore attento, nonostante chiacchierasse con nonchalance con lei non si lasciava sfuggire nulla della strada. «Senza contare che mia madre si chiederebbe come fa uno che salta da un lavoro a tempo determinato all’altro a permettersi un auto che vale più della sua stessa casa.»
«Mi sembrano entrambe buone motivazioni.. quindi hai una moto?» parlare con lui di quelle piccole cose mentre attraversavano la città nebbiosa su cui cominciava a piovigginare le sembrava quasi la cosa più normale del mondo. Forse era perché lo pagava, forse perché lui era davvero bravo in ciò che faceva, ma la faceva sentire a suo agio, come se avesse il controllo della situazione e potesse finalmente lasciarsi un po’ andare.
«Sì, mi sarebbe piaciuta una Harley, ma sai com’è, credo che non riuscirei nemmeno a tenerla in piedi senza contare che non ho un garage dove metterla.»
«Capisco. Nonostante mi sia sempre piaciuto andare in moto preferisco di gran lunga essere il passeggero di qualcuno di cui mi fido che il guidatore, sono troppo veloci e instabili per me.» lo disse come se stesse quasi parlando con sé stessa, con lo sguardo perso fuori dal finestrino appannato veniva assalita dai ricordi, le vecchie abitudini. Lei che apriva le braccia e con la testa all’indietro urlava sul retro di un motorino, il suo amico che guidava che rideva a crepapelle, il sole sopra di loro che li abbagliava, il brivido della libertà.
«In poche parole non salirai mai su una moto in vita tua.» questa frase la fece voltare verso di lui e lui distolse lo sguardo che aveva posato su di lei per qualche istante.
Lo fissò intensamente mentre i ricordi sbiadivano tornando al loro posto, rinchiusi da qualche parte in cui non sarebbe andata a scavare di nuovo.
«No, ora no, ma una volta sì. Era divertente.» mormorò assorta fissandolo intensamente. Lui s’immise in un parcheggio davanti al bar dove avevano fatto colazione anche quella mattina in cui gli aveva proposto il secondo accordo.
«Quindi una volta avevi degli amici, Miss?» rispose al suo sguardo quando ebbe sfilato la chiave. Quelle pozze blu così tranquille avevano un potere magnetico su di lei, forse si stava abituando troppo in fretta alla sua presenza.
«Immagino che si possa dire così.» scrollò le spalle slacciandosi la cintura e distogliendo lo sguardo, desiderosa di poter evitare il discorso il più possibile. Non aveva lottato per diventare quella che era ora solo per tornare la nostalgica ragazzina troppo sensibile da essere spezzata da una parola sbagliata da parte della persona giusta, da un ricordo al momento sbagliato. Ian scese veloce e fece il giro della macchina per aprirle la portiera.
«Uh, quindi una volta eri un comune essere mortale come tutti noi, buono a sapersi.» le sorrise da sotto la pioggerella fitta e sottile che gli inumidiva e scompigliava ancora di più i capelli corvini.
«Buono a sapersi..?» lo guardò perplessa scendendo dall’auto a sua volta, passandosi una mano fra i capelli distrattamente. Ian schiacciò il bottone sulle chiavi facendo chiudere le portiere e le si piazzò davanti con un espressione serafica che le faceva sempre temere di scoprire cosa pensasse davvero quel ragazzo.
«Sì, vuol dire che sei un essere umano.» sorrise con semplicità a pochi centimetri dal suo viso mettendola curiosamente a disagio, come se tutta quella situazione fosse estremamente sbagliata. Come se ci fosse una nota stonata quanto delle unghie che sfregano su una lavagna.
«Solo perché non mi comporto come secondo te dovrebbe fare una ragazza della mia età non vuol dire che non sia umana.» inarcò un sopracciglio infastidita da quelle battutine più di quanto avrebbe dovuto.
«Io non ho la più pallida idea di quanti anni tu abbia, a dire il vero, ma so che non è tutto come sembra con te.» quella risposta la lasciò basita ferma vicino all’auto mentre lui con tutta la tranquillità del mondo si dirigeva verso la porta del bar e la teneva aperta per lei, aspettandola.
Lo guardò per qualche istante sospettosa, come un animale selvatico che valuta quante probabilità ci sono che gli stiano tendendo una trappola, poi i suoi piedi si mossero da soli e con lo sguardo fisso davanti a sé lo superò, sicura che le sarebbe stato dietro.
«Allora, che cosa prendi?» le domandò appoggiando la giacca di pelle alla sedia di fronte a quella che aveva occupato lei.
«Cappuccio e brioche.» stette bene attenta a non incrociare il suo sguardo.
«Okay, alla marmellata giusto?» accidenti a lui. Con quella domanda la sorprese facendola scattare verso di lui, come faceva a sapere? Giusto, la colazione che avevano fatto quasi un mese prima, ma.. come faceva a ricordarsi un dettaglio così insignificante?
«Sì.» quell’unica sillaba le sfuggì dalle labbra spaccate sotto forma di un ringhio indispettito, facendole guadagnare un’occhiata divertita da parte dell’uomo che sembrava aver capito cosa la infastidiva tanto.
«Arrivo subito.» detto questo andò al bancone a parlare con la ragazza bionda della volta precedente lasciandola a guardarsi attorno distrattamente. C’erano più avventori della volta precedente, forse perché erano quasi le undici e non presto come l’altra volta. Si ritrovò attratta come una calamita ad osservare di nascosto Ian che chiacchierava e rideva con la ragazza, inducendola ad interrogarsi su quale rapporto avessero quei due, se lei sapesse che lavoro faceva davvero quell’uomo così affascinante. Se lei sapesse chi era lui davvero.
In fondo lei stessa lo sapeva? Certo, non si conoscevano intimamente nel senso tradizionale eppure sentiva che quel legame puramente fisico che avevano costruito era qualcosa di diverso, di talmente diverso da non infastidirla. Non c’era amore, sentimenti, non era legata a lui se non per il sesso ed anche se ne aveva bisogno forse il fatto di essere lei stessa a condurre il gioco riusciva a calmarla. Con molta probabilità, anche se il rapporto includeva il fatto che i due si usassero reciprocamente, proprio perché entrambi erano a conoscenza di ciò rendeva quella situazione assolutamente gestibile e accettabile. Giusta.
Non ci sarebbe mai stato niente di più e per questo poteva permettersi di starsene lì a fare colazione con quel ragazzo senza temere nulla, senza temere tutto.
«Ora arriva tutto.» la riscosse dai suoi pensieri Ian sedendosi davanti a lei con un sorriso smagliante. Sentì una strana stretta alla bocca dello stomaco, doveva essere davvero molto più affamata di quanto pensasse.
«Va bene.» rispose distrattamente tirando fuori il cellulare per controllare i messaggi.
«Tutto bene?» lui era uno dei pochi che riusciva a sorprenderla intuendo i suoi stati d’animo, non capiva bene come facesse. Si ritrovò ad alzare di nuovo lo sguardo incontrando il suo concentrato su di lei.
«Perché?»
«Una sensazione.» scrollò le spalle mantenendo il contatto visivo.
«Capisco.»
«Allora?»
«Cosa?» poggiò il cellulare di fronte a lei, sul tavolino, sentendosi studiata ad ogni minima mossa.
«Allora va tutto bene?»
«Non ti arrendi mai, vero?» si passò una mano fra i capelli lanciandogli un’occhiataccia.
«Mai.» sorrise con semplicità facendole chiedere da quale girone dell’inferno l’avessero mandato per tormentarla.
«Peccato.»
La bionda le risparmiò di rispondere arrivando con un vassoio carico delle loro ordinazioni. Poggiò due brioche con delle gocce di cioccolato sopra davanti a lui, i cappuccini e un croissant davanti a lei.
«Ecco a voi, dovresti seriamente mangiare di meno.» sorrise la ragazza fissando Ian, fingendo un tono di rimprovero.
«Perché mai se non ingrasso?»
«Fottiti.» quella risposta diretta fece sorridere sotto i baffi Amelia ancora prima di rendersene conto. Nonostante si ricompose in fretta quell’espressione non sfuggi all’uomo di fronte a lei che le sorrise a sua volta complice.
«Allora non sai fare solo smorfie disgustate!» commentò allegramente avvicinando a sé la tazza e il piattino con sopra la sua colazione.
«Sono completamente d’accordo su quello che ti ha detto la tua amica.»
«Che dovrei mangiare di meno?»
«No, che dovresti andare a farti fottere.» questa risposta detta con un tono assolutamente calmo e diplomatico lo fece scoppiare a ridere attirando diversi sguardi.
Amelia sbuffò e addentò la sua colazione chiedendosi ancora una volta perché fosse lì.

Wanderwall" degli Oasis cominciò a risuonare dalla giacca del ragazzo che estrasse velocemente il cellulare dalla tasca e rispose senza nemmeno guardare chi lo stava chiamando.
Senza farci nemmeno tanto caso, la ragazza si ritrovò ad ascoltare la conversazione mangiando la sua colazione.
«Sono qua da Beth con un’amica adesso.. Beh sì, ma dopo.. Okay, okay.. Tranquillo, non ho intenzione di assalire la tua promessa sposa..» una risata sommessa, il caffè che si raffreddava e lei smise di ascoltare disinteressata guardandosi intorno.
C’era una coppia di anziani che discuteva animatamente dall’altra parte del bar, un ragazzo che sembrava pendere da un cellulare che rimaneva spento appoggiato vicino ad una tazzina vuota e una brioche intoccata, due ragazzine che potevano avere al massimo quindici anni che ridevano allegramente e un signore anziano che leggeva la Gazzetta dello Sport. Erano tutti lì, con le loro vite, il loro passato, tutti intrecciati da un destino comune che li portava in quel bar, senza nemmeno notarsi a vicenda perché troppo occupati dai problemi di tutti i giorni. Tanto tempo prima si divertiva ad immaginare quale potesse essere la storia di ogni persona che incrociava per strada, le loro esperienze, i loro pensieri. Era una persona curiosa che fin da piccola voleva sapere tutto per pura curiosità.
Contrapporre quell’immagine di sé stessa a quella del presente faceva male per la distanza che si era creata fra quelle due persone, diametralmente opposte. La differenza fra lei e quella ragazzina che ad un certo punto era arrivata ad un punto in cui non sapeva più nemmeno lei dove arrivava la finzione, sospesa fra ciò che gli altri vedevano e il nulla che era dentro. E rideva, senza farlo mai davvero, parlava fino a non sentirsi più lei stessa.
Tutto, tutto per non sentire il silenzio che urlava sordo dentro di lei.
«Mel?» come succedeva spesso in quei giorni fu Ian a richiamarla alla realtà, la cui frequentazione aiutava a lenire i ricordi che cercavano di risalire a galla.
«Sì?» riportò lo sguardo su di lui che aveva terminato la chiamata e appoggiato il cellulare sul tavolino.
«Mi sbaglierò, ma c’è un uomo seduto fuori che continua a fissarti.»
Non fece in tempo a finire la frase che la sua testa scattò, sapeva già che cosa avrebbe visto, chi avrebbe trovato, ma sperava fino all’ultimo che non fosse vero. Eccolo lì, con un bicchiere davanti che la osservava da uno dei tavolini esterni con un sorrisetto sfrontato, quegli occhi verde bottiglia che la scorticavano come carta vetrata sulla pelle.
«Lo conosci?»
«No, sarà solo un ubriacone a cui piacciono le ragazze giovani.» scrollò le spalle mantenendo il controllo sulla propria voce, tutta la leggerezza di poco prima era sparita.
«Vuoi che gli dica di smettere?» la fissò con uno sguardo indecifrabile, facendola scoppiare suo malgrado in una risatina che suonava falsa persino alle sue orecchie.
«Ora anche il ruolo di cavaliere senza macchia fa parte del pacchetto?»
«Come ti pare.» sembrava irritato da quel rifiuto così netto, ma non se ne curò più di tanto, sentendosi osservata come una cavia da laboratorio.
«Vado.» dopo qualche istante di silenziò finì di bere il proprio cappuccino lasciando pressoché intoccata la brioche e si alzò di scatto, poggiando i soldi sul tavolo.
«Okay.» la guardò stranito il ragazzo, capendo che non lo voleva con sé.
Si infilò la giacca e uscì in fretta, sperando che non la seguisse, non disse un’altra parola ad Ian e lui nemmeno, anche se lo sentì mentre la seguiva con lo sguardo. Oppure era solo una sua ossessione quella di sentirsi osservata?
Camminava veloce, con le mani in tasca, diretta al supermercato più vicino per prendere qualcosa da mangiare e trovare un luogo neutro per affrontare l’uomo che la seguiva a passo svelto facendo rumore quando finiva in una pozzanghera formatasi sul marciapiedi sconnesso.
Una volta nel parcheggio del discount superò con passo sicuro un angolo più nascosto dietro a dove tenevano i carrelli e si accese una sigaretta appoggiata al muro, aspettando che la raggiungesse.
«Pensavo che non ti saresti fermata più.» infatti eccolo, con quella sua voce strascicata che tanto odiava.
«Io non scappo, cosa vuoi?» lo fulminò con lo sguardo mentre se ne stava anche lui con le mani in tasca sotto la pioggerellina leggera che aveva iniziato a cadere, a fissarla.
«Mi sembra di averlo messo nero su bianco, oppure non hai ricevuto la mia lettera?»
«Quella in cui mi chiedi di darti più soldi di quanti possieda?» inarcò un sopracciglio mantenendo una calma glaciale. La verità era che in quel momento una parte di lei avrebbe voluto urlare, gridare e dimenarsi, piangere a dirotto. Avere dei sentimenti da riversare sopra quell’essere che l’aveva fatta a pezzi, invece rimaneva lì, bloccata in un limbo in cui si era rifugiata una volta in cui aveva fatto troppo male per respirare e non ne era più uscita. Non avrebbe più mostrato debolezza, né rabbia, né odio, perché non aveva più nulla. Solo quel vuoto in cui poteva distintamente sentire l’eco del suo battito cardiaco regolare.
«Andiamo, ho visto in che bella casa vivete, sono sicuro che i soldi li hai, lo sai che mi servono.» le si avvicinò di un passo. Anche se era ancora troppo lontano per sentire il suo odore riusciva ad immaginarselo, le era rimasto impresso nella mente quel misto di dopobarba alla menta troppo forte, alcool, sudore e fumo. Tutto ciò che aveva amato di suo padre era soffocato in quell’odore nauseante, sporco.
«Anche se li avessi non te li darei e in ogni caso non hai nessun diritto di chiedermeli, saresti tu a dovermi dare gli alimenti.» cercò di imprimere il disgusto in ogni singola parola che sputò fuori. Lui si accigliò, come se avesse appena detto la stronzata del secolo.
«È stata tua madre a cacciarmi di casa, se vuoi lamentarti con qualcuno fallo con lei.» sputò fuori pieno di risentimento.
«E io l’ho aiutata, questo non ti da il diritto di venire a chiederci di saldare i tuoi debiti.»
«Tu sei mia figlia, hai il dovere di aiutare tuo padre, ho dato tutto per te.» si avvicinò ancora di un passo e lei dovette farsi forza per non indietreggiare disgustata.
«Mio padre è morto.» ringhiò raddrizzandosi, la sigaretta che ormai fradicia si era spenta da tempo fra le sue dita. «Sono stata ad ascoltarti per dirti solo questo: osa ancora avvicinarti a casa mia, alla mia famiglia e finirai molto peggio di come ti conceranno gli strozzini con cui sei andato ad impantanarti quando tornerai da loro a mani vuote.»
Dritta davanti a lui gli arrivava a malapena alle spalle, aveva preso l’altezza dalla madre come quasi tutti i suoi tratti e li portava orgogliosamente davanti a quell’uomo che aveva tentato di distruggerli per anni.
«Non osare parlare così a me ragazzina, sei uguale a quella stronza di tua madre.» ormai riusciva a sentire il suo odore per quanto si era avvicinato ed era come lo ricordava, notò con una smorfia di disgusto. Quell’uomo era ciò che rimaneva dell’uomo affogato nei vizi che una volta era suo padre. «Tua madre mi deve quei soldi e se non me li darai tu, me li darà lei.»
«Io ti ho avvertito, stalle lontano o ti ammazzo.» rispose glaciale per poi superarlo a passo svelto, buttando la sigaretta per terra. Non riuscì a fare nemmeno un passo che sì senti stringere con forza il braccio.
«Dove credi di andare?» la strattonò riportandola indietro con uno sbalzo che quasi la fece cadere. Poteva fare la dura quanto voleva, ma era alta un metro e un tappo e pesava poco più di 50 chili, per quanto lui fosse magro e malmesso era sempre più forte di lei.
«Lasciami andare.» la sua voce calma sembrava quasi surreale in quel contesto, la pioggia aveva smesso di cadere, ma il cielo continuava ad essere plumbeo nascondendo la luce del sole.
«Altrimenti cosa fai? Mi ammazzi?» scoppiò a ridere duramente l’uomo. Sembrava delirante.
«Mel!» sentì urlare il proprio nome e in un attimo l’immobilità si spezzò, come se non fosse nemmeno lei a muovere il proprio corpo sfilò il braccio dalla sua presa che si era allentata quando aveva sentito la voce alle proprie spalle e gli sferrò un pugno dritto sul naso. Lui cadde come un sasso sull’asfalto alle sue spalle visto il suo equilibrio reso instabile dall’alcol con una mano davanti al viso sporca di sangue.
«Mel, stai bene?» vide Ian correre verso di lei da dietro l’angolo con un’espressione sconvolta mentre sentiva la propria mano pulsare dolorosamente.
«Cosa cazzo ci fai qui?» lo aggredì non appena fu al suo fianco.
«Beth mi ha detto che l’ha visto seguirti e sono venuto, sai per—» sembrava confuso, di sicuro quella non era la reazione che si era aspettato da parte di un’ideale donzella in pericolo.
«E hai pensato bene di venire in mio soccorso sul tuo cavallo bianco? Spiacente, so cavarmela da sola.» ringhiò nella sua direzione interrompendolo. Lanciò un’ultima occhiata all’uomo che cercava di alzarsi da terra barcollando mentre inveiva contro di lei e poi si allontanò a passo svelto ignorandolo, con Ian alle calcagna.
La seguì ad un passo di distanza silenziosamente, non protestò per la sua accoglienza poco calorosa o le chiese spiegazioni. Semplicemente la seguì e doveva ammettere con sé stessa che in qualche modo la sua presenza la tranquillizzava e irritava al tempo stesso. Entrò nella prima farmacia che trovò sulla strada, sempre con la sua scorta alle spalle e prese del ghiaccio istantaneo da uno scaffale per poi continuare verso la cassa.
Vide l’uomo affiancarla mettendosi in fila per quella vicina con qualcosa in mano, forse avevano fatto solo la stessa strada e non l’aveva seguita dopotutto. Non capiva se doveva sentirsi delusa o sollevata da quella conclusione.
Pagò e uscì senza aspettarlo, dirigendosi verso casa, si sarebbe fermata dal primo droghiere per prendere qualcosa per il pranzo, il discount era fuori questione.
Quando uscì dal negozio se lo trovò lì davanti, con una busta della farmacia che gli pendeva dalla mano la aspettava silenziosamente. Gli lanciò un’occhiata impenetrabile e poi continuò per la propria strada. Arrivata al cancellino le fu chiaro che non avrebbe mollato.
Sempre senza dire una parola aprì il cancellino e poi la porta dell’ingresso facendolo abbastanza lentamente da lasciargli il tempo di seguirla, forse voleva solo i soldi della sera prima e poi se ne sarebbe andato.
Poggiò la busta della spesa in cucina e si sedette su uno sgabello vicino all’isola, lui restò immobile sulla soglia della stanza, fissandola silenzioso.
Nonostante avesse voluto chiedergli dei soldi e mandarlo via le parole le si fermarono in gola, aprì le labbra una volta e le richiuse senza emettere un fiato. Distolse in fretta lo sguardo e si applicò con la mano dolorante ad aprire la confezione che aveva preso in farmacia, ignorandolo.


~*~


La osservò silenziosamente mentre lo ignorava con testardaggine. Dal momento in cui l’aveva aggredito quando era corso in suo soccorso aveva capito di aver superato inavvertitamente uno delle tante linee di confine che lei aveva tracciato.
La proposta è questa: quando ho bisogno— dei tuoi servizi ti chiamo, tu rispondi e poi te ne vai. Niente domande o intromissioni nella mia vita privata.”
Quelle erano state le esatte parole che aveva detto, non si atteggiava da dura, non era una finzione perché da lui voleva che abbattesse quelle barriere. Quando l’aveva incontrata la prima volta aveva pensato che fosse pazza, completamente pazza e machiavellica. Pagare un uomo per perdere la verginità come e quando voleva lei. Una maniaca del controllo calda come un ghiacciolo e anaffettiva come solo Crudelia Demon poteva essere. E quando quella sera si era presentato alla sua porta per compiere il suo dovere lei non aveva fatto nulla per fargli cambiare idea.
Eppure c’era qualcosa di più. Non poteva fare a meno di continuare a ripetersi quella frase nella sua testa, spuntava sempre nei momenti più inopportuni.
Quella convinzione forse l’aveva spinto ad andare a prendersi cura di lei quando era malata e chiederle di lei quando abbassava di poco la guardia dopo il sesso. Piccole briciole, indizi su chi era davvero eppure non la capiva ancora. Non riusciva a trovare una motivazione perché lei si comportasse così, perché aveva allontanato così la propria umanità. Non poteva comportarsi così freddamente solo con lui, nonostante avesse notato che si era sciolta un po’ bastava un battito di ciglia, una parola sbagliata e tornava a rifugiarsi dietro quel muro d’acciaio che si era creata.
Quello che aveva visto quella mattina forse spiegava qualcosa di quel suo comportamento e lo legava ancora più strettamente a quella ragazza che lo usava per dimenticare, per fuggire da sé stessa.
Quello che nascondeva con le parole e con i gesti veniva fuori mentre facevano sesso, nel sonno agitato che la sera prima lo aveva spinto a fermarsi a dormire e stringerla mentre tremava come una bambina, inconsapevole.
Quello che l’aveva spinto a seguirla a piedi lasciando l’auto quasi dall’altra parte della città, solo perché pensava che potesse avere bisogno di aiuto.
Sapeva che lei non lo voleva lì, ma non poteva lasciarla andare.
«Lascia.» fu la prima parola dopo un’ora di silenzio, le si avvicinò e poggiò la busta della farmacia che aveva ancora con sé lì accanto, poi le sfilò la scatola di cartone contro cui stava lottando senza successo. L’aprì e spaccò il ghiaccio sintetico contro il banco dell’isola, agitandolo e poi porgendoglielo.
Lei incontrò il suo sguardo per un attimo e poi lo prese, poggiandolo sulla mano le cui nocche erano sbucciate e stavano assumendo un colore violaceo.
«Non devi rimanere qui.» mormorò assorta mentre si guardava le mani. Era interpretabile come un “Non ho bisogno di te, non ho bisogno della tua pietà". Nonostante questo lui scosse la testa serio.
«Non ho nulla da fare.»
«Non serve.» insistette alzando lo sguardo, aveva un’espressione che era definibile solo come vuota, sembrava completamente svuotata dall’astio con cui aveva affrontato quell’uomo.
«Lo so, ma resto comunque, mi piace darti fastidio.»
«L’avevo notato.»
Restarono ancora qualche istante a guardarsi negli occhi e poi lei abbassò di nuovo lo sguardo, persa di nuovo nei suoi pensieri. Era come se nella sua forza sembrasse estremamente fragile. L’aveva raggiunta di corsa, appena in tempo per sentire le ultime frasi da dietro l’angolo, lei sembrava cavarsela bene con quello che a quanto pareva era suo padre e aveva deciso di rimanere lì e non intervenire se non in caso di bisogno. Era preoccupato per quella ragazzina alta quanto un nano da giardino che sembrava incurante del rischio che correva, era assurdo, ma era preoccupato.
Quando aveva sentito la situazione degenerare non aveva potuto fare altro che provare ad aiutarla, solo per vederla stendere lo stronzo con un pugno.
Lo sguardo che aveva lo aveva bloccato, sembrava come se non ci fosse altro che odio dentro di lei. In quel momento ci aveva creduto davvero a quella minaccia che aveva fatto all’uomo a terra, era perfettamente plausibile, che l’avrebbe potuto ammazzare senza provare nulla. Nell’istante in cui l’aveva pensato si era dato dell’idiota, ma quel dubbio strisciante rimaneva.
Era finita così perché l’odio aveva consumato tutto il resto? Era davvero così semplice?
Rimasero in silenzio, lei con lo sguardo basso persa nei suoi pensieri e lui che la guardava. Sfilò dalla busta di plastica la pomata e la garza che aveva preso e con delicatezza le tolse il ghiaccio dalla mano.
Lei incontrò il suo sguardo senza dire una parola e lo lasciò fare mentre teneva la sua mano piccola e fredda fra le sue, le applicava l’antinfiammatorio e la fasciava.
«Non è un po’ esagerato per un paio di sbucciature?» aveva la voce rauca, forse dovuta ai capelli bagnati e al lungo silenzio.
«Forse, ma è sempre meglio esagerare che non fare abbastanza.» scrollò le spalle senza dire altro, continuando a tenere la sua mano fra le sue.
«Mhm.» non disse altro, scendendo dallo sgabello lentamente e avvicinandosi a lui mantenendo il contatto visivo e fra le mani.
Cominciò a baciarlo e sospingerlo dolcemente verso il soggiorno, dove sapeva che avrebbe trovato il divano e lui non poté fare a meno di darle ciò di cui aveva bisogno, anche se sapeva lui per primo che non era che un altro modo per scappare dai problemi, dalle domande, dalle spiegazioni. Un modo per riempire il vuoto che sembrava circondarla.
Non voleva salvarla, non sapeva nemmeno come si faceva, ed era convinto che se una persona non vuole essere salvata non c’era nulla da fare, ma allo stesso tempo non poteva mollare la presa. Anche se non se ne rendeva conto lei lo attraeva come una forza magnetica che gli impediva di lasciarla sola a sé stessa.








Note dell’autrice: eccomi con un nuovo capitolo, cerco di andare più alla svelta possibile con gli aggiornamento impegni permettendo.
Mi farebbe davvero piacere sentire la vostra opinione a riguardo, per come sta andando, se vi sta piacendo, se c’è qualcosa che non quadra o che non va secondo voi, le critiche sono sempre ben accette.
Vorrei ringraziare chi sta leggendo fin’ora, anche silenziosamente, per il tempo che state dando alla mia storia e chiunque stia seguendo, preferendo o ricordando.
With love. :)

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Capitolo 8
*** #07 — POWDER ; Fantasmi e Orme. ***




#07 – POWDER ;

Fantasmi e Orme.




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Questa è la vera natura della casa: il luogo della pace; il rifugio non soltanto da ogni torto, ma anche da ogni paura, dubbio e discordia."
John Ruskin, “Sesamo e gigli"

Avevano fatto sesso fino a tarda notte, con lei che gli affondava le unghie nella schiena, lo mordeva, lo stringeva. Aveva tenuto gli occhi chiusi per quasi tutto il tempo o aveva trovato altri modi per non incrociare il suo sguardo che in quei rari momenti la guardava come se potesse carpirle ogni più oscuro segreto.
L'aveva pagato e se n'era andato senza quasi aprire bocca, era la prima volta da che lei ricordasse in cui lui non le aveva domandato nulla. Non che la cosa la infastidisse, quella sera l'ultima cosa che le serviva era parlare si sé stessa.
Il giorno dopo, l'arrivo della governante con la spesa le ricordò quanto fosse imminente il ritorno della sua famiglia e, di conseguenza, la perdita di un luogo comodo per poter vedere Ian.
Di Hotel ―che fossero a ore o costosi― non se ne parlava nemmeno, giravano troppi coniugi infedeli della cerchia dei suoi genitori perché non la riconoscessero, in più lei era ancora minorenne avrebbe rischiato in ogni caso che qualcosa andasse storto. Mentre rifletteva sul da farsi la soluzione le si presentò davanti agli occhi, appesa ad un chiodo vicino allo specchio sopra il suo comò.
Ora non le restava che preparasi al fatto che di lì a poche ore la casa non sarebbe stata più vuota e silenziosa.


~*~


Domani sera, alle 23:30, a questo indirizzo."
Quando gli arrivò il messaggio della ragazza per un momento pensò che avesse sbagliato a dargli la via, per quando ne sapeva quel quartiere –per quanto fosse vicino al centro storico della città in cui un monolocale costava una fortuna– era abitato perlopiù da immigrati e gente con pochi mezzi. La loro città era il classico esempio di contrasto fra ricchezza e povertà, quei due quartieri in cui il panorama cambiava svoltando un angolo ancor prima che te ne accorgersi ne era la prova.
Nonostante questo la sera dopo si presento puntuale e suonò il campanello che gli era stato detto, che era l'unico con la targhetta bianca.
«Mel?»
«Ultimo piano, l'ascensore non funziona.» gli rispose la sua voce distorta dal vecchio citofono gracchiante.
Era un palazzo di quattro piani, scoprì arrivando ad un pianerottolo che dava su un'unica porta lasciata socchiusa
Entrò senza bussare e la trovò seduta sul davanzale di una finestra, aspettava rivolta verso la porta, con le ante aperte alle spalle da cui entrava l'aria fredda della notte.
«Non mi sarei mai aspettato un posto del genere da te.» esordì chiudendosi la porta alle spalle a cui era attaccato un mazzo che conteneva tre chiavi.
«Perchè?» inarcò un sopracciglio la ragazza dondolando leggermente i piedi.
«Bhe non sembra proprio il tuo stile dopo aver visto casa tua.» scrollò le spalle mentre la sua voce rimbombava nella stanza vuota. C'era solo un angolo cottura spoglio contro il muro alle sue spalle e parecchia polvere.
«Anche questa è casa mia.» il tono in cui lo disse, con semplicità disarmante uguale a quella di un bambino che pronuncia un'ovvietà che gli adulti si ostinano a negare lo lasciò ammutolito per qualche istante.
Lei scese dal davanzale con un piccolo balzo che rimbombò fra le mura vuote e si diresse verso il piccolo corridoio separato da quella stanza solo da una vecchia tenda di perline di legno
«Vieni, non abbiamo tutto il tempo del mondo.» lui la seguì fino a quella che sembrava una camera da letto che sembrava l'unica stanza abitata della casa, con un letto da una piazza e mezza rivestito con delle lenzuola evidentemente nuove di zecca. Le buste vuote che le avevano contenute spuntavano da un sacco nero in un angolo.
«Ci vieni spesso qua?» non si poté trattenere da chiederle
«No, sono venuta qua un po' prima per sistemare.» rispose distrattamente mentre si sedeva sul letto un po' scricchiolante. «Ora basta parlare.»
Con quella frase gli fece capire che altre domande non sarebbero state ben accette. Le si avvicinò mentre altri tasselli di lei, nuove sfumature gli turbinavano davanti agli occhi.
Se all'inizio si era presentata come una ragazzina ricca e viziata ogni cosa che scopriva di lei tendeva a cambiare quella versione così superficiale.
Capì che quello che intuiva mentre facevano sesso erano solo l'eco di una persona completamente diversa da quella che era ora, una ragazza viva.
Che lei era esattamente quella casa spogliata da ogni avere sulle cui pareti rimanevano indelebili le tracce dove una volta c'erano mobili e quadri. Tracce su cui nessuno si era dato la pena di passare una mano di vernice nuova, come se quel l'involucro vuoto non contasse più niente, come se, dopo tutto, andasse bene così.
Quando lei si accese una sigaretta guardando il soffitto silenziosa non poté frenarsi.
«Così questa casa è tua?»
«In realtà è di mia madre.» ermetica come sempre.
«Però ci hai vissuto anche tu?» insistette testardo come sempre.
«Sì.»
«A vederti non sembrerebbe proprio.» gli sfilò la sigaretta dalle mani tentando di velare sotto il tono leggero la malinconia che percepiva.
«Vero?» non capiva bene a cosa doveva quella nube di tristezza che lo aveva assalito tutto d'un tratto, pensando al passato di quella ragazza che con un'unica parola era riuscita a comunicare sentimenti contrastanti. Quel tono stanco con cui l'aveva detto, a cavallo fra l'ironico e il nostalgico.


~*~


Aveva dovuto vederlo anche quella sera, anche se per poco, perché quella casa la soffocava, così piena di voci e rumori da essere assordante. Rientrando riuscì quasi a sentire il respiro della sua famiglia attraverso le pareti, il peso di altre vite in quella casa.
Per sua fortuna erano arrivati sul tardo pomeriggio, devastati dal viaggio e poco reattivi. In poco tempo la casa era tornata silenziosa, non senza aver sentito prima i commenti di sua madre sul fatto che la vedeva deperita e che sperava avesse fatto ciò che doveva dato che la scuola era vicina.
Suo fratello era stato il primo a rinchiudersi in camera sua, probabilmente a riguardare e sistemare le foto al computer con le cuffie nelle orecchie.
Dopo un'oretta si erano dileguati anche sua madre e Francesco, dopo che avevano rischiato di addormentarsi più volte sul divano.
La loro sola presenza sonnacchiosa sul quel divano la disturbava, si era talmente abituata ad avere i propri spazi che ora impazziva a dividerli con le uniche persone per cui provava ancora qualcosa di più della pura indifferenza. Eppure era andata all'appuntamento con Ian, non aveva potuto fare a meno di dividere uno spazio ancora più angusto e intimo con lui per dimenticarsi di sé stessa per qualche istante in più.
Aveva riaperto la porta a vecchi fantasmi senza ripensamenti.
Non aveva degnato di uno sguardo le tacche sullo stipite della cameretta in cui rimaneva spoglio lo scheletro di un letto a castello dell'IKEA a cui era rimasto appeso un acchiappasogni spelacchiato e pieno di polvere preso ad un Tutto a un € 1,00 anni prima. Si era diretta veloce alla camera da letto che una volta era dei suoi genitori, il letto aveva le gambe tagliate perché da piccola lei aveva la brutta abitudine di lanciarsi per terra di faccia. Aveva sbattuto il vecchio materasso, facendogli prendere aria e poi rivestirlo con lenzuola nuove di zecca.
Alla fine non le restava che aspettare, seduta sul davanzale di quella che una volta era stata cucina, sala da pranzo e salotto senza poter fare a meno di paragonare quell'appartamento dalle mura spoglie a sé stessa. Quando Ian aveva suonato aveva tentennato, quasi per paura che fosse qualcuno delle sue vecchie conoscenze ad aver suonato vedendola entrare. Ma se c'era una cosa in cui era brava era tagliate i ponti senza guardarsi indietro, facendo in modo di farsi terra bruciata dietro di sé.
Ora che era di nuovo nel suo letto non poteva fare a meno di pensare che forse era stata anche fin troppo brava.



Il tempo passò anche troppo velocemente e le vacanze natalizie finirono, con il conseguente ritorno alla normale vita scolastica per rivedere le solite facce, alcune abbronzate nello stesso identico modo di suo fratello a causa della neve, altre perché erano state in qualche isola esotica. Ognuno aveva qualcosa da raccontare, qualcosa da dire di troppo importante per poterselo tenere per sé. In un attimo si ritrovò infastidita nella solita routine, circondata dalla solita gente.
La prima settimana passò senza che chiamasse Ian, troppo presa a riprendere il ritmo sia a scuola sia a casa. Doveva riabituarsi ai rapporti con la sua famiglia, con i compagni di classe.
Quando arrivò il week-end non poté fare a meno di uscire con Elisa che le aveva chiesto se avrebbe raggiunto lei, altre sue amiche ed il fratello ad un bar di universitari in centro. Non poteva farne a meno perché la sua vacanza in solitudine aveva messo in allarme la madre che stava sempre sull'attenti, pronta a cogliere ogni segno di malessere della figlia.
Così si era ritrovata in un bar in cui si stava svolgendo un torneo di birra-pong nella sala più grande, mentre nell'altra la musica era sparata a mille manco fosse stata una discoteca. Un miscuglio mal riuscito fra un locale fighetto e baretto di quartiere.
Era stata ventilata l'idea di andare ballare più tardi e si era ritrovata a sperare ardentemente che succedesse, piuttosto che rimanere lì con un drink in mano senza possibilità di allontanarsi facendo finta di capire cosa le stessero dicendo.
Il non fare sesso da una settimana forse l'aveva inacidita più del dovuto, pensò mentre si defilava fuori per fumare l'ennesima sigaretta. O forse era semplicemente il contatto umano non richiesto a cui si sottoponeva, torturandosi da sola per amor delle apparenze.
Appoggiata al muro, con il secondo o terzo drink annacquato in mano e i piedi che cominciavano a protestare costretti nelle scarpe alte si mise ad osservare i gruppi più disparati che passavano da quelle parti. Il centro era pieno di ragazzi: dai classici metallari, ai fattoni a quelli che giravano abbracciati già ubriachi a metà serata con una bottiglia in mano cantando in coro. Quelli erano tutti di passaggio da quella zona che costava troppo piena di figli di papà, che la circondavano. Lei era una di loro, anche se una volta aveva fatto parte di quelle compagnie di sbandati ora era in un giro diverso. Uno in cui all'erba si sostituiva la cocaina, ai jeans strappati vestiti firmati, ai cori le chiacchiere su qualcosa di costoso appena uscito che sarebbe stata presto loro. Quel mondo era così perfettamente vuoto e scintillante che sembrava esserle stato cucito addosso su misura, rifletté schiacciando la sigaretta e rientrando, decidendo che sarebbe andata a fare un po' il tifo per Luigi e i suoi amici ad uno dei tavoli.
Erano tutti già piuttosto ubriachi, Luigi aveva una cravatta legata attorno alla fronte che non aveva idea da dove fosse spuntata fuori e si preparava ad un lancio, concentrato al massimo delle sue capacità.
Quando centrò per miracolo il bicchiere degli avversari era più incredulo lui dei suoi amici che gli saltarono addosso esaltati.
«Hey Amelia, sei te che mi hai portato fortuna?» le si lanciò incontro appena la vide, mettendole un braccio attorno alle spalle.
«Non sei il primo a dirmelo.» fece un mezzo sorriso.
«Bene, allora prenditi una sedia e resta qua, o mia dea della fortuna!» fece un piccolo inchino dimostrandosi molto più sobrio di quanto sembrasse.
Prese una sedia che le era stata passata da un altro ragazzo e si sedette vicino a loro. Solo in quel momento posò lo sguardo sugli sfidanti trovandosi davanti quegli occhi blu che sfavillavano divertiti. Si bloccò all'istante, senza avere né il coraggio né la voglia di spezzare il contatto visivo. Non aveva nemmeno guardato con chi era, cosa stava facendo, era semplicemente stata pietrificata da quello sguardo blu così fuori luogo quando lei era in quelle vesti e lui nella sua vita normale. Lui ammiccò nella sua direzione con un sorrisino poi venne distratto da un ragazzo poco più alto di lui e con molta massa muscolare che gli posò una mano sulla spalla facendolo voltare dopo aver indugiato ancora una frazione di secondo nella sua direzione
La perdita di contatto visivo la fece riavere e cercò di lasciarsi coinvolgere quanto possibile dalla conversazione dei ragazzi, lanciando qualche occhiata ogni tanto dall'altro capo del tavolo quando pensava di non essere vista.
Non l'avrebbe mai ammesso, ma era curiosa. Curiosa di come trascorresse le sue serate quando non lavorava, chi frequentasse, chi fosse lui.
Rideva e scherzava allegramente con i suoi coetanei, beveva quando gli toccava. Era normale, un normale ragazzo in un normale sabato sera. Non capiva perché, ma quella cosa la infastidiva parecchio. Era come se la sottile connessione che non sapeva nemmeno di sentire con lui si fosse spezzata.
Si alzò di colpo e senza dire nulla a nessuno uscì di nuovo a fumare. La porta si aprì e si richiuse poco dopo che lei aveva acceso la Lucky Strike.
«Sai che se continui a fumare così tanto morirai a trent'anni?» la sua voce familiare era così fuori contesto.
«Amen.» rispose dura lanciandogli un'occhiata scocciata.
«Guarda che non ti sto stalkerando, il torneo di birra-pong attira parecchia gente.» le si parò davanti con disinvoltura. I vestiti erano gli stessi, i capelli spettinati, il viso, gli occhi brillanti— ma tutti nel contesto sbagliato. Non aveva mai notato quanta vita sgorgasse fuori da lui, quanta luce. Era lo stesso di sempre, ma era come se lo vedesse per la prima volta. Così diverso da lei da irritarla
«Infatti non l'ho pensato nemmeno per un istante.» non riuscì a nascondere l'irritazione.
«Mhm, sarà.. » inarcò un sopracciglio mentre la studiava per qualche istante. «Allora anche tu hai degli amici, se me l'avessero detto non ci avrei mai creduto.»
«E infatti avresti fatto bene, sono solo dei conoscenti.» fece un lungo tiro dalla sigaretta fissandolo di rimando.
«Allora sei fredda ed insensibile indiscriminatamente. Poveri loro, sono sicuro che pensino di aver creato un legame.» sorrise divertito.
«Io sono sempre io e nessuno gli ha detto di pensarlo.
«Mi correggo, stasera sei più gelida del solito.»
«Non so di che parli.»
«Invece io penso di sì» continuava a sorridere come se niente fosse, guardandola come se capisse tutto di lei. Gettò la sigaretta fumata per metà per terra con un po' troppa energia fulminandolo con lo sguardo.
«Tu pensi un po' troppo.» e con questo rientrò con passo deciso nel locale.
Lui la seguì come se niente fosse e raggiunse i suoi amici, un tizio muscoloso lo avvicinò dopo averle lanciato un'occhiata interessata e si mise a discutere con lui. Vide Ian scuotere la testa con un mezzo sorriso che sembrava un po' mesto.
Quando raggiunse Luigi e i suoi amici ne vide uno quasi collassato su una sedia.
«Ne avete perso uno vedo.» commentò non appena fu abbastanza vicina da essere sentita.
«Amy, dov'eri sparita?» le buttò un braccio attorno alle spalle Luigi vistosamente brillo. «Comunque sì, credo che Gio sia definitivamente KO. »
«A fumare.» indicò con il pollice l’uscita alle sue spalle. Lanciò un'occhiata all'altro capo del tavolo dove i ragazzi ridevano e Ian le lanciava qualche occhiata sottecchi studiandola. «Vi serve un cambio?» la proposta le scivolò fuori dalle labbra in un attimo, mentre non staccava gli occhi dal moro.
«Davvero? Non ti facevo una tipa da giochi!» le sorrise il ragazzo.
«Non lo sono infatti, arrivo subito.» rispose facendo una smorfia per poi scrollarselo di dosso ed andare a convincere l'arbitro che la sua entrata poco lecita in realtà lo era eccome.
Un attimo dopo aveva tirato su le maniche della giacca di pelle e si era appropriata di una pallina.
Si alzò qualche protesta dal gruppo di Ian quando la videro pronta a lanciare.
«Andiamo, se la principessina vuole giocare perché impedirglielo?» intervenne Ian lanciandole una strana occhiata.
«Perchè devi distruggere i miei sogni per farti bello?» protestò il ragazzone.
«Non l'ho detto per fare colpo, non ne ho bisogno. E poi il tuo sogno è davvero una fornitura di birra per un anno?»
Amelia si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo spazientita. Certo che non doveva fare colpo, lo pagava già per farci sesso.
«Non faresti colpo comunque, ora possiamo iniziare?» sentì i ragazzi alle sue spalle ridacchiare e Luigi esclamare sonoramente un apprezzamento che ignorò bellamente, intenta a fissare il moro con sfida.
«Se hai tanta fretta di perdere..» lasciò in sospeso la frase l'amico di Ian che non degnò nemmeno di una risposta lanciando con quanta più sicurezza potesse ostentare. Non aveva mai avuto una particolare mira, quindi era tutta una questione di culo e del tasso alcolico nel suo sangue decisamente più basso degli altri partecipanti. No, okay, era solo questione di culo, pensò quando vide la pallina di plastica centrare il bicchiere. Si sentì pervadere dalla soddisfazione mentre Ian non distoglieva lo sguardo da lei bevendo.
Luigi la prese da dietro abbracciandola e sollevandola esuberante facendola irrigidire come un pezzo di legno. Non aveva il permesso di toccarla, non doveva, non poteva. Si vide quasi specchiata negli occhi blu nella penombra che la osservavano infastiditi. In un attimo riprese il controllo di sé e con qualche colpetto alle braccia abbronzate che le circondavano la vita e un sorrisetto falsissimo lo incitò a metterla giù.
Continuarono fino a mezzanotte e mezza, quando la partita si concluse a favore degli avversari. Chi non era crollato era piacevolmente ubriaco o brillo, ma era impossibile trovarne uno sano. Le ragazze erano venute a fare il tifo poco dopo che lei aveva iniziato e ora si mettevano d'accordo coi ragazzi su quale discoteca sarebbe stata la loro successiva destinazione.
In quanto a lei era più occupata a lanciarsi occhiate con Ian, come avevano fatto per tutto il tempo, studiandosi, sfidandosi in continuazione. La tensione sessuale era palpabile e lei era abbastanza brilla per accettarlo.
Si allontanò di poco e scrisse un breve messaggio, poi sollevò lo sguardo dallo schermo trovando il suo, accompagnato da un ghignetto mentre tirava fuori il cellulare dalla tasca il cellulare, sbloccava lo schermo e poi lo sollevava sventolandolo come una prova che la inchiodava. Poi annuì e basta.
Quello bastò per farla ritornare alla sua compagnia e avvertire che sarebbe tornata con un taxi a casa prima. Quando uscì facendo finta di chiamarlo lui la raggiunse.
«Andiamo assieme, la mia macchina è di qua.» l'affiancò poggiandole una mano sulla schiena senza nemmeno fermarsi. Lei si lasciò guidare, comprendeva la sua fretta, era meglio che non li vedessero lasciare il bar assieme, un conto era che lo immaginassero, un conto era che li vedessero. Non sapeva quanto del suo lavoro sapessero i suoi amici e un po' era curiosa, a dire il vero, di che cosa dicesse in giro. Cosa sapessero di quel lato di lui che conosceva così bene.
Anche se, a dire il vero, agli occhi degli spettatori di quella sera sarebbero sembrati semplicemente due ragazzi che si erano incontrati in un bar e dopo qualche birra lo avevano lasciato assieme.
Due ragazzi normali, che facevano qualcosa di assolutamente normale.
Dopo pochi minuti in assoluto silenzio arrivarono alla macchina. Vide le luci dei fari sfarfallare stava per aprire la portiera quando si sentì prendere e spingere contro l'auto. Gli occhi blu sembravano quasi neri nella luce opaca dei lampioni, le pupille così dilatate da sembrare un gatto.
Rimase a qualche centimetro dalle sue labbra per una frazione di secondo, per poi attaccarle con violenza, mordendola mentre con le mani scorreva lungo i suoi fianchi alzandole il vestito di velluto corto che la fasciava. Di rimando lei non si accorse nemmeno di come fosse finita ad alzare la gamba destra per incastrarla con la sua. Quella passione che era scoppiata tutto d'un tratto la travolse scuotendo ogni sua terminazione nervosa, l'approccio di lui, i brividi non più dovuti alla fredda notte di Gennaio, ma al suo calore che la soffocava mentre lasciava una scia di baci e morsi umidi sulla sua giugulare.
«Fermati.» gli sospirò in un orecchio affondandogli le unghie nella spalla per recuperare la concentrazione.
«Cosa?» il tono perplesso la fece sorridere, sembrava la desiderasse davvero, a prescindere dai soldi, da tutto.
«La casa―» riprese fiato, « è qua dietro, ci arriviamo a piedi.» si spiegò guardandolo finalmente di nuovo negli occhi.
«Oh, vero.»
«Andiamo.» lo spostò con delicatezza sistemandosi il vestito e cominciando a camminare. Nonostante da lì la strada sarebbe stata brevissima, loro la allungarono di parecchio, perché si fermavano quasi ad ogni parete incapaci di trattenersi. Probabilmente era la settimana di astinenza per lei, l'alcol per lui, ma quando arrivarono finalmente alla casa consumarono il primo amplesso contro la porta d'entrata che avevano sbattuto con violenza dietro di loro. Sembravano divorati da una febbre incontenibile, mentre ancora per metà vestiti riprendevano fiato l'uno contro l'altro.
Sul letto si presero il loro tempo, assaporando ogni istante, ma spogliandosi con frenesia.
Solo quando sentiva la sua pelle contro la propria, le sue mani che la veneravano in una danza che uomini e donne fin dalla notte dei tempi, smetteva di sentirsi un ammasso di effetti collaterali e macerie, ma solo una ragazza. Anzi, una donna.
Smetteva di fingere, fingere che le importasse di qualcosa
La paura di essere feriti lentamente si era trasformata nel terrore di poter fare altrettanto male a chi provava ad amarla. E, così, lentamente era rimasta sempre più sola a lottare contro i suoi demoni. A guardare sé stessa, distruggersi pezzo dopo pezzo senza intervenire, come se fosse stata solo una spettatrice disinteressata.
Impotente.
E in realtà lo era, perché non le importava, perché sapeva che quello era l'unico modo, l'unico per smettere di soffrire. Smettere di esistere era la strada più facile e lei l'aveva percorsa senza indugi.
Sola.
Indifferente.
Con lui poteva non preoccuparsi dei suoi cari, di ciò che doveva dire e fare per sembrare una normale liceale. Che poi, chi aveva scritto i parametri di quella normalità che tutti cercavano e che i pochi che la provavano disprezzavano?
«A cosa pensi?»
Il fumo della sigaretta lentamente saliva formando una colonna traslucida.
«Alla normalità.»
«Tu?»
«Strano vero?»
«...»
«...»
«Penso che la normalità sia sopravvalutata.»
«Sai— anche io.»
Dissero la volpi all'uva.

note dell'autrice hey! Lo so che sono passati  mesi (?), ma sono successe molte cose che hanno ritardato la stesura della storia, anche se questo capitolo in realtà era pronto da un bel po'. 
La storia in realtà è in continua evoluzione e revisione, quindi ogni critica è ben accetta, anzi, quasi necessaria per rendere possibile la sua crescita e formazione.
Sono sempre stata una scrittrice incostante quindi vedere che certe persone anche da delle mie vecchie storie ricapitano qui mi fa enormemente piacere.
with love. :)

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