Not Afraid to Fall

di Koori_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Capitolo I ***



Capitolo 2
*** Prologo ***






~Not Afraid to Fall~















Prologo






Il Palaghiaccio di Dresda era gremito di spettatori.
Erano da poco passate le quattro del pomeriggio, e il sole entrava dalle grandi vetrate tingendo ogni cosa del rosa sbiadito e dell’arancio acceso dei suoi raggi obliqui e languidi.
Il vocio del pubblico veniva di tanto in tanto sovrastato dai commenti del presentatore dell’evento che, nel suo tedesco stretto e incomprensibile, veniva per lo più ignorato dai presenti.
L’ultima esibizione, quella di Laurinaitis, era stata impeccabile come al solito, ma tutti erano in attesa di qualcun altro, e i nomi degli eroi del palazzetto si potevano leggere sulle bocche di tutti, divisi fra i colori delle due bandiere che sventolavano orgogliose in mano ai tifosi.
Arthur Kirkland sospirò, le gambe accavallate e le nocche bianche da tanto stava stringendo il bordo della panchina su cui era seduto.
Non era la prima Olimpiade a cui partecipava, eppure ogni volta era come se fosse stato un novellino.
Aveva sempre mal sopportato la tensione, e anche se non sarebbe stato lui a filare leggero sulla pista, la responsabilità era la stessa, se non addirittura superiore.
A ventisei anni di età rientrava a pieno titolo fra gli allenatori di pattinaggio artistico su ghiaccio più giovani della storia, e confrontarsi con colleghi che avevano il doppio dei suoi anni aveva sempre il potere di farlo sentire sul filo del rasoio.
Eppure adesso eccolo lì, a presentare alle Olimpiadi il suo atleta migliore,  fiore all’occhiello della squadra olimpica statunitense.
Laurinaitis uscì dalla pista fra gli applausi del pubblico e lo salutò con un cenno della testa, ottenendo in cambio un sorriso tirato.
Non che fosse una persona maleducata, tutt’altro, ma chiunque sapeva che era poco saggio rivolgere la parola a Kirkland prima di una gara.
Agitato, bevve un sorso di té dal thermos che aveva con sé e gettò un’occhiata fugace al suo atleta proprio mentre il suo nome risuonava nel palazzetto attraverso l’altoparlante.
Alfred Jones, ventiquattro anni e più di mezza dozzina di ori in palmarès, si alzò in piedi e buttò fuori l’aria dalle narici in uno sbuffo deciso.
- Mi raccomando, stai attento al tempo. – gli ricordò prima che abbandonasse la panchina per raggiungere la pista.
Il ragazzo rivolse all’allenatore un sorriso raggiante.
- Non preoccuparti, Arthur. Dopotutto sono pur sempre l’Eroe! – e con un cenno della testa agli striscioni che riportavano il nomignolo attribuitogli dalla stampa, si fece strada sul ghiaccio fino a posizionarsi di fronte alla giuria.
Il silenzio si fece improvvisamente concreto e palpabile, e l’americano assunse la posizione di partenza.
La prima nota si librò nell’aria decisa come un colpo di frusta: era incominciata.
Gli occhi verdi di Arthur andarono ad incatenarsi alla figura del pattinatore, seguendo spasmodicamente ogni salto, ogni piroetta.
- Rilassati, Arthur, credo che al palazzetto servano le panchine... –
La voce lieve ed ironica di Sharon Jones*, sua allieva e sorella di Alfred, lo fece sobbalzare.
Lasciò andare il bordo della panchina e le scoccò un’occhiataccia che presto si mutò in un sorrisetto divertito.
- Stai zitta, quando tocca a te sei anche peggio... –
La musica continuava a librarsi nell’aria, ad ogni accenno un doppio flip o un triplo axel senza la minima sbavatura.
Il pubblico era così rapito che nemmeno osava fare rumore.
Se al di fuori della pista era l’individuo più molesto e sgraziato dell’intera galassia, con un paio di pattini ai piedi Alfred Jones sapeva essere elegante come nessun altro al mondo, preciso nelle figure e armonioso con la musica.
Mentre il suo atleta eseguiva un mezzo giro della pista per prendere velocità, Arthur lanciò un’occhiata a qualche panchina di distanza, dove Ivan Braginski, orgoglio della Federazione Russa, seguiva l’esibizione con gli occhi fissi sul rivale.
Nel programma corto il russo aveva totalizzato un punteggio leggermente inferiore a quello di Alfred, se l’americano avesse ottenuto il massimo dei voti l’oro sarebbe stato suo.
Ma la musica cambiò improvvisamente ritmo, e dalla panchina americana si alzò un leggerissimo fremito di preoccupazione.
- Se sbagli ti disintegro... – sussurrò Sharon, mentre Arthur sembrava aver perso la capacità di sbattere le palpebre.
- Ti prego, Dio ti prego... – sussurrò, i pugni stretti nella più totale apprensione.
Quell’anno avevano voluto strafare, presentando una coreografia ardita sia dal punto di vista delle figure che da quello della scelta musicale.
Non che Afred avesse avuto grandi problemi ad adattarsi alla proposta del suo allenatore, ma quel passaggio, quando il ritmo cambiava, aveva evidenziato sin da subito una serie di difficoltà che non c’era stato modo di superare.
Il tempo lo fregava, e usciva sempre dal rittberger con una frazione di secondo di ritardo.
Arthur aveva sperato di riuscire a correggere quell’errore in tempo, ma alla vigilia della gara Alfred continuava a uscire in ritardo dal salto, e tutto quello che era rimasto loro era stato sperare in un miracolo.
Ed ecco, il campione sfrecciò proprio davanti al tavolo della giuria, il peso caricato sulla gamba destra, le lame dei pattini si staccarono dal suolo trasportando atleta e pubblico in un istante infinto.
Quando raggiunse la superficie ghiacciata a tempo con le percussioni le tribune non seppero trattenersi ed esplosero in un vero e proprio boato, bandiere americane a sventolare d’entusiasmo e ammirazione.
- E’ suo, Arthur! L’oro è suo! – gridò Sharon agitando le braccia come il resto del pubblico, mentre l’allenatore, ancora incredulo, rilasciava l’aria che aveva trattenuto nei polmoni per tutta la durata della figura.
Ce l’aveva fatta, ce l’avevano fatta!
Superato quel rittberger avevano l’oro in tasca, e i russi non avrebbero potuto fare altro che mangiare la polvere!
Sulla pista, Alfred scoprì i denti in un sorriso capace di illuminare l’universo,  preparandosi all’ennesimo salto e incrociando lo sguardo con quello della sorella, a pochi metri da lui.
Fu questione di un istante, un atterraggio che l’americano aveva ripetuto e ripetuto centinaia di volte, un gesto tecnico semplice e banale.
Il sorriso non aveva ancora abbandonato le sue labbra quando il crack si udì nel palazzetto come una detonazione.
Arthur non capì immediatamente cos’era successo.
Vide Alfred accasciarsi al suolo e non rialzarsi più, e per un primo momento non collegò l’immagine che percepivano i suoi occhi alla realtà, non comprese la gravità del fatto.
Fu l’urlo straziante di Sharon al suo fianco a riportarlo alla realtà come una fucilata in piena fronte.
- ALFRED! – la voce della ragazza si alzò nel silenzio annicchilito del palaghiaccio.
L’atleta non si rialzava,  e nemmeno si muoveva.
- Alfred! – esclamò seguendo la sua allieva sulla pista ghiacciata e scivolando accanto al suo campione.
- Alfred, Dio mio, che cosa...!? –
Il ragazzo, il volto cinereo, gli rivolse uno sguardo disperato e si morse un labbro nel vano tentativo di trattenere le lacrime, mentre sua sorella sbraitava all’indirizzo dei paramedici affinchè portassero una barella.
Solo a quel punto Arthur osò spostare gli occhi dal viso sofferente del ragazzo alla sua gamba sinistra.
La tibia era spezzata e aveva strappato la stoffa del costume. Dovette portarsi una mano alla bocca per trattenere la nausea improvvisa.
- Arthur... – ma la voce di Alfred suonò come un mugolio strozzato, mentre una lacrima di dolore sfuggiva al suo controllo e rotolava indiscreta lungo la sua guancia.
- Va... va tutto bene, Alfred... Possiamo gestirlo... – balbettò spostandogli i capelli dalla fronte già madida di sudore freddo, mentre i paramedici si affaccendavano attorno all’infortunato.
Nel frattempo Sharon si stava accapigliando con non si sa chi, le braccia aperte in gesti ampi ad indicare la pista.
- Come è successo? Il salto era giusto, è atterrato giusto! Cosa diamine è successo?! –
-  Signorina Jones, si calmi, è stato un incidente. Cerchi di stare calma... – tentò di portarla alla ragione un membro della giuria.
- Calma?! Cristo! Gli si è spezzata in due una gamba! Sapete cosa vuol dire? La sua gara è finita qui! Come diamine faccio a stare calma?! Il salto era giusto! Non è normale! –
Fu all’ennesimo “è stato un incidente” che Arthur si irrigidì completamente, lo stomaco chiuso come se gli avessero fatto ingoiare un macigno.
Mentre i paramedici portavano via Alfred, il suo allenatore scandagliò la pista finchè non ebbe trovato quello che cercava.
Poco distante dalla barriera che delimitava la superficie ghiacciata, sottile e lucente sotto i raggi del sole al tramonto, c’era la lama del pattino sinistro di Alfred Jones.
E a quel punto, un’ira di fuoco a bruciargli dentro, Arthur Kirkland ne ebbe la certezza.
Quello non era stato un incidente.
 


























 
Note:

Salve a tutti e grazie per aver letto questo prologo sconclusionato!
Tornare a scrivere nel fandom di Hetalia dopo tutti questi anni fa decisamente impressione, specialmente trattando di personaggi che, pur avendo sempre amato, non avevo mai inserito in una fanfiction, se non indirettamente.
(Sì, era una mera scusa per giustificare l'OOC, shhhh! xDDD)
Preciso subito che sono probabilmente la persona più ignorante del mondo in materia di pattinaggio su ghiaccio, perciò se fra voi lettori c'è qualcuno più informato di me che mi bastoni senza pietà per ogni errore e che mi insegni tutto quello che sa! V.V
In ogni caso la colpa di questa storia va tutta al signor Evgeni Plushenko -per la cui persona non mi sono assolutamente presa una cotta ma figuriamoci ma che idea balzana è mai questa- e alla mia migliore amica che mi ha ritrascinata nel fandom mio malgrado (balle, sono felicissima di essere tornata).

* Sharon, e credo che sia saggio spendere due paroline su di lei, è l'OC dell'amica sopra citata, nella cui creazione ormai sei anni orsono anche io ebbi la mia parte.
Nell'universo di Hetalia Sharon rappresenta l'Alaska, e pur essendo stata adottata da America e Canada in qualità di sorella non divide con loro alcun legame di parentela effettivo.
In questa storia, trattandosi di una AU, mi sono presa la libertà di renderla effettivamente sorella di sangue di Alfred e Matt.
Ci tengo a precisare che questo personaggio ha subito drastici rimaneggiamenti ed è rimasto poco dell'Alaska delle origini (per fortuna? Grazie a dio? Nessuno può dirlo xD)
Insomma, a quindici anni tutti sforniamo Mary Sue, il più è cercare di raddrizzarle strada facendo. xD
Speriamo di starci riuscendo, ma per farlo ovviamente abbiamo bisogno di voi.
Ogni critica quindi è più che apprezzata, e anzi, è richiestissima!


Che dire, questo prologo è decisamente corto, ma spero che sia stato sufficiente a stuzzicare la vostra curiosità, dal prossimo capitolo scopriremo senz'altro qualcosa di più sui nostri eroi (e sui millemila personaggi che inserirò in questa storia e che arriveranno pian piano).
Grazie a tutti e a presto! <3

Kisses,
Koori-chan

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Capitolo 3
*** Capitolo I ***





Capitolo I







Arthur Kirkland se ne stava seduto nel suo ufficio, la luce grigiastra del pomeriggio a filtrare attraverso le veneziane.
Esattamente come tutte le altre giornate da Gennaio a quella parte, anche quella giornata era stata massacrante, e adesso il suo unico desiderio era quello di tornarsene a casa e farsi un té rovente da bere appollaiato sul divano davanti a un bel documentario.
Il primo mese era stato un vero e proprio delirio, fra interviste e assalti da parte dei paparazzi: tutti volevano sapere che ne sarebbe stato di Alfred Jones, l’Eroe del Ghiaccio, il suo atleta migliore.
Quando tornerà a pattinare? Cosa può dirci della frattura? Quali saranno i tempi di recupero? E’ utopistico aspettarci un ritorno di Jones sulle piste per la prossima stagione?
Ancora gli sembrava di sentire quel continuo brusio, ancora, quando usciva di casa, temeva di venire assalito dai giornalisti come da uno sciame di api arrabbiate.
C’era già chi gridava allo scandalo, qualcuno aveva proposto di sporgere denuncia a non si sa chi perchè fosse svolta un’inchiesta sulle condizioni della pista a Dresda, altri cercavano di mantenere uno sguardo obbiettivo sulla faccenda osservando che in effetti, anche se raramente, incidenti simili potevano capitare ed erano già capitati.
Nemmeno Ivan Braginski, che aveva finito per vincere l’oro a Dresda, aveva potuto risparmiarsi il tormento della stampa, divisa fra chi lo osannava e chi gettava fango sul suo nome.
Era capitato che, subito dopo la competizione, qualche giornalista di fronte ai riflettori gli ponesse qualche domanda scomoda, ma Braginski si limitava sempre ad esibire un impenetrabile sorrisetto e a dare risposte di circostanza che potevano significare tutto e niente.
“A questo punto possiamo dire che Ivan Braginski deve molto alla sfortuna dei suoi avversari. Dopotutto, e alcuni telespettatori lo ricorderanno di certo, questa non è la prima Olimpiade che si conclude per la Russia con una simile dinamica.” aveva commentato un giorno un cronista con impostata nonchalance.
Arthur, che aveva la televisione accesa, aveva premuto il pulsante di spegnimento sul suo telecomando più stizzito di quanto già non fosse.
Aveva cercato di non dare adito alle parole velenose dei giornalisti, ma un pungolo in fondo alla coscienza continuava a ripetergli che anche lui aveva immediatamente pensato a ciò che il tizio in tv aveva avuto il coraggio di rinfacciare al campione olimpico.
Ma adesso il suo compito era occuparsi dei suoi atleti, e fu con uno sbuffo che, ritornato al presente, tornò a sfogliare per l’ennesima volta la cartella clinica di Alfred.
Sospirò e si passò stancamente una mano sul volto, amareggiato e preoccupato da quella situazione: le ultime analisi non avevano portato nessuna buona notizia, e Sharon non lo stava aiutando nemmeno un po’, capricciosa come si stava dimostrando.
Si morse il labbro inferiore, cercando di contenere il turbinio di emozioni negative che da mesi gli rodeva l’animo, poi gettò la cartella verso l’estremità più lontana della scrivania e si lasciò cadere all’indietro contro lo schienale della poltrona a rotelle, portando entrambe le mani al viso e reclinando il capo all’indietro.
Fu a quel punto che un suono ripetuto giunse dall’esterno del piccolo ufficio: qualcuno stava bussando alla porta.
Chi diamine poteva essere? Quel giorno avevano l’allenamento corto, gli atleti se n’erano già andati da un pezzo, Sharon compresa...
- Avanti! – esclamò, curioso di vedere chi fosse venuto a disturbarlo.
La porta si aprì lentamente, rivelando a poco a poco la figura dell’ultima persona che l’allenatore avrebbe mai immaginato di vedere presso la sua pista.
- Buongiorno, Arthur. –
Di fronte a lui, gli occhi ametista attraversati da una luce indecifrabile, c’era Ivan Braginski.
Arthur scattò in piedi e istintivamente si guardò attorno, quasi si fosse aspettato di ritrovarsi l’ufficio invaso dalla federghiaccio russa tutto all’improvviso.
Appurato che si trattava solo di loro due, mosse un passo verso la porta, gli occhi assottigliati in cerca di spiegazioni.
- Che cosa ci fai qui, Ivan? –
Il campione gettò una rapida occhiata fuori dalla finestra e poi tornò a concentrarsi sul biondo in piedi di fronte a lui.
- Si tratta dell’incidente di Jones. – sentenziò, serio e vagamente inquietante nella sua calma glaciale.
- C’è qualcosa che devi sapere. –
 
 













Quattro mesi prima
 


- No, Matt. Stai tranquillo, non è necessario... Torneremo a casa fra un paio di giorni. Sì, Matt, lo so bene. Non lo so, ma è meglio se... Ah! Ci sono i dottori! Ti chiamo più tardi! –
Sharon Jones troncò la telefonata e ficcò il telefono nel tascone della felpa, mentre Arthur si alzava dalla scomodissima seggiola di metallo sulla quale non era riuscito a stare seduto per più di due minuti consecutivi da quando erano arrivati in ospedale.
Al di fuori dell’edificio il cielo ormai era tinto del nero della notte, e la neve cadeva placida e disinteressata a quello che stava per accadere all’interno di quelle mura.
- Allora? –
L’allenatore si avvicinò con aria speranzosa ai medici che avevano appena abbandonato la stanza di Alfred.
Gli bastò una singola occhiata da parte dell’uomo al centro del terzetto per capire che la sua speranza era mal riposta.
- La tibia in realtà è il problema minore, ma nel rompersi ha reciso di netto un tendine. Inoltre abbiamo riscontrato la rottura di due vertebre lombari e... – il medico non concluse la frase e si limitò ad abbassare lo sguardo.
- No. – replicò semplicemente Arthur, sconvolto dalla notizia, mentre la sua allieva accanto a lui si portava le mani alla bocca.
- Sono desolato, signor Kirkland, ma temo che il suo atleta non potrà gareggiare la prossima stagione. –
Ci fu un momento di silenzio in cui fu chiaro che l’uomo non aveva detto tutto quello che aveva da dire, e fu lo sguardo terrificato dell’allenatore a farlo andare avanti.
- Ecco, in realtà dubito che potrà mai tornare a gareggiare in generale.-
Il verdetto cadde nel silenzio come una palla di cannone.
Quelle parole riecheggiarono nella coscienza di Arthur in modo così violento da dargli nausea e vertigini, come se al posto di avergli spiegato come stavano le cose il medico gli avesse rifilato un pugno alla bocca dello stomaco.
Ondeggiò appena, gli occhi sgranati e lo sguardo perso nel vuoto, e fece del suo meglio per mantenere i nervi saldi.
- Ne... ne siete sicuri? – balbettò.
Il medico spostò lo sguardo da Sharon al biondo e annuì mestamente.
- Dovrà affrontare una serie di operazioni non propriamente banali, e non possiamo sapere con certezza se potrà tornare a pattinare ai livelli attuali. Non... non gliel’abbiamo ancora detto. Abbiamo pensato che forse sarebbe stato meglio se fosse stato lei a dargli la notizia. -
- Io... Capisco. La ringrazio. – balbettò.
Il medico sospirò e rivolse un cenno del capo a Sharon, prima di incamminarsi verso l’altro capo del corridoio, seguito dai suoi colleghi.
Ne seguì un lungo silenzio senza colori nel quale la ragazza e il suo allenatore non osarono muovere un muscolo, nell’assurda convinzione che se fossero rimasti immobili la realtà non si sarebbe concretizzata e tutto sarebbe tornato come a prima della gara.
L’unica cosa a spezzare l’immobilità di quegli istanti era la neve che cadeva placida al di fuori dei finestroni dell’ospedale, poi, dopo quelli che sembrarono secoli,  Sharon trasse un profondo respiro e parlò con voce flebile.
- Credo che il dottore abbia ragione, Arthur. –
Il ragazzo chiuse gli occhi, sopraffatto dal dolore nella voce della sua atleta, poi annuì lentamente.
- Avrà bisogno di te. – si limitò a dirle.
L’americana gli rivolse un debole sorriso, gli occhi già rossi a causa delle lacrime trattenute.
- Aspetto qua fuori. – lo tranquillizzò.
Arthur le voltò le spalle e raggiunse la porta della stanza di Alfred.
Bussò due volte, poi entrò.
Il ragazzo era sdraiato a letto, ma aveva gli occhi aperti e fissava il soffitto.
Quando si accorse che qualcuno era entrato nella stanza cercò di mettersi seduto, ma ricordò immediatamente perchè si trovava in quel luogo e rinunciò, sbuffando infastidito.
Arthur non parlò, raggiunse la seggiola abbandonata nell’angolo opposto alla porta e la sistemò vicino al letto.
- Ha vinto Braginski, vero? –
Jones pronunciò quella frase con apparente leggerezza, ma l’amarezza che celava non passò inosservata al suo allenatore.
- Sì. Argento a Laurinaitis e bronzo a Karpusi. – raccontò, atono.
Alfred fece spallucce in un movimento impercettibile.
- Beh, dai, Toris mi sta simpatico, sono contento per lui! – sorrise commentando il secondo posto.
- E poi non è stato proprio un fallimento, no? Sono riuscito a stare nel tempo, sono o non sono l’Eroe? – aggiunse l’atleta senza che il sorriso abbandonasse il suo volto.
- Sono stato bravo, vero, Arthur? –
Ma Arthur non rispose, i pugni stretti attorno alla stoffa dei pantaloni, la mascella contratta e i denti a scricchiolare dallo sforzo di contenere la rabbia.
Perchè sì, era stato bravo, sì, lo aveva reso orgoglioso, l’oro sarebbe stato suo, e invece per colpa di quello stupido incidente adesso la sua carriera rischiava di terminare quel giorno.
- Arthur? –
A quel richiamo lieve e quasi spaventato il ragazzo si decise ad alzare lo sguardo, un sorriso dolce incrinato dal dolore a corrodergli i lineamenti morbidi.
- Alfred, ho parlato con i dottori. –
Un sussulto, l’atleta trattenne il fiato.
- Non potrai gareggiare per tutta la prossima stagione, il danno è stato troppo grave perchè tu possa tornare al rendimento attuale. – spiegò.
Vide la mano dell’americano stringersi attorno alla stoffa bianca delle lenzuola.
- E c’è... c’è il rischio che tu non possa pattinare più. Mai più. – concluse, sputando il verdetto a fatica.
Attese qualche istante che l’altro incamerasse il significato di quelle parole, ma la reazione che ne ebbe in cambio fu l’ultima che si sarebbe mai aspettato.
Alfred rise.
Dapprima in modo lieve, poi la sua divenne una risata profonda e dissonante.
- Stai scherzando, vero? E’ uno scherzo? –
Ma Alfred sapeva meglio di chiunque altro quanto poco Arthur fosse incline a quel genere di burla, e presto la sua risata divenne isterica e l’atleta prese a stringere il lenzuolo in maniera sempre più spasmodica.
- Non posso ritirarmi, Arthur! Io sono l’Eroe! La gente vuole vedermi pattinare! – esclamò, nelle iridi azzurre una disperazione che il suo sorriso venato di una lieve follia cercava di celare.
- Alfred, mi dispiace... Non possiamo farci niente, dobbiamo solo... – ma venne interrotto dal fiume di parole del suo atleta.
- No, no, non posso! Non voglio! Deve esserci un modo... Io... Arthur, non... Il pubblico penserà che... –
- Alfred, è stato un incidente, può succedere a chiunque! –
Ma sapeva benissimo che quelle parole non avrebbbero sortito alcun effetto sull’infortunato.
- Un incidente? Un incidente?! Arthur, non è stato un incidente! Qualcuno mi ha sabotato! E’ stato Braginski, ne sono sicuro! –
A quelle parole qualcosa scattò nella coscienza di Arthur Kirkland, facendolo balzare in piedi.
- Adesso non dire stronzate, Alfred! E’ stato un incidente, e Braginski non c’entra nulla! Il pattino si è rotto, può succedere, punto e basta. Dovresti occuparti di riprenderti, invece di cercare di dare la colpa al tuo prossimo! –
Qualcosa nello sguardo di Arthur lo fece ammutolire, trasformandolo in un istante in un ragazzino spaesato e spaventato.
- Ma Arthur... Io... ho controllato i pattini prima dell’esibizione... erano a posto, lo giuro. Li ho controllati... – e la sua voce si spezzò mentre cercava di ritrovare la fiducia negli occhi dell’allenatore.
Quello rivolse lo sguardo altrove e fu come se gli avesse detto apertamente che non credeva ad una parola di quello che gli aveva detto.
- Arthur, dannazione! Te lo giuro, i pattini erano a posto! Cristo, perchè non mi credi?! Io non posso abbandonare il pattinaggio, non posso! – sbraitò, furioso.
Arthur non riuscì a capire se le lacrime che sfuggivano copiose alle ciglia di Jones fossero di rabbia o di disperazione, ma le sentì bruciare sulla sua pelle come acido.
Trasse un profondo respirò e pregò che Alfred non si accorgesse del tremore delle sue mani.
- Non è ancora nulla di certo, ma dovrai affrontare diverse operazioni, e la mia unica priorità adesso è la tua salute. Occupiamoci di una cosa alla volta, okay? – cercò di infondergli un minimo di speranza, nonostante lui stesso sapesse che quel comportamento era completamente inutile.
L’americano non rispose, i suoi singhiozzi ad unico contrasto con il silenzio di piombo.
- Vai via. – sentenziò dopo un minuto di perfetto mutismo.
- Alfred, ascolta, non... –
- VAI VIA! –
E Arthur la vide, spezzata nelle iridi sempre gioiose del suo atleta.
Era la stessa speranza che per tanti anni aveva animato il suo stesso cuore, la stessa voglia di mostrare al mondo che lui era vivo, che lui era bravo.
Era la gioia di pattinare, la passione, l’entusiasmo.
Finito tutto, stroncato in un istante.
L’affetto si era mutato in odio, la tenacia in disperazione.
Arthur Kirkland si alzò in piedi e lasciò la seggiola dove l’aveva sistemata, poi uscì dalla stanza senza proferire parola, alle sue spalle i singhiozzi che lo raggiungevano uno ad uno come proiettili.
Tornato in corridoio fu il sorriso stanco di Sharon ad accoglierlo.
Le sue guance dalle linee dolci erano rigate di lacrime già asciutte, e la sua mano era tesa verso il biondo.
- Si è sentito? – domandò Arthur in un soffio.
Sharon lo abbracciò stretto.
- Tutto quanto. Ma c’era da aspettarselo, no? – aggiunse, tornando a guardarlo in viso.
Il ragazzo sospirò e si passò una mano fra i capelli, esausto nonostante non avesse sostanzialmente fatto nulla.
- Spero che a te vada un po’ meglio... –
La giovane gli rivolse uno sguardo eloquente, perchè entrambi conoscevano Alfred ed entrambi sapevano quanto quell’eventualità fosse più che impossibile.
- Farò del mio meglio... – e così dicendo sparì al di là dell’uscio, pronta ad essere investita dall’ira del fratello.
Arthur, rimasto nuovamente solo, tornò a sedersi sulla fredda panchina di metallo, i gomiti sulle ginocchia e il viso nascosto nei palmi delle mani.
Ancora ricordava il primo giorno assieme ai Jones.
Si trattava ormai di otto anni prima, l’anno della sua maggiore età.
Le Olimpiadi di Innsbruck erano terminate da poco più di un mese, e il clima alla pista di pattinaggio di Anderson era apparentemente lo stesso di sempre.
Arthur era arrivato di pomeriggio, e il suo capo lo aveva chiamato in quello che da lì a pochi anni sarebbe diventato il suo ufficio.
- Ne abbiamo già parlato, Arthur, e credo che questa possa essere per te un’ottima occasione. – gli aveva spiegato.
Anderson era un uomo di poche parole, un allenatore vecchio stampo con cui Arthur era andato immediatamente d’accordo.
- Crede davvero che io possa essere all’altezza? Insomma, la ragazzina magari può essere un discorso, ma per quanto riguarda il fratello... A quest’età gli atleti sono già formati, temo sia difficile riuscire a... ecco... plasmarlo... – aveva esposto i suoi dubbi senza troppi giri di parole, certo che il capo avrebbe immediatamente compreso il perchè della sua reticenza.
L’uomo aveva sorriso, un sorriso carico d’orgoglio che aveva smosso qualcosa nella coscienza di Arthur.
- Lo so, ha solamente due anni meno di te e ti terrorizza l’idea che non ti riconosca l’autorità, ma Arthur, credo di non aver mai conosciuto un ragazzo con il tuo carisma. E in ogni caso questa è ancora la mia pista, dovesse mancarti di rispetto ci penserei io. –
Ed eccolo lì, meno di due ore dopo, seduto a bordopista ad osservare attentamente lo stile di Jones e della sua sorellina.
E sì, i primi tempi era stato esattamente come aveva sospettato: se Sharon, all’epoca timida e mansueta nei suoi tredici anni, si era dimostrata un’allieva modello, affettuosa e diligente nei suoi confronti, di Alfred non poteva dirsi lo stesso.
Il ragazzino non era stato capace di resistere più di due lezioni di fila, poi il suo ego aveva avuto il sopravvento, portandolo a lamentarsi del fatto che fosse assurdo che un astro nascente come lui venisse allenato da un diciottenne.
- Non me ne sono andato da Seattle per farmi insegnare a stare sul ghiaccio da un ragazzino, e per di più inglese! – aveva sbraitato un giorno in cui Arthur si era dimostrato particolarmente severo.
Senza che nemmeno avessero avuto il tempo di accorgersene, Anderson si era allontanato dagli atleti che stava seguendo ed era scivolato rapido verso di loro.
- Qualche problema, Jones? –
Alfred, caricato dall’irruenza dei suoi sedici anni, non si era fatto troppi scrupoli a ripetere cosa non gli andasse del suo allenatore, mentre Sharon, in piedi accanto a lui, desiderava sparire, o almeno tappargli la bocca con due mandate di nastro americano.
Anderson aveva sorriso affabile, si era grattato la barba pensoso e poi aveva annuito condiscendente.
- Certo, capisco. Credevo di averti reso onore ad affiancarti un allenatore del suo calibro, ma se la convocazione alle prossime Olimpiadi non rientra nei tuoi interessi beh... quella è la porta, Jones.-
Sia le giovani stelle del pattinaggio sia Arthur erano rimasti annicchiliti da quella frase pacata e contemporaneamente intransigente.
Da quel giorno, anche se con estrema lentezza, le cose non avevano fatto che migliorare, e Alfred aveva dovuto ricredersi.
Sì, Arthur era giovane e a separarli c’erano solamente due anni, ma aveva dimostrato di avere tutto da insegnargli, e la sua esperienza e bravura si erano infine riversate sui suoi giovani atleti, smussando le imperfezioni del loro stile e portandoli rapidamente ad una serie di sbalorditive vittorie.
Così, assieme alla fama dei fratelli Jones, che avevano incantato l’America con le loro esibizioni di coppia o coi programmi singoli di Alfred, era cresciuta quella di Kirkland, l’allenatore più giovane degli ultimi tempi.
Gli anni erano passati, e competizione dopo competizione, coppe e medaglie erano andate a decorare l’ufficio di Anderson, finchè questo, ormai anziano, non aveva deciso di cedere l’attività.
E Arthur Kirkland era diventato a tutti gli effetti un allenatore con una pista sua, con degli atleti suoi, e un orgoglio tutto nuovo ad illuminargli il sorriso.
- Allora, Capitano! Che si fa oggi? – era solita salutarlo Sharon ad ogni nuovo allenamento, mentre Alfred, rumoroso come sempre, gli dava il buongiorno a modo suo.
E finalmente erano diventati un tuttuno, allievi e allenatore.
Erano diventati una famiglia, e ad Arthur aveva persino smesso di mancare l’Inghilterra.
Aveva costruito per loro un futuro radioso, li aveva elevati fino a renderli l’orgoglio della loro nazione, e quella era per lui la più grande delle vittorie, equivalente a qualsiasi medaglia o titolo olimpico.
Adesso, seduto in quel corridoio smorto e deserto, i singhiozzi di Alfred attutiti dalla porta e la voce di Sharon che dolce ma ferma cercava di riportarlo alla ragione, Arthur Kirkland sentì di aver distrutto ogni cosa buona che avesse mai fatto.
Ancora una volta, il suo mondo veniva distrutto con prontezza e precisione.
Ancora una volta, aveva fallito.



























 
Note:

Hola! ~
Eccoci qua con il primo vero e proprio capitolo di questa storia!
Lo prometto, non sarà sempre una vagonata di depressione come stavolta, presto le cose andranno per il verso giusto! xD
In questo capitolo ho voluto raccontare qualcosina in più su Arthur e su come ha conosciuto i fratelli Jones e ho voluto mostrare una delle tante sfaccettature del rapporto che ha con Alfred e con Sharon.
Devo essere sincera, scrivere la parte in cui Arthur da ad Alfred la brutta notizia è stata davvero una pena da scrivere, e spero di essere riuscita a comunicare almeno un quarto di quello che ho patito io scrivendo... ;_;
Ma-! Spostandoci di quattro mesi in avanti, ovvero alla linea temporale di inizio capitolo... Cosa diamine vuole Ivan? Cos'è che lui sa sull'incidente? Alfred aveva ragione? E' stato davvero lui? O c'è di più?
Beh, non sto a spoilerare nulla, lo scopriremo nei prossimi capitoli! <3
Un grazie infinite a chi ha recensito, a chi recensirà e a chi legge/segue/preferisce, tornare nel fandom accolta da belle persone come voi è meraviglioso! <3


Kisses,
Koori-chan

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