What happend to that

di gloriabarilaro
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ‹‹ Non mi lascerai, vero, Sel? ›› ***
Capitolo 2: *** ‹‹ Hai paura? ›› ***
Capitolo 3: *** ‹‹ Perché hai chiamato proprio me?›› ***



Capitolo 1
*** ‹‹ Non mi lascerai, vero, Sel? ›› ***


 

Capitolo 1.


  ‹‹ Sel? ››
  Distolsi lo sguardo da Demi, che saltellava via allegra, e mi voltai verso di lui: un sorriso invase le mie labbra, ma mi costrinsi a non abbracciarlo. Lanciai un’occhiata tesa al corridoio pieno di gente, poi rifeci cadere lo sguardo su di lui. ‹‹ Ehi, ciao ›› gli mormorai, torturando con le dita la copertina del libro di algebra. Lui lo notò.
  ‹‹ Perché così nervosa? ››
  ‹‹ Interrogazione – mentii, prima di scuotere una mano davanti al suo viso con noncuranza, – lascia stare, ora mi passa ››.
  Assottigliò lo sguardo, rivolgendomi uno sguardo sospettoso. Poi, scuotendo la testa, ritornò a sorridermi. ‹‹ Vuoi che ti accompagni in classe? ››
  ‹‹ No! ›› quasi lo urlai, facendolo sobbalzare. Mi posai una mano sulla bocca, tossicchiando e maledicendomi per la mia stupidità. ‹‹ Volevo dire, non ce n’é bisogno ›› mi corressi, prima di mordicchiarmi il labbro: avevo attirato l’attenzione di alcuni ragazzi che parlavano fra loro vicino a noi, e non era affatto una cosa buona.
  Sudavo freddo. In vita mia, non avevo mai avuto così paura: io, che credevo non mi potesse spaventare niente. Non avevo mai creduto di poter diventare così fragile da un momento all’altro, per così poco. Deglutii senza farmi vedere, mentre la cercavo un’altra volta con lo sguardo: avevo il terrore che spuntasse da un momento all’altro dal nulla e mi vedesse.
  ‹‹ Ascolta, - gli mormorai infine, avvicinandomi un poco – ci vediamo dopo scuola, ora devo davvero andare ›› calcai sulla penultima parola, cercando di non rendere il mio sguardo troppo supplichevole: l’unica cosa che non volevo era proprio che Josh si preoccupasse per me. Lui serrò le labbra in una linea stretta e diritta, ma poi annuì, buttando goffamente lo sguardo a terra.
  Mi guardai di nuovo attorno con circospezione poi, prendendolo per mano, mi nascosi dietro la fila di armadietti, parandomi lui davanti: era abbastanza alto da nascondermi, anche se io, per sicurezza, mi strinsi nell’angolo fra la parte fredda dell’armadietto e il muro.
  Lo baciai, rendendomi conto con amarezza di quanto fossi rigida. Strinsi gli occhi e mi trattenni dal non mordergli le labbra, perché la forza che ci avrei messo nel farlo sarebbe stata troppa e gli avrei fatto male. E mentre lasciavo che le sue mani mi accarezzassero dolcemente il braccio e il viso, riuscii a buttarmi tutte le preoccupazioni alle spalle per un secondo, rilassandomi sotto quel contatto quasi magico e paradisiaco.
  Mi staccai con freddezza e, dopo avergli lanciato una breve occhiata di scuse, mi allontanai da lui e camminai velocemente verso l’aula dove mi attendeva la prossima lezione mentre il suono della campanella mi rimbombava nelle orecchie.
  E nessuno lo notò, ma stavo trattenendo a stento le lacrime: io, che a scuola camminavo per i corridoi con un sorriso luminoso e salutavo tutti senza preoccupazione.
  Quel giorno però, no. Quel giorno mi ero resa conto di quanto avessi veramente. Parlavo volentieri con tutti, sì, ma a quale di quelle persone avrei raccontato del macigno che avevo dentro? Quanti, di loro, avrei messo al corrente della minaccia che mi era stata rivolta? Nessuno.
  Demi era troppo fragile per sopportarlo.
  Josh era l’ultimo cui sarebbe dovuto venirne al corrente.
  Mi ritrovavo, così, a trascinarmi dietro qualcosa di molto pesante. Qualcosa che una spensierata e sognatrice quindicenne come me non riusciva a sopportare da sola.
 
  ‹‹ Ci vediamo oggi pomeriggio? ››
  Aprii la bocca per replicare, ma Demi si affrettò a correggersi: ‹‹Ah, no, non posso, – mi sorrise – lezione di piano ››.
  Le sorrisi a mia volta mentre un altro flusso di ragazzi ci passava accanto. Sentii qualcuno salutarmi, ma non prestai loro molta attenzione, ricambiando il saluto solo con il cenno della mano. ‹‹ Ci possiamo vedere domani ›› le proposi. Lei annuì, scoccando poi un’occhiata al blocco schermo del cellulare e rabbuiandosi in viso. Non mi trattenni dal chiederle che succedesse.
  Lei mi lanciò un’occhiata strana, quasi come se si fosse accorta solo in quel momento che fossi ancora lì, e scosse la testa. ‹‹ Nulla ›› rispose, e dal suo tono apparentemente fin troppo sicuro intuii che mi stava mentendo.
  ‹‹ Demi, dai, dimmi cos’hai ›› le mormorai, prendendole la mano e tirandola un poco per invogliarla a sedersi con me sulla panchina lì vicino: lo fece tenendo lo sguardo puntato a terra, sulle sue converse colorate in netto contrasto con il suo umore grigio.
  ‹‹ Stasera devo andare da papà ›› mi rispose in un soffio. Sentii la bocca del mio stomaco chiudersi: automaticamente, strinsi la sua mano e lasciai che posasse la testa sulla mia spalla. ‹‹ Non me la sento affatto. Preferisco dormire nel parco piuttosto che vederlo. Sarà sicuramente nervoso come l’altra volta. Mancava poco così, – alzò la mano e avvicinò il pollice e l’indice lasciando fra loro un ristretto spazio – e mi avrebbe picchiato, ne sono sicura ››.
  Posai la guancia sulla sua testa quando la sentii tremare leggermente, riabbassando la mano. ‹‹ Sta tranquilla,  stavolta non succederà ›› le mormorai. Lei mi guardò e io cercai di sorriderle. Poi, tornando seria, scelsi bene le parole prima di dirle: ‹‹ L’importante è che tu non faccia cose di cui poi potresti pentirtene. ››
  ‹‹ Chelsea oggi mi ha detto che sono inutile – m’informò, quasi senza pensarci su – e che rimarrò sola. Mi ha detto che anche tu te ne andrai. ››
  Mi si raggelò il sangue nelle vene. Cercai di sembrare calma mentre le mormoravo: ‹‹ Non le credere, mente ›› ma dentro di me era tutto in subbuglio. Il mio cuore prese a battere veloce: cercai di regolare il respiro per non far notare niente a Demi, che si era seduta dritta e mi guardava con uno sguardo impaurito.
  ‹‹ Non mi lascerai, vero, Sel? ›› mi chiese con un filo di voce. Io scossi la testa e l’abbracciai.
  ‹‹ Mai. ››
 
  Erano finite le lezioni, i corridoi erano deserti: il mio respiro era affannato, i battiti del mio cuore accelerati a ritmo con i miei passi frettolosi, mentre la mia testa era piena di pensieri che mi tormentavano senza tregua. Non vedevo l’ora  di tornare a casa con Josh e lasciare che lui mi distraesse inconsapevolmente da quello che mi tenevo dentro. Avevo bisogno dei suoi baci, di sentirlo vicino, di potermi fare piccola contro il suo petto per sapermi al sicuro.
  Proprio quando pensavo che finalmente anche quella mattinata da incubo era oramai finita, qualcuno spuntò da un angolo e mi sbarrò la strada, intrappolandomi nella sua stretta e portandomi via.
 
  ‹‹ Credevo che i miei avvertimenti sarebbero bastati ›› la ragazza dai lunghi capelli biondi si voltò nella mia direzione e mi servì un’occhiata infuocata. La sua collera era quasi palpabile nell’aria, mentre Logan mi spingeva, facendomi cadere sul terreno polveroso dietro la palestra: dei sassolini mi ferirono i palmi delle mani, ma feci finta di niente anche quando il dolore si fece più acuto. Mi limitai a guardare Chelsea negli occhi, senza sapere quanto il mio coraggio mi avrebbe penalizzato.
  ‹‹ A quanto pare credi davvero di essere in grado di prendermi in giro ›› ringhiò sdegnata, incrociando le braccia al petto. Alzai il mento e aprii la bocca per replicare, ma una mano mi colpì all’improvviso sulla nuca, facendomi abbassare la testa e finire con il naso a terra. Mi portai le mani sul punto dove mi avevano colpito e mi morsi le labbra per non urlare, mentre sentivo la ragazza dinnanzi a me chinarsi fino ad avere il viso alla stessa altezza del mio e potermi sputare con freddezza: ‹‹ Stupida bambina, non sai con chi hai a che fare. Se dico che farò una cosa, la farò veramente. ››
  ‹‹ No! ›› urlai, ma presto quel grido divenne di dolore: Logan mi aveva afferrato i capelli e li aveva tirati con forza, facendomi piegare la testa all’indietro.
  ‹‹ Lasciala stare, se continua a gridare ci sentiranno ›› lo rimproverò Chelsea, facendogli mollare la presa. Ansimando, non riuscii a trattenere le lacrime, che iniziarono a scendere copiose dal mio viso.
  ‹‹ Chelsea, ti prego, non lo fare. Mio padre, se ne vorrà andare sicuramente. Ti prego... ›› oramai piangevo a dirotto, ma nemmeno le mie lacrime erano in grado di impietosirla.
  Niente avrebbe potuto impietosire Chelsea, niente e nessuno.
  ‹‹ Mi dispiace, Marie ›› si rimise diritta in piedi, arretrando quando mi posai con gli avambracci sul terreno e nascosi il viso tra le mani. ‹‹ Io ti avevo avvertito ›› finì di dire, girando sui tacchi e dandomi le spalle. Mi misi a singhiozzare così forte che per poco non riuscii a respirare. Che cosa avevo fatto?
  ‹‹ Ora, vai a casa e preparati a ricevere la brutta notizia. Credo che dopo questo, non avrai più bisogno delle mie minacce per allontanarti da Josh ›› ghignò, prima di iniziare ad allontanarsi. La chiamai di nuovo, quasi urlando.
  ‹‹ Chelsea, ti prego. Perseguita me, ma non far chiudere il ristorante di papà. Tu non capisci, se dovesse chiudere… ›› la supplicai, ma lei m’interruppe scuotendo la testa e ridendo perfidamente. Quella risata, così piena di crudeltà, mi fece rabbrividire.
  ‹‹ Allora non hai capito proprio niente, bambolina – disse infine, lanciandomi uno sguardo che mi trafisse come una spada, l’ultimo colpo del duello che oramai lei aveva vinto – questo è quello che voglio. ››
 
  ‹‹ Guarda cosa ho trovato ›› cinguettò, mostrandomi un foglio. Non mi trattenni dal strapparglielo di mano e leggere lo sottili righe: era un contratto.
  ‹‹ Cosa significa? Perché c’è il nome del ristorante di mio padre? ›› chiesi ansiosa, stringendo il foglio tra le mani. Non sapevo davvero se volevo venire a conoscenza della risposta a quella domanda, ma essa mi arrivò più veloce di una pallottola.
  ‹‹ Mio padre sa che il locale del tuo papino è sull’orlo del fallimento – disse semplicemente lei con sufficienza, come se stesse parlando di un negozio qualunque mentre si guardava le unghie – ed è disposto a offrire una grossa somma per farlo chiudere una volta per tutte e avviare un’altra attività. ››
  Il foglio mi cadde dalle mani. ‹‹ Questo significa che mio papà potrebbe tornare a Grand Prairie e aprire l’attività lì con i soldi che gli darà e... ›› parlai velocemente, la disperazione che aumentava ad ogni parola, ma fu lei a finire il ragionamento con estrema tranquillità, guardandomi con un’espressione compiaciuta: ‹‹ Tu dovrai andare con lui e tutta la tua famigliola; e come vedi, manca solo una piccola firma. Ho rubato il contratto a papà in modo che non se ne possa più ricordare, ma se non lasci in pace Josh e lo dimentichi, beh, credo che tu debba iniziare a valutare quest’idea. ››

 
 
Eccomi qui. Questa è la prima parte del racconto di Selena del capitolo 33 della mia fan fiction, Give your heart a break. Ovviamente questa storia può essere letta anche separatamente, nonostante non si parli approfonditamente dei personaggi poiché dò già per scontato che voi li conosciate, come è possibile leggere la fanfiction di Demi senza leggere questo missing moments. 
Ho deciso di fare questa storia a parte principalmente per una questione di numero dei capitoli, e magari attrarre qualche fan di selena verso la fan fictin principale - chissà, magari qualche nuova lettrice vorrà sapere di più su Demi, su Miley, su Josh o Chelsea.
Grazie a tutti i lettori che mi hanno seguito fino ad ora, che abbia deciso di leggere questa fan fiction o meno. Vi amo.
Scusatemi per i miei ritardi, e per l'ansia che vi metto a ogni capitolo e che vi lascio per settimane, se non mesi.
Se siete nuovi lettori, potete trovare i link di twitter, tumblr, wattpad e della mia pagina facebook sul mio profilo.
Grazie per la lettura e per un'eventuale recensione, se ne avrete voglia!
Baci,
Glo.

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Capitolo 2
*** ‹‹ Hai paura? ›› ***


 

Capitolo 2.

 

  Chelsea mi aveva anche minacciato di non dirlo a nessuno, e così avevo fatto. In fondo, se anche l’avessi detto in giro, non avrebbero fatto altro che ridermi in faccia.  Il ristorante di papà di certo non andava a gonfie vele come prima, e un contratto dal grande imprenditore McPherson doveva parere un miracolo dal cielo. Non per me, però, che avevo vissuto fino ad allora in quella piccola cittadina e mi ero fatta una vita lì, mi ci ero legata;
  Non per Josh, che diceva di aver bisogno di me per sentirsi più coraggioso, perché fra quel mare di gente che pretendeva fin troppo da lui, con me si sentiva sempre più sicuro e riusciva a sopravvivere;
  Non per Demi, che dava l’impressione di rompersi da un momento all’altro, troppo fragile per essere lasciata sola anche un secondo; non dopo che lei aveva trovato in me il supporto di cui aveva sempre avuto bisogno per superare tutto, quella forza per rimanere forte nonostante tutto; non dopo la promessa che le avevo fatto, la prima che avrei infranto. 
 
  Mezz’ora più tardi, raggiunsi Josh al fast food dove di solito andavamo con tutti gli altri: era fuori e mi stava aspettando con un’espressione indispettita in volto. Avevo sentito anche nel suo tono di voce quella nota stizzita indispettita: di certo, non gli era andato a genio il fatto che l’avessi fatto aspettare, soprattutto dopo come l’avevo trattato quella mattina. Quando lo raggiunsi, si limitò a darmi un bacio frettoloso e ad aprirmi la porta, senza dire niente. Entrai nel locale con la testa bassa, mordendomi con forza il labbro. Non mi aveva mai trattato così.
  Mantenne quell’atteggiamento per tutto il resto della giornata, mentre io mi sentivo morire dentro a ogni sua risposta sgarbata nei miei confronti. Ma nonostante tutto, decisi di mentire fino all’ultimo.
  Alle sei faceva già buio, fuori pioveva e soffiava un vento freddo, come il mio cuore oramai rassegnato alla dura realtà; esso scuoteva i rami degli alberi e faceva cadere le ultime foglie rosse e gialle appese ad essi.
  Josh mi era accanto, mi abbracciava, ma non come avrei voluto io: quell'abbraccio era freddo forse come il vento che soffiava fuori, e il suo silenzio era assordante, mi faceva venir voglia di piangere.
  Quando fuori un lampo illuminò il cielo e un tuono fece vibrare il vetro della finestra, rabbrividii, avvicinandomi un po' di più a lui e nascondendo il viso nel suo petto: il letto sul quale eravamo sdraiati cigolò un poco e lui, a quel rumorino, parve risvegliarsi. La sua voce calda fu come una spessa coperta sulle spalle quando i caloriferi in casa sono spenti, confortevole e morbida.
  ‹‹ Hai paura? ››
  Il fatto che si stesse preoccupando per me mi rincuorò un poco, mentre scuotevo la testa per rispondere alla sua domanda. Lui non replicò nulla: si limitò ad avvicinare una mano alla mia spalla, esitante, e passare le dita sulla pelle del mio braccio coperta dal cardigan blu che avevo addosso. Le sue mani erano calde, le sentivo attraverso la stoffa, ma rabbrividii comunque.
  ‹‹ Non capisco. ››
  Lo guardai: il suo sguardo disperato e perso fu come una coltellata al centro del petto. Rivolsi nuovamente il mio viso verso il basso, mentre lui non aspettava una mia risposta per continuare. ‹‹ O forse sì, ma mi rifiuto di crederci. ››
  Mi morsi il labbro: perché doveva essere tutto così difficile? Anche solo pensare che l’avessi ferito mi faceva venire la nausea e le lacrime iniziavano a bruciarmi in gola. Se solo sapesse. Se solo io trovassi il coraggio di far sì che capisca.
  ‹‹ Credevo che tu mi amassi – mormorò, la voce spezzata. Soffocai un singhiozzo, sperando che non lo notasse – che quando mi avevi detto che ricambiavi i miei sentimenti non stavi mentendo ›› lo sentii deglutire, mentre mi sforzavo di non alzare lo sguardo verso di lui e rischiare che vedesse le mie lacrime.
  ‹‹ Che è successo a tutto questo, Sel? Tu non – esitò, quasi avesse paura di porgermi quella domanda – non mi ami più? ››
  Annaspai un poco, quasi avessi ricevuto un colpo nello stomaco. Scorsi Josh guardarmi preoccupato, e mi sforzai di fingere che fosse solo un colpo di tosse mentre una lacrima mi scendeva dall’angolo dell’occhio e cadeva sul lenzuolo.
  Non risposi subito, aspettai un poco: nel silenzio, oltre alla pioggia scrosciante fuori che picchiava sul vetro, sentivo i nostri respiri leggermente affannati e il battito del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie.
  ‹‹ Sì – dissi infine, dopo aver preso un profondo respiro – è così. ››
 
  ‹‹ Lasciami spiegare! ››
  ‹‹ Tu non devi dirmi più niente! ››
  Le nostre grida riempivano i muri vuoti della casa e coprivano il rombo dei tuoni fuori. L’acquazzone non era ancora finito, ma dentro quella casa, dai nostri occhi, aveva incominciato solo ora a piovere, mentre le nostre urla erano come lampi che squarciavano il cielo.
  Josh mi si avvicinò minacciosamente, i passi pesanti la furia leggibile nei suoi occhi: indietreggiai tremando fino a sentire la schiena aderire contro il legno della porta. Lo guardai terrorizzata e, non vedendolo fermarsi, alzai le mani davanti al viso; una reazione abbastanza stupida, visto che lui non mi aveva mai picchiato: ma dai suoi occhi infossati e scuri, dalle sue labbra contratte, non sapevo più cosa aspettarmi. Quello non era il Josh che conoscevo, che amavo.
  ‹‹ Josh, per favore ›› iniziai piano, quando si fermò a pochi centimetri da me e io, cercando di ripetermi che non mi avrebbe fatto del male, abbassavo piano le mani. Potevo scorgere, nella penombra, le vene evidenti sul suo collo.
  ‹‹ Mi hai detto che non mi ami. Non ho bisogno di sentire altro ›› il suo tono di voce, adirato e freddo, era anche amaro. E potevo leggere quell’amarezza anche nel breve lampo che attraversò i suoi occhi, l’amarezza di quando scopri una verità che ti rompe in mille pezzi. Mi morsi il labbro: volevo urlare.
  ‹‹ Io n-non volevo... ››
  ‹‹ Vattene, Selena ›› mormorò così piano che, per un attimo, pensai di essermi solo immaginata quella parole. I suoi occhi, poi, puntarono dritti nei miei, affilati e ostili: il verde smeraldo macchiato dal grigio della tempesta che aveva dentro. ‹‹ Vattene, non ti voglio più vedere ›› disse ancora, e in quel momento fui sicura che non mi ero immaginata un bel niente. Quella era la realtà.
  Non mossi un muscolo: la vista mi si appannò in una frazione di secondo e fui costretta a serrare le labbra per impedire loro di tremare. Josh alzò una mano e io, spaventata, scattai da un lato, lontana da lui: ma tutto quello che fece fu aprire la porta della stanza e attendere lì, lo sguardo basso. Un lampo illuminò veloce il cielo e così anche la stanza, e noi, lui, fendendo le tenebre e tradendolo mentre le sue spalle tremavano. Il tuono lo seguì quasi subito, coprendo il bruttissimo rumore che fece il mio cuore spezzandosi.
 Presi un respiro ed alzai il mento. ‹‹ Non ti preoccupare – dissi, con la voce più ferma che riuscissi a fare in quel momento – me ne vado. Non mi vedrai più ›› e così dicendo, uscii dalla porta e mi diressi verso le scale, cercando di tenere la testa alta e il passo deciso nonostante sentissi una parte di me morire.
  Credevo di conoscere Josh abbastanza bene: per questo mi aspettavo che sbattesse la porta alle mie spalle non aspettando neanche di vedermi uscire di casa. Me lo aspettavo così tanto che, raggiunto il primo gradino e non avendo sentito il tonfo, mi voltai verso di lui: era ancora sulla porta, le nocche della mano attorno alla maniglia bianche come la neve. Sul suo viso scorsi il luccichio di una lacrima.
  Cercando di far finta di niente, incominciai a scendere le scale, nervosa: mi ripetevo che era meglio così, allora perché speravo che mi urlasse di fermarmi e correndo verso di me, mi dicesse che aveva capito che stavo mentendo, che gli stavo nascondendo qualcosa?
  Al quarto gradino, però, non gridò il mio nome. ‹‹ Ti odio! ›› urlò invece, e sbatté quella dannata porta. Sobbalzai dallo spavento e, posando male il piede sul gradino, caddi giù per le scale. Quando la caduta finii, dolorante, guardai in alto: ma in cima alla rampa di scale non c’era nessuno, e la porta della stanza di Josh era chiusa. La casa, silenziosa, sembrava deserta.
  Oramai le mie lacrime uscivano a fiumi dai miei occhi: non mi curai né di asciugare loro, né del male che mi faceva il corpo quando mi alzai. La guancia mi bruciava in modo atroce e, quando avvicinai la mano ad essa per asciugarmi le lacrime, la manica della mia maglia si macchiò anche di un liquido rosso: dovevo essermi graffiata da sola mentre rotolavo giù.
  In uno scatto di furia, aprii la porta e uscii di casa lasciando che la pioggia mi bagnasse i capelli; poi chiusi essa alle mie spalle, così forte che vidi i vetri della finestra della cucina tremare. Sentendomi un poco più leggera, percorsi tutto il vialetto e raggiunsi il marciapiede dove mi fermai, guardandomi attorno: il labbro mi tremò e ricominciai a singhiozzare, mentre le gocce d’acqua fredda mi inzuppavano i capelli e i vestiti.
  M’incamminai per casa zoppicando, il vuoto dentro e il cuore rotto, i pezzi di esso dispersi chissà dove sul parquet di quella stanza dove la mia bugia più grande – lo sapevo per certo – riecheggiava ancora nelle mura.

 


 

Ecco il secondo capitolo. Non ci ho messo così poco per aggiornare come mi aspettavo, ma non importa. A breve caricherò l'ulimo capitolo di questa fan fiction (che, per inciso, non è più il racconto di Selena, ma di Miley) e, dopo di esso, proseguirò Give your heart a break senza più interruzioni. 
Mi rattrista dirlo, questa fan fiction sta continuando da anni e mi lascerà un'incredibile malinconia una volta che l'avrò finita. 
Ma per ora, non ci penso, e ne approfitto per ringraziarvi ancora per la vostra pazienza e il vostro supporto. 
Mi piace pensare che scrivo per voi.
Mi piace pensare che a qualcuno piacciano le mie parole, che esse possano toccare quella persona, se mai ci riescano.
Spero di poter aggiornare presto!
Baci,
Glo.

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Capitolo 3
*** ‹‹ Perché hai chiamato proprio me?›› ***


 

Capitolo 3.




  Erano le nove di sera e stava ancora studiando chimica. Sbuffando, fece volare in aria una ciocca di capelli che le ricadeva davanti al viso da mezz’ora senza che lei se ne fosse accorta.
  Rotolando su sé stessa, scivolò giù dal letto con il sedere a terra, i pesanti pantaloni di cotone della tuta ad attutire la caduta: nonostante questo, rabbrividì al contatto con il pavimento freddo: quella sera faceva freddo, molto freddo, e l’acquazzone era finito solo una mezz’oretta prima, dopo la guerra di fulmini che era iniziata nel tardo pomeriggio.
  Guardò fuori e, con un sorriso, si compiacque di essere andata appena uscita da scuola a fare la sua oretta di lettura al parco rimandando lo studio a dopo, evitando così di prendere l’acqua nonostante, per tutta l’oretta passata a immergersi nel romanzo di Nicholas Sparks che le aveva consigliato Jenny, non avesse fatto altro che battere i denti per il vento gelido che tirava.
  Si alzò da terra e, sciogliendosi i capelli per rifarsi la crocchia oramai disordinata, uscì dalla stanza: aveva bisogno di una pausa, e niente come un bicchiere di latte caldo sarebbe riuscito a scacciare il freddo che si sentiva fin dentro le ossa.
  Appena mise piede fuori dalla stanza, però, dovette tornare indietro: il cellulare stava vibrando sul tavolo di ciliegio della scrivania, provocando un ronzio fastidioso.
  Era suo padre. Lo ascoltò distratta mentre scendeva le scale e entrava in cucina accendendo tutte le luci: lo sentiva parlare della lavatrice da mettere e della torta in forno da infilare in frigo, per poi finire con il rimprovero per non aver ancora finito i compiti. Miley buttò gli occhi al cielo e gli rispose a monosillabi anche stavolta. Voleva il suo bicchiere di latte, ora, pensò incrociando le braccia al petto e imbronciandosi come una bambina di cinque anni, nonostante ne avesse dieci in più. Be’, quasi.
  ‹‹ Papà, se non la smetti di farmi la predica non posso mettere né la torta in frigo, né fare il bucato e neppure finire di studiare, quindi se permetti... ››
  Suo padre, dall’altro capo del telefono rise. ‹‹ Sei la solita, bocciolo. Vai, non voglio mica ostacolare il tuo studio. ››
  Chiusa la chiamata, fece quello che suo padre le aveva detto velocemente mentre il latte riscaldava nel pentolino sul fornello: quando finì si sedette sul tavolo della cucina con il lungo e stretto bicchiere in mano, studiando le piastrelle che coprivano le pareti mentre lo sorseggiava piano. Il cellulare che suonava interruppe nuovamente quella pace, facendola borbottare scocciata prima di rispondere.
  ‹‹ Pronto? ››
  ‹‹ Miley? Sei tu? ›› la voce dall’altro capo era di una ragazzina della sua età, abbastanza famigliare. Si sforzò di capire chi fosse, ma non le venne in mente nessuno a cui l’avesse già sentita. Posando perplessa il bicchiere sul tavolo, vicino a dove era seduta lei, rispose alla ragazza: ‹‹ Sì, sono io... Ma tu chi sei? ››
  La ragazza dall’altro capo sospirò. Sembrava scossa, spaventata... L’unica cosa di cui Miley era certa era che le tremava la voce. Attese che iniziasse a parlare con un filo di ansia, saltando giù dal tavolo e scordandosi del bicchiere con quel liquido caldo e bianco che stava gustando fino a qualche secondo prima.
  ‹‹ Sono Selena – rispose la ragazza, la voce spezzata probabilmente dal pianto – e devo chiederti un grossissimo favore. ››
 
  Miley non era esattamente quella che si poteva definire una ‘ragazza popolare’: con il suo carattere estroverso e il suo fare estremamente sincero aveva molti amici e anche qualche antipatia, che però riusciva a gestire pacatamente senza avere guerre. Era normale, o almeno così si definiva lei, di quelle persone che forse non sono conosciute da tutti ma che non passano inosservate.
  Aveva una vita normale, con i suoi alti e bassi normali dell’adolescenza, una famiglia perfetta e degli amici fantastici. Non le mancava niente e non si lamentava, e nemmeno la fama a scuola le interessava più di tanto.
  Quando Selena, però, l’aveva chiamata, si era chiesta come avesse fatto a contattarla: al contrario di lei, la ragazza dall’altro capo del telefono era una delle più conosciute: non certo al livello della capo-cheerleader o della fidanzata del capitano della squadra di football, ma quasi. Miley poteva avere anche il suo gruppetto fedele di amici che voleva solo godersi la vita, ma Selena conosceva mezza scuola e non tutte le sue azioni passavano inosservate.
  Nonostante questi pensieri le si accavallassero nella mente, cercò di ignorarli mentre ascoltava Selena parlare: ora era sicura che stesse mascherando a fatica una voce rotta dal pianto, ma si costrinse a non farle domande per non metterla sotto pressione. Quando ella finì di parlare, Miley tacque per qualche secondo, perplessa: la lunga storia che le aveva raccontato tutt’ad un fiato fu come una secchiata d’acqua gelida, che la fece rabbrividire.
  ‹‹ Forse non ho capito – mormorò infine, aggrottando leggermente la fronte – dovrei diventare amica di Demetria? ››
  ‹‹ Odia il suo nome per intero, ti consiglio di trovare un nomignolo. ›› la corresse l’altra in un mormorio, ignorando la sua domanda. Miley saltò giù da tavolo con uno scatto, mentre con la mano libera si massaggiava la fronte
  ‹‹ È una pazzia ›› disse solamente, non riuscendo a trattenere un tono di voce scocciato. Selena sospirò frustrata, un sospiro che fece stringere il cuore a Miley: le dispiaceva davvero, soprattutto dopo che Selena le aveva raccontato tutta quella storia che sembrava uscita da un romanzo – sapeva della cattiveria di Chelsea, ma non avrebbe mai pensato sarebbe arrivata a tanto.
  ‹‹ Miley, ti prego. Non ti sto chiedendo di starle costantemente vicino, ma soltanto di tenerla sott’occhio. Non mi fido di quella strega, potrebbe farle passare le pene dell’inferno ›› la sua voce era disperata.
  Miley si morse il labbro: provò a mettersi nei suoi panni, ad avere un’amica vittima delle frecciatine di quella ragazza irriverente e arrogante e nel contempo essere costretta ad andare via, a lasciarla mentre lei non è protetta dalle grinfie di Chelsea. Avrebbe fatto la stessa cosa probabilmente, forse anche di più.
  ‹‹ Non posso mettermi contro Chelsea ›› mormorò cupa, aggrappandosi al ripiano della cucina: era combattuta, non sapeva che fare. Se da una parte avesse aiutato Selena facendole quel gigantesco favore, dall’altro avrebbe rinunciato una volta per tutte a una vita normale.
  Giravano molte voci su Demetria Devonne Lovato, nonostante non avesse molti contatti con gli altri. Se ne stava in disparte, e nessuno sapeva della sua storia, della sua vita. Per quanto Miley ricordasse, Selena era l’unica che quella ragazza frequentava, da sempre. E ora Selena se ne stava per andare, e lei aveva bisogno di qualcuno.
  ‹‹ Non devi preoccuparti di Chelsea. È di Demi che ti sto parlando – Selena sospirò nuovamente, mentre la voce le si faceva un po’ più tranquilla. Probabilmente aveva smesso di piangere – Ascolta, lei ha una storia abbastanza difficile ed è... fragile. È forse la persona più fragile che conosca. Ma se le stai vicina, ti dà il cuore ›› fece una pausa, nel quale Miley poté udire qualche singhiozzo strozzato. ‹‹ Ti chiedo solo di essere lì quando cade. Di starle accanto e distrarla. Fa fatica a fidarsi delle persone, ma se sente che si può fidare di una persona... ››
  Non terminò la frase. Miley annuì col capo, nonostante Selena non la potesse vedere. Era ancora incerta, ma da come la ragazza le parlava, aveva capito che, per lei, era davvero importante.
  ‹‹ Va bene ›› disse infine, dolcemente. Non le era mai piaciuta l’idea di ‘salvare le persone’, ne era sempre stata contraria, fondamentalmente perché era difficile, probabilmente impossibile. “Non puoi salvare le persone, puoi solo amarle”, e lei era più che d’accordo. E se Demi aveva bisogno d’affetto, chi era lei per privarla di esso?
  ‹‹ Grazie, Miley. E, ti prego, non raccontare questa storia a nessuno. Nessuno, nemmeno a Demi, soprattutto a lei. ››
  Miley storse la bocca. ‹‹ Sono contraria ai segreti – replicò, guardando il pavimento – prima o poi la verità viene fuori. ››
  Selena non le rispose subito. Qualcosa le fece capire che non ci aveva pensato. ‹‹ Non ti preoccupare – disse poi, piano – Le dirò tutto quanto prima che sia troppo tardi. Lo prometto. ››
  La sentì allontanare l’apparecchio, pronta per chiuderla chiamata, ma Miley la chiamò: aveva una domanda, sopra tutte le altre, che le solleticava la gola e che doveva assolutamente porgerle, anche a costo di non avere una risposta.
  ‹‹ Perché hai chiamato proprio me?››
  ‹‹ Perché  di tutte le persone che conosco, tu sei la più vera ›› e riattaccò.
  Miley sentì la testa vorticare  un poco, mentre allontanava piano il cellulare dall’orecchio. Non fece a meno di pensare che, in realtà, Selena non la conosceva.


 


 
Ed ecco spiegata la scomparsa di Selena. I segreti custoditi per anni da lei e da Miley, segreti di cui Demi era all'oscuro. 
Se la storia vi è piaciuta, correte a leggere la fan fiction principale (Give your heart a break), mentre invece se siete lettrici di quest'ultima, fatemi sapere cosa ne pensate di questo missing moments e sappiate che presto riprenderò l'aggiornamento della fan fiction! 
Scusatemi per l'assenza prolungata, ma sono state settimane turbolente. Ho riniziato a scrivere solo poco tempo fa e mi sto riprendendo da una crisi di pagina bianca che è durata fin troppo e mi ha svuotato completamente. Sto cercando l'ispirazione per scrivere altre storie, ma è sempre più difficile.
Con un bacio e un caldo abbraccio vi saluto e vi ringrazio per aver letto la mia storia!
Gloria

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