Capitolo
secondo: Right from the start
Sala Grande. Primo giorno di scuola.
Colazione.
Lily Evans aveva già mal di testa.
Per una volta non era stato provocato da
James Potter e dalla sua banda di scalmanati, era semplicemente il risultato di
una notte insonne, passata a osservare le tende del proprio baldacchino mentre
nel letto accanto Erin si rigirava a intervalli regolari in un continuo e
fastidioso fruscio di lenzuola e coperte, disturbando il suo già fin troppo
leggero riposo.
Lily non aveva mai avuto il sonno pesante,
nemmeno da bambina. Riusciva ad addormentarsi facilmente, ma si destava per
qualsiasi rumore, in particolar modo nell’ultimo periodo segnato
dall’inquietudine e dal crescente timore per gli attacchi sempre più frequenti
ai danni dei babbani.
Il Ministero ancora manteneva un certo
riserbo, centellinava le informazioni e rilasciava comunicati con molta prudenza,
paventando una minima, seppur inesistente nei fatti, sicurezza.
Ma era chiaro a tutti chi fossero i
responsabili e le motivazioni che si celavano dietro gli atti violenti e
incontrollati. Il panico non era ancora esploso e rimaneva una parvenza di normalità,
la Gazzetta ripeteva che si trattava di eventi isolati e monitorati, e che il
Dipartimento per l’Applicazione delle Leggi Magiche lavorava giorno e notte per
assicurare i criminali alla giustizia. Criminali sempre definiti come lupi
solitari, movimenti passeggeri e non organizzati, azioni scollegate tra loro.
Teste calde in cerca di guai, insomma, nulla che potesse preoccupare l’ordine
costituito, un fuocherello che si sarebbe presto spento.
Le voci di corridoio erano ben diverse.
Nonostante la gente comune cercasse di non pensarci e di fidarsi del Ministero,
tutti attendevano con paura la vera esplosione, perché quella miccia prima o
poi si sarebbe consumata, portando via con sé ogni cosa, distruggendo l’assetto
del mondo così come era stato fino a quel momento. Non “se” dunque,
piuttosto “quando”.
Hogwarts era un luogo sicuro, Lily lo sapeva,
non le poteva accadere niente di male finché restava a scuola. Le vecchie
abitudini erano comunque dure a morire e l’agitazione che aveva provato ogni
notte durante le vacanze estive, l’aveva seguita fin lì. Col tempo sarebbe
diminuita.
Certo, avrebbe potuto dormire meglio, se la
sua compagna di stanza non avesse deciso di muoversi come se fosse stata punta
da una tarantola.
A quanto sembrava non era l’unica crucciata
da qualche preoccupazione, anche se dubitava seriamente che Erin Fawley e il
suo antichissimo lignaggio purosangue potessero
affliggersi per le sue stesse ragioni.
In altre condizioni le avrebbe chiesto quale
fosse il motivo, ma quel mal di testa la stava uccidendo e non aveva la forza o
la pazienza di sobbarcarsi altre complicazioni.
Conoscendo il soggetto, abbastanza restio a
un qualsiasi tipo di coinvolgimento emotivo, era probabile che non avesse
digerito bene la cena. Tutto lì, nulla di grave o di eclatante.
Erin non era il genere di persona da
lasciarsi turbare. Normalmente era imperturbabile, a tratti quasi annoiata o
infastidita dai problemi, in particolare quelli che riguardavano le altre
persone. Non le piaceva essere tirata in mezzo, se poteva si teneva
lontanissimo da qualunque conflitto.
Per questo Lily credeva che l’amica avesse
soltanto avuto qualche difficoltà ad addormentarsi, una nottataccia di quelle
che potevano capitare a tutti, forse per colpa del materasso nuovo.
Quale fosse la ragione, anche Erin aveva un
aspetto sciupato, con due grossi cerchi scuri sotto agli occhi e l’aria di chi
con il pensiero era ancora nel letto, al calduccio tra le coperte. Fissava con
espressione vacua il piatto vuoto.
«Il cuscino era scomodo?» chiese Lily, mentre
le passava un toast imburrato. Aveva l’impressione che l’amica ne avesse
bisogno più di lei.
Erin la guardò senza registrare bene la
domanda, prese il pezzo di pane e lo addentò, annuendo distrattamente «Cosa
darei per avere una Giratempo in questo momento» disse con uno sbadiglio «Ti
prego, dimmi che abbiamo Incantesimi alla prima ora, così me ne torno a letto».
Lily ridacchiò «Vuoi già saltare la prima ora
del primo giorno?» e lanciò una fugace occhiata a foglio che la McGranitt le
aveva appena consegnato «Ti è andata male, due ore di Erbologia».
Erin imprecò a bassa voce. In Incantesimi era
una delle migliori della classe e Vitious non era un professore che di norma
faceva storie per un’assenza, ma non si poteva permettere di perdere nessuna lezione
di Erbologia, non dopo quel misero Accettabile nei G.U.F.O. e la conseguente
sfuriata di sua madre. Era una delle materie fondamentali per intraprendere la
carriera di Guaritrice al San Mungo e doveva decisamente impegnarsi ad alzare i
suoi voti, se voleva avere qualche possibilità di entrare nel corso di
specializzazione.
Erin non capiva perché facesse così fatica:
Erbologia non era una materia così complicata come altre in cui riusciva molto
meglio. Nella parte teorica di solito se la cavava, nella pratica era un
disastro.
Probabilmente non era nata con il pollice
verde. Combinava sempre qualche casino e il più delle volte finiva in
Infermeria per farsi medicare. Morsicature, abrasioni, punture e ustioni erano
all’ordine del giorno quando metteva le mani nei vasi, anche con il modello di
guanti di drago più resistente che vendessero in Farmacia a Diagon Alley. Era
negata.
Odiava quelle piante, quei germogli, quelle
dannatissime radici.
Non le capiva e le odiava.
«Non è meraviglioso?» trillò allegra una voce
alle sue spalle «La McGranitt mi ha appena dato l’orario. Erbologia alla prima
ora. Temevo qualcosa come Trasfigurazione o Pozioni, e invece ci possiamo
rilassare» gioì Mary, mentre prendeva posto accanto a Erin sulla panca e si
versava del latte nella tazza pulita di fronte a lei «Odio quando la settimana
comincia con una materia difficile. Questa volta ci è andata bene, vero?»
Erin si riempì la bocca di pane tostato per
non parlare e tirò un sorriso forzato con le guance gonfie di cibo.
Non le bastava avere a che fare con
l’entusiasmo di Mary – l’unica che era riuscita a dormire profondamente, a
quanto sembrava – doveva pure sentirsi un’incapace per la sua inettitudine
nella materia considerata tra le meno complicate. Con un po’ d’impegno tutti
riuscivano a Erbologia e chi andava male, semplicemente non era interessato.
Lei era l’eccezione. Voti pessimi e necessità
di ottenere un buon M.A.G.O. per il suo futuro lavorativo. Proprio la
combinazione perfetta.
«Poi che cosa avete?» continuò Mary.
«Trasfigurazione, due ore» rispose Lily.
«Uccidetemi» commentò Erin, appoggiando la
fronte sul tavolo.
«Io Divinazione» replicò Mary.
«Perché la continui?» si stupì Lily.
L’altra alzò le spalle «È facile. Non si può
predire il futuro con esattezza. Mi basta inventare qualcosina. Dopo abbiamo
un’ora di Cura delle Creature Magiche, giusto?»
«Proprio prima di pranzo» confermò Lily.
«Giusto in tempo per farci ammazzare da una
delle adorate bestie di Kettleburn. Sarò fortunata se arriverò a cena tutta
intera» brontolò Erin, alzando di nuovo la testa in cerca del caffè «O guarda,
concludiamo la giornata in bellezza: due ore di Pozioni con i Serpeverde.
Almeno le due ore prima sono libere. Se non recupero un po’ di sonno, potrei
affatturare qualcuno».
«Io no» si lamentò Lily «Ho Babbanologia.
L’abbandonerei subito se non fosse una delle materie necessarie per entrare
nell’Ufficio di Cooperazione con la Comunità Non-Magica».
«Lily sei sprecata per quella sezione del
Ministero» le fece notare Mary «Hai ottimi voti, sei un Prefetto, probabilmente
ti nomineranno Caposcuola, tutti i professori sono più che disposti a scriverti
una lettera di referenze. Avessi io le tue capacità, farei richiesta per un
lavoro più importante e soprattutto meglio retribuito».
La ragazza la guardò stupita «Proprio tu che
sei babbana come me fai questo discorso? Sensibilizzare l’opinione pubblica è
l’unico modo per aiutare la causa babbana contro chi sostiene la “superiorità
della razza”. Maghi e babbani non sono così diversi, siamo persone, esseri
umani. Preferisci che la comunità magica si schieri contro questi fanatici o
che si rinchiuda in se stessa?»
«Ottima idea, Lily. Predichiamo l’amicizia
tra maghi e babbani mentre un mago spietato e pazzo porta avanti la sua
campagna per eliminare il gene non-magico dalla faccia della Terra. Continua a
esporti e prima o poi ti farai ammazzare» fu l’ironico intervento di Erin,
evidentemente inacidita dalla notte insonne.
Lily le fulminò entrambe «Il vostro
menefreghismo è vergognoso».
«A me importa!» precisò Mary «Se c’è da
schierarsi pubblicamente sono in prima linea, ne va anche del mio interesse. È
Erin che se ne lava le mani, tanto lei è ricca e Purosangue» la punzecchiò.
Erin non si preoccupò di negare l’accusa. In
fondo, un pochino, era anche vero.
«Ma non devi per forza infilarti in un
ufficio pieno di scartoffie, non avrai credibilità altrimenti. Puoi aiutare noi
nati babbani anche da altri dipartimenti, tipo quello del Ministro delle Magia»
proseguì Mary che aveva trascorso metà dell’estate a raccogliere informazioni
sul Ministero per valutare i possibili lavori alla sua portata e decidere quali
M.A.G.O. le sarebbero serviti.
Lily aprì la bocca per ribattere, ma venne
distratta dal fastidioso chiacchiericcio di un paio di ragazze del quarto anno,
sedute lì accanto, che bisbigliavano, ridacchiavano e lanciavano occhiate ai
nuovi arrivati in un vano tentativo di attirare l’attenzione.
I nuovi arrivati e ritardatari erano
ovviamente i Malandrini, gli unici che avrebbero potuto provocare tali reazioni
soltanto entrando in una stanza. Non tutte erano come quelle due del quarto
anno, per fortuna. Alcune ragazze sapevano apprezzare in silenzio, altre non si
curavano nemmeno di loro, ma quelle poche che li adoravano come se fossero
rockstar bastavano e avanzavano per turbare la quiete collettiva, o almeno di
Lily Evans.
La rossa osservò quei quattro sedersi in
fondo al tavolo, tra di loro, come al solito. Pur essendo uno dei gruppi più
ammirati di Hogwarts, se ne stavano molto per conto proprio, lontano dal resto
degli studenti. Avevano buoni rapporti più o meno con tutti i Grifondoro,
qualche Tassorosso e Corvonero – Serpeverde neanche per sbaglio – si trattava
però di conoscenze piuttosto superficiali, compagni di scuola e niente di più.
La loro era un’amicizia esclusiva.
Forse era proprio per quella ragione che
tutti provavano a entrare nelle loro grazie: nessuno avrebbe voluto far parte
di un club aperto a chiunque.
Potter si voltò nella sua direzione e
intercettò il suo sguardo. Il suo volto si aprì in un allegro sorriso e lui si
alzò dalla panca.
Lily sbiancò. Si girò in fretta dall’altra
parte e sperò con tutto il cuore che quel gran rompiscatole non avesse
intenzione di importunarla già di prima mattina.
«Evans!»
Lily sbuffò e continuò a mangiare il suo pane
tostato, nella speranza che capisse l’antifona e sparisse.
Ma era James Potter e James Potter non capiva
mai niente, almeno non quando si trattava di lei. Il che rasentava l’assurdo,
dato che da uno degli studenti più brillanti di Hogwarts ci si sarebbe
aspettato un po’ più di perspicacia.
Eppure i suoi costanti rifiuti non sembravano
sortire effetto, nonostante lei fosse sicura di aver espresso il suo parere
molto chiaramente, più e più volte.
«Evans!» ripeté il disturbatore accomodandosi
nel posto lì a fianco.
Lily non rispose né diede segno di aver fatto
caso alla sua presenza.
James appoggiò un gomito sul tavolo e si
piegò per guardare oltre i capelli della ragazza che le facevano da barriera.
«Va tutto bene? Nessun “evapora, Potter” o
“sei insopportabile, Potter”? Comincio per caso a starti simpatico?»
Niente. Non capiva niente. Mai.
«Ora mi sto seriamente preoccupando»
insistette lui «Se vai avanti così, ti chiederò ancora di venire a Hogsmade con
me e lo prenderò come un “sì”. Dopotutto, chi tace acc-».
«Assolutamente no» dichiarò Lily risoluta
«Non sembri arrivarci da solo, quindi te lo spiego io: ti sto ignorando».
«Non ci stai riuscendo molto bene» la
stuzzicò James, mentre allungava una mano per prendere un muffin e si sistemava
meglio sulla panca.
«Che stai facendo?» berciò Lily.
«Colazione» fu la candida risposta.
«Qui?» chiese lei con una nota a metà tra lo
stizzito e l’intimorito.
James scrollò le spalle «È un posto come un
altro. È il tavolo dei Grifondoro, io sono un Grifondoro. Penso di essere
autorizzato a sedermi ovunque mi aggrada. Poi qui ci sei tu» aggiunse con un
sorriso innocente.
Prima che Lily potesse dire la sua in
proposito, Erin s’intromise con voce esasperata e supplicante allo stesso tempo
«Potter, non ho dormito tutta notte. Tra poco qualche pianta cercherà di
strangolarmi o di cavarmi un occhio. Sono stanca, sono irritata e non ho la
pazienza di ascoltare i vostri battibecchi né la forza di alzarmi e andarmene.
Per favore, per favore: potresti rimandare questo impacciato e infruttuoso
corteggiamento a stasera?»
Anche all’anno prossimo. Pensò Lily.
«Bastava chiedere» acconsentì James
sportivamente, afferrando tre muffin «Ma per tua informazione io non sono
impacciato e in me non c’è niente di infruttuoso» ci tenne a precisare, prima
di tornare dai suoi amici.
«Come hai fatto? Perché quando gli chiedo io
di andarsene non mi ascolta mai?» si sdegnò Lily, scioccata che fosse bastato
così poco per liberarsi di lui.
«Avrà usato la Maledizione Imperius» scherzò
Mary, ma la sua curiosa battuta gelò le sue due amiche che smisero di mangiare
e attesero una sua reazione.
Non osarono ridere per paura di turbarla,
nonostante avesse sollevato lei l’argomento con nonchalance, come se fosse una
cosina da niente.
Mary non diede segno di voler aggiungere
altro e le altre non la pressarono.
In fondo al tavolo, nel frattempo, Sirius
riaccoglieva il suo migliore amico «Tempo record. Ti ha silurato in meno di due
minuti» lo prese in giro spostandosi per fargli spazio.
James scivolò accanto a lui «Non Evans, la
Fawley» raccontò «Ha un aspetto orribile. Sai che cos’ha? Le hai parlato?»
«No» rispose immediatamente Sirius con quel
tono che non ammetteva repliche, segno inconfondibile della fierezza dei Black.
James nemmeno provò a insistere, con Sirius
non sarebbe servito: forzarlo a fare qualcosa era il modo migliore per ottenere
l’effetto contrario.
«Qualcuno ha gli orari?» chiese invece.
«No, dobbiamo chiederli alla McGranitt quando
abbiamo finito. Così le puoi anche chiedere come organizzare i provini per la
squadra» rispose Remus.
«Oh giusto!» esclamò James pulendosi le mani
dal cioccolato del muffin «Bravo che me l’hai ricordato» e con grande stupore
dell’amico salì sul tavolo rivolgendosi agli studenti che stavano ancora
facendo colazione «Grifondoro mi serve la vostra attenzione!» li richiamò.
Sirius ridacchiò senza alzare gli occhi
sull’amico, a differenza di Peter che fissava James adorante. Remus stava
lentamente sprofondando sotto al tavolo incredulo e imbarazzato.
«Sono James Potter, ma questo ovviamente lo
sapete già. Sono il capitano della vostra squadra di Quidditch e…ehi, voi
laggiù, sto parlando io!» un paio di ragazzini del secondo anno si zittirono
all’istante e arrossirono «Devo ancora fissare la data delle selezioni, ma
troverete il foglio delle adesioni sulla bacheca in Sala Comune. Siete tutti
invitati ad assistere, anche chi non partecipa. Nessuno si dovrebbe perdere la
nascita della squadra migliore di Hogwarts, sarà un bello spettacolo, anche se
non potrete vedere in azione il Cacciatore migliore di Hogwarts, ma mi
perdonerete: devo valutare le performance gli altri» si auto-elogiò
raccogliendo subito il favore di tutta la tavolata. Anche qualcuno delle altre
Case lo fissava interessato.
Lily si trattenne dal tiragli in testa la sua
tazza. Tutti gli altri erano, come al solito, incantati.
«Io verrò di sicuro a vederti, James!» urlò
una ragazza del quinto anno con la mano alzata per rendersi visibile.
«Ottima scelta» si congratulò lui «Ti
dedicherò il primo centro della stagione».
Remus a quel punto era arrivato al pavimento
e Lily Evans era pronta a rimettere ordine in quel caos.
«Io posso iscrivermi ai provini?» si sollevò
una vocina sopra le altre.
James si voltò verso il ragazzino che aveva
parlato, ad appena qualche posto da dove si trovava lui. Zizzagando tra piatti,
tazze e teiere, lo raggiunse piegandosi leggermente in avanti «Come ti chiami?»
«Edward».
«Be’, Edward le selezioni sono aperte a
tutti» gli disse «In che ruolo giochi?»
«Battitore».
«Ramoso, guardalo è uno scricciolo»
intervenne Sirius «Sarà del primo anno di sicuro e poi con quelle braccine come
può competere con i bolidi?»
James spostò lo sguardo dall’amico a Edward
che aveva abbassato il capo colpevole, beccato in flagrante.
S’inginocchiò davanti a lui e sussurrò
agitato «Ma sei bravo? Perché se sei bravo, con una Pozione Invecchiante
sistemiamo il problema dell’età».
«Potter».
Due persone a Hogwarts pronunciavano il suo
nome con quella vena autoritaria e inflessibile, tipica di chi non rimaneva
abbindolato da un sorriso affascinante o una battuta sarcastica, ancor meno dal
suo atteggiamento sprezzante.
La Evans lo stava incenerendo con gli occhi e
brandiva il coltello da burro minacciosamente, ma era ancora lontana,
dall’altra parte del tavolo.
Rimaneva quindi una sola opzione.
«Professoressa McGranitt la trovo in gran
forma!»
«Scendi da lì, Potter. È un tavolo, non un
palcoscenico» gli ordinò con le labbra serrate e la fronte segnata da una serie
di rughe «Limitati a un avviso in bacheca la prossima volta» gli suggerì mentre
James balzava sul pavimento davanti a lei «Tu e i tuoi amici non avete
l’orario».
Non era una domanda, era un rimprovero.
Lo consegnò ai quattro e si piegò verso James
rimproverandolo «Ti pregherei di non incitare i tuoi compagni a compiere atti
contro le regole della scuola» e poi aggiunse abbassando la voce «Se è davvero
bravo, vieni da me», lasciò la Sala Grande con un’ultima occhiata di
avvertimento rivolta al ragazzo.
«Erbologia» esultò quest’ultimo «Si comincia dal
facile».
«E si finisce ancora meglio. Guarda con chi
abbiamo Pozioni all’ultima ora» gli consigliò Sirius con aria compiaciuta.
Entrambi si voltarono verso il tavolo dei
Serpeverde con una smorfia perfida.
«Non il primo giorno» intimò Remus, puntando
il dito verso i due.
Ricordava di odiare Erbologia, ma non così
tanto. Così come non ricordava di essere una tale incapace.
Osservò la sua mano fasciata, ancora un po’
gonfia e irritata per colpa di quelle dannatissime spine gialle che si erano
conficcate all’altezza del pollice.
Prendere quelle foglie senza i guanti
protettivi non era stata proprio l’idea del secolo, ma Erin non credeva che
potessero causare danni una volta staccate dalla pianta madre.
Forse avrebbe dovuto intuire dal nome – Agave
Lottatrice – che si sarebbe vendicata in qualche modo. Stupida lei a pensare
che si riferisse semplicemente alle spine retrattili, pronte a dar man forte
alle spine già normalmente in vista per proteggere tutta la pianta.
La lezione non era andata nemmeno così male,
almeno all’inizio. Erin se l’era cavata abbastanza bene, considerata la sua
scarsa predisposizione al giardinaggio. Sapeva che c’era in gioco la sua
possibile carriera nel campo della guarigione magica e non voleva
comprometterla fin dal primo giorno.
Aveva ascoltato con attenzione la spiegazione
della professoressa Sprite – cosa che le era costata una non indifferente
fatica, dato che la trovava noiosa quasi quanto Ruf – aveva seguito le
istruzioni passo per passo, meglio di Lily quando si trattava di Pozioni.
In un attimo di distrazione, dopo aver pulito
la pianta dalle foglie in eccesso evitando tutte le spine che con tenacia
avevano dato battaglia e dopo essersi tolta i guanti, si era accorta di aver
dimenticato una foglia.
Convinta che il peggio fosse passato, l’aveva
cautamente presa tra le dita: in meno di un secondo, questa si era
attorcigliata attorno a suo pollice come un tentacolo e aveva conficcato le sue
spine nella carne.
Ciliegina sulla torta: Erin aveva scoperto
che la funzione retrattile funzionava anche nella sua pelle e quando aveva
provato, istintivamente, a estrarre quegli aghetti gialli, questi non avevano
fatto altro che arricciarsi su se stessi e scavare in profondità, causandole un
bruciore insopportabile.
Madama Chips aveva dovuto applicare una
pomata puzzolente ed eseguire un incantesimo per “sradicarli”. L’aveva
avvertita che con molta probabilità avrebbe sofferto per tutto il giorno di
vertigini e nausea.
Mai diagnosi fu più azzeccata: Erin non era
riuscita a toccare cibo durante il pranzo e la sua testa non aveva smesso di
girare nemmeno per un attimo.
Erbologia era considerata all’unanimità una
delle materie più facili, raggiungere la sufficienza era davvero facile, così
come superarla. Chi si fermava sull’Accettabile o non s’impegnava abbastanza
oppure aveva in generale problemi con lo studio.
Erin aveva ottimi voti in tutte le materie
che aveva deciso di continuare per quegli ultimi due anni, come poteva andare
così male in Erbologia?
Un vero neo nella sua famiglia di geniacci,
quasi tutti finiti a Corvonero, fatta eccezione per qualche parente alla
lontana smistato in Serpeverde.
A sua madre era preso un colpo quando aveva
visto nella lista dei G.U.F.O. passati, tra le tante “E” ed “O”, quella misera
“A” in Erbologia.
E se il concetto non fosse stato chiaro, Erin
era pronta a ripeterlo: Erbologia!
«Che cosa hai fatto alla mano?»
La ragazza sobbalzò per la sorpresa e si
voltò verso quella voce che non stentava a riconoscere. Allora almeno un Black
continuava a parlare.
Regulus era più basso di suo fratello e un
po’ meno attraente, ma aveva lo stesso portamento, la stessa fierezza negli
occhi. Sul piano fisico la loro parentela era inequivocabile. Le somiglianze si
fermavano lì.
«Mi ha morso una pianta» rispose Erin con
tono sommesso, mentre poggiava tristemente il mento sulle ginocchia tirate al
petto.
«Il Cavolo Carnivoro?» domandò il giovane
senza essere veramente interessato, mentre si sedeva accanto a lei sul prato.
«No, Agave Lottatrice. E non ridere, voglio
vedere come te la cavi l’anno prossimo» lo ribeccò appena scorse un sorrisino
derisorio sulle sue labbra.
Lasciò vagare lo sguardo per il parco
semideserto, fatta eccezione per loro due e un gruppetto di Serpeverde e Tassorosso
che ritornavano verso il castello.
«Non dovresti avere lezione?» gli chiese.
«Abbiamo avuto qualche problema a Cura delle
Creature Magiche: un idiota dei Tassorosso ha strappato una piuma di un
Ippogrifo».
Rimasero in silenzio ancora un po’. Erin non
capiva perché Regulus fosse lì. Capitava che si fermassero a chiacchierare se
si incontravano per i corridoi o in Sala Grande, ma lui non l’aveva mai cercata
di proposito.
«Quest’estate non ti ho vista in giro.
Nemmeno una cena con i nostri genitori».
«Ci è parso di capire che non eravate in vena
di festeggiare» spiegò lei.
O forse sì aggiunse mentalmente
vista la considerazione che i Black avevano di Sirius. La sua fuga doveva
essere stata una liberazione.
«Oh giusto» Regulus arricciò le labbra «La defezione».
Erin inarcò le sopracciglia «Addirittura?»
«Tu come lo chiami? Non farne parola con
nessuno, scappare di notte, rinnegare tutto ciò che gli è stato insegnato,
gettare la famiglia nella vergogna, spezzare il cuore della propria madre…»
«Tua madre ha un cuore?». Si era posta più
volte quella domanda ed era anche arrivata a credere che Walburga compisse
qualche sorta di rito usando babbani come vittime sacrificali per mantenersi in
vita. O forse era solo per puro dispetto, come sosteneva Sirius.
Regulus la incenerì con un’occhiata e strinse
la mascella «Sembra di sentire parlare lui. Tanto lo sapevo che saresti
stata dalla sua parte, come al solito».
«Sei geloso?» lo stuzzicò con finto
compiacimento.
Le piaceva punzecchiarlo su quella cotta che
anni fa aveva avuto per lei, quando ancora erano bambini. Una volta le aveva
anche chiesto di sposarlo con un anello di Walburga, poi Sirius li aveva
sorpresi e li aveva spaventati a morte raccontando la storia di una maledizione
legata a quel gioiello. Con il senno di poi, considerando le inclinazioni della
donna, forse non era solo una bugia inventata per prenderli in giro.
«Scommetto che se ne sarà vantato con tutta
Grifondoro. Ne sarà felice, no?» non vi era acidità in quel commento, quanto un
velo d’interesse, malcelato da indifferenza e nonchalance.
Erin rimase in silenzio e osservò il profilo
del ragazzo, improvvisamente a disagio per la posizione in cui si stava
mettendo. Le era chiaro perché Regulus si fosse avvicinato: voleva solo qualche
informazione su suo fratello.
Si sarebbe tagliato un dito piuttosto che
chiederlo a qualcuno dei Malandrini, quindi rimaneva solamente lei. Sirius
evidentemente non lo aveva aggiornato sul loro litigio.
Non le capitava spesso di rimanere senza
parole, ma in quel caso Erin non sapeva proprio che cosa dire. Regulus le
faceva quasi tenerezza, impettito in tutta quella freddezza, troppo orgoglioso
e arrabbiato per esternare la sua preoccupazione e il dispiacere. Le sarebbe
piaciuto rassicurarlo; d’altra parte non sapeva bene come approcciare
l’argomento senza dare l’impressione di compatirlo. Ecco perché preferiva stare
lontana dai problemi altrui.
«Sollevato più che felice» azzardò.
«Certo, ci ha eliminati tutti in un colpo. Mi
sorprende che sia resistito così tanto tra di noi se ci odiava tanto» dalle sue
parole traspariva un percettibile risentimento.
Erin sospirò, intuendo che si stavano
addentrando su un percorso accidentato. Si trattenne dal precisare che in
realtà era stata Walburga a eliminare il figlio maggiore con un colpo di
bacchetta dall’albero senza tante remore.
Era difficile rimanere neutrale quando si era
già fatta un’opinione ben precisa di tutta la faccenda «Non rientrava nel
vostro schema, c’era da aspettarselo».
«Non pensa alle conseguenze, non ci ha mai
pensato. A novembre diventa maggiorenne, gli costava tanto rimandare invece di
dare scandalo come sempre? È una macchia che non ci toglieremo mai».
Una qualsiasi altra persona lo avrebbe
mandato a quel paese per un discorso così meschino e ottuso. Molti
consideravano Sirius Black un esempio per il suo gesto che non meritava altro
che rispetto.
Erin no. Erin poteva capire le obiezioni di
Regulus e il suo rancore. Il valore della famiglia e del suo buon nome della
famiglia era un principio che le i suoi genitori le avevano insegnato per tutta
la vita.
Le loro posizioni non erano così radicali
come quelle dei Black, ma anche i Fawley appartenevano alla famosa lista delle
sacre ventotto famiglie purosangue e le tradizioni occupavano il primo posto
nella scala delle priorità.
«Stai davvero mettendo nella stessa frase
Sirius e le convenzioni sociali?» la buttò sul ridere per cercare di stemperare
la tensione.
«Un Black dovrebbe avere più criterio»
affermò Regulus, seriamente.
«Lui non è un Black. Tu lo sei, tu sei il
Black perfetto».
«Devo esserlo. Io voglio bene ai miei
genitori, è forse un crimine?» scattò, quasi stesse cercando di difendere le
sue origini e la sua natura.
Erin scosse la testa, sebbene non
comprendesse come qualcuno potesse voler bene a Walburga e per quanto
riguardava Orion, a volte si domandava se avesse mai provato un’emozione in
vita sua.
L’obiezione di Regulus aveva un senso,
ripensandoci. Perché mai Sirius aveva deciso di scappare di casa a pochi mesi
dal suo diciassettesimo compleanno? Li aveva sopportati per anni, qualche
settimana in più che differenza faceva?
«Hanno litigato pesantemente?» chiese di
getto, avida di informazioni. Sirius si rifiutava di dargliele, doveva pur
prenderle da qualche parte «Tuo fratello e i tuoi genitori, intendo».
Regulus la guardò strano, quasi deluso,
sicuramente stupito che lei non fosse già a conoscenza di ogni dettaglio «Prima
della grande fuga? Una discussione come tante. Di sicuro voleva dare
spettacolo» ipotizzò con disappunto «Mio fratello non dimenticava mai di
ricordarci del suo amore per i Sangue Sporco».
Erin si tese accanto a lui infastidita «Le
mie migliori amiche sono Nate Babbane, ti pregherei di moderare i termini».
Regulus ghignò beffardo «Chiamale come ti
pare, il significato non cambia. Non sono come noi, Erin. Questo “amore” per i
babbani potrà anche andare bene per mio fratello, o per i Potter, quelli sono
sempre stati particolari. O i Weasley – qui il disprezzo si percepì
chiaramente – ma su di te non è credibile. Qui a scuola è solo una questione di
convenienza, sono tue compagne di Casa, sei costretta a frequentarle. Nel mondo
reale non le degneresti di uno sguardo».
«Non sono proprio il tipo da accettare le
persone solo perché appartengono alla mia stessa Casa» replicò Erin piccata,
con lo stesso tono di quando erano ragazzini e lei gli diceva che non potevano
giocare insieme perché era troppo piccolo «Onestamente non mi importa delle
loro origini. Ho diviso con loro il Dormitorio per cinque anni, ti assicuro che
sono esattamente come noi».
Regulus alzò le spalle, scettico e seccato
«Questa amicizia sopravvive solamente tra queste quattro mura e tu ti stai
illudendo di poter continuare così per quieto vivere. So che non ti piace
schierarti, ma temo che sarai costretta. Stanno preparando una guerra là fuori
per difendere i nostri diritti. Dobbiamo pur proteggere ciò che è nostro».
Erin ebbe l’impressione che stesse ripetendo
a pappagallo le frasi di altri. Era convintissimo di ciò che affermava, troppo
convinto e il suo discorso era fin troppo studiato, al limite del banale per
poter persuadere qualcuno. Il problema, quando si trattava di Regulus e di
tanti altri nelle sue condizioni, era capire quanto quelle idee fossero
effettivamente sue e quanto dei suoi genitori. Se fosse cresciuto in una
famiglia diversa, avrebbe sostenuto lo stesso simili argomenti?
«Come? Uccidendo e seviziando innocenti?»
domandò ironicamente «Le senti anche tu le voci, Regulus, questa non è
tradizione, è fanatismo».
«Dovrai decidere da che parte stare, prima o
poi» l’avvisò «Io so già qual è la mia scelta» a differenza di tutto ciò che
aveva dichiarato precedentemente, quest’ultima battuta sembrò molto più
risoluta.
Qualcosa nella sua voce, nella sua
determinazione indusse Erin a voltarsi per incrociare i suoi occhi: lo sguardo
di Regulus ero fisso su di lei, la trafiggeva e la sfidava, senza pudore, senza
nascondersi.
Le sorse un dubbio atroce «Non starai
suggerendo che…»
«Black, datti una mossa! Dobbiamo ancora
finire il progetto di Astronomia, non stare lì impalato!» lo richiamò una sua
compagna di Serpeverde, ansiosa di cominciare a lavorare a una ricerca di
gruppo, evidentemente assegnata alla classe dalla professoressa Sinistra.
Erin stava per fulminare quella povera
malcapitata che l’aveva interrotta, ma Regulus si era già alzato in piedi per
raggiungere la giovane «Ti saluto, Erin».
«Ehi, aspetta!»
Il ragazzo non aspettò e la lasciò lì a bocca
secca.
Certo, prima sgancia la bomba e poi se
ne va.
Neanche lei e tutta la sua indifferenza
potevano ignorare un’ammissione del genere, che sottintendeva risvolti ben più
inquietanti.
Si alzò con altrettanta fretta,
intenzionata a seguirlo, ma venne colta da un giramento di testa più forte
degli altri.
Sbuffò sonoramente e rinunciò a
rincorrere Regulus. Sarebbe finita per terra dopo pochi passi. Quello non era
proprio il giorno per una maratona.
Con molta più calma si diresse
verso il castello per l’ora di pozioni. Oltrepassò il portone e si portò avanti
tirando già i libri fuori dalla borsa. Sospettava di essere in ritardo, ma la
cosa le importava poco: non aveva la forza di affrettare il passo, per Pozioni
poi!
A differenza sua, qualcuno aveva
molta fretta di arrivare in tempo in aula. Erin si accorse appena della figura
che, caracollandosi giù dallo scalone principale, la travolse come un treno.
Lei finì a terra con tutti i suoi
libri e schioccò, stesa sul pavimento, un’occhiataccia all’individuo in piedi
lì di fronte.
Era l’ultima persona che voleva
vedere in quel momento, non era dell’umore.
Una persona sempre allegra,
sempre ottimista, con un perenne sorriso a trentadue denti e la tendenza a
considerare sempre il lato positivo di tutto.
Quella carica, quell’energia in
quel frangente le davano sui nervi più della nausea causata dal morso
dell’agave.
«Potter».
«Erin Fawley, che cosa ci fai lì
a terra?»
Voleva scherzare?
Il ragazzo s’inginocchiò a
raccogliere i suoi libri e glieli porse. Si tirarono in piedi nello stesso
istante ed Erin barcollò lievemente.
«Ti senti bene?» le chiese James
con premura, afferrandole le spalle per stabilizzarla e impedire che le sue
ginocchia cedessero.
Erin strizzò gli occhi e si
appoggiò involontariamente a lui «Veleno di Agave Lottatrice. Mai provato?
Meglio del Whiskey Incendiario» la buttò sul ridere.
James si offrì di prenderle la
borsa e la tenne saldamente per un braccio «No, ma mi hai dato un’idea per il
prossimo scherzo ai Serpeverde. Ti scoccia se ti uso come scusa per il mio
ritardo? Possiamo dire a Lumacorno che non ti sei sentita bene e io mi sono
fermato ad aiutarti» suggerì per coprire le spalle a entrambi.
«Di’ quello che ti pare»
acconsentì Erin «Non ti facevo uno che si giustifica con gli insegnanti».
«Si fa quel che si può» commentò
James, mentre scendevano verso i sotterranei «Mi hai appena servito una motivazione
valida su un piatto d’argento. Chi sono per rifiutarla?»
«Non oso nemmeno pensare a che
cosa ti saresti inventato altrimenti».
«Non è così difficile, devi solo
stare attento a non presentare la stessa giustificazione per due volte. Avrei
potuto dire che sono stato inseguito dal Barone Sanguinario, o che le scale mi
hanno portato dall’altra parte della scuola. Qui dentro ne capitano di tutti i
colori, hai l’imbarazzo della sc…»
James lasciò la frase in sospeso
e guardò meravigliato davanti sé. L’espressione di Erin mimava la sua.
La scena che si presentò loro
rientrava negli splendidi e tragicomici imprevisti che Hogwarts amava riservare
ai suoi abitanti.
Era in ritardo.
Di già.
Non sapeva nemmeno come fosse possibile, dato
che aveva lasciato la biblioteca in largo anticipo proprio per arrivare
puntuale all’ultima lezione del pomeriggio.
Tutta colpa di quel ragazzino del primo anno
con cui aveva parlato durante il banchetto per compensare la maleducazione di
Erin.
L’aveva placcata a metà del corridoio
d’Incantesimi con domande assurde e inutili, solo per pavoneggiarsi con i suoi
amici del primo anno e mostrare di aver fatto amicizia con una studentessa più
grande.
Ci fosse stata Erin lo avrebbe zittito con un
incantesimo e sarebbe passata oltre, ma il suo buon cuore glielo aveva impedito
e lei lo aveva salutato cordialmente, aveva risposto alle sue domande e poi era
scappata via velocemente, scusandosi per la fretta.
Procedeva con passo spedito perché era in
ritardo, ma non solo.
La verità era che i sotterranei le davano i
brividi. Non le erano mai piaciuti, ma dall’incidente dell’anno prima provava
un certo timore per quel luogo e le poche volte che aveva dovuto tornarci prima
delle vacanze estive, si era sempre fatta accompagnare da qualcuno.
Dopo quasi tre mesi pensava di aver superato
il trauma, di poter affrontare una semplice camminata per quei lugubri corridoi
da sola.
Si sbagliava.
Si sentiva osservata, spiata, in pericolo,
nonostante non ci fosse nessuno in giro. Il che non era per forza un buon
segno.
Come se davvero qualcuno stesse aspettando
dietro un’armatura per farle di nuovo uno scherzo sinistro. Forse stava
diventando paranoica.
Anche se chiamarlo scherzo era riduttivo.
Mary preferiva definirlo “tentato omicidio”. Non conosceva altri modi per
descrivere quella spiacevole gita sui tetti di Hogwarts sotto Maledizione
Imperius. Era rimasta per un tempo interminabile sull’orlo di un cornicione,
con le gambe che tremavano e le lacrime lungo le guance, senza sapere quanto
avrebbe potuto resistere o se qualcuno sarebbe andato a riprenderla prima o
poi.
Alla fine erano ritornati, Mulciber e i suoi
amici. L’avevano lasciata lì ancora, mentre loro discutevano la prossima mossa:
tormentarla ancora un po’, cancellarle la memoria, oppure darle una spintarella
ed eliminare il problema.
Mary era convinta che avrebbero scelto
l’ultima opzione.
Alla fine avevano scommesso: se fosse
riuscita a saltare sul terrapieno di fronte, le avrebbero semplicemente
modificato la memoria e poi liberata.
Prima che potesse muovere un piede – e
sfracellarsi al suolo, perché in nessun modo avrebbe potuto raggiungere il lato
opposto – qualcuno l’aveva vista dal parco, attirando l’attenzione su tutti
loro e Mary, colta da un improvviso istinto di sopravvivenza, era riuscita a
sottrarsi per un momento al giogo della maledizione e a chiamare aiuto.
Mulciber, l’esecutore materiale dello
scherzo, era al suo ultimo anno e aveva appena concluso i suoi M.A.G.O. In
condizioni normali sarebbe stato espulso per aver eseguito una delle
Maledizioni senza Perdono su uno studente, ma le testimonianze a suo favore da
parte degli amici presenti e l’influenza del padre sia al Ministero sia al
consiglio della scuola gli avevano evitato la punizione peggiore.
Silente aveva espresso la sua contrarietà a
lasciare la bacchetta a un soggetto evidentemente pericoloso, lo aveva sospeso
per quei pochi giorni che mancavano alle vacanze estive, pago almeno della
certezza che il ragazzo non sarebbe più tornato a Hogwarts, mettendo a
repentaglio la sicurezza dei suoi alunni. Magra consolazione per Mary.
Mulciber era ormai fuori dai giochi. I suoi
compagni che lo avevano aiutato ancora frequentavano Hogwarts e chissà se un
giorno avrebbe cercato di farle ancora del male.
Mary non si era mai considerata una
Grifondoro fatta e finita: leale e coraggiosa nei confronti dei suoi amici, ma
non per se stessa. Non aveva mai avuto la forza di Lily o la fierezza di Erin.
Non le piaceva attaccar briga come ai Malandrini.
Era una ragazza tranquilla, allegra e a tratti
impacciata, un po’ fifona per certi aspetti. Sentiva di aver ancora tanta
strada da percorrere prima di crescere, diventare una persona pienamente
consapevole delle proprie capacità e dei propri meriti. Aveva imparato a
riconoscere i suoi limiti, a non oltrepassarli imprudentemente da sola. Non si
vergognava a chiedere aiuto per superarli.
La sua stessa insicurezza era un ostacolo con
cui si era abituata a convivere, poteva accettarla senza sentirsi fragile o
incompleta.
Eppure la paura di quel giorno sui tetti di
Hogwarts aveva rovinato tutto. L’aveva resa davvero piccola e debole e Mary era
terrorizzata all’idea di riprovare quella sensazione: indifesa, incapace,
spacciata.
Era capitato una volta. Che cosa gli impediva
di accadere di nuovo? Dopotutto, lei aveva dimostrato di essere una facile
preda.
Andarsene in giro da sola nel territorio del
nemico non era stata proprio la pensata migliore. Ormai non poteva più tornare
indietro e nemmeno voleva fare la figura della bambina piagnucolona; sarebbe
stato come darla vinta a Mulciber e quel branco di idioti.
Non mancava molto all’aula di Pozioni, Lily
ed Erin la stavano sicuramente aspettando e anche Lumacorno doveva essere nei
paraggi.
Niente da temere, dunque.
Non si vedeva nessuno in giro. Mary sospettò
di essere più in ritardo di quanto credeva. Mettersi a correre non sembrava più
una scelta da codarda. Anzi aveva un’ottima scusa e sarebbe stato stupido non
approfittarne. Al contrario sarebbe stato ancor più irresponsabile rischiare di
indispettire Lumacorno per una questione di principio. Avrebbe testato il suo
coraggio un’alta volta.
Strinse, perciò, la mano lungo la tracolla
della sua borsa per assicurarla meglio sulla spalla e allungò il passo.
Ora stava solamente pensando alla gigantesca
lavata di capo che si sarebbe beccata per il suo ritardo, quella sì che era una
possibilità concreta.
Svoltò l’angolo e si caracollò giù da una
scala. L’aula era alla fine di quel lungo corridoio a forma di “L”, costeggiato
da archi incastonati nel muro. Non le mancava molto.
Posò il piede sull’ultimo gradino e sentì una
mano artigliarle il gomito.
Tutta la paura che aveva lasciato spazio
all’ansia per la lezione, tornò prepotentemente, pompandole il sangue come una
scarica elettrica, facendole pulsare le orecchie. Mary si sottrasse a quella
presa e cacciò un urlo.
«Perché stai gridando?»
La ragazza, appiattita contro la parete
umida, si sporse leggermente per osservare la figura che l’aveva bloccata.
Non si trattava di un Serpeverde.
Peggio.
Era Sirius Black.
Niente gita sui tetti per quel giorno.
Semplicemente un alto rischio di infarto.
Forse erano meglio i tetti.
Perché Sirius Black aveva l’abilità di
provocarle scompensi emozionali pericolosi almeno quanto una Maledizione senza
Perdono.
E quello sguardo di preoccupazione rivolto a
lei non aiutava certo a mantenere una certa calma, una certa dignità.
«Ti hanno ancora dato fastidio?» indagò lui,
con una nota rabbiosa, cogliendo al volo il motivo di tanta agitazione.
«N-no» rispose Mary ancora stordita «Mi hai
solo spaventata».
Si prese qualche secondo per contemplarlo,
complice la semioscurità dei sotterranei. Un’estate intera senza vederlo era
davvero troppo lunga.
Averlo lì davanti, tutto per sé, lontano
dalle attenzioni delle altre, era un’occasione che forse non le sarebbe più
capitata.
La lontananza lo aveva reso ancora più bello
ai suoi occhi, il che rasentava l’impossibile dato che la bellezza di Sirius
era di per sé imbarazzante.
Le faceva lo stesso effetto di un piatto a
lungo agognato, assaggiato per la prima volta dopo tanto tempo, il cui sapore
era reso ancora più buono dall’attesa.
Le si stringeva il cuore a pensare che fino a
qualche mese prima era stato suo.
Una storia con la data di scadenza, breve
come un battito di ciglia. Una cotta non tanto segreta diventata realtà durante
una sera di primavera e finita nemmeno due mesi dopo in una nuvola di fumo.
Mary ci aveva creduto fino in fondo, benché
avesse cercato in tutti i modi di non illudersi. Non perché Sirius fosse un
cattivo ragazzo o un donnaiolo, come dicevano in tanti; solamente non era
adatto agli impegni troppo seri.
Era stato onesto con lei fin dal principio su
ciò che voleva, non l’aveva mai ingannata. Sirius non aveva grandi colpe.
Si era impegnato a comportarsi bene, ce
l’aveva messa tutta per farla funzionare, ma alla fine non era riuscito ad
andare contro la sua natura.
Quando l’aveva lasciata, le aveva parlato in
maniera sincera e delicata tanto che Mary si era trovata d’accordo con tutto
ciò che le aveva detto: era inutile continuare una storia che avrebbe solo
rovinato la loro amicizia.
Mary non gli aveva serbato rancore, non
avrebbe potuto neanche se lo avesse voluto. Gli era troppo affezionata.
«Sei sicura di stare bene?» si accertò
ancora, poco convinto.
Quella era la parte peggiore. Sarebbe stato
molto più semplice scordarselo, se l’avesse trattata con freddezza. Ma Sirius
Black la adorava – come amica, s’intende – e aveva sempre un occhio di riguardo
per lei, soprattutto dopo la sua disavventura con Mulciber e i Serpeverde.
Il primo istinto di Mary fu quello di vuotare
subito il sacco e pregarlo di accompagnarla fino all’aula per evitare
spiacevoli incontri.
Frenò la lingua appena in tempo: non era
affatto incline a mostrare la sua più grande debolezza – così poco Grifondoro –
proprio davanti a lui.
«Be’, la prossima volta salto io fuori dal
nulla e mi attacco al tuo braccio, poi vediamo come reagisci» replicò con
sarcasmo, cercando di camuffare il disagio di averlo così vicino.
Sirius la guardò divertito «Probabilmente
saresti appesa al soffitto adesso».
«Grazie del suggerimento! Non dimenticarlo la
prossima volta che provi a spaventarmi a morte» lo avvisò con finto tono di
minaccia «Che cosa ci fai qui, comunque?» gli chiese per rompere il silenzio,
dato che lui continuava a fissarla con quel suo sorriso beffardo senza
proferire parola.
«Ho dimenticato il libro di Pozioni. Ne avrei
fatto a meno, ma Remus mi ha spedito a prenderlo» spiegò annoiato.
Mary ricordò improvvisamente il motivo della
corsa nei sotterranei.
«Pozioni! Sono in ritardissimo!» esclamò
pronta a volare verso l’aula più veloce della luce.
Sirius la bloccò di nuovo, questa volta per
il polso.
«Mancano ancora cinque minuti e Lumacorno
ancora non si vede. Non è arrivato neppure James».
La giovane corrugò la fronte: eppure era
certa che la lezione fosse cominciata già da un quarto d’ora.
Lanciò un’occhiata all’orologio allacciato al
polso che Sirius teneva in mano e constatò che in effetti la lancetta dei
minuti aveva già compiuto un quarto del giro, ma quella delle ore era ferma
alle due.
«Mi sa che bisogna aggiustarlo» le consigliò
Sirius «Comunque è un bene che tu sia qui. La Evans ti dava già per dispersa,
stava organizzando una squadra di ricerche».
Mary sbuffò infastidita dall’apprensione che
la sua amica mostrava spesso nei suoi confronti, neanche fosse una bambina di
cui prendersi cura.
Va bene, fino a cinque minuti prima aveva
pregato di incrociare qualcuno di fidato con cui dirigersi in aula, però era
una sua decisione, una sua preoccupazione. Sentirsi controllata da qualcun
altro le faceva scattare l’istinto opposto, per orgoglio, per principio.
«Le ho detto che te la sai cavare benissimo
da sola».
Ecco perché era difficile togliersi Sirius
Black dalla testa: sapeva sempre dire la cosa giusta al momento giusto.
Le dita del ragazzo ancora strette attorno al
suo polso non l’aiutavano certo a darsi un contegno. Non riusciva a pensare ad
altro. Da una parte non vedeva l’ora che la lasciasse per riappropriarsi delle
sue facoltà mentali, dall’altra sperava che quel contatto durasse in eterno.
«Devo dedurre che la coppia più improbabile
della scuola sia tornata insieme?»
Come l’aveva chiamata prima? Paranoia,
suggestione?
A volte le streghe avevano semplicemente un
sesto senso. Forse la sua non era stata proprio una premonizione, ma ci aveva
azzeccato.
Thorfinn Rowle, Serpeverde del settimo anno e
grande amico di Mulciber, se ne stava a nemmeno due metri da loro, i capelli
biondi appiccicati in testa e l’espressione di chi aveva appena vinto alla
lotteria.
Mary avvertì la presa sul suo polso
allentarsi e la mano del ragazzo scivolò tra le pieghe della sua divisa in
cerca della bacchetta.
Lei lo imitò per precauzione. Non aveva
assolutamente voglia di venire coinvolta in un duello magico, ma quando Sirius
Black si trovava faccia a faccia con un Serpeverde in un corridoio deserto la
sfida era inevitabile.
Meglio tenersi pronta.
«Suppongo che questo sia il corso naturale
delle cose: metà dei tuoi migliori amici sono Mezzosangue, sei scappato di casa
rinnegando i valori che la tua famiglia ti ha insegnato. Il passo successivo
poteva essere solo tornare dalla tua ex ragazza Sangue Sporco» lo provocò Rowle
avanzando di qualche passo.
«È curioso questo tuo improvviso interesse
per la mia vita, considerando che non ci siamo mai rivolti più di tre parole di
fila. Ti sei per caso innamorato di me?» lo sbeffeggiò Sirius.
Rowle assottigliò le labbra «Dicono che quel
posto sia già occupato da Potter. Due egocentrici come voi dovrebbero trovarsi
bene insieme».
«Come si potrebbe non essere egocentrici con
tutte le attenzioni che ci riservate?» disse Sirius compiaciuto, per niente
intimorito dalla stazza dell’altro ragazzo e dalla sua aria minacciosa.
Mary lo fissò apprensiva: era chiaro come il
sole che il suo compagno di Casa non aspettasse altro che un motivo per
attaccarlo, glielo si leggeva negli occhi.
«Siamo in ritardo Sirius» gli fece notare «È
meglio se andiamo».
«Sì, Black, da’ retta alla tua fidanzatina
Sangue Sporco. Non vorrai che qualcuno finisca quello che Mulciber ha cominciato?»
lo sfidò squadrando Mary con una lunga occhiata disgustata.
«Pronuncia un’altra volta quella parola e ti
accompagno direttamente da Madama Chips. Peccato che non ci sia Mulciber a
indicarti la strada, l’anno scorso mi sono preoccupato di insegnargliela per
bene» lo avvertì con una pericolosa luce negli occhi.
Mary ricordò le parole di Erin, quando un
giorno le aveva detto che Sirius era sì un bravo ragazzo, ma a volte faceva
paura perché non era assolutamente capace di controllare i suoi scatti ed era
spinto sempre a misurarsi con situazioni pericolose per scacciare la noia.
«Che cosa sta succedendo qui?» chiese una
voce autoritaria alle spalle di Rowle. Remus Lupin avanzò verso di loro, superò
il Serpeverde e affiancò Sirius «C’è qualche problema?» aggiunse, allarmato
dalla vista delle bacchette che i due avevano puntato l’uno contro l’altro.
«Insegnavo solo un po’ di educazione al
nostro compagno. Niente di cui preoccuparsi» rispose tagliente il suo amico
senza distogliere lo sguardo dal suo avversario.
«Mancavi giusto tu per completare il
quadretto, Lupin» lo schernì Rowle senza accennare a voler abbassare la
bacchetta «Ancora Prefetto, vedo» commentò notando la spilla appuntata sulla
divisa «Mi piacerebbe sapere che cosa passa per la testa di Silente. Lo sai che
cosa dice Piton di te? Chissà che cosa ha visto quella notte alla Stamberga».
«Alla prossima giuro che…»
«Sirius!» lo rimproverò Remus nel vano
tentativo di calmarlo, ma anche lui aveva estratto la bacchetta. Non tanto per
attaccare Rowle, quanto perché ormai aveva capito che lo scontro era
inevitabile.
«Siete un bel terzetto» non si arrise quello
«Il traditore, il mezzo mostro e la Sangue Spo-» non riuscì a terminare
l’insulto: un fascio di luce lo colpì in pieno petto e Rowle finì schiantato
sul pavimento.
«Lo avevo avvisato» disse Sirius con
un’alzata di spalle.
Mary liberò un lungo sospiro di sollievo: con
Rowle fuori gioco, le possibilità di finire in mezzo a una zuffa si erano
ridotte notevolmente.
L’aveva scampata. Ora non restava che raggiungere
la classe e fingere che non fosse successo niente.
Aveva cantato vittoria troppo in fretta. Una
piccola porta si aprì in uno degli archi alla parete in pietra e dal passaggio
segreto spuntò un gruppo di quattro Serpeverde del loro stesso anno, diretti
probabilmente a lezione di Pozioni.
Mary istintivamente si ritrasse nel
riconoscere, tra gli altri, Philip Avery e Evan Rosier, entrambi presenti allo
scherzo di Mulciber.
Non era sola, Sirius e Remus erano accanto a
lei e si trovavano a pochi metri dall’aula di Lumacorno. Per nessuna ragione
sarebbe potuto capitarla qualcosa di male come l’anno precedente. Eppure quel
pensiero non riusciva a calmarla e tremò visibilmente, scossa da quel ricordo
sgradevole che i volti dei due ragazzi le avevano sbattuto violentemente in
faccia, come se potesse rivivere quei momenti, vedere le loro risa di scherno e
la perversione nei loro occhi.
I quattro non fecero caso a lei e si
concentrarono sul corpo privo di sensi del loro compagno, poi furenti
spostarono l’attenzione su Remus e Sirius.
«Dovevi proprio farlo, vero? Non potevi
aspettare almeno fino a domani?» sussurrò seccato il primo in direzione
dell’amico, mentre stringeva la presa sulla sua bacchetta e non perdeva un
singolo movimento dei loro rivali.
«Che cos’è il primo giorno di scuola senza un
bel duello? Forza, facciamogli il culo rosso e oro» lo incitò Sirius eccitato
di sentire finalmente il brivido del combattimento dopo mesi trascorsi a stare
lontano dai guai.
Mary non vide chi fu il primo tra Avery,
Rosier e Sirius a lanciare la prima fattura. La scorse solo schizzare contro al
muro e svanire in una marea di scintille prima che si scatenasse il putiferio.
«Questa la spieghi tu alla McGranitt» udì
Remus urlare mentre eseguiva un Incantesimo Scudo per coprire l’azione del suo
amico.
Mary assistette sbalordita alla scena:
nonostante i Malandrini – James e Sirius in particolare – fosse famosi per
ingaggiare duelli magici nei corridoi, lei non aveva mai avuto il piacere di
goderseli all’opera.
Sembravano una macchina perfettamente oliata
ed erano soltanto in due: Sirius mandava incantesimi con una precisione e
abilità impressionante, Remus parava e rispediva al mittente, gli dava la
possibilità di agire.
Mary non osò immaginare che cosa potessero
fare in quattro, se già così in pochi erano capaci di mettere in posizione di
difesa un gruppo di Serpeverde numericamente superiori e per nulla sprovveduti
in fatto di arti magiche.
Quello le diede una nuova carica e impugnò la
bacchetta. Non poteva permettere alla paura di paralizzarla e quel caso era
molto diverso da ciò che le era accaduto qualche mese prima: non doveva
affrontarli da sola, Sirius e Remus le stavano accanto e inconsapevolmente le
trasmettevano la loro forza.
Era al sicuro, nessuno avrebbe osato toccarla
in loro presenza.
Soprattutto Sirius – impossibile dire se
fosse una cosa voluta o meno – le si era messo davanti e deviava tutti gli
incantesimi che viaggiavano nella sua direzione, come se inconsciamente avesse
capito di averla trascinata in una situazione rischiosa e stesse cercando di
rimediare i danni.
Mary a quel punto avrebbe voluto entrare nel
duello, ma credeva di essere di troppo. Quei due se la stavano cavando fin
troppo bene.
Finché un Incantesimo di Disarmo non colse di
sorpresa Remus che riuscì a respingerlo appena in tempo senza però
controllarlo.
L’Expelliarmus colpì di ribalzo Sirius troppo
preso dalla sua sfida personale con Avery per preoccuparsi del “fuoco amico”.
Il ragazzo guardò esterrefatto la sua
bacchetta volargli via dalle mani e atterrare in un angolo buio.
«Ottimo tiro, Lunastorta! La prossima volta
prova a colpire anche gli altri» lo riprese con sarcasmo, mentre abbassava la
testa per evitare un fiotto rosso «Così sai, giusto per non rischiare di
mettere fuori gioco i tuoi amici».
«Vuoi sapere un ottimo modo per non
rischiare?» gli rispose a tono Remus che nel frattempo era stato costretto ad
alternare incantesimi di difesa e attacco a una velocità impressionante «Non
cominciare una rissa».
«E dove sta il divertimento, scusami?», il
sorriso sfacciato di Sirius svanì all’improvviso, non appena un incantesimo gli
sfiorò la guancia graffiandogli lo zigomo.
«Che cosa succede, Black?» lo canzonò Avery
con il braccio ancora teso «Non sei più tanto tronfio senza la tua bacchetta».
«O Avery, non mi serve un bastoncino di legno
per stenderti» gli assicurò Sirius, impudente come al solito nonostante in quel
momento lui e Remus fossero finiti in una posizione di svantaggio.
Il problema non era affrontare Avery senza
magia, il problema era arrivare a mettere le mani su Avery; e con tutti quegli
incantesimi che zizzagavano per il corridoio sembrava un’impresa impossibile.
«Remus mi serve un aiutino» lo chiamò con
urgenza, nell’atto di ripararsi dietro a una colonna sporgente dalla parete di
pietra grigio scuro.
«Sono un tantino occupato» lo informò l’altro
«Ma appena mi libero, sono subito da te» gli promise.
«Non preoccuparti, ho tutto il tempo del
mondo» ironizzò Sirius, appiattito contro il muro, mentre cercava di scivolare
verso il Serpeverde.
Mary non poteva credere che quei due non
avessero perso il sarcasmo neanche in una circostanza come quella.
Assodato che, dati i recenti sviluppi, il suo
intervento si sarebbe rivelato davvero utile, si decise ad agire e puntò la
bacchetta verso Travers schiantandolo con facilità. Nessuno aveva fatto caso a
lei fino a quel momento, nessuno si era preoccupato di tenerla d’occhio e il
suo incantesimo non aveva incontrato ostacoli, arrivando dritto al petto del
ragazzo.
Gli sfidanti cessarono per un momento ogni
mossa e si fermarono a fissarla sconcertati, come se solo allora si fossero
accorti della sua presenza, tranne Sirius che la scrutava soddisfatto e fiero
della sua presa di posizione, quasi non avesse aspettato altro fino a
quell’istante.
Mary affiancò Remus, la bacchetta ben salda
tra le dita «Ti copro io».
Non era molto brava nelle formule di attacco,
ma in difesa se la cavava decisamente meglio. Almeno avrebbero dato il tempo a
Sirius di togliersi dal fuoco incrociato e in due avevano sicuramente più
possibilità di mettere fuori gioco i restanti Serpeverde. Inoltre aveva anche
l’occasione di prendersi una piccola rivincita dopo quello che aveva patito per
mano loro. Chi era lei per non approfittare di una tale opportunità?
«Che cosa sta facendo quel disgraziato?»
chiese Remus che finalmente era riuscito a disarmare il quarto componente del
gruppetto di cui Mary non ricordava il nome, e a immobilizzarlo «Vuole farsi
ammazzare?»
La giovane seguì lo sguardo di Remus fino a
individuare Sirius, uscito dal suo nascondiglio, che gattonava sempre di più
verso Avery fortunatamente troppo concentrato a combattere con loro due per
accorgersene.
«Dovrei pietrificare lui» continuò a denti
stretti. Con un movimento veloce del polso sistemò anche Rosier, legandogli i
piedi con una corda invisibile e facendolo ruzzolare a terra.
«Abbassa la bacchetta, Avery!» gli ordinò
«Siamo in tre contro uno. È finita».
«Questo qui è disarmato» disse il Serpeverde
con tono sprezzante, indicando Sirius «E quella lì non sa nemmeno non sa
nemmeno mirare in maniera decente. Per come la vedo io siamo pari» lo provocò
per nulla intenzionato ad arrendersi, tenendoli sotto tiro tutti e tre.
«Sono un Prefetto» gli ricordò Remus «Sei già
abbastanza nei guai».
«Farai rapporto?» domandò scettico Avery «Il
tuo amico è dentro fino al collo, tanto quanto noi. Ma dopotutto a lui non
importa non è vero? A Black piace infrangere le regole, è una questione di
vanto» osservò con una smorfia di disgusto «Lasciare la famiglia per passare il
tempo con una banda di squinternati come voi, rifiuti della società e Sangue
Sporco».
«Sciacquati la bocca, grandissimo figl-».
«Gran prova di eleganza, Black. È questo
quello che si ottiene ad andarsene in giro con certa gente?»
«Mary, se vuoi maledirlo fingerò di non aver
visto niente» acconsentì Remus, indurendo lo sguardo. A quel punto gli
importava poco del suo ruolo istituzionale: Avery era un gran bastardo e
meritava una lezione. Sirius quella volta aveva pienamente ragione.
«Potrei appenderlo a una di quelle torce e
calargli i pantaloni» ipotizzò la ragazza con un ghigno che ricordava fin
troppo quello dei Malandrini.
Avery non aveva perso la sua prepotenza. Per
quanto gli costasse caro, avrebbe anche potuto cedere davanti a Sirius Black,
ma mai nella vita avrebbe permesso a una Nata Babbana, inferiore e indegna, di
minacciarlo.
«Le persone cambiano davvero quando sono
circondate da amici più potenti, no? Non eri così sfacciata l’anno scorso: non
facevi altro che piagnucolare e supplicarci di lasciarti andare».
«Rictusempra!»
A sette anni un bambino della sua classe
delle elementari le aveva appiccicato una gomma da masticare tra i capelli,
durante una gita al lago. Mary lo aveva spinto in acqua per vendicarsi. Aveva
dovuto sopportare due settimane di punizione, ingiustamente a sua detta, perché
in realtà non lo aveva nemmeno sfiorato con un dito. Aveva solamente desiderato
buttarlo dentro e un attimo dopo quel piccolo sbruffone annaspava in mezzo
metro d’acqua neanche si fosse trovato in pieno mare aperto.
Era stata la prima vera manifestazione della
sua magia.
In quel momento provava la stessa identica
sensazione: un calore lungo tutto il corpo, i residui della scarica di rabbia,
la percezione tangibile del suo potere.
Le parole erano praticamente uscite dalla sua
bocca, la bacchetta si era mossa da sola. Un atto quasi inconscio, uno sfogo
terribilmente soddisfacente.
Avery era stato sbalzato indietro contro la
parete ed era scivolato per terra, scioccato pure lui da quello scatto.
Mary non lo degnò di uno sguardo e non
aggiunse altro. Stringendosi nervosamente un labbro tra i denti, raccolse la
borsa che le era caduta e marciò verso l’aula di pozioni.
Sirius la scrutò per qualche istante, poi si
volse verso il Serpeverde, si inginocchiò di fronte a lui e rigirò un’asticella
di legno tra le mani.
Solo allora Remus capì che l’amico aveva
cercato di strisciare, durante il duello, per recuperare la sua bacchetta
calciata accanto a un grosso vaso in marmo, forse da uno dei loro rivali nella
foga del duello.
«O Avery. Sei tanto stupido quanto appari»
gli sibilò Sirius punzecchiandogli la punta del naso con la bacchetta.
Il ragazzo sul pavimento sbiancò
visibilmente.
Remus gli posò una mano sulla spalla e lo
invitò ad alzarsi prima che potesse infilargliela in una narice. La situazione
sembrava essersi sbloccata senza grandi incidenti, era arrivato il momento di
finirla lì.
«Sveglia i tuoi compagni» gli intimò «E
vattene a lezione».
I due Malandrini gli diede le spalle – Sirius
aveva l’aria un po’ delusa per il mancato scontro diretto – e imitarono Mary.
Per precauzione, Remus lanciò un’ultima
occhiata per controllare che Avery stesse eseguendo i suoi ordini. Si rivelò
una mossa intelligente.
Afferrò Sirius e lo spintonò di lato appena
prima che una fattura passasse tra le loro figure, colpendo una delle torce che
mandò scintille verdi.
Un secondo dopo Avery era stato disarmato e
Sirius incombeva su di lui con la medesima sinistra luce negli occhi con cui aveva
fulminato Rowle.
«Tutti uguali voi serpenti».
Gli tirò una gomitata tra le costole e lo
atterrò, ben felice di scaricargli addosso tutta la collera che aveva represso
fino a quel momento.
Fu così che li trovarono James e Erin: Avery
steso a pancia in giù, Sirius che gli storceva un braccio e Remus che cercava
di dividerli.
Mary aveva già svoltato l’angolo e non si era
accorta di niente, ma non se ne sarebbe resa conto in ogni caso. Era troppo
impegnata a pensare a altro.
Continuavano a ronzarle nella testa le parole
velenose di Avery e con crescente preoccupazione stava realizzando quanto
fossero vere: se si fosse trovata da sola davanti a tutti loro, non avrebbe
avuto scampo.
«Come hai potuto? Schiantare i
Serpeverde senza di me! Stendere Avery senza di me! Finire in punizione senza
di me! Con lui, per giunta!» inveì James contro Sirius puntando il dito in
direzione Remus Lupin, mentre attraversavano il ritratto della Signora Grassa.
«No, io non sono in punizione» lo
corresse quest’ultimo.
«Solo perché sei un Prefetto, sei
un raccomandato» replicò James ancora incredulo e arrabbiato «Il punto è…fate
largo, marmocchi – un paio di ragazzi del primo anno si spostarono dal divano
per lasciare il posto ai tre – è che voi due, soprattutto tu – Sirius alzò gli occhi
al cielo – le avete suonate ai Serpeverde senza di me e Peter, soprattutto
senza di me e i Malandrini non si separano mai» concluse stringendo un cuscino
come un bambino capriccioso.
Sirius allargò le braccia «Tu non
c’eri e io mi sono dovuto arrangiare» si giustificò spazientito.
«Arrangiare? Per poco non gli
staccavi un braccio» precisò Remus contrariato.
«Era solo un po’ di stretching»
sminuì Sirius ancora soddisfatto della piega che aveva preso quella giornata
cominciata all’insegna della noia.
Dopo che Remus lo aveva
finalmente staccato da Avery, con l’aiuto riluttante di James e sotto gli occhi
basiti della Fawley, Lumacorno era sopraggiunto attirato dalle urla da
donnicciola del Serpeverde e aveva trovato cinque dei suoi alunni schiantati e
uno ancora cosciente e visibilmente isterico.
Remus, vista la sua posizione di
Prefetto, se l’era cavata con una lavata di capo per essere intervenuto a
sedare la situazione invece di chiamare subito un insegnante; a Sirius era
andata peggio: due settimane di punizione (cui era fin troppo abituato) e un
richiamo ufficiale, cosa più grave, che sarebbe finita sul suo curriculum
scolastico come nota di demerito, ma che al momento non gli interessava
granché.
Non riusciva a togliersi quel
sorriso appagato dalle labbra, poteva ancora sentire l’adrenalina nelle vene e
una magnifica sensazione di sollievo, quasi si fosse tolto un peso dalle
spalle.
«Devi darti una calmata, Felpato»
lo riprese Remus «Ti hanno dato un richiamo ufficiale, significa che non
tollereranno più gesti come il tuo. L’anno scorso hanno chiuso un occhio con
Mulciber perché avevi un motivo, ma non ti giustificheranno più».
«Avery è un Serpeverde, mi sembra
un motivo più che valido» obiettò lui.
«La McGranitt e Silente non
ammettono risse alla babbana, comprensibile» ragionò James «Nessuno ha detto
niente sugli incantesimi. Problema risolto, Felpato, non servono le mani per
fare un occhio nero, ci basta la bacchetta».
«Certo, scherzateci su.
L’espulsione è una così rosea prospettiva» commentò con sarcasmo Remus,
spostando i piedi di James dal divano così da potersi sedere anche lui.
«Ammettilo, Lunastorta. È stato
divertente» lo stuzzicò Sirius.
Remus si sforzò di non ridere,
nonostante fosse davvero difficile non dargliela vinta. Dopotutto, era stato
più che divertente e il gruppo di Avery si meritava tutto ciò che aveva
ricevuto per il brutto tiro che aveva tirato a Mary.
«Si può sapere dov’è Peter?»
domandò James d’un tratto.
«Indovina! Sarà di sopra a
dormire. Aveva le ultime due ore libere» rispose Sirius mentre richiamava con
un incantesimo di Appello un piccolo pouf per stenderci sopra le gambe «Quanto
pagherei per essere al suo pos…»
«Ti devo parlare».
Il ragazzo si zittì e liberò un
sospiro scocciato. Gli altri due si voltarono indietro, verso chi aveva parlato
e si scambiarono un’occhiata d’intesa. Considerata la mascella contratta di
Sirius, l’espressione tremendamente seria che Erin gli stava rivolgendo e la
tensione improvvisamente calata su di loro, sembrava una buona idea
volatilizzarsi nel più breve tempo possibile.
«Noi andiamo a svegliare Peter.
Bisogna aggiornarlo su quello che è successo, vero Remus?» lo incalzò James,
già in piedi ancora prima di aver terminato la frase, seguito a ruota
dall’amico.
«È una notizia che non può
aspettare due secondi di più» confermò quest’ultimo ed entrambi si dileguarono
così velocemente su per i gradini che Erin, spostando l’attenzione su di loro
per un breve attimo, riuscì solo a scorgere l’orlo delle loro tuniche serpeggiare
in aria prima di sparire su per la tromba delle scale.
Fece il giro del divano e si
posizionò di fronte a Sirius che si ostinava a non guardarla, forse nella
speranza che svanisse nel nulla.
Erin si chiese perché ci stesse
ricascando per la seconda volta nel giro di poche ore. Non le era bastato il
trattamento della sera precedente?
Le era bastato eccome e non
l’aveva ancora digerito, ma la rivelazione più o meno velata che Regulus le
aveva fatto intendere era di gran lunga più grave di qualunque divergenza
intercorresse tra lei e Sirius.
«Se è ancora per la questione di
ieri sera…» cominciò il giovane, rompendo infine il silenzio, desideroso di
liberarsi in fretta di quella seccatura.
«Ieri non c’entra» negò Erin.
Sirius si tirò indietro i capelli
con fare nervoso «Allora è per oggi pomeriggio? La ramanzina me l’ha già fatta
la McGranitt. Grazie tante».
«Non è nemmeno per oggi».
A quel punto Sirius puntò i suoi
occhi grigi su di lei, sorpreso e incuriosito. Che cosa diamine poteva esserci
d’altro?
«Ho incontrato tuo fratello, oggi
nel parco. Abbiamo parlato» cominciò a raccontare senza avere, però,
possibilità di continuare.
D’istinto Sirius era scattato in
piedi «Di che cosa?»
Erin parve colta alla sprovvista
da quella domanda, posta con così tanta urgenza, ma si riprese in fretta e
rispose con calma «All’inizio di te e della tua…fuga» la parola
“defezione” ancora le ronzava in testa «Poi Regulus ha detto qualcos’altro.
Forse sto esagerando io…»
«Quale parte non hai afferrato di
“stai alla larga dai fatti miei”?» la interruppe Sirius per la seconda volta,
con voce bassa e furente «Pensavo che ieri sera avessimo stabilito che noi due
non abbiamo più nulla a che spartire. E tu che fai? Corri da mio fratello?»
«Ho afferrato tutto alla
perfezione, ti ringrazio» obiettò tagliente lei.
«Allora smettila di
perseguitarmi! Non faccio tempo a mettere piede in Sala Comune che tu mi sei
già addosso. Ti è venuta improvvisamente la sindrome della crocerossina? Non te
n’è mai fregato niente di nessuno e adesso vuoi risolvere in un giorno i
problemi del mondo?»
«Credimi, mi basterebbe che i
tuoi problemi mi lasciassero in pace» replicò Erin che invano stava cercando di
trattenersi e di non rimetterlo al suo posto all’istante. Aveva un compito più
importante da sbrigare, ma lui non le stava rendendo la vita facile «Se solo
tacessi per un secondo e mi ascoltassi…»
Sirius la ignorò spudoratamente e
proseguì il suo attacco «Lascia che te la renda più chiara: non ti devi
intromettere negli affari miei. Non devi parlarne con me, non devi di sicuro
permetterti parlarne con mio fratello. Se volete trovarvi e discutere di quanto
sia bello essere ricchi e Purosangue, fate pure. Ma non tiratemi in mezzo. Stai
diventando pesante e impicciona. E soprattutto nessuno ti ha chiesto niente,
quindi stai fuori dalla mia vita!»
Le diede le spalle, intenzionato
a raggiungere i suoi amici nel Dormitorio e a disfarsi di lei una volta per
tutte. Non poté muovere un passo, richiamato dalle parole di Erin.
«Soffocati con la Polvere
Volante, Sirius Black» gli augurò con astio, mentre il ragazzo si voltava
nuovamente a guardarla «Per quello che m’interessa!» sbottò al limite della
sopportazione, punta nell’orgoglio una volta di troppo «Cacciati la bacchetta
in un occhio, strozzati con la Burrobirra, sai che me ne importa! Sono stufa
dei drammi della tua famiglia! Ma non azzardarti a venire a lamentarti da me,
quando tuo fratello diventerà un Mangiamorte».
Sirius era ammutolito e con lui
tutti i Grifondoro presenti, pietrificati nell’udire il nome dei seguaci di
colui che si faceva chiamare Signore Oscuro.
Erin non aveva urlato, ma non
aveva neanche abbassato il tono di voce, troppo presa dalla sua discussione per
controllarlo.
Adesso tutti gli occhi erano puntati su di
lei e non solo quelli smarriti di Sirius. C’era un motivo se evitava le
complicazioni più del vaiolo di drago: non sapeva gestirle, non aveva pazienza
e non aveva tatto. Non le era mai piaciuto cercare la via più delicata per dire
qualcosa, non era proprio il suo forte.
In quel caso, però, avrebbe fatto meglio a
mordersi la lingua sei volte prima di scoppiare come un vulcano, prima di
annunciare a un numero considerevole di orecchie indiscrete una confidenza che
definirla scomoda era un eufemismo.
Non che le posizioni estremiste di Regulus
fossero un gran mistero e si sapeva bene o male che molti Serpeverde avrebbero
intrapreso quello strada terminata la scuola, ma erano voci sottobanco, nessuno
ne parlava apertamente.
Come passare dalla ragione al torto alla
velocità della luce.
Avvertì di nuovo le vertigini di quel
pomeriggio e il senso di nausea che l’aveva tormentata ininterrottamente si
fece all’improvviso più forte, più fastidioso. Erin si toccò la pancia con
crescente preoccupazione, mentre brividi di freddo cominciarono a risalire su
per il suo corpo.
Capì di dover raggiungere il bagno o almeno
la sua stanza prima di dare spettacolo. Purtroppo non riuscì neppure a
raggiungere i primi gradini della scala che portava al suo Dormitorio. I conati
la sorpresero prima e lei fu costretta a piegarsi su uno dei tanti tappeti
della sala, in piena vista.
Vomitò davanti a Sirius, ancora stordito
dalla notizia.
Vomitò davanti a tutta la Sala Comune
attonita.
Aveva appena reso indimenticabile il primo
giorno di lezioni. Per se stessa.
E per tutta la scuola.
Il mio angolo:
Eccomi a tornata con il secondo capitolo.
Scusate la lunga assenza, ma purtroppo in
questo periodo non ho molto tempo per scrivere. Spero che qualcuno si ricordi
di questa storia.
Ringrazio tantissimo chi ha commentato e
inserito la storia nelle seguite/preferite/ricordate.
Fatemi sapere se vi sta piacendo come
procedono gli eventi, anche le critiche negative sono sempre ben accette per
crescere come “scrittori”.
Vi lascio con un paio di note e mi auguro di
postare il prossimo capitolo in tempi più ragionevoli.
1) Right from the start è un verso della
canzone Don’t go breaking my heart di Elton John e Kiki Dee pubblicata
nel 1976.
2) La Rowling ha
pubblicato su Pottermore un elenco delle ventotto famiglie considerate
Purosangue al cento per cento e tra queste ci sono i Fawley. Ho scelto questo
cognome per due motivi: primo perché è uno dei pochi della lista a non essere
legato ai Mangiamorte; secondo perché non ci sono molte informazioni su questa
famiglia e ho potuto sbizzarrirmi di più.
3) Su Pottermore ci sono
anche varie informazioni sul professor Kettleburn, insegnante di Cure
della Creature Magiche prima di Hagrid, anche lui particolarmente interessato
alle creature più pericolose.
4) Il Cavolo
Carnivoro è una pianta citata in Harry Potter e l’ordine della Fenice.
Agave Lottatrice è una mia invenzione.
5) In Harry Potter e
il calice di fuoco viene detto che Mulciber si specializzò nella
Maledizione Imperius. Ho pensato quindi che anche lo scherzo ai danni di Mary
potesse essere legato a questo incantesimo, dato che si parla in generale di
“magia oscura” senza specificare che cosa sia realmente accaduto. È una mia
licenza.