Un fiore per San Valentino

di eos75
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nontiscordardime ***
Capitolo 2: *** Il profumo dell'amore ***
Capitolo 3: *** Viola del Pensiero ***



Capitolo 1
*** Nontiscordardime ***


Nontiscordardime

Förgätmigej (Nontiscordardime)


Il suono della sveglia s'insinuò nella sua testa, martellante ed insistente.
Una mano sbucò dalle lenzuola e afferrò l'oggetto, scomparendo con esso sotto il cuscino, dal quale faceva capolino un disordinato ciuffo di capelli biondissimi.
“Stephan!! La colazione è pronta! Muoviti che fai tardi!”
Sbuffando il ragazzo uscì dalla sua morbida tana, portando un braccio sugli occhi a proteggerli dalla luce che entrava dalla porta aperta della sua stanza, e sbirciò un'ultima volta l'orologio, prima di riporlo con gesto svogliato al suo posto.
Non poteva pensare di marinare la scuola con la scusa di non sentirsi bene, si disse, per poi recarsi comunque agli allenamenti del pomeriggio, ai quali non poteva assolutamente mancare.
L'idea di sorbirsi le solite ragazzine ammiccanti, che gli lanciavano occhiatine maliziose e poi si voltavano, arrossendo, a ridacchiare con le amiche lo infastidiva, così come il ritrovarsi bigliettini sull'armadietto o tra le pagine dei quaderni lasciati sotto il banco, e pacchettini, tutti rigorosamente rosso fuoco, sparsi nei posti più improbabili.
Dopo tre anni di quell'assedio, che si ripeteva periodicamente alla fatidica data, ormai ci aveva fatto il callo.
San Valentino: ogni anno, la stessa storia.
Passato l'imbarazzo della prima volta, mascherato abilmente dietro a un'alzata di sopracciglio, accompagnata da un'espressione più scocciata che perplessa, sopportava il supplizio con distacco. Staccava i post-it e li appallottolava senza neppure leggerli, scrollando appena la testa, ed accantonava i pacchettini senza scartarli, facendo in modo che tornassero alle mittenti.
Non che le ragazze non gli interessassero, anzi! Ma tutto quel gallinaio non l'attirava proprio.
Era ben altro il problema che temeva di affrontare quel giorno, qualcosa che l'atterriva non poco.
“Carpe diem!” sospirò un'ultima volta, alzandosi con un colpo di reni dal letto, decidendosi finalmente a cominciare il suo calvario.
Fece colazione in silenzio, glissando le domande della madre. Quando non ne poté più, prese l'ultima fetta di pane tostato e, continuando a masticare, afferrò giubbotto e zaino e fece per uscire.
Staccò un mazzo dal portachiavi a parete, ma quando le mise in tasca, le dita sfiorarono qualcosa di soffice. Estrasse un piccolo sacchettino blu, rimanendo a fissarlo pensieroso per alcuni secondi, prima di riporlo nel taschino interno della giacca, chiudendone la zip con cura.
All'esterno la mattina era ancora buia e la luce dei lampioni riverberava sulla neve che ricopriva la città.
Nel cortile della scuola i ragazzi accennarono una breve battaglia a palle di neve, alla quale non partecipò, dirigendosi invece con risolutezza verso l'edificio.
Come da copione, un coloratissimo puzzle di bigliettini ricopriva il suo armadietto, e quelli di altri due o tre compagni, ed in classe trovò ad aspettarlo un mucchietto di pacchettini rossi, che venne ordinatamente spostato in un angolo del banco, sotto gli sguardi sconsolati di un gruppetto di ragazze.
Le lezioni non passavano mai, e ringraziò mentalmente il cielo che non fossero previste interrogazioni, poiché, nonostante l'apparente attenzione, la sua testa era da tutt'altra parte.
Non molto lontano, in verità, solo un'aula più avanti, oltre quel muro dietro la lavagna.
Al suono della campanella dell'intervallo dovette fare uno sforzo sovrumano per non fiondarsi in corridoio. Si alzò invece con calma, lanciando un'occhiata eloquente alle proprietarie dei pacchettini, ed uscì chiacchierando con Bjorn, il suo compagno di banco.
L'atrio ed i corridoi della scuola cominciavano ad essere illuminati dal sole, che timidamente faceva capolino oltre l'orizzonte, ed i ragazzi li affollavano facendo più baccano del solito, mentre il rosso sgargiante delle carte da regalo balenava in ogni angolo.
Con noncuranza, il biondo cannoniere continuò a discutere di calcio con l'amico, dirigendosi verso un gruppetto di ragazze. Una di queste si volse verso di loro e l'apostrofò:”Ehi, capitano! Quest'anno hai aperto almeno uno dei tuoi regali?” chiese maliziosamente, agganciandosi al braccio dell'altro e schioccandogli un bacio sonoro sulla guancia, che lo fece arrossire.
Stephan trattenne una risata nel vedere l'espressione del compagno, e scambiò un'occhiata con la ragazza, sorridendo e scuotendo il ciuffo biondo “Spiacente, Anna, niente anche quest'anno!”
“Ah, Levin! Sei proprio incontentabile!” rise lei, trascinando via il suo fidanzatino.
Il giovane si strinse nelle spalle, sogghignando ancora, e infilò le mani in tasca, lanciando un'occhiata apparentemente disinteressata intorno, sorvolando sulle due ragazze rimaste e dando uno sguardo annoiato all'interno dell'aula vuota.
Il terzo banco da sinistra era sgombro, nessun libro, penna o astuccio lo ingombrava, a differenza degli altri che portavano il segno della lezione appena terminata.
Chiedere sarebbe stato davvero troppo per il suo orgoglio già tormentato, ma il peso che l'opprimeva da quella mattina stava diventando insopportabile.
Fece per voltarsi e rivolgere la domanda che aveva sulla punta della lingua, quando colse un pezzo di conversazione tra le due “...si sarà presa l'influenza, vedrai! Prima di tornare a casa, passo da lei e le porto gli appunti di letteratura. Con tutto quello che ha spiegato il professore oggi...”
Tanto gli bastò.
Rientrato in aula tra i primi, constatò con sollievo che i pacchettini rossi erano spariti.
Le ultime ore volarono, così come volarono gli allenamenti, nei quali si buttò sì con il corpo, ma non con l'anima. Quella era ancora rivolta al banco vuoto, e al nuovo problema che aveva creato l'assenza della sua occupante.
Il sole era basso, quasi radente l'orizzonte quando uscì dal campo e s'avviò a casa. La sua luce riverberava sul mare, frammentandosi in milioni di gioielli scintillanti e baluginava attraverso il piccolo ciondolo che il giovane faceva dondolare tra le dita.
Il riflesso sbriciolato del cielo sopra di lui e del ponte sul quale s'era fermato a rimuginare pareva uno di quei quadri dell'Impressionismo francese che stava studiando a scuola.
Si sentiva un idiota, no! Era decisamente un idiota!
Ma cosa diamine gli era preso? Si chiese per la centesima volta da una settimana a quella parte.
Era sempre stato un tipo deciso, tutto d'un pezzo, in molti lo ritenevano sicuramente più maturo della sua età, con un carisma tale da essersi meritato in brevissimo tempo il ruolo di capitano nella sua squadra e, addirittura, nella nazionale giovanile.
Aveva sempre affrontato le cose di petto, prendendosi le proprie responsabilità, e difficilmente qualcosa lo scuoteva o turbava.
Analizzava gli eventi con fredda logica, per questo il ruolo di regista della squadra gli calzava a pennello, e non credeva nel caso, tanto meno nei colpi di fulmine...
Dalle labbra, livide per il gelo, sfuggì un sospiro che formò una nuvoletta di vapore.
Il ciondolo, un fiorellino azzurro con una tenue sfumatura bianca, dondolò appena, spinto da un refolo di vento freddo.
L'aveva comprato due giorni prima, in un lampo d'incoscienza, s'era detto. L'aveva visto, esposto in una vetrina, e quel colore tenue ed intenso insieme gli aveva ricordato quegli occhi che tormentavano i suoi sogni di notte e la sua anima di giorno.
L'aveva riposto in un cassetto fino alla sera prima, quando l'aveva infilato con risolutezza nella tasca del giaccone, salvo poi essere roso dal dubbio per tutta la notte.
Non credeva ai colpi di fulmine, no.
Ma se ripensava a quel pomeriggio in compagnia degli amici al Luna Park, alle risate, alla sua risata che gli aveva fatto vibrare il cuore più di una volta quel giorno, al profumo dolce dei suoi capelli quando, terrorizzata da un buffo fantasma nella Casa degli Spettri, gli si era stretta addosso. Il calore del suo fiato sulla pelle, il solletichio di un ricciolo birichino che gli aveva sfiorato il collo...
Ecco, bastava quel ricordo perché il cuore cominciasse a battere fuori controllo, impazzito.
Da quel pomeriggio, ogni certezza cadeva davanti agli occhi azzurri di Karen, ed il fiero capitano dallo sguardo di ghiaccio in sua presenza non riusciva che a spiccicare secchi monosillabi, reso totalmente incapace di instaurare una normale conversazione.
Dopo aver ceduto all'impulso di acquistare quel piccolo dono, aveva dovuto arrendersi all'evidenza dei fatti.
Erano due giorni e due notti, ormai, che si scervellava su come dare quel piccolo pegno alla ragazza che aveva sbaragliato tutte le sue difese, colpendolo direttamente al cuore. Non poteva lasciarglielo sul banco, troppo banale e decisamente da vigliacchi, ma non poteva neppure consegnarglielo a scuola, davanti a tutti.
Aveva optato per chiederle di vedersi subito prima degli allenamenti, con una scusa banalissima come gli appunti di storia, materia nella quale lui era assolutamente negato e nella quale invece lei eccelleva.
Ma i suoi piani erano andati a monte...
Il fiorellino di cristallo dondolava piano tra le sue dita, mandando tenui bagliori nella precoce notte del Nord.
“Ciao, capitano!” la voce lo fece sobbalzare, e per poco l'oggettino non gli sfuggì di mano. Preso alla sprovvista, strinse la catenella e la ficcò rapidamente in tasca, voltandosi e scattando quasi sull'attenti.
“Ciao, Karen...” gli riuscì di dire, dopo che la lingua si fu staccata dal palato. Deglutì a vuoto, rendendosi conto d'aver smesso di respirare per qualche secondo. Lei era lì, avvolta in un semplice cappottino nero col collo di pelliccia che metteva in risalto il candore della pelle di porcellana, nel quale brillavano quegli occhi azzurri come il cielo di primavera. Il vento le passò tra i capelli, portandogli il profumo tenue di violette che aveva il potere di mandare definitivamente in loop il suo cervello.
“Tutto bene, Stephan? Ti ho visto un po' pensieroso...” chinò la testa da un lato, con quel suo fare innocente, le mani affondate nelle tasche del cappotto e uno sguardo sinceramente preoccupato.
“No, no, nulla!”
Ecco, si disse, i soliti monosillabi! Mai possibile che non riuscisse a dire più di tre lettere filate, in sua presenza?!
“Oh, che carino! Un nontiscordardime!” l'esclamazione allegra della giovane lo riportò al presente. Vide l'espressione estasiata negli occhi azzurri e seguì la traiettoria del suo sguardo, tremando quando s'accorse che finiva esattamente sulla sua tasca destra. Ed eccolo, il ciondolino che spuntava dispettoso dalla cerniera. Nella fretta, aveva infilato la catenella in tasca, ma il pendente era rimasto fuori ed ora brillava allegro alla luce dei lampioni.
“Carpe diem.” si ripeté mentalmente. Cogliere le occasioni in campo era la sua specialità, no?
Estrasse adagio il ciondolo e lo portò davanti al viso, lasciandolo dondolare; lo guardò con aria scettica, sollevando un sopracciglio “Nontiscordardime, hai detto?” .
Karen sorrise, e una fossetta si formò accanto alle labbra a cuore. Una manina spuntò dal cappotto e le dita affusolate sfiorarono il cristallo “Sì, proprio un
Förgätmigejs.” Annuì lei, seria.
“Posso?” in un attimo il fermaglio venne aperto e richiuso intorno al collo della ragazza.
Le mani del capitano indugiarono un secondo di più tra la seta dei capelli, e lo sguardo passò veloce dal pendente, che ammiccava sulla soffice pelliccia, agli occhi azzurri a pochi centimetri dai suoi.
“Grazie...” un sussurro che chi sfiorò il viso, carezzandogli le labbra col suo dolce profumo.
E quella bocca sotto la sua era morbida e calda, e nulla al mondo, si disse, l'avrebbe mai separato da lei.


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Capitolo 2
*** Il profumo dell'amore ***


il profumo dell'amore

Un doppio bip ed il cellulare che vibra nella borsa.
Tuffo la mano nel caos che vi regna sovrano, cercando freneticamente il telefono tra taccuini, portafoglio e oggetti vari. Lo trovo dopo due minuti buoni, borbottando tra me, chiedendomi come diavolo faccia a cacciarsi sempre sul fondo, quando l'avevo messo via non più di dieci minuti fa.
Guardo il display col cuore in gola e un sorriso pronto a dipingersi sulle labbra ma...
Papà mi ha fatto una sorpresa ed è tornato da Tokyo! Stasera usciamo a cena. Divertiti con Hikaru. Mamma.”
Appunto.
Sospiro e mi aggancio con un braccio ad uno dei sostegni della metro, appoggiandovi sconsolata la testa mentre rispondo a mia madre.
Hikaru.
“Non è possibile che se ne sia scordato!” mi ripeto per la centesima volta, inviando il messaggio e rituffando il cellulare in borsetta. Nei posti a sedere di fronte a me, un ragazzo e una ragazza si tengono la mano, scambiandosi qualche piccola effusione che fa arrossire lei, mentre stringe un piccolo ciondolo a forma di cuore.
No, non è assolutamente possibile che se ne sia dimenticato, con tutto il miele che scorre per le strade oggi...
Le porte si aprono e scendo come un automa, camminando distrattamente verso casa senza più guardarmi in giro.
Sono stata in un altro continente per quasi tre anni, e non l'ho mai sentito lontano come in questi giorni.
Il campionato è in una fase importante, è vero, così come è vero che ormai non si tratta più di partite a livello studentesco, ma di professionismo.
E poi la Nazionale, il Mondiale che si fa sempre più vicino, le eliminatorie...
Lui si impegna al massimo, mette tutto se stesso in quello sport che è il suo sogno, ed è normale, mi dico, che in periodo così denso di impegni abbia poco tempo per me.
“Ma non oggi, accidenti!” sibilo tra i denti entrando in casa.
Un biglietto sul mobile dell'ingresso mi annuncia che i miei sono già usciti. Papà era a Tokyo per lavoro e non tornava a casa da più di una settimana.
“Almeno loro si godranno una bella serata...” sospiro, buttandomi sul divano, gli occhi chiusi e la testa riversa sui cuscini, il cellulare stretto tra le dita.
Chissà mai che...
Il sole è basso, la luce dorata entra radente dalla portafinestra del salotto, tingendo la stanza tutt'intorno con toni caldi e confortanti. I raggi tiepidi m'avvolgono come un abbraccio, morbido e confortevole come quello del mio amore.
Sento una lacrima rotolare sulle guance, e non faccio nulla per asciugarla.
Sono capitati giorni in cui non siamo riusciti a scambiarci che un messaggio, senza neppure poterci sentire. In questo periodo, poi, è quasi la normalità. E' doloroso ma, mi dico, è solo un momento, passerà...
Il suo lavoro, la sua carriera sono ad un passo importante.
Poi, in fondo, non l'ho lasciato io per ben tre anni? E lui mi ha aspettata.
Posso bene attendere la fine di un campionato!
Cerco di sorridere, ma le lacrime non smettono di rigarmi il viso.
E' così difficile averlo così vicino e contemporaneamente tanto lontano.
In un giorno come questo, poi...
Mi lascio andare e svuoto la mentre, le dita si aprono ed il cellulare scivola accanto a me.
“Se suona, mi sveglierà.” penso, mentre una vocina cattiva sussurra al mio orecchio che il telefono, questa sera, non squillerà.
E' un rumore fastidioso quello che mi strappa dall'oblio. Apro gli occhi e vedo solo buio. Il sole è calato del tutto ed il cielo fuori s'è tinto di un blu intenso.
Scrollo la testa, cercando di svegliarmi del tutto e chiedendomi cosa mi abbia destata, quando il campanello d'ingresso ricomincia a trillare con insistenza.
“Arrivo!” grido, tentando di alzarmi e cercando un interruttore della luce.
“Una consegna per la signorina Fujisawa!” annuncia una voce dall'altra parte della porta.
I pensieri sono ancora annebbiati dal sonno, e lo sconforto che poche ore fa pesava su di essi schiaccia all'istante qualsiasi speranza.
Faccio scattare la serratura e l'aroma intenso di un'enorme mazzo di rose rosse, che occupa tutta la porta nascondendo il fattorino, mi avvolge come fosse morbido velluto, strappandomi del tutto dalle braccia di Morfeo.
Mi accorgo di essere rimasta imbambolata a bocca ed occhi spalancati, col cuore che ha cominciato ad accelerare man mano ed adesso batte come un tamburo nel mio petto, quando vedo tra i petali purpurei spuntare un bigliettino candido.
Lo prendo con le dita che tremano e l'apro adagio, temendo, dopo una giornata come questa, l'ennesima delusione...
“Ti amo.
Buon San Valentino, amore.
Hikaru”
Stringo il biglietto al seno, ridendo e piangendo contemporaneamente come una sciocca, aspirando a pieni polmoni il profumo di queste rose che è il profumo dell'amore che il mio Hikaru prova per me.
“Ti amo anch'io, Hikaru Matsuyama!” sussurro tra le lacrime.
“Lo so.”
E solo adesso mi accorgo che lui è lì, sorridente, il mazzo di fiori che lo celava posato in terra e negli occhi scuri uno sguardo intenso che spazza via ogni mia stupida incertezza.


Il profumo delle rose ha invaso la stanza con la sua dolce essenza, decisa ma discreta.
Socchiudo gli occhi nel buio, assaporando nuovamente il mescolarsi dell'aroma dei fiori con quello della sua pelle, ed accomodandomi nel forte abbraccio in cui mi tiene stretta a sé.
Un sottile raggio di luna fa capolino tra le tende e si posa sui di noi, giocando malizioso con l'anello che brilla sulla mia mano, strappandone un bagliore sfuggente.
“Yoshiko Matsuyama...” mormoro piano.
E sulle sue labbra si dipinge un sorriso.




Sì, lo so, gronda miele in maniera quasi indecente... XD
Sarà per il fatto che la dedico alla mia sister Saretta, che in questo periodo ne sprizza da tutti i pori?
Dedicata a te, cara, la mia prima shot su questa coppia che è la tua preferita.


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Capitolo 3
*** Viola del Pensiero ***


Viola del pensiero

Tu pensi a me…


Le smancerie non facevano per lui, non era il tipo.
Era da quella mattina presto, quand’era andato a correre immerso nelle dense nebbie padane, che si ripeteva che no, non si era fatto contagiare dall’atmosfera di San Valentino; che l’avrebbe chiamata comunque quella sera.
Si sentivano sempre di venerdì, ed era venerdì…
Non c’era molto da dire, poco più che le solite cose, ma la telefonata fu lunga, più del solito.
“Ci sentiamo settimana prossima, allora…”
“Sì…”
“Maki…”
Un secondo di silenzio lungo un secolo.
“Sì?”
“No… No nulla.”
Un sorriso dall’altra parte del Mondo.
“Ti amo anch’io, Kojiro Hyuga.”






… io penso a te

Non ci sarebbero stati pacchettini rossi per lei, niente cioccolata o fiori.
Non che le importasse, il miele non faceva per lei.
Solo quella telefonata che, sapeva, sarebbe arrivata puntuale.
Non perché fosse San Valentino, intendiamoci…
Lui non era proprio il tipo.
Era sveglia da più di un’ora e aveva continuato a rigirarsi, creando un groviglio inestricabile.
Quando s’era alzata, l’immagine allo specchio non era consolante.
“Meno male che non può vedermi…” aveva ridacchiato.
La telefonata era stata più lunga del solito.
Aveva sorriso, avvertendo quell’incertezza nella sua voce che era timidezza dissimulata.
“Ti amo anch’io, Kojiro Hyuga.”
“Lo so...”

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