Premessa : per la
lettura di questo capitolo è pressochè
indispensabile aver letto anche il precedente poichè sono
profondamente legati.
Detto questo, ci si rilegge alla fine, nelle note d'autore.
Buona
lettura!
Fandom:
Final Fantasy XIII
Pairing:
Hope/Lightning
Personaggi: , Serah Farron, Lightning
Farron, Hope Estheim
Tipologia: One Shot
( 3147 parole )
Genere: Sentimentale,
Triste, Romantico
8° Argomento: Stagioni
40. Nessuna Stagione
The Right Choice
" Remember
the way things used to be
Four seasons with your love, will stay within me "
Quando più tardi, quella sera, Snow e Serah
rientrarono a casa trovarono Lightning sdraiata sul suo letto, nella sua
stanza, completamente al buio. Sulle prime pensarono dormisse ma la mattina
seguente, quando si alzarono, lei era ancora lì nella stessa identica
posizione. Se ne stava rannicchiata su un fianco, una mano stringeva con forza
il cuscino, il viso rivolto verso il muro, immobile.
Era
strana, dannatamente strana.
Non
l’avevano mai vista in quello stato e si spaventarono.
Serah
le si avvicinò dolcemente, in silenzio le posò una mano sulla spalla. La
sorella non reagì. Le parlò piano, le chiese cosa fosse successo ma l’altra si
rifiutò di rispondere. Dopo parecchi minuti d’insistenza la più giovane delle
Farron uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
Snow
aveva in braccio la loro figlioletta di appena un anno e la guardò sinceramente
preoccupato. Lei scosse la testa e sospirò.
Non
avevano idea di cosa fosse accaduto fino a che non squillò il telefono.
Serah
afferrò il ricevitore, alle sue orecchie arrivò la voce stanca e avvilita di
Hope.
- Posso parlare con Light? -
La
ragazza rimase silenziosa per un po’, scrutando attenta la porta della stanza
della sorella come se potesse attraversarla con lo sguardo. Scosse la testa
anche se il ragazzo non poteva vederla.
- Ho paura non sia un buon momento, è da ieri
che è strana. Tu sai cosa le sia accaduto? -
Certo
non poteva immaginare che fosse proprio lui la causa di tutto. Lo sentì
sospirare preoccupato.
- Sì, è colpa mia. Serah, devo parlarle, ho
fatto un casino. -
Oltre
ad apparirgli chiaramente preoccupato le sembrò anche spaventato. Cosa poteva
mai aver fatto? Non credeva possibile che potessero litigare, Hope era sempre
così premuroso e gentile, avrebbe fatto di tutto pur di non far soffrire
Lightning, lo sapeva bene.
- Ascolta, non so cosa sia successo ma se
anche adesso te la passassi non ti ascolterebbe. Lasciale qualche giorno, va
bene? -
Il
ragazzo rimase in silenzio, Serah poteva avvertire tutta la sua ansia
attraverso il ricevitore.
- Sono sicura che si risolverà tutto, stai
tranquillo. - lo rassicurò premurosa, passò qualche altro secondo di silenzio
fatto di respiri pesanti, poi le sembrò quasi di poterlo vedere annuire poco
convinto.
- Va
bene. - le rispose mentre si passava una mano sulle tempie e chiudeva la
conversazione. Non aveva chiuso occhio quella notte e adesso era tormentato
dall’emicrania. Un senso di colpa gli gravava sul cuore. Perché non l’aveva
capito, perché si era lasciato trasportare? Doveva saperlo che lei non era
pronta, non ancora.
Forse
non lo sarebbe mai stata.
Lasciò passare tre giorni consumandosi tra il
senso di colpa, la paura di perderla e la voglia di correre da lei. Il telefono
non squillò mai, nemmeno una volta. Non sapeva più cosa pensare, non sapeva più
com’era giusto comportarsi. Serah gli aveva detto di darle tempo ma quanto
ancora avrebbe dovuto aspettare?
Forse
se si fosse precipitato da lei sarebbe stata costretta ad ascoltarlo. L’avrebbe
persino implorata se glielo avesse chiesto. Non sarebbe mai riuscito a
cancellare quello che provava, ma avrebbe provato a seppellirlo purché lei lo
perdonasse. Ma poi, perdonarlo per cosa? Per essere innamorato di lei? Dentro
di sé imprecò.
Voleva
vederla, voleva sentire la sua voce, aveva bisogno di vedere quel sorriso
appena accennato che riservava solo a lui. Lo avrebbe visto ancora? Sarebbe
stato ancora lì per lui quel sorriso?
Riaprì
gli occhi ritrovandosi a fissare il soffitto della sua stanza, ancora.
No.
Non
poteva permettere che accadesse.
Non
voleva rinunciare a vederla sorridere per una sua momentanea debolezza, per
aver ceduto al desiderio di stringerla a sé. Si alzò e si vestì in fretta. Non
l’avrebbe persa, non poteva aver faticato e aspettato tanto per rinunciare al
primo ostacolo. Lightning era una che si teneva tutto dentro, che non si
sfogava mai con gli altri, che non esternava mai il suo malessere. Era una di
quelle persone che alla fine cedeva e crollava. Doveva fare qualcosa prima che
fosse troppo tardi.
Con
questi pensieri raggiunse Nuova Bodhum quasi senza accorgersene, tormentato dal
conflitto che covava dentro. Parlarle a cuore aperto, dirle la verità oppure
tacere?
Raggiunse
la sua abitazione e bussò, era terrorizzato. Serah gli aprì, la figlia fra le
braccia, lo guardò ma non sembrava sorpresa di vederlo lì. Abbassò lo sguardo e
sospirò.
- Ti avrei chiamato questa sera. -
Perché?
Perché avrebbe dovuto essere lei a chiamarlo? Non riuscì a rispondere e rimase
immobile a fissarla mentre gli voltava le spalle e spariva all’interno
dell’abitazione. Tornò poco dopo, una busta fra le mani. Gliela porse.
- Non l’ho letta ma so che è per te. -
Il
ragazzo prese la carta, la mano gli tremava mentre estraeva un unico foglio.
Hope,
non mi dilungherò in frasi di
circostanza.
Sono stata spostata d’istanza con la
mia squadra,
devo recarmi nella parte più interna
di Pulse.
Non ho idea di quando tornerò.
Non so cosa sia successo l’altro
giorno,
ma qualsiasi cosa fosse va
dimenticata.
Prima o poi so che capirai.
Per favore, non cercarmi.
A presto.
Lightning
No.
Non
poteva capire.
Strinse
il foglio nella mano, la carta si strappò in più punti. Sentì le lacrime
pizzicargli gli occhi mentre fissava quelle parole nella speranza che
mutassero. Che scomparissero. Non poteva essere vero, aveva sicuramente capito
male. Continuava a leggere quelle parole ma non poteva fare niente per
cambiarne il significato. Perché era stata così dura?
Perché
non aveva cercato lei di capirlo?
Perché
non lo aveva aspettato?
Era
scappata. Aveva avuto paura ed era scappata.
Lei
che avrebbe affrontato il Sanctum da sola una volta, lei che lo aveva
addestrato a combattere, lei che si era buttata in battaglia mille volte.
Era scappata da lui.
- … codarda. - la parola gli sfuggì dalle
labbra.
Si
voltò senza dare alcuna spiegazione a Serah che era rimasta lì a fissarlo e se
ne andò.
Non
aveva fatto in tempo.
Non
era riuscito ad afferrarla.
Aprì il
cassetto con forza, prese alla svelta alcuni indumenti senza curarsi di quali
fossero e li gettò quasi con rabbia all’interno di una grossa borsa scura. Fece
la stessa cosa per il cassetto successivo e per quello dopo ancora. Nemmeno
l’armadio fu risparmiato.
Sentiva qualcosa pungerle gli occhi,
una rabbia incontrollata la pervase. Non poteva farsi sopraffare così, doveva
reagire e fare quel che andava fatto. Sapeva che era la decisione più giusta
eppure qualcosa dentro di lei sembrava volerle dire il contrario.
Forse si era sbagliata.
Strinse una maglietta color lavanda
come se quel gesto potesse darle conforto. A Hope piaceva quella maglietta, le
diceva sempre quanto le donasse quel colore anche se lei non era d’accordo.
Forse poteva ancora rimediare.
No, non era il momento per i
ripensamenti, oramai aveva deciso. Era per il suo bene e prima o poi l’avrebbe
capito anche lui. Lo sperava davvero.
- Vai da qualche parte? -
La donna si voltò di scatto presa in
contropiede. Avrebbe preferito non incontrare nessuno ma sua sorella aveva
deciso di tornare a casa prima dal lavoro. Serah se ne stava sulla porta della
sua stanza, immobile, negli occhi quasi un’accusa verso di lei.
Lightning si girò sospirando, non
poteva sopportare quello sguardo, e riprese ad armeggiare con i vestiti in
silenzio. Ripose nel cassetto la maglietta color lavanda, quella era meglio se
restava lì.
- Rispondimi Lightning! -
La rabbia nella voce della sorella
minore la costrinse a voltarsi nuovamente. Sospirò.
- Amodar ha deciso di spostare me e la mia unità. A quanto pare ci sono
alcuni mostri che infestano non so quale parte di Pulse e… -
- Stronzate. -
Lightning guardò la sorella
incredula, non le si era mai rivolta in quel modo, mai.
- Come scusa? -
Serah alzò le spalle. - Hai capito
benissimo. Credo siano tutte stronzate, ammetti che stai scappando. -
La maggiore scosse il capo e non
rispose tornando ad occuparsi del suo bagaglio. Non aveva affatto voglia di
discutere con lei in quel momento.
- Credi quel che ti pare, ma io devo andare. -
La ragazza la raggiunse, il tono
della voce sempre più alto - Perché? -
- Come perché? E’ il mio lavoro, sono un soldato ricordi? Vado dove mi
dicono di andare. -
L’altra sospirò scuotendo il capo. -
Cazzate, se volessi restare Amodar non te lo impedirebbe. Ma invece ti torna
comodo andare, non è vero? Così puoi scappare da tutti, puoi evitare di
affrontare i problemi. -
Il rumore sordo dell’impatto della
propria mano sul viso della sorella irruppe per tutta la stanza. In tutta la
sua vita, in anni di litigi mai, mai l’aveva colpita. Perché non era riuscita a
trattenersi?
La guancia della ragazza si arrossò,
gli occhi le si riempirono di lacrime ma non abbassò lo sguardo nemmeno per un
secondo.
- Sai Light, io non so cosa sia successo con Hope e francamente, non mi
importa. Sono affari vostri. Ma quel ragazzo si sta corrodendo a causa di
questo e credo si meriti delle spiegazioni da parte tua. Dimmi cos’ è che ti fa
così tanta paura? Dici sempre che sei sola eppure quando qualcuno cerca di
avvicinarsi tu lo cacci via. Perché? -
La donna tremò, sentiva gli occhi
inumidirsi ma non avrebbe pianto.
- Non lo so, va bene? So solo che sono io il problema. Per questo devo
andare, è la cosa più giusta che possa fare, credimi. Devo farlo soprattutto
per lui, questa cosa non va bene, non porterebbe nulla di buono. Anche se non
vorrei, non vorrei proprio ma devo, devo andare! E’ per lui… -
Serah la guardò con tenerezza.
Lightning le apparì fragile come non lo era mai stata e spaventata. Non l’aveva
mai vista così indifesa. Istintivamente si allungò ad abbracciarla e si sentì
per un momento come fosse lei la maggiore. La donna ricambiò la stretta ancora
tremante incredula per quella confessione inaspettata.
- Light, se adesso te ne vai lo rimpiangerai. Questo lo sai, non è vero?
-
Lightning sospirò appoggiandosi ad un muretto
mentre osservava il sole tramontare dietro il mare. Stava aspettando il resto
della sua squadra che ormai doveva arrivare a momenti. Avrebbero preso dei
Chocobo e sarebbero partiti per chissà dove.
Non
sapeva nemmeno tra quanto sarebbe tornata.
L’idea
che partendo avrebbe definitivamente distrutto la sua amicizia con Hope la
faceva impazzire ma continuava a ripetersi che quella era sicuramente la cosa
migliore che potesse fare, come fosse stato un mantra per la sua salute
mentale. Chissà se sarebbe mai riuscito
a perdonarla.
- Così, è questa la tua decisione. -
Si
voltò sorpresa da quella voce inaspettata. Era la seconda volta che si faceva
cogliere alle spalle in quella maniera, doveva proprio essere la sua giornata
no.
Hope
la guardava fisso ad un paio di metri di distanza, l’espressione indecifrabile
non le permetteva di capire cosa stesse pensando.
- Pensi che tornerai? -
Lei
abbassò lo sguardo, non riusciva a guardarlo direttamente negli occhi. -
Probabilmente. -
- Probabilmente. - ripeté lui lasciandosi
sfuggire un sospiro.
Dopo
un lunghissimo minuto di silenzio le si avvicinò, la lieve brezza che soffiava
dal mare agitò i suoi capelli rosati nella sua direzione portando con sé il
loro profumo. Avrebbe voluto poterli toccare per sentirne la consistenza
morbida sotto alle dita ma si trattenne. Non sapeva cosa dirle, ogni frase che
gli passava per la testa finiva in un’imprecazione o in un goffo tentativo di
trattenerla. Non voleva apparirle ancora come un ragazzino immaturo. Fu lei a
interrompere il silenzio.
- Perché sei qui? -
Aveva
cercato di mantenere la voce ferma e distaccata come sempre ma non era certa di
esserci riuscita. Gli istanti di silenzio che preannunciavano una sua risposta
le sembrarono infiniti. Voleva solo andarsene a porre fine a quella tortura.
- Potrei farti la stessa domanda. -
Lightning
ebbe un fremito. Credeva di esser stata chiara nella sua lettera, gli aveva
scritto di non cercarla eppure lui era lì. Che fosse venuto per trattenerla?
Non osava nemmeno pensarlo.
Che stupidaggine, perché dovrebbe?
Sospirò
alzando le spalle senza guardarlo direttamente negli occhi, non trovando una
risposta decente alla sua replica.
- Hope, va’ a casa. -
Il
ragazzo inclinò leggermente la testa corrucciando la fronte.
- No. Non ti libererai di me così facilmente
Light. -
Lei
arrossì un po’ ma si voltò in fretta nascondendo il viso. Perché era così
testardo? Non lo capiva che più faceva così più peggiorava la situazione?
Hope
rimase a fissarle le spalle immobile, poteva sentire il suo sguardo su di sé.
- Senti, non ho voglia di discutere anche con
te. Dammi retta e tornatene a casa. -
Ma
lui scosse la testa deciso. - No, adesso ascoltami tu. Forse vuoi delle scuse
da parte mia e sono anche pronto a fartele. Mi scuso per essere stato
avventato. Ma non ho alcuna intenzione di scusarmi per il gesto perché lo
rifarei. -
Lightning
rimase immobile, sorpresa per quella confessione che non si sarebbe mai
aspettata di ascoltare. Si sentiva infuriata eppure, da qualche parte dentro di
sé, provava uno strano miscuglio di sentimenti contrastanti. Era felicità
quella?
Scosse
la testa scacciando via quel pensiero.
- Non mi interessa, ti sei comportato come un
ragazzino. -
Doveva
essere fredda, tagliente. Era l’unico modo, l’unica soluzione che aveva
trovato.
- Non capisco… - disse lui abbassando un po’
il tono della voce. -… sei arrabbiata con me per averti quasi baciata o lo sei
con te stessa per aver quasi risposto? -
Come
faceva a leggergli così dentro? Non era riuscita nemmeno ad ammettere con sé
stessa il perché di quel suo atteggiamento e adesso lui pretendeva di capirla.
Si voltò e finalmente alzò lo sguardo ad incontrare i suoi occhi verdi.
L’azzurro dei suoi risaltava con il sole al tramonto e, nonostante lo sguardo
duro, Hope non poté fare a meno di pensare per l’ennesima volta a quanto fosse
bella.
- Vuoi sapere quello che penso? - disse lei
trattenendosi. Strinse le dita facendo sbiancare le nocche delle mani. - Penso
che sei ancora un ragazzino nonostante ti atteggi ad adulto. Penso che non sai
un bel niente di me né di quello che mi passa per la testa. Penso che dovresti
crescere e trovarti una ragazza della tua età perché, francamente, questo tuo
attaccamento nei miei confronti inizia a preoccuparmi. -
Lightning
prese fiato, sentiva le lacrime pungerle gli occhi ma le ricacciò indietro.
Avrebbe creduto a quelle bugie? Avrebbe capito che le diceva solo per
allontanarlo?
- E sai cos’altro penso? Penso che sono
affari miei quello che faccio con la mia vita e se ho deciso di andarmene non è
per causa tua, non sei il centro del mio mondo. Perciò fammi un favore, vattene
a casa e lasciami in pace Hope. -
Lo
guardò negli occhi e capì di aver ottenuto ciò che voleva, lo aveva ferito.
Ecco, adesso è tutto finito.
Dietro
di loro, in lontananza, vide gli altri membri della sua squadra arrivare in
groppa a dei Chocobo. Era il momento per lei di partire.
E
poi, senza che potesse quasi accorgersene, Hope la attirò a sé e la baciò.
Una
mano sulla vita, l’altra dietro la nuca, le dita affondate nei suoi capelli.
Era un bacio lieve ma allo stesso tempo quasi disperato, un sapore familiare si
aggiunse a quello delle sue labbra. Era il sapore amaro delle lacrime.
Lightning dischiuse le labbra rispondendo a quelle del ragazzo, non sapendo più
se era lui a piangere oppure se era lei. Provava così tanti sentimenti
contrastanti che si sentì sul punto di esplodere.
Rabbia,
felicità, tristezza, paura. Erano tutte mescolate assieme e per un istante le
sembrò che fosse tutto così stupido, così insensato.
Fu
lui il primo a rompere quel contatto, la guardò attraverso occhi velati di
lacrime e poi la strinse in un abbraccio che diceva più di qualsiasi parola che
fosse mai esistita. Lei si sentì incapace di fare qualsiasi cosa che non fosse
rimanere immobile fra quelle braccia. Ma se era così difficile separarsi da lui
perché lo stava facendo?
Perché non è giusto.
Hope
le sussurrò piano continuando a tenere il viso fra i suoi capelli. - Resta. Non andare ti prego. -
Lightning
sentì la disperazione nella sua voce, la stessa che aveva avvertito sulle sue
labbra.
Non è giusto.
Chiuse
gli occhi mentre, finalmente, si decideva a rispondere al suo abbraccio.
Lo sai che non è giusto.
Sospirò
stringendosi a lui per un secondo di più. Poi, contro la propria volontà,
sciolse l’abbraccio. Alzò gli occhi nei suoi, erano così verdi, così limpidi,
così carichi di aspettativa. Come poteva deluderlo ancora?
Ma devo farlo, è per il suo bene.
Scosse
la testa. - Non posso restare. -
Il
ragazzo non nascose la sua delusione, abbassò gli occhi rassegnato staccandosi
da lei completamente. Sentiva già mancargli quel contatto. Poi estrasse
qualcosa dalla tasca della sua giacca e gliela porse a palmo aperto. Era una
piccola scatola scura. Lightning lo guardò senza capire.
- Ricordi quando dimenticai a casa il tuo
regalo di compleanno? Bè, eccolo qua, un po’ in ritardo. Avrei voluto dartelo
prima ma più lo guardavo più mi dicevo che non ti sarebbe piaciuto, così ho
fatto passare un sacco di tempo. -
La
giovane prese la scatola non senza esitazione, il contenuto la sorprese.
All’interno, appoggiato su un tappeto di stoffa leggera, c’era un braccialetto
argentato. Dalle maglie pendevano alcuni ciondoli di forme diverse. Una
serratura, un fiore, un piccolo fulmine.
Alzò
lo sguardo verso di lui, non sapeva cosa dire.
- Puoi anche non indossarlo se non ti piace,
ma vorrei che lo portassi con te. Come ricordo di casa. -
Lei
annuì senza parlare e ripose la scatola nella borsa che portava a tracolla. Il
suo sguardo vagò oltre le spalle di Hope, soffermandosi sui suoi compagni
d'armi. Stavano aspettando solo lei. Arrossì.
- Devo andare adesso. -
Il
ragazzo annuì appena senza smettere di guardarla, i loro occhi sembravano non
volersi staccare l’uno dall’altra.
- A presto, Hope. -
Lightning
si allontanò da lui che era rimasto in silenzio, montò sul suo Chocobo e s’incamminò
dietro la sua squadra. Non si voltò nemmeno una volta ma sapeva che lui era
rimasto a guardarla fino a che non sparì dall’orizzonte. Fu allora che permise
ad una singola lacrima di scenderle lungo la guancia. Non un lamento uscì dalle
sue labbra.
Prese
la piccola scatola ed osservò ancora il braccialetto al suo interno, poi se lo
agganciò al polso. Non se ne sarebbe separata, mai.
-
Light, se adesso te ne vai lo rimpiangerai. -
Si,
forse lo avrebbe rimpianto per tutta la vita, ma era ancora convinta di star
facendo la scelta giusta. Non sarebbe tornata indietro sui suoi passi.
Sperava
solo che lui, un giorno, potesse capirla e magari perdonarla.
Lo
sperava con tutto il cuore.
Fine…
Note Autrice :
Ohibò, non so cosa dire.
La
storia era partita seguendo uno schema ben preciso ma poi, come già mi era
capitato, i personaggi hanno agito di testa loro così ho dovuto accantonare
l’idea con la quale ero partita ( anche perché avevo iniziato a scriverla ma a
2500 parole mi son resa conto che la cosa sarebbe stata troppo lunga per un
capitolo solo ). In realtà questo finale molto angst non mi dispiace ( e lo so
che voi in compenso mi odierete ) ma state tranquilli… non è finita qua!
Cioè,
è finita la prima parte u.u
Ebbene
sì, siccome non mi piace l’idea di accantonare le cose ho deciso di fare un
“sequel” chiamiamolo così… ma solo se vi interessa! ( perciò fatemelo sapere
>< )
Altrimenti
la storia finirà così e CIAONE!
Detto
questo, spero davvero con tutto il cuore che almeno un po’ vi sia piaciuta,
anche con questo finale così triste ( ragazzi, avevo i lacrimotti IO mentre
scrivevo ) e niente, da un lato spero mi chiederete di continuare, dall’altro
ho paura perché non ho idea di cosa possa succedere XD
Vi
lascio, così la smetto di assillarvi!
Ringrazio
tutti coloro che si sono soffermati a leggere, e ringrazio tanto tutte le
persone che hanno buttato via due minuti del loro tempo per scrivermi una
recensione ç_ç
Grazie
per il vostro supporto!
Selhin
<3
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