Many Prompts, Many Loves

di Lumos and Nox
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Charlotte/Hans [Chans] ***
Capitolo 2: *** Yzma/Facilier [Yzier] ***
Capitolo 3: *** Ade/Eris [Aderis] ***
Capitolo 4: *** Jafar/Malefica [Jalefica] ***
Capitolo 5: *** Medusa/Crudelia [Medelia] ***



Capitolo 1
*** Charlotte/Hans [Chans] ***


Charlotte/Hans



1. Oro
Per quanto potesse essere strano per un principe, Hans non era mai stato abituato all'indossare dell'oro. Non che la sua famiglia ne fosse priva: il tesoro reale era composto da un enorme corona in oro e rubini, per non parlare dello scettro e degli ornamenti ufficiali.
Peccato che lui non avesse mai potuto nemmeno sfiorarli. L'aveva soltanto visto di sfuggita mentre lo indossavano i suoi genitori, quell'oro... figurarsi se lo avrebbe mai portato lui.
Non avrebbe avuto nemmeno quello di Arendelle, né qualsiasi altro oro di qualsiasi altra corona dopo quelli avvenimenti...
Ma a New Orleans era diverso. C'era un altro tipo di oro ad aspettarlo, un oro ancora più brillante di quello della corona. Quello dei capelli di Charlotte.

2. Pianoforte
Hans suonava il pianoforte da anni, quasi da quando aveva memoria. Era alquanto obbligatorio nell'educazione della famiglia reale, anche se di certo non aveva mai compreso per quale patetico motivo dovesse spendere del suo tempo con uno strumento del genere, anziché cercare di farsi notare dai propri genitori come futuro erede al trono...
Osservò distrattamente i tasti del grande piano a corda che troneggiava nel salone di casa La Bouff e li sfiorò appena con le dita, improvvisando a fatica quello che doveva essere l'inizio di "Per Elouise" di Beethoven. Una nota distanziava un po' troppo da un'altra, di certo si era arrugginito, con il tempo...
«Oooooh, sei fantastico!» cinguettò Charlotte. Hans ebbe appena il tempo di rendersi conto del fatto che fosse entrata nella stanza, prima che lei balzasse su di lui, spingendolo sulla seggiola davanti al pianoforte e sedendoglisi accanto. «Insegnami! Ho sempre voluto suonarlo!»
Hans, in bilico a causa della gonna enorme della ragazza, abbozzò un sorriso un poco impacciato- sebbene dentro di sé si sentisse come... lusingato per essere tanto apprezzato. «Bè, non so se sia proprio il caso, non mi esercito seriamente da un sacco di...»
«Oh, ti prego, ti prego, ti prego!» esclamò Charlotte, prendendo poi le mani di Hans tra le sue. «Ti prego, Hans».
Il principe si perse per un attimo negli occhi azzurrissimi e traboccanti d'entusiasmo della ragazza, prima di annuire sconfitto, con un sorrisetto. «E va bene».
«Siiiiii!» strillò Charlotte, stritolandolo in un abbraccio mortale. «Oh, ho sempre adorato il pianoforte!»
Strano a dirsi, in quel momento lo stava apprezzando anche lui.

3. Brezza
La brezza del mare delle isole era molto forte quella mattina. Charlotte si stringeva nel suo cappottino fatto su misura e intanto occheggiava verso Hans, splendido anche con quei capelli rossi tutti spettinati. La ragazza sorrise, con uno sbuffo divertito e Hans si voltò verso di lei con un sorriso educato, porgendole una mano per invitarla a salire sulla barca.
Charlotte fremette d'entusiasmo e con un gridolino raggiunse il suo principe.
Proprio in quel momento, la brezza si fece ancora più forte e Charlotte rischiò di scivolare giusto nel buco tra la barca e l'acqua. Hans le afferrò una mano all'ultimo minuto, tirandola su. La ragazza, scomparso il momentaneo spavento, ne approfittò per acoccolarsi su di lui e sentì dalla sua voce che aveva un accenno di sorriso sulle labbra. «Ti prego di scusarmi, Charlotte, la brezza stamattina è un po' più forte del solito».
«Oh, non pensare nemmeno che mi dispiaccia, bel fusto!» Solo dopo quel commento, la ragazza si rese effettivamente conto di ciò che aveva detto. Si staccò bruscamente, osservando imbarazzata il viso del Principe, che però, si accorse con sollievo, aveva un bel sorriso sincero sulle labbra. «Sei sempre così... schietta, Charlotte» ridacchiò Hans, vento del mattino che, ancora una volta, gli spettinava tutti i capelli, rendendolo simile, più che ad un semplice principe, ad un principe pirata.
La risata fragorosa della ragazza si perse nella brezza.

4. Lavanda
Il profumo di Charlotte era sempre un infuso molto intenso a cui Hans non era mai riuscito a dare un nome. Solo un qualcosa riusciva vagamente a scorgere, la lavanda. Una volta ne aveva fatto recapitare un intero mazzo al suo indirizzo.
C'era qualcosa, in quei fiori, che sapeva di Charlotte.
Quando Hans aveva scoperto, nella biblioteca del palazzo, i significati della lavanda, quel suo pensiero un poco infantile e decisamente poco adatto a lui si era fatto più sensato.
Lavanda significava "diffidenza" e in un certo senso Charlotte lo era, dopo certi avvenimenti di New Orleans. Non accettava più di conoscere nessuno che non potesse dimostrare di essere effettivamente la persona di cui aveva sentito parlare- dopo il loro secondo incontro, aveva persino preteso di controllare che Hans non indossasse alcuna collanina voodoo.
Ma il secondo significato della lavanda era quello che lo aveva colpito maggiormente. Ricordava ancora i caratteri elaborati sulla pagina ingiallita: il tuo ricordo è la mia unica felicità.
Ci aveva pensato a lungo, Hans. Aveva pensato ai lunghi anni trascorsi nel palazzo reale della sua "famiglia", alla morte di sua madre a causa della sua nascita, ai tre fratelli che lo ignoravano, che fingevano che fosse un fantasma, ad una vita senza sogni, troppo piena di fratelli maggiori ed incombenze per esserlo. Aveva pensato al suo piano per conquistare Arendelle, ad Anna, così facile da plagiare, così... disgustosamente bisognosa d'affetto; aveva pensato ad Elsa, glaciale, ma non abbastanza da rinchiuderlo lì ad Arendelle, aveva pensato al suo ritorno tra gli Westergård alle Isole del Sud, con quel disprezzo negli occhi di tutti, un disprezzo nemmeno così velato, a cui perfino suo padre dava corda.
Ci aveva pensato a lungo, Hans, e alla fine di quella catena di umiliazioni e dolore e rabbia aveva sentito qualcos'altro.
Incredibilmente esisteva anche qualcos'altro.
Ed era Charlotte, un qualcosa di rosa e di capelli color più brillante dell'oro, un qualcosa di sincero ed entusiasta, di energico. E alla fine si, era giunto alla conclusione Hans, Charlotte era la lavanda.
Era diffidenza, a volte, nemmeno così spesso, ma era anche felicità, vera felicità. Unica felicità.

5. Mele
«Uh!» Charlotte staccò miracolosamente la presa dal braccio di Hans per arrancare fino ad una bancarella in apparenza qualunque alla loro sinistra. «Charlotte?» Il principe osservò perplesso la figura della ragazza che, nella sua gonna mongolfiera rosa, si intrufolava malamente tra la folla, senza quasi nessun riguardo. La raggiunse facendosi largo tra i brontolii vari dei passanti.
«Tutto bene? Che cos'hai visto di tanto entusiasmante?» si informò, un pizzico di irritazione nella voce dovuto al fatto che l'addetto della bancarella sembrasse troppo scocciato di avere un principe- quel principe- al suo cospetto e troppo, troppo interessato ad una certa mongolfiera rosa e a ciò che nascondeva la sua stoffa.
Charlotte cancellò quei pensieri, strattonandolo per la manica. «Guarda!» Gli piazzò a pochi centimetri dal naso quella che pareva una succosa mela rossa. «Non è splendida?»
Hans degnò il frutto di un altro sguardo, un poco più annoiato, prima di alzare gli le sopracciglia in direzione della ragazza. «È una mela».
«No!» Charlotte aprì le braccia come a voler abbracciare la moltitudine di frutti che li circondavano nelle casse della bancarella. «Sono un'infinità di mele!» chiarì, afferrandone altre due o tre e tirando al contempo una sonora sberla al venditore che si era sporso in avanti al momento sbagliato. «Ops, scusami, villico. Me ne daresti circa... tante?»
Il principe aggrottò le soppraciglia- che diamine stava facendo? - mentre Charlotte continuava ad accumulare mele, scaricandogliele sulle mani. «Mi raccomando, devono essere assolutamente rosse!»
«Charl-» Hans venne interrotto bruscamente da un'altra ondata di mele, che per poco non lo seppellì vivo. Al secondo tentativo, appena prima di un terzo attentato, riuscì nel suo intento. «Charlotte, aspetta» appoggiò malamente le mele che teneva e le bloccò le mani stracolme afferrandola per un polso. «Si può sapere che stai facendo? Cosa... cosa pensi di fare di tutte queste mele?»
La ragazza sorrise in modo quasi furbo. «Ho sempre adorato la storia di Biancaneve, Hans... e visto che ho trovato un principe, volevo provare a mangiare una mela e a farmi risvegliare in un letto di cristallo!»
Il venditore spalancò con poca grazia la bocca ma, massaggiandosi la guancia con ancora ben impressa la sagoma della mano della ragazza, pensò bene di tornare fischiettando ai propri affari, venerando la regola del dare sempre ragione al cliente. «Ve le incarto queste?» domandò, indicando quelle che parevano tutte le mele restanti sulla bancarella.
«Oh, si! Assolutamente!»
Hans si riprese appena in tempo. «Charlotte» mormorò cercando di soffocare un ringhio. «Credo sia meglio lasciare perdere. Insomma, sai, la mela di Biancaneve era un tantino avvelenata e non sconsiglierei un assaggio del genere. E poi, credo che comprare tutte queste mele non servirebbe a granché, giusto?»
«Avvelenata?» Charlotte afferrò il sacco che il venditore le stava offrendo con un sorriso falso come i suoi denti d'oro. «Seriamente? Non avevo considerato questa parte della storia».
«Perché non consideri di non comprare tutte queste mele?». Il tono di Hans stava cominciando a diventare decisamente meno principesco e molto, molto più urgente. Non teneva davvero a ritrovarsi sbancato, con il castello pieno di mele e... bè, con una Charlotte che provava ad avvelenarsi per puro gioco. Anche perché senza di lei...
«Oh, andiamo, Hans! È solo una piccola verifica per controllare se mi sveglio dopo il tuo bacio... in mancanza di mele avvelenate, potrei mangiare tutte queste. Dici che funzionerebbe?»
Prima che Charlotte avesse la possibilità di elencare altre pazzie, Hans la afferrò e la trascinò lontana dalla bancarella, ma, soprattutto, da tutte quelle mele.
«Mi hai fatto cadere perfino i sacchetti! Haaaaaans!»
«Ti prego» disse lui, ignorando le sue lamentele. «Ti prego, Charlotte, dimmi che non avevi sul serio intenzione di fare una pazzia del genere. Con tutta la follia che...» si interruppe bruscamente, notando come un piccolo sorrisetto malizioso aveva fatto capolino sul visetto incipriato della ragazza.
Gli strinse ridacchiando le mani dietro al collo. «Diciamo che era una prova suggerita da Tia per... vedere se avresti salvato la principessa dalle mele o da se stessa».
Hans sbattè le palpebre, una, due volte. Inarcò le sopracciglia e una smorfia stupefatta prese il sopravvento su di lui. «Non ti credevo capace di una cosa del genere». Possibile che fosse davvero così imprevedibile?
Charlotte rise fragorosa. «Sono una dalle mille risorse! E tu hai superato la prova...»
«Davvero?» Hans avvicinò il viso a quello della ragazza, tanto da sfiorarle quasi le labbra.
«Oh, si. Anche perché a me neanche piacciono tanto le mele».



N.d.A.
Salve-salvino, popolo Disney.
Ok, so di essere imperdonabile a presentarmi qui, come tempo fa, senza il capitolo di Promessi Rivali- che è ancora nella fase"lavori in corso". Il fatto è che, oltre ad essere complesso da scrivere, è anche l'ultimo capitolo e ciò significa dare il termine ad una parte della storia di Helios e Nerissa, che ormai sono quasi... una parte di me, ecco. Non mi sento ancora totalmente pronta per abbandonarli, anche se mi aspettano ancora i due sequel, rispettivamente Soffio d'Argento e Nuova Vita...
Comunque, tornando a noi, sono qui con un'altra minilong di tre capitoli con cinque prompt per ognuno dettatemi dalla mia amica lena21. Saranno probabilmente cinque capitoli, ognuno dei quali dedicato ad una differente coppia, ed ognuno dei quali contenente cinque diversi prompt. È simile in alcuni aspetti al nostro vecchio Vita di Coppia: Come sopravvivere, ecco.
Presto aggiornerò anche Il Segreto del Cielo d'Acqua!
Sperando che abbiate pazienza,
Baci e a presto,
Nox

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Capitolo 2
*** Yzma/Facilier [Yzier] ***


Yzma/Facilier



1. Neve
Facilier aveva sempre avuto un rapporto complicato con la neve, il che probabilmente derivava dal fatto che, a dire il vero, non ne era nemmeno mai stato abituato, dato che quei piccoli fiocchi bianchi non andavano poi molto d'accordo con il clima soleggiato e paludoso di New Orléans. Perciò, ehi, niente neve per questo stregone voodoo.
In quel momento, doveva ammettere che la neve, per quanto così... candida, esercitasse un certo fascino su di lui. Certo, il freddo si faceva più pungente, ma tutto si ricopriva di bianco, un bianco che quasi feriva gli occhi e che faceva sembrare ogni cosa più... semplice, ecco. Forse se ci fosse stata la neve anche a New Orléans allora...
Quando il vento si fece troppo forte, fece comparire con un gesto distratto della mano una sorta di telo fatto di ombre sulla sommità del suo bastone, così da usarlo come ombrello, mentre si perdeva ad osservare le danze di quei fiocchi che si andavano ad appoggiare sul terreno. Stava quasi per convincersi a sfiorare un fiocco, quando un mezzo grido frustato attirò la sua attenzione. Si girò di scatto- se qualche suo collega l'avesse scoperto nel mezzo di pensieri troppo... malinconici sarebbe stato un problema- e si ritrovò davanti nientemeno che Yzma, avvolta in un'improbabile pelliccia violacea. «Argh!» strillò ancora l'alchimista, inciampando sulla lunga sciarpa a pois che portava e cercando allo stesso tempo di difendersi dai fiocchi che scendevano inesorabili su di lei. «Stupida, stupida neve! Quanto la odio! La odio, la odio, la odio!» esclamò, sottolineando ogni affermazione con un particolare salto sul posto.
Facilier abbozzò un sorriso e si fece avanti mettendo ben in mostra il suo ombrello. «Serve aiuto, Yzma?»
«Ah!» L'alchimista puntò su di lui i suoi occhi sgranati, resi particolarmente arrossati da un raffreddore poco clemente. «Proprio te cercavo! Guarda te, se per colpa tua devo beccarmi tutta questa stupida neve addosso! Beati i tempi dell'Impero atzeco!»
Lo stregone rinsaldò il suo sorriso, rendendolo addirittura meno sghembo, e le porse il braccio offrendole, con discrezione, un riparo sotto l'ombrello improvvisato. Yzma accettò con nonchalance, arpionandosi al braccio e osservando male la neve, quasi le avesse fatto un grande torto. «Quello stupido di Kronk si è beccato il raffreddore ed è rinchiuso a letto» masticò con un brontolio.
«Bè, mia cara, sono solo i migliori quelli che resistono sempre» affermò, riuscendo perfino a strappare una risatina a Yzma.
Per un po' stettero entrambi in silenzio, tra i loro respiri e la neve che cadeva leggera, volteggiando. «Per quale motivo mi cercavi?» si costrinse infine a chiedere Facilier, quando si accorse che l'alchimista si era fatta fin troppo silenziosa.
Yzma si riscosse con un sobbalzo, quasi non si fosse accorta di essere ancora attaccata a lui e di non essersi più lamentata della neve. «Al... al momento non ricordo» dichiarò, infischiandosene altamente del rito che voleva chiedergli per guarire Kronk- il suo assistente le serviva, non trovava nessun altro disposto a prelevare le scaglie da un drago vivo!
«Io vorrei chiederti di passeggiare un altro po' sotto la neve» tentò Facilier con un altro sorrisetto a cui Yzma rispose con una mezza smorfia, che ben nascose quella strana sensazione che le aveva stretto lo stomaco. E dire che odiava davvero la neve.

2. Nastro
Quella mattina Facilier si era alzato senza cercare di riporre troppe speranze nel fatto che quel giorno fosse... bè, lo stesso in cui aveva acquisito tutti i suoi poteri.
Tutti i Malvagi avevano il proprio giorno e i più tentavano di nasconderlo agli altri per evitare delusioni dovute a false speranze di doni o scherzi orribili- d'altronde, pure lui aveva partecipato ad orchestrarne uno ai danni di Crudelia insieme a Ade. Perciò, si era alzato come sempre e come sempre aveva indossato i suoi consueti abiti, leggermente sollevato da non essere ancora incorso in qualche pericolo mortale o meno- Crudelia era piuttosto vendicativa, specie se sua complice era Medusa. Quando però Facilier aveva cercato di afferrare la sua tuba infilandoci dentro il suo bastone per farsela scivolare sulle spalle, aveva avvertito quello che avrebbe potuto definire un brivido scivolargli lungo la schiena. Stringendo i denti, aveva afferrato il cappello con entrambi le mani, scuotendolo come se temesse che presto ne sarebbe uscito un serpente- e l'esperienza gli comunicava che si, sarebbe potuto accadere. Invece era scivolato fuori un bigliettino.
Lo aveva preso al volo con due dita e lo aveva letto, scoprendovi un "Buon Powerday! Fatti piacere il regalo" in inglese e in quello che sembrava atzeco. Corrucciato- ed un poco arrossito-, girò la tuba e la osservò meglio, scoprendovi un particolare insolito: un nuovo nastro, lucente, era avvolto attorno al suo cappello.
Un sorriso gli arricciò la bocca quando vi ritrovò, abbozzata in un angolo del nastro, la firma di Yzma.

3. Favola
Per la maggior parte del tempo, Yzma adorava essere servita e riverita, lamentandosi di ogni cosa. Davvero, era splendido, le permetteva di essere costantemente al di sopra di tutti gli altri.
La situazione era diversa, però, quando si ritrovava interniata in un letto con una stupida febbre che causava un impacco di ghiaccio sulla fronte e un termometro infilato a forza in bocca. Si annoiava a morte, in quei momenti, e finiva inevitabilmente per picchiare in modo brutale Kronk.
Il suo umore già di per sé pessimo aveva subìto un ulteriore motivo per dimostrare il suo disappunto quando Facilier era venuto a trovarla nel suo appartamento per proporle un'alleanza contro Magò. Sapere di starsi perdendo una vera e propria continua battaglia all'interno del Castello Oscuro le dava il nervoso come poche cose a quel mondo. E così, eccola lì a sbraitare nel suo letto, con Kronk in cucina che spadellava broccoli fingendo di ascoltarla e Facilier appoggiato sullo stipite della porta, con un ghigno che le sembrava sapere tanto di commiserazione.
«E smettila di guardarmi così!» sbottò infine, incrociando le braccia sul suo pigiama rigorosamente viola.
Facilier si avvicinò mantenendo il suo sorriso storto e si sedette sulla sedia che la sua ombra gli aveva portato. «Spero tu non mi abbia frainteso, Yzma. Non ti sto guardando in modo diverso ma...»
«Oh, piantalaaaa» lo interruppe l'alchimista, rigirandosi sul letto per cercare una posizione più comoda e tirando su col naso. «Mi sto annoiando a morte. Potrei morire per la noia, venire lentamente consumata dalla noia e poi essere divorata dagli stupidi broccoli di Kronk!» sputò fuori, ignorando il suo aiutante che chiedeva dalla cucina se qualcuno lo avesse chiamato. «Sto perfino per arrivare a rimpiangere Kuzko! Kuzko! Ti rendi conto dello stato di noia in chi mi trovo?!»
Facilier si passò una mano sulla fronte, sembrando vagamente assente. E ciò non piacque per niente ad Yzma, che scattò in avanti ad afferrargli un braccio. «Ma dico! Mi stai ascoltando?»
«Certo che si! Stavo solo pensando a cosa succederebbe se questo povero idiota Kuzko incontrasse l'insopportabile Tiana...» ragionò, massaggiandosi il mento.
«Bah, farebbero solo doppiamente schifo!» esclamò Yzma rigettandosi nel letto, stavolta a pancia in su.
«A questo proposito, ci ho abbozzato su una storia» confessò lo stregone con noncuranza. L'alchimista si voltò a guardarlo di scatto, con un sonoro crack del suo collo. «Tu cosa?»
Facilier ghignò ancora e avvicinò maggiormente la sedia a lei, mentre la sua ombra portava loro quello che pareva un vecchio libro rilegato in una copertina nera, con nel bel mezzo disegnati un principe atzeco e una ragazza degli anni venti che correvano precipitosamente via, inseguiti da spade vorticanti, ombre e un gigantesco broccolo.
I due cattivi si scambiarono un'occhiata carica d'intesa e Yzma si accocolò meglio sui cuscini mentre Facilier cominciava a leggere quella che prometteva essere davvero un'ottima favola.

4. Gatto
«Ripetilo, se ne hai il coraggio!»
«Lo ripeto e lo stra ripeto, vecchia megera!»
La lite tra Yzma e Grimilde andava avanti già da un bel po' nella sala da pranzo del Castello Oscuro. Nessuno vi aveva fatto troppo caso. Ursula si stava ingozzando con poco ritegno dall'altro capo del tavolo, mentre Clayton la fissava disgustato accanto a Gothel e a Frollo. A metà sala, invece, Ade passava il tempo ad accendersi a e spegnersi le dita, fissando perplesso il cellulare che aveva da poco carbonizzato nella speranza di capire perché non si fosse acceso. Quindi, si, nessuno prestava minimamente attenzione al conflitto in corso tra l'alchimista e la regina.
Nessuno tranne Facilier, che entrò esattamente in quel momento, ritrovandosi davanti i due che sbraitavano. «La tua forma animale è patetica!» gridò Grimilde, sbattendo le sue manine perfettamente curate sulla tavola. «Chi potrebbe mai essere spaventato da uno stupido gatto?»
Vaghe risatine fioccarono qua e là nella Sala, causando uno sgradevole rossore sulle guance di Yzma, che passò al contrattacco. «Non permettermi di parlarmi così! Sei solo una vecchia dal naso a gancio!»
Altre risate. Grimilde si tastò freneticamente il naso alla ricerca di eventuali imperfezioni, e, constatato il falso allarme, arricciò la bocca. «Almeno la mia è una forma umana, che sa incutere timore. Ma non credo che tu sappia di cosa parlo, poverina gattina rosa».
Le risate degli altri- quella di Ade in primis- furono superate dall'osservazione a sorpresa di Facilier. «Ma è proprio questo il punto. Una vecchia orribile sarebbe subito riconosciuta per le sue intenzioni, mentre, bè, signore mie, nessuno sospetterebbe mai di un gatto».
Grimilde spalancò gli occhi e la bocca, cercando con poco successo di ottenere nuovamente l'appoggio degli altri, impegnati a discutere sulla corretta osservazione dello stregone. Nessuno notò troppo l'occhiata complice che Yzma e Facilier si erano scambiati. Dopotutto a nessuno, per il momento, importava troppo appurare che il gatto potesse essere l'animale preferito di un certo Signore delle Ombre.

5. Computer
«No, no, no, no! Non così!»
Troppo tardi. Il computer si schiantò a terra con un tonfo, sparpagliando ovunque pezzi di monitor e cavi.
Facilier si sbatté la mano sulla fronte. «Yzma, ti avevo detto di aspettare...» mormorò mentre la sua ombra trasformava la sua mano in una scopetta per spazzare via quello che avrebbe potuto essere l'unico modo per connettersi a quello che alcuni di loro chiamavano "Mondo delle Fanfiction".
«Non ne potevo più!» sbottò Yzma a mo' di scusa. «E poi, dai, tanto non eravamo nemmeno riusciti ad accenderlo».
«Perlomeno non gli abbiamo dato fuoco come Ade» concesse Facilier, ridacchiando insieme all'alchimista e arrendendosi al fatto che insieme erano davvero la prova che la cultura atzeca e quella di New Orléans non erano affatto pronte per oggetti avveniristici come i computer.



N.d.A.
Salve a tutti! Ricompaio qui con questo capitolo dedicato agli Yzier, dedicato alla mia affezionata MissVillains, che segue sempre le mie storie in questo fandom! Grazie mille, carissima!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che piaccia anche a lei :)
Baci e a presto,
Nox

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Capitolo 3
*** Ade/Eris [Aderis] ***


Ade/Eris



1. Vento
Solitamente, i capelli di Eris fluttuavano già di per sè, senza alcun bisogno di una qualsiasi brezza esterna. Era lei a controllare quel loro contorcersi così mellifluo, che li faceva sembrare costantemente immersi nell'acqua.
Quando però quel giorno, avevano deciso di fare una capatina fuori, nel mondo mortale, senza nemmeno un vero e proprio motivo- perché si, divertirsi a spaventare i mortali costituiva una buona facciata, ma non spiegava perché erano usciti in un boschetto frondoso e abbastanza deserto- ad accoglierli nel mondo era stato il vento. Prima sottile ed invitante, poi a folate sempre più forti.
Ade aveva alzato gli occhi al cielo, maledicendo silenziosamente e ancora una volta Zeus e il suo amichetto Eolo per lo scherzetto così simpatico- avrebbe dovuto ringraziarli degnamente, magari scaraventando Cerbero o qualche anima particolarmente noiosa sull'Olimpo, così, giusto per un piccolo errore di calcolo. Si era voltato verso Eris per annunciare il suo intento deocida, ma si era bloccato con la bocca aperta come un qualsiasi beota. I capelli di Eris volteggiavano nel vento in un modo tutto diverso dal solito. Si alzavano e si abbassavano, seguendo il vento, quell'aria che dalle parti del Tartaro non c'era. Nonostante Eris stesse imprecando nei modi peggio possibili- certi insulti doveva segnarseli, li avrebbe potuti riciclare!- mentre cercava di sistemarsi i capelli a manate ed unghiate, Ade trovava bello guardarli, lì nel vento: sporse una mano e li sfiorò con noncuranza, fingendo di essere capitato lì ad accarezzarli per caso e, soprattutto, senza emozione o imbarazzo. Sogghignò. Stupido vento.

2. Fuoco
Ade dava così spesso in scintille che Eris considerava quel suo fuoco di una banalità un poco... indispensabile.
Specialmente per certe funzioni.
«Avresti terminato, Eris?» le arrivò la voce di Ade, l'irritazione ancor maggiormente sottolineata dal fatto che la chiamasse per nome e non con ridicoli soprannomi.
La dea si concesse una risatina. «Ancora una volta, no, carino. Ma non ti preoccupare, ne avremo soltanto per altre... diciamo sette o otto ore».
I capelli di Ade si fecero per un attimo rosso fuoco, prima che il dio riuscisse a ricomporsi- non abbastanza da evitare un evidente tic all'occhio allo sguardo di Eris. Quest'ultima stavolta rise apertamente. «Ade, Ade, Ade! Sei così prevedibile, mio adorato. E poi lo sai che "dando in escandescenze" ci impiegheremmo molto meno».
«Io non intendo sottostare ai tuoi giochetti!». Resosi conto che non sarebbe riuscito a controllarsi ancora a lungo, Ade si scostò bruscamente da Eris, scivolando ben distante da lei. «Trovati qualcun'altro! Perché se non te ne sei ricordata, Mela d'Oro, sono un dio, per il tallone calloso di Achille, non il tuo dannato aiutante! Trovati un lanciafiamme!»
Terminata la sua scenata senza scatenare nemmeno la più piccola delle scintille dai suoi capelli, Ade sparì alla volta della sua sala del trono. Eris alzò gli occhi al cielo- se mai ce ne fosse stato uno nel suo palazzo lì nel Tartaro- e scosse la testa, osservando con una mezza smorfia lo specchio d'acqua che faceva la bella mostra di un reame mortale in fiamme, con uomini che correvano qua e là, agitando le braccia e cercando di salvare con secchi d'acqua il poco salvabile, in preda alla disperazione.
Si, in effetti Eris avrebbe potuto anche trovare un altro metodo per distruggere con una pioggia infuocata quegli stupidi mortali, ma usare i capelli fiammeggianti di Ade rendeva il tutto molto più divertente.

3. Bandiera
«Cosa sarebbe quella?» chiese Eris con tono vagamente disgustato, sdraiata sul trono che sarebbe spettato ad Ade, ma che era occupato da una dea della discordia profondamente annoiata.
Ade ghignò scoprendo i denti appuntiti, lieto della domanda. «Ho saputo che al caro, vecchio, Olimpo, Zeusino ha indetto un bando per avere una propria bandiera che non stoni con le graziose nuvolette e i cori angelici della sua personalissima nuvola».
Eris lanciò svogliata quella che sembrava una vecchia spina dorsale fuori dalla finestra, cercando di divertire un pochino il povero Cerbero- le ricordava tanto i suoi piccoli mostri... «E quindi?»
«E quindi anche noi dovremmo avere una bandiera, Mela d'Oro! Disegnata dall'artista migliore che ci sia!» dichiarò il dio con tanto di fiamme azzurre, sventolando l'opera sull'asta che stringeva tra le mani.
La dea della discordia stavolta lanciò uno sguardo allo stesso Ade, concentrandosi sulla bandiera: più che altro, sembrava un consunto mantello delle Parche su cui qualcuno aveva scarabocchiato un teschio che non era nemmeno così tanto minaccioso, dato che l'occhio sinistro era almeno il doppio di quello destro. Gli occhi di Eris ritornarono su di Ade. «Il tuo migliore artista è un marinaio molto ubriaco?»
Ade deformò la bocca in una smorfia contrita mentre le si avvicinava. «Non ti facevo così lenta, dolcezza. Un marinaio ubriaco, gne gne» le fece il verso dondolando a destra e a sinistra la testa e la l'asta, che poi piantò dritta dritta davanti ad Eris, notando un suo sbuffo particolarmente non interessato. «Stavo parlando di me, ovviamente!» dichiarò portandosi a pochi centimetri dal volto della dea.
Quest'ultima si ritrovò per un attimo in una posizione scomoda. Aveva sospettato che quell'obbrobrio degno della bellezza di Marina fosse opera di Ade, ma non si era preparata all'eventualità che ne fosse così... spudoratamente fiero e che cercasse in tutti i modi di ottenere qualche riconoscimento. In più, Eris non capiva se stesse o meno scherzando- nel profondo, sperava di sì, quella bandiera era davvero orrenda. Le rimaneva una sola opzione con un ampio margine di certezza. Sorrise maliziosa, passò una mano dietro al collo di Ade e, tirandosi in avanti, lo baciò. La bandiera cadde con un tintinnio sul pavimento e, mentre Ade rispondeva al bacio, Eris si assicurò che finisse fuori dalla finestra, tra le fameliche fauci del piccolo Cerbero.

4. Paragoni
«E così, questo Loki rimaneva incatenato su una roccia, mentre sua moglie Sygn cercava di allontanare il veleno che gli colava sulla faccia» terminò Eris, giocherellando con un pugnale che aveva evocato mentre se ne stava seduta al tavolo dove Ade era solito disporre le miniature dei suoi alleati.
«Uh! E poi dicono che siamo noi greci quelli tragici» commentò Ade, aggiungendo sopra il tavolo quella che sembrava la statuetta di una arpia. «Questo dei vichinghi non deve essere un passatempo piacevole... però devo ammettere, zucchero, che lo consiglierei volentieri al megafustacchione Herc e alla sua combriccola».
Eris emise una risatina in cui era palese un avvertimento. «Attento a ciò che desideri, Ade. Il fato si diverte a incastrare la gente in punizioni create per i propri nemici... e a te piacerebbe startene incatenato su una roccia?»
Il dio si mordicchiò il labbro anteriore, divertito. «Se ci fossi tu a tenermi distante il veleno dalla faccia, Mela d'Oro, potrei farci un pensierino».
La vaga preoccupazione di Eris in parte sfiorì, e la dea si portò l'indice sinistro sulla guancia, picchiettandola come in sovrappensiero. «Non credo che del veleno potrebbe peggiorare ancora di più il tuo visetto. Sei già orrendo così, Ade».
«Ma se dovessi fare il Loki della situazione» cominciò teatrale il dio, portandosi una mano al petto, «avrei bisogno di una mia Sygn, no?»
«Sei proprio certo di voler essere al cento per cento Loki, carino?»
Anche soltanto l'espressione di Eris, con quel suo brillare negli occhi gialli, avrebbe dovuto far fare marcia indietro ad Ade riguardo il suo paragone, ma prima che se ne rendesse conto, era già caduto nella trappola, arrischiandosi a chiedere un perché.
La risata della dea arrivò molto più soddisfatta del solito. «Perché in questo caso dovresti essere in dolce attesa, tra le altre cose, di un serpente, di un lupo e di un cavallo ad otto zampe». Eris comparve in uno sbuffo accanto a lui per sfiorargli la pancia. «A quando il parto, dolce Loki?»
Gli insulti di Ade si persero nel vuoto quando la dea scomparve con un altro sbuffo dalla sala del trono, portandosi via una sonora risata e i suoi paragoni.

5. Cane
«No». La voce del dio risuonò- almeno a parere del dio in questione- inflessibile nella sala, ma Eris si limitò a ridacchiare soave, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. «Oh, andiamo, Ade. Non vorrai farmi credere che non lo trovi anche tu adorabile».
«Mela d'oro, forse la situazione non ti è del tutto chiara. Lascia che sia io ad inquadrarla». Ade indicò la bestiolina che scorrazzava qua e là per la sala del trono degli inferi, abbaiando e scondinzolando e annusando qualsiasi cosa che si presentasse davanti- i piedi del dio compresi. «È un sacco di pulci, e- sorpresa!- è anche, meravigliosamente, defunto» chiarì, come se Eris non avesse notato da sola che il cane in questione non era nient'altro che uno scheletro vecchio di decenni animato da chissà quale perversa decisione del fato.
«Quindi stai dicendo che, dopo Cerbero, questo piccino sarebbe un problema?» chiese la dea, senza distogliere lo sguardo dal cagnolino, che ora stava annusando il trono di Ade per probabilmente prepararsi a marchiarlo come suo territorio. Il dio intuì il pericolo, perché si precipitò a scalciarlo via, sottolineando la sua azione con una raffica di fuoco azzurro che mancò di poco il posteriore in ossa del cagnolino. «Cerbero se ne sta abbastanza fuori da qui, zucchero. E abbiamo già Nemesi a cui badare». E qui il suo sguardo si posò sulla parete a sinistra della sala, che la bambina- ora, grazie agli dei, a giocare con i mostri di Eris- aveva impiastricciato con disegni di ogni genere. Gli operai zombie erano ancora al lavoro per ripulire e riparare- dato che una parte del muro era anche meravigliosamente crollata, quando Nemesi aveva lanciato troppo forte la palla a Cerbero.
Il cane scheletro saltò in braccio ad Eris, che lo strinse dolcemente a sé, grattandolo sotto la mascella. «E non vorresti regalare un cane così bello alla tua unica figlioletta?»
«Scherzi, Mela d'Oro? Con tutti i mostri che ha, non capisco perché un cane...» Ma non fece in tempo a finire la frase. Alla parola "cane", la porta della sala si spalancò, rivelando una bambina dalla pelle grigio scuro, gli occhi gialli e una nuvola di disordinati capelli neri. Inciampando nella lunga veste viola e nera, corse dentro, urlando e tendendo le mani verso lo scheletro del cane. E quando vide la gioia nel viso di Nemesi mentre praticamente strangolava lo scheletro, Ade si ritrovò a sospirare e ad annuire mentre incrociava lo sguardo ironico di Eris che, ancora una volta, aveva vinto.



N.d.A.
Ecco qui il terzo capitolo! Sono a più di metà dell'opera, me è felice anche se non crede di aver centrato tutti i prompts.
Commenti? I personaggi sono IC (spero tanto di si)? Il capitolo vi è piaciuto? Quale parte maggiormente? Che coppia vorreste nel prossimo? #sondaggiomodeison
Coooomunque, vi annuncio cum magno gaudio che PR potrebbe arrivare davvero fra poco, se riesco a gestire bene i tempi di queste mini scricciole vacanze.
Speriamo bene, dai. Subscribe con una recensione, se vi va, mi fanno sempre piacere!
Un grazie a tutti quelli che lo faranno, a tutti coloro che sono giunti fin qui e in particolare a MissVillains, per il sostegno che mi dà sempre e per le nostre meravigliose chiacchierate "epistolari"! Passate a trovarla, se avete tempo!
Baci e a presto,
Nox

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Capitolo 4
*** Jafar/Malefica [Jalefica] ***


Jafar/Malefica



1. Giallo
Gli occhi di Malefica erano di un inquietante giallo. Era la prima caratteristica su cui Jafar si era soffermato più del dovuto.
In effetti, si era reso conto in seguito- con tanto di una buona dose di vergognosa irritazione per aver formulato un pensiero del genere- non aveva mai prestato una particolare attenzione ai colori e a ciò che potevano portare. Aveva trascorso anni e anni a studiare ogni sfaccettatura del comportamento di quel vecchio idiota del sultano e della sua figlioletta isterica, e sottigliezze come quelle erano scomparse in un angolo remoto e impolverato della sua mente.
Ricordava che giallo, a palazzo, era stato il deserto, con la sua sabbia color dell'oro, e lo erano state le torri e le cupole di Agrabah, di un giallo più stinto, però, che a malapena poteva emulare quello accecante e ipnotico della sabbia senza fine. Erano stati gialli anche gli abiti del sultano idiota, così come quelli dello straccione che aveva... aveva rovinato ogni cosa, e il loro giallo, ricordava, era stato ancor più pallido, ancor più smorto e poco vivido, di quello delle torri e delle cupole di Agrabah. Nemmeno lontanamente paragonabile all'oro del deserto e ai raggi di puro fuoco che il sole scagliava su quella sabbia. D'altronde, quei due microscopici esseri non potevano ambire nemmeno ad essere l'ombra del giallo del deserto. Mentre gli occhi di Malefica... gli occhi di Malefica erano di un inquietante giallo. Era stato quel giallo, quella prima caratteristica su cui Jafar si era fermato più del dovuto, a far turbinare in lui, come se una tempesta di sabbia avesse invaso la sua mente, ogni singolo color giallo che aveva popolato la sua vita ad Agrabah. Il giallo smunto degli abiti di quelli idioti, il giallino delle torri e delle cupole, l'oro del deserto, tutto era ritornato grazie al giallo di quegli occhi. E tutto era così pallido, al confronto.
Perché nel giallo di quegli occhi, l'oro di ciascun granello di sabbia del deserto sarebbe apparso minuto e inutile. Era il giallo del fuoco del sole, ma più potente, più prepotente, a dire il vero.
Jafar si era concesso una smorfia che avrebbe potuto essere scambiata per un sorriso. Non c'era da sorprendersi che anche il sole tendesse a evitare lo sguardo di Malefica.

2. Riflesso
Malefica non gradiva la presenza altrui mentre pensava. Sarebbe stato più corretto sottolineare che non gradiva la presenza altrui e basta- se si escludeva di tanto in tanto quella del suo corvo Diablo, ovviamente.
Quando si era trovata costretta, per forza di cose, dalla pura necessità, ad avere nel suo castello, nella sua Sala del Trono!, quello che adorava definirsi un "consigliere", aveva dovuto ricorrere ad anni e anni di affermato autocontrollo per autoimpedirsi di dare inizio a una nuova, forse folle, guerra tra i Malvagi. Lei, la Regina indiscussa di tutti i Mali, affiancata da un consigliere? Un consigliere? Forse quel consigliere avrebbe dovuto consigliare a se stesso di non intralciare la sua strada.
Tuttavia, aveva dovuto costringersi ad ammettere, esclusivamente dentro di sé, che quella sorta di provvedimento avrebbe soltanto consolidato maggiormente il suo potere. Nulla che non potesse affrontare e vincere, come da sempre aveva fatto.
Il primo intoppo non era tardato, tuttavia, ad arrivare. Il suo... consigliere aveva l'ardire non soltanto di consigliarla, ma addirittura di non rispettare i suoi spazi. Non gli bastava mandare semplicemente il suo inutilmente variopinto pennuto- Ziago, Jago o quel che fosse- con delle lettere, no, osava presentarsi di persona nella Sala del Trono. Nella sua Sala del Trono! Un affronto del genere avrebbe potuto e dovuto essere pagato con la morte, con una lenta, dolorosa morte e conseguente schiavitù perenne dell'anima in questione.
Eppure non l'aveva fatto. «Questioni politiche e strategiche» aveva decretato una notte al vento che infuriava sulle alte e strette torri del suo castello. Questioni politiche e strategiche volte al completo controllo sugli altri Malvagi, nulla che avesse a che fare col fatto che un giorno, voltandosi verso la finestra aperta, Malefica avesse quasi confuso, nel vetro, il proprio riflesso con quello del consigliere, di Jafar di Agrabah. Copricapo simile, mantello dardeggiato sulle spalle, un messaggero volante appollaiato nelle vicinanze, uno scettro oscuro e potente stretto tra le mani, una orribile e inutile mocciosa a rovinare tutto, a pochi passi nel passato. E un'anima nera e indelebile, anche.
Si era bloccata lì, Malefica, nelle sue considerazioni e nelle sue cospirazioni, suo malgrado quasi stupita per aver trovato altrove un riflesso tale.

3. Scacchi
«Alfiere in B2» decretò Malefica, seguita dallo scivolare del suddetto elemento verso la casella designata.
Jafar piegò appena gli angoli delle labbra verso l'alto, come un serpente quando si prepara a scattare in avanti per mordere. La voce gli uscì melliflua mentre faceva avanzare di poche caselle il suo cavallo. «Scacco».
Malefica si prese il suo tempo prima di ribattere. Osservò il cavallo giunto accanto al suo re con vaga sufficienza, per poi alzare lentamente lo sguardo impassibile su Jafar, che ancora conservava quel principio di sogghigno. «Credete davvero di sconfiggermi con dei pezzi di legno, Gran Visir?»
«Scacchi, mia Signora. E ovviamente no, non mi permetterei mai anche solo di pensarlo» disse lo stregone chinando il capo, il turbante che sfiorava la scacchiera, e una mano sul petto.
«Bugiardo» replicò tranquillamente Malefica, senza dimostrare alcun movimento verso le proprie pedine, se non uno sguardo distratto.
Il ghigno di Jafar si accentuò impercettibilmente. «Si tratta di un gioco complesso, mia Signora, ma sono certo che in seguito ad un po' di pratica...»
«In seguito ad una serie di sconfitte, intendete dire» lo interruppe la Regina, il tono che si faceva più gelido. «Non io. Non a scacchi, non nella strategia, non in nessuna attività».
Quando Jafar rialzò lo sguardo, il suo sorrisetto era scomparso dalle labbra per riapparire in un vago bagliore nei suoi occhi. «Come desiderate, mia Signora» annuì accondiscente, ignorando il lampo di furore negli occhi gialli di Malefica. Il giorno dopo, il Gran Visir non si stupì di non trovare nulla dei suoi scacchi, se non qualche pedone orribilmente trasfigurato.

4. Cielo
L'azzurro del cielo era talmente raro da osservare, dalle parti del Castello Oscuro, che alcuni erano convinti si trattasse di una semplice leggenda per accompagnare le serate infinite trascorse ad affilare lame e incantesimi prima della battaglia.
In quei momenti, Jafar non disdegnava seguire l'esempio di Malefica, l'allontanarsi dai gruppi sguaiati degli altri... cosiddetti altri composti del loro esercito per poter riflettere ed elaborare piani. Erano in guerra da decenni, ormai, ed era normale che i fumi degli incantesimi e degli incendi avessero ammorbato l'aria, rendendo il cielo, nella maggior parte dei luoghi, nient'altro che una massa di nuvole grigie. Poteva rendere difficile riconoscere giorno e notte, poteva essere poco rassicurante per coloro che amavano saltellare (puah!) alla luce del cielo azzurro e del sole brillante e disarmante per le creature volanti come Jago (o anche Diablo), ma questo a Jafar non importava. Avevano una guerra da vincere, il potere da conquistare, il resto sarebbe venuto dopo.
Si era ripetuto così tanto spesso quella convinzione da arrivare quasi a crederci. Ma non aveva potuto convincersi di altro, quando, forse per sfuggire alle leggende del cielo che circolavano attorno ai fuochi (lui si era alzato su un cielo rosso di fuoco e di terrore, una volta diventato il più potente genio), o forse per discutere dei piani per le battaglie e per la guerra, lui e Malefica avevano cominciato ad avvicinarsi l'un l'altro. E più passava il tempo, più loro rimanevano immobili a fissare il cielo che non c'era, a chiedersi in silenzio se fosse fondamentale per un drago e per un genio e se fosse solo quello a portarli accanto, alla sera.

5. Libro
«Il destino di tutti è stato narrato qui» disse molto piano Malefica, facendo levitare davanti a sé, con distratto gesto della mano, lo spesso libro che avevano trafugato. Lo fece poggiare con un leggero tonfo sul tavolo di pietra nel mezzo della sala, sollevando una leggera nuvola di polvere.
Jafar si avvicinò lentamente, quasi scivolando nell'ombra, finché non si trovò di fronte all'oggetto che aveva decretato, per tutti quelli anni, ogni vittoria dei Buoni e ogni disfatta, ogni singolo fallimento, suo e di Malefica, di ciascuno di loro. Non era un libro così grande, avrebbe appena ricoperto il palmo della sua mano, eppure la potenza che irradiava si percepiva anche solo osservando il suo rivestimento in cuoio elaborato e le pagine così minute e consunte che conteneva. Tese in avanti le dita e sfiorò appena il tomo, avvertendo un piacevole e spaventoso brivido farsi strada lungo la colonna vertebrale. Tutte le storie erano racchiuse lì, pagina dopo pagina, vita dopo vita... ogni singolo momento in quel singolo libro.
Un fruscio alla sua destra provocò uno spasmo di irrequietezza sotto la volta di bramosia contenuta nel suo animo. Malefica gli si era avvicinata, a neanche un braccio di distanza, e osservava il libro con un sorriso appena accennato a distenderle le labbra; le mani della Regina di Tutti i Mali raggiunsero il libro, accarezzandone i contorti quasi con dolcezza. Le dita di Jafar e Malefica si sfiorarono e i loro sguardi all'improvviso si incrociarono, senza ombra di sorpresa. Jafar arricciò le labbra in un sorriso che, contrariamente alle sue abitudini, aveva ben poco di falso. «Ci dedichiamo alla correzione di questo libro, mia Signora? Ritengo sia zeppo di errori».
La risata di Malefica giunse lieve e inaspettata come il volo di una farfalla. «Entriamo in un mondo tutto nostro, Jafar».



N.d.A.
Salve a tutti e buona notte. Sono qui in veste di autrice di fretta e desolata: di fretta, perché ho sonno e domani devo svegliarmi presto per allestire valigie e quant'altro, desolata sia per non essere ancora riuscita a pubblicare l'ultimo capitolo di PR che tanto vi avevo promesso, sia perché ultimamente le mie storie non vengono molto badate.
Si sta sviluppando una sorta di circolo vizioso: sono nervosa e non me la sento di scrivere il capitolo, mi dedico ad altro, l'altro non soddisfa, sono nervosa e non me la sento di continuare il capitolo. Sono un disastro, poco da fare.
Comunque, a richiesta di non ricordo esattamente chi, ecco un capitolo sulla Jalefica (e annuncio già che il prossimo sarà sulla Crudelia/Medusa, per gioia di stellaskia;) ). Sarà stato il mio blocco della scrittrice, ma è uscito più angst del previsto, e senza nemmeno un accenno a Dubra o a un eventuale litigio tra Diablo e Jago... però sinceramente non mi dispiace del tutto, dai. Si verifica una particolarità importante, ovvero un accenno, nel prompt "Cielo", ad una sorta di AU a tinte cupe che stavo preparando tempo fa in contemporanea con PR ma che non so se pubblicare. In più, se vi state chiedendo come mai Jaffy è così ferrato negli scacchi, tadàn, molti ritengono che questo gioco abbia origini arabe- e ehi, Jaffy-scacchi, fa anche rima!
Bene, conclusi qui i miei dolori et deliri, vi lascio e mi ritiro tra le coperte, incrociando le dita per il futuro delle mie storie. Vi confesso che sono parecchio scoraggiata, perché alla stesura delle ultime shots pubblicate ho impiegato parecchio e investito quasi un rene... uff, via, pochi pensieri tristi! Sono sicura che prima o poi questo periodaccio di crisi finirà.
Ringrazio chiunque leggerà, duemila volte chi si fermerà a recensire! E niente, qui, per il momento, questa pazza chiude e va a nanna, che è meglio (da leggere con la voce di Quattrocchi dei Puffi, altrimenti penalità). Sto delirando peggio del Cappellaio con la deliranza, perciò vado sul serio.
Baci e a presto,
Nox

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Capitolo 5
*** Medusa/Crudelia [Medelia] ***


Medusa/Crudelia



1. Lana
Crudelia, dopo essersi rimirata da tutte le angolazioni possibili sullo specchio del negozio, alzò un angolo della bocca in una smorfia schifata, passando al contempo le unghie perfettamente smaltate sul tessuto irregolare. Scosse la testa con uno scatto. «No! No, no, no, assolutamente no!»
«Ma perché, madame?» si intromise l'inserviente del negozio, l'accento francese viscido più o meno come ogni sua caratteristica- a partire dal vistoso parrucchino, fino al neo decisamente troppo grande per essere vero sulla guancia sinistra.
«Perché è un tessuto orrendo, ecco perché!» sbottò Crudelia, cercando di sfilarsi quell'orrida giacca di dosso prima che intaccasse con i suoi germi la sua pelle abituata a ben più pregiate pellicce.
«Ma non è così, parbleu! Glielo assicuro!» strascicò fuori l'inserviente, portandosi teatrale una mano al parrucchino sudaticcio e avvicinandosi fin troppo a Crudelia. «Non è assoloutament così! È un tessuto presciatissimo arrivato niente mono che da Paris!»
Medusa, colta l'incertezza di Crudelia e la vicinanza del viscido francese come imminenti pericoli nei suoi confronti, lasciò in sospeso la collana che stava tentando di trafugare dall'altra parte del negozio e giunse a grandi passi in difesa della compagna, precisamente attaccando il povero inserviente. «Senti, bello» cominciò, inchiodandogli l'indice appuntito sul petto per far valere la sua posizione privilegiata di cliente. Ad un tratto, prima che potesse strapazzare per bene il poveretto, la sua attenzione venne catturata dalla giacca che Crudelia, un ghigno perfido dipinto sul rossetto, si era appena sfilata. Lasciò la presa sul poveretto, che rivelò ben poco della proverbiale eleganza francese stramazzando a terra come un sacco di patate, e si diresse a passi pesanti verso la giacca abbandonata sulla sedia lì vicino. Afferrò il capo e analizzò attentamente il tessuto, facendolo scorrere tra le sue dita, mentre l'inserviente, rialzatosi con sdegno, si lamentava e cercava di convincere Crudelia. «Est inammissible! Le assicuro, madame, che quel capo vale tanto quonto est presciato!»
«Aha!» Medusa alzò la testa di scatto dalla giacca, un ghigno addirittura peggiore di quello che Crudelia aveva indossato prima. «Non vale un fico secco, invece! Questa roba ce l'avevo nel mio... negozio fino a poco tempo fa». Lanciò l'abito ai piedi dell'inserviente, che con un gemito si affrettò a raccoglierlo. «È semplice lana» continuò Medusa con malcelata soddisfazione, calpestando con il tacco un nastro della giacca che arrivava fino ai suoi piedi.
Crudelia strabuzzò gli occhi in un'occhiataccia che avrebbe incenerito anche il più ardito dei dalmata. Ecco perché quella giacca la infastidiva tanto! Di tutti i tessuti con cui adorava sentire il suo corpo avvolto, la lana era quello peggiore in assoluto- faceva fatica a riconoscerla, la detestava e sarebbe giunta a dare fuoco al proprio guardaroba, se mai avesse scoperto qualcosa di lana al suo interno. Raggiunse Medusa, non senza aver prima calpestato tutta la giacca e la mano del francese dolorante. Le due si scambiarono un'occhiata complice, per poi scoppiare a ridere insieme e uscire insieme dalla boutique, lasciando l'inserviente a piangere sulla sua lana scadente.

2. Calore
Dopo essere stata immersa tre giorni in quella dannata palude cercando di salvarsi dalla morte, il calore era qualcosa di cui Medusa era certa non potersi più vantare di possedere nella sua vita.
Se li ricordava perfettamente quei giorni, nonostante avesse cercato in più modi di confondere e di cancellare quelle immagini. Era rimasta in bilico, aggrappata a un palo marcio tra gli spruzzi e la pioggia, per due giorni, finché i suoi coccodrilli non avevano ceduto e si erano ritirati nel fondo della palude a divorare qualcos'altro. Medusa si era lasciata scivolare giù, inerme, talmente fradicia da non capire nemmeno più se ci fosse qualcosa di asciutto nel suo corpo: il vestito si era tinto di un rosso più cupo, sia per l'acqua, sia per il sangue, dove il legno del palo aveva scavato, e i suoi capelli si erano impiastricciati di fango e di alghe, i suoi capelli rossi, rossi, rossi, che le ricordavano il calore, un tempo...
Il freddo le era entrato nelle ossa con tale prepotenza che aveva dovuto aspettare fin troppo tempo per riuscire a muovere correttamente le dita, avanti e indietro, e per mesi e mesi, nonostante avesse coperte su coperte addosso e il fuoco ardente accanto, quello che avvertiva era un vago... altro, sul freddo della pelle, che, da quei giorni della palude, sentiva molle e fredda. Poi però era arrivato il giorno dell'incontro, di quando quella lady inglese impellicciata e con un'improbabile acconciatura era entrata nel suo finto bar chiedendo una pelliccia contraffatta. C'era stato un istante, quando le loro essenze si erano sfiorate nella consueta moda del saluto tramite stretta di mano, in cui Medusa aveva avvertito un pizzicorio caldo scivolare dalla punta delle dita lungo la sua schiena. Coincidenza, si era detta, emozione per star concludendo un affare. Solo dopo altri mesi, quando ormai Crudelia era diventata una presenza fissa nel negozio come nella sua vita, si era resa conto della verità: aveva ritrovato il calore.

3. Letto
«Questo è più comodo» dichiarò Medusa, lasciandosi scivolare, dopo averlo tastato attentamente, sull'ennesimo imponente letto. Quel modello, oltre all'elaborato cornicione in legno appena appena rovinato dalle tarme, vantava di eleganti coperte rosse trapuntate, che avevano dato in un sonoro sbuffo di polvere quando Medusa ci si era seduta sopra.
Crudelia lanciò al letto un'occhiata critica, senza nemmeno sfiorarlo. «È male imbottito, tesoro. Non riesci proprio a vederlo da sola?»
Il viso di Medusa si deformò in una smorfia irritata, che le fece sbavare il pesante trucco degli occhi sulla guancia sinistra. Era da due interi giorni che le loro forze si concentravano sull'esplorazione di Hell Hall, una delle poche ville di famiglia rimaste in possesso all'ultima dei De Mon. Avevano costretto ai lavori di ristrutturazione anche Gaspare, Orazio e Snoots, ma quando il primo idiota si era incastrato una mano in una sinistra zuppiera d'argento (ed era arrivato anche a sostenere che fosse stato quella stoviglia a morderlo!) si erano ritrovate sotto organico per quanto riguardava la bassa manovalanza, tanto che erano riuscite a stento a convincere gli altri due sottoposti, a suon di urla e minacce alternate a proposte suadenti e promesse. Così, ora avevano rinchiuso Orazio e Snoots a disinfestare i sotterranei della villa, mentre loro si occupavano delle mobilia dei piani superiori. Avevano già trovato come minimo undici camere, ognuna con le sue caratteristiche e ognuna, soprattutto, con undici diversi letti a due o più piazze, con lenzuola e coperte e tastiere in diverso grado di conservazione. Medusa ormai poteva considerarsi un'esperta nel campo immobiliare- se già non lo era stata prima. Hell Hall era affascinante, una villa simile a una faccia arrabbiata che straripava di tesori. Eppure, nonostante tutte quelle ricchezze, il grado di nervosismo di Crudelia aumentava insieme al tempo che trascorrevano nella villa. Non era stata necessaria la conferma di Gaspare e Orazio per capire che odiava quella villa come tutto il suo contenuto, dalle statue ai gioielli per arrivare ai letti. Medusa si grattò gli sfibrati capelli rossi, ancora spaparanzata sul letto, osservando intanto l'altra. Crudelia, allontanatasi dal letto, spalancò con rabbia l'armadio in fondo alla sala, ritrovandosi osservata da una quantità ingente di occhi vacui- Medusa ci mise un sobbalzo a capire che si trattavano di teste mozzate, vecchi cimeli di caccia. Crudelia non sembrò condividere la sua meraviglia, e si limitò a calciare via un intero scoiattolo impagliato che era scivolato davanti ai suoi piedi.
Era furiosa. O forse pensierosa. Anzi, stressata. Il non sapere dare una dannata definizione esatta irritava parecchio Medusa, ma di sicuro Crudelia vedeva quella ristrutturazione come una lotta contro il passato- una cosa che doveva essere patetica, eppure... Rotolò nell'altro lato del letto, mantenendo fisso lo sguardo sulla schiena di Crudelia. Poi si passò la lingua sulle labbra secche, indugiando giusto un attimo prima di passare a quella che sarebbe stata una lunga battaglia. «Crudelia. Vieni qui».
Quando Crudelia si voltò a squadrarla, Medusa percepì su di sé, in quello sguardo vacuo, l'educazione di stampo nobiliare dei De Mon, avvertendo per un attimo l'impulso di sentirsi inappropriata. Crudelia fece un passo in avanti, il tacco che colpiva con asprezza il lurido pavimento in pietra; poi, all'improvviso, sembrò riacquisire la vera se stessa e si gettò sul letto accanto a lei. Per le ore successive, notò Medusa, non ebbe nulla da ridire su quello stupido letto.

4. Piume
«Perché il salotto è pieno di piume, Crudelia?» strepitò Medusa con la sua solita grazia, facendo vorticare la borsetta come se fosse stata un lazo per poi sbatterla sonoramente sulla scrivania del suo studio.
La diretta interessata le riservò uno sguardo pericolosamente allegro da sopra un vaporoso tessuto viola. «Dubito che vorrai saperlo, tesoro». Il sorriso della donna era affabile come quello di uno squalo, con tanto di denti ben in vista.
Medusa non si fece intimidire e incrociò battagliera le braccia al petto, inclinando di lato la testa, scatenando così il tintinnare acuto dei suoi orecchini. «Hai cercato di spellare un pollo vivo? Di nuovo?»
Crudelia gettò la testa all'indietro, ridendo e irritando ancor di più l'altra, che assotigliò con rabbia gli occhi. «Dimmi subito che stai combinando!»
«No».
Un urlo frustato e un agitare convulsivo delle braccia precedettero l'uscita di Medusa dalla stanza. Crudelia sogghignò, tornando a decorare il cappello con tutte quelle piume. Il compleanno di Medusa sarebbe arrivato presto e lei avrebbe confezionato un bel regalo, e di certo nom per far piacere all'altra ma soltanto per dimostrare di essere abile, di buon gusto ed elegante- una vera lady, insomma. Appuntò l'ennesima piuma con uno svolazzo dell'ago (le lezioni di ricamo della sua infanzia avevano finalmente raggiunto un'utilità), mentre in sottofondo le arrivavano alle orecchie i brontolii di Medusa, probabilmente intenta a coccolare il suo coccodrillo. Avrebbe amato quel cappello, ne era certa come lo era del fatto che anche Medusa si sarebbe innamorata di quelle piume variopinte- e il fatto che fossero state trafugate a un museo naturalistico era soltanto una piccola formalità.

5. Pastelli
Medusa scaricò mollemente tutto il poco peso del suo corpo sul bracciolo del divano, per poi scoccare un'occhiata alla fonte delle risate in mezzo al salotto. «Non è il modo giusto di usarli».
Crudelia emerse dal whisky che aveva preparato in una tazza da tè con uno schiocco della lingua. «È sempre stata... creativa».
«Distruttiva» la corresse l'altra con un sorriso sghembo.
«Tutto di guadagnato. E ha anche una buona mira» sottolineò Crudelia, alzando le sopracciglia in un velato accenno alle capacità con il fucile di Medusa, che la ignorò con una smorfia, tornando a fissare Rubinia.
Davanti a loro, la bambina si stava divertendo con il regalo ricevuto quella mattina, una grossa scatola di pastelli svuotata al suo fianco. Rubinia ne afferrava uno o due alla volta, prendeva la mira, un occhio chiuso e la lingua fuori per la concentrazione, e poi lanciava. Tutti i pastelli erano andati a inchiodarsi, con successo, nei quadri e nei trofei da caccia e, a ogni colpo andato a segno, la bambina dava in un gridolino, pestando con forza un piede a terra e scuotendo i codini- uno rosso e uno bianco. Proprio in quell'esatto istante, Rubinia, concentrata al massimo, lanciò un pastello azzurro, che sfiorò di poco Bruto, seduto poco distante, andando poi a conficcarsi nell'occhio di un grosso cane raffigurato in un quadro. La bambina gridò la sua approvazione, mentre Bruto si copriva esausto le orecchie con la coda.
Crudelia e Medusa si scambiarono un ghigno. A dispetto della loro reale funzione, erano entrambe assolutamente soddisfatte di quei pastelli- gentile regalo di Anita Radcliffe. Avrebbero dovuto comprarne ancora, se aiutavano così tanto Rubinia a non fracassare nulla di troppo importante.



N.d.A.
Salve a todos! Siamo giunti all'ultimo capitolo di questa raccolta *stappa lo spumante*
È stata una bella avventura, una cosa piacevole da scrivere. Sono felice di aver trovato un buon riscontro e ringrazio tutti coloro che hanno recensito, come chi ha messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite. Questo capitolo in particolare è dedicato a stellaskia stellaskia, che spero di non aver deluso visto il suo desiderio per un capitolo sulla coppia Medelia (o forse Crudusa, voi che dite?). E allo stesso tempo un altro grazie particolare va anche a MissVillains, che ormai considero la mia penfriend per eccellenza!
Vi annuncio inoltre che, da questa settimana, mi dedicherò quasi esclusivamente alla stesura di fanfiction varie: ho in lavorazione ben dieci storie, tra le quali l'ultimo capitolo di Promessi Rivali, una shot su Basil l'Investigatopo, una su Jafar, un'altra su un personaggio Disney che preferisco non rivelare ancora (sarà un esperimento piuttosto interessante e preferisco non spoilerizzare niente), una shot su James Hook e Zarina e inoltre un'altra su Tigre di Kung fu Panda. Uff, spero di riuscire a pubblicare ogni cosa: l'ispirazione mi è finalmente tornata, forse grazie ai vari viaggi, e in più ci sono storie, dentro questo computer, che aspettano da fin troppo tempo una pubblicazione. *le storie la guardano male e lei deglutisce*
Cooomunque, passando a questo capitolo, abbiamo sia uno sviluppo del passato di Crudelia (personaggio su cui sto abbozzando una storia per il ciclo Senza un Lieto Fine ), sia un accenno alla piccola Rubinia (trovata anche qui), o meglio, a Marmoiselle Rubinia De Mon, una dei protagonisti di un'altra mia serie che forse, prima o poi, vedrà la luce- tanto per capirci, si tratta della stessa serie che ho accennato con il prompt "Cielo" per la coppia Jalefica...
E qui chiudo. Ci sentiamo presto! Come sempre, fatemi sapere, se avete voglia, cosa pensate di questi prompts e di questa coppia. Ringrazio ancora una volta tutti quelli che sono giunti fin qui! Senza di voi, mi sarebbe difficile continuare a pubblicare!
Quindi, baci e a presto,
Nox

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