The lone survivor

di Scarlett_Brooks_39
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


The Lone Survivor

 

Capitolo 1

 

Dicono che quando la morte ci sfiora, la vita ci passi davanti in un attimo.

Per me non è stato così. Beh, forse perché non sono veramente morta.

Riuscivo a pensare solo all'acqua gelida che mi penetrava nelle ossa ed alla disabilità che avevo nel muovermi in acqua. Sentivo urla non tanto lontane, urla che conoscevo molto bene.

Urla disperate, che imploravano aiuto.

Aiuto.

E poi il nulla.

Quelle grida venivano ovattate dal suono dell'acqua e poi venivano strozzate dalle fauci dell'assassino.

Un'onda mi travolse, il sapore salato dell'oceano mi pervase in bocca, e cercai di sputare. L'enorme massa d'acqua mi gettò contro uno scoglio, il contatto fu doloroso, la mia testa colpì contro una roccia. L'urto mi provocò un enorme dolore al fianco sinistro, riuscivo a malapena a voltare il busto per riuscire ad aggrapparmi allo scoglio. Salii sopra di esso, facendo attenzione a non farmi ributtare in acqua dalle onde. Fortunatamente, lo scoglio era abbastanza grande da potermici sdraiare sopra.

Esausta.

Dolorante e mezza morta.

E poi eccola lì, la mia più grande paura, che non mostrava i suoi occhi nemmeno quando mi stava portando via tutto ciò che avevo di più caro al mondo.

Dovevo fare qualcosa, dovevo cercare di salvarle.

Ma ormai non c'era più niente da fare.

Non c'erano più grida, non c'era più rumore, né movimento.

C'ero solo io, che guardavo andar via quella bestia famelica, che lasciava dietro di sé una scia di sangue.

Ero pronta ad affrontarlo. Ero pronta a morire. Il mio momento era arrivato. Game over.

Con un solo salto, poteva staccarmi le gambe ed a quel punto, poteva divorarmi con calma. Tutto ciò che riuscii a vedere fu la ferita che aveva sulla pinna caudale, una ferita fresca, dalla quale sgorgava ancora sangue. Mi sarei portata nella tomba almeno un ricordo del mio assassino.

Non volevo provare dolore, non avrei resistito.

Così decisi di abbandonarmi, quasi di addormentarmi, tra poco non sarebbe rimasto niente di me.

Chiusi gli occhi, lentamente.

Lasciai che il rumore del mare mi cullasse, come fa un anestetizzante prima di una dolorosa operazione.

 

 

Quando aprii gli occhi vidi una grande luce bianca e mi stupii che l'aldilà fosse come tutti l'avevano sempre descritto.

Tutto era freddo, statico, surreale. Ma, non appena voltai gli occhi, mi accorsi di non essere passata a miglior vita, bensì di essere ancora viva, in un letto d'ospedale.

Inizialmente non riuscii a ricordarmi tutto ciò che era successo, ma dopo qualche secondo il peso dei ricordi mi travolse come un camion in piena notte.

Il sangue, le urla, lui.

Il mio respiro aumentò e così fecero anche i bip registrati dalla macchina collegata al mio cuore. Mi ricordai di ogni cosa, e mi venne voglia di morire.

“Tesoro, ti sei svegliata!”- mia madre apparse da dietro la porta a vetri, con l'espressione sollevata in volto. Ero così felice di vederla.

“Mamma, mamma loro come stanno? Posso vederle?”

“Amanda, non ricordi niente?”

“C-cosa dovrei ricordare?! Dove sono?”

“Loro non ci sono più”- quelle parole mi colpirono dritte al cuore.

Loro non ci sono più.

Loro non ci sono più.

 

I giorni a seguire furono terribili. I loro genitori mi ritenevano responsabile delle loro morti e di conseguenza non mi era stato permesso andare ai funerali.

Il mio corpo si stava lentamente riprendendo, anche se io facevo di tutto per non farlo accadere. Perché quella bestia non mi aveva ucciso? Perché risparmiare proprio me? Non meritavo di vivere, non lo meritavo affatto.

Era questa la mia punizione? Sopravvivere ed essere accusata di tutto?

Piangere la morte delle persone a me più care basandomi sugli ultimi ricordi che avevo di loro?

Qualcuno mi aveva detto di considerarmi fortunata, perché ero l'unica sopravvissuta.

Potevo ritenermi tale?

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


The Lone Survivor



Capitolo 2
 

“Sarà una vacanza indimenticabile!” - urlò April prima ancora di salire in macchina. Era l'ultima delle quattro, adesso potevamo partire per San Francisco, ci attendeva una settimana di solo divertimento e, soprattutto, surf. Abitavamo a Portland, una cittadella nello stato della California, non avevamo molte occasioni per surfare, ma ogni anno organizzavamo una vacanza solo per noi e per il nostro amore verso il mare. Decappottabile, bikini, occhiali da sole e molti mojito erano i nostri unici accompagnatori. Niente fidanzati, niente drammi o problemi. Solo noi.

“Half Moon Bay, stiamo arrivando!”- gridò Jess, seguita in coro dalle altre. La nostra amicizia durava ormai dall'infanzia, ci eravamo conosciute poiché i nostri genitori erano migliori amici e noi non avremmo interrotto la tradizione. Il nostro amore per il mare sbocciò nella tenera età, quando ci portarono in vacanza sulla costa californiana. A dire il vero, il rapporto col mondo marino iniziò in maniera fin troppo violenta per una bambina di cinque anni. Fui la testimone di un'atroce spettacolo: uno squalo tigre di tre metri che divorava un surfista. In ogni modo i miei hanno cercato di allontanarmi da questo sport, ma io non ho mai voluto dar loro retta. Io amo il mare, amo il contatto con l'acqua, la sensazione che provo quando l'onda vuole abbattersi su di me e la soddisfazione nel cavalcarla, nel mostrarmi in un certo senso più potente dell'oceano.

Il nostro Hotel era meraviglioso, ma decidemmo di andare subito in spiaggia. Tavola da surf, bikini ed attrezzatura, niente altro. Corremmo fino alla spiaggia più vicina, ci sfilammo i vestiti di dosso appoggiandoli sotto l'ombrellone e ci tuffammo in acqua. Era gelida, ma la sensazione fu strabiliante. Cavalcammo le onde senza mai stancarci, ne eravamo le regine.

Ma ben presto un altro sovrano notò la nostra presenza, e fece la sua comparsa per metterci in guardia ed affermare il suo dominio sul mare: lo squalo bianco. Un giovane squalo di tre metri fece spuntare la sua pinna caudale dall'acqua, tagliando le onde. Eccola lì, la mia più grande paura. Jemma cadde dalla tavola da surf, mentre cercava di domare un'onda troppo grande. Io, April e Jess abbandonammo la tavola e nuotammo fino allo scoglio più vicino.

“Adele, non possiamo lasciarla lì! Morirà!”

“Dobbiamo fare qualcosa!”

“Basta, io mi butto”- April si gettò in acqua, vedendo che lo squalo si stava dirigendo verso Jemma. Voleva fare da esca, in modo da distrarre la sua attenzione. Ma a quel mostro non interessava, aveva puntato la sua preda e non era interessato a cambiare idea. Jemma era convinta di riuscire a tornare a riva, ma non aveva fatto bene i calcoli: lui infatti arrivò da dietro e noi vedemmo solo la sua figura scomparire nel blu cristallino che ben presto si tinse di rosso. Io e Jess rimanemmo abbracciate, come a sostenerci a vicenda, sullo scoglio che ci garantiva un rifugio abbastanza sicuro.

Gridavamo ad April di tornare da noi, di mettersi in salvo e fu ciò che cercò di fare, ma lui era troppo veloce e lei troppo lontana dallo scoglio.

Cercammo di salvarla, tendendole le mani per tirarla su, ma fu tutto inutile: lo squalo le azzannò un piede, trascinandola in acqua, di nuovo.

Inspiegabilmente, April non lasciò la mano di Jess e la portò con sé, verso una morte certa.

Non potevo perdere anche lei.

La mia mente vacillava in uno stato di totale shock, non riuscivo a ricordare niente che potesse essermi utile.

Il panico s'impossessò di me, non ero capace di pensare.

Improvvisamente, un barlume di lucidità, dovuta all'adrenalina, non so, si fece spazio nel caos della mia mente.

Ricordai un libro dalla copertina blu, in pelle. Un libro sul mare e su i suoi abitanti. Mia madre mi aveva trascinata in biblioteca per una questione di lavoro ed io mi ero messa a curiosare. Ricordai di aver letto che gli squali sono creature fameliche, ma molto sensibili. Gli occhi ed il muso sono le parti che, se colpite, possono destabilizzare l'animale.

Scattai in piedi, sciogliendo l'abbraccio: presi un sasso abbastanza massiccio e lo scagliai contro di lui, che emise un lamento terrificante, ma che allo stesso tempo mollò la presa e si allontanò, scomparendo. Spronai Jess a salire sullo scoglio, al riparo, ma non voleva darmi ascolto. Diceva che non ne era in grado, che le sue gambe non ce la facevano, che aveva bisogno di qualche minuto. Diceva di stare tranquilla, perché ormai se n'era andato, che il mio colpo lo aveva messo KO. Ma come potevo stare tranquilla? Lei era ancora in acqua, ancora nel suo territorio ed ancora in pericolo. Un predatore come quello difficilmente abbandona una caccia, specie se sente ancora l'odore del sangue. E di sangue, su Jess, ce n'era troppo.

“Dai, adesso cerca di fare un ultimo sforzo e tutto andrà bene. Prendi la mia mano, fra poco sarà tutto finito.”- la vidi guardare verso il basso e poi subito verso di me. Aveva il terrore negli occhi, quello che ha chi ha visto la morte in faccia. Lasciò la mia mano, malgrado io le gridassi di riafferrarla, perché dovevo metterla in salvo e si allontanò dallo scoglio. Cosa stava cercando di fare?! Iniziò a scuotere la testa velocemente e grosse lacrime rigarono la sua pelle color cioccolato.

“JESS! Prendi la mia mano!”

Fu tutto inutile. In una manciata di secondi quel mostro riapparve, stavolta dal basso, tendendo un agguato.

Con un salto, una forza ed una velocità assurde, venne fuori dall'acqua ed azzannò Jess, trascinandola poi in profondità per finire ciò che aveva iniziato.

Il mio grido squarciò il mare.
In preda al panico ed allo shock, ancora non riuscivo a rendermi conto di quel che era successo. Un'onda mi venne addosso, facendomi cadere in acqua. Ecco, adesso è il mio turno. Non mi sarebbe importato essere il dessert del magnifico pranzo di quel mostro, ormai ero solo carne da macello, nient'altro. L'anima mi era stata estirpata nel momento in cui quell'animale mi aveva portato via le parti migliori di me. Mi aggrappai ad uno scoglio, abbracciandolo. Lasciai che l'oceano di cullasse, prima di ricevere il colpo finale.
In fondo avrei raggiunto le mie amiche, senza le quali non avrei potuto vivere.

Non era poi una così cattiva idea.

Peccato non essere morta.

Ma essere la sopravvissuta.

 

 

E adesso, che ero inerme davanti alle loro tombe, avevo voglia di urlare, di piangere e di provare una rabbia incontrastata per il mare, perché avevo suggerito io di andare ad Half Moon Bay, era stata solo colpa mia. Il mio amore mi aveva portato a perdere le mie migliori amiche.

Ero decisa ad abbandonare per sempre il surf, la mia tavola ed il mare.

In quel momento, davanti alle loro tombe, chiesi scusa e piansi, piansi tanto. Io ero la sopravvissuta, dovevo andarne fiera.

Allora perché il senso di colpa mi opprimeva a tal punto da non lasciarmi respirare?

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


The Lone Survivor

Capitolo 3

 

Cinque anni dopo

 

Half Moon Bay si trova al centro del triangolo rosso, così denominato perché ospita una grande quantità di leoni marini e foche, che hanno spinto numerosi squali bianchi ad aggirarsi in quelle acque in cerca di cibo. Alcune volte, capita che essi scambino dei surfisti per i loro piatti preferiti, in quanto si somiglino nella forma.

Beh, sono pronta a diminuire le statistiche, uccidendo uno di loro.

Non ho giurato guerra a tutta la loro specie, dopo ciò che è successo qui, cinque anni fa, ma solo ad uno.

Dopo essermi ripresa, solo fisicamente intendo, iniziai ad informarmi su tutto ciò che riguardava questo posto, come le correnti, i suoi abitanti e le sue insenature. Imparai ogni cosa che c'è da sapere sugli squali, lessi ogni saggio pubblicato sia da grandi biologi, che da semplici appassionati.

Per battere il tuo nemico, devi conoscerlo.

Per farlo come volevo io, devi conoscerlo molto.

 

 

Il mio piano era semplice: attirarlo verso una zona riparata, non in mare aperto, colpirlo ed ucciderlo. Per farlo, dovevo prima di tutto dirigermi in una zona piuttosto riparata, dove saremmo stati solo io e lui. Scelsi una piccola laguna, non molto distante dalla zona del massacro, avvolta nel verde.

Davvero un magnifico posto per la mia vendetta.

Avevo con me un'attrezzatura specifica: fiocine, coltelli, arpioni, un cannocchiale ed anche una tenda, se le cose fossero andate per le lunghe. Mi accampai e poi iniziai a mettere in atto il mio scrupoloso piano.

Mi provocai un taglio sul polso, centrando la vena dalla quale sarebbe sgorgato più sangue e poi la immersi nell'acqua salata dell'oceano. Secondo molti studi, gli squali hanno un senso specifico che riesce a far percepire loro il sangue, anche se diluito in decine di litri d'acqua. Non era detto che sarebbe arrivato subito, ma io avevo tutto il tempo del mondo e l'avrei atteso fino al mio ultimo respiro. Dopo qualche ora il radar trasmettitore segnalò la presenza di uno squalo, indicandolo con un pallino rosso.

Sapevo che pesce dovevo prendere: quello con la cicatrice sulla pinna caudale, che ero stata felice di regalargli cinque anni fa.

Presi il cannocchiale per controllare, ma purtroppo non era lui.

Aspettai ancora, fin quando non passarono cinque, sei, sette ore ed il radar segnalò ben dieci pallini rossi. Mi ero portata anche una sacca di sangue del mio stesso gruppo, in caso le cose fossero andate diversamente da come le immaginavo. Ogni tanto diluivo un po' di sangue, per ribadire il concetto, insomma, e per attirarlo più velocemente.

L'attesa si stava facendo pesante.

Forse la mia si chiamava ossessione, ma sentivo dentro di me che una volta ucciso quel mostro, mi sarei sentita in pace con me stessa.

Venne la sera e poi la notte, così decisi di accamparmi e dormire un po', per mantenermi in forze. Un combattimento notturno non era sconsigliato, quel bastardo avrebbe potuto sorprendermi sfruttando la sua vista eccezionale e non ero lì per fare la fine della poveretta nel film omonimo 'Lo Squalo' di Steven Spielberg.

Ero qui perché avevo voglia di ucciderlo.

 

La mattina seguente fui svegliata dal radar che segnalava un'altra presenza. Presi il cannocchiale per controllare, anche se ormai non ci speravo più.

Invece, con mia grande gioia, era proprio lui.

La sua cicatrice ne dava la prova, era il momento di agire.

Saltai in piedi, mi agganciai la tuta extra flessibile e resistente, fatta per le escursioni in mare aperto e presi l' arbalete, o anche detto fucile subacqueo, capace di poter sparare un colpo fino a sette metri di distanza, silenziosamente ma non indolore. Utilizzando il mirino, scoccai la freccia e lo colpii.

Il suo lamento mi portò indietro a cinque anni fa, quando lo colpii sugli occhi, fece finta di sparire e poi attaccò a sorpresa Jess.

Canaglia!

La laguna offriva tanti punti d'attacco e quindi mi diressi verso un piccolo promontorio che mi permetteva di trovarmi proprio davanti a lui.

“Io ti ucciderò!”- gridai più a me stessa che a lui, per ricordarmi il mio obiettivo. Per metà agonizzante, mi suscitò un po' di pena, ma fu solo un attimo, perché non potevo perdonare ciò che aveva fatto, ciò che aveva distrutto.

Non potevo, non ci riuscivo.

L'attimo dopo ero su di lui, con un balzo, colpendolo alle branchie con un arpione a cinque punte da mano, che mi faceva vagamente somigliare a Wolwerine. Il bestione emise un rantolo di dolore.

“Ti faccio male, eh? Pensa a quanto ne hai fatto tu a me, mostro! Direi che è l'ora di finirla qui, tu che ne pensi?”- affondai l'arpione sinistro nell'altra branchia, provocando un altro verso terrorizzante. Tutto quello mi trasmetteva soddisfazione e libertà, era come se ad ogni passo più vicino alla sua morte la mia anima si alleggerisse, si liberasse di un peso.

Sentivo il perdono scorrere nelle mie vene, misto all'adrenalina e ad uno strano panico del quale non capivo il motivo.

Il bestione però voleva difendersi, e con le sue ultime forze rimaste mi azzannò un piede, provocandomi un dolore lancinante. Grazie all'arpione, riuscii a colpirlo sul muso e dopo quattro o cinque volte, dovette rinunciare alla presa, dovette lasciarmi andare. Accasciato su uno scoglio, aveva il respiro pesante e sarebbe morto dopo pochi minuti.

Lo guardai dritto negli occhi, neri come la notte e come la sua anima da predatore assassino.

“Tu mi hai portato via ciò che avevo di più caro al mondo, spero che capirai perché mi sono permessa di renderti il favore.”

Lui sembrò, in uno strano modo, capire ciò le gli avevo appena detto e mi rispose con l'espressione più terrificante che abbia mai visto, quella che dominerà i miei incubi più terrificanti. In altri momenti mi sarei sentita spaventata, ma in quel momento, forse spinta dall'adrenalina, mantenni la voce ferma e cercai di essere mille volte più terrificante di lui.

“Hai sbagliato a lasciarmi vivere quel giorno, cinque anni fa. Avresti dovuto uccidermi, ma non l'hai fatto. Qui può esserci solo una sopravvissuta e quella sono io.”

Pochi secondi dopo, fui spettatrice del suo ultimo respiro.

 

 

Tornai a casa, lontana da Half Moon Bay. Non raccontai a nessuno ciò che avevo fatto, lo tenni per me. So che non sarà il modo di rendere giustizia a voi, amiche mie, ma dovevo dirvi cosa era successo. Vorrei solo il vostro perdono, nient'altro. In ogni caso, io sono la sopravvissuta e questo marchio rimarrà su di me per sempre, non so se in bene o in male, ma vi rimarrà ed io non potrò farci niente, solo conviverci ed iniziare ad accettarlo.

 

Io sono la sopravvissuta.

Io sono la sopravvissuta.

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