Pillole

di Kyl8
(/viewuser.php?uid=700101)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arjun ***
Capitolo 2: *** Parineeti ***
Capitolo 3: *** Una casa e una famiglia ***
Capitolo 4: *** Bianca ***
Capitolo 5: *** Sogni di vergine ***



Capitolo 1
*** Arjun ***


Arjun


L'ho incontrata per la prima volta quattro anni fa; la conoscevo di fama ma non avevo mai avuto occasione di parlarle. E' arrivata sul set come una furia, con quel suo modo di fare aperto e incalzante mi si è presentata e ha cominciato a vomitare una serie di dubbi, perplessità e idee sulla trama e sui nostri personaggi. Ho cercato di rimanere impassibile di fronte quella fastidiosa valanga di parole rispondendo di tanto in tanto con un grugnito. E' stato così che abbiamo cominciato ad odiarci, ed è stato così che siamo diventati amici. Dopo i primi giorni di tensione palpabile, lavorando a stretto contatto abbiamo scoperto di avere più cose in comune del previsto: gli stessi amici, la stessa passione per il cibo, per il cinema e per lo sport. Oggi la donna più petulante e insopportabile del mondo è una delle persone alle quali tengo di più; amo parlare con lei al telefono del più e del meno, amo fare jogging la mattina presto e yoga il pomeriggio con lei, amo prendere in giro le sue buffe espressioni, amo accompagnarla nei locali più strani e particolari che riesce a trovare e amo come, dopo ogni abbuffata, mi ricorda che ha promesso che sarà lei a tenermi compagnia quando, per colpa sua, sarò diventato un vecchio grasso e solo.
 
E' sdraiata accanto a me, a pancia in giù, mentre cerchiamo di superare un livello di "Candy Crush". Il mio braccio sinistro è intrecciato al suo braccio destro, le ginocchia sono piegate e i piedi all'insù dondolano sbattendo tra loro. Ha appena cominciato un monologo su quanto il suo aiuto mi è indispensabile e su come "Angry Birds" sia un gioco assolutamente più divertente. E' davvero insopportabile. Le nostre pelli si sfiorano e mi piace sentire il suo calore, la sua morbidezza. Ad un tratto sento un leggero e dolce odore di cioccolato provenire dalla sua parte; mi avvicino e le annuso il braccio, la spalla, il collo. Quando mi allontano vedo che mi fissa con i suoi grandi occhi nocciola. 'Cioccolato' sussurro per giustificare il mio strano comportamento. 'Bagnoschiuma' risponde lei con un filo di voce. Mi sento confuso, i suoi occhi e il suo profumo mi confondono, la sua vicinanza, stranamente, mi confonde. Rimaniamo a fissarci imbarazzati per qualche secondo poi, con un colpetto di tosse, torno a concentrarmi sul gioco cercando di riportare il mio cuore ad un numero di battiti normale.
 
Tornato in camera non riesco a rilassarmi e a prendere sonno. Chiudo gli occhi e vedo i suoi, li apro e vedo le sue labbra, provo ad accendere la tv e sento la sua meravigliosa risata. -No, così non può andare - E' mia sorella, è come una sorella - L'ho sempre consigliata in fatto di uomini e protetta da scelte sbagliate - O era gelosia? - No - E' solo una stupida infatuazione - Andrò a parlarle - Ma parlarle di cosa? - Di noi, di quello che è successo oggi - E se non avessi decifrato bene i suoi segnali? Se mi rifiutasse? - Perché dovrebbe rifiutarmi? Sono un attore famoso e di bell'aspetto, posso avere tutte le donne che voglio - Non voglio, non posso perderla - Sì, vado a parlarle-. Raggiungo la porta con una falcata ma, quando la apro, mi trovo lei davanti; gli occhi sgranati, la bocca stupita e il suo odore di cioccolato. Senza pensarci due volte le prendo la mano, la porto dentro e le richiudo la porta alle spalle. Poi mi avvicino lentamente, per non spaventarla, per essere sicuro di aver interpretato correttamente i suoi sguardi e il mio cuore. Lei non si allontana e poso le mie labbra sulle sue per un casto bacio. Sa di miele, di biscotto. Quando mi separo lei mi riavvicina affondando le mani nei miei capelli, io ne approfitto per accarezzarle la schiena insinuandomi sotto la magliettina; il secondo bacio certo non è delicato come il primo.
 
Quando mi sveglio il sole che filtra dalle persiane accarezza i nostri corpi abbronzati; mi sistemo meglio, stringendola di più col braccio destro attorno alla vita facendo aderire la sua schiena al mio petto e immergendo la faccia nei suoi capelli. Inspiro a fondo, riempiendomi dell'odore che vorrei profumasse la mia vita. Resto fermo per un po' con il suo petto che si alza e si abbassa ritmicamente tra le mia braccia, poi si gira piano e mi accarezza il volto. 'Ho fatto l'amore con del cioccolato' le sussurro. Lei ride nascondendosi nell'incavo del mio collo e penso che darei qualsiasi cosa pur di svegliarmi ogni mattina illuminato dalla luce della sua risata.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Parineeti ***


Parineeti


Ecco che comincio un lungo discorso su quanto il mio aiuto gli sia indispensabile per superare ogni livello di "Candy Crush" e quanto "Angry Birds " sia un gioco decisamente più divertente. -Mi stai ascoltando?- -No- Sempre il solito! So che gli da fastidio il mio essere logorroica, ma adoro quando mi guarda corrucciato non riuscendo, nonostante tutto, a mascherare un'ombra di divertimento. Il mio braccio destro è intrecciato al suo braccio sinistro mentre siamo sdraiati a pancia sotto durante una pausa delle riprese e, parlando, gli tiro piano i peli del braccio con la mano libera, tanto per stuzzicarlo un po' di più. Improvvisamente si avvicina attratto da qualcosa e mi annusa il braccio, la spalla, il collo. Sento come se una goccia d'acqua fredda mi stesse scendendo lungo la schiena, come se una mano invisibile mi attanagliasse lo stomaco e me lo rigirasse, come se mi iniettassero una fiala di adrenalina dritta nel cuore. Si allontana e mi fissa con i suoi grandi occhi ebano. -Cioccolato- sussurra quasi impercettibilmente. Di sicuro si sta riferendo all'odore del mio bagnoschiuma, così gli rispondo con un filo di voce che fa fatica a venir fuori. Rimane così, a studiarmi il viso: gli occhi, la bocca, il naso, di nuovo gli occhi. Dio, non mi ero mai accorta quanto fosse bello! Con un colpetto di tosse torna a guardare il gioco, ma io so che non riesce più a concentrarsi. Perché neanche io ci riesco.
 
Quando ci siamo conosciuti non avremmo mai pensato di stare volontariamente a così brave distanza, non abbiamo stretto amicizia da subito; anzi, ci odiavamo. Quattro anni fa abbiamo girato il nostro primo film insieme e io avevo la testa piena di dubbi, di domande da fargli. Era la prima volta che ci incontravamo e volevo conoscere le sue opinioni sui personaggi, come intendeva gestire il suo, se c'era qualcosa che potessi fare per poter lavorare meglio insieme. Ma per quante domande e osservazioni gli ponessi lui continuava a rispondere a monosillabi, a volte neanche degnandomi di uno sguardo. Un comportamento assolutamente irritante! Flemmatico, riflessivo, silenzioso: il mio esatto contrario. Con il tempo ho scoperto che sotto l'apparenza della statua di cera insensibile si nascondeva un ragazzo fantastico: sincero, simpatico, dolce. Pensare che si lascia trascinare nei ristoranti più strani per provare pietanze di tutto il mondo (cosa che io amo fare) nonostante questo lo costringa a un'ora di corsa in più la mattina. In compenso gli ho giurato che, quando sarà un vecchio grasso e solo, andrò io a fargli compagnia...due volte a settimana!
 
Quello che è successo oggi continua a tormentarmi. Sono sdraiata sul letto della mia camera d'albergo e non posso far altro che pensare a lui, a noi, ad un NOI diverso da quello al quale sono abituata; non più fratello e sorella ma anime complementari, corpi che si appartengono. Ripenso ad ogni istante in cui un suo sorriso rivolto a me, un suo abbraccio, un suo messaggio, il mio nome pronunciato dalla sua voce come fosse una carezza mi hanno riempito di gioia, di come sento il bisogno delle sue attenzioni al pari di una droga. Mentre questi pensieri mi frullano in testa mi ritrovo davanti la porta della sua stanza. Non faccio in tempo ad alzare il braccio per bussare che lui mi coglie di sorpresa aprendo la porta ritrovandosi a pochi centimetri dalla mia faccia stupita. Vorrei dirgli qualcosa, spiegarmi, giustificare la mia presenza lì. Prima che riesca a trovare una scusa plausibile, lui mi prende la mano e mi porta dentro la sua camera chiudendo la porta alle mie spalle. Poi avvicina lentamente il suo viso; sento sulle labbra il suo respiro che mi inebria, il tempo sembra non passare mai, le distanze sembrano non colmarsi, voglio la sua bocca sulla mia, voglio ubriacarmi di lui. Mi bacia dolcemente premendo le labbra carnose senza schiuderle. Quando si allontana ne sento immediatamente la mancanza, ne voglio ancora e subito. Affondo le mani nei suoi folti capelli neri e lo bacio con più passione, questa volta assaporandone la saliva; e lui non si tira indietro, intrufolando le mani sotto la maglietta e accarezzandomi la schiena fino a sganciare il reggiseno con un unico movimento esperto.
 
Quando ci distendiamo completamente sazi l'uno dell'altra la luna è alta in cielo e la sua tenue luce entra dalla finestra illuminando il corpo muscoloso di lui che brilla coperto da un sottile strato del nostro sudore. La sua testa è abbandonata sul mio petto come quella di un bambino che cerca riparo; parte del mio corpo è coperto dal suo, il resto è protetto dal suo abbraccio. Gli accarezzo piano i capelli e lo tengo un po' più stretto come per paura che, se allento la presa, voli via e mi lasci al freddo e vulnerabile. Ricordandomi che non lo infastidisco con le mie chiacchiere da tempo, dico usando appositamente un tono di voce alto -Non credi ci sia troppo silenzio?-. Lui ride, alza la testa e mi bacia e io penso che darei qualsiasi cosa pur di addormentarmi ogni notte con il suo sapore sulle labbra.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Una casa e una famiglia ***


Mario non ha mai avuto una famiglia. Figlio unico di un uomo e una donna a loro volta figli unici, rimase orfano di madre quando ancora non sapeva stare in piedi o parlare e orfano di padre quando ancora non aveva bisogno di radersi. Per tutta la vita ha abitato nella casetta costruita pietra su pietra dal bisnonno e per tutta la vita ha lavorato la terra al centro della quale sorgeva la casetta come un isolotto in un oceano marrone, ettari su ettari, distese di lattughe, carciofi, zucchine, fagioli, uva, grano. Con il tempo, prima suo padre e dopo lui, hanno ampliato la casetta di pietre e cemento fino a realizzare un bel casolare, con un grande magazzino per conservare gli attrezzi e il foraggio, un'ala per le pecore e le galline, uno stanzone per i braccianti. Anche se non ha mai avuto una famiglia, Mario è sempre stato fortunato: il raccolto è sempre andato bene, le pecore e le galline gli hanno sempre fornito latte, lana e uova in quantità, gli impiegati sono sempre stati onesti. Non ha mai voluto andare a vivere in paese o in città, è sempre rimasto in quella parte del casolare corrispondente alla prima vecchia casetta con una camera da letto, un cucinino e un bagno. E non si è mai sposato. Non perché non volesse una moglie o perché non credesse nell'amore, anzi, proprio perché ci credeva troppo, ha ritenuto di non poter essere un buon marito per nessuna delle donne incontrate durante la sua vita perché non avrebbe saputo dare loro tutto l'amore che meritavano.
Mario si era accorto che da un po' di tempo mancava sempre qualcosa dal raccolto che giorno per giorno portava al magazzino: un paio di lattughe, qualche melanzana, una zucchina. Così decise di indagare. Era l'ora in cui il sole accarezza l'orizzonte, le nuvole cambiano colore e gli uccelli tornano a casa quando Mario, nascosto dietro la porta socchiusa del magazzino in modo da osservare senza essere visto, si accorse di due occhi neri e profondi come pozzi che strisciavano all'interno. Riusciva a distinguere solo questi del ragazzo pelle e ossa che si era intrufolato in casa sua. Quando una mano nodosa afferrò un pugno di rucola, Mario uscì dal suo nascondiglio cogliendolo di sorpresa. Il ragazzino, paurosamente magro, raggiunse di corsa la porta e si immerse nella fitta distesa di grano scomparendovi dentro; le ginocchia e i gomiti spigolosi sembravano voler abbandonare il corpo e lasciarlo in un angolo disarticolato, la pelle quasi antracite era secca e contratta come quella di un elefante, in netto contrasto con l'aspetto del ragazzo, quasi un bambino. Mario urlò, si sbracciò, gli intimò di fermarsi, ma il ragazzino se n'era già andato.
I giorni seguenti Mario lo aspettava pazientemente, preparava sempre sul tavolino più vicino all'ingresso un cesto con verdure fresche, latte e pane ma del ragazzo nessuna traccia. Dopo quasi una settimana l'uomo notò con piacere che il cesto era stato svuotato e il fatto si ripeté anche i giorni successivi; nel cesto privato degli alimenti, il ragazzo lasciava sempre un mazzetto di fiori di campo nella bottiglia di latte vuota. Un giorno l'uomo e il ragazzo si incontrarono. Si chiamava Titu, aveva 25 anni ed era arrivato dal mare.
 
Titu non ha mai avuto una casa. Con la sua grande, grandissima famiglia aveva girato le distese di sabbia, i manti verdi, le pietre taglienti, sotto il sole o coperti di stelle. Fino a quando non avevano cominciato a morire. La fame, le malattie, i proiettili. Così aveva trovato un posto in uno di questi grandi barconi che l'avrebbero portato verso un posto migliore, con cibo, acqua, medicine. Senza proiettili. E con una casa. Ogni tanto, quando chiudeva gli occhi, Titu si sentiva ancora trasportato dalle onde, su e giù, su e giù, con Maki aggrappato al collo come una piccola scimmietta e Shamshi che dormiva con la testa adagiata sulla sua spalla e le mani a proteggere la nuova pancia che stava cominciando a gonfiarsi.
Ma la terra promessa non era come gliel'avevano descritta: la fame c'era sempre, la paura anche, lo scherno, gli insulti, il disgusto. Era riuscito a portare la sua famiglia in una fatiscente cascina abbandonata non molto distante dal terreno di Mario e si erano accampati lì, tra i topi e il tetto di legno marcio. Maki aveva sempre fame e la pancia di Shamshi era ancora più gonfia e bisognosa di nutrimento. Per questo aveva cominciato ad entrare di soppiatto nel magazzino dell'uomo e a prendere ciò che poteva.
Mario era rimasto in silenzio mentre Titu cercava di spiegargli a gesti la sua condizione. Aveva capito che stava nel rudere del vecchio Rocco, che aveva un bambino piccolo, che la moglie era incinta, che avevano fame. Poi gli aveva detto, anche lui a gesti, di far venire la moglie e il bambino, che potevano stare lì, che di spazio ce n'era abbastanza per tutti, che lui avrebbe potuto lavorare con gli altri braccianti nei campi. Titu stava a guardarlo smarrito e confuso, sembrava non aver capito molto dal gesticolare di quell'uomo dalla pelle scura e indurita dal sole che gli ricordava tanto suo padre ma che, nonostante gli anni di lavoro nei campi, rimaneva più chiaro di suo padre. Il ragazzo toccò i piedi di Mario e poi si toccò fronte e si dileguò nella campagna come faceva tutti i giorni, portando con se il misero pasto contenuto nella cesta.
Era notte inoltrata quando Mario aveva sentito bussare alla porta; i nuovi coinquilini si confondevano con le ombre della notte, il ragazzo con un bimbo addormentato tra le braccia e la ragazza all'ottavo mese di gravidanza con un cesto vuoto e un mazzetto di fiori di campo.
 
Ora Titu ha una casa e un lavoro, e un nuovo padre. Mario ha le braccia giovani di Titu che lavorano i campi al posto delle sue vecchie e stanche, il sapore della cucina di Shamshi in bocca, il frigo pieno di disegni di Maki e la casa rallegrata dai versetti della piccola Maria.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Bianca ***


Questa breve storia mi è stata ispirata da un passo letto ne "La vita che si ama" di Roberto Vecchioni (libro molto bello che vi consiglio, come tutti i libri di Vecchioni):
-O forse avrei potuto conoscerla a diciott'anni, una delle mie studentesse. Sarebbe venuta cento volte a chiedermi: «Come si legge, come s'interpreta questo passo?» Si sarebbe seduta accavallando le gambe che ero già perso, fatto a pezzi al pensiero di accarezzargliele, quelle gambe, e la paura di fissarli, quegli occhi neri, per non morirci dentro che non era il momento. E l'avrei guardata alzarsi e andare via dall'aula, cioè dalla mia vita, scivolando leggera, e lasciando il profumo chissà se di resa o di battaglia.-

 


Andavo ogni giorno a scuola a piedi, c'era vento, pioggia, neve, sole. Che poi in quella città del nord dove mi avevano relegato a fare supplenza per quattro mesi nevicava sempre o pioveva una pioggerellina sottile, se mi andava bene. Da novembre a febbraio, quattro mesi di merda per me che vengo dal Salento, abituato al sole caldo, al mare, ai balli, al buon cibo. Ma che ci vuoi fare? Sono tempi difficili per noi giovani professori italiani. Diciamo che quattro mesi retribuiti a trent'anni mi è finita di culo, anche se nel regno della regina delle nevi.
La scuola, per fortuna, non era una di quelle dove vanno a finire gli scarti e i casi umani come risucchiati da un buco nero, dove gli anni del liceo diventano sette e non più cinque. Ci sono scuole che nascono sfigate. Questa no. Questa era un buono scientifico, con professori validi, con ragazzi educati e studiosi (in media). Avevo tre classi: III, IV e V D. Insegnavo italiano e latino. Ho detto che i ragazzi erano educati e studiosi, sì ma ricordiamoci che sono sempre ragazzi tra i 15 e i 19 anni e quell'espressione interrogativa, quel perdersi tra i propri pensieri durante una traduzione di Catullo o una spiegazione del pensiero pascoliano non lo perderanno mai.
C'era Angotti, sempre presente, sempre al primo banco, sempre asmatico, con i suoi occhi chiari puntati sull'insegnate come a voler risucchiare ogni singola virgola della lezione che mi facevano tanta paura. C'era la Pagano che si riempiva la bocca di paroloni, di ideali femministi e comunisti, che vantava conoscenze letterarie e che nascondeva, sotto pagine e pagine di appunti e sfilze di nove in pagella una situazione familiare poco felice. C'era Leto che gli stupidi chiamavano 'frocio' ma che aveva una passione per le rosse e se l'era spassata con tutte quelle dalla scuola, e anche con quelle del geometra e del classico vicini, e poi c'era Lucchese che con il suo aspetto da bello e dannato faceva girare la testa a tutte, ma proprio tutte tutte, ma che alla fine del quarto anno ha fatto coming out.
E poi c'era lei, Bianca. Bianca era la tipica ragazza anonima, quella che stava sempre con lo stesso pugno di amiche da cinque anni, quella che non usciva a ricreazione, quella che guardava da lontano i coetanei scambiarsi sguardi e saliva nei corridoi, quella né brutta né bella, neanche un filo di trucco, capelli sempre in ordine.
Ecco, Bianca mi era entrata dentro sconvolgendo il mio equilibrio e il mio status di giovane professore in terra straniera. Non in maniera irruenta e presuntuosa come una qualsiasi diciottenne bella e fresca, ma piano piano, nascondendosi nella parte più remota della mia mente, quella che la notte si accende e ti lascia sveglio a sudare tra le lenzuola nonostante la neve che cade fitta fuori dalla finestra. Si era fatta avanti lentamente con i suoi lunghi capelli castani intrecciati, i suoi occhi neri che guardavano sempre verso l'infinito e la sua pelle bianca che sembrava un'opera del Canova.
E a niente serviva pensare a Rita e alle sue lunghe cosce abbronzate che mi aspettavano in Puglia, perché le generose cosce di Bianca erano lì ogni mattina, fasciate nei pesanti pantaloni, nascoste sotto il banco o che si avvicinano lentamente alla cattedra per chiedermi qualche spiegazione. Durante le interrogazioni mi concentravo in maniera ossessiva sul libro, sul registro o guardavo il resto della classe, perché spesso mi era capitato di perdermi nel movimento delle sue labbra, di sprofondare, di affogare tra le sue labbra.
Ho combattuto contro questa immorale mania, ho passato notti in bianco vergognandomi come un cane per essermi masturbato pensando a lei e per aver chiesto del sesso telefonico a Rita solo per cercare di distrarmi. Non era una questione d'età, era una questione di decenza. Primo, Bianca era una mia alunna; secondo, non potevo neanche dirmi innamorato, ero soltanto inspiegabilmente eccitato come un quattordicenne in piena tempesta ormonale.
Il mio ultimo giorno di supplenza in quella scuola prima del mio ritorno a casa, Bianca era venuta da me. Aveva aspettato che tutti i suoi compagni lasciassero frettolosamente l'aula dopo il suono della campana, veloci come dei cavalli all'ippodromo dopo l'apertura dei cancelli.
-Prof, posso parlarle?- mi aveva detto. E io lì a tremare come un ragazzino pensando "Ti prego, ti prego, non dirmi che ti sei innamorata di me, ti prego, esci da quest'aula e lasciami solo, ti prego, ti prego, Bianca"
-E' che lei è il più giovane, cioè, tra i prof intendo. Sento che lei è l'unico del quale possa fidarmi.-
Rimasi in silenzio.
Lei continuò -Prof, mi sono innamorata- "Ecco" pensai "ecco la cotta. Ma sti cazzi! Ora le dico che non torno più in Puglia e resto lì a fare l'amore con lei"
-Il problema è che è più grande di me, molto più grande... E' un collega di mio padre-
Mi è crollato il mondo addosso.
-Ah. E lui...-
-Lui non sa niente ovviamente. Non ci pensa minimamente a me. E' pure sposato, ha dei figli. Ma prof, io lo amo. Che devo fare, glielo devo dire?-
-Bianca ascolta, l'amore alla tua età è un argomento delicato, in qualsiasi età ma specialmente alla tua, quando il cuore è ingestibile, quando le passioni che sbocciano e le sensazioni provate sono più forti di una bomba atomica.- E' stato in quel momento che, guardando Bianca negli occhi, non ho visto più l'oggetto dei miei desideri ma solo la ragazza confusa e spaventata che era realmente.
-Pensa attentamente se è lui quello che vuoi, se quello che senti parte dal cuore e può renderti veramente felice o può solo appagare il tuo basso ventre. Fottitene delle conseguenze dell'andar contro a delle stupide convenzioni sociali, l'età, la famiglia sua e tua. Pensa soltanto alle conseguenze dell'interpretar male quello che ti sta comunicando tutto il tuo corpo. Se fai uno sbaglio di queste proporzioni adesso potresti rimpiangerlo per sempre.-
Bianca era rimasta un attimo in silenzio, poi un piccolo sorriso le aveva illuminato il volto. -Grazie prof- ed era scivolata via dall'aula lasciandomi in dono un piccolo bacio sulla guancia e il suo profumo che mi ha accompagnato fino a cassa.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Sogni di vergine ***


Busso alla sua porta che ancora non è mezzanotte. Ancora non è il mio compleanno. Ho ancora 29 anni.
Lui non dorme, mi invita con la sua voce gentile ad entrare. E' seduto a letto, gli occhiali e il libro aperto sulle ginocchia, la lampada sul comodino che gli illumina mezzo volto. Mi sorride perplesso mentre mi avvicino lentamente.
Gli dico che potrà fermarmi in qualsiasi momento, che se non vorrà basterà dire "No" e io me ne andrò. Poi prendo quello che tiene in mano e lo poso su comodino, mi siedo a cavalcioni su di lui, corpo contro corpo, il mio imperfetto e intatto involucro di vergine così vicino al suo sodo e vellutato e caldo e già esplorato.
Rimango ferma, osservo tutto: la fronte solcata da piccole rughe di espressione, le sopraciglia folte, il naso dritto e deciso, la barba dall'aspetto ispido ma che è soffice come cotone dal quale spuntano le labbra dalla curva perfetta, gli occhi sottili e leggermente allungati, i capelli neri già illuminati da qualche filo argentato, le lentiggini, l'orecchino, il collo.
Alzo le mani e percorro le curve che disegnano i muscoli, il pomo d'Adamo, le scapole. Lo sento rabbrividire impercettibilmente. Poi passo agli zigomi, le palpebre chiuse, le labbra soffici. Poso la mia bocca sulla sua pelle come una carezza leggera, bacio tutti i punti che ho sfiorato prima con i polpastrelli.
La gola, per avermi in ogni tuo respiro, gli occhi, per avermi nei tuoi ricordi, le labbra, per avermi nelle tue parole.
Con timore aspetto un "No" che non arriva.
Gli sfilo la maglia e lui lascia fare, scopro il suo corpo di uomo, passo i polpastrelli sulla pelle con attenzione, studiandone ogni neo, ogni avvallamento, ogni imperfezione. Risalgo lentamente il dorso assaporando ogni istante di contatto fino a raggiungere nuovamente il viso. Un nuovo bacio. Lui posa le mani sui miei fianchi avvicinandomi di più, approfondendo il bacio che diventa quasi violento.
No amore, non puoi. Devi rimanere fermo e in silenzio. E' questo il gioco, sono io che decido. Mi allontano a malincuore dal suo bacio che sa di boschi inesplorati, di sole e di fiume limpido. Rimango a guardarlo, ancora e ancora, occhi negli occhi, cerbiatto sorpreso. Adagio il viso sulla sua spalla affondando il naso nell'incavo tra il collo e la scapola e inspirando a fondo il suo aroma.
Scendo con la mano e gli do gioia. Chiude gli occhi, sento il suo respiro che si fa più veloce, sorride e io sorrido con lui. Mi piace sentire il suo calore, mi piace percepire il suo corpo vivo e pulsante al mio tocco, mi piace il suo odore e la morbidezza delle sue labbra. Un ultimo bacio prima di alzarmi e tornare nella mia stanza.
Sono le 00:46, ho 30 anni e ho dato piacere ad un uomo per la prima volta.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3524991