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di Male_na
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non arrossire ***
Capitolo 2: *** E poi desiderò solo scomparire ***
Capitolo 3: *** Loro ***
Capitolo 4: *** Cambiata ***



Capitolo 1
*** Non arrossire ***


Arrossisce.
Sapeva fin dal primo istante che l’effetto sarebbe stato questo ma finge di conservare il suo candore di ghiaccio mentre si alza per sedersi; adesso, seduta, le sembra strana quella sensazione di velato disagio senza nessun contatto se non quello deglio occhi.
Parla.
Con gli occhi bassi cerca di far uscire le parole mentre il suo sguardo segue il disegno che compare sul foglio bianco alla sua destra e le sue dita esili modellano nervosamente una poltiglia grigia. Descrive terre lontane mai viste ma sempre immaginate e sognate, corre sui tetti ondulati in cerca di date che ormai ha nascosto nel cassetto delle cose da dimenticare, si perde nelle forme flessuose di foreste di pietra che popolano da mesi i suoi sogni e colonie dai caldi colori, arriva infine in quella “preghiera di pietra” che l’affascina e la intimorisce con i suoi misteri e le sue forme che imitano la natura che continuano a crescere ininterrotte negli anni e quei disegni che passano ancora di mano in mano, si arrampica sulle guglie merlate che costellano i suoi pensieri reconditi e sono di sabbia e stelle, pietre e parole.
Infine arriva a quel tripudio di colori e luci ed è allora che ancora persa e con mille sfumature negli occhi alza lo sguardo.
Annega.
Il tempo di alzare lo sguardo basta per farla sprofondare negli occhi che si ritrova davanti. Sapeva che sarebbe successo ma fa finta di nulla mentre avvampa in un rossore timido continuando con il suo fiume di parole che scorrono inciampando sui sassolini limpidi che le si ripropongono in mente, li sente vicini e attenti.
Sorride.
Del suo essere impacciata e fragile , con la sua pronuncia strana, quasi la erre si vergognasse a uscire da quella bocca e poi i dubbi e le incertezze che spariscono anche loro in quell'orizzonte celeste. Ormai è un pensiero ingombrante, un marchio.
Respira.
É arrivata alla fine di quella corsa, ma sente di essersi persa tra il calore della sua pelle e l’azzurro fresco di quello sguardo; esce felice ma ancora con addosso una sensazione effimera, come se in quel tempo ristretto avesse condensato emozioni che ora non esistono se non su un foglio malamente disegnato.

Sorride.
Ha ancora negli occhi il rossore che aveva macchiato il viso candido che aveva davanti, lo sguardo timido perso nelle parole ansiose, le labbra inquiete che correvano lungo descrizioni frastagliate.
L’aveva osservata bene fingendo intanto di disegnare sul foglio bianco che aveva davanti e su cui leggeva il suo nome.
Pensa.
Capitava di perdersi insieme in architetture fatte di pensieri e parole e poi, dopo quell’ora di domande e piccole ipotesi, di pensieri che timidamente si affacciavano e sorrisi che affioravano, far finta di nulla e abbandonarsi al tempo e agli incontri casuali, all’idea di situazioni immaginate mille volte, utopiche e senza alcun senso se non quello della follia.
Era l’unico sentimento che non riusciva a comprendere nonostante si fosse spesso ripresentato, così inopportuno in quelle occasioni, ma che adesso non riusciva a descrivere se non nel rossore passeggero di lei.

 

 

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Capitolo 2
*** E poi desiderò solo scomparire ***


E poi desiderò solo scomparire, seguendo le lacrime che le scendevano sul viso diafano.
Si ritrovò con la mano premuta sulla bocca per non far rumore in quella stanza vuota e buia che diventava la grancassa del suo pianto triste e fioco, con gli occhi e le orecchie offuscate da quegli odiosi pensieri che ora la tormentavano più che mai.
Fra i singhiozzi silenziosi andò in cucina e prese meccanicamente una tisana come se in quella bustina aromatica ci fosse la via di fuga ai suoi fantasmi; mentre vedeva il vapore dell’acqua che si alzava e le bollicine sul fondo pensava che sarebbe stato facile fare così: arrivare al punto di ebollizione e poi svanire del tutto, nell’aria.
Nonostante sentisse la sua anima rovente e il cuore battere al ritmo di quel suo fragoroso tumulto interiore non riusciva a mischiarsi con le particelle libere e fluttuanti e ad aggiungersi a loro nella danza vaporosa che disegnavano.
Si portò rapidamente la bevanda alla bocca, un po’ amara come le sembrava la vita, come i ricordi che continuavano a circondarla; calda abbastanza per scottarti come quando ti ritrovi di fronte a occhi che rimarranno stampati dentro, bruciati sulla pelle. Aveva ingannato tutti, sfidato il tempo beffeggiandolo e ,per un istante, aveva creduto che fosse veramente colato giù tutto come quel liquido che si stava buttando dentro perché in fondo nonostante il suo calore stava ingoiando tutto. Non aveva fatto i conti con le scottature, le cicatrici.
Tra il vapore tiepido guardava fuori lo scintillio di una città che non era la sua e che era troppo presto per definirla, almeno in parte, tale;osservava inquieta le luci ferme dei lampioni e forse di qualche bar, le luci delle navi e i riflessi delle stesse che ballavano su un mare ormai nero. Ascoltava il rumore repentino delle auto che scappavano per la loro strada e qualche discorso lontano e dai toni spettrali e ovattati.Finita la tisana si accorse che c’era qualcosa di famigliare, in verità c’era sempre stato, come se in fondo fosse arrivata fin lì per una scelta ben precisa che, seppur nascosta, l’aveva quasi costretta a ritrovarsi ora sola in mezzo alla gente, alla deriva in posti disegnati dai ricordi.
A volte era come camminare fra sogni fatti a metà, tra luoghi che riconosceva in parte perché nuovi ma mai cambiati, erano sensazioni nette che la bloccavano in una piccola bolla.
Doveva scomparire quando ingenua non gliene sarebbe importato di nulla, neanche di scottarsi completamente oppure quando cercando di scappare da tutti aveva corso contro se stessa e nell’amarezza di quei giorni aveva trovato quel gusto che bastava per buttare tutto giù.
Doveva scomparire quando la sua sete era ancora vera e limpida e le rivoluzioni solo immagini di fantasie proibite, desiderate e tanto vicine a un’anima vagabonda; doveva scomparire quando il mondo era ancora tanto piccolo e lei padrona con le sue risate e pittrice unica di quei colori.
Doveva scomparire in tante occasioni.
Guardò il fondo della tazza vuota, a volte si ripeteva che quando si tocca veramente il fondo per forza di cose si deve risalire, per il semplice motivo che più in giù non si può andare.
Toccava il fondo con i suoi piedi, vedeva in quel panorama assorto e sonnolento il buio. Non era l’oscurità che avanzava puntuale, era il fardello di ciò che aveva sperato di essere, che gli altri avevano sperato che fosse; nella lucidità dei vapori aromatici che andavano scomparendo si risvegliò fragile, sprofondata, ma viva.

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Capitolo 3
*** Loro ***


"il pellicciume passa
noi restiamo"

Lei ride.
Le feste peggiori di sempre, aveva sussurrato camminando nella fredda mattina della sua città pensando che fosse l’anno peggiore di sempre, che per la prima volta non ci fosse il lato positivo, che non ci fosse neppure un colore tra quelle nuvole grige.
Eppure erano bastate le sfumature rosse di un campari.
E loro.
E io ero lei.
E lo sono ora nell’unico momento che accetto il presente per quello che è e la mia unica ragione per farlo sono loro.
Perché in un semplice istante ho capito cosa auguro a tutti in momenti come questi. Loro.
Senza sapere nulla, o quasi, loro che riescono a strapparti un sorriso con le stupidaggini dei giorni qualunque.
Loro, che con le loro mani gelide sanno riscaldarti più di una coperta di pile.
Loro che non importa quante cazzate farai o dirai, sono lì, a ricordarti che vale sempre la pena fare il secondo giro di campari per ridere un po' più forte, per ricordare che le lacrime non annebbieranno mai una giornata di sole.
Loro che con la loro”puntualità” sapranno rallegrarti qualunque anno con i loro racconti che in quei momenti sembreranno in ogni caso buffi e leggeri come il tempo che passa insieme.
Loro che decidono di scendere in pigiama ma nessuna ha mai il coraggio di presentarsi in una maniera così brutta davanti alle altre perché meritano, meritano di vederti al “top”.
Loro che non si scandalizzano perché dopo tanto tempo nulla ti sembra assurdo se non il fatto di non trovare il tempo adeguato per farsi un giro in centro e perché no un week end se non una settimana a prescindere dal luogo.
Loro, con il secondo giro e le risate e le parole che si mischiano, le fantasie e le cose immaginate e il senso di inadeguatezza che diventa la consapevolezza di far parte di qualcosa nel tutto.
Loro che ogni foto è sempre troppo brutta da far vedere agli altri eppure tu dentro riesci solo a vederci la felicità condensata di 365 giorni.
Loro che tornata a casa sanno farti piangere per la distanza che a tre metri di altezza già si sente e ti ricorda di essere vivo come non mai, ti ricorda che nonostante tutto dovrai sempre svegliarti per fare il resoconto della tua serata assurda a loro che sono sempre lì e che nonostante il tempo aspetteranno sempre per un ultimo caffè.
Due giri di campari non bastano per sciogliere tutte le emozioni di tanti anni passati accanto.
Loro che cavolo, le sto odiando per il semplice fatto che mi riescono a far apparire sempre troppo sdolcinata nonostante tutto.
Solamente adesso ho il coraggio di ammettere di essere lei e di viverlo a pieno, perché vale, perché lo auguro a molti e lo auguro a noi che siamo sempre lontane ma spesso così vicine, che riusciamo a vederci una volta l’anno ma farcelo bastare per cento, che riusciamo a ubriacarci non tanto del campari ma delle nostre risate.

A loro, a l’oro.

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Capitolo 4
*** Cambiata ***


"Mi son perso calpestando vetri
e pure qualche cuore degli amanti
graffi e graffi dalla testa ai piedi
quanti pianti ho spento nella gola,
ma finalmente mi lasciavo dietro
tutte le paure e tutti i santi.
Finalmente rincorrevo nuda
senza più pensare a farmi male,
male."

Cambiata - Nobraino

 


Fece la valigia di corsa buttando i vestiti a caso.
Voleva andarsene.

Si sedette un attimo sul divano esausta, da cosa voleva scappare, da chi?
Cominciò a piangere.
Era lei il mostro.

Piangeva.
Ripensava a quando una notte d’estate era salita in solitaria su un autobus, le stelle a guardarla, le risate degli altri. Per lei era la cosa giusta e non c’era nient’altro e nessun altro. Avrebbe incontrato qualcuno per strada, qualcuno che le avrebbe offerto qualcosa e avrebbe chiacchierato con lei in un inglese masticato male, in un posto troppo pieno di fumo.
Poi sarebbe arrivato qualcun’altro per sbaglio, forse una faccia già vista in quella samsara che ora le sembrava più opprimente che mai.
Poi ancora fuggire e il buio e le stelle, cercare qualcosa che non c’è, qualcuno che raccolga il tuo dolore e quel farsi bastare un paio di occhi chiari e poco più limpidi degli altri.
Perdersi di nuovo. Non ritrovarsi mai più.
Erano questi i suoi ricordi, la tenevano ancora inchiodata su quel divano. Quante volte era arrivata a quel punto? Quante volte aveva immaginato una spiaggia sicura?
Erano ancora ricordi di giorni assolati e finta felicità, che brava attrice che era stata, quante maschere aveva finto di togliere e ora si stava ancora lavando la faccia con le lacrime.

Era arrivata più volte a quel punto di non ritorno, almeno così pensava lei, poi succedeva qualcosa, arrivava il suo cavaliere a salvarla e allora era un nuovo teatro, nuove maschere e battute. Quanti spettatori per quella patetica commedia, quanti spettacoli felici aveva osservato sotto la sua maschera, ma quanti potevano essere veri? Quanti avrebbero voluto scappare come lei? Quanti non lo avevano ancora fatto? E perché?
Troppe domande come sempre.

Fissava la valigia e vedeva ancora ricordi, quelli lasciati a qualcuno con magliette che ormai lei non aveva più, quelli legati a un pezzettino di stoffa. Non poteva rinnegare tutto quel bagaglio, era lei.
Ed era lei il suo carnefice e la vittima.
Era lei il presente e il suo futuro.
Era lei la tela ed il pennello.
Lei il peso e la valigia.

Era solo e sempre lei.

Era lei le sue maschere, una per una, ogni singolo sorriso e taglio degli occhi, ogni lacrima e ogni gioia, ogni spettacolo e ogni spettatore.
Si alzò con le guance ancora umide e cominciò a disfare la valigia, come un attore che sistema paziente i suoi vestiti di scena e ripete in testa il suo copione.

Sorrise pacatamente. Poteva solo vivere ed interpretare quell’assurdo spettacolo.

 

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