Promessi Rivali

di Lumos and Nox
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'Accordo ***
Capitolo 2: *** I Prescelti ***
Capitolo 3: *** Tra Balli e Pappe ***
Capitolo 4: *** Di Elefanti, Carte e Broccoli ***
Capitolo 5: *** Gli Occhi della Notte ***
Capitolo 6: *** L'Innocenza Perduta ***
Capitolo 7: *** La Fine (prima parte) ***



Capitolo 1
*** L'Accordo ***


L'Accordo




Il Convento Contento era l'assemblea più importante- nonché l'unica- di tutto il White Realm. Convocava tutti gli abitanti del regno, senza alcuna esclusione, e si svolgeva nella torre Rewot, sopra una collina poco distante da Good, la capitale.
Migliaia di vesti dai colori più sgargianti e disparati si susseguivano all'entrata della Rewot, chiacchierando animatamente tra loro. Il tranquillo frastuono, alimentato ulteriolmente dall'orchestra che accoglieva i vari visitatori, si sentiva perfino da una delle salette più alte e appartate della torre.
Da una delle finestre della saletta, Topolino osservava pensieroso gli stendardi bianchi delle varie province ergersi come nuvole sopra la folla variopinta.
Qualunque fossero le sue preoccupazioni, vennero interrotte da un sonoro «Yuk!».
Pippo era comparso al suo fianco, colmo di depliant del programma perfino nelle orecchie. «Qualcosa non va, Topolino?»
«Oh no, Pippo» rispose lui, scuotendo la testa insieme alle orecchie paraboliche. «Ho solo una strana sensazione.»
«Allora vieni!» esclamò il suo amico, accompagnandolo con una mano collosa al tavolo degli altri. «Il mio bis-bis-bis diceva sempre che incollare in compagnia fa tornare l'allegria!»
«O ti fa venire voglia di spaccare qualcosa» borbottò Paperino, cercando di staccarsi le mani dal tubetto di colla e facendo sospirare Paperina, seduta accanto a lui.
Topolino non riuscì a trattenere un sorriso e si sedette vicino a Minnie, che tendeva il collo verso le finestre per riuscire a vedere la parata.
Quando si girò verso di lui, per poco non lo fece cadere a terra, colpendolo con le orecchie.
Minnie, apparentemente ignara del suo tentato Topolinicidio, ridacchiò. «Il Convento sembra ancora più rumoroso del solito, caro. C'è qualche occasione speciale?»
«Bè, si, naturalmente» spiegò lui, riordinando alcuni fogli. «Oggi si festeggia l'anniversario della separazione dal Black Realm, ricordi?»
«Ecco perché Megara era così di buon umore oggi!»
«Ma...» si intromise Paperina, con una nota di preoccupazione nella voce, «hai lasciato qualcuno di guardia al confine, vero?»
Topolino annuì, sospirando. «Ho dovuto mettere qualche soldato della Provincia del Sole*1 lì e anche sopra la torre. La considero una precauzione inutile, ma...»
«Con i Malvagi non si può mai sapere, abbiamo capito!» sbottò Paperino.
 
Il confine che separava i due regni di Phentesia, il White Realm e il Black Realm, era composto da un'articolata barriera magica, seguita da alte e possenti mura, progettate niente meno che dall'imperatore della Cina.
Gli uomini di guardia erano al massimo una decina, dato che ormai era chiaro a tutti che i Malvagi si fossero ritirati per sempre nel loro reame, umiliati da cocenti e ripetute sconfitte.
Proprio per quel motivo, i due fratelli Wilhelm e Jacob*2 erano ben impegnati in un'accesa partita a carte.
«Per me stiamo sbagliando» dichiarò Wilhelm, appoggiandosi all'elmo gettato sopra il tavolo.
«Cosa intendi dire?» chiese il fratello, continuando a mescolare le carte.
«Insomma...»
Alle spalle dei due, ben visibile dall'alto delle mura, la barriera magica tremolò e scomparve nell'aria.
«Poker non si gioca in due!»
Jacob liquidò la faccenda con una scrollata delle spalle. «Perché tu non hai mai giocato alla mia versione del gioco! Vedrai, non te ne pentirai!»
«E va bene...» sbuffò Wilhelm, grattandosi la barba. «A proposito di tue versioni, sei tu che hai portato queste?» domandò indicando due ampolle dall'aria invitante, che sembravano essere magicamente comparse sul tavolo.
«Saranno un pensiero della principessa Rapunzel, è sempre così gentile...»
«Ma sono comparse dal nulla...»
«Le avrà spedite Smemorina o Mama Odie! Qual è il problema, Wil?»
«Nulla, è che...»
«Non avrai mica paura di berle, vero?»
«Certo che no!» si irritò Wilhelm. Come a volerlo dimostrare, afferrò un'ampolla e la osservò.
Il liquido rosa sembrava tipico delle pozioni di Mama Odie e i suoi riflessi seducenti parevano invitarlo a bere.
Tolse il tappeto e tracannò tutto in un sorso, sfidando Jacob con lo sguardo.
L'improvviso sapore dolciastro gli fece scivolare per un attimo la testa sul tavolo.
«... Wil?» mormorò preoccupato Jacob.
Wilhelm si rizzò a sedere, entusiasta. «È buonissimo! Devi provarlo, Jacob!»
«Te l'avevo detto, io!» esclamò il fratello con un sorrisone soddisfatto, prima di svuotare anche lui la sua boccetta.
Si fissarono, ridendo.
«Dovremmo venirci più spesso qui!»
«Già! Altro che il Convento Contento!»
I due fratelli erano talmente sopraffatti dalle risate che quasi non riuscirono a smettere quando il naso di Jacob crebbe a dismisura e le orecchie di Wilhelm si allungarono.
«Che... che succede?» riuscì a rantolare Wil, mentre il fratello ancora ridacchiava.
Un attimo dopo, due lama con l'armatura giacevano svenuti a terra.
 
La Rewot era straordinariamente gremita quella sera.
Come ad ogni Convento Contento, d'altronde.
Se si aggiunge poi che ognuno dei presenti era impegnato in un'accesa conversazione con il proprio vicino, è scontato intuire il frastuono che infuriava, di gran lunga superiore a qualsiasi eventuale ballo di corte.
I muri bianco avorio della torre ospitavano centinaia- se non migliaia- di balconati, in quel momento tutti occupati, che permettevano di osservare e ascoltare al meglio ciò che veniva proclamato dal Consiglio Generale, riunito attorno ad un lungo tavolo al pianterreno.
Tutte occupate erano anche le sedie del tavolo, segno che ogni rappresentante o delegato del White Realm era presente.
A capotavola, ovviamente, sedeva Topolino che, terminata un'estenuante discussione con Pippo (si, quelle orecchie funzionavano benissimo e no, non assomigliavano a due padelle), si decise a richiamare l'attenzione del Convento.
Fece un segno eloquente al Bianconiglio che prese il fiato e soffiò con tutta la sua forza in un'enorme tromba.
Come ogni volta, funzionò: la torre piombò nel silenzio più che completo, riversando la propria attenzione su Topolino.
Il piccoletto si alzò solennemente in piedi (anche se pochi notarono la differenza) per iniziare il suo discorso.
«Hem, hem*3» tossicchiò e il suo sguardo scivolò su Rapunzel e Belle, il famoso duo Potteriano, scoprendole a scambiarsi uno sguardo complice, con annesso di risatine soffocate.
Le ignorò.
«Ehm... Buone e buoni! Abitanti del White Realm! Benvenuti a quello che di certo sarà uno splendido Convento! Il nostro regno vive ormai nella più completa pace e prosperità...»
«Oh, no» mormorò qualcuno alla sua destra. «Non quella predica!»
«Shhh, Paperino! Non farmi fare brutta figura!»
Topolino deglutì e continuò impelttellito.
«... periodo che è iniziato con l'esilio dei Malvagi...»
Le urla di giubilio e di gioia che di scatenarono nella torre interruppero bruscamente il bel discorso di Topolino. Da qualche parte, sopra di lui, Peter Pan e i Bimbi Sperduti cominciarono a fischiare la loro approvazione, mentre Robin Hood e la sua combriccola ebbero la bella idea di manifestare la loro felicità lanciando frecce a caso, che vennero prontamente fatte esplodere in fuochi d'artificio da Smemorina.
Topolino aspettò che il Convento si calmasse, ma quando da un lato della torre Merida iniziò a litigare furiosamente con Aurora, mentre dall'altro la band di Scat-Cat si esibì nel suo miglior sound jazz lanciando qua e là i biscotti di Tiana, si decise a saltare personalmente alla tromba del Bianconiglio.
E dopo due o tre strombacchi e un bell'acuto di Cenerentola e di Biancaneve, tutti si calmarono e si rivelarono nuovamente pronti per il suo discorso.
«Stavo dicendo...» ansimò ritornando al suo posto. «Il periodo di pace che è iniziato con l'esilio dei Malvagi...»
«Yu-uuuhu!! E vai così!!» ululò il Genio, immergendosi in una danza sfrenata che non ebbe però seguito.
«Ehm... uhm...scusate» mormorò imbarazzato per poi tirarsi forte in capelli e sparire in una nuvola di fumo blu.
Topolino rinunciò definitivamente a citare ancora i Malvagi, invidiando per un momento la sentinella sopra la torre, che si stava godendo la serata in tutta tranquillità.
 
La guardia in questione, Charles Perrault*4, se ne stava stravaccata su una seggiola e non condivideva affatto il pensiero di Topolino. Era un tipetto malinconico, un animo romantico e introverso, ma avrebbe tanto voluto avere un ruolo più importante nel Convento.
Sospirò, osservando l'immensa volta stellata, di un blu intenso, interrotto di tanto in tanto dalle sagome nere delle torri di Good.
Era una serata veramente romantica, una di quelle che Charles avrebbe voluto passare con Nakoma, la bella indiana, se mai avesse avuto il coraggio di rivolgerle anche solo la parola.
Sospirò ancora, stavolta con maggior malinconia, e immerse pigramente la mano nel suo cestino da spuntino.
Quasi si sorprese quando si ritrovò ad afferrare una bella mela rosso sangue.
Oh, il suo amore per Nakoma era come quel frutto. Bello, ardente e passionale.
Poco importava che fosse impossibile.
Si rigirò un'ultima volta la mela fra le mani e poi le diede un morso. Fece in tempo solo ad emettere un altro sospiro, prima di cadere a terra, con una strana risata che gli risuonava tra le orecchie.
 
Il Convento procedeva abbastanza tranquillamente. Topolino stava riprendendo fiducia nel suo discorso, ed era riuscito a mantenere la parola dalla figuraccia del Genio.
«E perciò» stava concludendo «dobbiamo continuare così, perché solo nell'unità...»
Un nuovo boato interruppe le sue parole, e per un attimo Topolino non capì chi del Convento potesse fare così tanto rumore, né tantomeno per quale motivo dovesse farlo.
Poi il suo sguardo seguì quello degli altri verso la porta principale. Non erano grida di gioia, né danze o incantesimi strani.
Erano come... esplosioni. Ed erano sempre più forti, come in avvicinamento.
Il Convento sembrava essersi cristallizzato.
Tutti sembravano trattenere il fiato, tutti rimamevano immobili ad attendere.
Solo Merlino e Mama Odie ebbero la prontezza di sfoderare l'uno la bacchetta, l'altra un bastone nodoso.
Ma, prima che potessero fare alcunché, il portone si scardinò cigolando.
Si schiantò rovinosamente a terra, provocando una nube di polvere.
Nonostante i vari tossicchii, nessuno poté fare a meno di distinguere le sagome che man mano stavano iniziando ad entrare, come nessuno poté non riconoscere quelle risate inconfondibili.
Ancora prima che entrassero, qualsiasi Buono ne era ormai certo.
I Malvagi erano ritornati.

Un alto uomo dal colorito bluastro e una donna dalle vesti nere e dall'alto scettro fecero il loro ingresso nella torre, come a capo di una parata.
«Buonasera, signore e signori! O forse dovrei dire, Buone e Buoni!» esclamò Ade, accompagnando le sue parole con un singolo battito di mani. «Vogliate scusarci per l'interruzione, speriamo di non aver disturbato troppo.»
«Ma ormai credevamo che l'avreste imparato» si intromise gelida Malefica, il corvo che le volteggiava con grazia attorno. «È segno di maleducazione ostinarsi a non invitare i propri vicini.»
Nella torre regnava il silenzio più assoluto e i passi dei due malvagi sembravano sostituire qualsiasi suono. Intanto, sui resti della porta, si accalcava il resto del gruppo.
Yzma, Grimilde, Jafar, Radcliffe, Facilier e Shan Yu entrarono a passo regale, ghignando e lanciando occhiate di puro odio a gran parte deI presenti. Alle loro spalle, all'aperto, un'intera orda di unni aspettava un eventuale ordine di massacro.
«Che cosa volete?» domandò Topolino. «Siete stati banditi.»
«Tu in special modo, Malefica!» urlò Serenella, trattenuta a stento da Fauna e Flora.
La Regina del Male alzò le soppracciglia. «Ma che gelida accoglienza. Proprio non me l'aspettavo da una fatina.»
«Topolino ha ragione» intervenne Merlino, riuscendo a placare qualsiasi altra replica. «Che cosa volete?»
«È semplice, nonno» disse serafico Facilier, dopo aver ammiccato ad una furente sirena. «Siamo qui per proporvi una piccola partita a poker, non è ovvio?» continuò, posando sul tavolo un bel mazzo di carte da poco rubate. «Avanti, chi si fa una giocata?»
«Non è di certo il momento, Facilier» commentò disgustato Jafar.
«Il motivo è comunque semplice » riprese Ade, mentre Yzma inveiva silenziosamente contro il Re delle Ombre. «In poche parole, vicini cari, abbiamo deciso di dichiararvi guerra.»
Ancora una volta un silenzio carico di tensione scese sull'intera torre.
Il pianto di un neonato spezzò quel clima, subito seguito da mormori sempre più concitati che iniziarono a trasformarsi in vere e proprie urla.
«Sapete benissimo che una vostra vittoria è impossibile» quasi strillò Topolino. In un attimo, si ritrovò ad essere osservato dall'intero Convento. «Sarebbe soltanto una perdita di vite riaprire un conflitto tra i due Reami, dato che i Buoni vincono sempre.»
Era il fato di Phentesia a decretarlo.
Malefica sogghignò. «La morte dei propri nemici ha un prezzo, Re Topolino» disse, riempiendo di disprezzo le sue ultime parole. «Voi quanto siete disposti a pagare?»
Topolino cercò di trovare una soluzione, mentre già il panico invadeva di nuovo la torre e gli scontri verbali tra Buoni e Malvagi minacciavano di degenerare.
Non poteva permettere un'altra guerra. Nonostante avessero la certezza della vittoria, le perdite sarebbero state ugualmente devastanti. E i Malvagi, pur di sterminarli, avrebbero scatenato continue battaglie.
«Le regole di Phentesia sono valide soltanto per i suoi abitanti» gli sussurrò una voce all'orecchio.
Topolino si voltò di scatto, ritrovandosi a pochi centimetri dal volto rugoso e stranamente serio di Mama Odie. La strega lo colpì alla testa con il suo bastone, che si rivelò essere il suo serpente. «Fa' il tuo dovere, adesso, e sbrigati, che la mia zuppa mi sta aspettando!»
«Le regole di Phentesia sono valide soltanto per i suoi abitanti!» ripeté a gran voce Topolino, mentre Mama Odie se ne andava canticchiando.
«E quindi?» domandò Ade, alzando un sopracciglio.
«Basterà prelevare due persone di un altro mondo, non soggetto alle nostre regole...» Topolino fissò prima Ade e poi Malefica. «E il loro scontro decreterà quale reame dominerà sull'altro. Per sempre.»
I due Malvagi si scambiavano un'occhiata, mentre il resto del Convento osservava sbalordito Topolino, che si stava già pentendo della sua proposta.
Era giusto caricare due persone di un peso simile?
Ma non poté rimurginare oltre.
«Accettiamo» stabilì Malefica con un gesto del capo, accarezzando Diablo, appollaiato sullo scettro.
«Bene» disse Topolino, provando a sovrastare le polemiche che cominciavano a scoppiare qua e là. «Ci rincontreremo tra una settimana al confine per discutere i dettagli.»
Malefica acconsentì con un altro cenno ed uscì, seguita da Jafar.
«Ci si vede, gente!» esclamò Ade, sbracciandosi per salutare il Convento e lasciando Radcliffe e Shan Yu a prelevare Grimilde da una rissa con Kida.
Facilier e Yzma uscirono subito dopo, non prima di aver dato accidentalmente fuoco al sedere del povero Winnie the Pooh.
«Oh, rabbia» si lasciò sfuggire l'orsetto, mentre Turchina lo aggiustava con un colpo di bacchetta.
Il Convento Contento piombò definitivamente nel caos.
I Buoni correvano o volavano da una parte all'altra, gridavano, urlavano e cercavano di chiarirsi o scambiarsi come meglio potevano le idee.
Topolino si ritrovò ad imitare lo sconforto di Winnie, mentre gran parte della tavolata si precipitava da lui, carica di domande e aspettative.


Disclaimer:i personaggi da me utilizzati appartengono esclusivamente alla Walt Disney e alla Disney and Pixar Productions. Tuttavia, i personaggi e i luoghi originali della storia e dell'intera serie appartengono in esclusiva a me.


N.d.A (tana di Nox)
Buonsalve! Eccomi qui, con un ritardo terribile, ma eccomi qui. Ho deciso di iniziare con una breve storia a capitoli con la pre-adozione di Nerissa e Helios, che avverrà nel prossimo capitolo. 
Che dire... Spero vi piaccia.
Ecco qui le note:
*1 (Provincia del Sole): la provincia governata da Rapunzel e dalla sua famiglia.
*2 (Wilhelm e Jacob): i due nomi sono quelli dei Fratelli Grimm, "ideatori" di gran parte delle storie ora conosciute.
*3 (Hem, hem...): tipico schiarimento di gola di Dolores Umbridge, comparsa a partire da Harry Potter e l'Ordine della Fenice.
*4 (Charles Perrault): altro scrittore, famoso per le sue "Fiabe di Mamma Oca".
Dare questi nomi alle comparse è stato una sorta di omaggio agli scrittori che hanno reso possibile la stesura delle fiabe più famose, materia prima della Disney, dopotutto.
Riguardo alla geografia, come forse avrete intuito, il Regno di Phentesia è diviso in due reami, il White Realm (abitato dai Buoni) e il Black Realm (popolato dai Malvagi).
Ho pensato di dividere il White Realm in differenti province, governate dai personaggi più famosi. A capo di tutti vi sta l'Assemblea Generale, che riunisce il Convento Contento anche più volte al mese. Del Black Realm si parlerà più avanti.
Come già detto, i primi due o tre capitoli saranno intervallati da squarci della vita di Nerissa e forse anche di Helios, piccoli attimi di comicità. Ma a partire dal quinto capitolo si entrerà nella Death!fic.
Ho immaginato che i vari personaggi si fossero trovati a Phentesia dopo lo svolgimento del loro cartone. Solo i personaggi deceduti nei primi 20-30 minuti dei cartoni sono morti (in pratica, i Cattivi morti sono vivi e vegeti, mentre gente come Mufasa o la mamma di Bambi sono morti. Eh, è la vita), in più sono presenti solo alcuni sequel (i più degni per capirci). Ci tengo a ribadire che l'immagine ad inizio capitolo non è mia: l'ho trovata molto tempo fa e adattata alla storia. Appena trovo l'autrice ve la segnalo.
Ah, dimenticavo: il titolo è assolutamente provvisorio, se avete qualcosa di meglio sparate pure :)
Spero che vi sia piaciuto :)
Un grazie a tutti coloro che sono giunti fin qui, anche da parte di Nerissa per coloro che avranno il coraggio di recensire.
Baci
Nox


P.s: un'ultima cosa, per decidere a quale delle mie long dare precedenza, mi baserò principalmente sulle recensioni ricevute, quindi l'arrivo del prossimo capitolo potrà variare.

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Capitolo 2
*** I Prescelti ***


I Prescelti




Una serata alquanto piovosa accolse i tre Malvagi, che si dirigevano svogliatamente al confine, scortati da quelle che sembravano carte umane.
«Non ho ancora capito perché dobbiamo andarci proprio noi!» gracchiò Iago mentre tentava di ripararsi sotto al mantello di Jafar.
Malefica lanciò al Gran Visir un'occhiata gelida che spiegò la conseguente sberla che ricevette il pappagallo.
«Siamo i tre Malvagi più influenti, amico pennuto» disse Ade, passandosi una mano tra i capelli infiammati. «Nonché quelli più temuti. E-ehy, è sempre utile fare una "buona" prima impressione... Anche se forse non è stata una grande idea per alcuni» continuò, fissando con un mezzo ghigno Jafar. «Dato che a quanto pare Gran Visir e pioggia non vanno d'accordo, vero Jaffy?»
«Potrei dire lo stesso di te» replicò Jafar, sistemandosi meglio il turbante, urtato dal vento. «Non è già la decima volta che ti riaccendi i capelli?»
«Spero per voi che non abbiate questi comportamenti con il moccioso. Non ha bisogno di esempi così deboli» arrivò loro la voce sferzante di Malefica, poco più avanti e del tutto indifferente alla pioggia.
Ade e Jafar ammutolirono, lanciandosi occhiate ostili.
«Oh, certo, è facile per lei parlare!» borbottò dopo un po' Iago, mentre Jafar osservava irritato come Ade stesse cercando di redimersi agli occhi della Regina di tutti i Mali. «Ha chiesto a Magò un'incantesimo anti-pioggia, ne sono sicuro!»
«Taci, Iago» ordinò disgustato il Gran Visir, stringendo le nocche sul suo scettro.
Era già stato abbastanza frustrante scoprire che, per ottenere il dominio dei Buoni, avrebbero dovuto allevare uno stupido moccioso.
Certo, in quel modo lo avrebbero educato al meglio, insegnandogli la Magia Oscura e l'odio verso il White Realm, ma... la sola idea di badare ad un irritante marmocchio gli faceva venire il voltastomaco.
Mai come a Gothel, che aveva avuto una crisi di nervi, ma di certo non avrebbe sopportato un'altra viziata e inutile Jasmine. Per fortuna, il fatto che ci fosse in ballo il dominio di Phentesia aveva convinto immediatamente l'intero Black Realm.
Dopo un'altra decina di minuti, finalmente, superarono un varco della barriera magica appositamente aperto per loro- Jafar non provò nemmeno a trattenere un ghigno al ricordo di come, una settimana prima, l'avesse distrutta insieme a Facilier.
Una delle tende di Re Riccardo apparve loro appena sotto le mura, circondata da guardie cinesi. Topolino si degnò addirittura di uscire a salutare i Malvagi, per poi rientrare con loro.
All'interno, piccole fiammelle volanti- forse fuochi fatui- ardevano qua e là, illuminando un semplice tavolo con sopra due involucri di stoffa, che Jafar associò ai due poppanti.
Mulan era appartata in un angolo della tenda, lo sguardo fisso sui tre Malvagi mentre continuava ad affilare la sua spada. Poco distante, Merlino stava seduto su uno sgabello, con Anacleto appollaiato sul cappello.
Il gufo e Iago si scambiarono un'occhiata di puro disprezzo.
Sul tavolo Bianca e Bernie correvano da un marmocchio all'altro, riuscendo a malapena a sollevare biberon e orsacchiotti.
Jafar arricciò le labbra, disgustato, mentre Malefica mormorava maliziosa qualcosa riguardo alle malattie dei topi.
«Li abbiamo prelevati stamattina» disse Topolino, ignorando la Regina di tutti i Mali e guardando con dolcezza i due neonati. «Ci siamo assicurati che non abbiano alcun tipo di legame. E nessuno dei presenti sa quale sia il maschio e quale la femmina».
«Perdona l'interruzione, socio» lo bloccò Ade, alzando una mano ossuta. «Avevo capito che sarebbero stati entrambi maschi».
«Per un discorso di maggior equilibrio si è deciso così» sbottò Mulan.
«Oh, certo, maggior equilibrio... non disperazione di voi Buoni, quindi?»
«Scegliete il neonato» riprese pacato Topolino, fermando quella che sarebbe degenerata in una rissa.
Malefica fece un passo avanti, seguita dai due Malvagi.
Non si avvicinò oltre, limitandosi ad osservare quasi annoiata il fagotto di sinistra e quello di destra. Entrambi rivelavano a malapena due visetti tondi, uguali a quelli di qualsiasi marmocchio.
Prima che Ade o Jafar potessero fare alcunché, Malefica indicò con un gesto secco il fagotto desiderato.
Quello di sinistra.
Merlino, che nel frattempo si era alzato, prese delicatamente il neonato tra le braccia, porgendolo ad una palesemente scocciata Malefica.
La strega afferrò il fagotto e lo scoprì malamente.
Capelli chiari scivolavano sulla testa del poppante, che teneva tra le mani un cartoncino rosa.
«Congratulazioni» esclamò Merlino, con un sorriso sincero. «È una-anzi, è la femmina. È un grande onore».
I volti di Jafar e Ade non potevano esprimere più ribrezzo, mentre quello di Malefica rimase imperscrutabile.
«Bene» si intromise Mulan, la delusione percepibile nella voce. «Ora potete anche andarvene» concluse, avvicinandosi a Merlino, che aveva preso tra le braccia il bambino, coinvolgendo tutti i Buoni presenti in una stucchevole immagine di famiglia felice.
Ade simulò un conato di vomito, che Topolino finse di non vedere.
«Le regole sono semplici» spiegò. «Nessun contatto né informazione sull'altro reame. Educatela e addestratela come meglio credete. E Merlino ha ragione, è veramente un grande onore». Si sporse per accarezzare la testa della bambina, ma Malefica allontanò la poppante con un gesto secco.
«Abbiamo detto nessun contatto, Re Topolino» ricordò la strega con un sorrisetto.
Il Buono sospirò. «Ci rivedremo tra quindici anni all'Arena che verrà appositamente costruita nelle Terre Centrali» concluse, prima di salutarli e ricongiungersi al gruppo "sdolcinati attorno al marmocchio".
I Malvagi uscirono dalla tenda e iniziarono a ritornare alla carrozza che avevano lasciato poco distante dal confine.
«Che grandissimo onore! A momenti ci resto proprio secco, per l'onore!» sbottò dopo poco Iago, strappandosi isterico le penne. «Dove cavolo lo trovano l'onore nel pulire il moccio ad una poppante per quindici anni?!»
«Una meravigliosa sorpresa, non è vero?» sibilò livido Jafar.
«Ma vi rendete conto?» esclamò Ade, con un sorriso, quasi stessero scherzando. «È una bambina!» urlò poi, prendendo per un attimo fuoco. Si calmò, lisciandosi i capelli con un gesto nervoso. «Noi a perdere tempo con lei, mentre i Buoni se ne stanno là ad addestrare la nostra rovina».
«Ora basta, idioti!» gridò Malefica, girandosi verso di loro, furibonda come non mai. Sembrava quasi sprigionare l'oscurità stessa della notte.
La marmocchia scoppiò a piangere.
«Cretini! Imbecilli!» proseguì la strega, al cui confronto Ade e Jafar sembrarono farsi piccoli piccoli. Iago volò sotto il mantello del Gran Visir. «Suppongo che per le vostre limitare capacità mentali sia troppo complesso capire quanto poco importi che il nostro Prescelto sia una femmina! Sarà ugualmente la nostra salvezza, la rovina dei Buoni! Meglio di quel moccioso maschio che si ritrovano loro! Meglio di voi, che non siete altro che una vergogna per le forze del male!» decretò, gelandoli con uno sguardo.
Scaricò la bambina urlante in braccio ad Ade. «E ora cercate di rendervi utili, se non volete essere esiliati!» aggiunse prima di rincamminarsi con passo altero verso la carrozza, poco distante.
Ade aspettò che Malefica si fosse allontanata, prima di osservare con occhio critico la marmocchia. «Baboom. Da Ade, il Dio dei Morti, a babysitter part-time. Direi che non potrebbe andare peggio».
«Oh, non essere così melodrammatico, Ade» commentò annoiato Jafar, sorpassandolo.
Il pianto della bambina non fece che aumentare il nervosismo del dio, che rischiò più volte di prendere fuoco. Raggiunse il Gran Visir in un attimo.
«Senti un po', Jaffy caro, mio malgrado, Malefica ha ragione» esordì furioso, portandosi una mano alla tempia, mentre con l'altra teneva la bambina. «Abbiamo quindici anni per trasformare questa... cosa in una spietata macchina da guerra, quindi scendi dal tuo piedistallo e muovi quelle gran visiriche chiappe!» concluse urlando e prendendo definitivamente fuoco.
Fortunamente la bambina non subì nessuna ustione, essendo stata gettata in fretta e furia in braccio a Jafar. Prima che questo potesse replicare, Ade sparì in una nube di fumo, alla volta di Malefica.
«Non vorrei fare l'uccellaccio del malaugurio, ma ti hanno fregato, Jafar!» strillò Iago in un orecchio del Gran Visir, che gli afferrò prontamente il becco, costringendo a tacere.
Jafar osservò con una smorfia il volto arrossato della mocciosa e, dopo aver controllato che nemmeno quelle inutili guardie-carta lo stessero osservando, le avvicinò il suo scettro.
Gli occhi ipnotici del serpente furono la prima cosa che la bambina vide del mondo.
«Smettila di piangere» mormorava Jafar in una severa litania. «Tutto andrà come deve andare... smettila di piangere!»

«Ohmacchecarino!» fu l'esultazione generale che accolse il neonato prescelto al suo ingresso al castello di Good tra le braccia di Topolino.
Minnie lo prese delicatamente, ridacchiando, mentre una folla indistinta di principesse, principi, animali e fate la attorniava, in visibilio.
«Oh, è così tenero!»
«Che ne dici di fargli fare un giro, Dumbo?»
«Ma che bel visino!»
«Dobbiamo fargli dei doni, come ad Aurora?»
«Scommetto che adora i gatti!»
«E anche tirare con l'arco!»
«Si vede proprio che è un Buono!»
«Ma ce l'ha già un nome?»
Topolino si allontanò, ben felice di essere, per una volta, in disparte. Salì l'amplia scalinata e si sedette su una delle poltroncine del salone superiore.
Il giorno del Convento tutti si erano agitati e preoccupati per ciò che era successo, ma dopo qualche rassicurazione, qualche bella parola, tutto si era risolto. E tutti si erano convinti che andava bene, che era giusto.
Ma Topolino non ne era più tanto sicuro.
Continuava a ripetersi che, anche se era giusto per loro, per il White Realm e per il Black Realm- per l'intera Phentesia, non era giusto per quei dei fagottini, per quei due bambini.
Appoggiò la testa sui palmi, osservando dall'alto tutti i Buoni che si accalcavano per vedere e coccolare il bambino.
La loro salvezza...
«Eh, eh» ridacchiò qualcuno dietro di lui. Topolino si girò, scoprendo Merlino a salire con passo pesante le scale.
«Fa sempre un certo effetto osservare i cambiamenti dall'alto, non è vero? Sembra quasi di guardare la televisione».
«Oh, scusami, Merlino. Ero sovrappensiero» disse, facendo per alzarsi per chiedergli il posto.
Il mago lo fermò con un gesto della mano. «No, no, lascia pure».
Gli diede le spalle, facendo cenno a qualcuno di avvininarsi. Una poltrona sbucò fuori dal nulla, trotterellando fino a raggiungerlo. «Ecco qua» concluse Merlino, sedendosi. «Allora, Topolino: cosa ti preoccupa?»
«Bè... ehm, ecco...» Topolino osservò imbarazzato il viso magro e tranquillo del mago. «Io credo che... sia sbagliato» ammise, abbassando lo sguardo. «Non è giusto caricare due bambini di un peso così grande».
«Sono d'accordo con te, due bambini non dovrebbero avere certi pesi. Ma nessuno di noi dovrebbe averli, non credi? Guarda Semola: a dodici anni è diventato re dell'Inghilterra e ora siede in consiglio con noi. Oppure guarda Cenerentola. È sempre stata costretta a lavorare per la sua famiglia e poi si è ritrovata regina».
«Però è... una situazione diversa!» esclamò Topolino. «Loro... loro erano pronti, come ognuno di noi. Semola ha ricevuto il tuo aiuto, Cenerentola quello di Smemorina...»
«È proprio per questo che dobbiamo cercare di educare al meglio il nostro protetto. Saremo noi, tutto il White Realm, il suo "aiuto"».
«Ma... la bambina...»
Merlino arrangiò un sorriso dispiaciuto. «Lei è nelle mani del Black Realm. E, per quanto sia ingiusto, è fuori dalla nostra portata».
Topolino scosse la testa. «Sono... solo dei bambini».
«E sono la nostra unica speranza, Topolino. L'unico contratto che impedisce una nuova guerra. Dobbiamo accettarlo» concluse il mago, scivolando pian piano in un tono triste.
Il silenzio li avvolse come un vecchio amico e i due si ritrovarono immersi nei propri pensieri, vendendo però presto interrotti da una vocina allegra.
«Ehi, voi!» Pinocchio trotterellava verso di loro, seguito a ruota da un esaltatissimo Stitch.
«Cosa succede, mio buon Pinocchio?» domandò Merlino, alzandosi. Topolino lo imitò e entrambi raggiunsero il burattino che ballava felice sul posto.
«Ci hanno mandato a chiamarvi, perché hanno deciso il nome del bambino!»
«Helios!» esclamò Stitch, con tanta enfasi da doverlo ripetere più volte per farsi capire.
«Helios?» ripeté infine Topolino, riuscendo a dimenticare per un attimo le sue preoccupazioni.
«È un nome greco, se non sbaglio!» si intromise Merlino, pulendosi gli occhiali con un lembo della tunica. «Significa sole, e era anche associato ad una divinità che...»
«Si, l'ha proposto Belle!»
«Helios coccoloso!»
«Bè, non arriverà da nessuna parte senza una presentazione adeguata. Andiamo, voglio vederlo meglio!» riprese il mago. Evocò con un colpo di bacchetta una tavola da surf con cui, insieme a Pinocchio e con Stitch aggrappato al cappello, si precipitò giù dalle scale.
Topolino sospirò, scuotendo la testa, e si decise a tornare anche lui nel salone principale, da dove proveniva già della musica, seguita da cori di «Viva Helios!»
 
«Morte!»
«Verdolina!»
«Grimilde seconda!»
Le urla e gli insulti, seguiti da incantesimi, pozioni, armi lanciate e quant'altro, risuonavano da più di un'ora nella sala riunioni del Black Castle.
Era in programma che si sarebbe riunita soltanto l'Oligarchia dei Dieci*1, con il risultato che gran parte dei Malvagi si era infiltrata per dimostrare quanto fosse migliore degli altri.
Dopo lo schock iniziale di aver ricevuto una marmocchia- scongiurato dal fatto che metà dei presenti fosse costituita da Malvagie del calibro di Malefica, si era accesa una discussione infinita su quale sarebbe stato il nome della poppante.
Su cui tutti avevano da ridire.
«Regina!»
«Ma non farmi il piacere... Eris!»
«Non voglio nomi della Dreamworks in questo castello, Ade!»
«Ah, ma davvero? E altrimenti che mi fai, mi strangoli con le tue pellicce?»
«Siete tutti dei peccatori, nient'altro che dei maiali volgari! Si chiamerà Maria!»
Frollo venne prontamente colpito da una delle scarpe di Genoveffa. «Maiale sarai tu, idiota!»
«Eglentine!» dichiarò solenne Edgar, spiaccicando senza tanti complimenti un intero vassoio di tartine su Madame Medusa, che si liberò con un balzo, schiacciando il maggiordomo. «È così orribile che la mocciosa si spaventerebbe da sola!»
«A proposito, dov'è finita?» chiese Ursula, impegnata a strangolare il Principe Giovanni con uno dei suoi tentacoli.
Mai prima d'ora qualcuno dei Malvagi aveva ottenuto così velocemente silenzio.
Tutti i presenti si guardarono freneticamente attorno, sperando di intravedere il fagottino da qualche parte.
La prima a rompere quel silenzio innaturale fu Malefica.
«Non... non avrete perso la bestiolina*2, spero!» esclamò dall'alto del suo trono, dove si era rifugiata per colpire al meglio gli avversari.
«Non può essere scomparsa» ragionò Scar con il suo solito tono noncurante. «Cercatela meglio».
«Molto d'aiuto, direi» decretò Jafar, accanto a Malefica.
«Oh, giuro che ti aiuterei, Jafar» sospirò il leone, con esagerato dramma. «Ma se parliamo di forza bruta, lo sai. Temo che l'impronta genetica sia piuttosto carente. Tu mi capisci, vero?»
Il Gran Visir sguainò lo scettro, facendo ringhiare Scar, ma Malefica lo bloccò, fermandogli il braccio. «Chi l'ha vista per l'ultima volta?»
«Era su quel tavolo» rispose Madre Gothel, indicando una scrivania miracolosamente intatta in fondo alla stanza. «Ne sono sicura».
«Ne sei sicura come anche lo sei di essere bella?» chiese pungente Grimilde. Le due fecero per scagliarsi degli incantesimi, quando Ade si intrapose.
«Sono mortificato per l'interruzione, signore, ma appena trovata la peste potrete continuare fino a sputare sangue».
Gothel e Grimilde si guardano torve, in un lungo sguardo d'odio che venne però interrotto dalla Regina, che spalancò gli occhi guardando qualcosa alle spalle della sua avversaria.
«Che schifo hai sul piede, Yzma?»
L'alchimista diede un'occhiata distratta alle sue scarpe, per poi iniziare a strillare, saltellando istericamente. «Togliemelo, togliemelo!» gridò a Facilier, rovesciando e calpestando qualunque cosa o persona le capitasse davanti.
Il Re delle Ombre cercò di fermarle il piede, venendo colpito da un poderoso calcio che fece volare lo "schifo" per tutta la sala.
Come al rallentatore, i Malvagi osservarono il grumiglio di coperte disegnare un'ampia arcata, rivelando il viso sorridente della bambina.
«La mocciosa!» strepitò Maga Magò, indicandola.
Tutti i Malvagi cercarono di afferrare le loro armi per salvare la loro salvezza, mentre questa precipitava.
La mocciosa piombò dritta addosso ad Uncino che riuscì per miracolo ad afferrarla al volo.
Tutta la sala emise un sospiro di sollievo.
«È tutta sporca di roba nera!» si lamentò Uncino, salvando inconsapevolmente Yzma da una sua prematura morte ad opera degli altri Malvagi.
«Ursula... non avrai di nuovo seminato il tuo inchiostro da qualche altra parte, spero!»
«Mi ritengo offesa da tutte queste accuse: sarà stata Morgana, come sempre. E poi l'importante è che la marmocchia sia stata trovata!»
«Potrebbe essere un segno del destino» ragionò Re Cornelius dall'angolo più buio della stanza.
«A cossssa ti riferissssci?» domandò Sir Biss, accigliato, dall'alto del lampadario dove era stato spedito.
«Tutto quel nero, quell'oscurità che i nostri incantesimi le porteranno... perché non chiamarla Oscura, Nera o...»
«Nerissa» suggerì qualcuno.
«Nerissa!» ululò Gaston, senza probabilmente aver capito una parola di quanto appena detto.
L'intera sala sprofondò in urla e incantesimi di approvazione, interrotti però dal frignare della mocciosa, che si rivelò essere ancora ben ancorata all'uncino del Capitano.
«E visto che le piace tanto Uncino, la potrebbe tenere lui» disse Facilier, massaggiandosi il mento ancora dolorante.
«Cosa?!» gridò il diretto interessato. «E perché io e non... Gothel o Yzma?!»
«Perché lei preferisce te, Capitan Ovvio» si intromise Shere Khan, guardandosi annoiato gli artigli.
«E tu hai sempre a che fare con i mocciosi sperduti!» ribadì Gothel, soddisfatta per lo scampato pericolo.
«Ovviamente ognuno di noi le insegnerà qualcosa» decretò Malefica, sedendosi. «Magia Oscura, cavalcata, caccia, metamorfosi, duello con ogni tipo di arma... dovrà essere perfetta per infliggere una sconfitta ancora più umiliante ai Buoni».
«I Malvagi regnano!» urlò Ade, prendendo fuoco per la gioia. Gli altri lo imitarono, scatenando subito dopo una rissa per festeggiare.
Solo Uncino si ritirò, furibondo.
Ma perché proprio a lui?
La mocciosa- o meglio, Nerissa- gli stava già facendo saltare i nervi, sbavandogli su tutto il suo completo migliore e, come se non bastasse, sembrava osservarlo, quasi in attesa.
Uscì dalla sala e poi dal castello, per dirigersi verso la carrozza che lo avrebbe riportato alla Jolly Roger.
Sapeva che sarebbe stato inutile anche solo pensare di controbattere con gli altri. Era già abbastanza difficile con due, figuriamoci con tutti d'accordo. Ma la marmocchia sarebbe stata un'enorme seccatura! Era come avere Pan ventiquattro ore su ventiquattro!
Nerissa lo stava ancora osservando.
«Che diamine vuoi, mocciosa?» sbottò infine.
«Come Capitan... oh!» esclamò Spugna, aprendogli la porta della carrozza e sporgendosi per guardare meglio. «Una bambina! Oh, ma che carina! È lei la...?»
«Si, Spugna. Ora taci!»
«Certo, Capitano. Ma... viene con noi?»
«Così hanno decretato quegli altri idioti! So già che mi farà impazzire!»
«Ma no, Capitano, vedrete che farà la brava e...»
«Taci, Spugna» ripetè in automatico il pirata, salendo sulla carrozza. «E tu stammi a sentire, mocciosa! Non credere che solo perché quei decelebrati hanno deciso che per ora starai alla nave, potrai fare i tuoi comodi o quant'altro! Pan mi ha staccato questa mano e l'ha data in pasto ad un coccodrillo, e io farò lo stesso a te se mi disturberai!»
Gli occhioni della mocciosa sembravano come invitarlo a proseguire.
Uncino si accigliò. «Vuoi sapere com'è andata? Bene. Allora, tutto iniziò quando...»
Senza accorgersene, con il dondolio della carrozza che partiva, Uncino si ritrovò a raccontare alla mocciosa- o meglio, a Nerissa- le sue avvenute, la sua storia, mentre la bambina pian piano si addormentava.
 

 
N.d.A (Nox's Castle)
E eccomi qui.
Capitolo piuttosto lungo, nevvero? Abbiamo visto i piccoli Prescelti essere "scaricati" ai loro reami e... cos'altro... ah, si, i dubbi di Topolino. Che dopotutto ha ragione. Ma ha ragione anche Merlino, voi che dite? Insomma, la vita non è giusta, no? #depressiontime
Riguardo alla discussione tra Ade, Jafar e Malefica, ho immaginato che i primi fossero piuttosto... prevenuti nei confronti delle eroine, dato che le loro esperienze con le ragazze non sono state tra le più felici. Insomma, Meg si è innamorata di Herc il Megafusto, mentre Jasmine è la perfetta immagine della principessa viziata, almeno agli occhi di Jafar. Per fortuna c'è Malefica, che risolve tutto.
Cambiando argomento, ecco le note:
*1 (Oligarchia dei Dieci): il Black Realm è governato da Dieci dei più malvagi tra i malvagi. Alcuni dei suoi componenti sono Malefica, Ade e Jafar, gli altri verranno rivelati più avanti.
*2 (bestiolina): ebbene si, citazione del film Maleficent.
E...credo di aver detto tutto. In base alle recensioni ricevute vedrò se continuare la fanfiction, perché sono un poco perplessa & dubbiosa :(
Intanto spero che il capitolo vi sia piaciuto :)
Grazie in anticipo a coloro che leggeranno/recensiranno.
Baci
Nox  

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Capitolo 3
*** Tra Balli e Pappe ***


Tra Balli e Pappe




La Festa d'Inverno*1 era iniziata già da un po' e nella Sala Principale del castello di Good si susseguivano camerieri pinguini carichi di qualsiasi tipo di leccornia, che venivano servite ai numerosi Buoni. Risuonava un tranquillo chiacchericcio, accompagnato dal basso crepitio delle fiamme del camino.
Ad un tratto, Sebastian si allontanò dalla folla e raggiunse il resto dell'orchestra- un'accozzaglia di pesci prontamente travasati in comode ciotole d'acqua, quattro o cinque sirene, due principesse, qualche nano e un coccodrillo con una tromba.
Un colpetto sul leggio del maestro per attirare l'attenzione di tutti e un attimo dopo nell'aria scivolavano le note di una dolce melodia, che pareva quasi invitare i Buoni a ballare.
Rapunzel non se lo fece ripetere due volte: afferrò Belle da una poltrona su cui si era rifugiata a leggere e si catapultò sulla pista da ballo.
Furono subito seguite da altre coppie, ideate appositamente per le danze.
Taron entrò timidamente in pista con Lilo e lo stesso fecero Esmeralda e John Smith.
Quasimodo sorrideva impacciato mentre Lady Marian gli volteggiava attorno, mentre poco più in là  Pocahontas mostrava una danza tribale ad un alquanto perplesso Tarzan.
«Vieni a ballare, papà?» domandò Kiara, facendo un cenno con la testa verso la pista da ballo, dove Re Andrew*2 e la Fata Turchina danzavano con grazia accanto a Baloo e Terk, che ballavano con tanta enfasi da costringere gran parte dei presenti a tenersi ben alla larga.
Simba sorrise. «Perchè non vai con Kovu?»
Kiara emise uno sbuffo divertito. «È molto impegnato a evitare Rafiki e Merlino».
Il leone si accigliò in uno sguardo interrogativo, che ottenne subito risposta.
«Vogliono un pelo della sua criniera per non so che pozione».
Padre e figlia non riuscirono a trattenere le risate.
«Comunque non posso, mi dispiace» si scusò poi Simba. «Sto badando ad cucciolo speciale, ora» disse, accennando con la testa al piccolo Helios, che cercava di afferrare la coda del leone, ridacchiando divertito.
Kiara sorrise e, dopo aver regalato al Prescelto del Bene una piccola spinta affettuosa con il muso, si gettò in pista, coinvolgendo uno scatenato Koda.
Simba sospirò divertito, alzando lo sguardo da sua figlia per scorgere Peter e i Bimbi Sperduti che svolazzavano insieme a Dumbo e a qualche indiano.
Era tutto così sicuro che a volte non gli sembrava reale.
Non c'era più Scar, non c'era più Zira. Nessuno avrebbe ucciso Kiara, nessuno gli avrebbe portato via un altro dei suoi figli*3...
Non avrebbe potuto chiedere di meglio per Kiara e Nala e il branco, ma... a volte non poteva fare a meno di domandarsi cosa sarebbe successo, cosa sarebbe accaduto se fosse esistito il White Realm prima di Kopa, prima dell'assassino di Kopa, del suo cuore...
«Se vuoi posso badare io al cucciolo d'uomo per un po'» decretò una voce, interrompendo i suoi pensieri.
Simba si girò, scoprendo accanto a sè un fiero quanto imperscrutabile Bagheera.
«Oh, ciao Bagheera» salutò con un cenno amichevole.
«Salve, Simba» disse la pantera, accomodandosi di fianco a lui.
«Non ti ho visto all'ultima assemblea. Va tutto bene?» chiese il leone.
«Sono stato molto impegnato con lui» si spiegò la pantera, accennando a Mowgli, che ballava con Alice.
«Davvero?» domandò Simba, continuando a muovere la coda per divertire Helios.
«Già. È passato dalla fase "sono un lupo e starò per sempre con i lupi" a "gli umani non sono così male", per poi arrivare alle avventure nello spazio».
«È tutto preso da questo Jim Hawkins» rispose la pantera ad uno sguardo perplesso dI Simba. «Che per fortuna non sembra essere al ballo. È quel cucciolo d'uomo che aveva un rapporto strano con John Silver...»
Le sopracciglia di Simba schizzarono verso l'alto. «Quel Malvagio?»
«Proprio lui» concluse dura Bagheera, tornando a squadrare Mowgli con gli occhi assotigliati.
«Capisco il tuo stato d'animo. Ho vissuto una situazione simile con Kiara e spero che Helios...»
Si voltò a guardare il Prescelto e spalancò gli occhi, ritrovando la sua coda a penzolare nel vuoto.
Il leone e la pantera si scambiarono un'occhiata allarmata, per poi scattare in piedi- o meglio, sulle zampe.
Osservarono freneticamente la pista da ballo, dove centinaia di piedi, zampe, zoccoli e ali rischiavano di colpire il bambino.
Sembrava di sentire le sue risate ovunque.
«Io vado a sinistra. Tu dall'altro lato» esclamò Bagheera, prima di sparire con due agili balzi.
Simba corse alla destra della sala, cercando di scovare un paio di piedini e una zazzera di capelli scuri in quella massa informe di gente.
Non poteva aver perso un bambino!
Non poteva finire come Kopa!
Cercò di tranquillizzarsi, prendendo dei respiri profondi. Lì Zira non c'era, non c'erano nè lei, nè Scar. Il bambino stava bene e lo avrebbe ritrovato, perchè ora...
Due piedini gli schizzarono davanti, tra la folla.
Era lui!
Con un balzo, si gettò nella pista e lo afferrò. Si rialzò, tenendo il Prescelto in bocca per il colletto e cercando con gli occhi Bagheera per tranquillizzarlo.
«Ehi! Ma che stai facendo?»
Simba sobbalzò, riuscendo fugacemente a pensare che Helios non sapeva parlare e non puzzava così. Abbassò lo sguardo, accorgendosi di avere in bocca nient'altro che Timon.
«Lasciami andare!»
«Oh, scusami!» farfugliò il leone, depositando delicatamente la suricata a terra.
«Ma che ti prende, Simba?» strepitò Timon, alzandosi e spazzolandosi con cura il pelo. «Posso capire che tu senta la mia mancanza» proseguì, regalandogli delle pacche sulla spalla, «ma... non vedi che sto ballando con la signorina?» concluse, indicando con un gesto della mano Gilda*4, che sbuffò per scostarsi un ciuffo di capelli dagli occhi. «Salve, dolcezza!»
Simba imprecò mentalmente. E ora? Che avrebbe fatto? In due era troppo difficile riuscire a trovare Helios... lo avrebbero accusato, avrebbe deluso ancora una volta tutti. A meno che...
«Bè, ehm... mi dispiace interrompervi, ma...» afferrò di nuovo Timon, stavolta per i piedi. «Mi servi urgentemente!»
«Oh, certo! E ti pareva!» si lamentò la suricata, a testa in giù e con le braccia conserte. «Le sorti ci sono avverse, mia adorata! Ma... chiamami!» strillò poi in direzione di Gilda, mimando un telefono con le dita.
La cagnolina lo guardò appena, indiferrente, mentre continuava a ballare con un cavallo magicamente comparso dal nulla.
«Si può sapere che diavolo c'è?» domandò scocciato Timon, una volta che Simba lo rimise per terra, lontano dalla pista. «In pratica, mi stava quasi per saltare addosso! L'avevo conquistata con il mio fascino!»
«Ho perso Helios».
«Si, immagino che per te sia un buon motivo, ma... aspetta, cosa?»
«Ho perso Helios» ripetè di nuovo Simba, masticando per bene quelle parole, per non farsi sentire dagli altri.
«Ok, aspetta». Timon si portò le mani alle tempie. «Come fai ad aver perso un bambino?»
«Parla piano! Stavo parlando con Bagheera e... oh, insomma, non è importante. Trova Pumbaa e cercalo con lui. Senza farvi scoprire.»
Timon gli rivolse un'occhiata tra lo scettico e l'annoiato.
«Per favore» lo supplicò il leone, completo di sorriso adorabile e sguardo implorante che avrebbero fatto invidia a Flynn Rider.
«E va bene» sbuffò dopo un attimo la suricata. «Solo per bontà del mio animo!»
Simba recuperò la sua solita espressione, soddisfatto, mentre la suricata si girava per cercare Pumbaa. Lo individuò dall'altro lato della sala, intento a strafogarsi di tartine.
«Ehi, Pumbaa!» urlò Timon a pieni polmoni, attirando l'attenzione di tutta la sala.
Il leone si battè disperato una zampata sulla fronte.
Timon si intrufolò nella pista, mollando spintoni qua e là per raggiungere il facocero. «Tornate pure a ballare voi, non c'è niente da vedere! Trattasi di emergenza privata!»
Simba preferì non guardare oltre e tornò alla ricerca di Helios.
Saltando da una coppia all'altra della sala e improvvisandosi di tanto in tanto ballerino per non insospettire gli altri, si imbattè in Bagheera, un'espressione alquanto disperata sul muso.
«L'hai trovato?» chiese, sperando che il suo cervello stesse sbagliando e che in realtà il piccolo Helios fosse in groppa alla pantera.
«Nemmeno l'ombra... e nemmeno tu a giudicare dal tuo sguardo».
Simba scosse la testa, disperato. «Se gli capitasse qualcosa, io...»
«Ehm, scusate» si intromise una vocetta stridula.
La pantera e il leone si voltarono, ritrovandosi davanti Timon, Pumbaa, Mama Odie e Topolino, che li fissavano severamente. O meglio, solo il topo li fissava, la strega si limitava a scuotere il suo serpente a mo' di bacchetta, ballando.
«Pumbaa ha spifferato» spiegò Timon con aria di sopportazione.
«Non ho resistito!» si scusò il facocero, arrossendo così tanto che Simba temette che stesse per... bè, per sganciarne una.
Il leone sospirò, per poi guardare Topolino. «Ho perso Helios». Abbassò il capo con aria colpevole. «Sono un incapace, lo so».
«Non è stata colpa sua» si intromise Bagheera, fiero anche in un momento come quello. «L'ho distratto io, pertanto sono colpevole quanto lui».
«No, non posso accettarlo, Bagheera» esclamò Simba. «Sappiamo entrambi che non è vero e...»
«Stop, stop, stop» sbottò Timon, con le mani alzate. «È tutto veramente molto commovente, ma non dovremmo cercare il piccoletto, adesso?»
«Timon ha ragione» decretò Topolino, lo sguardo che scivolava sulle coppie danzanti della sala. «Potrebbe essere ovunque. Farò fermare il ballo e...»
Venne fermato da un colpo sulla testa ad opera di Mama Odie, che ridacchiò. «Ascoltate la vostra mamma, adesso! Conosco un modo molto più veloce!»
Timon non fece nemmeno in tempo a sussurrare a Pumbaa uno dei suoi commenti sarcastici, che la maga si era già  portata le dita in bocca per emettere uno dei fischi più acuti mai sentiti.
Il Tappeto Magico emerse dalla folla, planando accanto a Mama Odie.
«Eh, eh, he!» strillò questa, facendo leva su Zuzu per salire con un balzo sul tappeto. «Forza, bambini! Andiamo a cercare il birbantello!»
Il resto del gruppo salì, riluttante.
Appena la coda di Pumbaa lasciò il pavimento, il Tappeto schizzò in alto a tutta velocità, con Mama Odie che ululava dalla gioia, attirando per un breve attimo l'attenzione dei presenti, ormai abituati alle sue trovate un po'... estreme.
La maga guidava il tappeto sfiorando il soffitto e sbandando qua e là  per evitare i Bambini Sperduti e il resto della loro compagnia volante.
«Mamma a bordo!» gridava euforica. «Spostatevi, carini!»
Timon rischiò ben due volte di vomitare, appoggiato stremato a Pumbaa, mentre Topolino e Simba si aggrappavano con tutte le loro forze per non cadere.
Bagheera si teneva in tutte tranquillità, nonostante avesse un colorito piuttosto pallido e sembrasse tormentato da una preoccupazione interiore. «Ma non era cieca?» domandò infine a Topolino, accennando a Mama Odie che intanto agitava il suo serpente per farsi largo.
Proprio in quel momento, la maga sembrò ricordarsene. Rischiò un frontale con Dumbo, sterzò ed evitò per un soffio una delle grandi colonne del salone.
Il tutto mentre gli altri gridavano.
Topolino ebbe la geniale idea di scostare Mama Odie e prendere il controllo del tappeto, portandolo ad una velocità  normale.
«Non vi sarete mica spaventati, eh, bambini?»
«Ora l'ammazzo» borbottò Timon, mentre Pumbaa si sporgeva per scaricare le tartine di sotto, evitando di poco il bel visino di Katrina*5.
«Avete sentito?» domandò all'improvviso Bagheera, gli artigli ben impiantati sulla stoffa.
«Io stavo scherzando, lo giuro!» si difese immediatamente la suricata, alzando le braccia come per parare un colpo.
«Non quello!» esclamò seccata la pantera. «Ascoltate».
Il gruppo tese le orecchie. Da qualche parte, tra l'orchestra di Sebastian, il chiacchiericcio della folla e il canticchiare assurdo di Mama Odie, sembrava quasi di sentire delle risatine, di bambini.
«Da quella parte!» esclamò Simba, indicando il lato destro del salone.
Topolino virò bruscamente, facendo scivolare addosso a Timon Mama Odie, che squittì deliziata.
«Abbassati un po'» disse Bagheera e Topolino ubbidì, scendendo quasi fino a sfiorare i cappelli deI presenti. Entrarono in un piccolo colonnato, che dava su diverse stanzette.
Girarono un poco a vuoto per capire quale fosse quella giusta. Una musica molto più ritmata seguiva risatine infantili e canzonicine stridule.
«È qui» decretò Topolino, fermandosi davanti alla terza porta.
Scesero dal tappeto con un balzo e Timon si sistemò subito sulla groppa di Pumbaa, assumendo un piglio deciso.
Spalancò la porta.
«Che nessuno si muova! Ho un facocero qui e non ho paura di usarlo!»
Pumbaa emise uno sbuffo aggressivo dal naso, come a confermare quanto detto.
Topolino, Simba e Bagheera li seguirono nella stanza, ansiosi, mentre Mama Odie entrò in tutta calma, ballando al ritmo della musica che ormai si era interrotta.
Davanti a loro, una moltitudine di piccoli dalmata li fissava con tanto d'occhi. In mezzo a loro, Matisse era seduto ad un vecchio pianoforte, Bizet era circondato da trombe e tamburi mentre Minou sedeva al centro della stanza, attorniata da gran parte dei cagnolini.
«Che c'è?» chiese la gattina, arricciando il naso. «Mamma dice che una vera signora deve anche saper insegnare e loro volevano imparare a cantare».
«Tutti quanti voglion fare jazz!» evidenziarono in coro Bizet e una dalmata, scambiandosi poi uno sguardo complice.
«Quando uno crede di sapere già tutto sul rapporto cani e gatti...» mormorò Simba.
«È la nostra sorpresa per la festa!» aggiunse un altro cagnolino, supportato da una musichetta drammatica di Matisse.
«Perciò non ditelo a nessuno!»
«Per favore!»
«Ci avete portato qualcosa da mangiare?»
«Hai già fatto tre spuntini, Ollie...»
«Hai mai provato i vermi?» si intromise Pumbaa con aria gioiosa. «Sono molto gustosi, specialmente quelli gommosi!»
«Pumbaa, Pumbaa, Pumbaa...» lo rimproverò Timon. «Lo sanno tutti che sono meglio quelli croccanti!»
«Vermi? Ma che schifo!»
«Bleah!»
«Gommosi!»
«Croccanti!»
«Gommosi!»
«Croccanti!»
«Ragazzi...» tentò inutilmente Simba, mentre gatti e cani li osservavano a metà  tra il perplesso e il divertito.
«Gommosi!»
«Croccanti!»
«Smettetela» ordinò Bagheera, con tale autorità nella voce che tutti lo ascoltarono. Tutti meno Mama Odie, ora intenta a ballare con un cagnolino, incitando così Matisse a continuare a suonare.
«Scusate se vi abbiamo interrotti, ragazzi» iniziò Topolino, decidendo di lasciare perdere la maga.
«E ragazze» lo interruppe una cagnolina.
«E ragazze» aggiunse Topolino.
«Signorine, prego» replicò Minou, sistemandosi i fiocchi rosa.
«Ragazzi, ragazze e signorine. Ma è importante, stiamo cercando il piccolo Helios e il super udito di Bagheera ha sentito le sue risate provenire da qui».
«Potevate dirlo subito!» esclamò Ollie.
«Eccolo là!» disse Matisse, indicando il cagnolino che ballava sfrenato con Mama Odie.
Bagheera si accigliò, mentre Topolino e Simba si avvicinavano stupiti a quello che doveva essere Helios per controllarlo- Timon e Pumbaa erano ancora piuttosto impegnati in una discussione mormorata.
«Ecco qui il piccolo!» esclamò Topolino, prendendo in braccio Helios, che ridacchiava.
«Perchè è ricoperto di macchie?» chiese Simba, evidentemente perplesso.
«Gliele abbiamo fatte noi!» spiegò un dalmata, accennando a due o tre suoi fratelli armati di pennello. «Dopo devono farsele anche i gatti per lo spettacolo!»
Minou rabbrividì visibilmente.
«Ma Helios quando è arrivato qui?» domandò Bagheera.
«Boh...»
«Non saprei...»
«Circa un'ora fa...»
«Non sei preciso, Bizet!»
«Sta' zitta, Minou!»
«Ah, lo dirò alla mamma che non ti comporti da Aristogatto!»
Topolino approfittò del fatto Matisse continuasse a suonare per Mama Odie e per alcuni dalmata, Simba cercasse di fermare il litigio tra Timon e Pumbaa e Bagheera quello tra i due gattini, per prendere in disparte il piccolo Helios.
«Helios» iniziò, accarezzandogli i capelli scuri.
Il bambino sorrise. «Be... buo!»
Topolino non sapeva se essere divertito o dispiaciuto. «Sono felice che ti sia divertito, ma...» sospirò. «Dovrò fare rapporto all'Assemblea. Sai che ci tengono che il tuo comportamento sia di un Buono impeccabile e quindi dovremmo discutere tutti insieme della tua disobbedienza».
Il bambino lo squadrava con i suoi grandi occhi marroni, facendolo sentire uno stupido.
Era stupido, stupido, parlare così ad un bambino di un anno scarso, stupido dover discutere ogni suo sbaglio ad un consiglio dei più bravi educatori del White Realm, con la convinzione che il bambino dovesse avere un'educazione perfetta.
Helios era un bambino, un bambino più piccolo dei Bambini Sperduti, della piccola Melody o di Pinocchio, ma doveva essere il Buono perfetto.
Non poteva nè doveva sbagliare.
Era ingiusto caricare un bambino di un peso del genere, era ingiusta la sorte dei Prescelti, come anche era ingiusta la Profezia di Merlino. Non poteva sopportarlo, doveva fare qualcosa, doveva...
«Buono!»
Topolino fissò il Prescelto con gli occhi sgranati, cercando di capire se non avesse pensato per caso lui quelle parole.
«Ha parlato!» strillò una cagnolina, indicando Helios, che ripetè di nuovo le sue prime parole, battendo le mani.
L'intera sala andò in visibilio, tramutandosi in un coro di applausi, abbracci e complimenti.
Simba prese con delicatezza Helios e, seguito da Bagheera, cani e gatti, uscì dalla saletta per portarlo in trionfo nel salone principale, dove tutti i Buoni ebbero un motivo in più per festeggiare.
Tutti meno Timon e Pumbaa, che ancora discutevano a mezza voce dei vermi più buoni.

Uncino era indeciso se gettarsi o meno dalla finestra. Venire divorato dal coccodrillo in quel momento sembrava la scelta più rosea.
Aveva sempre tenuto il pugno di ferro con i suoi uomini perchè la Jolly Roger fosse impeccabile e ora...
Tutto era stato rovinato da quella mocciosa. Osservò disperato la sua cabina: spruzzi di cibo macchiavano ogni mobile decente, per non parlare dei rimasugli di qualsiasi peluches gettati ovunque. Il suo bel mobilio vittoriano, il fior fiore della sua nave...
Ma il peggio era ben altro.
Si portò una-anzi, la mano alla testa, mentre Spugna ricominciava.
«Aprite la bocca, avanti! Yuum, pappa buona!» trillò il marinaio, con un cucchiaio colmo di brodaglia stretto tra le mani.
«Spugnaaa...» esalò il Capitano, sull'orlo della depressione. «Siamo pirati, dannazione. E poi non funzionerà».
Come a dimostrare la sua tesi, Nerissa tenne ostinatamente la bocca chiusa, scuotendo la testa.
«Ma è buonissima!» la rassicurò Spugna, avvicinandole il cucchiaio alla bocca.
La Prescelta mollò un urlacchio, gettando le manine sul piatto della brodaglia, che partì ovunque, ricoprendo gli occhiali di Spugna e gran parte dell'arredamento.
Il marinaio la ammonì con l'indice, scandalizzato. «Non si fa così! Il vostro comportamento è da veri maleducati!»
Per tutta risposta, ricevette un'altra porzione di pappa dritta in faccia.
«E va bene... che cosa vorreste mangiare, mia cara?»
«Cane!» esclamò la Prescelta, battendo le mani.
Gli occhiali che Spugna stava pulendo caddero a terra con un tonfo. «C-cane? M-ma...nemmeno quei selvaggi degli indiani o i leoni...»
«Intende dire carne» bofonchiò Uncino, sepolto tra le carte nautiche della sua scrivania. «La "r" non le riesce particolarmente bene».
«Cane! Carrrne! Cane!!» strillò Nerissa, buttando altra pastella ovunque.
«Va' a cercarle della carne, Spugna!» sbottò il Capitano, tappandosi le orecchie.
«Certo, Capitano... ma siamo in mezzo al mare! Dove la trovo la carne?»
Prima che Uncino potesse ribattere che erano soltanto al molo e che potevano sempre ammazzare qualche gabbiano, qualcuno bussò alla porta.
«Avanti!» urlò Uncino per sovrastare la voce di Nerissa.
La porta si aprì e Sir Rattigan fece il suo ingresso. «Sono venuto a prendere la bambina» disse, scostandosi con eleganza il mantello.
Uncino sospirò felice. Aveva quasi dimenticato che, come ogni mercoledì, la mocciosa doveva andare da Malefica per assistere in prima persona ai processi che l'avrebbero resa più malvagia. Sembrava che avesse effetto, dato che i capelli inizialmente chiari della poppante si stavano arricchendo di piccole ciocche nere.
«Si, prenditela pure!» esclamò con un altro sospiro.
Rattigan fece un paio di passetti avanti per avvicinarsi alla Prescelta, che Spugna aveva prontamente liberato dal seggiolone.
Nerissa immerse ancora di più le mani nella brodaglia, probabilmente intenzionata a colpire di nuovo il marinaio, ma ebbe una sorta di illuminazione quando il suo sguardo si posò sul topo, che a malapena le arrivava alle caviglie.
«Ratto!!» esclamò con un ghigno un poco sadico.
Gli occhi di Rattigan si spalancarono, mentre la sua bocca si apriva in un ringhio schiumante di rabbia. «Non sono un ratto!!» urlò, furibondo.
Cadde quasi a terra, investito in pieno dalla poltiglia di Nerissa.
La mocciosa rise deliziata. «Ratto, ratto!» continuò, muovendo le mani nella sua direzione.
Rattigan sembrava sul punto di scagliarsi contro la Prescelta, ma riuscì in qualche modo a controllarsi. «Vado a chiamare Clayton, così intanto può terminare di pranzare».
E prima che Uncino potesse dire qualcosa, il topo era già  sparito.
«Vado a cercare della carne, Capitano?» chiese Spugna, con tono molto più allegro del precedente.
Uncino smise di ridacchiare per l'umiliazione del piccolo Malvagio. «No» decretò, asciugandosi una lacrima. «Va' a vedere se quell'imbecille riesce a scendere dalla nave o se ha gli occhi ancora otturati».
«Subito, Capitano» disse il marinaio, uscendo mentre ancora ridacchiava.
Uncino sospirò divertito. Poi si avvicinò al seggiolone della mocciosa, che era ancora lì seduta.
«Cane?» domandò quella con uno sguardo speranzoso.
«Clayton te ne darà quanta vorrai» borbottò. Prese il cucchiaio, lo riempì e lo portò alla bocca di Nerissa, che mangiò senza nemmeno troppe smorfie.
Uncino sbuffò. Ma perchè proprio lui doveva avere una ciurma di tali incapaci da non riuscire nemmeno a dare da mangiare a una marmocchia?



N.d.A (estoy aqui!)
Eccomi qua. Perdonate il ritardo ma il periodo pre scuola è sempre un disastro D: in più non avevo idea su come svolgere la parte su Helios. Ammetto che muovere i Malvagi e Nerissa è diecimila volte più semplice. Il risultato è che questo capitolo non mi convince poi così tanto, perciò ditemi se anche a voi non piace, così in caso lo cancello. Ecco le note:
*1(Festa d'Inverno): per motivi religiosi, ho provveduto a sostituirla con la solita "festa di Natale".
*2 (Re Andrew): scusate, avevo dimenticato di inserirlo. Fortuna che c'è Mitica :) allora, riguardo a questo re, mi sono permessa una piccola lincenza poetica: in pratica si sta parlando del re padre del principe di Cenerentola. Solo che non si conosce il suo nome, quello del suo doppiatore originale, Luis, è troppo simile al coccodrillo Louis della Principessa e il Ranocchio, mentre il doppiatore italiano ha il banale nome di Mario. Re Mario, uhm, suona male. Quindi prima gli ho affibiato il nome Francesco, perchè semplicemente mi ispirava, ma ora l'ho da poco cambiato in Andrew, in onore del secondo doppiatore originale. Ma perchè non gli hanno dato un nome al posto di "The King"?
*3 (i suoi figli, Kopa): Kopa (che significa "cuore") è il primogenito di Simba (si vede alla fine del primo film) e è stato ucciso da Zira. La sua storia è raccontata soltanto sui fumetti del re Leone. Ho immaginato che Simba si sentisse ancora molto scosso dalla perdita di un figlio che non è riuscito a salvare.
*4 (Gilda): per chi non si ricordasse chi è, è la cagnolina che appare in Lili e il Vagabondo durante la prigionia di Lili al canile. È una delle ex di Biagio :)
*5 (Katrina): l'ochetta che appare ne La Valle Addormentata, il cartone disney sul Cavaliere Senza Testa (non so voi, ma a me fa ancora paura guardarlo. Brr!)
Vi consiglio di tenere particolarmente a mente la Profezia di Merlino accennata da Topolino, avrà  un ruolo particolare più avanti...
Ci tengo inoltre a ringraziare le fantastiche personcine che hanno recensito negli scorsi capitoli, MissVillains he ha messo la storia tra le seguite e GispySoul, _Bianka_ e Giulia9799 che hanno messo la storia tra le preferite. Nerissa è orgogliosa di voi :')
Scusatemi ancora per il ritardo. Il prossimo capitolo dovrebbe arrivare la prossima settimana, e sarà  molto più incentrato su Nerissa, che avrà  ben quattro anni :)
Se poi vi piace sia Hogwarst che la Disney, potreste dare un'occhiata al mio crossover Segreti Sotto le Stelle, in cui Capitan Uncino è il protagonista e ha a che vedere con una folle ragazza abbastanza nota... Chissà  se tra i due nascerà  qualcosa...
Un grazie speciale a coloro che leggeranno/recesiranno.
Baci
Nox

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Capitolo 4
*** Di Elefanti, Carte e Broccoli ***


Di Elefanti, Carte e Broccoli




Risate spensierate avvolgevano i numerosi cortili del White Castel, un groviglio di torri che variavano da cupole arabe a colorate mura medievali, e che costituivano la sede principale di Good. Nella frizzante aria primaverile, gran parte dei più illustri Buoni stava appollaiata sui numerosi collonnati, passeggiava osservando i boccioli profumati nelle curatissime aiuole, chiaccherava e si preparava ad assistere a piccoli concerti, gentilmente offerti da qualunque abitante fosse in grado di produrre in pubblico qualsiasi genere di suono.
Per accontentare tutti, Paperina si era offerta di organizzare in ogni cortile un diverso spettacolo, ma a causa di una vaghissima distrazione di Paperino- conseguenza di un leggero crollo nervoso dovuto agli inviti che si era ritrovato a dover preparare per dimostrarsi un degno fidanzato- molti importanti spettacoli sembravano svolgersi agli stessi orari. E quindi l'unico problema sembrava consistere nella scelta del concerto a cui partecipare- scelta che aveva messo in crisi specialmente Biancanave, assai decisa ad assistere ad ogni evento riguardante anche solo il fischiettare.
Attorniata da Jane e Aurora, la giovane Principessa sembrava sull'orlo di una crisi di nervi pari a quella di Paperino, mentre consultava freneticamente i vari depliant.
«Non è possibile!» esalò infine, spostando lo sguardo da un orario all'altro.
«Che cosa, cara?» domandò con innaturale pazienza Aurora, mentre Jane cercava di mantenere l'equilibrio, aggrappandosi all'ombrello come ad un'ancora di salvezza. Non riusciva a capire come quasi tutte le Principesse riuscissero a portare delle gonne così enormi senza rischiare un trauma cranico ad ogni passo. Dopo così tanto tempo nella giungla, ritrovarsi di nuovo addosso il suo vecchio- e scomodo- vestito giallo la irritava, e non poco.
«Hanno messo in concerto di Ariel e il coro degli zingari nello stesso momento!» esclamò Biancaneve, con la voce che ormai sfiorava un'ottava- e con i Buoni circostanti che le fissavano, chiedendosi probabilmente se fosse opportuno chiamare qualche infermiere.
Jane e Aurora si scambiarono un'occhiata vagamente perplessa. «Ma... ehm, scusami... non mi pare che ti siano mai piaciuti granché quei cori...» tentò prudentemente la prima.
«È un occasione per imparare ad apprezzarli! E oh, perbaccolina! Subito dopo c'è il nostro, Aurora, nell'area nord-est del parco!»
«Si, Bianca cara, ce lo avevano già comunicato una settimana fa, non ricordi?»
Jane si portó una mano alla bocca, per cercare di trattenere un sorriso. Non era mai stata molto in confidenza con Biancaneve, ma conosceva per fama la sua dolcezza e... bè, tutti i suoi modi di fare impeccabili. Il fatto che andasse letteralmente fuori di testa per dei semplici concerti era... non divertente, no, ma almeno un po'... ironico.
Nonostante la sua tentata discrezione, le sfuggì uno sbuffo divertito, che Aurora, una mano sulla spalla dell'altra Principessa, non tardò a rimproverare con uno sguardo. «Perché non cantiamo un poco, cara?» chiese poi, mentre Jane arrossiva leggermente. «Ti farebbe sentire meglio?»
Biancaneve assunse un'aria dispiaciuta. «Ma dovrei cantare allo spettacolo, non vorrei rovinare la tua esibizione cantando prima...»
«Basta che canti quella roba sugli uccellini» si intromise Meg, avvicinandosi a loro. «Se trovassi qualcuno che non la conoscesse già, direi che questo qualcuno probabilmente ha una vita sociale più piatta dello scudo di Achille. Ormai quella canzoncina la conoscono anche i muri».
Il visino di Biancaneve si illuminò in un sorrisone a trentadue denti. «Oh, grazie, Megara!»
Canticchiò un poco per richiamare un stormo di passerotti e poi sparì con Aurora e un acuto spacca-timpani. «Il fischio è un elisir, che fa ringiovanir!...»
Jane sorrise riconoscente alla greca. «Sei stata gentile».
«Non c'è di che» replicò un po' brusca Meg, per poi superarla. Jane le arrancò accanto, decisa a cogliere quell'opportunità per conoscere meglio Meg, magari addirittura per riuscire a stringere amicizia con lei. Le era sembrata sempre un po' distaccata rispetto a tutte loro, e magari in quel modo avrebbe potuto anche imparare qualcosa sulle le usanze e sugli animali tipici della sua provincia. «Vai anche tu ad un concerto?»
Megara abbozzò un sorrisetto ironico. «Diciamo che sono stata scaricata qui per cause di... forza divina».
Lo sguardo di Jane doveva essere talmente comico e perplesso, che l'altra non fece troppa fatica a continuare, rinsaldando perfino il suo sorriso. «Le Muse hanno invitato Era e Zeus, che è loro padre- lascia perdere, non vuoi realmente conoscere le parentele degli dei- e quindi io e Herc siamo stati all'incirca obbligati a partecipare. Ma dovremmo fuggire di nascosto tra poco. Sempre che Megafusto se lo ricordi e non perda tempo con Aladdin, ovviamente» concluse, spostando lo sguardo sulla folla.
«Neanche a me piace così tanto la musica, pensa che non ho nemmeno una mia, vera e propria canzone, ma sai, Tarzan ci teneva tanto ad assistere a non so che genere di coro degli zingari di Clopin, e, buon Dio, non potevo certo dirgli di no, è così tenero quando si impunta di voler ballare! E poi è anche un'occasione per far uscire un poco Tantor dalla giungla, non sai quanto un elefante possa essere timido-anche se qualcosa, l'istinto femminile o non so che, mi dice che c'entra la madre di Dumbo. Però Tantor è di ottimo esempio per Terk, ha sempre un comportamento davvero perfetto e...»
Il resto delle chiacchiere di Jane fu schiacchiato da un potente barrito.
Tantor le superò sbandando in corsa, con in groppa Tamburino, Bambi e altri cuccioli, tra cui Koda e Helios.
L'elefante barrì ancora e svoltò in un altro cortile, lasciando dietro di sé una Jane sbalordita e impolverata e una folla stupefatta per il privilegio di aver ascoltato una fragorosa risata di Megara.
«Alzate le braccia!» strillò Koda. «È più divertente così!»
Tamburino lo imitò subito, mentre Helios controllava un po' preoccupato in che stato fosse Bambi, che cercava disperatamente di reggersi alla groppa dell'elefante.
«Avanti, fallo anche tu, Helios!» gridò ancora l'orsetto, a malapena visibile tra il groviglio di braccia davanti al Prescelto. «E devi urlare forte, così: Yuuuuuu-uh!»
Helios sorrise e, tenendo un braccio sulla schiena del cerbiatto, alzò l'altro. «Yuuuuuu-uh!»
«Siii! Così!!»
«Alt!»
Koda venne quasi sparato via quando Tantor inchiodò bruscamente.
Merida era davanti a loro, con un cipiglio deciso e una mano tesa davanti a sé.
«Che state facendo?»
Improvvisamente, tutte le braccia crollarono al loro posto- quella di Helios un poco in ritardo. Ogni componente del gruppo si affrettò ad evitare lo sguardo della giovane arciere, prestando un'incredibile attenzione alla pelle di Tantor o ai fili d'erba del prato.
Merida si avvicinò ancora di più, i capelli spettinati come non mai.
«Io non c'entro niente, non volevo assolutamente farlo! Mi hanno costretto con i loro occhioni dolci!» si giustificò Tantor, per poi coprirsi gli occhi con le sue enormi orecchie- seconde solo a quelle di Topolino. Merida si fermò a pochi centimetri dall'elefante.
«Avete osato fare uno sport estremo e pericoloso...»
Tutta banda imitò Tantor, fingendo di non esistere.
«... e l'avete fatto senza di me?»
Sfilata di sguardi confusi. Saetta si grattò un orecchio, chiedendosi sospettoso se non fosse una trappola, mentre Ro sospirava di sollievo.
«Io sono la regina indiscussa degli sport estremi! Quindi ora mi fate salire e lo rifacciamo insieme!»
«Dici sul serio?»
«Certo!»
«Oh, carotine mie, non ci credo!»
«Che è successo?»
«Torna tra le nuvole, Fiore!»
«Grazie mille, Merida!»
«Me la sono vista brutta!»
Le esclamazioni di gioia e di incredulità dei piccoli Buoni ad un tratto furono interrotte da un orso bruno. «Non credo che sia una buona idea» disse, sbucando dal nulla e affiancando Tantor. Sembrava estremamente seccato e nessuno poté non notare lo sguardo tagliente che lanciò a Koda.
«E questo chi è?» chiese Merida, accigliata.
«Mio fratello...» mormorò Koda tra i denti, ritrovando un improvviso interesse per la zucca pelata di Tantor.
Merida sospirò e si girò a guardare l'orso, appesa all'arco che aveva incastrato dietro alle orecchie dell'elefante. «Che problemi ci sono, orso?»
«Mi chiamo Kenai».
«Che problemi ci sono, Kenai?»
«È una cosa troppo pericolosa per dei cuccioli!»
«E allora perché gliel'hai lasciata fare?»
«Non ne sapevo niente!» Kenai evidenziò la gravità delle sue parole con un altro sguardo infuocato a Koda, che si ingobbì tutto.
«E quindi?» chiese Merida, incurante.
«E quindi tutti quei cuccioli devono scendere subito, Helios compreso!»
Il Prescelto, nascosto tra i suoi amici, tirò su con il naso. «Dobbiamo proprio, zio Kenai?»
«Si».
«Ma perché?» si lamentò Saetta.
«Perché potete farvi male, ecco perché» replicò l'orso. «Se tu vuoi andare, sei libera di farlo» aggiunse poi rivolto a Merida, tra i vari brontolii dei cuccioli.
«Vorrei ben dire!» ribatté la Principessa, prendendo poi posto.
«Forza voialtri, scendete tutti» ordinò Kenai, alimentando le lamentele e versi di esasperazione.
«Questi orsi che si impicciano sempre» borbottò Merida, aiutando i cuccioli ad arrivare vivi sul prato. «Mi dispiace, piccolo» si scusò con Helios, prima di incitare Tantor alla ricerca di Mulan e di Kida.
«Stai sempre a rovinare tutto!» strillò Koda al fratello, non appena Merida scomparve completamente in una nuvola di polvere.
«Oh, ma certo! Diamo la colpa all'orso grande e responsabile!» sbottò Kenai, mentre pian piano si radunava intorno a loro una folla indistinta di genitori arrabbiati, tra cui spiccava un elegante quanto severo Cervo regale e- Helios si sentì terribilmente in colpa- un'alquanto indispettita Bianca, con le braccia poggiate sui fianchi.
«Helios! Ma cosa hai combinato stavolta, caro?»
«Ma io... ero anche con gli altri e...»
«Qui si sta parlando di te, tesoro! Sai che devi comportarti sempre al meglio!»
Helios abbassò lo sguardo dal musetto arrabbiato della topina. «Si, zia Bianca».
Bianca sospirò. «Vieni, dobbiamo convocare l'assemblea per discutere del tuo comportamento».
«Ma... adesso c'è il concerto di zio Clopin e poi quello di Melody! Non possiamo...?»
«No, Helios, lo sai meglio di me. Mi dispiace» concluse Bianca, prendendogli la mani per guidarlo nella sala dell'Assemblea.
A Helios non piaceva essere un cattivo bambino. Ci provava ad essere sempre bravo, e buono, ma non era per nulla semplice, perché era facile fare dei giochi che non andavano bene o rompere qualcosa.
E lui si sentiva veramente tanto, tanto triste, perché ogni volta bisognava chiamare l'Assemblea e parlare- discutere, zia Minnie diceva sempre "discutere"- di cosa aveva fatto e perché lo aveva fatto e perché aveva sbagliato e cosa avrebbe dovuto fare. E Helios vedeva che certe volte in quel modo disturbava tutti e a lui dispiaceva disturbare le persone che gli volevano bene. Lui non voleva disturbare, voleva solo essere un buon bambino. Non migliore degli altri come diceva zia Bianca, solo... buono come tutti gli altri.

«Queste, Nerissa, sono delle carte».
Nerissa osservò annoiata il mazzo di carte che zio Facilier le stava indicando. Gli zii le avevano detto che quel giorno avrebbe iniziato delle "lezioni", ma a lei non importava molto. Lei voleva solo ritornare nella sua camera del Black Castel a giocare- torturare- il suo nuovo peluche. «Non lo avrei mai detto».
Il Signore delle Ombre arricciò il viso in una vaga smorfia, mentre dall'altra parte della stanza, stravaccate su un divanetto, Medusa, Morgana e Crudelia ridacchiavano
«Sono carte magiche, Nerissa» continuò zio Facilier. «Se le sai usare nel giusto modo...» e qui le fece scivolare sul tavolo con un elegante movimento della mano «... sai anche passato, presente e futuro che avrai» concluse, dividendo per ogni parola le carte in diversi mazzi.
Nerissa lanciò uno sguardo alle carte e all'espressione complice e suadente dello zio.
«Tutto qui? No, perché, zio, lo so già come prevedi il futuro e tutte quelle cose e io adesso voglio tornare di sopra a giocare».
Facilier arricciò le labbra, ignorando le altre risatine delle tre Malvagie, mentre le sue dita correvano di nuovo sulle carte e la sua ombra avvicinava maggiormente la sedia della Prescelta al tavolo.
«Hai già visto come si prevede, certo, ma non vorresti impararlo ora?» chiese retoricamente lo stregone, con un sorriso invitante.
«No».
Le risate divennero così insistenti che per un attimo Facilier rischiò di perdere la concentrazione. Gettò alle Malvagie un'occhiata tagliente, per poi ritornare alla mocciosa. «Ma come no? È una vera arte, sai. Oltre a conoscere ogni cosa, ti permette anche di avere un ottimo rapporto con le anime e i nostri cari amici, lì nell'aldilà...»
Nerissa incrociò le braccia al petto. «Ma non mi serve prevedere il futuro e tutta quella roba, se lo fai già tu!»
Facilier si bloccò per un attimo, spiazzato. Credeva che avere la prima lezione con Nerissa fosse un compito prestigioso, non una specie di stressante perdita di tempo. Per non parlare delle tre megere e dei loro sghignazzi sempre più forti.
«Credevo che mi insegnavi a giocare a pokeb!»
Il Signore delle Ombre balzò in piedi, rovesciando la sedia. Alzò le braccia e una decina di sottili ombre scivolò dalla penombra della stanza, avvicinandosi minacciose  al divanetto delle tre Malvagie.
Medusa fu la prima a scattare in piedi e a correre fuori, mentre Morgana e Crudelia ancora ridacchiavano, immerse nel fumo verde delle sigarette di Miss Pelliccia. Appena si accorsero del pericolo, Crudelia raggiunse a fatica Medusa, urlando. «Aspettami, tesoro!»
Morgana, dopo aver inutilmente provato a difendersi con il suo inchiostro, lanciò una sfera di energia verde contro Facilier. Lo stregone la deviò facendo roteare il suo scettro e la spedì contro la sua creatrice, che la schivò appena in tempo, lanciandosi fuori dalla porta.
Facilier sorrise soddisfatto e si riassettò la giacca, mentre la sua ombra gli riavvicinava la sedia. Si risedette, con le altre ombre che scivolavano di nuovo via, appagate.
«Comunque si dice poker, Nerissa».
La marmocchia osservò con un sorriso meravigliato l'ultima ombra che scompariva nell'oscurità fuori dalla finestra.
«E questa è uno dei tanti trucchetti che la magia voodoo ti permette di fare. Devi sapere, mocciosetta, che io e gli altri vogliamo che tu sia perfetta, e per questo abbiamo deciso di insegnarti la magia e tutte le altre nobili Arti Oscure. Sarai perfetta e ci renderai molto, molto orgogliosi di te».
Nerissa spalancò gli occhi. «Quindi imparerò queste cose fortissime e sarò ancora più brava?»
Il Signore delle Ombre chinò appena il capo, con un sorriso storto e la Prescelta battè le mani, felice come non mai.
Nerissa cercava sempre di rendere felici i suoi zii, perché cioè le dimostravano di volerle bene con complimenti e regali. E poi voleva imparare anche lei quelle cose con le ombre! Quell'antipatica di zia Grimilde avrebbe avuto le ore contate!
«Però poi mi insegni anche a giocare a pokeb... a poker?» domandò ancora, spingendosi verso lo zio, che aveva appena sfoderato un altro mazzo di carte.
Facilier strinse i denti in una smorfia. «E va bene».

«Allora» esordì Topolino, non nascondendo una nota di stanchezza nella voce, dopo aver richiamato il silenzio con la tromba del Bianconiglio- ormai scappato al concerto di musica alternativa del coro atlantideo-atzeco. «Cos'è successo stavolta?»
«Ho sorpreso Helios a compiere uno strano gioco estremo in groppa a Tantor con la banda di Tamburino e Koda» spiegò Bianca.
Helios, che si trovava come ogni volta nella sua apposita postazione in mezzo alla tavola rotonda dell'Assemblea, fu come sempre trapassato da numerose occhiate, alcune di sfuggita, altre vere e proprie radiografie.
«In tutta franchezza, amici miei, non ci vedo nulla di me. Anche io lo avrei fatto» iniziò Robin Hood, strizzando l'occhio in modo complice al Prescelto.
Helios sorrise. Robin era uno dei pochi che si schierava subito e comune in sua difesa, qualunque cosa avesse fatto.
«Sono d'accordo con l'arciere» si intromise Fil, mangiucchiando della corteccia e dondolandosi sulla sedia. «Insomma, non ci avrete convocato solo per questo?»
«Bè, dipende dai punti di vista, Filottete» si inserì il Grillo Parlante, accanto alla Signora Darling. «Alcuni comportamenti possono riflettersi direttamente sulla personalità del bambino, quando questo cresce».
«A me sembra tutto normale. Mi stupisce solo che Lilo non l'abbia fatto».
«Credo che stesse giocando con mia sorella Alice, Nani. Le ho intraviste dalle parti del concerto di Cenerentola...»
«Oh!» sbuffò Fauna, le mani sui fianchi. «Io non avrei mai permesso che la piccola Aurora rischiasse così, in groppa ad un elefante, poi!»
«Francamente, Fauna, non credo che dalle tue parti ci siano così tanti elefanti» replicò Bagheera.
«Inoltre Tantor è assolutamente affidabile» disse Kala con tono materno, sorseggiando il tè che Mrs. Bric le aveva porso.
«Non è questo il punto» dichiarò Re Tritone, reclinando gentilmente l'offerta dl tè. «È un comportamento irresponsabile che potrebbe causare danni sia a Helios stesso che agli altri».
Il Prescelto si fissò con intensità le ginocchia, mangiucchiando uno dei biscotti che gli aveva portato Mrs. Bric.
«Oh, andiamo!» sbottò questa, saltellando da un lato all'altro del tavolo per servire tutti. «Non vorrai farmi credere di essere stato un bambino perfetto, Tritone!»
Le guance del Re del Mare si imporporarono leggermente. «Ho solo espresso una mia considerazione».
«Io mi ritengo d'accordo con l'onorevole Re Tritone» si inserì con tono pacato Fa Zhou, lanciando uno sguardo severo ad Helios. «La disciplina è fondamentale per una buona educazione».
«Concordo». Il Capitano Amelia incrociò le braccia al petto, con un che di quasi bellicoso. «La voglia d'avventura è senz'altro positiva, ma se eccessiva può causare problemi».
«Che sciocchezze!» replicò Nonna Salice, facendo frusciare i suoi rami. «Scusa, piccola mia, ma un po' di sano divertimento non fa male a nessuno. Anzi: fa aprire il cuore, insegna ad ascoltarlo!»
La giovane ammiraglio aprì la bocca per ribattere, ma Topolino la anticipò richiamando il silenzio sull'Assemblea e placando le varie discussioni che l'osservazione di Nonna Salice aveva provocato qua e là.
«Helios» iniziò Topolino. Il Prescelto si girò per poterlo guardare. «Vuoi darci la tua versione, per favore?»
Helios annuì, poco convinto. «Stamattina ci ho messo tanto ad uscire dal White Castel, perché zia Charlotte voleva farmi mettere i miei vestiti migliori e quindi ci abbiamo messo un sacco di tempo».
Il signor La Bouff trattenne a stento una risata, che trasformò in velocità in un colpo di tosse, in modo da permettere ad Helios di continuare il suo discorso.
«Quando sono sceso, c'erano Koda e Tamburino che mi hanno chiesto di giocare con loro ai Cavalieri, e poi sono venuti anche Bambi, Ro e gli altri e...» il Prescelto deglutì. Non aveva mai rivelato che l'idea di fare quelli che l'Assemblea chiamava "giochi estremi" non era sempre sua, né l'avrebbe mai fatto. Non era bello fare la spia e soprattutto non voleva mettere i suoi amici nei guai- con il risultato, però, che ci finiva spesso lui.
«... e è venuta fuori l'idea di andare a fare un giro su Tantor, è facile farlo partire, basta pizzicargli dietro le orecchie. Però non pensavamo che era pericoloso e non si è fatto male nessuno. Solo Bambi aveva un po' di paura». La voce di Helios si affievolì pian piano, sino a spegnersi del tutto.
Topolino sospirò, fece per parlare, ma ancora prima che riuscisse a pronunciare una sola parola, Minnie lo precedette con una risatina nervosa. «Helios, capisco il tuo interesse per i giochi, ma questo era decisamente più pericoloso degli scorsi».
Mormori di approvazione precedettero le parole di Topolino. «A questo proposito, iniziamo le votazioni per poi procedere ai consigli, che, come sempre, siete pregati di scrivere e di consegnare ai nostri collaboratori, che li porteranno in camera di Helios».
Gas-Gas e Giac, accanto a Topolino, salutarono freneticamente la tavolata, mentre sistemavano con gli altri topini le apposite cassette per i consigli. Un fruscio di carte e penne rivelò che ogni componente dell'Assemblea era pronto a scrivere il proprio consiglio, se non l'avesse già fatto.
«Chi ritiene che Helios non abbia fatto nulla di male?» chiese Topolino, alzando poi la mano. Poche lo seguirono- tra cui Robin Hood, Mrs. Bric, Nonna Salice, Filottete e Kala. Helios abbassò lo sguardo, triste e imbarazzato, mentre Topolino, una volta che Paperino ebbe contato le mani e trascritto le votazioni, poneva la domanda più spinosa.
«Chi ritiene che sia necessario un provvedimento?»
Helios cercò di mantenere tutta la sua attenzione sui biscotti davanti a sé, piuttosto che contare quanti avesse deluso. Alzò lo sguardo soltanto all'ultima domanda di Topolino.
«Chi rimane neutrale?»
Due o tre mani- Nani, Pongo e Pocha- scattarono in aria, mentre gli ultimi componenti si affrettavano a terminare di scrivere i propri consigli. Topolino aspettò che Paperino segnasse sul registro le posizioni neutrali e che i topini terminassero di raccogliere i suggerimenti.
«Bene» dichiarò infine. «La votazione consiste in undici voti favorevoli al comportamento di Helios, ventisei contrari e tre neutrali. Verrà quindi attuato un provvedimento, che stavolta sarà dettato da...» fruscio di pagine, «... da Joshua StrongBear Dolce, Smemorina, Kanga e Dallben, che dovranno fermarsi qui quanto tempo ritengono per decidere il provvedimento e esporlo a Helios».
«Guarda che lo sanno» borbottò a mezza voce Paperino, già irritato per aver perso almeno due o tre concerti.
Topolino finse di non sentirlo- cosa che gli riusciva piuttosto bene in quel periodo. «Tutti gli altri sono congedati. L'Assemblea è ufficialmente conclusa».
Con lo stridere un po' acuto di alcune sedie, i vari Buoni iniziarono a lasciare la stanza, chi chiaccherando, chi precipitandosi fuori per non perdete un'esibizione. In particolar modo, Geppetto si catapultò fuori dalla sala con il Grillo Parlante e i signori Darlings per trovare posto allo spettacolo dei rispettivi figli.
Helios scivolò fuori dal suo posto, e si fermò per un momento ad osservare i quattro zii del provvedimento. Zia Kanga e zia Smemorina erano sempre molto gentili -anche se forse zia Kanga si era arrabbiata, dato che anche Ro era salito su Tantor, zio Dolce era... bè, dolce e zio Dallben a dire il vero Helios non lo conosceva molto.
Topolino, seminascosto da tutte le scartoffie che Paperino gli stava scaricando addosso, gli sorrise in modo un po' inaspettato e un po' triste. «Ricordati di seguire sempre il tuo cuore, Helios» disse, poggiando a fatica una mano sul cuoricino del Prescelto. «Su questo Nonna Salice ha ragione. Non dimenticarlo».
Helios, pur non capendo, abbozzò un sorrisino, tastandosi il punto che Topolino gli aveva indicato. Il cuore batteva, e a lui piaceva ascoltarlo.

«Le carte, le carte... dalle carte saprete: passato, presente e futuro che avrete».
Era ormai da quattro giorni che Nerissa ripeteva ininterrottamente quella dannata canzoncina, accompagnandosi con un mazzo di carte. Aveva fatto molti progressi, riusciva già a fare qualche piccola predizione, ma nessuno riusciva più a sopportare quel motivetto. E in quel momento, nella Sala da Pranzo del Black Castel, a molti Malvagi sembrava di essere ritornati ai primi pianti della mocciosa, tanto erano esausti. Fortunatamente, anni di capricci e di urla li avevano resi molto più preparati. Tanto che molti stavano complottando al piano di sotto per riuscire a scaricare la poppante ad Uncino anche durante il suo giorno libero.
«Non potevi insegnarle solo i movimenti, razza di dannato stregone?» chiese isterica Magò, che non riusciva nemmeno più a completare il suo solitario senza gettare tutto all'aria.
«Avrebbe perso gran parte del suo ritmo!» si giustificò irritato Facilier, preparandosi per scagliare un'ombra contro la strega.
«Lascia» si intromise Yzma, sfiorandogli un braccio, prima di afferrare una pozione che Kronk le aveva portato e di lanciarla contro Magò, che, dopo una nuvola di fumo rosa, ricomparve con le sembianze di una mucca viola.
L'alchimista e lo stregone ridacchiarono complici, ma le loro risate si interruppero dopo poco: Magò, dopo aver provato a cambiare senza successo forma, iniziò a caricare, puntandoli.
La strega stava quasi per mandare il grande tavolo all'aria, quando Alameda Slim entrò nella stanza.
«Sono qui Gothel e Frollo? Quei deboli imbecilli avevano promesso di aiutarmi a...»
Il cowboy si interruppe, osservando meravigliato Magò. «Buon Dio! Una mucca! Con te, bellezza, riuscirò a far rifiorire il mio commercio di bestiame! Sarò di nuovo l'uomo più ricco e potente del Texas!»
Tralasciando probabilmente il fatto che senza la distruzione dei Buoni la sua felicità non sarebbe mai stata completa, Slim cominciò ad inseguire la strega, alternando dei brani del suo famoso Yodel ad urlacchi indirizzati ai suoi tre nipoti. Prima che Yzma e Facilier potessero fare qualcosa, l'altra porta alle loro spalle si spalancò.
Jafar stava sulla soglia, con Iago sulla spalla e con una furia che ben pochi conoscevano. Alzò il suo scettro e spedì con un turbine Alameda e Magò nel corridoio, chiudendo poi la porta.
«E ora» esordì il Gran Visir, lanciando un'occhiata di fuoco a Nerissa, che non si era mossa di un centimetro. «Fate tacere quella sottospecie di marmocchia. Credo di non aver mai avuto un mal di testa così forte».
«Ci stiamo provando, amico mio» sbottò Facilier. «Perché tu non fai lo stesso?»
«... dalle carte saprete, passato, presente e futuro che avrete!» canticchiò ancora Nerissa, sovrastando la risposta di Jafar.
All'improvviso, le scivolò una carta per terra. La Prescelta imprecò vistosamente- Yzma arricciò il naso e Facilier mormorò qualcosa riguardo alle abitudini dei Pirati ma sia loro, che il Gran Visir si lasciarono sfuggire un sospiro di sollievo, dato che la Prescelta aveva per un attimo interrotto la sua cantilena.
  Nerissa sbuffò e si sporse dalla sedia per recuperare la carta, ma prima che ci riuscisse, Iago afferrò il suo obiettivo, e si allontanò con uno svolazzo dalla Prescelta.
Nella sala calò uno straordinario silenzio. Yzma ghignò soddisfatta e si appoggiò a Facilier, che si sedette, mentre Jafar si concedeva un lungo sospiro.
«Oh, finalmente!» gracchiò il pappagallo, appollaiandosi su una delle sedie più lontane dalla marmocchia. «Mi stavi ammattendo con quella canzoncina, mocciosa!»
Nonostante le speranze dei tre Malvagi, come sempre il silenzio fu di breve durata.
Nerissa strinse i denti e i pugni, scattò su dalla sedia, rovesciandola, ed iniziò ad inseguire Iago urlando. «Ridammela! Ridammela! Stupido, inutile pappagallo! Mi farò un cuscino imbottito con le tue piume, non appena ti prendo!»
«Non può continuare senza una carta, giusto?» chiese con una mezza smorfia il Gran Visir, sedendosi davanti a Facilier.
«Il bello del voodoo, amico mio» confermò il Signore delle Ombre, facendo sparire con un gesto il resto del mazzo di Nerissa. «Niente carte per un bel po', direi».
Jafar strinse i denti. «Malefica non sarà contenta di sapere che abbiamo interrotto le lezioni».
«Malefica non è stata ore a sentire Nerissa fare pratica!» replicò acida Yzma, lasciandosi cadere accanto al Signore delle Ombre. «E al massimo, possiamo iniziare con altre lezioni».
Come a voler confermare le sue parole, l'alchimista si sporse verso la vicina cucina. «Kronk!» strillò. «Va' nel mio laboratorio a prendere la borsetta con le pozioni da viaggio!»
Il ragazzone atzeco mise la testa fuori dalla tenda che divideva la Sala da Pranzo dalla cucina. «Proprio adesso, Yzma? Sai, sto cucinando...»
«Proprio adesso, pezzo di somaro!»
Kronk uscì, con un'espressione desolata e ferita, reggendo tra le mani una ciotola. Di broccoli.
«Almeno assaggiate questi» disse, poggiando la ciotola tra i tre Malvagi. Facilier e Jafar si scambiarono uno sguardo schifato. «Li ho fatti seguendo una ricetta italiana, ho aggiunto...»
«Kronk» ripetè esasperata Yzma, calcando sulla "o".
«Si, Yzma?»
«La mia borsetta! Ora! Subito!»
«Si, Yzma» sospirò il ragazzone, dirigendosi mogio verso la porta ed evitando per un soffio un pugno di Nerissa. «Comunque dovreste provarli! Sono degli ottimi tranquillanti!»
Gli occhi dei tre Malvagi si spostarono da Nerissa, che ancora urlava inseguendo uno sfinito Iago, ai broccoli "tranquillanti".
«Sarebbero un bello spuntino» mormorò con un ghigno Jafar.
Yzma tirò fuori dal nulla una boccetta verdastra e la rovesciò sui broccoli. «E vedrete che con questo sonnifero lo saranno ancora di più». I tre si scambiavano un'occhiata complice. Le loro esistenze sarebbero state finalmente in pace per un po'.
«Nerissa» chiamò con voce suadente Facilier. «Vieni a mangiare qualcosina, piccola».
La Prescelta si voltò verso i tre zii, scoprendoli completi di ghigni e di sguardi ammiccanti. Scosse la testa, battendo forte i piedi per terra. «Voglio la mia carta!»
«Iago!» ordinò brusco e annoiato Jafar, ritornando alla sua solita espressione perennemente disgustata. «Ridalle quella dannata carta!»
Il pappagallo strabuzzò gli occhi. «Ma... Jafar...» ansimò, iniziando a perdere l'equilibrio e a scivolare a terra per la stanchezza.
Prima che potesse dire o fare altro, Nerissa lo afferrò con un salto.  Gli prese la carta e lo scaraventò a terra. «Brutto stupido!» lo sgridò, prima di raggiungere gli zii.
«Fantastico» esalò con tono rauco Iago, ancora a terra, stordito dalla botta. «Vinceremo di sicuro tra undici anni».
Nessuno gli badò, ad eccezione di Jafar, che lo colpì con una leggera raffica di fuoco, tanto per ricordargli le regole dettate in precedenza.
«Di che cosa stava parlando?» domandò curiosa la Prescelta, insospettita dalla reazione del Gran Visir.
«Di nulla» rispose questo con un sorriso affabile quanto un serpente.
«Allora, Nerissa». Zio Facilier si intromise prima che facesse altre domande, scostando la sedia a capotavola accanto a lui, dove la Prescelta si sedette.
«Che ne diresti di un bel spuntino?»
La Prescelta guardò accigliata il tavolo. «Ma dove sono le altre mie carte?»
«Le ha prese un attimo lo zio, Nerissa, perché si erano un po' rovinate» inventò sul momento Yzma. «Dopo te le da».
«No!» si lamentò Nerissa, calciando con i piedi le gambe del tavolo e minacciando di scoppiare in lacrime. «Le voglio adesso!»
«E invece ora mangerai quei broccoli» sibilò Jafar, sporgendosi verso di lei. «Se non vuoi che chiami Malefica».
La Prescelta impallidì un poco, ma cercò di non dimostrare la sua paura. Guardò lo zio con aria di sfida. «Chiamala».
Jafar fece una smorfia. Sfortunatamente Malefica era impegnata in un'importante riunione e disturbarla soltanto per un capriccio della mocciosa sarebbe stato... sconveniente. Ma d'altronde, la poppante lo stava sfidando. Il Gran Visir decise di cambiare tattica e assottigliò gli occhi. «O preferiresti che chiamassi Uncino? Credi che non sappia, mocciosa, che è lui a farti mangiare? Non sei capace di mangiare qualcosa senza di lui, povera, piccola, mocciosa viziata».
Il viso della Prescelta si colorò di rosso. «Non è vero!»
«Allora perché non li mangi?» domandò Facilier con un mezzo ghigno.
«Li ha fatti Kronk!» assicurò Yzma. «Sono molto buoni!»
«O hai bisogno della presenza di Uncino per riuscirci?»
«Smettilaaa!»
I quattro erano così impegnati a discutere che nessuno si accorse dell'entrata di Ursula-cosa assai difficile, data la sua mole. La Strega del Mare si sarebbe sentita offesa a venire così ignorata, ma quando si accorse del litigio in corso, decise di goderselo al meglio.
Scavalcò quello che sembrava Iago e si avvicinò al tavolo, dove qualcuno sembrava aver lasciato, uhm, dei broccoli. Oh, si sarebbe goduta lo spettacolo mangiandone qualcuno. Dalle sue parti non ce ne erano tanti e Morgana si vantava continuamente di averli assaggiati- e di essere sopravvissuta. Uf, figuriamoci.
Giunse davanti alla ciotola ridacchiando per le urla che i quattro stavano producendo e affondò un tentacolo nella ciotola. Afferrò un broccolo e se lo portò alla bocca, gustando un sapore stranamente dolciastro. Tutto qui, cara Morgana?
Improvvisamente, la Prescelta e i tre Malvagi si bloccarono, osservandola.
Ursula ghignò, finendo di mangiucchiare il broccolo. «Oh, non fermatevi per me. Prego, continua...»
Un attimo dopo la Strega deI Mari giaceva a terra, addormentata.
«Ecco perché non li mangio! Io vi conosco, brutti bastadi!»

N.d.A.
Ebbene si, sono ancora viva! Eccomi qui, dopo mesi, con il quarto capitolo. Come avrete notato, è molto più incentrato su Nerissa, e i prossimi saranno quasi completamente su di lei, apparte rare eccezioni. Siamo giunti a metà della fanfiction: la serie di Promessi Rivali è infatti composta da tre "libri" principali (e innumerevoli one-shot). Le Origini, cioè il primo, è composto da sette/otto capitoli.
Veniamo alle note:
*1, Dallben: mentore di Taron nel film "Taron e la pentola magica".
Non mi pare ci sia altro... sono un po' di fretta, al limite le aggiungerò stasera. E spero di riuscire anche a rispondere alle vostre recensioni, siete stati gentilissimi <3
Dimenticavo, se vi interessa approfondire la vita di Helios, vi invito a leggere la fanfiction Profumo d'Autunno, mentre se vi interessa il film del Re Leone (fuori dalla serie di PR), fate un salto dalla mia nuova long Il Prezzo del Potere, incentrata sul rapporto Simba/Scar.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbia soddisfatto l'attesa! Credo sia stato uno dei più complessi da scrivere, dato che è principalmente di passaggio e che il prossimo- a mio parere- è molto più profondo... si entrerà nella death!fic, e Nerissa avrà addirittura dieci anni. Vedrò di riuscire a pubblicarlo entro la fine delle vacanze. Credo sarà uno dei capitoli più lunghi che abbia mai scritto.
Avevo poi in mente una piccola iniziativa: se desiderate veder comparire un vostro personaggio preferito non ancora/poco citato, non esitate a dirmelo, sia via recensione che via MP. Vedrò di inserirlo nell'occasione più adtta :)
Baci
Nox

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Capitolo 5
*** Gli Occhi della Notte ***


Gli Occhi della Notte




«Che cosa?» Nerissa alzò lo sguardo dal foglietto che teneva in mano, cercando gli occhi dello zio. «Stai scherzando?»
Il Capitano distolse lentamente lo sguarso dal paesaggio nuvoloso che si intravedeva dal finestrino e la fissò alzando le sopracciglia. «Ti sembra che abbia mai voglia di scherzare, mocciosa?»
La Prescelta sogghignò. «Quando viene zia Crudelia, si».
Il volto del pirata si deformò in una smorfia che nascondeva un poco di stanchezza. «Non essere impertinente, marmocchia, e...»
«E fatti gli affari tuoi. Lo so, zio»
«.... e smettila di rovinare i cuscini della carrozza» finì Uncino, seccato. «È di lusso».
Nerissa incrociò le braccia al petto, lasciando cadere il cuscino rosso che aveva già mezzo scucito. «Tanto non servono a nulla. Gli scossoni si sentono lo stesso».
Era vero. La carrozza arrancava a fatica sulla strada che portava dalla Jolly Rogers al Black Castel, complici i numerosi acquazzoni che avevano reso ogni passaggio una specie di continua fanghiglia tappezzata di pozzanghere.
Non che prima fosse granché meglio. Dato che quella dove si trovavano era anche una delle strade preferite di Gaston, non era raro trovare resti delle sue prede un po' sparpagliati ovunque. Ecco perché Uncino preferiva di gran lunga starsene con i piedi sulla sua nave.
Il Capitano si scostò dai suoi pensieri per lanciare un'occhiata annoiata a Nerissa, che stava rileggendo ancora il foglietto ricevuto quella mattina. Il biondo dei suoi capelli era ormai solo un ricordo: le ciocche erano tutte quasi completamente nere e Re Cornelius aveva attribuito quel cambiamento a tutte le Arti Oscure che venivano insegnate alla mocciosa. A quanto pareva, stavano scurendo la sua anima.
Certo, non c'era poi tanto da stupirsi, considerato che trascorreva cinque ore al giorno tra incantesimi, pozioni ed armi tutte rigorosamente oscure. Uncino si sarebbe stupito maggiormente se i capelli le fossero rimasti chiari.
«Io non voglio fare otto ore di lezioni!» dichiarò Nerissa con il broncio, una volta ricompletata la lettura. «Perché cavolo hai scritto insieme a zio Shan Yu e allo sceriffo che...» veloce controllo al foglietto, «..."non devo sottovalutare le capacità di un buon spadaccino"?»
«Magari perché ho notato che ti impegni molto di più nelle lezioni di Magia che con me» sbottò il Capitano, accarezzandosi con un che di minaccioso l'uncino.
«Non è colpa mia se è più divertente! Zia Magò mi insegna a trasmi... traspi... trasfigurarmi in un animale...»
«Si dice "trasformarsi", mocciosa».
«Lo so come si dice! E comunque zio Ade mi insegna a evocare il fuoco e tutte le altre robe, zia Ursula incantesimi acquatici e zio Facilier il voodoo e zio Jafar l'ipsotismo!»
«Ipnotismo. E dici di apprezzare la sua materia, quando non sai nemmeno pronunciarne il nome, mocciosa?»
Nerissa sbuffò irritata, ma subito dopo arricciò le labbra in un sorrisetto che il Capitano reputava decisamente odioso- ma che Spugna diceva essere uguale al suo. «Ma non è che sei... geloso, zio?»
Il pirata si sporse verso di lei. Nerissa non si mosse, pur sentendo sul suo viso l'odore pungente del tabacco. «Vuoi rischiare la morte in battaglia perché non sai tenere in mano una spada? Accomodati».
La Prescelta cercò di non farsi intimidire, ma arrossì leggermente ed abbassò lo sguardo.
Uncino si ritirò su, soddisfatto. Tirò fuori da una tasca interna il suo personale sigaro a due canne, lo accese e ne prese una lunga boccata. Nerissa si stava ancora guardando i piedi, notò vagamente perplesso. Bè, almeno così non lo avrebbe ancora infastidi...
«Vuoi dire che non sono brava?»
Il Capitano soffiò un anello di fumo. «Voglio dire che hai bisogno di allenarti di più, mocciosa. È per questo che stiamo andando su questa dannata carrozza a quel dannato castello».
Nerissa si raddrizzò, afferrando un altro cuscino da martoriare. «Comunque, gli altri zii dicono che sono brava».
«E dicono anche che devi essere perfetta. È per questo che dovrai frequentare altre lezioni».
La Prescelta sbuffò, evitando in velato- ma ovvio- modo di guardarlo per concentrarsi sul cuscino. Il Capitano prese un'altra boccata di fumo e lanciò un'occhiata distratta al paesaggio. Il mare era alle loro spalle da tempo, ormai, è la carrozza inerspicava lentamente tra le colline che intervallavano i Campi della Pena*1, l'enorme pianura a sud del Black Realm. Alla loro destra, un'informe macchia scura, la Foresta Proibita, il Confine Nero- quasi più potente delle barriere magiche- separava il loro reame dal White Realm, oltre a separare anche Uncino da Pan, da quel demonio che...
«Che cos'è quella, zio?» Nerissa si era spostata a ginocchioni vicino alla finestra e osservava la foresta con il naso premuto sul vetro.
Uncino si accigliò. In tutte le volte che erano passati per quella strada- migliaia di volte, Nerissa non si era mai interessata granché al paesaggio, o anche soltanto al guardare fuori, dato che la sua occupazione principale consisteva nel torturare i suoi giocattoli con un coltello, o in alternativa lui, con le sue domande. «La Foresta Proibita» disse noncurante.
La Prescelta inclinò la testa e spostò lo sguardo su di lui. «E perché non ci sono mai stata?»
Lo zio si irrigidì, e Nerissa lo notò, aggrottando ancora più incuriosita le sopracciglia. «Non è ovvio? Perché è proibita, mocciosa».
«E perché lo è?»
Il Capitano sbuffò un altro anello di fumo. «Non è importante. E anche se lo fosse, non ti riguarderebbe».
Nerissa strinse i denti, offesa. Se lei doveva essere perfetta, doveva anche sapere tutto. «Si che è importante! Io voglio...»
«Ti ho mai raccontato di come Pan mi ha staccato una mano e l'ha gettata in pasto al Coccodrillo?»
La Prescelta emise un esagerato verso esasperato. «Tantissimissime volte. Ziooo, io voglio...»
«Forse non mi hai capito. Ho detto che quella foresta. Non. Ti. Deve. Interessare, dannata mocciosa» dichiarò duramente Uncino, incrociando per un attimo il suo sguardo. Forse Nerissa, benché un poco intimorita, avrebbe voluto continuare a lamentarsi e a fare domande, ma in una frazione di secondo lo zio si era lanciato in un lungo e dettagliato resoconto della lotta contro Peter Pan- una specie di tizio volante di cui Nerissa sentiva parlare da tantissimissimo tempo, senza avere però idea di che fine avesse fatto.
Mentre la carrozza svoltava tra il racconto dello zio, la Prescelta continuò a seguire con la coda dell'occhio la foresta, quella macchia scura e misteriosa, sino a quando non si confuse con l'orizzonte, scomparendo.

Nerissa sbuffò sonoramente, affondando la testa nelle braccia sopra il banco nella vaga speranza di addormentarsi e svegliarsi a fine lezione. Quando mesi prima era andata al Black Castel con zio Uncino, nessuno le aveva detto chiaramente che oltre ad aumentare le lezioni di spada, avrebbe davvero iniziato anche delle nuove materie. Forse perché gli zii sapevano che se lo avesse capito, metà castello ne sarebbe uscito in uno stato pietoso.
Alzò appena la testa e desiderò un paraorecchie, mentre osservava sfinita zia Tremaine al pianoforte e Genoveffa al canto. Insieme quelle due causavano più mal di testa di una sparatoria tra i pirati. E perfino Spugna era più intonato.
Nerissa strinse i denti e si tappò forte le orecchie, mentre Genoveffa concludeva la sua performance con un insopportabile acuto, rischiando di mandare in mille pezzi le finestre dell'aula.
Su un tavolino accanto a lei, Lucifero si gettò a terra e sgattaiolò fuori dalla porta.
Genoveffa concluse il suo urlacchio e si inchinò in avanti con esagerazione, rischiando di sbattere la testa sul suo leggio con gli spartiti.
«Ottimo lavoro, bambina» la elogiò Lady Tremaine, facendo scrocchiare le dita. Si alzò, appoggiandosi al suo elaborato bastone da passeggio. «E tu che ne pensi, Nerissa?» chiese, una nota di superiorità ben distinguibile nella voce.
«Degna dello zio Alameda» commentò la Prescelta, senza nemmeno curarsi di alzare la testa dal banco o di nascondere il sarcasmo.
«Ma davvero?» domandò zia Tremaine, alzando un sopracciglio.
«Mamma!» strillò Genoveffa indispettita, le mani sui fianchi. «Mamma sta mentendo! Scommetto che non ha nemmeno ascoltato...».
«Silenzio, bambina. Sto parlando adesso».
Genoveffa gettò all'indietro la testa, offesa, si voltò per sedersi sulla seggiola del pianista, ma calciò il leggio, spaccandosi di netto un tacco. Piombò a terra sul sedere. La sua faccia fu attraversata da una smorfia di dolore, prima che scoppiasse in un lungo pianto assordante. «Mammaaaaa!»
Nerissa ridacchiò spudorata, mentre Lady Tremaine si avvicinava alla figlia, una lieve sfumatura di esasperazione nei tratti duri del viso. «Su, bambina, su... controllati...» disse, dandole qualche lieve pacca sulla spalla e porgendole un fazzoletto.
Genoveffa lo afferrò e si soffiò forte il naso, producendo un barrito da elefante. Si rialzò zoppicando e, sorreggendosi alla madre, sprofondò nella sedia, finendo di asciugarsi le ultime lacrime.
«Povera bambina» mormorò Nerissa, un accenno di ghigno sulle labbra.
«Non pensare che non ti abbia sentita, piccola impertinente!» scattò zia Tremaine. Prese un sospiro profondo e cominciò a camminare avanti e indietro per la stanza, l'abito rosso scuro- Nerissa era contenta di indossare una semplice tuta da guerra- che scivolava sul pavimento di pietra.
«Ho acconsentito ad ammetterti alle mie lezioni...»
«Non è che ci sia tanta gente, oltre a me». Nerissa allargò le braccia per indicare tutti i tavoli vuoti ad eccezione del suo.
Il tono della zia si alzò. «... solo sotto insistenza di Ade e Malefica!»
«Certo, hai paurissima di loro».
La vecchia Lady increspò le labbra in una delle sue smorfie più arrabbiate. «Come ti permetti, orribile mocciosa?! Non sei altro che una piccola, inutile, arrogante, piccola impertinente!»
«Scommetto che non ha nemmeno ascoltato nulla della lezione, mamma!» gracchiò Genoveffa dal suo angolino.
«E invece si!» ribattè Nerissa, cercando di fingere al meglio. D'altronde, aveva passato ore ad imparare dai più svariati zii come mentire al meglio.
«In questo caso...» zia Tremaine richiamò l'attenzione sulle sue parole colpendo secca il pavimento con il suo bastone, «Ricorderai anche la mia spiegazione sull'importanza del bon ton. Ripeti le ultime parole che ho detto».
Nerissa si mise più composta ed incrociò con aria di sfida le braccia sul petto. Non ricordava nemmeno che cosa avesse cantato Genoveffa. Attese un istante per dare più importanza alla sua risposta- e per assicurarsi che ne valesse la pena, ma quando riguardava quelle due, farle arrabbiare valeva sempre la pena- e poi parlò. «Le ultime parole che ho detto».
Si scatenò il putiferio.
Lady Tremaine spalancò sia gli occhi che la bocca, e il suo viso si colorò sgradevolmente di chiazze rossastre, mentre Genoveffa interruppe a metà un altro dei suoi barriti. «Mamma! Non ha ascoltato un accidente!»
«Non credere di farla franca, piccola stupida!» tuonò la zia, riprendendosi. Quasi scoppiando per l'ira repressa, ritornò alla sedia del pianoforte, afferrò una piuma dal portapenne lì vicino e uno spartito ed iniziò a scrivere, con la figlia che sghignazzava accanto.
«Se hai l'arroganza di non prestare attenzione e di rispondermi a quel modo, significa che hai troppo tempo libero... ma a tutto si può rimediare, Nerissa. Non sarà più così: ti darò tante di quelle faccende da svolgere che ti diverrà difficile anche solo trovare il tempo per mangiare».
Nerissa strinse i denti, per nulla d'accordo. «Non voglio passare il tempo a pulire il castello!»
Zia Tremaine la squadrò fredda e altezzosa. «Avresti dovuto pensarci prima, piccola impertinente. Ora avrai il privilegio di aiutare Edgard».
«E invece no!»
«E invece si, mocciosetta!» si intromise Genoveffa con una vocetta infantile, a discapito dei suoi venti e passa anni.
«E invece no!»
«E invece si!»
«No!»
«Si!»
«No!»
«Si!»
«Smettetela!» la voce sferzante della Lady le interruppe. Mentre questa si avvicinava di nuovo, Genoveffa fece la linguaccia a Nerissa, che le rispose con una boccaccia, trattenendo a stento qualche altro gesto.
«Qui troverai tutto ciò che dovrai svolgere sotto sorveglianza di Edgard». La Lady le porse il foglietto, che Nerissa osservò disgustata, stringendo i denti.
Ma per chi l'avevano presa? Lei doveva essere perfetta, non una cameriera! Un conto era fare delle vere lezioni, un altro era fare quelle... stupidate lì, che non servivano a nulla! Imparare a cantare! O quella lingua morta del latino! Ma a che diavolo le serviva?
Prima che la zia le desse il foglietto, rotolò giù dal banco e balzò verso la porta. «E invece no!» ripetè sulla porta.
Genoveffa provò a rincorrerla, esortata dalla madre, ma ruzzolò di nuovo a terra.
Con alle spalle le grida delle due che scuotevano il Black Castel, Nerissa corse a fatica per il corridoio- le gambe ancora un poco addormentate per tutte quelle ore seduta, svoltò a sinistra e poi a destra in un altro corridoio, e scivolò nella prima stanzetta che le capitò a tiro, prestando attenzione che non fosse né troppo lontana, né troppo vicina all'aula.
Si chiuse la porta alle spalle e si accasciò sul pavimento.
Non aveva nessunissima intenzione di starsene a lavorare per quella vipera e per le sue lezioni inutili! Però... se gli altri zii lo avessero scoperto, forse si sarebbero arrabbiati, perché anche quella lezione serviva a farla essere perfetta...
Doveva trovare un posto dove nascondersi un poco e aspettare che si calmassero un poco le acque. Ma il Black Castel era fuori discussione, troppi zii ovunque... e la Jolly Rogers era almeno a tre ore di carrozza...
La Prescelta si portò le mani alla testa, premendo come se in quel modo potesse far uscire velocemente un'idea.
Che cosa dicevano sempre zio Gatto e zio Volpe riguardo ai piani di fuga?
Uhm... che era meglio averne sempre uno pronto, nel caso qualche cliente della loro società si fosse rivelato abbastanza sveglio.
Nerissa strinse ancora di più i denti, affondando le unghie nella carne nello sforzo di concentrarsi di più... ma niente.
Non le veniva nulla in mente.
Diede in una sorta di ringhio per la frustrazione, balzò in piedi e gettò a terra una o due corde sopra ad un tavolo lì accanto.
Si bloccò all'improvviso, con la terza corda in mano che scivolava verso il pavimento. Era robusta, come quelle della Jolly Rogers, forse lì veniva usata per legare i condannati.
La strattonò. Era molto robusta e anche forte e abbastanza lunga...
Presa da una strana ispirazione, afferrò le funi che le sembravano più lunghe e le legò insieme- vivere su una nave dopotutto aveva i suoi vantaggi. Certo, il nodo non era perfetto come quelli degli altri pirati, ma era resistente.
Completato il lavoro, osservò attentamente il resto della stanza. Due o tre tavoli e una vecchia sedia con altre corde, illuminate dalla luce che filtrava da due minuscole finestrelle, troppo in alto per arrivarci e troppo piccole per passarci.
Nerissa sbuffò, afferrò come meglio poteva il groviglio di corde e socchiuse a fatica la porta. Alle grida in lontananza di Lady Tremaine, si erano aggiunte quelle degli altri zii, che stavano accorrendo svogliati.
Nerissa aveva poco tempo. Diede un'occhiata a sinistra e poi a destra. Il corridoio sembrava davvero deserto. Uscì, chiuse con un calcietto la porta e arrancò verso quella alla sua sinistra; stava rischiando di avvicinarsi all'aula, ma l'alternativa era rischiare di incontrare qualcuno che si stava dirigendo lì.
Socchiuse la seconda porta, scoprendo finestre più grandi, ma troppo distanti. Strinse i denti per non lasciarsi sfuggire un imprecazione e si fiondò sulla stanza di fronte.
A quanto pareva la porta era chiusa a chiave. Andare più avanti era troppo rischioso-e poi era curiosa, così si ritrovò ad armaneggiare con una forcina in una mano, mentre sull'altro braccio pesavano le corde. Non ci sarebbe dovuto molto tempo per forzarla... stringendo i denti per la concentrazione, si sistemò meglio la corda, mentre le voci degli zii si attuivano. Rilassò un poco le spalle e cercò di scassinarla senza perdere altro tempo. Ogni secondo era prezioso...
La forcina si incrinò e nello stesso istante un rumore secco a destra la fece sobbalzare.
Si girò di scatto, intravedendo un piede sbucare dall'angolo del corridoio.
Con il cuore in gola, fece finalmente scattare la serratura e si tuffò dentro la stanza, chiudendo la porta con un leggero tonfo.
Si appoggiò per un istante alla porta, per poi premere l'occhio sul buco della serratura, continuando a reggere le funi sulla spalla per paura che, cadendo, potessero sentirla.
Ingoiò un'altra imprecazione quando intravide sfrecciarle davanti il mantello inconfondibile dello zio Uncino. Con probabilmente Spugna che gli trotterellava dietro.
Principessa bastada, se l'avesse scoperta...
«... ma che cosa succede, Capitano?»
«Ti ho già detto che non ne ho idea, Spugna. Devo dedurne che non presti attenzione al tuo capitano?»
«Oh, certo che no, Capitano! Ma Voi cosa pensate sia accaduto?»
La risposta di Uncino si perse in lontananza, con i passi dei due. Nerissa si lasciò sfuggire un sospiro sollevato e diede finalmente uno sguardo alla stanza, che si rivelò davvero molto interessante. Sarebbe dovuta ritornarci, quando tutto si sarebbe sistemato. Due semplici librerie polverose, un vecchio tavolino traballante e un paio di poltrone sfaldate erano illuminate dalla luce grigiastra che filtrava da una grande finestra. Della dimensione e dell'altezza giusta.
Nerissa sorrise, gettò la forcina a terra e legò un capo della corda alla gamba di una libreria, sperando che reggesse. Chissà poi perché tenevano chiusa una stanza del genere...
Aprì la finestra e venne investita dal freddo di un venticello, che la fece indietreggiare.
Si coprì il viso con un braccio e strinse i pugni. Un po' di freddo non l'avrebbe fermata! Non voleva mica farsi punire dagli zii! Magari le avrebbero fatto fare sul serio tutte quelle cose inutili di zia Tremaine- tipo spazzare il pavimento o fare una torta di mele fischiettando.
Si avvicinò ancora alla finestre e gettò fuori il resto della fune, che si perse nella nebbia sottostante.
Nerissa si strinse nel suo maglione e si arrampicò a fatica sul davanzale e- nonostante gli zii le ripetessero almeno tre volte al giorno che lei non poteva provare paura, quel brivido che le attraversò la schiena mentre guardava giù sembrava proprio quella sensazione.
Ne valeva davvero la pena? Voleva rischiare davvero così soltanto per aver disobbedito alla vipera?
Forse non era solo quello... Nerissa era stanca di fare otto ore di allenamenti al giorno. Era da mesi che quella storia andava avanti così, con anche quegli stupidissimi corsi di bon ton, e era da mesi che non riusciva nemmeno ad andare a nuotare.
In più lei era grande, aveva da poco dieci anni, dannazione!
Fece un cenno del capo, come ad annuire se stessa, e poi afferrò la corda ruvida a due mani ed iniziò a calarsi giù poggiando i piedi sul muro.
Nerissa credeva di averne passate tante con le lezioni degli zii- dopotutto non era la prima volta che scalava- ma non credeva di aver mai fatto una roba del genere, così...- altra cosa che non poteva provare- dolorosa.
I muscoli delle braccia tiravano come se si stessero per rompere in mille pezzi e la corda le graffiava tutte le mani. Il freddo era così forte da farle lacrimare gli occhi. Le mura di pietra che si susseguivano sempre uguali davanti a lei iniziarono ben presto a farle girare la testa. Cercò di concentrarsi su qualcos'altro.
I puntini gialli sopra di lei non erano gli occhi di mostri che la fissavano, ma soltanto delle luci in prossimità delle finestre. Quando una si accese improvvisamente vicino a lei, per poco non sbatté contro il muro. Una figura in controluce si era appena alzata da una poltrona, si dirigeva verso l'uscita e... sbatteva clamorosamente la testa contro la porta.
Nerissa ghignò. Con ogni probabilità, si trattava di quell'idiota di Gaston, il più insulso di tutti gli abitanti del Black Realm.
Era così comico osservarlo a terra che si massaggiava la testa che...
I pensieri di Nerissa furono stroncati. La sporgenza su cui aveva poggiato il piede franò.
La Prescelta si ritrovò a penzolare nel vuoto, con soltanto le braccia a reggerla.
Gridò con quanto fiato avesse in gola, sperando che qualcuno- anche Gaston!- la sentisse. Ma non successe nulla. Era lì da sola.
Con un gemito strozzato, tentò di riportare i piedi sul muro. Pessima idea. Non c'erano sporgenze abbastanza solide, si sgretolavano e lei rischiava di perdere l'equilibrio e cadere e... e sarebbe morta, sarebbe caduta giù nella nebbia e si sarebbe spappolata a terra.
Nerissa tremava e si scoprì a singhiozzare apertamente ed era strano e stupido, perché lei non aveva mai, mai, mai pianto. E non aveva- non poteva avere- paura.
Prese un respiro tremante, ingoiando un ultimo singhiozzo, e tirò su col naso.
Sentiva come un qualcosa che le stringeva fortissimissimo lo stomaco e la gola, ma se si fosse fermata in quel modo, le braccia avrebbero ceduto e sarebbe...
Doveva rilassarsi e cercare solo di scendere il più velocemete possibile, per andarsene da quel dannato inferno. E ce l'avrebbe fatta, perché lei era perfetta- se gli zii lo dicevano sempre, era per forza vero.
Diede un'altra occhiata alle finestre sopra di lei, cercando quella da cui era fuggita, ma la nebbia stava iniziando a salire verso l'alto e a coprire tutto.
Iniziò a scendere velocissima, con il sangue delle sue mani che macchiava la corda e il rimbombo del suo respiro tra le orecchie. Le mani si staccavano quasi in simultanea e si rese conto troppo tardi che era pericoloso.
Ad un tratto, entrambe non riuscirono ad afferrare ancora la fune.
Nerissa vide come al rallentatore la corda che si allontanava, si allontanava sempre di più, e lei cercava di prenderla, ma... ma non riusciva ad aggrapparsi.
Precipitò verso il sottosuolo, piangendo ed urlando, la gola che quasi si lacerava per lo sforzo.
Stava per morire, sarebbe morta, morta, e la morte faceva paura ed era strano- ne parlava sempre con gli zii- e lei sarebbe morta.
Strizzò gli occhi e aspettò l'impatto, con il fischio dell'aria che le strideva nelle orecchie.

L'accesa partita a cricket tra il Principe Giovanni e la Regina dei Cuori era quasi giunta al termine, con un netto vantaggio di Sua Maestade.
Questa lieta notizia giustificava il suo sorrisone benevolo e l'evidente buon umore di tutte le guardie-carte -nessuna testa sarebbe saltata via quel giorno- nonché del piccolo Re di Cuori, impegnato a cercare, con pochi risultati, di confortare Sir Biss al pensiero della vicinissima sfuriata, compresa di capricci, del Principe.
Quest'ultimo sembrava in completa ansia, mentre si realizzava una perfetta manicure mangiucchiandosi gli artigli. Scommettere l'ultimo specchio regalo di mamma non era poi stata una grande idea.
«È l'ultimo tiro!» strillò accanto a lui Tonto, che per ignote ragioni aveva ottenuto il ruolo d'arbitro. «E tutto va maaale!»
«Parla per te, uccellaccio!» lo ammonì la Regina dei Cuori, per poi alzare trionfalmente la sua mazza-uccello per l'ultimo tiro che le avrebbe regalato la vittoria. Un'ovazione e uno scroscio di applausi la accolse.
Sua Maestade sorrise e si accucciò, indietreggiando sino a sfiorare con il suo regal sedere le mura del castello per prendere una migliore rincorsa.
Posizionò meglio la palla-riccio rosa davanti a sé, bilanciò un poco la mazza e, con la lingua fuori per la concentrazione e un occhio chiuso, si preparò a tirare. Portò indietro la mazza per infondere più potenza possibile, fece per scagliare il colpo e...
Con un urlo acuto, qualcosa- o qualcuno- precipitò giù dalle mura, proprio sopra la Regina, che stramazzò al suolo, in un grovigliastro confuso di gonne, sottogonne e mutandoni.
Prima che Sua Maestade riuscisse a rialzarsi e il resto delle guardie comprendesse la situazione, Nerissa sguciò fuori dal groviglio. Si tastò il corpo, incredula.
«Sono viva!» strillò.
Alle sue spalle, la Regina emerse a fatica dalle gonne, il faccione rosso come non mai e la bocca spalancata. «Tagliatele la testa!» si sgolò, indicandola.
«Ma, mia cara» il Re dei cuori si avvicinò alla moglie con la sua andatura imbarazzata. «Non si può, è... ehm... Nerissa».
«Uhm, è vero» ragionò Sua Maestade, grattandosi la testa. «Tagliate a lui la testa!» gridò di nuovo, indicando una guardia a caso di fronte a lei.
Le altre guardie lo afferarono prontamente, dirigendosi verso la vicina ghigliottina. La Regina, rialzatasi, cercava di godersi al meglio la scena, ma venne infastidita dalle grida di giubilio del Principe Giovanni e della sua corte.
«Che avete da ridere?» urlò, rischiando di cadere nuovamente.
Il Principe si fece avanti, con un sorriso da un orecchio all'altro, accompagnato da Sir Biss e dallo Sceriffo di Notthingam. «Ho vinto! Ho vinto! Ho vinto io!»
«Che diamine stai dicendo?»
«Hai abbandonato la partita gettando a terra la tua mazza, mia cara, perciò ho vinto io!» spiegò con evidente soddisfazione il Re Fasullo d'Inghilterra.
La Regina dei Cuori lo fissò per un momento, interdetta. Poi si riprese. «Tagliategli la testaaaaa!»
Mentre il Re dei Cuori cercava debolmente di fermare la sua amata metà, tutte le guardie-carte abbandonarono la ghigliottina per precipitarsi contro il Principe, che, molto virilmente, scappò a rifugiarsi dietro il suo trono. «Guardie!» ruggì disperato. «A me! Guardie! Difendete il vostro Re!»
Approfittando della battaglia, Nerissa, a furia di spintoni e piccole sfere di fuoco marca zio Ade, se la svignò indisturbata verso le scuderie.
Era molto soddisfatta di come se la fosse cavata, anche se molto andava alla regale cicciosità della zia...
Sgusciando tra i vari giardini del parco, riuscì ad arrivare al suo obiettivo. Prestando attenzione a non farsi beccare, scivolò dentro alle scuderie, venendo accolta da un immediato calore, odore di fieno e nitriti di cavalli.
I vari teschi intagliati sulle pareti le sorridevano allegri e non sembrava esserci nessuno...
«Oh no! Non puoi farmi questo!»
Nerissa si tuffò di lato, precisamente tra il fieno.
Un ringhio, seguito da un vago piagnucolio. «Mi avevano detto che era un compito facile! Oh, non dirmi che non muori dalla voglia di esibirti ad uno splendido spettacolo in onore del Governatore Radcliffe stasera! Chiunque ne sarebbe entusiasta!»
Nerissa gattonò tra la paglia e si sporse da una colonna di un box per guardare.
Wiggins, smunto e nervoso, cercava di convincere nientemeno che Mor'du, legato con più catene possibili ad un enorme colonna di pietra.
In tutta risposta alle preghiere di Wiggins, l'orso ringhiò come non mai-inondando di bava il poveretto- e cercò senza successo di alzarsi per sbranarlo, facendo scricchiolare l'intera scuderia.
Due o tre cavalli nitrirono, scalciando irritati. Nerissa ghignò. Sapeva che Wiggins era un idiota, ma non credeva così tanto. Insomma, nemmeno Gaston si sarebbe avvicinato tanto a Mor'du- o almeno, lo avrebbe fatto solo con cinque o sei armi adeguate.
Wiggins si passò una mano tra i capelli, osservando disgustato lo stato in cui erano ridotti.
«Andiamo, vecchio mio! Ripensaci!»
Nerissa sbuffò. Ma guarda te, se doveva perdere tempo per uno del genere. Mentre il poveretto era impegnato a convincere l'orso più terrificante del Black Realm, la Prescelta scivolò pian piano di box in box.
«Senza dimenticare che è un incarico prestigioso! Sono certo che il Governatore Radcliffe te ne renderà conto! Potrebbe perfino arrivare a...»
SDENG!
Wiggins si accasciò a terra, un bernoccolo enorme che gli spuntava sulla testa, e Nerissa ripose la pala al suo posto. Si asciugò il sudore dalla fronte con una mano- scappare era davvero faticoso!- e dopo aver fatto una linguaccia a Mor'du, che rispose con un sordo ringhio, facendola arretrare, corse alla scuderia numero cinque.
Liberò senza troppe difficoltà il cavallo che era solita usare, montò a fatica dopo il terzo tentativo e, in meno di dieci minuti, spalancò le porte ed uscì finalmente dal Black Castel.

«Credo proprio di non aver afferrato: come sarebbe a dire che è fuggita?» chiese Ade con una calma inquietantemente mortale, osservando i presenti come se si trattassero di un valido esempio di come sprecare il suo tempo.
Davanti a lui, Lady Tremaine cercava di mantenere un'aria più dignitosa possibile, nonostante, accanto a lei, Genoveffa stesse tremando, singhiozzando e tirando su con il naso. Non necessariamente in quest'ordine.
«È fuggita. Ha detto che si era stancata, che non aveva la minima intenzione di svolgere le mansioni che le richiedevo, e se ne è andata».
Genoveffa afferrò la coda di Shere Khan, che passava malauguratamente lì vicino per raggiungere all'altro lato della sala i restanti i felini, e ci si soffiò il naso. La tigre le diede una zampata, disgustato.
«A quanto pare fermarla avrebbe richiesto troppo impegno» commentò con una smorfia Jafar, di fianco ad Ade.
Il dio sembrò ridacchiare. «La cosa è... comica, davvero» dichiarò, alzando lo sguardo sulla matrigna. «Abbiamo perso» vampata di fuoco rosso, «la nostra unica salvezza perché volevi farle fare dei... lavoretti da principessa?!?»
Ade, con un urlo di rabbia, prese definitivamente fuoco.
Lady Tremaine si gettò a terra, mentre il resto dei Malvagi di proteggeva quasi con svogliatezza, ormai abituato agli scatti di rabbia del Dio degli Inferi.
«Perché questa situazione non mi suona nuova?» sospirò Madre Gothel con stanchezza, seduta a destra della sala tra Frollo e Radcliffe.
Mormorii di approvazione.
«Non è possibile che la perdiamo come minimo ogni tre mesi!» borbottò il Comandante Rouke a Clayton, che annuì con l'aria di chi la sapeva lunga, masticando la sua sigaretta.
«Perdonami se ti contraddico, Rouky» riprese la parola Ade. «Ma questa volta ha lasciato il castello e perciò c'è un piccolo dettaglino non del tutto insignificante: qualcuno ha idea di dove sia andata?»
Mentre ognuno cercava di esprimere la propria opinione, calpestando brutalmente quella degli altri- sia in senso letterale che non, Uncino spalancò gli occhi. Immagini e ricordi di una conversazione non molto lontana gli affiorarono nella testa come isole nel mare.
Il viaggio in carrozza di mesi prima.
La Foresta Proibita.

Il cavallo sfrecciava velocissimissimo. Nerissa, appiattita sul dorso, lo spronava di tanto in tanto con il frustino, pur non sapendo in quale direzione volesse esattamente andare.
Per il momento, le bastava allontanarsi il più possibile dal Black Castel e da tutte quelle lezioni.
Ostacolata dai capelli e dalla criniera del cavallo, si voltò a dare un'occhiata. Le ultime torri del castello erano appena visibili, tra le colline.
Strinse la presa sulle briglie, e il cavallo, con un nitrito, diminuì la velocità fino a fermarsi del tutto. La Prescelta cercò di osservare come meglio poteva i dintorni, incupite dalle nuvole scure che si stavano via via sostituendo alla nebbia.
La strada che portava alla Jolly Rogers era alla sua sinistra, sbucava tra due collinette per poi infilarsi in una delle entrate principali del castello. Perciò seguendo quella strada sarebbe arrivata alla nave.
Ma ci avrebbe messo tantissimissimo tempo.
Già dalla scuderia le si era affacciata in mente l'idea di visitare la Foresta Proibita- pensiero che non aveva mai veramente abbandonato da quando zio Uncino le aveva risposto così bruscamente. O meglio, più bruscamente del solito. Doveva esserci una roba fortissimissima dentro quel bosco!
E di sicuro lo zio Uncino e gli altri non gliene parlavano mai soltanto per lasciarla fuori dal divertimento e condannarla alle robe inutili- come la lezione di zia Tremaine!
Girò il cavallo in direzione della strada e lo incitò al galoppo.
«Alla Foresta Proibita, prima che mi scoprano!» sussurrò con un ghigno, cercando di ricacciare via quella morsa allo stomaco e alla gola. La paura arrivava sempre quando lei non ne aveva!

Ad Uncino non era mai piaciuto cavalcare. D'altronde, solitamente si pretende che un pirata rimanga con i piedi ben piantati sull'acqua della sua nave, di certo non sulla groppa di un dannato ronzino a imprecare tra i denti ad ogni singolo sasso.
Ma sono tante le cose che si pretendono a questo mondo.
Ad esempio, soltanto poco prima, il Capitano si era trovato a pretendere- o forse a sperare- che qualcuno proponesse un altro posto, che la mocciosa non fosse andata sul serio nella Foresta Proibita.
Ma per qualche ignota ragione del più avverso fato, nessuno di tutti quei miserabili presenti aveva contestato nulla. Nessuno aveva proposto un luogo più probabile.
Con il risultato che ora era lì, su un dannato cavallo a distruggersi la schiena anche più di quanto avesse fatto Pan, con Spugna dietro, con la ciurma che si mobilitava in massa dalla Jolly Rogers per andare all'altro lago della foresta, con gli altri Malvagi che si preparavano meglio che potevano con tutti i loro incantesimi e armi- anche se alcuni provavano comunque a cercare la marmocchia in altri posti per "sicurezza". La loro, forse.
Compito di Uncino era precedere i Malvagi, che presto- il tempo di riuscire a mettere insieme qualcosa di simile ad un esercito sufficiente ad affrontare quel demone- lo avrebbero raggiunto.
Un altro scossone lo fece sobbalzare. Strinse i denti.
Se la mocciosa non fosse morta, l'avrebbe uccisa lui. Con le sue mani- la sua mano e il suo uncino.
Ma se fosse stato troppo tardi...
Il pensiero della marmocchia, insanguinata e a terra, stranamente non gli portò quella gioia che si aspettava. Incitò ancora e ancora il cavallo.
E finalmente, tra il nero delle nubi della sera, la sagoma più oscura della foresta si delineò lentamente davanti a loro.

Nerissa represse un brivido, scostando malamente un rovo che le si era impigliato nei pantaloni. Siccome la foresta le era sembrata molto fitta, aveva lasciato il cavallo ai suoi margini, con già pronto un incantesimo per convincerlo ad andarsene. Ma non ce ne era stato bisogno, visto che si era catapultato il più lontano possibile, nitrendo come un forsennato.
Bè... tanto meglio. Aveva risparmiato le energie.
Le foglie che calpestava scricchiolavano flebili, levandosi di tanto in tanto al fruscio del vento. Sembrava che questo quasi ululasse, quando si inoltrava negli alberi cavi.
Il freddo iniziava a scivolarle dentro i vestiti e i pochi raggi della luna appena sorta dipingevano tutto di una cupa luce grigiastra, intervallata dai rami neri.
Ogni gracidio di rana rimbombava tutto intorno, come una presenza inquietante, e lo stesso facevano i tristi e lunghi versi dei gufi.
A Nerissa piacevano molto le atmosfere così- gli zii dicevano sempre che erano meravigliose e oscure e perfette. Ma anche se voleva davvero essere rilassata, quelle strette allo stomaco e alla gola continuavano ad esserci e erano davvero fortissime. Forse era colpa delle rane, non era abituata a sentire i loro versi...
Strinse le braccia al petto e si lasciò sfuggire un sospiro- che le uscì tutto tremulo!-, mentre continuava ad inoltrarsi. Non c'erano nemmeno dei mostri in quello stupido posto, ne era sicura.
Ma allora perché agli zii piaceva tanto? Perché la chiamavano "Proibita"?
E perché lei aveva ancora quella bastada di... paura?

«È meglio lasciare qui i cavalli». Uncino smontò elegantemente per poi legare ad un tronco vicino le redini del cavallo, che scalciò irrequieto.
«Non... non possiamo portarli con noi, Capitano?» chiese nervoso Spugna, tocerndosi le tozze mani. «Sapete, nel caso si serva una veloce...» deglutì, «... fuga».
Uncino gli lanciò un'occhiata a metà tra il severo e il disgustato. «Questo è il territorio più fitto. Come avresti intenzione di passarci con i cavalli, Spugna, se a malapena riusciamo ad entrarci noi?»
«Si, Capitano» mormorò sconsolato il mozzo. Scese dal suo asino- l'unica cavalcatura su cui riuscisse a non cadere- e lo legò accanto al cavallo, mentre Uncino controllava le tracce, inginocchiato.
A furia di anni trascorsi inseguendo Pan, indiani e quant'altro, aveva appreso ben più di qualche trucchetto su come rintracciare qualcuno.
Le orme del cavallo della mocciosa si fermavano lì, per poi tornare indietro, ma era sicuro che lei fosse entrata nella Foresta Proibita.
«Che cosa vi fa credere, Capitano, che la Prescelta abbia proseguito nel bosco?»
Era da molto che il pirata non udiva quella voce così gelida. Si voltò, mascherando al meglio il suo stupore.
Malefica si era appena materializzata a pochi passi da loro, un'espressione di distaccata superiorità sul viso orgoglioso. Il lungo mantello frusciava se ogni suo passo, mentre al suo scettro era appollaiato Diablo.
«Ade e Jafar mi hanno da poco informata dell'accaduto» continuò la Regina di Tutti i Mali, incurante degli inchini tutti svolazzi dei due pirati. «Sembra che siate stati proprio voi, Capitano, ad attirare l'attenzione della mocciosa sulla foresta».
Gli occhi della strega rivelavano un luccichio pericoloso.
«Non è esatto, Vostra Signoria: Nerissa ha notato da sola la foresta mentre, mesi fa, ci dirigevamo al Black Castel. E ora, con tutto il rispetto, dobbiamo inoltrarci immantinentemente nella selva, prima che si riveli essere troppo tardi. Gli altri dovrebbero arrivare presto con i rinforzi e...»
«Con tutto il rispetto, Capitano».
Uncino, già avviatosi, si bloccò.
«Non verrà nessun rinforzo a supportarvi».
Il pirata si voltò di scatto, pregando di aver frainteso. «Come, prego?»
Malefica arricciò appena gli angoli della bocca. «Avete inteso perfettamente, Capitano. Non so quale sia normalmente il Vostro riguardo rispetto ai Vostri pirati, ma sappiate che io non ho intenzione di rischiare gran parte delle forze del Black Realm a causa di un vostro errore. Era vostro dovere assicurarVi che la Prescelta non pensasse più alla Foresta, come anche d'altronde Lady Tremaine doveva avere più attenzione nella scelta degli argomenti da trattare nelle sue lezioni. Non è una sciocca principessina, diamine».
Il pirata fissò a bocca aperta Malefica, incrociando il suo sguardo altero. Decise di cedere. «Ritenetelo pure un mio errore, Vostra Signoria. Ma ora si tratta della vita di Nerissa. Della nostra dannata opportunità di salvezza! Abbiamo bisogno di rinforzi! Quella dannata mocciosa ne ha bisogno!»
«Se si tratta di una missione tanto pericolosa, farete bene a riportare al Black Castel quella mocciosa, Capitan Uncino» replicò gelida come non mai la Signora di Tutti i Mali. Gli diede le spalle con uno svolazza del mantello. «E ora, se volete scusarmi, devo occuparmi di Lady Tremaine».
Come era arrivata, la strega sparì in una fiammata nera, lasciando dietro di sé un innaturale silenzio.
Uncino rimase a fissare il punto dove era sparita la Malvagia, senza saper spiegarsi quell'improvviso sbigottimento. Ad ogni battaglia... ad ogni maledetta battaglia con Pan aveva sempre avuto un'ottima strategia. Anche se spesso veniva stravolta ed erano necessari degli accorgimenti, ad ogni battaglia lui... lui aveva tutto sotto controllo. Pan sarebbe arrivato da quella parte, sarebbe incappato in quella trappola, le palle di cannone sarebbero state in posizione ad attendere i Bambini Sperduti, la ciurma si sarebbe divisa in tre principali battaglioni, di cui uno sarebbe fuoriuscito da sottocoperta per attaccare i nemici quando meno se lo fossero aspettati e lui avrebbe ucciso Pan, infilando la sua spada fino all'orlo nel suo sangue da demone; se invece Pan fosse capitato da quell'altra parte, si sarebbe attuato il piano d'azione basato sull'uso delle armi da fuoco, approfittando della particolare inclinazione della nave e nella battaglia lui avrebbe ingaggiato un duello contro Pan e lo avrebbe ucciso, e avrebbe gettato la sua testa al Coccodrillo...
La strategia era una delle poche e vere costanti nella vita di un pirata. E ora lui, Uncino, il Terrore dei Sette Mari, il Pirata più temuto del Black Realm, lui... lui non ne aveva nessuno.
Erano in completa balìa degli eventi e del nemico, senza alcuna speranza di...
«Capitano?» provò debolmente Spugna, il cappello stretto tra le mani. «Che facciamo, Capitano?»
Uncino si voltò ancora e fissò la Foresta Proibita come se mai l'avesse vista davanti a sé. «Andiamo, Spugna».

Era da almeno mezzora che avanzavano nella foresta, avvolti dal classico odore di freddo e fango. Il Capitano aveva sguainato la spada, come Spugna il suo pugnale, e teneva l'uncino pronto per squarciare. Normalmente, il suo corpo sarebbe scattato al minimo segnale del nemico, i sensi tesi e il corpo impaziente di finirla ma allo stesso tempo appagato per l'attesa- era abituato, Uncino, alla calma prima della tempesta.
Ma in condizioni normali avrebbe avuto un piano, dei rinforzi. Non una stuola di accuse che, proprio come Pan, svolazzavano tra la sua testa.
Un pirata era abituato ad essere accusato. Era uno dei svantaggi così poco rilevanti, che nessuno mai lo considerava un vero e proprio lato negativo. Se si aveva la malaugurata sorte di capitare ad un processo, schiere di accuse di pirateria, furto, omicidio, abbordaggio, ammutinamento, tradimento alla Corona, alla patria e alla fede, incendio colposo, minacce e sobbillazione di rivolta erano solo le principali.
Ma dopotutto sotto quelle accuse si nascondeva sempre la verità. Non si era pirati per nulla. Le accuse di Malefica erano diverse. E non riusciva davvero a capire, Uncino, perché lo tormentassero tanto.
Anche se fossero state vere, che cosa sarebbe cambiato? Era naturale che un pirata come lui non si preoccupasse di nulla, se non del proprio interesse. Ma allora perché diamine...
«Capitano! Avete... avete sentito anche voi?» domandò Spugna con il fiato corto, appena dietro di lui.
Uncino tese le orecchie, poi aggrottò le sopracciglia. «Che diamine hai bevuto, Spugna? Non sento nient...»
Un grido terribile, talmente profondo da sembrare uscire dalla terra, squarciò la notte, riecheggiando nei loro cuori.
Il Capitano sollevò l'uncino, illuminato dalla luce cupa della notte. «Preparati a combattere».
E all'improvviso tutto nella mente di Uncino si confuse tra ricordi e sogni si battaglie lontane, contro Peter, contro la Marina Inglese, contro nemici invisibili nei sobborghi di Tortuga. Una malinconica litania, resuscitata da chissà quale angolo del suo passato, ripercosse la sua mente, mentre la sua spada si abbatteva contro qualcosa.
Uncino sbatté le palpebre. Aveva infilzato la spada nel tronco di un albero. La sfilò malamente, stringendo i denti. Spugna lo fissò per un attimo con qualcosa negli occhi e sulle labbra, per poi riprendere a cercare il nemico.
Il silenzio calò ancora, con un che di inesorabile.
«Sembra che se ne sia andato, Capitano» mormorò il mozzo. Aveva appena terminato la frase che altre risate terrificanti invasero la foresta, subito seguite da un urlo atterrito. Un urlo di una voce più infantile.
La marmocchia.
I due pirati si lanciarono in direzione delle grida- uno cercando quasi disperatamente di rimanere attaccato al presente. Erano molti i pensieri che affollavano la sua mente. Il suo corpo si muoveva come seguendo un copione, con movimenti che si frapponevano a quelli dei tempi passati.
Corsero fino a perdere il fiato, calpestando le foglie secche e saltando alberi marci, il fiato e le urla come rimbombo nelle loro orecchie.
Lapidi e tombe di un bianco spettrale li accolsero in quello che sembrava un cimitero.
Un qualcosa strappò Uncino dal passato. Nerissa era poco più avanti di loro, a terra fra la polvere.
E su di lei svettava il peggior spirito Malvagio che nessun aveva mai osato sfidare, fuori controllo perfino per le forze del Male.
Il Cavaliere Senza Testa era lì, e esigeva il suo tributo. Con le carni di Nerissa.
Sollevò la spada, che riluceva ancora del sangue delle sue vittime, e la brandì dal suo cavallo contro la Prescelta. Le risate del demone gelavano il cuore.
Uncino avrebbe voluto fare qualcosa. Era lui il Capitano. Ma restò immobile, come congelato sul posto, incapace di anche solo distogliere lo sguardo.
Forse la forza della dispersione portò Spugna ad avere più coraggio di lui. Il mozzo partì all'attacco, iniziando ad urlare e ad agitare il suo cappello per attirare l'attenzione del Cavaliere. «Qui! Venite qui, bel... uh, signore!»
Uncino si riscosse e imitò il mozzo. «Prova ad inseguirci, orrenda creatura!» urlò, per poi afferrare una pietra e lanciarla contro il Cavaliere. Il sasso cadde giusto dentro il suo collo mozzato e forse per questo- o per il fatto che due teste di pirati tutto sommato valevano più di una di una mocciosa- il demone si girò. Impennò il cavallo e si lanciò con una risata di gioia maligna al loro inseguimento.
I due pirati iniziarono a correre e Uncino capì presto che il loro unico vantaggio consisteva nelle lapidi, di ostacolo al cavallo del Cavaliere.
Nonostante ciò, le sue urla fameliche risuonavano sempre alle loro spalle, vicinissime, e il Capitano, pur avendo lì con lui tutte le sue altre battaglie, si ritrovò a temere di essere ucciso ad ogni singolo passo, mentre si inerspicava tra le tombe.
Spugna lo affiancava, ansimando. «Il ponte, Capitano!»
Uncino annuì, il fiato del cavallo maledetto che gli si insinuava nel collo.
Oltrepassate il ponte e il suo potere cesserà: sarete salvi!
Il ponte era lì, dopo la collina, sotto di loro. Riluceva come un'ancora di salvezza.
Il Capitano afferrò Nerissa che si era avvicinata loro in lacrime. La spada del Cavaliere e le sue risate sembravano essere sempre alle loro spalle, appena dietro, ad un respiro dalle loro teste, ma lui non si voltò a guardare.
La spada gli faceva pesare tutto il braccio, le gambe sfrecciavano avanti quasi di loro pura volontà. E nella sua testa riaffiorava ancora quella litania, a cui si aggiungevano sprazzi delle canzoncine cantate quando si parlava del Cavaliere.
Ma doveva concentrarsi. Era in gioco la loro vita.
Strinse i denti. Precipitarono giù per la collina, la morte che incombeva su di loro.
«Presto!» gridò Nerissa agitandosi, mentre la sciabola del Cavaliere sfoltiva le piume del cappello del Capitano.
Con un balzo, arrivarono accanto al ponte e vi si scagliarono dentro. I loro passi sulle tavole marce si persero nelle grida del demone.
A pochi passi dalla salvezza, Uncino, il cuore che ricominciava a battere, si voltò, per assicurarsi che il Cavaliere non li stesse più inseguendo.
Spugna li stava raggiungendo, paonazzo, con la sua andatura goffa. Il Capitano gli fece cenno di sbrigarsi mentre si avvicinava sempre più all'uscita del ponte.
Il mozzo annuì, già con il piede sul primo gradino del ponte. Ma all'improvviso inciampò in una tavola, cadendo a terra.
Il Cavaliere si affrettò a raggiungerlo, brandendo la spada e ridendo forte come non mai.
No!
Uncino corse indietro, la spada pronta e Nerissa tra le braccia, ma il suo sguardo incrociò quello di Spugna.
I suoi occhi parlavano, parlavano davvero.
Dicevano molto, dicevano paura, dicevano pietà, dicevano ammirazione, dicevano di andarsene.
Il Capitano si bloccò, incerto.
Il tempo sembrò accelerare. La spada del Cavaliere vibrò nell'aria.
Suono di carne lacerata.
Un lago di sangue dove poco prima si trovava Spugna.
Uncino cadde a terra, stringendo tra le braccia Nerissa, che urlava, calciava e si dimenava e piangeva, piangeva, piangeva come se fosse ritornata piccola.
Le grida del Cavaliere squarciarono per un'ultima volta l'aria, mentre si piegava ad estrarre la testa dal corpo.
La alzò in aria, come un trofeo.
Apriva la bocca, la testa di Spugna tranciata dal collo, là artigliata tra le dita; brillavano gli occhi a metà vivi e sembravano ancora cercare la luce, ancora contenere brandelli della sua anima.

«Ho piacere nel notare che siate tornati, Capitano» fu l'accoglienza di Malefica, una volta che uscirono dall'altra parte del bosco. I suoi occhi non indugiarono sui loro vestiti a brandelli, sul fango o sulle loro espressioni.
Nerissa, ancora in braccio ad Uncino, aveva lo sguardo perso, gli occhi rossi e stravolti, priva di ogni energia.
Il Capitano provava tante cose, quasi come tutto ciò che sembravano dire gli occhi di Spugna. Credeva che sarebbe stato inglobato nel flusso continuo di ricordi e sogni di altri morti, di altri persi, e invece rimaneva ancorato alla realtà. E non voleva.
Di tanto in tanto, si guardava l'altra mano, il Capitano, perché gli pareva da un po' di averla persa. Era lì, era lì, ma non la sentiva.
«Non siamo tornati tutti».
Credeva di averlo solo pensato e invece lo diceva e la sua voce sembrava così roca e impastata. E Malefica lo guardava e non vi era nulla nei suoi occhi.
«Il prezzo di un Vostro errore, Capitano».
E tutto lo avvolse e fu come rivedere ancora e ancora gli occhi di Spugna su di lui, con quella malinconica litania che gli piegava la testa. Uncino sentì appena ciò che la Signora di Tutti i Mali disse poi.
«Potete ritirarVi. Voi e i Vostri servigi non sono più richiesti». Malefica osservò con disgusto il sorgere del sole.
Uncino si accucciò e depose a terra Nerissa, che mantenne quello sguardo perso, meno vivo di quello di Spugna.
Faceva male, più di Pan.
«Mi dispiace».
Era un sussurro che si univa appena, che probabilmente Malefica non aveva nemmeno colto, e forse nemmeno la stessa Nerissa.
Uncino non sapeva perché lo aveva detto, il significato di quelle parole, né sapeva se la Prescelta le avesse sentire e avesse voluto dire qualcosa. Malefica si avvicinò, le artigliò una spalla e, prima di andarsene, guardò di nuovo il Capitano. E il vuoto orgoglioso nei suoi occhi sembrava solo Odio.
«Spero vi siate goduti i Vostri ultimi istanti con lei. Vi sarà proibito d'ora in poi rivederla».
Una fiammata nera lasciò solo il Capitano.
All'improvviso, il silenzio calò completamente attorno a lui, perfino nelle litanie della sua testa. Rimbombavano in lui dolori senza un suono, un male profondo dalla forma di occhi, centinaia di occhi.
Una piccola lacrima, un gesto del corpo da tempo sostituto da scatti di rabbia, scivolò fino al mento del Capitano.
Occhi che gli dicevano di andarsene.


N.d.A
Good Afternoon, my dears! *sta studiando inglese* Eccomi con il –si spera- attesissimo quinto capitol! Spero vi sia piaciuto, è il mio capitolo in assoluto più lungo (12 pagine word! *-*). Ci tengo poi a ringraziare quei cuccioli che hanno recensito lo scorso capitolo. Purtroppo è un periodo impegnativo, ma vedrò di rispondervi il prima possibile!
Tornando a noi, ecco le eventuali note:
*1: Campi della Pena: nella mitologia greca costituiscono le eterne punizioni per le anime peggiori. Non so, mi sembrava appropriato che Ade nominasse così qualche luogo a caso del Black Realm.
La citazione riguardante la morte di Spugna è stata riadattata su un frammento latino di un'opera dell'autore romano Ennio.
Spero che il capitolo sia venuto bene, è il primo personaggio che uccido. Per non parlare del fatto che, per poter descrivere l’atmosfera del capitolo, ho dovuto riguardarmi tantissimissime volte (per dirla alla Nerissa) la Leggenda della Valle Addormentata. Paura!
Ah, probabilmente già oggi pubblicherò una one-shot su un… “Malvagio” un poco trascurato. E prossimamente altre su Uncino. Mi è dispiaciuto non aver potuto inserire Helios, ma sarebbe diventato decisamente troooopo lungo.
Grazie in anticipo a chiunque leggerà/recensirà.
Baci
Nox

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Capitolo 6
*** L'Innocenza Perduta ***


L'Innocenza Perduta


Il piccolo villaggio, illuminato dai raggi benevoli del sole, era in pieno fermento. Si inerspicava su una collinetta poco distante da Good, perciò ci si sarebbe aspettati un groviglio di casette un po' insulse precedenti allo splendore della capitale: e invece botteghe e bancarelle colorate accompagnavano ogni strada, regalando ai visitatori qualcosa come il fragrante profumo del pane appena sfornato, o quello un po' più denso di qualche olio orientale.
Piccole torri comparivano qua e là, quasi dal nulla, nella folla degli edifici, di un bianco simile alla neve.
Le strade, in gran parte pedonali, erano gremite, in un arcobaleno di colori e stoffe- uno spettacolo diventato ormai una routine ad Amity, nel giorno di mercato.
Helios ci andava fin da quando aveva memoria, ma non riusciva mai a non stupirsi di quel piccolo paesino e ogni volta desiderava tantissimo avere un altro paio di occhi- perché ogni volta sembrava ci fosse qualcosa di nuovo da vedere, come le altissime torri di Good, che si intravedavano anche da lì e che parevano quasi... far parte di un quadro, per come sbucavano, un po' sbiadite, dalle nuvole...
«Helios!»
Il Prescelto fu bruscamente richiamato alla realtà dallo zio Grillo, poco più avanti di lui, in piedi sulle spalle dell'accompagnatore di turno. «Ragazzo mio!» esclamò perentorio il Grillo, facendo mulinare il suo ombrello. «Cerca di non perderti tra le nuvole! È facile smarrirsi qui e non vorrei tornare al castello troppo in ritardo, è segno di maleducazione...»
«Si, zio Grillo» asserì quasi in automatico il bambino.
«Bene, molto bene... oh, e grazie per il passaggio, Little John!»
«Non c'è problema, amico!» disse il diretto interessato, scoccando un sorriso divertito ad Helios, che si affrettò a ricambiare. «Quando posso aiutare... e bè, scampare per un poco alla gransignora sua altezza reale Merida...»
D'un tratto il Grillo Parlante assunse un'aria severa. «Non dire così! È diseducativo!»
«Oh... ehm, bè, scusatemi, non dicevo sul serio» si affrettò a dire l'orso, grattandosi la testa e rischiando di far cadere il Grillo. «Oh! Attento, scricciolo!»
«Ecco, così va meglio, bravo» lo elogiò lo zio Grillo, mentre si arrampicava meglio sulle spalle di Little John, in un sussurro ben udibile alle orecchie di Helios, nonostante le chiacchiere della folla. Il Prescelto sospirò, sentendosi quasi sconfitto, e si limitò a seguire i due zii. Svoltarono in una via a destra, facendosi largo a fatica tra numerosissimi clienti non più grandi di Helios- ciò segnalava che erano appena giunti nell'area del mercato dedicata ai giocattoli e ai dolci e al divertimento. Negozi e bancarelle sfolgoranti comparivano in modo un poco caotico, esponendo ben in mostra lecca-lecca giganti e cascate di cioccolato.
Ad un tratto, delle note di un quella che sembrava una ballata medioevale scivolarono nell'aria, attirando l'attenzione dei presenti, insieme alle loro urla di gioia. Gran parte dei bambini si fiondò nella piazza lì accanto, dove qualcuno aveva improvvisato una delle danze tipiche della Provincia del Sole, con il suo ritmo così incalzante.
Helios lanciò un'occhiata di desiderio ai ragazzini che accorrevano felici. Gli sarebbe piaciuto veramente tanto partecipare ai loro giochi o anche solo chiacchierare un poco con loro, senza lo zio o chiunque altri che lo controllasse...
La speranza riaffiorò in lui quando lo zio Grillo si voltò per un attimo a chiamarlo. «Helios?»
«Si?» chiese trepidante, già pregustando un pomeriggio con nuovi bambini della sua età in una danza diversa dalle solite che gli impartivano a Good.
«Stanno arrivando Cody, Artù e Lilo: mi raccomando, ricordarti di salutare».
Helios abbassò il capo per non far vedere troppo la sua delusione. «Si, zio Grillo».
In realtà era frustrante. Tutti quei bambini che si precipitavano a giocare e a ballare e a divertirsi, mentre lui... bè, lui doveva fare le cose da Buoni ed aiutare lo zio. E si sentiva anche in colpa, quando vedeva che non... non gli piaceva sempre così tanto.
«Ciao, Helios!» sorrise Lilo, degnadolo appena di un'occhiata prima di tuffarsi nella folla dei bambini.
«C-ciao!» le fece eco Artù, altrimenti detto Semola, trascinandosi dietro Cody. «È da due ore che cerchiamo Alice, sono sfinito! Ci si vede!»
Il Prescelto rispose con un sorriso vagamente triste, agitando impacciato la mano. Provò una sorta di sollievo quando finalmente lui e gli zii oltrepassarono l'area del divertimento per svoltare in quella della stoffe. Bancarelle su bancarelle, molto più ordinate di quelle precedenti, esibivano chilometri di stoffe di tutti i generi: coloratissime, a pois, a tinta unita, a righe, alcune addirittura magiche, caratterizzate dal fatto di cambiare colore di tanto, alcune con un vago sfrigolio, altre con un vero e proprio scoppio.
C'erano decisamente meno bambini lì, se si escludevano Helios e qualche neonato tra le braccia del parente di turno o dentro una carrozzina.
«Vediamo, vediamo...» mormorava il Grillo Parlante mentre proseguivano. «La bancarella di Faruk*1 dovrebbe essere all'incirca da quelle parti, vicino a quella delle stoffe eschimesi...»
«Faruk?» esclamò in una risata Little John. «Quel Faruk? Credevo si occupasse di cose tipo produttori di patatine scadenti...» altra risata «o gli indimenticabili salvabontà del Mar Morto. Me ne ha mostrati un paio Basil l'altro giorno. Credeva fosse merce contraffatta». L'orso sembrò quasi soffocare tra le risate.
«Salvabontà del Mar Morto?» ripetè il Prescelto aggrottando le sopracciglia.
«Tutte cianfrusaglie inutili, Helios» si affrettò a spiegare il Grillo. «Ma questo era prima della di... ehm, comunque ora Faruk si occupa di tipici tendaggi orientali. Stoffe di classe insomma, perfette per il vestito che Eudora vuole regalare a Audrey Ramirez per il suo compleanno».
«Ma... zio, sei sicuro che ad Audrey potrebbe piacere un vestito? Insomma, non... non fa la meccanica?»
«Infatti sarà un abito del tutto adatto a lei!»
Little John emise un'altra delle sue risate a singhiozzo e poggiò una zampa sulle spalle del bambino. «Sta tranquillo, che sanno di sicuro quello che fanno, Helios».
Aveva appena fatto in tempo a pronunciare il suo nome, che un ragazza con un paio di enormi codini rossi si girò di scatto a guardarli. Mollò un urlo ultrasonico, sgranò gli occhi e li indicò a bocca aperta.
«Ma quello... quello...»
Tre gemelle bionde dall'accento francese finirono per lei la frase, in un grido estasiato. «È Helios il Prescelto!»
In un attimo, parte della popolazione femminile della via- in particolare le ragazze giovani e curiose- si precipitò addosso a loro, per poter avere anche solo il privilegio di raccontare di aver visto il Prescelto in persona.
Helios non aveva mai capito perché la gente che non conosceva si agitasse tanto quando lo vedeva- di certo non facevano così con Cody o con Aileen o con gli altri... inoltre non aveva ancora capito perché lo chiamassero Prescelto. Spesso voleva chiederlo agli zii, ma... ma così si sarebbe dimostrato preoccupato e anche loro lo sarebbero diventati, oppure magari non volevano dirlo perché... bè, per dei motivi buoni.
Helios non era mai stato un bambino molto curioso, certo, ma quel nome di Prescelto stava iniziando a fargli girare la testa per quanto pensava a cosa volesse dire...
Il Grillo Parlante aprì l'ombrello a mo' di paracadute e scivolò giù dalla spalla dell'orso per poggiarsi su quella di Helios. «Andiamocene prima che comincino a fare sul serio».
In qualche modo sgusciarono via, lasciando Little John a ridere e a firmare autografi- nel caso si fossero accorti che l'orso non era Helios... bè, si sarebbe inventato qualcosa.
Non ci volle molto prima che arrivassero alla bancarella di Faruk, un piccolo beduino con un naso grande quasi quanto il suo enorme turbante. Li accolse con un inchino esagerato, rischiando di colpire con la testa il tavolo delle stoffe. «Salam! Buonpomeriggio a voi, miei degni amici. Siete qui per le stoffe ordinate da Eudora, presumo».
«Esatto» disse il Grillo saltando sul tavolo della bancarella. «Allora... quali stoffe ha ordinato?»
Mentre lo zio e Faruk discutevano, Helios si ritrovò ad osservare ancora la folla di ragazze intorno a Little John. Quasi sempre, quando andava in giro, gli capitavano episodi del genere. Certo, per la maggior parte del tempo si trattava di gente che gli sorrideva o lo salutava, ma non era di certo la prima volta che lo "assalivano" in quel modo, chiamandolo Prescelto...
Ma perché? E perché anche quando era fuori dal White Castel e da Good, lui era sempre così... così diverso?

Nerissa schizzò tra gli alberi della foresta, cercando di correre il più velocemente possibile. I piedi nudi- brillante idea dello zio Shere Khan- saltavano da un ciuffo d'erba all'altro, doloranti per i calli e per il morso di un serpente poco socievole.
Non sapeva da quanto precisamente fosse iniziata quella stupida lezione di sopravvivenza- il sole alto faceva pensare ad almeno tre ore, ma lei non lo sapeva, non avendo mai prestato attenzione a certe robe di zio Clayton. Però Nerissa era perfettamente a conoscenza che prima sarebbe uscita da quella specie di schifosa foresta pluviale, meglio sarebbe stato.
Le zanzare erano micidiali- cercando di farne fuori un paio, si era abbrustolita metà dei capelli- e il caldo soffocante le faceva scendere rivoli di sudore per la fronte e per la schiena. La maglietta le si era incollata addosso come un'altra pelle e i polmoni le sbatacchiavano più che mai contro il petto...
E... e ogni albero, anche se pieno di liane e di frutti colorati, rievocava un po' quel qualcosa che era successo due anni prima, un qualcosa di confuso e annebbiato...
Con uno scatto della testa per riprendersi, Nerissa si concentrò di nuovo sulla corsa, sentendo il sangue pulsarle nella testa. Doveva mantenere la respirazione costante, stava animando e non riusciva a concentrarsi sul serio e se non ci riusciva...
Il tallone destro si schiantò contro una radice traditrice e Nerissa ruzzolò malamente a terra, trattenendo solo grazie alle unghie che si impiantò nelle mani un urlo di rabbia.
Basta! Non ce la faceva più!
Voleva fermarsi e gridare e battere i piedi finché non l'avessero riportata al Black Castel. Non voleva fare più nient'altro!
Ma gli zii non ne sarebbero stati felici e loro volevano che lei fosse perfetta...
Si alzò a fatica, masticando insulti. Che roba da bastadi...
E come se non bastasse, doveva pure sbrigarsi. Alle sue spalle, di tanto in tanto, sbottava qualche ululato o ruggito, il che significava che i lupi guidati da quello zia Magò e i leoni di zio Scar erano tutto sommato vicini. Aveva perso un sacco di tempo!
«Stupido coso!» ringhiò, tirando un calcio all'albero. Poi diede un'altra occhiata distratta alle sue spalle e si bloccò.
Nuka si stava avvicinando, una risata un tantino folle a malapena trattenuta tra le fauci.
«Ti ho trovato, mocciosetta, ti ho trovato, mocciosetta! Mamma mi ricoprirà di gloria!»
Nerissa battè i piedi a terra. «No! Non vale! E poi, zio Scar ha detto che dovete prendermi!»
«Allora sta ferma lì che io...» sogghignò il leone preparandosi ad uno scatto in avanti.
Prima che potesse farlo, Nerissa riuscì in qualche modo ad afferrare un bastone e a gettarlo con forza sul muso di Nuka.
Il leone mollò un ruggito insolitamente acuto, portandosi le zampe al naso e gemendo peggio dello zio Principe Giovanni.
Malgrado fosse divertente guardare Nuka lamentarsi a terra, Nerissa non aspettò oltre e si catapultò un po' zoppicante di nuovo nel folto della foresta.
Ma a quanto pareva non era sufficiente, perché dopo poco si accorse con un'imprecazione che Nuka stava ritornando all'inseguimenti, chiamando a gran voce gli altri. «È qui! È qui, venide!»
Nerissa strinse i pugni, cercando di correre ancora più velocemente. Il tallone ogni tanto si lamentava con qualche fitta e il morso sull'altro piede, quello del serpente poco amichevole, si stava gonfiando...
Altre dannate radici cercavano di farla inciampare e zanzare e moscerini stavano accorrendo su di lei. Tentando di schivarli, si prese in faccia una maledetta ragnatela e si ritrovò a sputacchiarla, mentre Nuka, dietro di lei, rideva sguaiato, alternando delle urla.
«Sta' zitto!» ululò Nerissa, incitandolo solo a ridere di nuovo. La Prescelta avrebbe voluto picchiarlo e farsi un giubotto con la sua criniera, ma non poteva fermarsi. Anche se era stanchissima e non aveva voglia, doveva vincere. Perché vincere era importantissimo, gli zii lo dicevano sempre.
Pur avendo distanziato un poco Nuka, i ruggiti e gli ululati si stavano facendo sempre più vicini e Nerissa emise un lungo sospiro di sollievo quando intravide la fine della foresta, con un bel sprazzo di cielo senza alberi.
Aveva vinto!
Uscì dalla foresta con un balzo, alzando trionfante le braccia in attesa di tutti i complimenti degli zii. Si fermò di scatto, giusto in tempo.
La foresta era finita, si, ma per dare spazio ad un dirupo che sprofondava per almeno sei metri.
Indietreggiò velocemente, mentre piccoli sassetti si sgretolavano dal dirupo per cadere nella pozza di acqua sporca sottostante.
Doveva tornare assolutamente indietro e subito!
Si girò per fiondarsi di nuovo nella foresta, ma sbattè in pieno contro l'enorme ghepardo amico di zio Clayton.
Il felino emise un basso ringhio, simile ad una risata, mentre lupi, leoni e iene si avvicinavano silenziosi, come ombre della foresta.
«Bene, Cucciola d'Uomo» commentò Shere Khan facendosi avanti. «Direi che la vittoria è ormai nostra».
«Avvicinati e fatti catturare, nipote cara» aggiunse Scar accennando ad un sorriso disgustosamente falso, mentre Zira, accanto a lui, schierava con singoli gesti del capo le varie leonesse.
Nerissa indietreggiò tanto da rischiare di mettere un piede nel vuoto. «No! Non è giusto!»
«La vida non è giudda» borbottò Nuka, massaggiandosi il naso, che, oltre ad essere diventato piuttosto gonfio, era anche ben pieno di spine- probabilmente un retaggio di un incontro ravvicinato con un rovo.
«Sbrigati, ragazzina!» si intromise Shenzi con un sogghigno storto. «Abbiamo fame! E poi, non puoi fare altro ormai!»
Banzai ridacchiò. «Già! Mica puoi saltare giù!»
Nerissa sbattè le palpebre, per poi ghignare.
Tutto sembrò bloccarsi per un istante, mentre la Prescelta si voltava verso il precipizio e si vi gettava.
Gli zii ulularono e gridarono inutilmente contro Banzai e lei.
La caduta non fu lunga. Nerissa ebbe appena il tempo di sentire un lungo fischio perforarle le orecchie, prima di urtare violentemente l'acqua, affondando come una pietra in un mondo freddo, marrone e viscido. Scalciò per tornare in superficie e quando affiorò, ansimante, venne accolta dalle grida rabbiose degli zii.
Un lupo si affacciò a ringhiarle contro, per poi essere malamente scostato da Scar. Lo zio, nonostante i sei metri che li separavano, sembrava quasi riuscire a fissarla negli occhi, in uno sguardo inquietante e fisso.
Sguardo che Nerissa riuscì a reggere, restando a galla per miracolo. Zio Scar la guardò per quello che le parve un attimo eterno, forse indeciso se farla attaccare o meno.
Poi, finalmente, il leone si ritirò, tornando dagli altri. Nerissa annaspò verso la vicina riva, dove si gettò sfinita. Fu allora che notò in che stato era ridotta la sua gamba.
Le penzolava inerte formando un angolo innaturale. La Prescelta masticò qualche imprecazione mentre si alzava per poi cadere quasi subito, con un dolore acuto.
Non aveva mai imparato magie curative, né a fare le pozioni di zia Yzma... cosa poteva fare? E cosa sarebbe successo ora che aveva vinto e lasciato la foresta?
Si guardò attorno, cercando di non prestare troppa attenzione alle fitte della gamba. Pozze fangose come quella in cui era caduta si susseguivano irregolari, insieme a alberi malconci e lerci di cui non conosceva i nomi.
L'odore di acqua stagnante era così penetrante da farle quasi venire la nausea.
Nerissa si trascinò a gattoni per qualche metro per allontanarsi dall'acqua. Piccoli gruppi di zanzare le ronzavano attorno, e due tronchi galleggianti si avvicinavano pian piano a lei dall'altro laghetto lì vicino...
Si avvicinavano?
Bruto, uno dei coccodrilli di zia Medusa, si avventò con un balzo su di lei. Nerissa rotolò su un fianco, il dolore della gamba che esplodeva come una bomba sulla sua carne. Schivò per un soffio un altro morso, tirando un calcio sul muso al secondo coccodrillo, Nerone.
Prima che Bruto superasse suo fratello e la attaccasse, Nerissa diede fondo alle sue energie: sentendo ogni muscolo ribellarsi, con un grido di dolore, evocò una fiammata azzurra che si schiantò sui due coccodrilli.
Con fiammelle brucianti sulle squame, Bruto e Nerone si rituffarono di nuovo nella pozza di fronte a lei, ma fortunatamente nuotarono lontano, guaendo di tanto in tanto in un sordo brontolio.
Nerissa riuscì a tirare su un ghigno, prima che il suo respiro su facesse mozzo. Crollò sulla schiena, sentendo la carne della gamba come squarciarsi anche a quel singolo movimento. Inspirò profondamente, ingoiando una qualche decina di insulti.
Gliel'avrebbe fatta pagare cara a zio Jafar per non averle detto di quello scherzetto. Gli avrebbe ficcato il suo bel turbante in gola.
Ma comunque... era finita. Ora poteva starsene lì finché quegli idioti degli zii non fossero venuti a prenderla.
Fece appena in tempo a formulare quel pensiero, che una cupa oscurità adombròil sole. Nerissa si rizzò, per quanto possibile, seduta: una sorta di nube nerastra si materializzò dal nulla al centro della palude.
La fissò paralizzata, mentre, unificandosi, formava un'alta figura dal mantello di tenebra. Un attimo dopo, Malefica si stagliava di fronte a lei, lo scettro dall'aura di pura potenza e uno scintillio crudele negli occhi.
«Benvenuta alla nostra piccola prova, Nerissa. Ora verificheremo se gli insegnamenti fin ora ricevuti ti siano stati veramente utili».
E attaccò.

Il giro al mercato delle stoffe era durato meno di quanto Helios si era aspettato. Dopo aver recuperato Little John- che le svariate ragazze capitanate dalle tre gemelle francesi avevano scaricato in un angolo della via, ora si stavano dirigendo verso Good. Per fortuna, avevano fatto un'altra strada, attraverso il mercato delle corde e degli attrezzi per il lavoro, così almeno Helios aveva evito di incontrare di nuovo tutti quei bambini che giocavano e si divertivano- anche se si sentiva in colpa a fare pensieri del genere.
Tra venditori urlanti, arrivarono al mercato delll'agricoltura. Lo zio Grillo voleva comprare un paio di erbe medicinali per Pinocchio, erbe che, a quanto pareva, avrebbero diminuito il il fastidioso prurito della trasformazione da legno in carne. Era una magia che si verificava ogni mese, con diverse situazioni, per molti Buoni, dai capelli ora lunghi e biondi, ora corti e marroni di Rapunzel al corpo ora da bestia, ora da principe di Adam.
Gli zii dicevano che era un retaggio delle loro vecchie avventure, ed Helios ormai ci aveva fatto l'abitudine. Insomma, un mese Pinocchio era un burattino senza fili e con il naso lungo, l'altro un bambino in carne ed ossa. Bastava ricordarsi bene quando e non sorgevano problemi.
Dopo aver comprato un sacchetto in pelle bianca con dentro le varie erbe medicinali- girgabizzo, fior di stella e vumalindo- si avviarono verso l'entrata della città, dove li stava aspettando una carrozza che li avrebbe riportati a Good. Helios non vedeva l'ora di ritornare al castello: quella sera, appena dopo mangiato, ci sarebbe stata una gara di racconti, e di certo non voleva perdersi quelli dello zio Cantagallo. Magari se avesse avuto tempo, sarebbe anche riuscito a completare quella sua vecchia storiella e a fargliela vedere...
«Dobbiamo fare altro tornati al castello, zii?» chiese il Prescelto.
«Uhm... non credo, al limite si può dare una mano...» fece appena in tempo a rispondere il Grillo, prima di venire interrotto da Little John, il segno di due o tre baci ancora ben impresso sulle guance. «Se non hai niente da fare, potresti venire in palestra, scricciolo! La principessa Kida-non-so-che-cosa ha detto che ci avrebbe dato una dimostrazione di "tipica lotta Atlantidea" e io non vedo l'ora di vedere!» concluse con una risata fragorosa, che a momenti fece cadere la tuba dello zio Grillo.
Quest'ultimo, mentre si sistemava il capello, non esitò ad esporre la sua opinione. «Non credo sia uno spettacolo molto educativo...»
«Però, se vuole diventare un cavaliere con i fiocchi...»
Helios stava ancora provando a trovare il coraggio di dire che lui non voleva essere un Cavaliere, quando, svoltando nel mercato della carne, una signora bassa e grassocia venne loro incontro, quasi ballonzolando. «Yuuu-hu! Signori! Signor Grillo!»
Helios fu certo di aver sentito lo zio Grillo soffocare un gemito esasperato, ma quando si voltò a guardarlo, stava sfoderando il suo solito sorriso gentile, mentre Little John osservava stupefatto la nuova arrivata.
Aveva una zazzera di capelli neri, che, pur corti, le scendevano spesso sugli occhioni scuri. Il naso era piccolo e all'insù e somigliava a una pallina. Era bene in carne- il vestito turchese un po' infantile la faceva sembrare simile ad una piccola mongolfiera- e veramente molto bassa: arrivava a stento alle spalle di Helios.
«Salve, signorina Tilda*2» salutò educato il Grillo. «In cosa posso esservi utile?»
Tilda rispose con delle vigorose strette di mano ai saluti in ritardo di Little John e di Helios, lasciandoli a massaggiarsi stupiti i polpastrelli mentre si piazzava ben davanti a loro, con un enorme sorrisone. «Ho saputo che c'è un altro ballo a corte!» quasi gridò. «Quando si terrà?"
Il Grillo sembrò imbarazzato. «Questo fine settimana...»
«Fantastico! Muoio dalla voglia di gettarmi nelle danze!» Improvvisò qualche passo di danza, sbandando qua e là con delle giravolte e rischiando di far crollare le bancarelle accanto a lei- con sonori gruniti dei venditori. «Vado matta per queste cose!»
Little John ridacchiò sotto i baffi. «Di' un po'» sussurrò ad Helios mentre Tilda si prodigava in un'ultima piroetta, «non ti ricorda Biancaneve?»
La risposta del Prescelto fu coperta da quella del Grillo. «Ecco... mi dispiace doverVelo ripetere, Tilda, è imbarazzante, ma... come dire... non sareste più desiderata ai balli di corte, dopo l'ultima volta...»
Il sorriso spensierato della ragazza sparì per un attimo dal suo volto, per poi ritornare in un battito di ciglia, anche se leggermente più incerto. «Oh, ma non ci saranno più problemi del genere! Croce sul cuore!»
Helios si accigliò, confuso, ma non si azzardò a chiedere nulla, per non sembrare maleducato- e deludere gli zii.
Il Grillo sospirò proprio quando Little John sembrò avere una sorta di rivelazione tale da lasciarlo a fauci aperte. Fissò Tilda con una risata mentre schioccava le dita. «Ora ricordo chi sei! Quella ragazza scatenata della festa di quattro mesi fa!»
«Cosa?» si ritrovò a chiedere Helios, non riuscendo a trattenersi.
L'orso non gli badò, continuando ad esporre le avventure di Tilda mentre il Grillo si batteva disperato una mano sugli occhi. «Massì! La tipa che ha devastato la sala da ballo con le sue mosse improvvisate e che ha rovinato i vestiti di... cos'era, almeno otto principesse?» Little John rise ancora, asciugandosi una lacrima. «Ah, il miglior ballo della mia vita!»
Helios non sapeva a che Ballo si riferisse, non poteva- e non voleva- frequentare tutti quelli che si tenevano a Good- e si appuntò mentalmente di fare qualche ricerca, prima di essere catturato dalla situazione.
Tilda si strinse nelle spalle, il sorriso ora timido come quello di zio Pimpi, mentre il viso raggiungeva velocemente la tonalità di un pomodoro. «Eh, ma può capitare. Insomma, ero veramente molto euforica e forse mi sono lasciata un poco prendere la mano, ma sono una ballerina provetta e...»
«Mi dispiace, Tilda». Il tono assunto dal Grillo era così delicato, che perfino il sorrisone di Little John scomparve. «Ma devo chiederVi di non insistere ulteriormente, sia ora, sia con le Vostre lettere spedite a palazzo. Mi dispiace davvero, ma, vedete, non siete in grado di partecipare a balli tanto delicati e tranquilli come quelli di Corte, è una questione di...»
«Oh, certo» borbottò Tilda, lo sguardo basso e i pugni chiusi. «Certo, ho capito cosa intendete...» tremò di rabbia e quando alzò gli occhi verso dello zio, nessuno poté non notare i suoi occhi lucidi.
La ragazza si pulì il naso con una manica ed indicò il Grillo con un gesto quasi rabbioso. «Tu e tutti gli altri di quel castello volete proibirmi di venirci perché non sono bella come le altre! Ammettetelo! È per questo, vero? Credete che non lo so? Che non capisco quanto sono più brutta? Tutte le Principesse del White Realm sono bellissime, anche Mulan e altre che non lo sono, ma io sono brutta! Lo so! Sono bassa, grassa e brutta! Ma» singhiozzo «ma io ho il mio carattere e non mi comporto come volete per mantenerlo così! E tu e tutti gli altri non mi volete, perché sono diversa dalle Principesse bellissime, non sono stupenda come loro! Ma non è colpa mia!»
Nel mercato ormai era piombato il silenzio e la voce di Tilda rimbombava come un tamburo.
Helios si accorse di avere occhi e bocca spalancati solo quando Little John lo urtò con una zampa per sparpagliare la gente che si era avvicinata, mentre il Grillo, sbattute le ciglia più volte, provava a recuperare la situazione.
Planò dolcemente su una spalla di Tilda, che ora era scossa dai singhiozzi, le mani serrate sul viso grassoccio. «Ma no, non è questo ciò che volevo dire, signorina. E poi sapete che nel White Realm le apparenze non contano, qui tutto e tutti si basano sulla sincerità e l'onestà, valori da sempre alla base di ciascuno di noi, di noi Buoni»
Helios, anche se impegnato ad aiutare Little John, si ritrovò ad ascoltare tutto, anche il mormorio affranto di Tilda.
«A-anche Messer Ichabod e B-Brom Bones p-prima di venire qui avevano p-preferito Katrina Van Tassel a me, perché era bella. Non importava quanto io fossi brava a ballare o a cucinare torte e neanche se lei era solo un'ochetta senza scampo, importava solo che era bella». Tilda afferrò il fazzoletto che il Grillo le aveva porso e lo soffiò sonoramente, rischiando di far volare via lo zio.
«Ma questo accadeva prima di giungere al White Realm, non è vero?» Il Grillo aspettò che Tilda annuisse appena, tirando su col naso, prima di proseguire. «E qui siamo nel White Realm, non potrebbe mai verificarsi qualcosa del genere. Nessuno Vi criticherebbe mai soltanto per il vostro aspetto esteriore: non lo abbiamo mai fatto e mai lo faremo, io per primo, Ve lo assicuro. Siamo i Buoni, e lo siamo per una ragione. Forse questa volta non potrete venire al Ballo, d'accordo, ma seguendo solo dei semplici e brevi corsi di buone maniere tenuti da Madame Prudence*3, potrete tornarci il prima possibile. Se lo desiderate, basta solo che me lo diciate: provvederò io a comunicarlo alla signora e a farVi avere tutte le informazioni». Lo zio Grillo si interruppe per sporgersi un poco verso Tilda, ancora chinata. «D'accordo, signorina?»
Tilda annuì, alzandosi con un lievissimo sorriso, gli occhi gonfi come non mai. Lei e il Grillo si strinsero la mano.
«Avete presto mie notizie, Ve lo assicuro, signorina» aggiunse prima di ritornare sulle spalle di Little John. «A presto!»
L'orso e Helios si unirono ai saluti, avviandosi verso la carrozza, mentre Tilda, alle loro spalle, li osservava sventolando la mano.
«E quella Katrina di cui parlava» chiese Little John, dopo neanche due passi «è la stessa del Ballo dell'altro giorno, quella con l'ombrellino?»
«Proprio lei» confermò il Grillo. «Partecipa spesso ad eventi mondani, credo sia diventata anche piuttosto amica di Aurora o di Charlotte La Bouff, al momento mi sfugge...»
Little John ridacchiò. «Bè, scricciolo» esclamò, regalando una poderosa pacca sulla schiena di Helios, «questa è la conferma di quanto le donne sono complicate!»
E mentre il Grillo ribatteva che dopotutto non era giusto sostenere certi luoghi comuni, ad Helios sembrò strano che ai Buoni non importasse dell'aspetto esteriore, ma delle buone maniere, del bon ton, invece si.
E anche se si sentiva in colpa, perché di certo non doveva essere lui a criticare quello che diceva lo zio, voltandosi di nuovo verso Tilda, si rese conto che anche lei era del suo stesso parere.

L'infermeria del Black Castel non era mai piaciuta a Nerissa. Gli zii dicevano sempre che chi ci finiva era una mammoletta.
Perciò non era raro che chi stava molto male fingesse fischiettando di non avere assolutamente nulla. Certo, le guardie di più basso livello erano un'eccezione, dato che, siccome non potevano permettersi un buon guaritore fuori dal Black Castel, cercavano in tutti i modi di intrufolarsi a rubare qualche medicina. L'infermiera aveva tutti i medicinali più magicissimi e costossimi di tutto il reame, ma era esclusivamente per i Cattivi più potenti, come l'Oligarchia dei Dieci e pochi altri zii. Molte guardie erano finite a lamentarsi nelle prigioni del castello, dopo essere entrate lì senza permesso.
Però rimanere lì era da deboli. Anche se si aveva molte costole in riparazione, un braccio ancora rotto e... e gli incubi dello scontro con Malefica che ogni tanto tornavano...
Però rimanere lì era da deboli. E Nerissa non ne poteva davvero più di stare costretta su quel dannato letto, insieme agli altri "feriti". Fece scivolare schifata lo sguardo sui letti alla sua sinistra, occupati da Nuka- il cui naso, dopo le attenzioni di un lupo particolarmente affamato, era solo peggiorato- e dallo zio Principe Giovanni, reduce di una semplice passeggiata durante un litigio tra Ade e Jafar.
La Prescelta emise un altro verso esasperato. Nuka e il Principe la stavano facendo ammittire con le loro vocette irritanti e lei non poteva nemmeno picchiarli, perché l'avevano legata al letto con una cinghia!
«VOGLIO USCIRE!» urlò con quanto fiato aveva in gola Nerissa, subito seguita dai dei due leoni.
«Du non dei un vedo leode!»
«Biiiis! Questo idiota osa insultare il tuo re!»
«Dcar è il vedo De!»
«Voglio la mamma!»
«Lasciami uscire, inutile e brutto e idiota di un serpente strainutile!» provò ancora Nerissa, armaneggiando inutilmente con la cinghia.
«Basssta!»
Sir Biss, momentaneamente loro infermiere impegnato a trafficare con le medicine dall'altro capo della stanza, si girò verso di loro, probabilmente alle soglie di un crollo nervoso. Nerissa pensò di non aver mai visto un serpente lanciare fulmini dagli occhi.
Non che la spaventasse, eh. Lei non aveva paura di niente!
«Ssse non la piantate, ve ne pentirete presssto!» sibilò irritato Biss, sbattendo con la coda la scatola dei medicinali sul tavolino davanti a loro.
«Di, cerdo» borbottò Nuka.
«Guarda che ho un udito finissssimo!»
Nerissa rise, ma smise quasi subito per via del dolore alle costole. «Ma se non hai le orecchie!»
«Che diffedenza fa alloda tda te e un vedme? Ah! Il leode scemo ha un vedme come aiutande!»
Il Principe Giovanni scattò sul letto a sedere. «Non permetterti di insultarmi, mezza criniera! Guardieeeee!»
L'espressione sul muso di Biss si addolcì con una risatina. «Sono onorato che mi difendiate, mio Principe*4».
«Non rompere, Biss! Guardieeeeee!»
«Dei innamodato?» Nuka scoppiò in una risata folle. «Il vedme è innamodato del leode scemo!»
«Non ti permettere, ssssspelacchiato che non ssssei altro!»
«Guardieeeee! Guardieeeee!»
Nerissa si preparò a mollare uno dei suoi migliori urli spaccatimpani, che però le morì in gola quando si sentì afferrare per un piede. Spalancò gli occhi, con già una sfera di fuoco tra le mani per difendersi e un altro grido ben pronto in gola, quando Lucignolo emerse da sotto il letto con un dito davanti alle labbra. «Sssh!»
«Che cavolo vuoi?» borbottò Nerissa mentre il ragazzino si gettava alla sua sinistra per allentare la cinghia. I due leoni e il serpente continuavano a discutere, ignari.
«Guarda che me la cavo benissimo da sola, brutto idiota!»
Lucignolo alzò la testa dal coltellino che stava usando. «Io ci sono avvezzo a queste cose! Sono grande sai! Quindi ora sta' zitta».
«Come ti permetti?! Orrendo e inutile e idiota e stupido e...»
«Vuoi uscire si o no?»
Prima che potesse rispondere, Lucignolo mozzò con un gesto secco la cinghia. Nerissa diede una veloce occhiata ai deboli accanto a lei, poi scavalcò il ragazzino e si gettò fuori dalla porticina da cui era entrato, sbucando in un corridoio. Lucignolo la raggiunse poco dopo. «Ho ragrumato un poco le coperte, così magari sembra che ti sei addormentata» dichiarò con un sorrisetto furbo. «Adesso cosa facciamo?»
La Prescelta si alzò, stiracchiandosi- le costole diedero in scricchioli poco promettenti. Osservò per un attimo il ragazzino. Ricordava vagamente che un tempo era stato al servizio nei campi di qualcuno fuori dalle mura, perciò lo vedeva soltanto a volte di sfuggita. Le era sempre sembrato parecchio malconcio, ma da quando era stato preso come assistente da Magò aveva iniziato a frequentare di più il Black Castel e quindi a non saltare più troppi pasti.
Si ricordava Lucignolo come un perenne bambino di dieci anni, ma da poco aveva deciso di crescere*5, tanto che adesso potevano quasi avere la stessa età.
«È stata zia Magò a dirti di spezzare quella cinghia bastada?» chiese sospettosa, aggrottando le sopracciglia.
Lucignolo sorrise ancora. «No! È tutto un mio piano!»
Nerissa assotigliò gli occhi. Se quell'idiota lo aveva fatto, voleva dire che era molto molto molto stupido sia per cadere così nella furia degli zii, sia per sperare in un favore da lei. «Bè, non mi importa se il piano è tuo o no. Io me ne vado» decise, iniziando ad allontanarsi.
Non le piaceva essere in debito con qualcuno e nemmeno quella strana e brutta sensazione di dover dire qualcosa, di dover essere riconoscente... bleah. Meglio non pensarci e pianificare bene cosa fare. Zoppicò nel corridoio di destra, ma il ragazzino la raggiunse subito, petulante.
«Ma io ti ho aiutat-»
«Nessuno te lo aveva chiesto».
Lucignolo la affiancò e iniziò ad accendersi quello che sembrava un sigaro di corteccia. «Certo. E quindi vuoi farmi credere di andare in giro così da sola per il castello? Umpf, non sei neanche in grado di stare in pied-...»
Nerissa perse la pazienza: afferrò il ragazzino per la giacchetta e lo sbattè forte contro il muro.
Il dolore per lo sforzo le mozzò per un attimo il fiato, ma si sentì meglio osservando impallidire il mocciosetto, che si era tutto accuciato. «Anche se sto male, ho fatto comunque tantissime lezioni e credo di ricordarmi benissimo l'incantesimo per tramutarti in un lama schifoso. Quindi o mi dici che diavolo vuoi, o te la squagli. Capito, idiota?»
Inaspettatamente, Lucignolo sorrise. Un sorriso, se possibile, ancora più strano dei suoi precedenti. Un sorriso che male contrastava con il luccichio dei suoi occhi neri.
«Non voglio niente da te» mormorò tra i denti. «Mi hai già mostrato abbastanza come garanzia».
«Garanzia di cosa?»
Lucignolo ridacchiò, facendola irritare ancora di più. «Dimmelo!»
Il mocciosetto si strinse nelle spalle, recuperando il sigaro che gli era scivolato a terra. «Era soltanto per vedere se sei forte».
La Prescelta si allontanò con uno sbuffo. «Certo che sono forte. Io sono la più forte!» sottolineò. Non poteva credere che un mocciosetto avesse perso così tanto tempo per scoprire una cosa così ovvia. «E se tu non lo sai, sei proprio un'idiota» aggiunse, ricominciando a camminare.
Forse sarebbe dovuta rimanere in infermeria, dato che le costole si lamentavano ad ogni passo, costringendola a trascinare i piedi, ma non aveva intenzione di essere trattata come una debole. Lei era la più forte, con tutte le lezioni degli zii era perfetta.
«Dov'è che stai andando?» la raggiunse Lucignolo con una facilità di ripresa che le strinse lo stomaco per la rabbia.
«Affari miei, stupido inutile».
Non le sfuggì il mezzo ghigno del mocciosetto. Di sicuro per essere così insistente doveva volere qualcos'altro. Nessun problema: lo avrebbe picchiato ancora più forte, se avesse provato a romperle ancora.
A quanto pareva, quello stupido di Lucignolo non imparava mai.

Helios aveva iniziato da poco più che due anni le lezioni con gli zii. Ovviamente se non si consideravano quelle avute con lo zio Grillo, zio Merlino e altri sin dai sei anni per imparare a leggere, scrivere e a fare i calcoli. Le nuove lezioni non erano brutte- alcune, a dire il vero, proprio non gli piacevano, però cercava lo stesso di sorridere ogni volta che le aveva e di dimostrarsi lo stesso felice.
Era importante che gli zii non si preoccupassero troppo per lui, perché... ogni volta che lo facevano, Helios si sentiva sempre un po' in colpa e un po' diverso...
Quella lezione però era divertente. Si era sentito un poco... scocciato (?) quando gli zii gliel'avevano programmata all'ultimo minuto in vista della festa di compleanno di Audrey Ramirez- la stessa per cui, una settimana prima, era andato con lo zio a comprare la stoffa- ma se ne era pentito.
Dopotutto, non era davvero così male.
Sospirò ed alzò la testa dai libri che stava spolverando per dare un'altra occhiata alla stanza dall'alto della scala su cui si era arrampicato.
L'enorme biblioteca del White Castel era simile a quella del French Palace, il castello di Belle e Adam, ma almeno cinque volte più grande. Scaffali su scaffali di libri si susseguivano alternati da divanetti, poltroncine e comfort di ogni tipo.
Sotto agli occhi del Prescelto, zio Lumière e zio Tockins gestivano un gruppo di piumini animati per pulire l'area ovest della sala, mentre, dall'altro lato, Biancaneve puliva le grandi vetrate insieme a Bambi, Tamburino e un bel fornito gruppo di altri animali.
Sotto di loro, Rapunzel spazzava danzando insieme a Tiana e a Maximus, con sugli zoccoli ben attaccati delle piccole scopette.
«Continua così, Helios tesoro» lo incoraggiò qualche piano sopra di lui Cenerentola con un sorriso, che il Prescelto contraccambiò sincero, agitando il suo piumino.
Gli piaceva tenere tutto ben in ordine e pulire. Era più facile pensare, così...
«Finalmente siete arrivati!» gridò entusiasta Rapunzel quando la porta più vicino a loro si aprì, permettendo l'ingresso a Flynn, al principe Filippo ed ad Eric.
«Siamo qui, biondina, puoi stare tranquil- Ah» Flynn osservò un poco deluso lo sbattipanni che la sua fidanzata gli aveva scaricato in mano. «Era per questo che ti serviva aiuto, allora?»
«E per cos'altro altrimenti?» si intromise Tiana alzando un sopracciglio. «Perfino Naveen sta dando una mano in sala da ballo».
Flynn scosse la testa con finta aria affranta. «Infrangete così le mie speranze in un domani migliore» dichiarò prima di diregersi dalle parti di Biancaneve per pulire le tende.
Eric e Filippo stavano per iniziare di malavoglia rispettivamente a passare il moccio sul pavimento e a pulire i vari divanetti, quando lo sguardo del secondo si spostò e si fermò su Helios, molto preso dal suo compito.
«Ma... e lui che ci fa qui?»
Rapunzel gli arrivò accanto con una giravolta, rischiando di inciampare nei suoi capelli infiniti. «Pulisce, Principe Filippo».
Filippo si accigliò. «Ma non imparerà mai così a diventare un cavaliere! Gli servono lezioni di spada e...»
«Scusa, Filippo, ma tu passavi il tempo nei boschi a cavalcare. E a cantare» sottolineò Tiana, già abbastanza irritata dal ritardo che stava subendo il suo programma a causa di certe chiacchiere inutili. La festa di Audrey, che era diventata sua amica dopo averle riparato le caldaie del suo locale, sarebbe stata quella sera stessa e tutto doveva essere perfetto.
Eric tramutò velocemente la sua risata in un colpo di tosse sotto l'occhiata accusatoria di Filippo. «Ehm... però devi ammettere che ha ragione».
«Si, ma Helios non dovrebbe svolgere mansioni del genere. E nemmeno noi».
Rapunzel smise di ballare con un tonfo e si avvicinò a Tiana, che aveva minacciosamente incrociato le braccia. Perfino Helios, dall'alto della sua scala, sentì la tensione crescere e spolverò il più velocemente possibile per non essere costretto a schierarsi.
«Perché, per te certi lavori chi li dovrebbe fare, scusa?» chiese Rapunzel, il tono giocoso scomparso all'improvviso.
«Forse la servitù, no?»
«Credo che tu intendessi tutt'altro, Filippo» sbottò Tiana. «È ora di uscire da questa dannata mentalità medievale».
«Ma io sono cresciuto nel Medioevo, perciò è normale che magari pensi che alcune cose siano più adatte agli uomini e altre alle d-»
Il principe si bloccò, insicuro sotto gli sguardi fulminanti delle due Principesse. Si voltò alla ricerca del supporto di Flynn- che, impegnato a pulire, gli regalò un'occhiata stranamente severa- per poi ripiegare in quello di Eric. Quest'ultimo si strinse nelle spalle. «Se proprio devo schierarmi, hanno ragione loro, Filippo. Sarai anche cresciuto lì, ma ormai queste concezioni qui a Phentesia sono più che superate, come è anche giusto».
«Sarebbe anche ora che ti rendessi utile» dichiarò Tiana, riprendendo a pulire.
Tutti gli altri la imitarono, ma non ci volle molto prima che Filippo ricominciasse. «Comunque, il fatto che tutti voi la pensiate così, non significa che sia vero e non cambia la mia opinione. Penso che ci siano dei compiti ben precisi sia per gli uomini, sia per le donne e che bisognerebbe distinguere le due cose nelle lezioni da impartire ad Helios».
Tiana poggiò malamente la sua scopa per riprendere a combattere, ma fu preceduta da Rapunzel, che sfrecciò come un fulmine davanti a lei. «Adesso ascoltami, Filippo. Io non ho mai avuto nulla da ridire su nessuno, in questo castello: ma sono cresciuta in una torre, a cucinare, disegnare, leggere e cantare. E per quanto queste cose possano piacermi, quando sono uscita dalla torre, ho scoperto un mondo di nuove esperienze. E ho scoperto che non esistono cose da maschi e cose da femmine: esistono soltanto migliaia di lavori e di passioni e milioni di lavoratori e di appassionati, non importa il loro genere. E Audrey dovrebbe essere un esempio».
Filippo fissò intensamente la principessa, come se stesse metabolizzando ciò che aveva detto e verificando se poteva anche solo considerarla. Dopo quelli che parvero attimi eterni, distolse lo sguardo e ricominciò a pulire.
Rapunzel emise un breve sospiro soddisfatto, battè il cinque con Eric e, dopo aver scambiato un sorriso con Tiana e un'occhiata con Flynn, riprese a spazzare canticchiando.
Cenerentola, che si era bloccata ad osservare, riprese a spolverare, senza dimenticare di rincuorare Helios. «Questi confronti sono del tutto necessari, Helios, ma non ti preoccupare, non finiscono mai male».
Il Prescelto le sorrise, anche se principalmente per alleviare la sua preoccupazione, e proseguì nel suo compito. La sua testa però era persa in altro. Aveva dato ragione a Rapunzel riguardo a quella discussione- anche se un poco faticava a vedere una principessa con una spada, ma gli si era affacciata in testa un'altra domanda. Perché doveva prendere quelle lezioni? Se era naturale seguire le proprie passioni o svolgere diversi lavori, perché lui doveva per forza diventare un cavaliere?

Nerissa aveva trovato un suo passo che le consentiva di zoppicare con un dolore quasi sopportabile. Certo, le sembrava ancora che le costole esprimessero continuamente il loro disappunto e le veniva quasi la nausea, ma l'importante era non stare ancora in infermeria.
In qualche modo, era riuscita a scivolare nel corridoio dove un tempo aveva avuto le lezioni con zia Tremayne. Stando da quelle parti, ricordi sfocati le si affacciavano di tanto in tanto in mente, ricordi non facili da definire.
Si riscosse, scuotendo la testa. Il suo obiettivo era trovare una stanzetta in cui stare da sola ad elaborare un piano più preciso prima che qualche zio la trascinasse di nuovo da Biss. E aveva già in mente dove rifugiarsi. Nei suoi ricordi di due anni prima, era molto difficile riuscire a capire davvero perché non viveva più sulla Jolly Rogers- forse qualcosa che c'entrava con una notte nera nera e con degli alberi scheletrici e.. con delle tombe... ma non ricordava, quelle immagini non riuscivano ad uscire dalla nebbia. Però ricordava bene, bene davvero, come se ne era andata dal castello, calandosi giù con una corda da una stanzetta, una specie di piccola biblioteca, chiusa a chiave. Se gli zii avevano continuato ad evitarla, allora quella stanza era davvero l'ideale.
Zoppicando, Nerissa oltrepassò la sala dove aveva avuto quelle stupidissime lezioni, svoltò a sinistra e poi a destra in un altro corridoio, e si fermò, un poco incerta. Avanzò di qualche passo stentato e poi, scrollando le spalle, si diresse a fatica sulla prima porta a destra. Era aperta- cattivo segno- ed aveva finestre alte e pareti spoglie. Passò a quella davanti, e la trovò chiusa.
Quello era un buon segno. Sorrise. Avrebbe potuto aprire la porta con un calcio, ma le costole le avrebbero fatto di sicuro malissimissimo. Che cosa aveva usato la volta prima...?
Bah, non importava. Afferrò una delle forcine che zia Crudelia continuava ad inculcarle nei capelli e scassinò la serratura. La porta si aprì con un cigolio e Nerissa zoppicò dentro. Crollò su una poltrona e si portò le mani alla testa, per aiutarsi a pensare.
Ora doveva trovare un modo per non finire ancora in quella schifossisima e inutile infermeria... sbuffò e lo sguardo le scivolò sulla libreria affianco a lei. I volumi polverosi e malridotti erano accumulati a casaccio, alcuni perfino a formare strani triangoli.
Nerissa fece leva con il braccio per alzarsi quanto bastava ad afferrarne uno. La. copertina stropicciata sembrava essere stata bagnata più volte, ma si riusciva comunque a leggere il titolo, "Le avventure di Jane".
Alzò un sopracciglio e iniziò a sfogliare le pagine. Una bambina disegnata correva, camminava e saltava, con tanto di didascalia sopra. Che cosa stupida. Chi poteva essere così cretino da aver bisogno di un disegno per capire cosa c'era scritto?
Forse in quella stanza gli zii tenevano tutti i libri più inutili e da idioti e non volevano che lei diventasse come quella Jane...
Girò ancora le pagine consuete.
Jane mangia una mela.
Jane legge.
Jane gioca con il gatto.
Jane abbraccia la mamma.
Jane salta la cor...
Nerissa tornò con uno scatto alla pagina precedente. Jane abbraccia la mamma.
Mamma?
Perché Jane doveva avere una mamma? Gli unici ad avere una mamma nel Black Castel erano Genoveffa e Nuka, e loro non erano bambini... perché quella mocciosa lì disegnata si? Forse era un'invenzione? Una cosa stupida da scrivere su un libro per idioti?
C'era qualcosa che a Nerissa non tornava.
Si alzò dalla poltrona sollevando una nube di polvere ed afferrò un altro libro, "Hansel e Gretel". Sfogliò le prime pagine, con un sacco di parole tutte attaccate a grandi disegni scoloriti.
C'erano una volta due fratellini di nome Hansel e Gretel, che abitavano in una casina vicino al bosco. La mamma e il papà erano molto poveri.
Nerissa si fermò di botto. La mamma e il papà?
E che diamine erano? Perché quei due cavolo di mocciosi non crescevano con gli zii? E perché anche Genoveffa e Nuka avevano una mamma?
Principessa bastada, Nuka aveva anche un papà, Scar!
Perché non avevano degli zii, come lei?
Nerissa gettò a terra il libro e ne afferrò un terzo, le mani che avevano iniziato a tremare senza motivo. "Le prime fiabe del mondo", recitava il titolo.
C'erano una volta il re e la regina di Vallermosa che avevano tre figlie belle come gioielli, Velia, Virginia e Viola, amate follemente dai tre figli del re e della regina di Colleferro.
Perché quelle tre stupide principesse vivevano con solo due persone? Erano i loro genitori? Ma perché vivevano con i loro genitori e non con i loro zii?
Lei lo faceva, e lei era perfetta e quindi ciò che faceva era sempre giusto!
Il respiro le si stava facendo sempre più tremulo ed indeciso. Il terzo libro minacciò più volte di caderle dalle mani mentre continuava a leggere di mocciosi con mamma e papà, con due genitori, con madre e padre.
«Che stai facendo?»
Nerissa alzò appena la testa e riuscì a scorgere, con gli occhi ormai appannati, Lucignolo sulla soglia.
«Vattene!» gridò, quasi facendosi male alla gola. Afferrò a fatica i libri e corse, con la gamba e le costole che urlavano per il dolore, fuori dalla stanza, scansando malamente il moccioso.
Lucignolo forse provò a chiamarla e forse la inseguì, ma lei riuscì a respingerlo, evocando sfere di fuoco. Scese le scale, il vomito incastrato in gola, ed arrivò ansante in una delle sale da pranzo del Castello, spalancando la porta.
«E tu che ci fai qui?» Zia Grimilde era regalmente seduta al tavolo, sbocconcellando quelle che parevano ciliegie.
Nerissa riuscì a malapena a riconoscerla, gli occhi troppo appannati- ma di cosa?
Gettò malamente i libri sul tavolo, appena prima che la nausea prendesse il sopravvento e la costringesse a piegarsi in due. Stringendosi lo stomaco dilaniato, vomitò rimasugli di medicine e sangue al lato del tavolo.
Zia Grimilde non si mosse, ma il suo volto perfetto fu attraversato da una smorfia. «Molto appropriato, Nerissa. Vuoi spiegarmi perché sei fuori dall'infermeria e cosa sono questi? Hai interrotto la mia degustazione di inizio pomeriggio».
La Prescelta si alzò a fatica, aggrappandosi al tavolo. «Devi dirmi» iniziò, la voce impastata, «che diamine sono questi».
Aprì il libro di Hansel e Gretel all'ultima pagina, con il grande disegno dei due mocciosi e dei due adulti, di quei soli due adulti abbracciati, e lo fece scivolare sul tavolo fino alla zia. Grimilde lo afferrò con un gesto secco, rifirandogli un'occhiata poco interessata.
«Non credevo fossi così tarda, ragazzina. Sono due -umpf- genitori insieme ai loro marmocchi».
«Lo so!» urlò Nerissa, con tanta intensità che dalle punta delle dita fuoriuscirono fumetti neri. «Ma io non ce li ho! Perché non ho i genitori? Perché vivo con tanti zii e quei due mocciosi no?»
La regina alzò lo sguardo, incrociando gli occhi di Nerissa nei suoi, simili a freddi smeraldi inespressivi. «Non ti deve importare».
«E invece si!» Le sue urla erano in netto contrasto con il tono noncurante della zia. «E perché devo allenarmi così tanto? A cosa mi serve? I mocciosi in questi libri giocano! E hanno due gem... genitori, non tanti zii! Perché?!»
Zia Grimilde si alzò, torreggiando sul tavolo e su Nerissa. Sarebbe sembrata quasi una statua, se non fosse stato per quel vago luccichio neI suoi occhi. «Tu devi allenarti. Lo devi fare e basta. La tua educazione non si basa sul farsi domande sciocche ed inutili! Devi imparare ad uccidere, perché il tuo destino e la tua stessa vita si basano sul combattere e sul distruggere!»
«Ma perché?» urlò Nerissa, le unghie incavate nei polsi fino a sanguinare. «A cosa mi servirà? E perché non sono come quei mocciosi?»
«Perché tu, TU sei la Prescelta di questo reame e perciò dovrai uccidere, distruggere il tuo opposto, un odioso ragazzino allevato dal reame qui accanto! Così noi, tutti noi Malvagi, potremmo finalmente avere il nostro lieto fine!» La regina sbattè per un attimo le palpebre, prima di alzare appena le curatissime sopracciglia. «D'altronde, è per questo che io e gli altri ti abbiamo allevata».
Nerissa non sentì nient'altro. Non sentì cos'altro disse Lucignolo, appena entrato nella sala insieme ad Ade, Magò e Ursula. Non sentì nulla e le sembrò di vivere in un mondo lontano, in un altro, mentre il suo andava in frantumi come uno specchio. Non sentì nemmeno i suoi passi mentre correva fuori dalla stanza, né vide gli sguardi degli zii.
Non vide né sentì più niente. Nella sua mente scintillava un nuovo, ma insieme vecchio, obiettivo.
Scappare.

Solitamente Helios visitava anche abbastaza spesso l'ala nordest del White Castel. Era lì che si trovavano tutti gli uffici amministratatattavi -era così che si diceva?- del regno e molte volte zio Grillo lo portava a vedere come si governava al meglio, cioè con molte riunioni democratiche e tante leggi. Però non andava mai troppo spesso nelle stanze nel corridoio della Grande Luce, un largo porticato con enormi finestre che davano sul cortile principale del castello. Era il corridoio con le stanze di molti dei consiglieri fissi del governo o degli ospiti che dovevano partecipare a molte riunioni. Era lì che si trovava l'alloggio di zio Topolino.
Helios non era mai stato a trovarlo nella sua camera e, mentre attendeva alla porta dopo aver bussato- chissà da dove aveva tirato fuori tutto quel coraggio, rifletteva se fosse stata davvero una buona idea.
Non ebbe altro tempo di indugiare quando lo zio gli aprì la porta. «Helios!» esclamò, attuendo l'espressione un poco stanca del suo viso. «Come mai qui?»
Si spostò di lato per farlo passare, lasciando la porta socchiusa. «D-disturbo?» chiese timidamente il Prescelto quasi vergognandosi di essere piombato lì senza alcun preavviso, in barba a tutto ciò che gli aveva insegnato lo zio Grillo.
«Ma no, ma no, figurati. Solo che tra poco devo raggiungere Paperino dall'altra parte del castello, ti dispiace accompagnarmi? O se preferisci possiamo parlare ora e anche più tardi» disse mentre indossava una giacchetta verde.
«Ecco... forse preferirei accompagnarti, così non ti disturbo oltre...» mormorò Helios, incerto.
Topolino lo fissò inclinando il capo di lato. «Va bene, ma prima vorresti qualcosa da bere?» Dopo che il Prescelto ebbe a malapena annuito, lo zio trabaccò un poco con alcune bottigliette di Linfazzurra e Spremuta d'Ortensia nel tavolino davanti a lui. «Ti hanno mandato a chiamarmi per qualche problema?» domandò porgendogli un bicchiere di spremuta, la sua preferita.
«Veramente...» lo sguardo incoraggiante dello zio lo tranquillizzò al punto da essere davvero sincero. «Veramente no. Volevo chiederti una cosa».
«Usciamo un attimo e mi dici, Helios».
Il Prescelto finì con un sorso la spremuta, appoggiò il bicchiere sul tavolino e seguì lo zio fuori dalla porta. Iniziarono a camminare, osservando il paesaggio dolce dei giardini illuminati dal sole e dall'allegria degli abitanti del castello.
Helios prese un sospiro tremante prima di iniziare. «Io... oggi in biblioteca Filippo si è messo a discutere con Tiana e Rapunzel delle cose adatte alle ragazze e di quelle adatte ai ragazzi, ma io... non capisco molto bene questa cosa delle lezioni che devo fare. Molte sono... sono cose nuove, che gli altri non fanno, come Magia Bianca, Scherma o Equitazione. Io ho capito che servono ad aiutarmi a diventare un buon cavaliere, ma, ecco, visto che dicevano che ognuno può scegliere il proprio destino, io volevo solo chiederti se... se io lo dovessi proprio fare, ecco». Il tono di voce era scivolato lentamente in un mormorio.
Helios, sentendo lo sguardo dello zio, abbassò il capo, colpevole di quanto detto. Ma quando lo rialzò dall'osservare le pietre ordinate del pavimento, incrociò il sorriso di zio Topolino sulle sue labbra e sui suoi occhi. «Gli altri potrebbero arrabbiarsi con me se te lo dicessi, ma è normale che tu senta queste sensazioni e, bè, sono felice che le provi, Helios. Significa che hai una tua testa e delle tue emozioni. Come mi disse tempo fa Merlino, di fronte ad una certa profezia, è positivo provare emozioni, qualunque esse siano, perché ci conferma che siamo vivi, che siamo umani».
Helios cercò di metabolizzare al meglio ciò che lo zio gli aveva appena confidato. «Perciò... se m-mi dici questo, perché gli altri zii vogliono che io diventi un cavaliere?»
Lo zio sospirò e la sua espressione si fece prudente, quasi timorosa. «Ecco... non so se posso dirtelo, Helios. Sarebbe giusto che ne sapessi il motivo, ma... potrebbe andare contro alcune regole...»
Per un attimo scese tra loro il silenzio, spezzettato soltanto dalle voci fuori allegre nel cortile. Ad Helios sembrava quasi di vivere in un altro mondo, una bolla dentro un oceano di cose che non conosceva, di regole - e forse... forse segreti?- che il White Realm continuava ad elaborare per garantire a tutti la felicità. E a lui il destino di cavaliere.
«Sai perché ti chiamano "Prescelto" a volte, quando credono che non li ascolti?» chiese Topolino. Helios scosse la testa, ora di nuovo insicuro. Voleva davvero conoscerne il motivo?
«L'altra sera ho parlato con il Consiglio, Helios, e abbiamo deciso che, quando fosse stato il momento più opportuno, tutto ti sarebbe stato rivelato. Non voglio convocarlo nuovamente, perché la cosa riguarda solo te e, oltre alle regole del nostro reame, ce ne sono altre di molto più umane, a mio parere, da seguire».
Topolino osservò una i fiori di un Linfaspillo cresciuto sul bordo di una finestra prima di riprendere il suo discorso. «Anni fa, il nostro regno era molto più grande ed era solo Phentesia. Solo più tardi, dopo centinaia di conflitti, venne diviso in White Realm e...Black Realm. Nel nostro reame furono ammessi tutti coloro che si erano dimostrati Buoni, puri di cuore. Leali, ecco. Ma nell'altro... furono esiliati i nostri opposti, i Malvagi. I due reami furono separati da alte barriere magiche e fisiche e di loro non si seppe più molto. Qui tutto sembrava andare per il meglio, tutti erano felici e contenti, con un governo stabile e democratico.
Forse andava fin troppo bene... perché ad un tratto, circa dodici anni fa, i Malvagi ritornarono nel nostro reame, esigendo un tributo di sangue.
Volevano scatenare un'altra guerra, un conflitto inutile dato che il Fato di Phentesia decreta sempre la vittoria di noi Buoni... è qualcosa al di sopra di noi, una sorta di divinità che alcuni chiamano "Fenice"... ma non si è certi della sua esistenza quanto lo si è delle regole del Fato. Comunque ai Malvagi non importava nulla del Fato. Non so perché, forse il loro obiettivo era soltanto causarci più perdite possibili, forse avevano un altro piano... non saprei dirlo.
Grazie ad un suggerimento, riuscii a scongiurare quella guerra, con una sorta di contratto. Un contratto di cui... bè, di cui tu fai parte, quasi ingiustamente.
Si decise di prelevare da un mondo non soggetto al Fato due bambini».
Topolino fissò negli occhi Helios, che si sentì come trapassato da parte a parte.
«Ti chiamano "Prescelto", Helios, perché sei uno di quei bambini, sei destinato a scontrarti con Nerissa, la Prescelta del Black Realm, per decretare chi possa veramente governare e vivere felice a Phentesia».
Il silenzio li avvolse di nuovo, mentre la testa di Helios riusciva pian piano a far combaciare tutti i sospetti e quel trattamento speciale ricevuti in quegli anni passati a cercare di essere non migliore, ma buono come gli altri.
Nonostante il suo impegno, non ci era riuscito. Alla fine, era davvero diverso dagli altri.
Era il Prescelto.

Nerissa scese lentamente dal cavallo, cercando di reggersi come poteva al suo groppone. Le costole scricchiolarono minacciando di farla di nuovo vomitare e per poco non scivolò a terra.
Il cavallo, un "incubo purosangue" che zio Ade le aveva portato da un viaggio di due anni prima, e che avevano chiamato Taeter, la guardò storto, nitrendo come se stesse sghignazzando.
Nerissa lo avrebbe volentieri picchiato, se non si fosse sentita così... svuotata.
Intimò a Taeter di aspettarla lì e arrancò come meglio poteva verso il suo obiettivo.
Lo stridere dei gabbiani e il frusciare costante delle onde la accompagnò in ogni passo fino al pontile della Jolly Rogers. Non sapeva nemmeno perché si fosse ritirata lì...
Tentò un passo malfermo sulla passerella che portava al ponte della nave, prima di essere fermata da Denteduro, un grosso pirata tatuato. «Che ci fai qui, ragazzina?» rise afferrandola per le spalle.
«Dov'è Spugna?» chiese Nerissa ritornando un poco in sé grazie al forte fumo verdastro che il pirata le aveva sbuffato nelle narici.
Denteduro scoppiò in una risata sguaiata, che si diffuse ben presto tra i pirati che li avevano accerchiati. «Spugna? Chiedi dov'è Spugna?»
Nerissa strinse la mano in un pugno, sentendo una sfera di fuoco infuocarle il polso. «Dimmi dov'è Spugna. Deve annunciarmi allo zio».
«Ma allora tu sei Nerissa!» gridò Denteduro con un'altra risata. Molti altri pirati lo imitarono, anche se alcuni si scambiarono certe occhiate fin troppo eloquenti. «A me non è mai piaciuta, neanche se è la Prescelta!» dichiarò Fulvo, un piccoletto dal cappello enorme.
«Ha portato tanti guai, è vero» tuonò un omone africano. «Spero che almeno ne valga la pena per quello che è stata addestrata!»
Nerissa non ci vide più. Gridò.
Gridò come mai aveva fatto prima d'allora, un grido fortissimo, un qualcosa che proveniva da dentro di lei.
Quando si fermò, ansante, il legno intorno a lei era annerito, bruciato. Le braccia di Denteduro erano ustionate.
«Dov'è. Spugna.» ripetè fronteggiando i pirati ammutoliti- e trattenendo a stento un conato di vomito.
«Non te lo ricordi, mocciosa?» chiese una voce alle sue spalle.
Nerissa si voltò di scatto. Zio Uncino era sulla soglia della sua- forse un tempo... loro?- cabina, il mantello rosso sangue alzato di tanto in tanto dal vento insieme ai capelli. Tirò una boccata dal sigaro a due canne che teneva nella mano. «Spugna è morto due anni fa».
Qualcosa si ruppe nella mente di Nerissa. Qualcosa di forte. Sentì distintamente un crack.
E dopo quel crack... le immagini. Urla e sangue di una notte che le avevano fatto dimenticare con la forza.
La Foresta Proibita, il Cavaliere senza Testa, la risata, le tombe, le lapidi, le urla, la sciabola, la corsa, il terrore, la paura, il ponte, la salvezza, la caduta. Il sangue sul selciato. La testa tracciata.
La vita spezzata. Spugna.
Spugna morto. Spugna.
Morto.
Nerissa non si rese conto di aver ricominciato ad urlare fino a quando non crollò sul ponte, con le braccia e il corpo che tremavano e non rispondevano al suo controllo, con i polmoni che esplodevano e chiedevano aria, il cuore che fracassava il petto e le costole che urlavano insieme a lui.
Si sentì afferrata, si divincolò, la gola che bruciava, strinse gli occhi e cercò di liberarsi con del fuoco. Ma le mani si muovevano da sole, tremavano, non rispondevano.
Gli scossoni aumentavano sempre più, insieme al respiro mozzato che Nerissa sentiva invaderle le orecchie. Ogni tanto qualche grido squarciava l'aria e lei non capiva se fosse o meno la sua voce.
Poi, pian piano, lentamente, come tutto era iniziato, tutto finì.
Gli scossoni delle mani si fecero meno nervosi, passando da spasmi a tremori. Il respiro si fece più calmo, anche se comunque irregolare.
Quando Nerissa riuscì a mettere bene a fuoco gli occhi, si ritrovò distesa su quello che pareva un materasso. Si rizzò di scatto a sedere. Mossa sbagliata, la nausea la investì come un treno.
Si piegò, trattenendo un conato.
«Cerca di evitare di vomitarmi sul letto, mocciosa. L'hai già fatto fin troppe altre volte in passato». Uncino era seduto dietro la sua scrivania, intento a controllare chissà quali carte nautiche, come se tutto fosse normale.
«C-che diamine è successo?» Nerissa non aveva mai sentito la propria voce così debole. Si fece quasi schifo e per dimostrare che era forte, si sedette comunque, cercando di trattenere i conati in gola.
Lo zio alzò lo sguardo per incrociare i suoi occhi. «Dimmelo tu».
«Non sono in vena di parlare con pirati» ringhiò.
«E se "non sei in vena", perché sei venuta qui?»
Nerissa fece scivolare lo sguardo sul mare che si intravedeva dalla finestra accanto al letto. «Spugna è... davvero...?»
«Si».
Nerissa sentì a malapena lo stridere leggero della sedia di Uncino. «Eri presente. È successo davanti a noi...»
La Prescelta si portò le mani alla testa, quasi per spremerla nel tentativo di capire perché quel ricordo non fosse rimasto nella sua testa. Perché nella sua testa Spugna era vivo e parlava e cantava e camminava e... e perché non poteva farlo anche lì? Perché non poteva essere vivo?
Il Capitano si era avvicinato. Non sembrava arrabbiato come speso era quando Nerissa viveva nella nave. Sembrava soltanto stanco. «Perché sei qui?»
«Cosa?» chiese presa in contropiede.
«Perché sei tornata qui? Gli altri avevano- Malefica aveva decretato che non saresti più tornata alla Jolly Rogers, mocciosa».
Gli occhi tornarono ad appannarsi mentre pensava ai libri trovati in quella stupida stanza e alle parole di quella idiota di zia Grimilde. «Non lo so. Io... seguo il mio istinto».
«Complimenti. Un istinto decisamente azzeccato».
«Sai che c'è?» sbottò Nerissa, la rabbia che divampava di nuovo in lei come un piccolo fuoco. «C'è che sono venuta qua perché ho scoperto che non sono perfetta! Me lo avete detto per tutta la vita! E invece no, esistono ragazzini che vivono con soli due adulti, due gem... due genitori! Mi avete tutti mentito! E voi- tu, Spugna e tutti gli altri zii- mi avete allevato solo per farmi imparare ad uccidere un altro moccioso! Voi non mi avete mai voluto! Tutto ciò che io pensavo mi insegnaste per rendermi perfetta, per il mio bene, lo facevate soltanto per voi! Per farmi uccidere quel moccioso!»
Nerissa si bloccò per un attimo, il respiro ansante per il fiume di parole che la sua bocca aveva vomitato. «La verità» urlò ancora con rabbia «è che non vi importa nulla di me!»
Sfidò con lo sguardo il Capitano, fermo a pochi passi da lei, e solo per la difficoltà di metterlo a fuoco si rese conto di stare piangendo. Si asciugò le lacrime con un gesto furioso, facendosi quasi male agli occhi, ed osservò l'espressione ancora vacua di Uncino con un ghigno che sapeva essere triste. «Il mio istinto, come vedi, è azzeccato. Ho scoperto la verità, vero?»
«Nerissa...»
«L'HO SCOPERTA, VERO?»
Uncino sospirò, sbuffando un altro alone di fumo. Si avvicinò alla finestra, un:espressione accigliata, quasi indecifrabile sul volto. Si morse le labbra e arricciò quello superiore prima di parlare, quasi a fatica. «All'inizio. Si, all'inizio era così. Non importava nulla a nessuno. Eri la nostra arma, anche se eri- se sei- una mocciosa».
Nerissa sentì le spalle crollarle e il tremore alle mani aumentò visibilmente.
«Ma...» stava continuando il Capitano.
«"Ma" un bel corno! Se non vi importa nulla di me...»
«Fammi finire, mocciosa!» scattò lo zio, fissandola torvo. Sospirò ancora. «Sta' zitta e non interrompermi. È già abbastanza difficile di per sé...»
La Prescelta chinò suo malgrado il capo, nei denti stretta un'imprecazione. Si accorse solo allora di quanto fosse stanca morta.
«Io... non ne sono certo» riprese il Capitano, sempre fissando il mare. «Ma... qualcuno potrebbe provare dei sentimenti, un attaccamento... chiamalo positivo, per te...»
A Nerissa non bastava. «Qualcuno chi?» Lo chiese in un bisbiglio stavolta, ma quasi non si vergognò di mostrarsi debole. Lei... aveva bisogno davvero di risposte. «C'è davvero qualcuno, zio?»
Uncino si voltò a guardarla, a guardarla sul serio, incrociando i suoi occhi. Qualcosa si muoveva dentro di lui. Mosse appena la testa. «Si» ammise anche lui piano. «Si, c'è davvero qualcuno».
Nerissa sbattè le palpebre, una, due, tre volte. Si sentiva più leggera, anche se le costole scricchiolavano ancora e lo stomaco le faceva male per la nausea. Avrebbe voluto fare altre domande, chiedere chi diamine fosse, ma era... era stanca.
Forse fu proprio per quella patetica stanchezza che, mentre iniziava a scivolare, lo zio la afferrò quasi automaticamente in una strana stretta, troppo vicina al petto. Sembrava... sembrava quasi uno dei gesti che gli altri zii avevano sempre disprezzato tantissimo. Quello che chiamavano abbraccio.
Forse anche zio Uncino se ne era reso conto, perché la lasciò subito- ma non prima che Nerissa sentisse il suo odore di mare, si allontanò verso un mobiletto della cabina e tornò poco dopo con una boccetta. «Bevi questo intruglio guaritore di Yzma e poi torna al Black Castel, mocciosa. Immagino tu abbia già un tuo mezzo».
Nerissa afferrò la pozione regalandole uno sguardo disgustato. «Che schifo» dichiarò annusandola. Sapeva decisamente da uova marce e muschio ammuffito.
«Bevila senza tante storie e vattene al castello, ragazzina» le intimò lo zio, costringendola con un cenno a bere. «Io ti raggiungerò presto».
La Prescelta lo fissò, scollandosi dalla bottiglia dopo il primo sorso. «Davvero?» chiese con un sopracciglio alzato.
Uncino, inaspettatamente, ghignò. «Usa il tuo istinto».

Helios e zio Topolino si erano fermati vicino ad un giardino dell'ala est del castello. A dire il vero, lo zio era andato a parlare con Paperino e chissà chi altro e solo il Prescelto si era fermato a sedersi su un muretto, ma soprattutto a pensare a ciò che gli aveva detto Topolino.
Helios si sentiva meglio dopo averci parlato, perché comunque sapeva che tutti gli zii gli volevano comunque molto bene- lo avevano confermato anche le parole dello zio- e lo avevano cresciuto come meglio potevano. Però... però era un poco preoccupato.
Ora diventare un cavaliere non era più soltanto un qualcosa da fare per non deludere gli zii. Era qualcosa che avrebbe dovuto fare per l'intero White Realm.
E in più, doveva anche battersi con un'altra Prescelta. Questo era l'aspetto che più lo preoccupava.
Come doveva essere quella ragazzina? Che scontro era il loro? E se le avesse fatto per caso male? Lui non voleva fare male proprio a nessuno! Fare male era sbagliato e lui... lui non sopportava anche solo il dover calpestare una formica.
Nascose la testa fra le mani, cercando di tranquilizzarsi. Forse... forse... cosa avrebbe potuto fare? Dire che non voleva essere il Prescelto, un cavaliere, ma solo uno scrittore?
Rimase preso nei suoi pensieri per un tempo che gli parve sia lungo, sia breve, fino a quando una sorta di schiocco non lo richiamò ad alzare lo sguardo.
Zio Robin Hood gli si stava allegramente avvicinando, il cappello appositamente storto per dargli un'aria ancora più sbarazzina. «Il piccolo Hel! Lo scricciolo preferito di tutti!»
Helios sorrise, un poco a fatica. «Ciao, zio».
Robin gli si sedette accanto con un balzo. «Allora» cominciò, armaneggiando con le sue frecce tirate fuori dalla sua faretra. «Allora, che serpe ti si è insidiata stavolta nella testa?»
«Si capisce così tanto, zio Robin?»
La volpe ridacchiò. «Bè, forse a qualcuno potresti anche farla franca, ma non a Robin Hood! Avanti, spara».
Lo sguardo del Prescelto scivolò alle sue scarpe, per poi cadere nelle belle colline in lontananza. Sperava davvero, un poco, di andare lì e vivere senza preoccupazioni. «Zio Topolino mi ha rivelato perché a volte mi chiamate "Prescelto". Mi ha raccontato tutto, anche la storia di Phentesia e l'accordo con l'altro reame».
La corda dell'arco che lo zio stava controllando saltò un attimo, rischiando di colpirgli il naso. Ma Robin non sembrava poi così sorpreso. «Si, avevo idea che prima o poi te lo avrebbe detto. È un bel fardello, no?»
Helios annuì. Almeno lo zio lo capiva! «Ho paura che non riuscirò a fare niente. Perché... ho paura di combattere e di fare male a qualcuno».
La volpe sorrise. «Io un tempo avevo paura di tirare con l'arco».
Il Prescelto spalancò gli occhi. «Davvero?»
«Si. Mi dicevo che avrei potuto mancare il bersaglio, colpire, non so, qualcuno di passaggio. Magari mentre miravo qualcosa mi distraeva e puff! Ferivo un mio amico, Little John, o mia madre. Ma poi qualcuno mi ha detto che avevo potenziale, che potevo farcela perché ne avevo le capacità. Dovevo solo credere in me stesso.
«Ora, a dire il vero quella persona non ha usato esattamente queste parole, ma il punto non è questo. Il punto è, Helios, che tu hai le capacità per essere il nostro Prescelto. C'è un motivo se lo sei tu.
È scritto nel Fato che ce la farai. I Buoni vincono sempre, e vale anche per te, anche se tu non fai tecnicamente parte del nostro mondo. Hai capito?»
Helios annuì, in parte sincero, in parte no. Aveva davvero le capacità per essere il Prescelto? Sarebbe riuscito comunque ad essere Buono in uno scontro? E se avesse perso? E se avesse fatto del male?
Zio Robin sorrise, ignaro dei suoi pensieri. «E comunque, stai tranquillo!» dichiarò, alzandosi con un balzo e trascinando Helios con sé. «Sarà un semplice combattimento, come quelli tra me e Febo, del tutto leale! E il Bene vince sempre!»
E di fronte al suo tono così sicuro e alla sua espressione così gioiosa, Helios non poté fare a meno di sorridere davvero.

Il castello era gremito. Nerissa era partita con Taeter non appena quello stupido intruglio aveva fatto effetto e viaggiando nell'ombra era ritornata al Black Castel in meno di un'ora.
Credeva che gli zii si fossero arrabbiati e si aspettava che qualcuno di loro, al massimo Ade e Jafar, fosse lì per dirle parole. Normalmente non avrebbe veduto l'ora di affrontarli, ma... in quel momento era stanca. Si sentiva quasi svuotata e gli spasmi di rabbia che ogni tanto esplodevano sotto la coltre di stanchezza non raggiungevano mai la loro massima espansione.
Il fatto che lì ad aspettarla ci fossero tutti quegli zii la sbigottì. Erano tutti intenti ad entrare nel Salone Principale, ma riuscì ad intravedere perfino zii come Gambadilegno, Amos Slide e altri che non vedeva da anni.
Prima che potesse entrare anche lei nella sala, la raggiunsero Ade e Ratcliffe, insieme ad uno strano presentimento.
«Ner adorata!» esordì zio Ade con un sorriso falso. «Sono lieto che ci consideri ancora degni della tua compagnia».
Nerissa spostò lo sguardo da uno zio all'altro. «Cosa volete?»
Fu il Governatore questa volta a parlare, con un altro sorriso beffardo e un elegante inchino a cappello spiegato. «Volevamo semplicemente comunicarti che abbiamo compreso il motivo delle tue domande a cui Grimilde non è riuscita, nella sua pochezza a dare risposta».
Ade fece scivolare una mano sulle spalle della Prescelta, guidandola con sé verso la porta della sala. «Non è da tutti fare domande così intelligenti, Ner» continuò con tono confidenziale, escludendo il "povero" Ratcliffe, che sbuffò indignato. Ade lo fulminò con una semplice occhiata, per poi continuare. «Perciò, abbiamo deciso di premiarti con una prova speciale!»
«Una prova?» Nerissa scosse la testa. «Che... che tipo di prova?»
«Oh, una cosetta, sai, una semplice formalità... che ti permetterebbe di alzare il livello del tuo addestramento».
«L'addestramento...» ringhiò la Prescelta, stringendo i pugni. «Zio Ade, io non...»
«Alzarlo di livello significherebbe ricevere il nostro completo affetto».
Nerissa spalancò gli occhi, mentre quelle parole le rimbombavano nella testa.
Completo affetto...
Il dio dei morti la fissò, un'espressione di totale sicurezza dipinta nel viso scheletrico. Le porse una mano. «Che ne dici, accetti?»
Nerissa, nonostante si sentisse ancora un poco insicura, annuì, stringendo la mano.
Ade diede in una fiammata azzurra, soddisfatto. «Così si ragiona! Andiamo, gli altri ci- ti aspettano».
I portoni in legno scuro della sala si aprirono e lo zio la spinse dentro, girandosi poi a scambiarsi un cenno eloquente con Ratcliffe.
Nerissa era stata nella Sala Principale poche volte, ma sapeva della sua possibilità di cambiamento magico. Ogniqualvolta si desiderava una determinata stanza, la Sala Principale, dopo le dovute formule magiche, lo diventava. Quel giorno le pareti di pietra scura, illuminate dalla luce fredda di fuochi biancastri, erano disposte a mo' di arena, con numerose panche sopraelevate che scendevano verso il centro della stanza. Le panche erano tutte occupate dagli zii, i cui litigi si interruppero non appena Nerissa entrò
Zio Jafar, seduto su una sedia simile ad un trono in una delle prime file, si alzò e le ordinò di avvicinarsi. I passi di Nerissa rimbombarono mentre camminava lentamente verso il centro della sala. Ad un tratto rischiò di inciampare su una sorta di cosetto in ferro che qualcun idiota aveva impiantato tra le pietre del pavimento.
Jafar attirò di nuovo la sua attenzione parlando, mellifluo, mentre accarezzava il proprio scettro. «Ora che la Prescelta ha fatto il suo ingresso, diamo inizio alla prova». Scambiò un'occhiata con Ade e le porte della Sala si aprirono nuovamente. Tutti i presenti, Nerissa compresa, tesero il collo.
Ratcliffe entrò trionfo, subito seguito da una decina di guardie, un misto tra carte e mostriciattoli*5, che trascinavano con sé una strana bestia rosa. Nerissa non aveva mai visto nulla del genere.
Era grassoccia, talmente stretta nelle funi da distinguere a malapena certi sprazzi azzurri di quello che doveva essere una sua veste. Nonstante i lacci, le bende sugli occhi e sulla bocca e il sacco infilato a forza in testa, la bestia cercava di divincolarsi, rischiando di cadere e venendo prontamente punzecchiato dalle armi delle guardie.
La trascinarono di fronte a lei, legandola ai quattro picchetti impiantati, gli stessi su cui era quasi inciampata.
Che diamine poteva essere?
Zia Gothel sgusciò fuori dalla sua panca e raggiunse Nerissa, lo strasico della gonna rossa che scivolava imitando il sibilio di un serpente. Anche Ade si avvicinò nuovamente, lanciando di tanto in tanto sguardi schifati alla bestia.
«Allora Ner».
«Non chiamarmi così» mormorò Nerissa, più che altro per abitudine.
«Allora, Nerissa adorata, la prova è semplice, una cosetta come ti avendo detto. Per ottenere davvero la nostra ammirazione e il nostro affetto e superare questa prova, devi fare una semplice cosa».
Una guardia si avvicinò alla bestia, che mugugnava disperata, e le strappò il sacco che le ricopriva la testa. Un muso tremante di un maialino scrutò con occhi lucidi di paura l'intera sala.
Nerissa aveva sentito di animali del genere solo in alcuni libri. Indossava un piccolo berretto nero e blu e la casacca da marinaio era a brandelli. Il viso graffiato con un brutto livido sulla guancia destra gli conferivano un'aria ancora più debole.
Da qualche parte nella stanza, zio Ezechiele Lupo ululò la sua approvazione, scatenando un boato di grida, che comprendevano insulti di ogni sorta contro quel Buono.
«Silenzio!»
In un attimo, Jafar e Gothel riportarono la calma tensione nella sala, permettendo ad Ade di proseguire.
«Una semplice cosa, dicevo» il dio sembrava un teschio animato da una forza oscura ai riflessi della luce fredda. «Uccidere il nostro insulso prigioniero».
Nerissa sentì il cuore balzarle in gola, le viscere che le si stringevano fino a farle mancare il fiato. U-uccidere? Togliere una vita?
In tutti quegli anni, gli zii- se così poteva chiamarli- non l'avevano mai fatta pesare come cosa, forse davvero non era così sbagliato farlo ma... ma le immagini di Spugna, i ricordi dei suoi saltelli impacciati, si confondevano con il sangue, con la testa mozzata che rotolava via dal suo corpo per essere afferrata dal Cavaliere...
Il esangue portava dolore. Il sangue di Spugna ne aveva portato a lei e allo zio Uncino. Perciò... perciò forse uccidere era sbagliato? Forse... forse la morte di quel prigioniero avrebbe portato dolore a qualcuno?
La tensione era tale che Nerissa traballò sul posto, finendo per aggrapparsi a zia Gothel, che le porse un ghigno e un pugnale intarsiato.
Nerissa fissò l'arma e poi la zia, il respiro che si stava facendo sempre più irregolare. Fece un passo tremulo in avanti, e, con uno spasmo di rabbia per tutta la debolezza che stava dimostrando, afferrò il pugnale.
Era davanti al porcellino, che la fissava. I suoi occhi erano talmente grandi e spalancati che Nerissa vi ci si vedeva riflessa. Zio Ade, alla sua destra, fece un gesto vago con la mano e il bavaglio che il porcellino aveva sulla bocca volò via. «Godiamoci al meglio lo spettacolo» commentò il dio dei morti, prendendo posto, insieme a Gothel, accanto a Jafar.
Nerissa si avvicinò ancora, il cuore che batteva lentissimo nelle sue orecchie. Il pugnale riluceva sinistro nella sua mano, lampeggiando di tanto in tanto quando la lama veniva colpita dalla luce dei bracieri.
Il prigioniero emise un verso strozzato che presto si tramutò in una supplica spezzata dai singhiozzi. «T-ti p-prego, ti pre-go, no! N-non farlo!» Le lacrime si univano al moccio che gli colava giù dal grugno, formando un confuso rossore sulle guance carnose. «S-salvami! O a-almeno, ri-sparmiami!»
Le immagini del corpo di Spugna si sovrapponevano a quelle della disperazione del prigioniero. Il sangue, il sangue che sgorgava e che cosa... che cosa portava?
Il respiro di Nerissa si stava facendo sempre più tremante. Gettò un'occhiata alla platea degli zii, ancora cristallizzati intorno a lei, in attesa, con sulle labbra già pronto un giudizio. Il giudizio che lei avrebbe decretato con le sue azioni, da forte o da debole.
C'erano mocciosi al di fuori di quel suo mondo che vivevano con solamente due genitori, che li amavano. Gli zii... zio Uncino aveva detto che c'era qualcuno che provava dei sentimenti per lei, mentre zio Ade... aveva detto che superando quella prova tutti, tutti le avrebbero voluto bene.
Gli zii le avrebbero voluto bene, perché lei era la Prescelta, perché lei avrebbe ucciso quel ragazzino e avrebbe reso felici tutti gli zii. E tutti, tutti l'avrebbero amata, le avrebbero voluto davvero bene, come aveva detto lo zio.
Era il suo destino, altrimenti non sarebbe stata allevata così perfetta dagli zii.
Perché lei lo era. E non poteva sottrarsi ad un destino che era adatto alla sua perfezione- e che le avrebbe portato veramente tutto l'affetto degli zii.
Era talmente vicina al prigioniero che il suo fiato caldo e annaspante le si intrufolava tra i capelli. I suoi occhi lucidi erano fissi su di lei, disperati ma ancora, nel fondo, speranzosi.
«Non posso» mormorò semplicemente Nerissa. «Mi dispiace» aggiunse poi.
Nella mente le rimbombavano tutti gli eventi della giornata. Alzò il pugnale e lo affondò fino all'elsa nelle carni del porcellino, che stramazzò sopra di lei con un gemito soffocato, rischiando di farla cadere. Si scostò appena in tempo, qualcosa di caldo e viscido scivolava ancora sul suo braccio, ancora e ancora impiantato in quelle carni.
Il sangue, denso e nero, colava sul pavimento. Nerissa liberò il braccio con uno strattone, rivelando il pugnale ora nero con il cuore ancora pulsante di vita trapassato in parte dalla lama.
Nella sala si scatenò il caos. Urla di giubilio, di gioia selvaggia e maligna, rimbalzarono sulle pareti ma giunsero attuite alle orecchie di Nerissa. Il sangue scendeva lento, inesorabile, dal corpo ormai immobile del prigioniero. Il sangue le bagnava il pugnale, i vestiti, il braccio, i capelli.
Il Lupo Ezechiele si fiondò sulla sua antica preda, ululando, le bave alla bocca. Le sue fauci fameliche aprirono altri squarci sulla carne dilaniata di quello che un tempo era stato un porcellino, ma che ora era solo un cadavere sbranato.
Un braccio ancora avvolto tra le funi, con nell'osso sporgente ancora pezzi di spalla, rotolò accanto a Nerissa, che lo guardò appena, come in trance, prima di rispedirlo, con un lieve calcio, al lupo
Altri zii, tantissimi zii, tutti gli zii, si erano riversati al centro della stanza, urlando, saltando, ridendo e lanciando incantesimi. Nerissa venne afferrata e sollevata sopra le loro teste, sopra il cadavere del prigioniero e i gruniti insaziabili di Ezechiele.
Stretta tra mani e zampe di qualsiasi tipo, tra urla e cori simili a quelli da stadio, la portarono in trionfo, prima nella Sala, poi fuori, nei corridoi del castello.
Fu questa l'immagine che accolse l'arrivo di Uncino. Una folla urlante, con visi, volti e musi deformati in maschere feroci, che trasportava una bambina, una bambina sporca ovunque di sangue nero, con un pugnale e un cuore stretti fra le mani.



N.d.A
Salve a tutti! Si, sono ancora viva. Si, mi vergogno immensamente per questo disastroso ritardo di cinque mesi. Non ho giustificazioni, la scuola è stata molto intensa e mi dispiace avervi fatto aspettare tanto. Spero che almeno questo capitolo abbia soddisfatto le attese. Il prossimo, che sarà anche l’ultimo, è già in lavorazione.
Come forse saprete (?), la prima serie è suddivisa in tre fanfiction di cui Promessi Rivali è appunto la prima.
Proseguiamo ora con le note:
*1= Faruk è il mercante che vediamo arrancare all’inizio di “Aladdin” (se volete il video, lo trovate qua). Gli ho dato io questo nome, in realtà non ci sono molte informazioni su di lui, e le poche presenti le potete verificare qui.
*2= Tilda è invece la scalmanata ragazza che troviamo in Sleepy Hollow, ovvero “La Leggenda del Cavaliere Senza Testa”. A me è sempre stata molto simpatica.
*3= Madame Prudence appare invece in “Cenerentola 2: Quando i Sogni Diventano Realtà”. Non è un granchè come cartone, ma il ricordo del suo personaggio mi si è impresso nella testa.
*4= Piccolo richiamo alla mia fanfiction (slash) su “Robin Hood”, Il Suo Principe.
*5= Altro richiamo alla fanfiction La Seconda Opportunità.
Inoltre, il primo libro letto da Nerissa compare parzialmente qui (perché si trova nel Black Realm verrà spiegato più avanti), mentre gli altri sono tutti libri di favole, una tratta dal Decameron di Boccaccio.
A proposito, già che ci sono vi comunico alcuni piccoli cambiamenti, che hanno portato all’ideazione di due serie legate a Le Cronache di Phentesia, ovvero Sussurri di Inchiostro, una raccolta di missing moments su vari personaggi, e Senza un Lieto Fine, serie composta da oneshots dedicate ai Cattivi Disney.
Ci tengo poi a ringraziare tutti coloro che hanno recensito/letto/messo la storia da qualche parte. Ciascuno di voi è molto importante e il vostro sostegno mi supporta davvero tanto nella realizzazione della storia :)
Detto questo, vi saluto!
Baci e a presto,
Nox

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Capitolo 7
*** La Fine (prima parte) ***


La Fine

Prima Parte
 

Non stava andando tutto per il meglio.
Helios si mordicchiò le labbra, mentre formulava quella considerazione. Per l'ennesima volta dall'inizio di quell'ora, i suoi occhi si sollevarono dal foglio sul banco per vagare a osservare l'aula.
La penombra della mattina le dava un'aria strana, quasi eterna. I banchi erano ordinati in perfette file distanziate correttamente l'una dall'altra; la lavagna in fondo, vicino alla porta, era pulita, senza il minimo segno bianco sulla superficie nera, e la luce, la luce filtrava in modo pigramente armonioso dalle alte finestre al lato sinistro della stanza. Certo, entrava a sprazzi a causa delle tende azzurre e delle nuvole che affollavano il cielo, ma comunque entrava, tracciando sul pavimento lame dorate e le conseguenti ombre.
Sarebbe stato davvero un ottimo momento per rilassarsi prima del pranzo ed era proprio questo che contribuiva a far andare tutto non per il meglio.
La verifica che stavano affrontando quella mattinata era molto, molto importante ed Helios aveva studiato tantissimo, fino allo stesso giorno prima: era un test su tutto quello che lo zio Rudy*1 aveva insegnato loro riguardo la musica da tre mesi a quella parte, ed Helios era stato davvero sicuro di sapere tutto, ma... ma a quella domanda non sapeva proprio cosa rispondere. La osservò di nuovo.
Qual è stata la prima composizione del quarto compositore ufficiale?
E sì che Helios aveva sempre adorato la storia! Ma non ricordava di aver preso quell'esatto appunto e ragionandoci sopra non otteneva nulla, se non altre domande. Si intendeva la quarta composizione ufficiale o non? Il compositore apparteneva a prima o dopo della Separazione?
Mancava davvero poco alla fine dell'ora. Doveva assolutamente riuscire a rispondere a quella domanda, altrimenti non avrebbe dato il massimo, e gli zii ci tenevano così tanto...
Si premette le mani sulla testa fino a farsi male, si morse di nuovo le labbra, arrivò persino a sbuffare rischiando così di disturbare gli altri, ma nulla. Sconsolato, alzò ancora la testa dal foglio e dal banco. Quella volta la sua attenzione fu catturata da due dei suoi compagni.
Jim Hawkins, un banco più avanti sulla sinistra di Helios, aveva fatto una sorta di segnale particolare a Wendy, nell'altra fila rispetto a lui. La ragazzina lo squadrò sgranando gli occhi e poi si voltò dall'altra parte, il mento ben in alto a sottolineare la sua indignazione. Jim alzò gli occhi al soffitto, la bocca semiaperta dall'esasperazione e, dopo aver controllato che lo zio fosse ancora ben impegnato a leggere il suo giornale sulla cattedra, strappò un pezzo di carta, lo appallottolò e lo lanciò dietro di sé.
Per un attimo, Helios fu certo di aver incrociato lo sguardo di Jim. Ritornò velocemente a guardare il suo foglio e la sua domanda irrisolta, ma un mugugnio irritato di Aileen a sinistra (segnale che il piano di Jim era andato a buon fine) lo costrinse di nuovo, suo malgrado, a osservarli. Jim, incurante di qualsiasi rischio, si sporse dondolando con la sedia verso la ragazza e le indicò quella che sembrava proprio la domanda numero tre, la stessa su cui Helios si era bloccato.
Aileen annuì con uno sbuffo e sillabò all'amico compositore, composizione e data, accompagnando il tutto con un cenno verso Artù- il giovane re aveva la testa chinata a sfiorare il bando, tanto era preso dal suo compito. Jim mimò un "ok" e ritornò alla sua verifica, mentre Alieen faceva lo stesso.
Helios invece rimase immobile, basito. Li aveva visti.
Jim aveva copiato da Aileen che aveva copiato da Artù e forse quest'ultimo glielo aveva fatto fare anche di sua pura volontà- anche se Helios si sentiva in colpa a pensarlo. Ma... ma ciò che avevano fatto non era giusto. Le verifiche andavano svolte singolarmente, altrimenti che senso avrebbero avuto? Non si poteva copiare... Lui lo sapeva e anche gli altri di sicuro. Eppure l'avevano appena fatto, mentre lui no. Non si poteva far, non lo aveva mai fatto perché era una regola e le regole andavano rispettate: era una caratteristica dei Buoni, e lui era un Buono. Ma anche Jim e Aileen e Artù lo erano, anche solo il fatto che si trovassero nel White Realm ne rappresentava una prova schiacciante.
La domanda numero tre aveva perso la sua importanza. Helios se ne dimenticò, come anche si dimenticò il resto della verifica.
Ora che aveva visto quei tre barare, copiare, cosa sarebbe successo? Cosa avrebbe dovuto fare, dirlo allo zio Rudy o agli altri zii? O stare zitto per aiutare i suoi compagni, come quando, da piccolo, non diceva agli zii che certi giochi pericolosi non erano una sua idea?
Si portò le mani alla testa, stringendola forte. Cosa avrebbe dovuto fare? E i suoi compagni erano veramente buoni o era lui a non esserlo per perdersi in certi pensieri verso di loro?


Zia Magò era irritante.
Zia Magò era un concentrato puro di irritantezza*2. 
Se poi si aggiungeva al tutto uno stupido incontro ravvicinato con lei in versione drago-viola-sputafuoco, il grado di sopportazione di chiunque sarebbe sceso ai livelli minimi storici, se non più in basso.
E figurarsi se poi quel chiunque era Nerissa. Tutti gli zii avrebbero odiato e odiato Magò per qualsiasi cosa questa facesse e quindi lei, da Prescelta, da perfetta, non poteva essere da meno. Non era certo"chiunque", lei. Lei era perfetta.
Lo pensava anche in quel momento, mentre era impegnata in un urlo spaccatimpani così forte da sentirsi la gola bruciare, intorno a lei rovine nere dalle fiamme e fumo. Era quasi certa di aver intimorito quello stupido drago viola, quando una fiammata verde più potente delle altre esplose verso di lei, costringendola a tacere e a gettarsi di lato.
Rotolando per terra, per poco non si conficcò i denti nella lingua- le era già successo in precedenza e ricordava ancora lo stupido dolore per aver quasi perso parte di quello stupido muscolo. Riuscì a evitare senza troppi problemi le fiamme, che la sfiorarono di lato ma troppo in alto per colpirla: la spada che reggeva tra le mani non fu così fortunata. La lama fu investita in pieno dal furore del fuoco, diventando per un attimo un ago nero nel verde marcio della fiammata. Si fece immediatamente incandescente. Nerissa ebbe la prontezza di scagliare via l'arma, evitando per un pelo di ustionarsi le mani.
«Stupida strega drago inutile» ringhiò, vagamente consapevole di quanto quell'insulto potesse risultare insensato.
Da qualche parte davanti a lei, nascosta nelle nuvole di fumo, la zia ridacchiò e riprese a sputacchiare il suo dannato fuoco, stavolta da destra verso sinistra. Nerissa non si fece trovare impreparata dal secondo attacco e gettò le braccia in avanti: per un istante non accadde nulla, ma poi il suo corpo prese fuoco fino agli avambracci, creando uno scudo di fiamme azzurre sufficiente a fermare l'avanzata dell'attacco di Magò. Un incantesimo utile, ma difficile (come se per lei potessero esistere realmente cose difficili) resistere troppo a lungo. Poteva sentire le membra, i muscoli, perfino le ossa, cominciare a scricchiolare e a pulsare in modo poco rassicurante anche dopo pochi secondi, specie nel braccio sinistro, la fonte principale del suo potere. Ringhiando per lo sforzo, mantenne lo scudo- avvertì chiaramente il tatuaggio sotto la manica sinistra dare in una fitta bruciante quanto il fuoco attorno a lei e doveffe combattere per non urlare dal dolore, mentre sentiva la sua stessa carne sfrigolare al calore.
Non era per niente ciò che voleva o che era abituata a fare, ma uno zio in particolare le aveva rotto l'anima fino a poco prima su quanto fosse importante la strategia. Così, cercando di ripararsi come poteva, con un ringhio corse verso gli alberi evocati per l'occasione a circa metà cortile. Erano alti, dalla corteccia nera come se fosse stata di pietra o di cenere solida, e completamente senza foglie. Sembravano quasi morti, ma i loro rami erano più resistenti di quanto non sembrassero. Uno particolarmente adatto al suo scopo fece capolino tra i primi di quella stupida foresta finta. Si puntellò sui piedi e fece leva su tutta la sua perfezione e bravura di Prescelta per saltare sul ramo e contemporaneamente abbassare lo scudo- sarebbe bastato un istante per bruciare l'albero o per essere bruciata da zia Magò.
Spiccò un salto contro il busto dell'albero, ci poggiò sopra il piattp del piede e poi, con la spinta necessaria, si gettò contro il ramo. Fu allora che abbassò completamente lo scudo, mentre si beccava il ramo in pancia. Si aggrappò con le braccia e fece leva, un calore enorme che cominciava a divorare le punte delle sue scarpe. I muscoli si lamentarono, ma Nerissa ringhiò e non ci badò. Si alzò e si ritrovò spiaccicata tra il ramo e il busto dell'albero, mentre sotto di lei un fiume impetuoso di fuoco verde avanzava travolgendo ogni cosa.
Presto si sarebbe mangiato anche quello stupido albero. Nerissa prese un respiro, cercando di trarre dall'aria un minimo refrigerio per la lingua e le labbra, ma tutto si stava facendo incandescente e pieno di ceneri, tanto che il sudore era diventato come un'altra pelle tra lei e i suoi vestiti, attaccando e rendendo mollicci i capelli e i guanti, perfino le scarpe...
Il ramo produsse uno schiocco sinistro e Nerissa cominciò subito a salire più in alto, aggrappandosi agli altri stupidi rami come meglio poteva. Il crepitio delle fiamme, sotto di lei, era costante, come se tanti piccoli mostriciattoli stessero facendo scattare i loro denti su ogni cosa e si chiese per un attimo se non fosse Magò stessa a muoversi e a fare tanto rumore. Avrebbe dovuto attaccarla subito, altro che stupide e inutili strategie!
Per quanto lo stridere del fuoco fosse forte, di tanto in tanto veniva comunque sovrastato dalle urla degli altri zii, tutti lì intorno sugli spalti del cortile a osservare l'addestramento. Più che stupidi consigli o suggerimenti di cui lei non aveva mai e mai bisogno (era perfetta!), osavano mandarle stupidi e inutili ordini.
«Ma no! Che strategia beota! Concentrati meglio, Prescelta!»
«Più fuoco, Magò, più fuoco!»
«Il ramo a destra, marmocchia! No, non quello, stupida, l'altra destra!»
«Stai perdendo tempo così! Io avrei fatto meglio con un attacco diretto!»
«Devi assorbire quelle fiamme, mocciosa! Che hai, paura di scottarti?»
Quello stupido ordine in particolare le provocò uno scatto di rabbia e lei si ritrovò a strappare con violenza la corteccia dal busto dell'albero, rischiando quasi di perdere la presa. Scivolò ingoiando insulti su un grosso rano a sinistra, alternando ringhi ad ansimi. Paura? Come aveva osato quell'essere inutile! Lei non aveva mai avuto paura, mai, non sapeva nemmeno cosa significava! Gliel'avrebbe fatta pagare cara a quello zio. Lo avrebbe trovato e gli avrebbe cavato via le dita a morsi e poi gliele avrebbe fatte mangiare! E se non aveva delle dita, gliele avrebbe fatte prima crescere lei.
Come si permetteva, come osava?
Con rabbia, gettò nel fuoco sottostante la corteccia, che ebbe a malapena il tempo di cadere per tre metri prima di essere ingoiata da quel verde ustionante. Nerissa distolse lo sguardo e si asciugò il sudore, che era aumentato e che scorreva perfino dietro le orecchie e sulla pancia adesso... faceva troppo dannato caldo, troppo stupido e dannato caldo, e lei non riusciva a pensare, non riusciva...
«E andiamo, poppante!» arrivò un altro stupido urlo dagli zii. Nerissa ruotò di scatto a testa, cercando di individuare gli spalti confusi dal fumo e dall'altezza per capire dove avrebbe dovuto scagliarsi. «Usa l'acqua, dannata marmocchia!»
L'esplosione di rabbia che si stava facendo strada in lei dallo stomaco quella volta riuscì ad essere bloccata, superata dal fatto che... che forse quella specie di stupido ordine non fosse tutto sommato inutile. Anche se non potevano permettersi di dirle niente e lei non seguiva quello che loro dicevano (sapeva cosa fare, era perfetta!), il fuoco sempre più vicino e il caldo crescente la costrinsero ad accettare quella roba con un ringhio sordo. Gliel'avrebbe fatta pagare salatissima a quegli idioti.
Prese un respiro profondo e per poco non si soffocò per le braci roventi che prmai vagavano ovunque nell'aria... con uno stizzito colpo di tosse e gli occhi quasi bagnati, cercò di individuare le mura del castello.
Proprio in quel momento, cento metri più avanti, Magò si alzò tra le fiamme, la pelle viola che riluceva come forgiata dal fuoco, e scrutò attentamente i dintorni, quasi sperasse di non aver incenerito alcuna Prescelta. Non si era accorta della fuga in avanti di Nerissa, né sembrava averla vista sull'albero, intenta com'era a frugare per terra.
Nerissa approfittò della sua distrazione per concentrarsi sul castello. Le mura dovevano essere dietro Magò- era da là che era uscita e che era cominciato l'allenamento- mentre dalla parte opposta, dietro di lei e dopo gli alberi, si dovevano trovare parte degli spalti in legno e poi le scuderie. Non era abituata a fare stupidi piani del genere e si dovette impiantare le unghie sui polsi fino a sanguinare per resistere all'impulso di gettarsi sulla zia e tempestarla di calci e pugni. Doveva usare quella stupida acqua, ma per quanto fosse brava e perfetta, non era mai riuscita- o meglio, non ancora, a evocare un intero acquazzone. Zia Ursula le aveva insegnato i principi base del controllo sull'acqua, però, e nel castello ce ne era moltissima. Anche se questo significava che era distante da lei e dietro le spesse mura.
Pensare troppo non serviva mai a niente. Nerissa fece un altro respiro profondo e cercò di avveritre l'acqua scorrere nei tubi, nei serbatoi, nei pozzi, nelle fogne, in ogni luogo possibile del castello... con le grida, il fumo e il fuoco e il calore che le trapanavano la testa. Quasi non lo vedeva, quello stupido castello, come diamine faceva a vedere l'acqua attraverso le mura? Zia Ursula era una stupida, dannata, piovra idiota!
Un urlo di rabbia si fece strada in lei, prima anche che se ne rendesse conto, e zia Magò alzò la testa di scatto. La vide sull'albero e ghignò, mostrando le zanne sporche e acuminate. Principessa bastada!
La zia emise una risatina stridula, quasi isterica, mentre avanzava verso di lei, scivolando nel fiume di fuoco. Nerissa fu tentata di scagliarsi contro la zia- sempre meglio che aspettarla su quello stupido albero- ma certe grida degli zii fecero il loro effetto su di lei. Le unghie si impiantarono tanto che sentì la stoffa bagnarsi del suo sangue, mentre fissava con rabbia il punto dove si trovava il castello, mormorando una litania di stupide formule. La voce le usciva roca, la gola implorava acqua e quelle parole le uscivano in una lunga catena, quasi senza interruzioni. Non ci dovevano essere interruzioni. Arrivò perfino a serrare con violenza gli occhi, cercando con la mente un qualsiasi, stupido, inutile, segnale dall'acqua.
Niente, non sentiva niente, dove diamine era quella dannnata acqua? Cercò di mantenere saldo il pensiero di quell'elemento, d'acqua e di blu, i flutti del mare, le creste bianche e frastagliate delle onde, il mare nero nelle profondità e il fresco azzurro e grigio dell'acqua e... e non sentiva! Non ci riusciva, non sentiva un dannato niente! Il suo grido di frustrazione venne alimentato da un improvviso sbucco rovente sulla faccia.
Nerissa spalancò gli occhi, ritrovandosi ad ascoltare nelle proprie orecchie il rimbombo del suo respiro irregolare e il cuore che martellava, martellava e martellava dal petto fino alla schiena. Zia Magò era di fronte a lei, e la fissava ridacchiando dall'alto della sua orrenda testa di drago, i capelli bruciacchiati e gli occhi iniettati da un mischio di pus e sangue.
«Ma bene, piccina» esclamò con quella sua stupida vocetta irritante. «Scommetto di sapere per chi saranno dolori tra poco...»
Nerissa ringhiò, strappò della corteccia dal tronco e gliela lanciò addosso. L'espressione della zia drago si fece quasi di sufficienza quando bruciò con un singolo sbuffo quello stupido legno, ancor prima che le arrivasse in faccia.
Un moto di rabbia salì a stringere le viscere di Nerissa, furia pura verso Magò e il fuoco e l'acqua e gli zii. Sentiva il vociare confuso di questi ultimi stringersi come una morsa attorno a lei, assieme a quel caldo asfissiante che le stava facendo quasi colare via il nero dei suoi vestiti, e si sentiva dentro una prigione, in una trappola dalle sbarre fatte di fuoco.
Gliel'avrebbe fatta vedere, a loro! Era la Prescelta! Avrebbe usato quella stupida acqua e avrebbe distrutto Magò e gli altri maledetti zii. Le fiamme azzurre quella volta avamparono all'istante sulle sue mani e subito Nerissa le scagliò contro i rami sopra a Magò. Senza fermarsi a vedere se avesse funzionato, serrò gli occhi e tese ancor di più le dita verso il castello di fronte a lei, alle spalle della zia. C'erano centinaia, forse migliaia, di litri d'acqua in quelle mura e in quell'esatto momento, ed era cresciuta su una dannatissima e stupida nave, doveva solo...
Una stretta improvvisa all'altezza dello stomaco le mozzò il fiato e di riflesso spalancò gli occhi. Le robuste spire della coda di zia Magò la stavano avvolgendo in una morsa ferrea, senza via di scampo, mentre la stupida drago inutile  gracchiava di arrendersi. Nerissa ringhiò- avrebbe dovuto colpirla con dei pugni, altro che con della stupida acqua! Ringhiò ancora e ancora e si divincolò inutilmente, con il solo risultato di sudare ancor di più e di scivolare verso... verso stupidi e assurdi sentimenti. Lei non aveva paura, mai. «Orrenda vecchia bavosa sputafuoco» sputò fuori, la voce resa quasi irriconoscibile da quel caldo insopportabile.
La zia la ignorò e la coda cominciò ad avvolgerla sempre di più, salendo inesorabile verso il suo petto. Nerissa tentò di liberarsi facendo leva con le mani, ma i palmi si erano fatti appiccicosi per il sudore, rendendo anche i guanti nient'altro che ammassi di tessuto inutilizzabile. Le unghie di tutta la mano sinistra si spezzarono con suoni secchi ma lei non ci badò ed evocò incantesimi su incantesimi, senza riuscire scagliarne nemmeno uno. Era troppo vicina al suo obiettivo per lanciarli...
Gridò ma non le uscì nulla, per il caldo e per la confusione. Le voci degli zii erano diventate urla sempre più concitate e Nerissa intravide molti alzarsi sugli spalti, figure lontane e troppo distorte dal fumo per essere identificate... urlavano e alzavano le braccia, forse inneggiando a Magò, che rideva e li salutava con le sue braccine minuscole. «Deve arrendersi!» gridò qualcuno, venendo colpito da qualcosa, forse un bastone. Scoppiò una rissa e una ciabatta puzzolente volò fino a Nerissa, sfiorandole la guancia e cadendo poi nel fuoco. Le spire di Magò cominciarono a salire più lentamente: anche la zia stava ricevendo la sua dose di oggetti volanti (come un grosso libro rosso) e ora inveiva strillando contro gli spalti.
Nerissa ne approfittò per colpire la coda con dei pugni, ma subito dopo il secondo la mano diede in una fitta dolorosa, costringendola a massaggiarsi con prudenza, sperando che nessuno la vedesse in quello stupido gesto di stupida debolezza. Le sue mani erano così bagnaticcie... e pure il suo viso e i capelli erano... Il sudore.
Lo sentiva, lo sentiva, scorreva giù a gocce dai suoi capelli, lungo le caviglie, nell'incavo del petto, su ogni centimetro della sua pelle, grondando nei vestiti e...
«Arrenditi, mocciosetta!» Zia Magò era tornata a fissarla, un livido piuttosto gonfio sullo zigomo e gocciolone di sudore sopra gli occhi, ogni goccia grande come un uovo. La zia alzò Nerissa in alto con la coda, come a volerla mostrare a mo' di premio agli alti zii, ma la Prescelta non rispose agli insulti e alle grida di quel mondo confuso attorno a lei.
Si lasciò sfuggire un piccolo ghigno mentre osservava la brutta faccia della zia. Poi gridò con tutta la sua forza, sentendo i polmoni andare a fuoco e tendendo le braccia verso l'espressione sbigottita della zia. Il sudore scivolò dal viso del drago come un ruscello giù dalla montagna, diventando a ogni centimetro sempre più grande. Corse giù fino a Nerissa, che di istinto portò un braccio dietro all'altro, come se stesse per afferrare qualcosa.
Fece appena in tempo a sentire formarsi un'arma tra le sue dita. Poi un'enorme frusta di sudore scattò a colpire Magò al naso e poi al vido del libro e su tutta la sua orrenda faccia. Si formarono delle pustole di vapore e subito dopo il sangue, nero, sgorgò come in uno splendido sogno. La zia strillò di dolore, coprendosi la faccia con le braccia tozze. Mollò la presa su di lei per difendersi con la coda e Nerissa usò la frusta improvvisata per smorzare la caduta, finendo per aggrapparsi a uno dei rami più alti dell'albero.
Alzò la frusta in aria, facendola scattare in un ultimo colpo. Quando gridò la sua vittoria, venne accolta dalle urla di giubilio degli zii, una cacofonia di suoni che esplodeva tutto attorno a lei. Con un sorriso, osservò il cortile in fiamme e fumo sotto di lei, Magò che si difendeva ancora, il trionfo che vibrava nell'aria infuocata a ogni suo movimento.
Per cinque secondi, si sentì potente, sentì nelle sue membra di essere la Prescelta, la vincitrice.
Poi svenne.


A terra.
Lo sguardo di Helios scivolava proprio lì, precisamente sulle grosse e lucide scarpe dello zio Dolce*3. Non riusciva proprio a concentrarsi, quella mattina- come se già non fosse bastata la poca attenzione con cui aveva concluso l'ultima verifica...
Sapeva che avrebbe dovuto prestare attenzione alla lezione di medicina e di pronto soccorso, ma la sua testa si perdeva in idee e dettagli di mille racconti che avrebbe voluto scrivere e, anche se si sentiva mortalmente in colpa, un po' gli... piaceva, a volte, rifugiarsi in quel suo mondo, specie con la data del suo quindicesimo compleanno che si avvicinava, con quel conseguente e terribile scontro che incombeva su di lui come... come...
«Helios».
Helios si rizzò sulla sedia, ritrovandosi addosso gli occhi dello zio e di tutta la classe. Arrossì, le guance che scottavano ancora maggiormente quando intravide fugacemente, con la coda dell'occhio, Lilo sporgersi per sussurrare qualcosa ad Alice, gli occhi di entrambe fissi su di lui. Lo zio Dolce non sembrò accorgersi di nulla e schiuse le labbra carnose in un sorriso gentile per poi dare un colpetto distratto a una gigantesca sega a mano che teneva quasi amorevolmente in mano.
Per poco Helios non sobbalzò. Quando e da dove lo zio aveva estratto quella... quella specie di arma? Era autorizzato ad averla? Si vergognò subito di qhel pensiero. Cavoletti, come poteva pensare male dello zio?
«Presta attenzione, per favore» disse lo zio tranquillo, all'oscuro di tutti i pensieri poco corretti di Helios, che si ritrovò ad annuire frettolosamente. Lo zio riprese la lezione come se nulla di imbarazzante si fosse ai verificato. «Dovete sapere che questa bellezza può segare un femore in sedici secondi! Anche se io scommetto di impiegarne la metà». Si passò con evidente soddisfazione l'arma da un braccio all'altro per poi appoggiarsi alla cattedra. «Con il giusto allenamento e una buona dieta...» lo zio si bloccò, scorgendo qualche espressione perplessa o forse scambiando quella disgustata di Minou per tale. «Ma vediamo di non andare fuori argomento e di capire innanzitutto cos'è un femore».
Helios si mordicchiò le labbra, avvertendo già l'impulso di perdersi nuovamente in quell suo mondo, distante dalle lezione. C'erano macchie bianche e di mille colori che volavano nel cielo, nel suo mondo, e premendo dei bottoni la gente si poteva spostare e poteva comunicare con gli altri, e poi c'erano anche pozioni speciali che permettevano di diventare più intelligenti semplicemente...
Helios scosse la testa. Stava succedendo ancora. Nel tentativo di riscuotersi, finì per sbattere le ginocchia sul sottobanco, guadagnandosi un'occhiata interrogativa di Penny*4. Le sorrise timidamente, ma appena la bambinsi girò, sospirò, cercando di abbassare al minimo il suo respiro per non disturbare ancora. Era stato veramente irrispettoso eanche se magari lo zio Dolce non si era offeso, sentiva che avrebbe dovuto dirlo agli altri zii. Helios cercava davvero di non distrarsi mai, ma in quei tempi e ancora di più nelle lezioni di medicina, lui...
Sarebbe stato tutto così diverso nel suo mondo. La gente lì poteva scegliere quale scuola seguire e si potevano visitare le galassie attraverso un semplice monitor, galassie lontane e stupende che...
Si stava distraendo. Quella volta utilizzò le maniere forti: si pizzicò un braccio, strizzò gli occhi e poi focalizzò tutta la sua attenzione sullo zio che, come spesso accadeva, si era perso a elogiare quella sua specie di coltellaccio. La luce filtrata dalle finestre ne illuminava la lama, sottolineando le sue scalanature, come anche i graffi del metallo. «Quindi» concluse lo zio, «non dovete fare troppo affidamento su questa bellezza, quando volete tranciare le catene che tengono imprigionaga a una mongolfiera una vostra amica. Ma per il resto è perfetta».
Molti compagni ridacchiarono e anche Helios si trovò con le labbra piegate all'insù in un sorriso impacciato (si sentiva ancora in colpa), ma lo zio, nonostante stesse sorridendo, non stava poi scherzando. «Dico davvero» aggiunse. «È un lavoro che richiede accuratezza e bè, credo che non sia consigliabile farlo con sotto un vulcano in procinto di esplodere...» Le risate seguirono anche quell'affermazioe, ma si smorzarono alla vista dell'espressione stranamente assorta dello zio, che fece ruotare lento la sega per poi infilarla sulla cattedra e appoggiarsi al manico.
Helios strabuzzò gli occhi. Non era un comportamento sicuro! Poteva quasi sentire la lama affondare nel legno della cattedra e ci sarebbe voluto veramente poco per colpire quelli della prima fil...
«Comunque!» Lo zio Dolce si ritirò su, portando di nuovo con sé la sega e strocano il crescente brusio della classe, come anche parte dei pensieri preoccupati di Helios- pensieri che però tornarono con la stessa velocità con cui lo zio puntò l'arma contro Mowgli, che rimase fermo a fissarla, come iptonizzato. «Sono certo che potrei davvero usarla per tagliare un femore, quindi se conoscete qualche interessato, non esitate a dirmelo!»
La risata generale risuonò un po' più incerta, se si escludeva il mezzo ululato di Jim Hawkins, che sembrava trovare il tutto estremamente divertente. Anche Mowgli si rilassò e ridacchiò, seguendo l'esempio di Jim, ma Helios si sentiva molto... molto a disagio con quel ragazzo. Quello che era successo due giorni prima durante la verifica rimaneva ben impresso dentro di lui ogni volta che guardava Jim. E in più, il fatto che ancora non avesse deciso come comportarsi non lo aiutava: davanti a lui non sembrava esserci un modo per risolvere le cose. Dire agli zii ciò che aveva visto avrebbe messo nei guai i suoi compagni, e non era cosa da Buoni; non dire nulla significava diventare loro complice e sentirsi in colpa per quelli che avevano fatto la verifica da soli, come andava fatta, e nemmeno quella era cosa da Buoni...
Lo zio venne inconsapevolmente in suo aiuto, togliendolo da quei pensieri. «Ora vediamo di analizzare insieme...»
Con uno sbattere improvviso che fece sobbalzare Helios e metà della classe, le porte dell'aula si spalancarono di colpo. Tutti si resero in avanti o di lato per riuscire a scorgere la causa dell'interruzione, ma alla fine nessuno né ebbe realmente bisogno per capire di chi si stava parlando. «Boom baby!»
Kuzko sembrava del tutto a suo agio per una persona che aveva appena interrotto una lezione (Helios si sarebbe sentito mortalmente in colpa), ma forse dipendeva anche dal fatto che non sembrava molto consapevole del luogo in cui si trovava. Dava quest'idea, rimanendo lì in piedi, con le braccia spalancate e gli occhi chiusi nella sua classica espressione trionfante.
«Posso aiutarti, Kuzko?» chiese lo zio, avvicinandoglisi con un sorriso.
Kukzo spalancò gli occhi. «Puoi dirlo forte, villico. Dove sono i cori adoranti delle ragazze che precedono la mia entrata scena? Senza non posso raggiungere ilmio massimo appeal nella danza!»
Scrutò la sala con aria di arrogante offesa, ma lentamente le sue labbra si schiusero facendolo sembrare piuttosto perplesso e... «Stupido» ridacchiò Taron alle spalle di Helios, esprimendo parte dei pensieri dell'intera classe.
Kuzko squadrò lo zio come se gli avesse appena fatto un torto orribile. «Ach-ach-ach... tutti questi marmocchi non quadrano proprio per niente».
Zio Dolce rise. «Credo che sia normale che quadrino dei ragazzi in una classe».
«Cosa? Questa non è la sala Balla&Incontra?»
«Direi proprio di no».
«In questo caso, me ne vado». Si girò con uno svolazzo della tunica rossa. «Ci sono svariate ragazze che smaniano anche solo per un mio rifiuto».
«Come no» tossicchiò Jim, facendo nascere qualche sorrisetto qua e là ma non in Helios. A lui non piaceva parlare delle ragazze in quel modo. Kuzko lanciò a Jim un'occhiata annoiata. «Meglio non chiedere da quale sottobordo nascano certi mezzi marinai pulciosi».
La replica tagliente di Jim fu coperta dalle parole e anche dallo stesso fisico imponente dello zio, che si intrapose tra i due mettendosi direttamente davanti a Kuzko. «Ma visto che sei qui potremmo parlare delle tue lezioni private».
Se l'imperatore fosse a disagio, Helios non riuscì a dirlo, ma i suoi modi si fecero ancora più frettolosi. «Ragione in più per andarmene, cocco bello» sorrise, guardando lo zio dall'alto in basso nonostante gli arrivasse alle spalle solo grazie alla sua immensa corona.
«Oh, andiamo». Lo zio gli mise una mano sulla spalla, costringendolo sul posto. «Non sei di certo il primo reale che deve ancora terminare la scuola. Te ne posso nominare almeno altri dieci».
«Charlotte La Bouff» sputò fuori Kuzko come se si trattasse di sfoderare un'arma potente e diabolica, «mi sta aspettando». Si staccò dalla presa dello zio, miracolosamente aveva ancora in viso un'espressione gentile anche nel suo sospirare, e si diresse verso la porta.
«Codardo» sbottò tranquillo Jim e Helios trattenne il respiro- gli era parso strano che Jim si fosse arreso così presto.
Kuzko si fermò e i suoi passi rieccheggiarono nel silenzio più completo mentre tornavano indietro, fino a fermarsi al banco di Mowgli, per osservare Jim accanto a lui.
«Ma chi è che invece deve stare qui a studiare? Non io» sorrise a trentadue denti l'imperatore e Jim, che si stava dondolando con la sedia, sbatté con astio i piedi per terra.
Helios cercò allarmato lo zio con lo sguardo. Non ci voleva poi troppo per capire che la situazione, già di per sè non piacevole, si stata facendo sempre più difficile da gestire. Lo zio fece un passo in avanti per fermare uno dei due, ma Kuzko, dopo un ultimo sguardo sarcastico al suo avversario, si allontanò da solo verso l'uscita, le mani ben sollevate. «L'imperatore che non deve studiare vi salut-...»
Prima che riuscisse a varcare la soglia, la trovò occupata da nientemeno che zio Vinny Santorini, appoggiato allo stipite della porta con noncuranza e con addirittura zio Basil sulla sua spalla. Uno strano duetto. «Mizziga, ci mancava proprio trovare qui lui» disse, lanciando un'occhiata a Kuzko da sotto le sue folte sopracciglia. Jim rise, ma né Kuzko, né Helios, né nessuno che non fosse Alice gli prestò più attenzione del dovuto.
Kuzko sospirò. «Senti, cocco, se è ancora per quella storia, ti puoi anche acquietare. Non avevo nessuna intenzione di provarci con la tua ragazza».
«La sua ragazza?» L'espressione dello zio Dolce si era fatta come quella di un bambino di fronte a una bancarella straripante di caramelle. «Sei fidanzato e non mi dici nulla, Vinny?»
Il Vinny in questione, diventato bianco come porcellana, sembrava sul punto di ridurre in frammenti il fiammifero che teneva in bocca per poi usarlo come arma contro Kuzko- e questo spaventò davvero Helios. «Ma che stai a dire, brutto...»
«Direi che basta così, signori». Usando il suo ombrello, Basil planò dalla spalla di Vinny fino al banco di Sis*5, che sospirò sognante alla vista del topo. Lui la liquidò con un freddo sorriso in un evidente tentativo malriuscito di mantenersi cordiale, per poi riportare la sua attenzione al litigio. «Abbiamo tutti abbastanza chiara la situazione: il signor Santorini è attratto da una donna che Kuzko in passato ha tentato di rendere l'oggetto delle sue attenzioni. Spero che ora accantonerete i vostri diverbi illogici e mi lascerete svolgere il mio lavoro o sarò costretto a rivelare il nome della... gentildonna in questione».
Qualcuno- forse di nuovo Jim- ridacchiò. Kukzo sfoderò un "sono d'accordo!" è uscì di filato dall'aula prima di rischiare di essere nuovamente fermato da zio Dolce- che però sembrava troppo occupato a sorridere entusiasta a Vinny. Quest'ultimo si ricompose nella sua tipica aria indifferente, scrutando l'aula e i suoi componenti come a sfidarli a dire qualcosa.
Helios si agitò sulla sedia. Se conosceva abbastanza i suoi compagni, era sicuro che qualcuno avrebbe accolto quella sfida a braccia aperte, ma prima che potesse succedere, zio Basil si intromise di nuovo, ancora più seccato. Forse dipendeva dal fatto che lo zio Dolce lo stesse ancora ignorando o forse era solo nervoso per l'assenza di Topson, troppo raffreddato per potersi muovere ultimamente. «Prima che qualcuno di voi faccia altro di particolarmente avventato, mi hanno inviato qui per Helios».
All'improvviso, l'attenzione di tutti si catalizzò proprio su di lui. Di nuovo.
Helios deglutì e fissò zio Basil, appena visibile per la lontananza e per la sua poco considerevole altezza. «Sei atteso giù per particolari addestramenti».
Helios si alzò un po' traballante, mentre la parola "Prescelto" serpeggiava su e giù nei mormorii di tutta la classe. Con la speranza di non essere arrossito troppo, arrivò fino al banco di Sis, fece salire zio Basil sulla sua spalla e andò verso la porta.
«Mizziga» esclamò zio Vinny alle sua spalle, mentre Helios usciva. Forse stava cercando di smorzare l'imbarazzo ma il suo tentativo non fu dei migliori. «Non ci posso credere che tieni ancora quella sega lì, Dolce. A momenti, finirai per portartela all'altare».
«Dicci il nome!» gridò qualcuno, forse Vanellope*6, scatenando un putiferio di voci incitanti, in cui si distingueva chiaramente quella di zio Dolce, impegnato non a placare i ragazzi, ma a richiedere il nome.
Helios si lasciò l'aula alle spalle, sperando di non d'aver davvero sentito zio Vinny imprecare vistosamente, mentre zio Basil, sulla sua spalla, si massaggiava nervoso le tempie. «Un altro motivo per non sopportare i bambini» bofonchiò. «Ho bisogno di Topson e delle sue aspirine!»
In realtà, a detta di molti, zio Basil aveva bisogno solo di Topson. I segreti avevano vita estremamente difficile al White Castle- ma questo Helios evitò di dirlo. La preoccupazione per gli allenamenti speciali che lo aspettavano si stava facendo fortissima, tanto da fargli emettere un singulto poco educato quando cominciò a scendere le scale per raggiungere il solito cortile.
Zio Basil lo indirizzò con frecciatine sarcastiche poco gentili fino al Cortile di Luce, un amplio spazio che si apriva quasi dal nulla dopo la scalinata principale. Si trovava nell'area seicentesca del White Castle e di conseguenza era circondato da un porticato di colonne alte almeno quattro metri.
Il pavimento era costituito da mosaici brillanti, in quel momento, ma accedendo al grosso braciere in pietra che ardeva in mezzo al cortile e recitando le giuste formule, sarebbe potuto diventare qualunque cosa, anche una pozza d'acqua o un terreno ricco di alberi. Era il genere di posto dove Helios sarebbe rimasto a scrivere per ore: era bello in qualsiasi istante e riparato dal vento. La luce del sole sembrava triplicata dai cristalli sui capitelli e si rifletteva in un caleidoscopio di colori nei decenni di disegni e decorazioni che adorvanano ogni fusto delle colonne.
Avanzando nel cortile, Helios si era aspettato di incrociare zio Merlino immerso nell'osservazione delle fiamme del braciere, ma invece, ad eccezione sua e di zio Basil, sembrava non esserci nessuno. Ad accompagnare il rumore dei suoi passi era solo il leggero crepitio delle fiamme. Zio Basil zampettò dalla spalla sinistra a quella destra, con gli occhi socchiusi nel tentativo di capire dove fossero finiti tutti.
«Ah!» Lo zio batté le mani con inaspettata forza e per lo più vicino all'orecchio di Helios, facendolo sobbalzare. «Ecco che giunge a noi il famoso signor Topus*7!»
Come zio Basil fosse riuscito a vedere zio Topus, alto come lui, addirittura prima di Helios, era un mistero, ma non appena quelle parole gli uscirono di bocca, Helios intravide lo zio sbucare dalla parte sinistra del cortile, quella che dava sui giardini.
Zio Basil scivolò giù dalla sua spalla, andando incontro all'altro zio, e Helios gli andò dietro, cercando di non perdersi a guardare i disegni sulle colonne. Era difficile distogliere lo sguardo, un volta cominciato.
«Ebbene, Topus? Dove sono gli altri?»
Lo zio Topus prese una boccata dalla sua pipa prima di rispondere, tanto calmo quanto Basil era infervorato. I due topi erano circa della stessa altezza e per lo più simili tra di loro in quanto a stile- ragion per cui molti sostenevano che fossero parenti alla lontana, se non anche cugini. Helios sapeva che non era giusto parlare o spettegolare troppo di qualcuno, ma in effetti i due si assomigliavano davvero...
«Inanzitutto, buongiorno Basil e buongiorno anche a te, Helios» lo zio salutò entrambi con un educato gesto del capo.
«Si, si, buongiorno, salve a lei, come sta, eccetera» si intromise zio Basil, co una maleducazione che Helios non si sarebbe aspettato. Forse non era solo l'assenza di Topson a renderlo nervoso. «Puoi dirci dove sono gli altri?»
«Un insegnante sta giusto arrivando per occuparsi di Helios. Molti sono solo andati al mercato di Amity, si dice CI sia un torneo speciale...»
«Oh, si» annuì Helios. Il giorno prima non si era parlato d'altro. «Una gara di tiro con l'arco, giusto?» Gli sarebbe tanto piaciuto poter assistere, anche se né Merida né zio Robin avevano detto di partecipare...
«Bah!» Zio Basil liquidò la faccenda con un gesto frettoloso, facendo irritare l'altro zio.
«Insomma, Basil! Il tuo comportamento si sta rivelando davvero indecoroso! È in questo modo che vuoi dare l'esempio ad Helios?»
«Perdere tempo in stupidi tornei è dare un pessimo esempio, specie quando ci sono misteri che...»
«Di nuovo con quella storia? Basil, Tommy Pig non è scomparso, né è stato rapito! Ha lasciato un chiaro biglietto in cui scriveva che si sarebbe trasferito a Oneiron*8!»
«Senza avvisare di persona i suoi cari fratelli? E attraversando da solo le Terre di Mezzo? Lo sai che cosa contengono, le Terre di Mezzo?»
Helios spostò il peso da un piede all'altro, in imbarazzo. Assistere a un secondo litigio non era un buon modo per cominciare i suoi allenamenti- ma avrebbe dovuto preoccuparsi per zio Basil anziché per se stesso. La questione di Tommy Pig risaleva ad almeno due anni prima, se non di più, quando il maialino era scomparso lasciando dietro di sé soltanto quel biglietto. Era rarissimo che qualcuno tentasse di mettersi in viaggio verso fuori Phentesia, per molti motivi: le Terre di Mezzo, che li separavano dalla Lega e da Oneiron, erano povere e poco sicure. In più, gli altri stati non erano granché felici di accogliere visitatori- d'altronde, nemmeno a Phentesia se ne erano mai vissti- e alcuni sembravano addirittura avere contatti con il regno al di là della barriera, con il Black Realm. Chissà se l'altra Prescelta aveva...
Helios si mordicchiò le labbra, sentendo una grande tensione afferrarlo tutto, come se si stesse preparando a un grande salto nel vuoto. Non doveva pensarci, né a lei, né al compleanno e allo scontro. Mancavano ancora sei mesi. Si concentrò di nuovo sugli zii.
«Hai sentito tre volte i loro vicini di casa, la signorina Tilda addirittura quattro. Era così imbarazzata» stava dicendo zio Topus.
«Motivo in più per interrogarla! Per quale ragione avrebbe dovuto esserlo, se non il nascondere qualcosa? È stato rinvenuto un suo capello vicino al presento biglietto del signor Pig e...»
«E avrebbe potuto essere lì da tempo immemore. Tommy Pig, inoltre, manda spesso lettere da Oneiron». La discussione non accennava a terminare e, a giudicare dagli sguardi dei due, nessuno voleva dare ragione all'altro. Helios tentò di pensare qualcosa che lo facesse smettere senza offendere nessuno- non era per niente certo di chi avesse ragione, dato che si era informato poco sulla vicenda, ma parlare di rapimento... come poteva succedere lì, nel White Realm?
«Le lettere possono essere falsificate con la stessa facilità con cui si può...»
«Che cosa succede qui?» chiese un'inconfondibile voce bonaria.
I due zii ed Helios si voltarono verso il giardino, da dove stava arrivando zia Smemorina, la veste azzurra che sembrava contenere parte del cielo.
«Buongiorno, zia» la salutò subito Helios, guadagnandosi un sorriso e una carezza sui capelli quando la fata li raggiunse.
«Buongiorno, Madame. Spero nel vostro aiuto: Basil stay ancora indagando su Tommy Pig» sospirò zio Topus, lucidando con un fazzoletto pregiato la sua pipa.
«Oh, Tommy Pig. Tommy Pig... Tommy Pig, Tommy Pig...?»
«Il porcellino scomparso» ringhiò zio Basil per poi aggiungere una forma di cortesia. «Madame».
«Ah, Tommy Pig! Ma si tratta di una storia vecchia e risolta, caro...»
Sembrò essere troppo per Basil di Baker Street. «C'è qualcosa che non va in questa storia, e io ve lo dimostrerò!» ribatté, quasi urlando, per poi uscire dal cortile a passi pesanti. Il sospiro mortificato della zia si perse nelle scuse di zio Topus, che si avviò dietro a Basil, Forse per cercare di calmarlo o per discuterci ancora.
Nel cortile tornò di nuovo il silenzio, interrotto soltanto dal frusciare del vento negli alberi del giardino vicino. Helios aspettò che zia Smemorina dicesse qualcosa- era lei l'insegnante che stava aspettando? In cuor suo, anche se si sentiva un po' in colpa, sperava di no... sapeva che non era un pensiero da Buono, ma la zia non era sempre bravissima a spiegarsi o a ricordare le cose. Forse era venuta lì a dirgli di aspettare zio Merlino o zia Turchina? Doveva già cominciare a usare il braciere?
Zia Smemorina gli passò accanto, di ritorno ai giardini. Helios le corse dietro, chiamandola imbarazzato e lei si voltò a guardarlo con un sorriso. «Si, caro?»
«Cosa... dove devo...?»
«Oh, giusto, la lezione!» La zia si batté una mano sulla fronte. «Scusa, Helios, me ne ero dimenticata».
Helios sorrise timido e si morse le labbra. «Quindi cosa...?»
«Prendi posto accanto al braciere» esclamo allegra la zia. «Cominciamo subito questa lezione di Magia Bianca!»
Helios eseguì, l'ansia e la preoccupazione che lo accompagnavano fino alla sua meta. La zia intanto frugava prima all'interno della manica destra, poi in quella sinistra.
«Devo solo...» Lo guardò, vagamente perplessa. «Hai visto per caso la mia bacchetta, caro?»
Quasi Helios non si sentì in colpa a sentirsi un poco irritato. Sarebbe stata una lezione ancor più difficile del solito.


«Ah!» Le spade cozzarono tra loro in uno sciabio di scintille.
Nerissa ebbe appena il tempo di riprendere fiato prima che lo zio, pochi centimetri di lama a separare i suoi occhi di oscurità da lei, tornasse all'attacco, con un ringhio. Anche lei ringhiò, parando l'affondo sul lato sinistro. Forse aveva preso da zio Shan Yu e da tutte quelle ore passate a duellare la passione per il ringhiare.
Il braccio si stava facendo pesante. Era da un'ora abbondante che quel duello in paticolare proseguiva e fino ad allora aveva portato alla caduta del suo scudo da qualche parre sulla destra e a una ferita sotto al ginocchio. Lo zio non si era fatto un dannato niente. Non sembrava nemmeno stanco. E lei invece lo era, principessa bastada, nonostante fosse perfetta! Impugnò l'elsa con entrambe le mani e tentò un attacco frontale, dritto al viso stupido e malefico dello zio.
Prima che la lama impattasse sulla carne, lo zio interpose ancora la sua spada, facendola di nuovo cozzare con quella di Nerissa. L'impatto quella volta fu talmente violento che lei scivolò. Il calcio dello zio capitò nel punto giusto, sulla coscia, facendola finire per terra in un tornado confuso di spada e vestiti. Il dolore alla gamba si fece sentire ancora di più quando il contatto improvviso con il suolo le fece mozzare il fiato.
Lo zio fu su di lei con un balzo. Nerissa mirò ai suoi piedi, rotolando di lato non appena si fecero troppo vicini. Shan Yu la rincorse e lei scivolò in mezzo alle sue gambe, per poi riemergere da dietro di lui e tentare un colpo alle spalle.
L'unno vorticò all'indietro, parando l'affondo con fin troppa facilità. Le regalò un sogghigno sarcastico. «Potrò farmi una collana con le tue ossa, se continui così» le disse con quella sua voce rantolante.
Nerissa gli si gettò contro, tentando di nuovo un attacco frontale, ma lo zio parò anche quello, continuando a ridere piano. Fu troppo per lei.
Con un grido di rabbia, evocò il primo incantesimo che le passò per la testa. L'avambraccio sinistro si fece quasi incandescente mentre una sottile ombra nera, simile a un mantello animato da una forza misteriosa e con grossi artigli, si faceva strada emergendo dalle punte delle sue dita. Il dolore era tale da farla urlare continuamente, in un lungo lamento rabbioso a cui anche lo zio prese parte quando l'ombra nata dalla sua magia lo attaccò.
Shan Yu rispose cercando di colpire l'essere con la spada, ma l'ombra eluse facilmente ogni fendente. Nerissa manovravano qualsiasi suo movimento muovendo appena il braccio e mormorando di tanto in tanto qualche anatema voodoo- e a ogni lettera pronunciata, si sentiva come se avesse corso per ore intere.
In breve, lo zio crollò a terra, ringhiando e massaggiandosi un grosso squarcio sanguinolento tra la spalla e il braccio: subito di intrappolato da dei ganci fumosi sbucati dallo stesso terreno grazie all'ombra.La fissò con odio, ma Nerissa non ebbe il tempo di ridergli in faccia come avrebbe dovuto fare in quanto Malvagia, perché immediatamente una bombetta volante sfrecciò verso di lei.
Nerissa si chinò, gettandosi poi poco distante dallo zio che cercava, imprecando, di fermare la sua emoraggia per continuare a combattere. Distratta dal duello, si era quasi scordata di DOR-15*9, che sarebbe dovuta intervenire nel caso l'allenamento si fosse fatto troppo facile. Nerissa si rialzò a fatica, mentre quella stupida bombetta, un artiglio usato a mo' di elica, gli altri che mulinavano ovunque colpi, zigzagasse verso di lei.
Tese la mano al momento giusto: pochi centimetri prima che la raggiungesse, DOR-15 ricevette un duro colpo dall'ombra, subito seguito da un altro e un altro e un altro ancora, fino a che l'energia stessa nel corpo di Nerissa non cominciò a cedere. Con un ultimo sforzo e un mezzo grido della Prescelta, l'ombra attraversò come nulla fosse i fendenti del robot per poi afferrare la sua ombra e gettarla addosso alle mura. DOR-15 si schiantò contro i mattoni un'istante dopo, sollevando polvere e schegge di acciaio arrugginito.
Non si alzò più. Per un attimo Nerissa ne fu sollevata- anche se lei era la Prescelta ed era perfetta ed amava le battaglie.
Zio Shan Yu continuava a imprecare. La ferita aveva reso la sua manica nient'altro che un groviglio sanguinolento, impedendogli di alzarsi e di estirpare via a suon di pugnalate i lembi d'ombra che lo imprigionavano. Ben presto, cominciò a sbraitare ordini ai suoi sottoposti, utilizzando in gran parte termini nella sua lingua- non ci voleva nemmeno metà della sua perfezione per capire che erano minaccie.
Nerissa barcollò, il suo stupido corpo stremato, e cancellò via con un gesto l'ombra che le scivolava attorno in attesa di ordini. Il braccio sinistro non bruciava più, ma dava in scricchiolii orrendi, come se le ossa lì dentro avessero deciso di creparsi tutte nello stesso momento.
Il braccio destro non era da meno, rigido e appesantito perfino nell'alzarsi di pochi centimetri. In più c'erano anche tutte le altre ferite del duello- poteva sentire anche in quel momento la coscia gonfiarsi. Doveva chiedere a zia Yzma quelle sue stupide pozioni curative.
Gettò la spada a terra in un sordo clangore metallico che ignorò assieme al ringhio dello zio, che si vedeva tagliare via parte della sua pelle e carne nel tentativo di liberarlo. Non era importante quanto il corpo di Nerissa stesse male, quanto quelle sue stupide membra potessero urlare per un letto o una pozione. Aveva vinto, vinto quello stupido e dannato duello e non importava più nulla.
Stava tentando un passo verso la borraccia gettata poco distante, quando zio Uncino la intercettò sbucando tra gli Unni vari quasi dal nulla. «Che diamine hai fatto, mocciosa?»
«Ho vinto» ringhiò lei, evitando lo zio e afferrando la borraccia. Ci mancava anche questa. Zio Uncino rompeva sempre le palle.
«Lo scopo era il duello con la spada, non con la magia, marmocchia» le arrivò la voce rabbiosa del Capitano alle spalle, mentre l'acqua le scorreva lungo la gola. L'assalì quasi un'ondata di qualcosa a stringerle il petto, ma lei non aveva paura, non ne aveva mai ed era lo zio a sbagliare. Lei era perfetta.
Quando si scostò di dosso la borraccia e la gettò di nuovo a terra, a zio Uncino si era aggiunto zio Shan Yu, gocce di sangue che accompagnavano ogni suo passo e un ferro rovente a bloccare l'emoraggia. Le catene di ombra che lo avevano bloccato erano ancora laggiù, ora con i lembi delle sue maniche e di ciò che c'era rimasto attaccato. Eppure, non c'era spasmo di dolore nel grunito dell'unno. «Sono d'accordo con il pirata» mormorò, con tanto astio da sembrare quasi che stesse mordendo ogni parola con i suoi denti affilati.
«Io ho vinto» ringhiò in risposta Nerissa.
«Ma lo scopo era usare la spada». Il Capitano si accarezzò minaccioso l'uncino, cominciando ad assumere una delicata tonalità lilla. «Sai, all'incirca, cos'è una spada?»
«Non trattarmi così!» scattò lei. «Io ho vinto e sono perfetta! Se lo zio Shan Yu avesse avuto la magia, avrebbe fatto la stessa identica cosa!»
L'unno si strinse tra le spalle- non fu ben chiaro se per darle l'inevitabile ragione o per bloccare l'emoraggia- e si allontanò leggermente per mangiare carne cruda, come faceva sempre dopo una battaglia. Zio Uncino, invece, continuò. «Credi di poter resistere a un duello serio? Sei crollata soltanto dopo un'ora! Voglio proprio vedere come farai...»
Nell'arena contro il Prescelto. Quel pezzo di frase rimase a galleggiare nell'aria come un insetto fastidioso, esortando Nerissa a incenerirlo. C'era troppo ad aspettarla, troppo...
Zio Uncino evitò la conclusione e proseguì, puntandole l'indice contro. «I miei duello contro quel dannato Pan potevano protrarsi...»
«Per intere giornate!» finì per lui Nerissa, urlando. «Lo so, me lo hai raccontato come minimo mille migliaia di volte! Ma io» e qui lo fissò dritto negli occhi, con furia, «ho vinto lo stesso!»
Lo sguardo dello zio scintillò in maniera tanto minacciosa che Nerissa sentì quasi un mezzo tremito scuoterla dentro- forse l'avrebbe attaccata? B-bè, lo avrebbe ridotto in poltiglia!
«Qual è il motivo di questa indecorosa cagnara?»
Nerissa e gli zii voltarono la testa di scatto. La Prescelta poté sentire zio Uncino trattenere bruscamente il fiato mentre zio Shan Yu imprecava di nuovo in unno. Lo zio Volpe e lo zio Gatto sgambettavano verso di loro- o meglio, il primo tentava di procedere con un'elegante passo spedito, assestando inutili colpetti di bastone all'aria, mentre il secondo gli trotterellava fin troppo vicino, rischiando di inciampare su di lui ogni due passi.
Lo zio Shan Yu rivolse ai due una tale occhiata da far deviare il loro tragitto di almeno cinque metri più in là rispetto a dove si trovavano lui e la sua carne cruda; poi urlò un ordine a un suo sottoposto e se ne andò via, forse ad applicarsi altro ferro rovente.
Che patetico, perdeva sangue solo da quella ferita e zoppicava al piede e se ne andava per così poco?
«Che cosa volete?» domandò zio Uncino ai due appena giunti, arricciandosi i baffi con la sua unica mano.
«Stavamo litigando, idioti. Ci avete interrotto» sbottò Nerissa, prevedendo la risposta dello zio Volpe, che sorrise in modo tagliente per poi scambiare uno sguardo complice con lo zio Gatto.
Nerissa aggrottò le sopracciglia mentre lo zio Uncino sguainava la spada. Ma cosa...?
«Verifica a sorpresa!» gridò zio Volpe, mentre contemporaneamente lo zio Gatto le lanciava addosso la sua tuba sfondata. Nerissa la afferrò, ma, anziché nasconderla dietro la schiena e mentire come in ogni lezione di bugie, gettò a terra il cappello e ci saltò più volte sopra con rabbia. Sotto lo sguardo confuso di zio Uncino, zio Gatto emise un sordo miagolio a metà tra l'indispettito e il terrorizzato, portandosi le maniche troppo lunghe alla bocca. A zio Volpe, il sorriso si congelò sul muso. «Perché lo hai fatto?»
«Non ho fatto niente» ringhiò Nerissa di getto.
«Hai sporcato una tuba di prim'ordine».
«Non so di cosa parli. Era già per terra, la tua stupida tuba. L'ha buttata zio Gatto». Agì di istinto: nelle sue parole mise un pizzico di qualcosa che ebbe a che fare con una fitta al braccio sinistro. Non aveva nessuna voglia di tirare avanti una stupida verifica di bugie e lingua-lunga proprio in quel momento.
Lo zio Volpe lanciò un'occhiata di fuoco, quasi animalesca, a zio Gatto prima di assalirlo. In breve, i due non furono altro che un ammasso urlante di pugni e graffi. Nerissa ridacchiò, ma la sua risata fu breve alle parole di zio Uncino, che la strattonò per un braccio. «L'hai fatto ancora!»
«Cosa?» Nerissa si strappò dalla sua presa con un ringhio. «Non ho fatto proprio un bel niente!»
La tonalità lilla del Capitano si stava facendo rosso acceso, simile a quello del suo cappotto. «Se ti vengono insegnate, oltre alla magia, anche altre materie...»
«Principessa bastarda!» Manco poco che Nerissa non gli mollasse un pugno su quel suo nasone. «Perché dovrebbe essere un dannato problema? Barare non lo è mai stato!»
«Certo che barare non è il problema! Ma...»
Non finì mai la sua stupida e inutile predica. L'ammasso di pugni conosciuto come zio Gatto e zio Volpe rotolò in mezzo a loro, spiattellandosi per terra. Entrambi gli zii erano ridotti a dei patetici stracci, con i vestiti più strappati del solito e graffi sanguinanti su tutto il corpo. Zio Gatto artigliava ancora la folta coda dello zio Volpe e a sua volta veniva da questo strangolato, ma non sembrava poi troppo consapevole della situazione. Un lampo negli occhi di zio Volpe, invece, fu un segnale più che evidente di una sua ripresa dall'incantesimo. Si rialzò, spolverandosi di dosso la polvere e l'altro zio. «Ade e Frollo ti stanno cercando» le disse, sistemandosi la tuba impiastricciata e ora completamente sfondata con noncuranza, come se nemmeno si fosse reso conto dell'incantesimo che lei gli aveva scagliato. L'effetto era finito, era vero, ma la magia rimaneva fantastica.
Nerissa incrociò lo sguardo dello zio Uncino con aria di sfida. «Vado» ghignò, per una volta felice di aver ricevuto una stupida e inutile convocazione, e si lasciò l'area allenamenti alle spalle prima che potesse dire qualcosa.
Per un po', vagò nel labirinto di corridoi dell'ala est del castello, dove di solito si tenevano gran parte delle sue lezioni. Oltrepassò varie e strette finestre che davano sul cortile-arena d'allenamento e sogghignò alla vista di come fosse ridotto, nonostante e il tempo e i lavori di riparazione magici e non. Certo, dopo la frusta di sudore aveva dovuto ingollare per un sacco di tempo le pozioni di zia Yzma e il dolore... il dolore...
Nerissa si scrollò di dosso quello stupido pensiero pestando così forte i piedi da attirare l'attenzione di una sorta di mezzo pesce in armatura nera*10- solo quando si avvicinò a lei sferragliando la lancia che teneva tra le corte braccine, si rese conto che si trattava effettivamente di una delle guardie. Precisamente, una di quelle strane creature, i Goons, a servizio di zia Malefica. Aveva occhi enormi che occupavano gran parte del suo viso, facendo sembrare il suo corpo ancora più deforme e tozzo dentro la sua armatura consunta e arrugginita.
Nerissa si sentì ancora più perfetta di fronte a lui. Alzò mento per guardarlo meglio dall'alto in basso- non le arrivava nemmeno al petto. «Dove sono lo zio Ade e lo zio Frollo?»
Incredibilmente, quel coso sembrò capire. Annuì, l'elmo che gli scivolava sul buco che doveva essere il suo naso ad ogni cenno. Le indicò con la lancia il corridoio a sinistra e poi la precedette, saltellando come se si trovasse a uno dei sabba delle zie. Nerissa lo seguì, con il vago istinto di prenderlo a calci finché non avesse smesso di muoversi in quel modo assurdo e stupido, gettando le gambe in avanti e inclinandosi allo stesso tempo indietro con la schiena. Il corridoio che attraversarono era lungo e dal soffitto alto. Le pareti, come per gran parte del Black Castle, erano in pietra nera, ma il tempo stava consumando quei grandi massi, rendendoli grigi in certi punti e spargendo negli angoli mucchietti di polvere. Le porte incassate nei muri erano allungate e in legno scuro, tutte all'apparenza chiuse. Eppure, passandoci davanti, aveva quasi la sensazione che quegli incavi marroni la seguissero con i loro sguardi lignei. Non sapeva nemmeno se fosse vero o solo una stupida impressione, ma di sicuro i bisbigli che accompagnavano i suoi passi e i saltelli del mostriciattolo erano più reali che mai. E la infastidivano.
Erano un serpeggiare che le si intrufolava nelle orecchie, nonostante sbattesse forte i piedi sul pavimento per scacciarli. Quei cosi rimanevano là, a bisbigliare, a mormorare, a sussurrare... Entravano nelle sue orecchie e nella sua testa, in piccoli, incessanti, sibili, con tale intensità che Nerissa a un tratto si fermò al centro del corridoio. Alla fatica e a tutte le ferite del duello si stava aggiungendo un male pulsante alla testa, vivido e vivo come se quegli stessi sussurri stessero cercando di entrarle non solo nella testa, ma anche negli angoli più reconditi della sua mente, per mangiarle il cervello. Nerissa si impiantò le unghie nei palmi, pur di non portarsi le mani alla testa. Poi ringhiò.
Quelle dannate porte la facevano ammattire con le loro voci? Bene, non ci sarebbero state più porte! Con un urlo e una vampata di dolore al braccio sinistro, fiamme azzurre balnearono e danzarono sulle sue mani un attimo prima di essere scagliate contro le porte. Una porta, due porte, tre porte...
Il fumo si alzava in spirali simili a fantasmi, le fiamme brillavano sul legno, divorandolo, ma quei sussurri continuavano, continuavano e continuavano...
Nerissa aumentò la potenza del fuoco, ignorando gli strilli del mostriciattolo, a cui scoccò giusto un'occhiata furiosa per intimargli di stare zitt-...
Le fiamme vennero aspirate via con un soffio improvviso. Nerissa ringhiò e ne evocò di nuove e ancora una volta sparirono, risucchiate, come se stessero seguendo la volontà di qualcun'altro. E in effetti, era così.
Zio Ade e zio Frollo erano usciti da qualunque fosse stato il loro patetico buco e ora stavano accanto al mostriciattolo a fissarla. Il giudice era piuttosto pallido e osservava con sgomento malnascosto (che patetico!) le fiamme che zio Ade teneva tra le mani. Il dio le osservò con una vaga smorfia annoiata (gliele aveva rubate!) e poi le fece scomparire con uno schiocco di dita. A Nerissa ora la testa girava per lo sforzo. Alcuni zii le avevano detto che avrebbe potuto sentirsi affaticata con un uso continuo della magia, ma come poteva succedere a lei, che era la Prescelta, che era perfetta?
Zio Frollo avanzò verso di lei, un'espressione di nuovo disgustata a rendere ancora più spigoloso il suo volto. «Non ti è permesso evocare fuoco nel castello!» Quello che doveva essere un ordine era divenuto uno scatto d'ira.
Nerissa ringhiò, sentendo ancora quei maledetti sussurri attorno a lei. «Lo dici solo perché te la fai sotto a vedere qualche fiamma!»
Gli occhi del giudice si spalancarono, diventando quasi simili per grandezza a quelli del mostriciattolo ma prima che potesse urlare qualcosa con quella sua stupida voce, zio Ade apparve come un soffio di fumo tra di loro, facendo scivolare un braccio sulle spalle di Nerissa. «Le fiamme non erano questo granché, Ner...»
«Non chiamarmi così!»
La stretta si fece più forte e Nerissa avvertì qualche ferita del duello cominciare a sanguinare. «Ner, Nerissa, 'Issa, Nerissa adorata, come ti pare. Ma lasciamoci alle spalle questa storia del dare fuoco al castello. Lo confesso, anche io penso sia ora di un restyling totale, ma ce ne occuperemo appena dopo il tuo prossimo compleanno» Sorrise. «Abbiamo cose un nichelino più importanti, al momento». La spinse di nuovo a procedere per il corridoio, con lo zio Frollo e la guardia mostriciattolo che li seguivano poco distanti.
Anche i sussurri li seguivano, ma zio Ade non sembrava rendersene conto. «Però vedi, Fiocco di Ner, io non sono un tipo che tende a giudicare, non è proprio il mio compito nemmeno con le anime all'inferno, ma tutte quelle fiamme non contribuiscono a rendere il castello nuovo fiammante».
Se fosse una dannata battuta stupida o meno, Nerissa non ebbe nemmeno voglia di capirlo. Quegli stupidi sussurri le stavano trapanando il cervello, facendola sentire quasi... quasi non perfetta, ancora più stanca di quanto una come lei potesse essere. Strinse le unghie fino a farsi del male. «Non... non li senti questi sussurri?» chiese a denti stretti.
Lo zio si accigliò, le fiamme che gli lambivano la testa in un continuo crepitio. «Sussurri, Ner?» Si voltò verso gli altri. «Avverti qualche sussurro, Frollino?»
«Io non sento nul-». La maschera severa del giudice di attraversata da una smorfia di rabbia. «Come mi hai chiamato?!»
Zio Ade lo ignorò e tornò a rivolgersi a lei. «Forse abbiamo battuto un po' la testolina, zuccherino?»
«Io li sento perfettamente!» gridò Nerissa. «Vi state prendendo gioco di me!»
Zio Ade ignorò anche la sua rabbia. «Chiediamo anche al beota. Vieni qui, amico mostro». La guardia saltellò fino a loro proprio quando i sussurri si fecero più forti. «Hai sentito qualcosa?» gli chiese il dio, fermandosi davanti a lui con Nerissa. «Non credo abbia capacità linguistiche» arrivò loro il pungente commento di zio Frollo.
I sussurri per un attimo si bloccarono, ma poi ripresero all'improvviso, proprio mentre il mostriciattolo scuoteva la testa. Nerissa ringhiò, perdendo la pazienza, e fece per evocare altro fuoco, ma zio Ade, che ora stava osservando tutta la scena, le affondò le dita scheletriche nella spalla. Lei sobbalzò e lo fissò con odio- il dio rispose ridendo piano, mentre il giudice lì raggiungeva seccato.
«Che diamine ridi?» ringhiò Nerissa, strattonandosi via soltanto per finire addosso all'altro zio, che fece scivolare le sue luride mani sulle sue spalle. Nerissa si scostò. Li avrebbe ammazzati entrambi, sentiva l'odio ribollirle dentro con più intensità che mai.
«È semplicemente la sua armatura, Ner». Zio Ade afferrò il mostriciattolo per un orecchio e lo scosse a strattoni. Subito una valanga di insopportabili sussurri attanagliò Nerissa, che ringhiò e di divincolò come se fosse stata morsa da un serpente.
«Tutto qua» terminò il dio, lasciando il mostriciattolo. Nerissa si sentiva ridere ancor di più dentro: quell'inutile sottoposto le aveva fatto scoppiare la testa e in più l'aveva umiliata, l'aveva fatta passare per una stupida debole davanti a due degli zii. La voglia di finirlo divampò in lei come le fiamme improvvise che avevano lacerato il legno delle porte. I due zii si scambiarono uno sguardo sopra di lei, poi la condussero con la guardia in una delle tante sale del corridoio.
Nerissa era troppo invasata dall'odio per fare qualsiasi domanda. Quando entrarono, non disse e non chiese nulla, limitandosi ad annuire mentre zio Frollo le indicava le armi sopra un grosso tavolo in pietra. Afferrò la prima che le capitò e si girò verso il fondo della stanza. Non si chiese nemmeno come lo stupido mostriciattolo fosse finito legato là, senza alcuna lamentela o sussurro, senza... niente.
Tese quello che era un arco. Il sono acuto della freccia squarciò l'aria, andando a conficcarsi nel grosso occhio, quello destro e la guardia- o meglio, il suo ennesimo prigioniero da tortura- di coprì la ferita come meglio poteva, gemendo. Ad ogni suo movimento, ora, nuovi sussurri invadevano Nerissa, colmandola di odio e rabbia. Gettò a terra l'arco e afferrò un pugnale dal cumulo indistinto sul tavolo. Strinse i denti in un urlo, ruotò il busto per garantirsi un miglior slancio, e poi lanciò. Il pugnale roteò nell'aria sottoforma di un bagliore argentato.
Il prigioniero ruzzolò a terra con un rantolo agonizzante, un ultimo sibilare di sussurri ad accompagnare la sua fine.
Nerissa si accorse solo allora di stare ansimando, ma si riprese in un ringhio. Non le avrebbe più fatto mal di testa, non l'avrebbe più umiliata, mai più. Nessuno poteva umiliare la perfezione.
Con pochi passi decisi, si avvicinò ad estrarre il pugnale. Era andato a conficcarsi nel petto di quel mostro, squarciando la corazza e trapassando metà del cuore. Era schiattato con le fauci semiaperte e un rigolo di sangue gliele colorava, e se un occhio ormai non era altro che una poltiglia gialla e rossa spappolata con una freccia dentro, l'altro era ancora aperto. Aperto e vuoto. Nerissa ringhiò e ci affondò dentro un pugno.
Fu come farlo scivolare in una pozione di zia Yzma: una materia melmosa e viscida le si appiccicò addosso, insinuandosi dentro ogni piega della sua mano.
Fece scivolare via il pugno da quello che oramai da solo carne da ardere e, con la freccia e il pugnale insanguinati in mano, si voltò a guardare gli zii, dall'altra parte della stanza. «Molto brava, Ner adorata» commentò zio Ade, battendo le mani in un singolo applauso ironico.
Nerissa ritornò al tavolo e ci scaricò sopra le due armi. «Lo so». Perché ora si metteva a ripetere cose ovvie? E perché non lo faceva anche zio Frollo? Dovevano sapere che era perfetta.
«La modestia è una grande virtù» scocciò il giudice con una smorfia.
Zio Ade incrociò le braccia al petto con un ghigno. «Tornando a cose più importanti di pseudo lezioni bibliche, mi aspetto molto di più tra tre mesi nell'Arena, Ner. Qualcosa come Magia Nera. Insomma, non credo sarai a corto di incantesimi con cui poter polverizzare il moccioso Buono, no?»
Lo sguardo di Nerissa scivolò come attratto da una calamita sul suo braccio sinistro, la fonte di ogni suo potere. Al contrario dell'altro, la manica degli abiti da combattimento arrivava fino alle dita, tramutandosi in una sorta di guanto fino alle seconde falangi della mano. In alcuni punti, il duello precedente aveva prodotto alcuni squarci nel tessuto, ma non si notava molto la differenza ora che quella pelle sottostante era diventata nera. E tutto grazie a un processo iniziato solo pochi mesi prima...
«Per giungere al nostro traguardo, te ne servirà un altro» riprese zio Ade.
«Magia Nera di tale portata... occorreranno tutti gli imbecilli del settore». Zio Frollo si sistemò il colletto della veste, scoccando a Nerissa un'occhiata strana, come se fosse stata lei la fonte dei suoi problemi con la magia.
Nerissa in risposta ringhiò, mostrandogli il pugno insanguinato e gocciolante, ma fu bloccata dal dio. «Ehi, me ne occuperò io, che novità. Tu pensa al nostro contatto nell'altro reame, Frollino».
Il giudice si alterò- difficile capire se per l'argomento sollevato o per il suo soprannome. «La miserabile è pronta a venderci tutto ciò di cui necessitiamo in cambio di una futura decente posizione sociale, ma...»
Nerissa si fece avanti. Odiava non capire e lei voleva e doveva sapere. «Voglio sapere anche io di questa tipa! Ditemelo!»
Zio Ade sorrise, dando mostra dei suoi denti aguzzi. «L'unica cosa che hai bisogno di sapere è che riceverai un altro tatuaggio la prossima settimana, Ner adorata».
Non si riusciva a capire se Frollo fosse disgustato o eccitato. «Così tanto potere...»
Il dio trascinò via il giudice con un semplice gesto. «Ora, parliamo un po' del nostro contatto, Big Claude».
La lasciarono nella sala con le armi e il cadavere. Normalmente, Nerissa avrebbe inseguito e torturato gli zii finché non le avessero dato ciò che voleva ma... ma l'idea di un nuovo tatuaggio l'aveva lasciata lì impietrita molto peggio di come avessero fatto gli zii. Le gambe per poco non le cedettero. Si strofinò il braccio sinistro, quasi nel... nel mezzo timore che potesse farle ancora, ancora quella sensazione.
Ogni tanto, la ricordava senza preavviso. Il dolore di quando gli zii le avevano impresso quei tatuaggi era stato indescrivibile. All'inizio, era stato come se tantissimi aghi le avessero perforato ogni centimetro del dall'avambraccio in giù, conficcandosi fino all'osso. Poi la pelle era sembrata andare a fuoco, bruciare, divampare, e aveva urlato, gridato, pianto e vomitato e aveva avuto anche l'istinto di strapparsi via il braccio intero, con tutto, carne e ossa, piuttosto di sentire ancora tutto... tutto quel dolore.
Ma gli zii non le avevano detto nulla e non si erano fermati, perché lei doveva essere perfetta. Quei tatuaggi, corpi estranei su un braccio ormai quasi tutto nero, le servivano per attingere alla vera e pura Magia Nera, per avere attorno a sé più potere. Ne ricordava vagamente le forme, perché non riusciva mai a guardarli per troppo tempo.
Con un dito, si accarezzò il gomito. Da lì, doveva partire ad avvolgersi un grosso serpente rosso o forse giallo e nero, e poi c'era un teschio da qualche parte, avvolto in rune voodoo, e anche una grossa cicatrice che le avevano detto dare riflessi felini. L'avevano fatta urlare, gridare, piangere e vomitare sangue, e quando usava quei poteri magici i dicevano che sarebbe stata debole (bah!), ma alla fine, alla fine, lei avrebbe vinto.
Avrebbe distrutto il moccioso Buono, lo avrebbe polverizzato, gli avrebbe strappato via la faccia. Ogni zio ne era certo e così lo era anche lei, che era la perfezione.
Lo avrebbe ucciso, gli zii avrebbero vinto, il Black Realm avrebbe vinto e gli zii avrebbero dominato Phentesia. E sarebbero stati fieri di lei, le avrebbero voluto ancora più bene, ancora e ancora di più di quello che le volevano in quel momento. Tutto sarebbe andato per il meglio, per loro.
E quindi, anche per lei.


Il vento colpiva Helios in folate che gli parevano sempre più forti, mentre si teneva aggrappato come poteva al dorso di Dumbo- impresa non facile, considerata la loro velocità e i palmi delle mani sudati che rischiavano di farlo scivolare giù ad ogni curva. I bordi dei vestiti gli ronzavano attorno e sentiva le guance partire verso l'alto, come se qualche zio gliele stesse tirando. La terra sotto di loro si avvicinava sempre più, arricchendosi di particolari più nitidi, oltre al verde e al giallo dei campi e dei prati. Aladdin, su una macchia confusa che doveva essere il Tappeto, gli gridò qualcosa, ma Helios non capì. Riusciva a malapena a metterlo a fuoco, gli occhi pieni di lacrime per il vento. Scosse la testa e Aladdin in qualche modo gli si avvicinò tanto da puntare in modo estremamente chiaro l'indice verso il basso. Gridò qualcos'altro, ma dalla sua bocca uscì soltanto un ingarbugliato miscuglio di parole.
Helios scosse la testa una seconda volta, imbarazzato. Aladdin si sporse verso di lui, per scostarlo brusco di lato. Il suo cappello precipitò di sotto e Helios cercò di afferrarlo, ma ben presto scomparve inghiottito dall'altezza.
Aladdin tirò verso l'alto le orecchie di Dumbo, che, prima con uno strattone, poi con maggior delicatezza, terminò la sua picchiata, riprendendo a salire gradualmente verso l'alto.
Helios rimase a guardare il punto dove il cappello di Aladdin era scomparso. «M-mi dispiace. Non... non sono riuscito a prenderlo».
Il ragazzo balzò di nuovo sul Tappeto, rimanendo per un attimo sospeso nel vuoto- Helios sobbalzò per il pericolo della situazione. Quando si voltò verso di lui, credette che fosse arrabbiato, ma invece Aladdin aveva un lieve sorriso e si stringeva tra le spalle. «Non c'è problema. Però devi stare più attento a ciò che ti circonda».
Helios annuì, accarezzando la testa di Dumbo e cercando di non incrociare lo sguardo del ragazzo. Avrebbe dovuto ricorrere ad ore di altri pensieri per seppellire nella sua testa quanto fosse stato incosciente... un vero Buono non si comportava così.
Stava per sfilare dal berretto di Dumbo (quello non era caduto, almeno) qualche nocciolina da dare all'elefante come ringraziamento per la sua pazienza, quando un lampo verde sfrecciò su di loro con tale velocità da far arruffare ancora di più i riccioli di Helios.
«Che lenti che siete!». Peter Pan, per una volta senza Trilly- la fata era rimasta al castello- svolazzò con nonchalance tra l'elefante e il Tappeto, tagliando a entrambi più volte la strada. Dumbo indietreggiò, intimidito, mentre Peter compieva ridendo intere piroette attorno alle sue zampe. Il Tappeto frenò bruscamente (per un attimo di Aladdin si videro solo i piedi) e poi si infervorò contro il ragazzino, ammonendolo a gesti irritati. Peter rispose con una risata, tuffandosi sotto al Tappeto per punzecchiare sia lui, sia Aladdin, che cercò di protestare, ma si fermò non appena si rese conto di cosa Peter tenesse tra le mani. «È il mio cappello, quello?»
Ecco, Peter si che bravo. Era bravo a volare, un talento meraviglioso e naturale, ed era anche riuscito a recuperare il cappello di Aladdin, di sicuro senza alcuna fatica. Non come lui che... Helios si bloccò, portandosi inorridito una mano alla bocca. O cavoletti, era invidia, quella? No, no, no, era assolutamente sbagliato. Non si doveva permettere di provare cose del genere, specie nei confronti di ragazzi talentuosi come Peter. Era di Helios e di Helios soltanto la colpa di non essere bravo e...
Sfffr! Qualcosa lo colpì dritto in faccia e nella confusione generale, si ritrovò a stringere il cappello di Aladdin. Fece appena in tempo a osservarlo che Peter glielo strappò di mano, continuando a lanciarlo per poi riprenderlo all'ultimo. Aladdin partì al contrattacco con il Tappeto, ma Peter non aveva nessuna voglia di restituirgli quello che gli spettava. «L'ho trovato e me lo tengo!»
«Peter, andiamo!» Aladdin si sporse tanto da far sobbalzare Helios. «Dobbiamo insegnare... a... Helios!» gli ricordò a scatti, cercando di riprendersi il berretto che l'altro continuava a spostare nei luoghi più improbabili. «Allah, ma perché non c'è mai il Genio quando serve? Eddai, Peter, lo dirò a Trilly! E anche a Wendy!»
«E io dirò a Jasmine che invece di andare a lezione vai con i fratelli di Merida a fregare le torte in cucina!»
«Aspetta, aspetta, parliamone...»
Helios soffocò un sospiro, mordendosi le labbra, mentre i due cominciavano a volare sempre più distante. Doveva fermarli, doveva assolutamente fermarli. Poteva essere pericoloso un gioco del genere, così in alto... Lui era Buono e quindi doveva avvertirli e fare tutto il possibile.. cercò come meglio poteva di indirizzare Dumbo verso di loro, ma l'elefante gli indicò con la proboscide il proprio cappellino, richiedendo a gran voce- o meglio, barrito- la nocciolina promessa. «Subito, Dumbo, scusami». Helios armaneggiò con il cappello finché non riuscì ad afferrare il giusto premio per il suo amico. Fantastico, ora non riusciva quasi più a ricordare quello che doveva dare? Per poco non gli sfuggì una lacrima- e di certo non per il vento. Come poteva essere un Buono quando si comportava così?
Forse... forse dipendeva dalla tensione per lo scontro sempre più vicino. Qualunque cosa fosse, mentre tornava a seguire Aladdin e Peter, sperò con tutto il cuore che il resto della giornata andasse meglio.
Nel giro di poche ore, passò dall'azzurro del cielo al blu del mare. O meglio, delle acque create appositamente dal braciere nel Cortile della Luce.
Con un esercizio di magia che aveva imparato qualche tempo prima, era riuscito a creare un ambiente simile a quello marino, anche se le onde non sfioravano in modo naturale il pavimento, che, anziché diventare di sabbia o di sassi, era rimasto in mosaici. La profondità marina gli era riuscita, certo, ma si sentiva un po' in colpa per aver sbagliato e per essere stato anche un po' sollevato quando gli zii non se ne erano accorti. In quel momento, però, doveva cercare di concentrarsi al massimo sulla lezione- così almeno altri pensieri riguardo a un certo quindicesimo compleanno si sarebbero allontanati.
«Sbrigati, Helios!» esclamò Flounder poco più avanti, per poi gettarsi sott'acqua e scomparire alla sua vista. Helios annuì, il fiato corto, e cercò di non annaspare troppo mentre nuotava a rana. Certo, gli allenamenti tenevano i pensieri lontani, ma quanto avrebbe voluto rifugiarsi nel suo mondo di galassie viste attraverso uno schermo, standosene anche solo per un poco in camera sua o in biblioteca... oppure anche poter andare un'oretta a passeggiare vicino ai fiumi. Usare del mare evocato con la magia non era rilassante come starsene in silenzio a guardare l'acqua del fiume scorrere...
Ariel lo raggiunse con un guizzo, passandogli le mani sulle spalle, come ad abbracciarlo, e una fitta di rimorso lo attraversò. Lei stava sprecando il suo tempo per aiutarlo e lui voleva andarsene...?
«Tutto bene, Helios?» rise con la sua voce cristallina. « Ti vedo un po' in difficoltà».
Helios scalciò per restare a galla e in qualche modo riuscì anche a formulare un sorriso. «Si, tutto... tutto a posto. L'acqua è solo un po' fonda».
La risata della ragazza rieccheggiò ancora nel cortile diventato mare, attirando l'attenzione di qualche curioso venuto a bagnarsi i piedi. «Oh, andiamo», spruzzandogli la faccia, Ariel gli passò davanti. «Non saranno nemmeno dieci metri».
Helios si morse le labbra, le braccia impegnate in un'altra bracciata. «Ma io... ehm... io non ho la co-coda» sorrise infine, concentrandosi sui riflessi del sole sull'acqua piuttosto che su Ariel. Questa rise ancora, scuotendo la testa. Gocce d'acqua scivolarono dai suoi capelli fino ad Helios, che si ritrovò a rinforzare il suo sorriso. Non era mai certo di poter scherzare senza apparire maleducato o poco buono e quindi era stato bello e inaspettato che Ariel...
«No, no, no». Zio Sebastian emerse con un "pluff" alla destra di Helios. «Stiamo perdendo tempo qui, signorinella. Tu, Ariel» lo zio indirizzò una chela contro la sirena, «vedi di non distrarre Helios». La ragazza incrociò le braccia al petto e fece per ribattere, ma zio Sebastian la anticipò rivolgendosi ad Helios. «E tu vedi di muovere meglio quelle gambe, che sono tutto un mucchio confuso, al momento. Ecco, fa' come me». Si spostò per mostrargli meglio.
«Tutte le braccia devono essere sincronizzate, come gli strumenti in un'orchestra». Lo zio nuotò e nuotò fino a scomparire dietro di lui e a ricomparire alla sua sinistra. «È chiaro?» si indicò le zampette con le chele. «Tutto sincronizzato».
«Mi perdoni, signore». Un marcatissimo accento inglese precedette l'arrivo di zia Guendalina e zia Adelina, uno sciabio di onde confuse dove le loro piume sfioravano l'acqua. Helios vide distintamente Ariel scoccare loro un'occhiata e portarsi le mani alla bocca per nascondere un sorriso.
«Siamo qui per aiutarvi» spiegò zia Guendalina, scivolando al fianco destro dello zio Sebastian, mentre sua sorella occupava il fianco sinistro.
«Aiutarmi?» Il granchio scrutò entrambe, accigliandosi. «In che cosa dovreste aiutarmi? E che cos'è questa musica?»
Helios era talmente abituato alla musichetta che accompagnava le due zie nei loro spostamenti da non essersi nemmeno reso conto che non si trattava di un suo semplice pensiero collegato al loro arrivo. Sulla spiaggia a inizio cortile, si era formata quella che sembrava una vera e propria banda, che intonava la tipica canzoncina*11 delle zie. Ariel seguiva il tempo con la testa e Flounder, ricomparso accanto a lei, ne canticchiava addirittura il ritmo. «Tan taran tararan tan taraaa...»
«È la nostra colonna sonora» commentò zia Adelina. «Indispensabile per una buona lezione di nuoto». Detto questo, fece passare un'ala attorno ad una chela dello zio, mentre sua sorella, scivolata accanto ad Helios, faceva lo stesso con lui. Helios trasalì, colto alla sprovvista, e la zia ridacchiò, gettando la testa completa di cuffia blu all'indietro. «Non ti devi preoccupare, caro. Siamo professioniste».
«Ma certo» confermò l'altra. «Si può dire che sia un'attività in cui andiamo a gonfie vele» disse, cominciando a nuotare.
«A gonfie ali, vorrai dire». Scoppiarono entrambe in una risata. Helios era convinto che anche zio Sebastian sarebbe presto scoppiato, per com'era mezzo seppellito da zia Adelina.
«Ma acqua in bocca, mi raccomando» si aggiunse Ariel, guadagnandosi un'occhiataccia dallo zio è un'altra rumorosa risata dalle altre due zie. «Che sirena divertente» commentò zia Adina, il "divertente" distorto in modo strano a causa del suo accento.
Zia Guendalina, intanto, aveva condotto Helios accanto a Flounder e osservava critica il pesce. «Forse anche tu hai bisogno di qualche lezione, caro. Che ne dici, Adelina?»
La zia in questione sfrecciò su di loro con tale velocità che zio Sebastian dovette attaccarsi alla sua cosa per non finire scagliato via. Ariel sembrava trovare il tutto ancora molto divertente, canzoncina compresa. Helios invece stava cercando una soluzione, mordendosi di nuovo le labbra. Era certo che se non fosse intervenuto...
Zio Sebastian si staccò bruscamente da zia Adelina, sfoderando però un sorriso talmente grande da attirare l'attenzione anche dell'altra zia, che cessò di controllare la funzionalità delle pinne di Flounder. «Apprezzo molto la vostra gentilezza, signore» esordì lo zio, nuotando fino ad Helios e tirandolo via dalla zia. «Ma è a me il compito di aiutare Helios a nuotare, oggi».
Uno sguardo stupefatto intercorse tra le due zie. «Ma lei è in grado di nuotare?» chiese sinceramente preoccupata zia Adelina, tornando a guardare lo zio.
«Lei ci sembra parecchio insicuro» confidò l'altra annuendo alle sue stesse parole.
«Abbiamo insegnato anche a un gatto, sa? Il signor Romeo».
«Non si deve vergognare se non è in grado».
«Per la miseria!» sbottò Flounder alle spalle piumate delle due sorelle. «È un granchio, sapete?»
Le due oche si fiondarono su un Flounder ora atterrito come attratte da una calamita, lasciandosi dietro una scia di piume. «Un granchio? Davvero?»
«Ne sei certo, caro?»
«Nella nostra Inghilterra sono totalmente diversi...»
Helios fu lieto di scorgere Ariel avvicinarsi loro. Zio Sebastian sembrava davvero, davvero irritato e lui non aveva la minima idea di cosa dire o fare- faceva già fatica a restare a galla. «Sebastian?» tentò la sirena, scambiando con Helios uno sguardo preoccupato. «Stai bene?»
«Mai stato meglio». Il granchio diede loro le spalle, dirigendosi verso la spiaggia. «Mi hanno dato dell'incapace e pretendono di saper fare il mio lavoro».
Ariel sfrecciò dietro di lui, senza sembrare neanche rendersi conto di quanto fosse veloce. Helios impiegò molto di più a raggiungerli e quando arrivò alla spiaggia improvvisata, senza fiato e con le braccia doloranti, Ariel era seduta sulla riva, preoccupata, e lo zio sembrava aver appena finito un importante discorso. «E inanzitutto per fare lezione in modo decente, bisogna avere la giusta atmosfera» terminò, per poi zampettare verso la banda poco distante, ignorando i richiami della sirena, che allora si rivolse ad Helios. «Riesci a farlo ragionare o a fermarlo? Devo aspettare il mese prossimo per avere le gambe e corrergli dietro!»
Helios annuì, troppo stanco per proferire parola, e uscì dall'acqua, le gambe traballanti. Non si era accorto di quanto quella specie di mare fosse caldo. Rabbrividendo, si strinse le mani al torace e cercò di raggiungere lo zio, saltellando per alcuni mosaici resi caldi dal sole in opposizione all'aria fredda. Stava gocciolando ovunque e l'acqua gli si infilava anche negli occhi, cadendo dai capelli, ma di sicuro non poteva fermarsi a chiedere ad Ariel dove poteva trovare un asciugamano (che pensiero egoista)- anche perché la sirene stava invocando l'aiuto di una decina di dalmata sul bagnasciuga.
Helios arrivò davanti alla banda, che continuava imperterrita a suonare, proprio per vedere zio Sebastian arrampicarsi sulla mano del direttore d'orchestra, un... un qualcuno infilato in una specie di saio che lui faticava a riconoscere. Anche la banda era un po' strana e non aiutava nell'identificazione del direttore. Era composta da tre dei sette nani, ma qualsiasi somiglianza con le altre bande musicali del White Castle terminava lì: c'erano personaggi insoliti, come due o tre topini che suonavano saltellando assieme una tastiera, come zia Billie*12, che teneva tra le mani un enorme trombone a forma di treno, o come Tigro, allo xilofono, e come Esmeralda, poco più in là con un tamburello.
Helios, leggermente intimorito, si avvicinò allo zio e a quella specie di frate, lasciando tracce bagnate del suo passaggio e arrossendo all'occhiolino che gli fece Esmeralda.
«Se mi lasci per un momento il comando, potrei creare una giusta atmosfera per...»
«Molto spiacente, amico».
La testa di Helios fece appena in tempo a rilevare di aver già sentito quella voce, che il monaco diede in una piroetta. Il saio volò via, andando a colpire qualcuno dell'orchestra (Helios sobbalzò) e al suo posto sbucò uno strambo e inconfondibile completo viola da giullare. «Tadaan!» ululò zio Clopin, facendo trasalire alcuni bagnanti. Altri si allontanarono, forse memori di quelle voci su di lui che accennavano a un passato da bandito... ma non era da Buono parlare alle spalle delle persone, né tantomeno fare pensieri del genere. Helios mise su un timido sorriso, mentre Clopin riceveva tra vari inchini un po' esagerati gli applausi degli spettatori rimanenti, applausi rivolti non tanto alla sua abilità nel travestimento, capì lui, quanto al riuscire comunque a condurre l'orchestra. Il tan-tan-tararan caratteristico delle zie Guendalina e Adelina risuonava ancora ben deciso nel cortile, quasi non subisse alcuna variazione dal comportamento dello zio Clopin.
A conferma di ciò, lo zio spiccò un salto.
Subito dopo, era in equilibrio sul piede sinistro, con il bastoncino da direttore infilato nelle dita di quello destro, e teneva tra le mani un zio Sebastian a metà tra l'irritato e l'atterrito. «Ti chiedo solo di lasciarmi per un attimo l'orchestra- e non è questo di certo il modo adatto per...»
Con un altro balzo, zio Clopin ribaltò letteralmente la situazione. Ora stava facendo la verticale, tutto l'equilibrio poggiato su un braccio, mentre con l'altro continuava a condurre. Zio Sebastian era finito poggiato sulle caviglie, in una posizione precaria che Helios osservava spaventato.
«Questa va meglio?» domandò zio Clopin, aumentando allo stesso tempo l'intensità della canzone, quasi non volesse sentire la risposta dell'altro zio. E prima che comunque questo proferisse parola, cambiò di nuovo le carte in tavola: ora zio Clopin stava sulle punte dei piedi, con addosso un assurdo tutù, teneva la bacchetta tra i denti e contemporaneamente faceva il giocoliere con due mele, una noce di cocco e- Helios saltò sul posto, portandosi le mani alla bocca- con zio Sebastian stesso.
Dopo un attimo di sbigottimento, Helios avanzò per fermare zio Clopin, che sembrò intuire le sue intenzioni. Gli si avvicinò con una piroetta aggraziata e... e un granchio volante dopo, Helios si ritrovò a stringere lo zio Sebastian tra le mani, mentre l'altro zio accoglieva con un inchino le ovazioni e le preoccupazioni del suo pubblico.
La banda aveva smesso finalmente di suonare, ma Helios desiderò davvero essere ancora intontito da quella musichetta piuttosto che starsene nel silenzio, in cui la legittima sgridata di zio Sebastian rimbombò più forte che mai. «È davvero... inamissibile!» gridò, agitandosi tanto da rendere difficile tenerlo in mano.
Quasi immediatamente Helios percepì gli sguardi di tutto il cortile puntarsi su di loro, con tale intensità da sentirsi le guance andare a fuoco. Ariel li fissava dal bagnasciuga mordendosi le labbra, circondata da una vasta quantità di dalmata, mentre alle sue spalle zia Adelina e zia Guendalina stavano raggiungendo la terraferma, con uno stremato Flounder appresso. I musicisti della banda sfoggiavano una gamma di variegate espressioni stupite. Perfino Tigro aveva smesso per un attimo di ridacchiare e i suoi saltelli sul posto erano decisamente sottotono. Una situazione così imbarazzante portava Helios a desiderare di andarsene nel suo mondo o nella sua stanza il prima possibile- e di conseguenza si sentiva in colpa.
Esmeralda intervenne a placare l'ira di zio Sebastian. «Senti, amico...»
«Amico?» Zio Sebastian sembrò farsi tre volte più grande di quanto non fosse e tre volte più rosso. «Io non sono vostro amico, ragazzina. Sono il Primo Consigliere di Atlantide...»
«Dipende da quale Atlantide intendi» sottolineò Esmeralda, facendo sogghignare l'altro zio. «Kida non ha bisogno di te».
«... e di re Tritone» continuò zio Sebastian. «E dato che sono anche un valido direttore d'orchestra, ho ottenuto di fare lezione ad Helios. Voi, signorinelli, ci state disturb-...»
«Aye». Zio Clopin affiancò la sua protetta con una ruota. «Ma noi abbiamo ottenuto di fare lezione di acrobazie e agilità non appena avreste finito».
«E ora avete finito».
Helios ebbe l'impressione che zio Sebastian stesse per esplodere. Provò a cercare qualcosa da dire, ma proprio in quell'istante, zia Adelina e zia Guendalina comparvero accanto a loro, salutando tutti e avvicinandosi a Esmeralda (Ariel nel frattempo stava soccorrendo Flounder, che pareva avere perfino qualche piuma tra le pinne).
«La lezione è stata interrotta» disse da denti stretti zio Sebastian.
Una piroetta dopo, zio Clopin si presentò davanti a loro con occhiali, cravatta e un grosso dizionario che sfogliò attentamente mentre ricominciava distratto a dirigere l'orchestra- la musichetta delle zie invase nuovamente tutti loro. «Lezione: attività didattica svolta da un docente con uno o più allievi in un tempo determinato». Il tonfo del libro che si chiudeva fece sobbalzare Helios sul posto. «Visto che non stai più svolgendo alcuna attività didattica...» Zio Clopin scivolò dietro a Helios, intrecciandogli un braccio sulle spalle, «ora è il nostro turno!»
Zio Sebastian esibì il suo miglior sguardo da granchio contrariato. «Questo è un cavillo che, tra parentesi, non ha alcun senso. E smettetela di suonare, per amor di mia mamma crostacea» sbottò in direzione dell'orchestra.
«Ma è un così gradevole motivetto» si intromise zia Adelina, che a quanto pareva aveva terminato il suo colloquio privato con Esmeralda.
«Concordo appieno» approvò l'altra zia. «Il signor Clopin e la cara Esmeralda hanno ottimi giusti in fatto di musica».
«E anche in fatto di acqua, oserei dire».
«Assolutamente! Il lago qui di fronte dove ci avete indirizzato era di ottima temperatura».
Zio Clopin rispose agli elogi che fece tintinnare il suo cappello e ridere le sue zie, ma ad Helios non sfuggì l'espressione un po' tesa di Esmeralda- e in effetti forse c'era qualcosa che non tornava in tutta quella storia. Spostò lo sguardo su zio Sebastian, che, facendolo sobbalzare, zampettò fin sopra alla sua spalla per poi spiccare un salto e atterrare sul vicino zio Clopin. «Davvero interessante. Hai mandato tu loro due a interromperci?»
L'elaborato e svolazzante gesto della bacchetta che lo zio stava compiendo per aizzare i suoi musicisti venne troncato bruscamente a metà, così come la canzone. Le due zie si scambiarono un'occhiata perplessa, mentre Esmeralda faceva qualche passo in avanti, forse per capire che cosa fare. La tensione e il pericolo erano tornati ad alleviare nel cortile più forti che mai, tanto che Helios fu assolutamente certo che perfino Ariel, Flounder e gli altri sulla riva li avessero percepiti.
«Abbiamo un permesso firmato dallo stesso Topolino» disse infine Esmeralda, sfoderando una pergamena dalla sua cintura, in un tentativo che Helios si sentì in colpa a definire vano.
Prima che zio Sebastian potesse esplodere in un'altra giusta sgridata, zio Clopin, dopo averlo guardato con un'espressione quasi gentile, lo lanciò direttamente via, verso l'orchestra. Helios si sentì mancare.
«Sta' attento» brontolò Brontolo subito dopo, in prima fila con una specie di chitarra e ora anche con un granchio furioso appeso alla barba.
Helios avrebbe voluto controllare che lo zio stesse bene, ma quasi immediatamente si ritrovò stretto tra Esmeralda e zio Clopin e trascinato via. «Ora inizia la nostra lezione di danza e agilità, ne hai proprio bisogno!» spiegò con allegria il principe degli zingari, mentre si lasciavano dietro un pubblico sbigottito, uno zio arrabbiato e altre due perplesse. Il senso di colpa di Helios, invece, lo seguì per tutto il giorno.
Ben presto, Helios si ritrovò a convivere con quella sensazione con più difficoltà del solito, specie per lo strano comportamento degli zii. Mancava davvero poco al fatidico giorno, quello in cui avrebbe dovuto combattere ed essere solo e totalmente il Prescelto. Sarebbe bastato quel singolo pensiero a farlo stare male, e il comportamento degli zii peggiorava tutto.
Quasi tutti sembravano in preda ad un'agitazione quasi febbrile e finivano quasi per strappare lui da quella o da quell'altra lezione per cercare di prepararlo al meglio in tutt'altra cosa. Helios sospettava che nessuno di loro volesse sentire di aver dato troppo poco: tutti volevano dare il massimo, in un qualcosa di frenetico che faceva impazzire zio Topolino e soprattutto irritare un sacco zio Merlino. Il mago sosteneva che un simile comportamento non solo fosse isterico, ma anche rischiasse di far perdere loro parte dei progressi ottenuti.
Helios non aveva detto nulla agli zii al riguardo, ma dava ragione a zio Merlino. Si sentiva spesso sbatacchiato qua e là e al senso di colpa per dover abbandonare tale zia o zio si univa l'ansia per il così tanto sapere che lo aspettava ad ogni ora. Gli sembrava quasi di trovarsi davanti a una montagna fatta di libri, pergamene e nozioni, ed era una montagna che ogni giorno diventava sempre più lata e che ogni sera, a fine lezioni, doveva essere entrata tutta nella sua testa.
Il rimorso diventava maggiore quando si rendeva conto di non riuscire ad immagazzinare tutto di ogni cosa. Gli zii erano già nervosi e cercavano di dargli tutto ciò che sapevano e perdevano il loro tempo, e lui li ringraziava in un modo tanto da non Buono...
Fu quasi una benedizione l'arrivo della settimana prima del fatidico scritto. Alcuni zii avevano notato che era dimagrito e che faceva fatica a dormire, la notte; perciò avevano insisto che si riposasse e i giorni seguenti erano stati molto migliori. Helios aveva letto tanto, era addirittura riuscito a scrivere qualcosa e a fare due passi ad Amity, ma era bastato l'arrivo del mercoledì a farlo ritornare nervoso, in cuor suo spaventato.
Aveva perfino rischiato di rispondere male a zia Minnie, e per la tensione aveva cominciato a mangiarsi le unghie e a spellarsi le labbra, stretto nell'ansia di non farcela contro quella Prescelta, quell'altra Prescelta che era lì ad aspettarlo, al varco dei suoi- dei loro- quindici anni. Quella data, che anni prima gli era sembrata una soglia nuvolosa, indefinita e lontana, si stava avvicinando con una velocità impressionante ed Helios cominciava a sentirsi sempre più male, più in ansia, perché, nonostante tutte quelle lezioni e il caos recente che ne era nato, i sembrava di non sapere davvero nulla, che cosa fare o cosa aspettarsi. Nel White Realm, tutto era sempre stato certo, chiaro, ogni cosa era quasi sempre programmata co. Mesi di anticipo (come accadeva per i concerti, ad esempio), e tutti sapevano perfettamente che cosa sarebbe successo.
Ma per quello... per quello no. Tutti si aspettavano che il Bene vincesse, perché il Bene vince sempre, ma Helios non sapeva nulla. E forse era proprio quel pensiero, assieme alla paura costante di deludere gli zii, a spaventarlo. Come poteva, poi, una battaglia con un'altra Prescelta coincidere con il fare qualcosa di buono, con il comportarsi bene? Una battaglia significava combattere, colpire, provocare dolore, fare... fare del male. E lui aveva sempre voluto e dovuto fare il bene, comportarsi bene.
Ma, a quel punto, era davvero certo di sapere che cos'era il Bene?
Era tutto questo che si agitava dentro di lui, ora che era già venerdì sera. Lo scontro tanto atteso sarebbe stato di lunedì.
Avrebbe quasi voluto essere lasciato da solo, a leggere, a scrivere, anche solo ad annoiarsi, così d'avere l'impressione che il tempo scivolasse via più piano...
Ma zio Topolino era ritornato dalle Terre Centrali quella mattina assieme a zio Paperino e a zio Pippo, dopo aver visitato parte dell'Arena dove lui, dove i due Prescelti, avrebbero dovuto... compiere il loro dovere, in un modo o nell'altro. Era stato quasi d'obbligo organizzare una festa per il loro ritorno.
Helios in parte sperava di parlare almeno con zio Topolino per farsi un'idea di come sarebbe stata quella tanto famosa e tanto attesa Arena, ma si era reso conto che sarebbe stato scorretto da parte sua cercare di sapere più del dovuto. Lui doveva essere ed era un Buono.
Così aveva salutato quelli che, insieme agli zii, erano arrivati a visitare il White Castle dalle Terre Centrali, fremendo dentro di sé. Poi si era allontanato un po' ai margini della festa, a sorseggiare il suo succo preferito.
Il tempo era un po' strano ultimamente. La notte era un mantello di stelle che si riusciva a intravedere anche da lì, quando non era nemmeno troppo vicino alla terrazza, e il vento sussurrava forte al castello; ma Helios aveva caldo e la lunga veste che gli zii avevano insisto che indossasse era molto bella ed era stata un regalo più che sentito è gradito, ma davvero gli faceva molto, molto caldo. Anche se si sentiva in colpa a pensarlo e ad ammetterlo.
Controllò velocemente la gente attorno a sé: gli ospiti, nei loro vestiti variopinti e diversissimi gli uni dagli altri, conversavano tra di loro o danzavano. Forse non si sarebbero nemmeno accorto del suo gesto- certo, sapeva che era un po' da maleducati, ma davvero gli sembrava di star morendo di caldo, e se nessuno lo avesse visto...
Si portò una mano al collo, sempre con gli occhi che saettavano da un angolo all'altro della sala e si azzardò ad allentare un poco il colletto. Poco dopo però, si ritrovò a rinunciare. Si sentiva troppo in colpa.
Sospirò piano e si portò il bicchiere alle labbra, per un altro sorso di spremuta d'ortensia, ma si trovò ad annaspare quando qualcuno lo colpì tra le scapole con una forte pacca. Per poco non si rovesciò tutto addosso- quello si che sarebbe stato un guaio. Si girò, aspettandosi quasi di trovare zio Baloo, e invece si ritrovò a fissare Nonna Fa, con un bel hanfu blu, tanto lungo da ricoprire parte della groppa di Margaret*13, detta da tutti Maggie, che a quanto pareva fungeva sia da accompagnatrice che da mezzo di trasporto. Helios salutò con un mezzo inchino e un sorriso impacciato, ma ebbe il sospetto che le due lo avessero a malapena notato per come stavano ridendo.
«A momenti gli schizzano fuori anche budella» rise zia Margaret, scambiando un colpo di zoccoli con il bastone che Nonna Fa aveva evidentemente usato per attirare l'attenzione di Helios.
«Non ti preoccupare che non ci servi morto, piccolo» si aggiunse la nonna, ammiccando con un sorriso quasi privo di denti.
«Già» tossì zia Maggie, sottovoce. «Per quello basta aspettare lun-» si interruppe con un colpo di tosse brusco di cui probabilmente i piedi della nonna premuti sulla sua pancia erano responsabili. «Allora, scricciolo, sei solo per scelta o stai evitando qualcuno a cui devi dei soldi?»
«Cosa?» farfugliò Helios un poco disorientato. Zia Margaret parlava spesso con un gergo un po' confuso.
«Sembra riflessivo alla stregua di mio figlio. Rifletti su ciò che vuoi ma non andare a chiedere aiuto agli antenati o agli alberi in fiore come lui» sottolineò Nonna Fa, trovando il consenso della sua amica mucca e lanciando un'occhiata a metà tra l'esasperato e il divertito a suo figlio- quest'ultimo pareva impegnato in una serissima conversazione con zio Geppetto.
Helios sorrise, più rilassato. Tra Nonna Fa e Mama Odie non sapeva chi fosse quella più... particolare. «Mi sono solo fermato un po' a pensare, ma prometto che non parlerò di fiori» disse, non riuscendo a evitare di sentirsi un po' a disagio per quell'osservazione.
«Bè, ma non vorrai farci credere che ti stai seriamente divertendo» ribatté Nonna Fa.
«Questa festa è una lagna» annuì zia Maggie masticando a piene mandibole una mela.
Il disagio di Helios aumentò. Spostò lo sguardo dall'una all'altra, cercando di capire come e soprattutto che cosa rispondere- qualcosa di educato o la verità?
«Salta su, ragazzino» lo levò d'impiccio zia Maggie, affiancandolo. «Ora ti portiamo noi in un posto che non assomiglia a un funerale».
Helios fece appena in tempo a salire che zia Maggie avanzò a passo sicuro per la sala, dondolando il suo campanello e le mammelle al ritmo di una musica che decisamente non poteva essere il valzer in corso in quel momento.
«Madre» zio Fa Zhou sbucò dal nulla, alla loro sinistra, l'aspetto severo evidenziato ancora maggiormente dallo splendido abito da cerimonia arancione. Helios si chiese come facesse a non star morendo dal caldo. «Dove stai andando a bordo di una...» si interruppe, a fissare zia Maggie un po' perplesso. «... di un bovino? Avevo intenzione di presentarti a dei conoscenti».
Mentre zia Maggie si limitava ad arricciare il naso («Bovino?! Ma lo sai che questa mucca è stata tre volte vincitrice del premio "Poppa d'Oro" e del concorso "Miss Giovin giovenca"?»), Helios e Nonna Fa si voltarono contemporaneamente verso il luogo accennato da zio Zhou, dove Zio Geppetto e il dottor Doppler accennarono loro un saluto, a cui solo Helios rispose.
«Interessante. Magari mai, figliolo» commentò la nonna, tornando in posizione da agguerrita cavallerizza.
«Madre» sospirò l'altro con un accenno di preoccupazione che fece preoccupare anche Helios. «Sei molto attiva, ultimamente. Forse dovresti fermarti un po'...»
«Schiocchezze! Starò ferma quando sarò morta!» E prima che suo figlio potesse dire altro, diede di speroni e zia Maggie partì con molta più fretta verso la porta, tanto che preso lo zio fu solo una lontana macchia arancione.
Appena usciti, zia Maggie si precipitò nel corridoio di sinistra ad una velocità sempre alta che però ben presto si attenuò. Arrivati al grande salone dell'area sud-ovest, aveva raggiunto un passo normale, gli zoccoli che rimbombavano un ritmo costante sui pavimenti in tessere di legno di quella zona. Il valzer della festa arrivava loro distante, come anche le risate degli invitati, e la luce delle candele, volteggianti in piccole sfere simili a bolle di sapone, proiettava le loro ombre sui muri e sui vetri colorati delle alte finestre.
Helios proiettava disagio, anche. Per quanto avesse trovato il clima della festa un po' noioso, forse non avrebbe dovuto lasciarla in quel modo: era pur sempre una festa in onore degli zii ed era suo dovere esserci, anche se avesse voluto annoiarsi in un libro ed evitare gli sguardi di pura... pura aspettativa che ormai calamitava sempre più intensamente.
Avrebbe voluto chiedere alla zia e alla nonna di riportarlo alla festa, ma non trovava il coraggio necessario né per esprimere ad alta voce i suoi pensieri, né per interrompere l'imbarazzante conversazione che le due stavano intrattenendo.
«Si, non sai quanta gente me lo chieda! Però no, non sono rifatte».
«Sei fortunata. Anche io ho avuto i nei miei tempi con un davanzale, ma poi l'età rischia di farle cadenti...»
«Nah, non sei presa troppo male. La povera Odie invece... bè, fortuna che è cieca».
«Meglio di Nonna Salice di sicuro».
Le loro risate risuonavano con maggior forza degli zoccoli di zia Maggie sul pavimento- in cui Helios avrebbe voluto sprofondare, in quel momento. Per fortuna poco dopo zia Maggie intraprese la scalata di una scalinata e il suo fiato si fece troppo corto per parlare. Helios le offrì di scendere e di farsela a piedi, ma Nonna Fa scosse la testa e disse che zia Maggie considerava ogni scalata come un traguardo personale- e che soprattutto avevano fatto una scommessa.
Qualcosa come dieci gradini dopo, a scendefe furono sia lui che Nonna Fa, ma zia Maggie non ne fece una questione di stato, accettando velocemente le consolazioni di Helios e pagando una mela a Nonna Fa.
Dopo la scalinata, svoltarono a destra, poi presero altri corridoi un po' più secondari per giungere infine a una scala più piccola e stretta, di semplice legno. Helios avrebbe voluto che anche il suo senso di colpa potesse diventare così piccolo, ma continuava a sentirsi a disagio e le sue due accompagnatrici sembrarono coglierlo in pieno.
«Qui starai meglio» lo rincuorò Nonna Fa, prima di sorpassarlo e di spalancare l'unica porta a fine scala. Una stanza buia, illuminata da sprazzi di luce colorata si aprì davanti a loro, accompagnata da una musica dance fortissima e coinvolgente.
Zia Maggie lo spinse dentro, la porta si chiuse dietro di lui ed Helios si ritrovò circondato da ballerini sconosciuti che si agitavano ovunque.
Cercò di salvare parte del mantello del suo vestito (era un regalo di chi gli voleva bene), ma fu presto catturato dall'atmosfera. La luce colorata si riversava dal soffitto, precisamente da una grande sfera fatta di specchi tutto diversi e colorati: al suo interno, ballavano quelle che sembravano fate. La musica, si accorse, cambiava a seconda del proprio stato d'animo e scivolava ovunque, senza che si riuscisse a vedere la banda o l'orchestra in questione.
Era tentato di farsi da parte e di cercare di capire cosa fare- cosa fosse meglio fare- ma come era successo per il suo mantello, si scordò tutto quando i ballerini (che riconobbe essere ragazzi e ragazze di ogni età e di ogni parte del White Realm) lo coinvolsero nel loro vortice di danza e allegria.
E quando il colletto dell'abito si disfece da solo, quasi non se ne accorse.


L'Arena risplendeva attorno a lei. Ne era consapevole, pur non guardandola in modo diretto. Non le interessava minimamente chi ci fosse tra gli spalti, né chi facesse tutto quel casino.
Principessa bastada, sembrava quasi che qualcuno stesse fracassando intere botteghe dei piatti di zia Tremaine per terra...
Ma a lei non interessava. Non le interessava quello stupido casino, nè chi ci fosse su quegli stupidi spalti (e il fatto che parte di lei volesse sapere di zio Uncino era una cosa da stupidi e lei era perfetta). Le interessava solo uccidere.
Uccidere quello stupido Prescelto e andarsene a casa.
A casa alla Jolly Roger, a casa nel Black Castle, non le importava nemmeno quello.
Doveva solo uccidere.
Improvvisamente, quello stupido rumore cessò. L'Arena piombò nel silenzio più che totale, quasi irreale. Addirittura peggio del rumore.
Quasi in contemporanea con quel pensiero, si accorse di essere ancora a fissare gli spalti.
Cosa? E perché?
Con uno scatto rabbioso tornò a guardare verso il centro dell'Arena e...
E lui era comparso. L'altro Prescelto.
Se ne stava lì, in un'armatura candida come la neve e come l'Arena, l'elmo chiuso, immobile, una statua.
Sentì l'aria sfrigolare di potenza attorno a lei. All'improvviso, la sua spada fu parte del braccio destro, il sinistro che anelava la magia.
Prese la rincorsa, un urlo che si faceva strada nei suoi polmoni, alzò la spada, spiccò un salto, si preparò a colpire.
La visiera dell'elmo esplose in un lampo di luce che la accecò.
Ruzzolò malamente a terra, sentendo qualcosa che si rompeva- la spada? Le ossa?
Cercò di rialzarsi, ma presto il Prescelto fu su di lei e la costrinse sulla polvere, premendole un piede nello stomaco. Si divincolò, cercò di colpirlo. Il Prescelto si voltò a guardarla dall'alto e dentro il suo elmo non aveva viso, ma pura e limpida luce, la stessa che l'aveva accecata.
Doveva scagliargli un incantesimo, pensò in preda al panico, ma il suo corpo non rispose, non si mosse. Il Prescelto alzò la sua spada. Una lunga risata folle perforò l'Arena, una risata che sapeva di una fuga di notte in un bosco senza luna.
Spugna, pensò incoerentemente Nerissa e il suo grido di terrore si mischiò alla risata, mentre la lama calava inesorabile a mozzarle la testa.

Con un tonfo, Nerissa si ritrovò a fissare il soffitto annerito della sua camera. Il suo cuore batteva come a spasmi, sempre più forte, come se stesse cercando di farsi strada dentro di lei per scappare. Ma a parte quello, la stanza e quell'intera parte del castello sembravano immerse nel silenzio.
Si sedette, scostando via le coperte. I piedi nudi rimasero a penzoloni, creando uno stupido contrasto tra il pavimento scuro e il biancore della sua pelle. Era da un po' che tutto il suo corpo stava impallidendo. Fece flettere il braccio sinistro, che diede in un bruciore nel punto dove era stato impresso il nuovo tatuaggio. Nessun altro segno di magia.
Si alzò in piedi, scoprendosi addirittuta simile a qualcosa di debole, e si avvicinò all'unica finestra al lato opposto della stanza. Aprì le imposte e la salutò luce chiara dell'alba.
Il cuore diede in uno spasmo nel petto. Avvertì la stessa sensazione che aveva avuto nel suo stupido incubo l'attimo prima che le tagliassero la testa.
Era il suo quindicesimo compleanno: il giorno dell'Arena era arrivato.


Note
*1) zio Rudy: Rudy Radcliffe, da "La Carica dei Centouno". Mi ha sconvolto che fosse quello il suo cognome.
*2) alcuni termini sono ovviamente inventati, per rimarcare alcune caratteristiche dei personaggi e delle loro personalità.
*3) zio Dolce: Joshua Strongbear Dolce, da Atlantis.
*4) Penny: non si parla di The Big Bang Theory, ma si tratta della bimba di "Bianca e Bernie".
*5) Sis: coniglietta maggiore di "Robin Hood".
*6) Vanellope: ovviamente Vanellope von Schweetz, da "Ralph Spaccatutto" (spero che la conosciate, è un personaggio fantastico!).
*7) Signor Topus: Walter Topus, da "Le Avventure di Ichabod e Mr. Toad". Ho preferito tenere il nome in italiano, ma mi sono affidata, come sempre, alla Disneypedia inglese. Ah, e nel mio headcanon lui e Basil sono veramente cugini.
*8) Oneiron: altro regno di cui la serie tratterà in seguito.
*9) DOR-15: da "I Robinson- una famiglia spaziale". Non essendo alla fine l'Uomo con la Bombetta da considerarsi un vero e proprio cattivo (non faccio spoiler riguardo al film, non voglio prendermi questa responsabilità), sono stata a lungo in dubbio su come procedere, decidendo infine di accogliere come Villains solo il robot.
*10) si tratta di uno degli scagnozzi di Malefica. Li trovate qui, ma purtroppo non è accreditata alcuna informazione maggiore su di loro. Se volete avere un'immagine più completa di lui, è il secondo, partendo da sinistra, di quest'immagine.
*11) canzoncina delle zie Guendalina e Adelina: si tratta della colonna sonora che precede l'arrivo delle due oche. La trovate qui, a inizio video.
*12) zia Billie: Billie Robinson, da "I Robinson- una famiglia spaziale".
*13) zia Margaret/Maggie: una delle tre mucche da "Mucche alla Riscossa", precisamente questa. Si fa chiamare da tutti Maggie, ma Helios è imbarazzato nel storpiare così il nome di qualcuno.
Non so bene come cominciare queste note. Cercherò di essere più breve possibile dopo un tempo infinito, sono riuscita a ritrovare l’ispirazione. Il capitolo è lungo circa 40 pagine word- e spero che questo spieghi la mia decisione di dividerlo in due parti. L’ultima parte è pronta, si tratta solo di trascriverla (mi sono resa conto che non sono in grado di scrivere al computer senza distrarmi e sono perciò tornata al buon vecchio cartaceo) e dovrebbe arrivare tra questa e la prossima settimana, poi mi dedicherò al seguito di PR (già in produzione, tra l’altro) e alle mie altre fanfiction in corso.
Il mio stile ha subito un grande cambiamento, credo sia stato influenzato molto anche dalla lettura del Trono di Spade… non so quanto sia un bene ahah
Comunque, si, Nerissa sta diventando pazza. No, Helios non è gay. Si, Tommy Pig è stato ucciso da Nerissa qualche capitolo fa- svegli i Buoni, eh? No, non vi farò spoiler sui prossimi avvenimenti, ma se drizzate bene le vostre orecchie, antenne, quello che sia, avrete la possibilità di decidere la sorte di un personaggio a voi caro (sempre che non abbia un ruolo particolare nei miei progetti) attraverso una sorta di domanda legata a una shot che pubblicherò poco dopo l’ultimo capitolo.
Che altro dire, le note belle lunghe, con tutti i ringraziamenti arriveranno con l’ultimo capitolo molto presto, ma ci tengo comunque a ringraziare chi, in questi mesi, mi ha incoraggiato (MissVillains, Relie, sto parlando con voi) e chi magari ora si fermerà a leggere e a lasciarmi i suoi pensieri.
Baci e a presto,
Nox

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