Un amore da ritrovare

di lmpaoli94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1° ***
Capitolo 2: *** 2° ***
Capitolo 3: *** 3° ***
Capitolo 4: *** 4° ***
Capitolo 5: *** 5° ***
Capitolo 6: *** 6° ***
Capitolo 7: *** 7° ***
Capitolo 8: *** 8° ***
Capitolo 9: *** 9° ***
Capitolo 10: *** 10° ***
Capitolo 11: *** 11° ***
Capitolo 12: *** 12° ***
Capitolo 13: *** 13° ***
Capitolo 14: *** 14° ***
Capitolo 15: *** 15° ***
Capitolo 16: *** 16° ***
Capitolo 17: *** 17° ***
Capitolo 18: *** 18° ***
Capitolo 19: *** 19° ***
Capitolo 20: *** 20° ***
Capitolo 21: *** 21° ***
Capitolo 22: *** 22° ***
Capitolo 23: *** 23° ***
Capitolo 24: *** 24° ***
Capitolo 25: *** 25° ***
Capitolo 26: *** 26° ***



Capitolo 1
*** 1° ***



«Vado a prendermi un caffè qui fuori alla macchinetta. Voi lo volete?» Domandò Roberto ai genitori di Rebecca.
Sì, è questo il nome di quella ragazza che sembrava dormisse per l’eternità e che nemmeno il bacio del vero amore che si raccontava nelle favole, l’avrebbe risvegliata.
Ma qui non eravamo nelle favole che si concludono sempre con un bel “e vissero per sempre felici e contenti”.
Roberto e tutti quelli che amavano quella povera ragazza volevano che un giorno avvenisse un miracolo, un miracolo che purtroppo stava tardando.
«No, grazie Roberto. Sei gentile come sempre. Perché non vai un po’ a casa a riposarti? Se succede qualcosa di insolito ti faremo sapere»
«No signora Paleri, non serve. Anche se andassi a distendermi, non riuscirei a riposarmi. Troppi pensieri mi affollano la mente…»
E la signora per provarlo a consolarlo un minimo, le dette una piccola carezza sul viso.
«Roberto, sei proprio il figlio che io e mio marito non abbiamo mai avuto. Sei la persona più buona che questo mondo che va in rovina possa offrire»
E mentre diceva quelle parole, alla signora Paleri gli veniva da piangere.
«Elizabeth, non piangere…»
«Come posso non piangere Alfredo? Non vedi in che condizioni siamo da quasi un anno a questa Parte?! Io non ce la faccio più»
«È comprensibile signora… ma bisogna continuare a lottare e io non mi darò mai per vinto!»
«Le tue parole riaccendono sempre la speranza che in me sembra che mi abbandoni da un momento all’altro»
«Faccio solo quello che una persona come me farebbe al mio posto: stare vicino ai suoi cari»
«Quando ti ci metti sei proprio un modesto»ribattè la signora dopo aver ritrovato il sorriso.
«Vado un po’ a sfogarmi nel corridoio. Chissà se camminare aiuterà a distrarmi…»
Ma purtroppo non fu così. Un via vai irrefrenabile di medici rompevano la sua concentrazione nel trovare il silenzio e quel poco di pace che ogni essere umano ha assolutamente bisogno. Soprattutto come quelle determinate situazioni.
«Infermiera! Porti subito una barella!» gridavano ogni tanto alcuni medici.
«Presto! Vieni! Dobbiamo operare d’urgenza una ragazza che si è schiantata contro un albero con la sua auto» E subito i medici andarono incontro alla paziente grave per prestargli soccorso.
Roberto, quando se la vide passare davanti che perdeva sangue in ogni angolo di corpo, gli tornò in mente quella terribile scena che implicava la sua povera fidanzata.
«No! Lasciami in pace! Lasciami vivere! Rebecca!» aveva gridato per tutto il corridoio facendosi sentire da tutte le persone che erano lì nei dintorni.
«Signore, si sente bene?» gli aveva chiesto un dottore che passava lì in quel momento.
«Sì sì, tutto apposto. Sto bene»
«N’è sicuro? Vuole per caso un tranquillante?»
«Ho detto che sto bene! Mi lasci in pace per favore!» rispose infine Roberto pieno di rabbia e di rancore che il povero medico se n’andò terrorizzato.
«Roberto, ho sentito degli urli. Cosa succede?»
«Niente signor Paleri. Il caffè deve avermi fatto innervosire ancora di più…»
«Vedrai che se provi a sederti, ti addormenterai sfinito. Domani devi pure andare in ditta»
«Sì, lo so. Proverò a fare come ha detto lei»
Rimase addormentato per un paio d’ore su una sedia mentre la sua povera creatura giaceva lì sul letto senza muovere un muscolo.
Più i giorni passavano e Roberto sprofondava in un vortice di solitudine che non aveva mai fine.
«Roberto, sono le 8 di mattina. Farai tardi al lavoro» disse il signor Alfredo Paleri con accento premuroso. «Come stai? Ti vedo alquanto distrutto»
«Se per distrutto intende che sono a pezzi fisicamente e mentalmente, allora ha pienamente colto nel segno. Ma devo lo stesso andare al lavoro per poter guadagnarmi da vivere…»
«Parole sante, figliolo. Parole sante. Vai ora, e distraiti da questa realtà cruenta e terribile»
«Me lo dice ogni volta che rimango a dormire in ospedale… Ma lei sa benissimo quanto me che è impossibile»
E per controbattere, il signor Paleri gli fece un sorriso tirato in segno di rassicurazione.
Durante la notte in ospedale, poteva rimanerci solo una persona a controllare il paziente nel letto, ma i coniugi Paleri conoscevano bene il primario dell’ospedale in cui era ricoverata la loro figlia. Il medico gli aveva promesso che potevano assistere la povera ragazza al massimo in tre persone a notte. Non uno di più.
Appena Roberto si era deciso ad andarsene, vide in una stanza lì vicino la ragazza che avevano operato d’urgenza ieri sera.
Anche lei sembrava che fosse caduto in un sonno profondo che non si sarebbe più svegliata.
«Mi scusi dottore, ma anche quella ragazza è in coma?» domandò l’uomo alquanto curioso.
«Lei per caso è un parente della paziente?»
«Mmh no…»
«Mi spiace, ma non possiamo rivelare le condizioni dei pazienti a persone sconosciute. Questa è la prassi» «Capisco»> disse infine Roberto senza insistere minimamente «arrivederci» e si congedò dal medico con tono educato e pacato.
Il lavoro di Roberto era sicuramente uno tra quelli veramente faticosi. Avevano ore massacranti e il requisito migliore era avere una possente forza fisica.
«Ciao Roberto, come stai?» domandò il suo collega di lavoro nonché il suo fedele amico.
«Ciao Francesco. Come vuoi che io stia? Non passa giorno che io non possa essere felice come un tempo. A te come ti vanno le cose?»
«Non c’è male… La vita da scapolo è la migliore che mi potesse capitare. Tranne che fare questo sporco lavoro. Sai dove siamo diretti oggi?»
«Fammi indovinare… fuori città giusto?»
«Esatto. E per la precisione vuoi sapere dove?»
«Sono qui che fremo per l’attesa» ribattè Roberto con tono ironico e annoiato.
«A Firenze. Dobbiamo caricare e scaricare dei mobili e portarli in una villa nel centro città»
«Ma che felicità! Perché il capo non trova mai un lavoro vicino l’azienda dove lavoriamo?»
«Mah! Vallo a chiedere a lui. Per poco non ci litigo pure stamattina»
«Che cosa è successo, Francesco?»
«Non mi vuole pagare gli straordinari di qualche mese fa’! E se provo a denunciarlo , rischiamo di perdere il lavoro…»
Purtroppo questa era l’Italia: non si riusciva mai a fare le cose per bene o come si dovrebbero.
«Se continui a mettergli pressione, vedrai che alla fine ti pagherà.»
«Lo spero. Via su, andiamo al lavoro che è già tardi»
Firenze era una bellissima città che al sorgere del sole si riempiva di lucentezza e di splendore. I monumenti erano vari: dal palazzo Pitti alla cupola del Brunelleschi, dal Ponte Vecchio alla piazza della Signoria. L’ultima volta in cui c’era stato, era con la sua bella Rebecca. Con lei aveva girato mezzo mondo: da Parigi passando da San Pietroburgo e dall’Argentina risalendo in aereo fino ad approdare a New York. Gli mancavano solo un posto che gli sarebbero piaciuto vedere: Los Angeles. Si erano ripromessi di andarci l’estate scorsa, ma l’incidente aveva compromesso ogni cosa.
Ogni tanto Roberto sussurrava all’orecchio di Rebecca che quando si sarebbe risvegliata sarebbero partiti subito verso quella magnifica città piena di divertimento.
«Roberto, stai bene? Sei tra noi?» domandò Francesco risvegliandomi dal mio bel sogno.
«Scusami Francesco. Era già da un bel po’ che non sognavo ad occhi aperti…»
«Se non sono troppo curioso, cosa hai visto?»
«Ovviamente alla bellezza e agli occhi lucenti di Rebecca che mi fissava con sguardo guardingo e pieno d’amore… Ogni giorno mi manca sempre di più.»
«Vedrai che prima o poi si risolverà tutto per il meglio»
«Ti ringrazio per le tue speranze che cerchi di trasferirli verso di me. Ma ti prego di non inculcarmi pensieri e dicerie per un futuro radioso… Io non vedo altro che Rebecca in coma su un letto d’ospedale»
«Va bene, come vuoi tu. Sai però che io sarò sempre vicino a te…»
«E come no! Non fai altro che ripetermelo tutti i giorni! E di questo ne sono felice»
E per cominciare quel meraviglioso giorno, non poterono far altro che scambiarsi belle parole che erano sempre utili in quella vita difficile e complicata,  finendo la conversazione con una vigoroso abbraccio amichevole.
«Tornando a noi, dov’è che dobbiamo andare?»
«Verso Ponte Vecchio» e si diressero verso il più bel ponte di Firenze con la speranza che la giornata fosse radiosa e spensierata.
Di ritorno dal loro faticoso lavoro, Roberto raggiunse subito l’ospedale di Lucca. Ormai viveva più in quel luogo pubblico triste e opprimente che a casa sua.
“La mia casa è più vuota della solitudine. Almeno in ospedale c’è chi mi dà la forza per andare avanti…” pensava sempre con un accento di malinconia.
Con grande sorpresa, vide che i genitori di Rebecca non erano accanto al letto della loro figlia. Era la prima volta che Rebecca veniva lasciata sola.
«Mi scusi dottore, sa per caso se i genitori di questa paziente sono andati via?»
La domanda era inutile e priva di grande importanza, tanto che il medico rispose stizzito: «Sa per caso se ci sono miglioramenti per quanto gli riguarda?» e subito il medico scrutò alcune delle sue cartelle cliniche per vedere se c’era il nome della ragazza. «Mi dispiace, ma non ho la sua cartella clinica con me. Però su una cosa sono certo… Ci saranno miglioramenti solo quando si sveglierà. Non prima»
«E questo quando può accadere?»
«Nessun medico lo sa per certezza. Il fatto che si presenta alla sua ragazza è un fatto molto raro»
«Ma… Come sa che io sono il suo fidanzato?»
«Sono il migliore amico del primario di questo ospedale. Mi chiamo Luigi Capini»
«Molto piacere di conoscerla» rispose cordialmente Roberto.
«Piacere mio. Se non sapessi chi fosse stato o se non fosse stato parente della ragazza, non gli avrei mai detto le condizioni della paziente. Lei sa del segreto professionale, giusto?»
«Sì, ne so qualcosa… Per i tipi curiosi come me è una faccenda complicata da tirar giù»
«Non la facevo tanto curiosa, sa?... Come le stavo dicendo, è molto raro che un coma duri così a lungo. Se non sbaglio, la signorina Palieri è qui in coma da un anno»
«Sì, esatto. Ha avuto un incidente stradale e non si è più ripresa…»
«Di solito il coma normale dura da 4 a 8 settimane. Mentre i coma rari come in questo caso durano anni o anche decenni!»
«Cosa? Non riesco a crederci! Dottore, non mi doveva dire una cosa simile!»
«E invece devo. Molte volte noi dottori dobbiamo essere forti ed essere portatori anche di brutte notizie» «Certo, capisco»
«Lasciando stare per qualche momento tutti questi ricordi. Che ne dice se le offro un caffè? Tanto per conoscerci meglio…»
«Magari un’altra volta. Perdoni la mia scortesia, ma preferisco rimanere accanto alla mia fidanzata e non lasciarla qui tutta sola»
Il dottor Capini mi fissava con un sorriso rassicurante.
«Si figuri. L’invito non era obbligatorio… Comunque stare vicino ad una persona in coma e conversarci, potrebbe aiutarla a risvegliarsi prima. È molto difficile, però prendila in questo modo: lei ascolta ogni singola parola»
«Non l’avrei mai creduto… Grazie per l’informazione. D’ora in avanti ci parlerò spesso. Anche se sembrerò un tantino ridicolo»
«Si fidi di me: non lo sarà. Un sacco di persone lo fanno e non si vergognano affatto!»
«Grazie per tutte queste informazioni, dottor Capini» replicò Roberto facendogli un sorriso smorzato.
«Di niente. Aspetterò con ansia per invitarla a bere un caffè. Arrivederci»
«Ci conti. Arrivederci»
Per gran parte del pomeriggio, Roberto stette a conversare con la sua fidanzata parlandogli dei traslochi che aveva fatto nelle città più importanti come quella di oggi.
«So che ami molto Firenze e non vedo l’ora di portartici… Sono stufo di vederti qui addormentata su un letto d’ospedale. Non comprendo ancora il perché non sono uscito fuori di testa…»
«Perché sei un ragazzo paziente»era la voce del primario d’ospedale che gli aveva fatto visita.
«Signor Danesi! Non pensavo che fosse lì in piedi sulla porta» ribattè Roberto alquanto sorpreso.
«Mi dispiace averti interrotto, ma volevo vedere le condizioni di Rebecca… Con i miei occhi vedo che non è cambiato nulla. È molto deperita.»
«Purtroppo sì, ma mantiene la sua bellezza intatta. Se potessi rivedere i suoi occhi lucenti…»
«E non solo quelli, vero Roberto?»
«Già… Vorrei rivederla in vita anche solo per un momento. Non so quanto mi resta da vivere…»
«Roberto, ma cosa stai dicendo? Hai 25 anni e la tua vita non è che alll’inizio!»
«No, signor Danesi. Lei si sbaglia. La mia vita si è fermata la notte del 1 settembre di un anno fa’…»
«Devi amarla così tanto per sentirti così angosciato»
«Lei non sa quanto. Perché? Perché Dio non mi ha preso al suo posto?»
Il dottor Danesi fissava il povero uomo piangere nelle sue sofferenze irrefrenabili provando pure lui una sensazione d’angoscia insopportabile.
«Su Roberto. Non fare così. Vuoi che andiamo a prendere una boccata d’aria?»
«E a cosa servirebbe? Piangerei lo stesso, con la differenza che potrei essere visto da persone sconosciute… Ti dispiace lasciarmi un po’ da solo con lei? Vorrei continuare a conversarci»
«Sì sì, certo. Fai pure. Se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiedere»
E mentre se ne stava andando, il dottor Danesi venne fermato da un suo collega che era venuto a cercarlo. «Dottor Danesi… La signorina Provini sta per svegliarsi»

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Capitolo 2
*** 2° ***



La signorina Provisi, era la paziente che si trovava dinanzi alla stanza di Rebecca.
Roberto l’aveva incontrata poche ore fa’ che si stava dirigendo in sala operatoria per fermare le emorragie alle gambe.
«Come si sente?» domandò il dottor Danesi al suo collega
«Fisicamente bene. Ora che gli abbiamo amputato le gambe, non è più in pericolo di vita. Mentre psicologicamente…»
«E’ distrutta, vero?»
«E’ plausibile dopo aver perso le gambe… E poi come se non bastasse, nessun parente o amico è venuta a trovarla»
«Capisco. Proverò a parlarci io e a cercare di calmarla»
«Dottor Danesi, non sarà un’impresa semplice»
«L’importante è provare dottor Sallustio»
«Signorina Provisi, come sta oggi?» La povera ragazza aveva gli occhi restii ed era profondamente irritata. «Secondo lei, dottore? Vede in che condizioni sono?! Quando potrò uscire da questo letto?»
«Tra qualche giorno verrà dimessa e potrà tornare a casa. Intanto la terremo sotto osservazione»
«E a cosa serve tenermi sotto controllo? Ormai il peggio è passato»
«Potrebbero esserci alcune complicazioni…»
«Sarebbe una grande liberazione. Che cosa ci sto a fare in questo mondo ingiusto e crudele? Vorrei poter morire» mormorò con tono cruento la povera ragazza afflitta e disperata.
«Comprendo la situazione del momento…»
«No dottore! Lei non comprende un bel nulla! Vorrei vedere lei infermo come me! È il più grande castigo che mi hanno fatto in questa maledetta vita! Ora, se non le dispiace…»
Il dottor Danesi non provò nemmeno a replicare alla signorina Provisi, per evitare una possibile sua reazione brutale.
«Un’ultima domanda poi toglierò il disturbo: c’è qualche parente che possiamo contattare per informarla delle sue condizioni?»
La ragazza fissava il dottore con sguardo truce e minaccioso come se gli facesse pentire di avergli rivolto quella domanda.
«Nessuno sa del mio incidente e che sono su un letto d’ospedale senza le mie gambe… e lei non dovrà nemmeno avvertire nessuno della mia situazione, ha capito bene?»
«Ne è sicura? Forse in questa situazione sarebbe meglio avere accanto a lei i suoi cari…»
«Non insista, dottore! Non parlo con nessun componente della mia famiglia da quasi due anni e non voglio nemmeno farlo adesso! Se proverà a contattarli, dovrà risponderne malamente! Non credo che vorrà beccarsi una denuncia. Se non sbaglio questo ospedale ha ricevuto un sacco di richiami e denunce con conseguenti problemi e lei è il diretto responsabile di tutto, non è vero primario Danesi»
Ora era il povero dottor Danesi ad avere lo sguardo minaccioso verso la ragazza.
Anche se aveva superato un intervento rischioso con conseguenza amputazione delle gambe, non aveva il diritto di rispondergli così.
«Stia sicura che non farò nulla per disubbidire ad un suo ordine. A più tardi.»
«Spero di no» e fu l’ultima risposta della ragazza dal carattere amaro e freddo.
«Dottor danesi, com’è andata il colloquio con quella ragazza?» domandai dopo aver fermato il primario nel corridoio adiacente alla stanza della signorina Provisi.
«E perché vorresti saperlo, scusa?»
«Così… Forse potrei parlarci io…»
«E per quale oscuro motivo?»
«Per cercare di essere più morbida con le persone che gli stanno intorno»
«Risparmia pure le energie. Non mi sembra conveniente. E poi credo che quella ragazza non riceva amore da chissà quanto tempo. È tutto inutile. Prima se ne torna a casa e meglio sarà per noi dottori… Tu pensa solo a Rebecca e risparmia le umiliazioni»
E il primario se n’andò con sguardo affranto.
“Perbacco! Non l’avevo mai visto così triste e provato. Di solito è schietto e forte. Forse la presenza di quella ragazza l’ha profondamente turbato…”
Roberto decise lo stesso di andare a parlare con la sconosciuta.
«Mi scusi, è permesso?» domandò timidamente
«E lei chi è?»
«Sono solo una persona che è venuta a trovarla. Ho sempre visto che lei è sempre molto sola e quindi ho pensato di fargli comapgnia…»
«Ma quale compagnia! Se ne vada o chiamo subito i medici! Come vede non posso pensarci da sola a sbatterla fuori. Io non ho bisogno né di compagnia né di lei. Non ho bisogno di nessuno! Voglio deprimermi di solitudine»
A quel punto Roberto, cercò ogni espediente per tirare su di morale la povera ragazza che incredibilmente aveva gli stessi lineamenti del viso, degli occhi della sua fidanzata, oltre al loro colore e al colore dei capelli. «Una bella ragazza come lei non dovrebbe deprimersi, ma sorridere alla vita»
Ma la ragazza non sentiva ragioni e la sua furia divenne implacabile.
«Come faccio a sorridere alla vita in queste condizioni?! È cieco forse?! Ha notato che sarò invalida per tutto il resto della vita?!»
«Sì, ho notato. Ma se Dio l’ha fatta rimanere qui tra noi, un motivo ci sarà. Il suo compito non è ancora finito…»
«Mi dice cosa vuole da me? Non ho bisogno delle sue perle di saggezza per ricorrere a Dio. È stato lui a togliermi le gambe!»
«A quanto ho sentito, lei ha avuto un incidente stradale…»
«Da chi lo ha saputo?»
«L’ho sentito dire da alcuni medici»
«Perfetto! Ci mancava pure l’impiccione di turno»
«La sua disgrazia è capitata anche alla mia ragazza, ma con la differenza che lei ha tutte due le gambe ma è in coma»
«Preferirei essere al suo posto, invece di essere sveglia e rivedermi nello stato in cui sono»
«Come è avvenuto il suo incidente stradale, se posso permettermi»
«No, non si deve permettere. Non mi va per nulla raccontare di quel momento passato da quasi 24 ore. Ora se non le dispiace…»
«Se non vuole il mio aiuto, cerchi ogni espediente per continuare ad andare avanti. Molte persone hanno avuto o hanno tuttora lo stesso suo problema e sono sicuro che non si sono dati per vinto e non sono depressi come invece fa lei»
«Mi lasci in pace! A me non interessa della vita degli altri, mi interessa solo di me stessa. In questa vita ho già avuto un sacco di problemi e di sicuro non voglio anche quelli degli altri. È il mio ultimo avvertimento: se ne vada»
«Ok va bene, esco di qui… Se ha bisogno di qualcosa, sono dinanzi alla sua stanza»
Quando tornò nella stanza della sua fidanzata Rebecca, egli non si spiegava la spigliatezza e la normalità in cui si era rivolto alla ragazza appena conosciuta. “Eppure dovrei essere depresso e disperato come lei… Invece… Forse parlare con quella ragazza che è tanto uguale alla mia Rebecca ha risvegliato in me sentimenti assopiti da tempo… No, non posso essermi innamorato di lei… Però…”
«Roberto, dove sei stato tutto questo tempo?» era la voce del padre di Rebecca che usciva dal bagno della stanza d’ospedale.
«Ah ,lei! Non pensavo che fosse qui»
«Sono arrivato da poco, mentre Elizabeth è rimasta a casa. Tu come stai?»
«Sembra strano… Ma sono andato a parlare con una ragazza che gli hanno amputato le gambe e sembrava di rivedere la povera Rebecca…»
«Ed è per questo che ti senti così… Raggiante? Se si può dire così in questa situazione...»
«Raggiante no… forse sollevato. Era da prima dell’incidente che non mi sentivo così. Anche se ho avuto una discussione molto animata, mi sento meglio. Dovrei andare a parlarci più spesso con quella ragazza»
«Ma se lei non vuole vedere nessuno. Tanto meno tu che l’hai disturbata»
«Ha sentito la nostra conversazione?»
«Solo la parte finale… Scusami se sono stato curioso…»
«Oh, non si preoccupi» disse Roberto con sorriso rassicurante.
«Comunque posso dirti che non sei partito col piglio giusto. Riuscirai a rimediare?»
«Cercherò di farlo»
«Ora non voglio fare la parte del brontolone, ma vorrei che non lasciassi sola la mia piccola Rebecca, soprattutto quando né io nè Elizabeth siamo qui in ospedale»
«Non lo farei mai e poi mai qualunque cosa succeda» Ma nel rispondere all’avvertimento del vecchio, Roberto non era molto convinto della sua affermazione, sapendo che sotto sotto non aveva detto la piena verità su quell’ultima faccenda.

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Capitolo 3
*** 3° ***



Per Roberto, sembrava che il tempo fosse tornato a scorrere. Per lui era quasi finito il tempo della tristezza. Mancava solo il risveglio della sua Rebecca per far tornare tutto com’era prima.
«Oggi non vai al lavoro, Roberto?» domandò Elizabeth.
«No, oggi è sabato e io il sabato non lavoro»
«Ah giusto, non me l’ero ricordato… Dimmi, cosa mi racconti della ragazza che sta dinanzi a questa stanza?» «Perché vorrebbe saperlo?»
«Semplice curiosità… L’ho vista sempre così sola… Non ha dei parenti  che la vengono a trovare?»
Quando la signora Palieri iniziava a parlare dei fatti altrui, non smetteva mai di fare domande. Era la tipica vecchietta che vuole sapere tutto di tutti e magari se ci incastra, spettegolava con la prima persona che capita.
Naturalmente Roberto, conosceva poco o nulla di quella ragazza. Non era a conoscenza nemmeno del suo nome.
«Non ne ho la più pallida idea» mormorò l’uomo giovane cercando di troncare subito la conversazione. «Oggi è proprio una bellissima giornata e credo proprio che me ne andrò fuori a fare una passeggiata. Resta lei qui con Rebecca?»
«Sì certo, vai pure»
Tra Roberto e la signora Palieri vigeva un profondo rispetto e un’amicizia rafforzata dal suo avvicinamento alla figlia. Ma la cosa che l’uomo non sopportava della donna anziana era quando si faceva troppo curiosa per il semplice fatto che spettegolava. Al contrario di lui che sì, era un gran chiacchierone, di certo non andava a raccontare i fatti altrui al primo che incontrava.
Ad un certo punto del suo cammino, Roberto si imbattè in un negozio di fiori e da lì gli balenò un’idea brillante: “E se io regalassi dei fiori a quella ragazza rude e fredda? Anche a Rebecca, naturalmente… sì questi possono andar bene.”
Entrò nel negozio tutto sorridente.
«Buongiorno, cosa posso fare per lei?» gli domandò la commessa.
«Buongiorno. Vorrei comprare 20 di quei fiori che sono qui fuori. E per favore, me li può dividere in due mazzi da 10?»
«Ottima scelta! Hanno raggiunto oggi la loro sbocciatura. Sono proprio belli, vero?«
«Ha proprio ragione. Quanto gli devo?»
Dopo il suo acquisto tornò subito in ospedale per consegnare i due mazzi di fiori alle rispettive ragazze. Però prima doveva far si che non lo vedesse nessuno, soprattutto la madre di Rebecca, per il semplice motivo che doveva consegnare i fiori anche alla ragazza del letto dinanzi.
Posò i fiori di Rebecca dentro un vaso che trovò su un tavolino dentro la sua stanza, lo riempì d’acqua e glielo mise accanto al suo letto in modo che al suo possibile, imminente e speranzoso risveglio, lei li potesse vedere.
Appena uscì dalla stanza della ragazza per andare in quella dinanzi, si imbattè nel signor Palieri.
«Salve Roberto. Dove vai così di fretta?»
«Io? Beh… Stavo solo cercando il bagno»
«E occorre cercarlo in un'altra stanza che non sia questa?»
L’uomo non sapeva quale altra scusa credibile poteva inventare e quindi dovette distrarlo.
«Guardi nella stanza di suo figlia» - gli indicò - «Gli ho portato un mazzo di girasoli»
«Ragazzo mio, sono davvero bellissimi. Dove li hai presi?»
«Qui vicino all’ospedale mentre stavo facendo una passeggiata»
«Capisco… Ma cos’hai dietro la schiena?»
«Niente, perché?...Oh, lo sente questo suono?»
Il signor Palieri non comprendeva il modo strano di Roberto.
«Quale suono? Io non sento niente»
«Mi stanno chiamando. Se mi vuole scusare…» e uscì di corsa dalla stanza di Rebecca alimentando non pochi sospetti e rifugiandosi della stanza della signorina Provini.
«Ancora lei? Cosa ci fa qui?» domandò la giovane con tono irritato.
«La prego, regga il mio gioco. Dica a quel signor che sta entrando che io non mi trovo qui»
«Quale signore?»
«Mi scusi signorina, ha per caso visto un uomo giovane di statura media nei dintorni?»
«Vermante no, non ho visto nessuno…»
Gli occhi del vecchio, squadrò l’intera ragazza e il suo sguardo si posò dalla vita in giù.
«Oh, vedo che ha avuto un brutto incidente…»
«Sì, purtroppo»
«Beh… Scusi se l’ho disturbata…» e cercò di sgattaiolare fuori dalla stanza della sconosciuta, finchè la ragazza non lo fermò.
«Cosa le prende? Gli fa effetto vedermi senza gambe?» domandò la signorina Provini nervosa.
«Non avevo mai visto nella realtà una persona senza gambe. Perdoni la mia scortesia»
«Mi ci dovrò abituare, no? Comunque lei non mi conosce, ma sono sempre la stessa persona. Anche senza gambe»
«Non ne dubito affatto. Arrivederci» e alla fine l’uomo anziano se n’andò alquanto imbarazzato.
«Cosa intendeva dire che lei è sempre la stessa? Mi vuole dire che è scortese con tutti?» domandò Roberto con tono sorridente dopo essere uscito dal un nascondiglio.
«Non sono tenuta a rivelarti nulla del mio carattere. Mi dici cosa sei venuto a fare?»
«Ti ho portato un mazzo di girasoli. Forse riusciranno a sollevarti l’umore»
«Grazie, ma non ti dovevi disturbare»
«L’ho fatto con piacere. Ho sentito dire che appena li guardi ti mettono allegria»
«Cos’è lei? Un fiorista?» e mentre gli parlava, la ragazza fissava il mazzo di girasoli appena ricevuto.
«E’ sempre stata una mia grande passione, che però non ho mai avuto il modo di realizzare»
«Li ho guardati per qualche momento, ma non vedo niente di allegro… Però devo dire che sono molto belli» Fu il primo complimento che ella rivolse al ragazzo che per la seconda volta tirava fuori tutta la sua testardaggine.
«Sono molto contento. Ora per cortesia, mi vorrebbe dire il suo nome? Il mio è Roberto Livisi»
La ragazza continuava a fissare Roberto guardandolo con occhi che presentavano uno spiraglio di felicità. «Non ti arrendi mai eh?... Comunque mi chiamo Olympia, Olympia Provini»
«Piacere di conoscerla, Olympia. Possiamo darci del tu?»
«Ora vuole troppo, caro ragazzo… Ma se proprio vuoi»
«Perfetto!»
«Almeno non mi sentirò più tanto sola. Dopo tutti questi anni la solitudine può diventare maligna, anche se non ci faccio molto caso. Meglio soli che male accompagnati»
«Cercherò di farti capire che in fondo sono una buona compagnia, anche se la tristezza non mi ha ancora del tutto abbandonato…»
«Se non ricordo male sei qui in ospedale per la tua ragazza, giusto?»
Dopo vari discussioni che avevano portato a poco di buono, i due ragazzi giovani avevano cominciato a parlare cordialmente senza la minima collera.
«Sì… Purtoppo ha avuto un incidente più di un anno fa’ ed è tuttora in coma… Prego ogni giorno che si possa risvegliare e tornare ad essere quella di prima»
«Un anno in coma? Accidenti, è un sacco di tempo! Non hai mai pensato alla possibilità che non tornerà ad essere quella di prima? Insomma, quali conseguenze si può avere dopo un lungo sonno?»
«Non ne ho la più pallida idea Olympia, e non voglio nemmeno pensarci… Perché non mi parli un po’ di te? Di sicuro ti starò annoiando con i miei racconti»
«Oh tranquillo, non è affatto vero. Era da un sacco di tempo che non mi confidavo così con qualcuno. Specie se questa persona l’ho conosciuta solo ieri… Comunque, per non rovinare il giorno in cui ci siamo ufficialmente presentati, desidererei non parlarti della mia vita. Almeno non per ora…»
«Non hai avuto una vita felice, vero?»
«Per nulla! Te la racconterò tra un po’ di tempo e magari anche tu potrai parlarmi di te. Non anteporre continuamente la vita della tua… Come si chiama la tua ragazza?»
«Rebecca. Rebecca Palieri»
«Non anteporre continuamente la vita della tua Rebecca alla tua. Cerca di pensare ad una cosa felice…»
«E quale? Dopo il suo incidente non ho mai avuto momenti veramente felici…»
«Pensa a quando mi hai portato questi bellissimi girasoli e vedrai che ti sentirai meglio»
A quel punto Roberto potè finalmente vedere Olympia in un’altra prospettiva: in un solo giorno l’aveva cambiata profondamente, rendendola una persona migliore.
«Sì, hai ragione. Ci proverò… Torno da Rebecca così tu puoi riposarti un po’. Ti vedo molto stanca»
«Non hai tutti i torti. Ci vediamo più tardi, Roberto»
«A più tardi Olympia… Se ti sveglierai e non ci sarà nessuno a farti compagnia, guarda il vaso di girasoli… è come se tu ti trovassi dinanzi ad un raggio di sole»
«E me l’hai regalato proprio tu questo raggio di sole. Oltre al sorriso che ho ritrovato dopo tanto tempo»

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Capitolo 4
*** 4° ***



Solo due giorni servì a Roberto a conquistare la fiducia di Olympia, raccontandogli alcune delle sue avventure che ha avuto nella sua vita nel corso dei suoi venticinque anni.
Prima aveva iniziato ad essere cameriere in una piccola trattoria, poi agricoltore di una famosa azienda che da un po’ di tempo era fallita e infine si era ritrovato a lavorare in una ditta di traslochi.
Ma la cosa che si vantava di più era dei suoi viaggi in Sudamerica in mezzo ai selvaggi dell’Amazzonia.
«Ahahah, non ci posso credere. Tu? In mezzo ai selvaggi?»
«Credici perché è vero. La cosa che amavo di più al mondo era proprio rischiare la vita»
«Ora invece hai smesso di essere spericolato?»
«Sì… Grazie a Rebecca…»
«Qualunque cosa di cui tu mi parli, si ritorna sempre a parlare di quella ragazza»
«È stata lei a cambiarmi la vita e a farmi diventare quello che sono»
«Cioè ti ha fatto peggiorare…» ribattè Olympia con tono sarcastico.
«E con questo che cosa vorresti dire?»
«Forse mi saresti piaciuto nei panni dell’avventuriero, sai?»
«Perché ora non ti piaccio?»
A quella domanda, Roberto fissò intensamente la ragazza con occhi teneri e quasi struggenti.
«Come amico forse sì… Ma se intendi l’altro modo, non saresti il mio tipo…»
Sembrò che l’uomo, alla dichiarazione di Olympia, ci sia rimasto abbastanza male. Ma non lo diede a vedere, rispondendo con un sorriso lieve.
Che si fosse invaghito di quella ragazza che doveva passare la vita senza due pezzi del suo corpo?
«E poi tu sei già fidanzato… E se sei un uomo fedele come credo che tu sia, non tradiresti mai tua moglie…» Ma con tono serio, la ragazza disse: «Anche se… Non si può mai sapere nella vita…»
«Già… Chissà come sarebbe stata la mia vita senza di lei… Forse tutto questo non sarebbe successo…»
«E perché, scusa? Mica è colpa tua se ha fatto un terribile incidente»
La mente di Roberto elaborò pensieri tristi e alquanto compromettenti, senza però rivelarlo a Olympia e mormorando qualcosa di incomprensibile.
«Ho detto giusto? Cosa stai borbottando, Roberto?» domandò Olympia in tono sospettoso.
«Cosa? Oh sì, hai detto bene»
Agli occhi della giovane ragazza, l’uomo era profondamente cambiato.
«Va tutto bene?»
«Sì certo! Cos’è che non dovrebbe andare?» rispose frettolosamente Roberto.
«Non so… Ti vedo alquanto cambiato d’umore»
«Sì scusa, sono molto stanco. Che ne dici se ripasso a trovarti più tardi?»
«Puoi passare quando vuoi. Per me non c’è problema. Soltanto se sto riposando, gradirei non essere disturbata. Anche se dormire, non ne voglio sapere…»
«Per quale motivo?»
«Perché non faccio altro che pensare alla mia vita passata… Alla mia famiglia… Ai miei amori perduti… Alla mia carriera di attrice stroncata sul nascere quando ancora avevo tutte e due le gambe»
Gli occhi di Olympia, al suono di quelle parole, si inumidirono di lacrime, dando per la prima volta uno sfogo alla sua vita.
«Oh… Mi dispiace tantissimo»
«Magari prossimamente te ne parlerò… Ma ora lasciami riposare»
«Sì certo. Tanto, come ti ho detto, stavo andando anch’io… Ma ricorda una cosa: io ci sarò sempre per te. Ricordatelo»
E in un breve momento, Roberto fece ritrovare per un attimo il sorriso a quella ragazza, capendo quanto aveva sofferto nel corso della sua vita.
«Lo so. Ormai me l’hai fatto capire… Ma grazie di avermelo ricordato»
E si lasciarono, come quando si erano presentati ufficialmente, con un sorriso che illuminò quella grigia giornata di primavera.
Ma l’illuminazione di quella giornata grigia di primavera, durò solo un attimo.
Durante quello stesso giorno, una coppia di poliziotti si recò in ospedale per interrogare la famiglia di Rebecca.
C’erano alcuni punti che non quadravano su Roberto.
«Buonasera. Sono l’ispettore Coldrini» disse l’uomo più alto tra i due.
«Io sono l’ispettore Palombi» disse l’altro presentandosi ai signori Palieri.
«Buonasera a voi. Avete bisogno d’aiuto?» domandò il signor Palieri non avendo ancora chiaro la loro visita. «Abbiamo scoperto nuovi fatti sull’incidente di vostra figlia»
Roberto, che era nascosto dietro un pilastro, vicino alla conversazione tra i poliziotti e la famiglia Palieri, sbiancò in volto.
Dei segreti inconfessabili che non dovevano mai essere rivelati, pesavano sulla sua coscienza. “Oh no! Non ditemi che…”
«Non capisco cosa abbiate scoperto dopo tutto questo tempo. È stato un incidente che poteva capitare a chiunque e basta!» rispose frettolosamente la signora Palieri per sbarazzarsi di quei due impiastri.
«Sì, forse sarebbe potuto capitare a chiunque ma… Noi non siamo dello stesso parere…»
«Mi dite dove volete arrivare?»
«Saremmo più chiari, signor Palieri» iniziò a dire l’ispettore Coldrini
«Abbiamo analizzato per l’ennesima volta l’auto di vostra figlia ed è saltato fuori un particolare determinante che io e il mio collega non ci spieghiamo nemmeno ora… Un particolare uscito fuori poche ore fa’… L’auto di vostra ha figlia ha avuto un incidente perché qualcuno ha manomesso i suoi freni» Questa rivelazione fu un colpo di fulmine a ciel sereno. I signori Palieri, visibilmente scossi da questa notizia, rimasero pietrificati senza dire un cenno di parola.
«Ma… Com’è possibile? Chi  può aver fatto una cosa del genere?»
«Al momento non lo sappiamo neancora, ma stiate certi che riusciremmo a trovare il responsabile il prima possibile» rispose tutto convinto l’ispettore Palombi.
«Riuscirete a catturare il responsabile?! Dopo un anno?! Ma non fatemi ridere! Se ci avete messo tutto questo tempo per scoprire un particolare così importante e determinante, non immagino quanto tempo ci mettiate per trovare il colpevole!... Se tutto va bene, lo troverete quando io, mio marito e la mia povera figliola saremmo morti sepolti»
La signora Palieri, non si era mai sfogata con nessuno in quel modo.
Ma la rabbia repressa che aveva in corpo nascosta dopo tutto questo tempo, hanno fatto sì che esplodesse improvvisamente.
«Mia moglie ha ragione! Come pensate di poterlo rintracciare?»
«Analizzeremo se ci sono rimaste delle impronte sull’auto di vostra figlia… In questo momento non potete far altro che avere fede e pregare…»
«Preghiamo già per nostra figlia. Ma è la speranza che continua ogni giorno a mancare…»
«Cara, non dimenticarti di Roberto. Non scordare tutte le volte che ci fa pensare e vivere positivo nei riguardi di nostra figlia. È grazie a lui se non abbiamo perso ancora la speranza»
«Hai ragione Alfredo»
«A proposito… Questo Roberto dove possiamo trovarlo?»
«Non saprei… Forse deve essersi andato a riposare da qualche parte, ma non sappiamo dove»
“Cosa fare ora? Scomparire per un po’ senza farmi trovare e alimentare ancor di più dei sospetti che potranno nascere su di me?”
Sarebbe stata l’idea più sciocca e stupida che avesse potuto fare.
Sì, doveva nascondere alcuni suoi misfatti ma… Non doveva fuggire all’apparenza della situazione che si era venuta a creare in quell’istante.
«Buonasera signori. Mi stavate cercando?»

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Capitolo 5
*** 5° ***



In un attimo Roberto trovò tutto il coraggio di cui potesse disporre per essere interrogato dagli uomini della giustizia.
«Buonasera a lei, signor Livisi. Scusate il disturbo, ma dovremmo parlargli» disse in tono pacato e calmo l’ispettore Coliandri.
«Ditemi, cosa posso fare per voi?»
«Preferiremmo parlargli in privato…» e lui e di due ispettori si recarono nella sala d’attesa del reparto di riabilitazione che in quelle ore serali era vuoto.
Già da principio, Roberto non era calmo per nulla e i suoi segreti rischiavano di essere rivelati una volta per tutte…
«Bene, ora che siamo soli, gli diremo cosa abbiamo detto ai genitori della povera Rebecca. Pare che qualcuno abbia manomesso i freni dell’auto della povera ragazza causandone il grave incidente»
«Cosa? Ma non è possibile! Pensavo che fosse stata la strada ghiacciata la colpa di tutto…»
«E invece non è così… lei ci può dire qualcosa su questa faccenda?» domandò l’ispettore Palombi che si era fatto improvvisamente serio.
«Ma cosa volete che vi dica? La vostra rivelazione è stata la cosa più inaspettata che avrei potuto udire…» «Magari sa qualcosa che noi non sappiamo…»
«Cosa sta insinuando?»
«Signor Livisi, la vediamo alquanto… Sofferente. Ci sta nascondendo qualcosa?»
«Come volete che sia dopo quello che mi avete detto! Non starete insinuando che io centro in questa storia…»
«Noi non insinuiamo nulla, signor Livisi. Facciamo solo delle ipotesi»
«Bene! Allora vi dico che non sono la persona adatta per essere immischiato in simili “ipotesi”!»
«Ci potrebbe ripetere dov’era la sera dell’incidente?»
«Oh, santo cielo! Ero ad una festa di laurea di un mio carissimo amico che ora lavora in Germania come ingegnere»
«E fino a quando è rimasto a questa festa? Ci potrebbe dire l’ora precisa, per cortesia?»
«Ma chi se lo ricorda l’ora in cui sono uscito!...»
«Ci dica allora l’ora in cui è arrivato alla festa… Lei era insieme alla signorina Palieri»
«Certo! Eravamo stati invitati tutti e due dal mio amico… La festa iniziava verso le sei di sera»
«E si è conclusa?»
«In tardi nottata. Penso verso le due di notte…»
Lo sguardo e il modo di fare di Roberto avevano alimentato sospetti che doveva assolutamente non farli vedere.
«Mi dite per favore, il perché mi state martoriando di domande? Centro qualcosa in questa storia?»
«Oh, ancora non lo sappiamo. Ma stia tranquillo, nei prossimi giorni riusciremo a scoprire qualcosa e mi raccomando, si tenga a totale di disposizioni se ci saranno altri sviluppi che la riguardano»
«E dove vuole che vada, ispettore Coliandri? Sono tutti i giorni attaccato al letto della mia fidanzata con la speranza che un giorno di questi, finalmente si svegli»
«Ottimo! Così non penserà se tagliare la corda oppure no…»
L’ispettore Coliandri e il suo compagno stavano continuamente a sogghignare sotto lo sguardo di Roberto, mandando quest’ultimo su tutte le furie.
Vedendo che lo stavano prendendo in giro, l’uomo si getto sull’ispettore Coliandri e lo prese per la camicia e lo sbattè al muro.
«Che cosa avete tanto da ridere voi due?!»
«Signor Livisi, lasci subito il mio collega o la sbatteremo dentro!»
«No, finchè non avrò una risposta!»
«Signor Livisi!...»
«Palombi, lasci stare» disse Coliandri interrompendo il suo compagno di lavoro.
«E’ lei che ci deve delle risposte, Livisi. Meglio che ce li dia subito prima che si troppo tardi…»
«Io non devo dichiarare nulla. Siete voi che mi state nascondendo qualcosa!»
«Stia solo attento a non commettere possibili errori, ha capito? Ora mi lasci andare o il mio collega interverrà causando non pochi problemi a lei»
E per evitare di aggravare la sua posizione di sospetto numero uno, Roberto mollò l’ispettore.
«Ci rivedremo molto presto, signor Livisi. Arrivederci.»
E senza aspettare il saluto di Roberto che non sarebbe mai arrivato, i due poliziotti se ne andarono borbottando sottovoce.
Quando Roberto tornò nella stanza di Rebecca, vide i suoi genitori che lo stavano fissando per saperne di più del suo interrogatorio.
«Allora Roberto? Com’è andata?»
«Bene… Volevano farmi alcune piccole domande sul rapporto tra me e Rebecca»
«Alla faccia delle piccole domande! Sei stato via quasi mezz’ora! A quel punto penso che gli hai raccontato vita, morte e miracoli di te e di mia figlia»
«In un certo senso…»
Mentre Roberto stava discutendo con il signor Palieri, afferrò la giacca per andarsene a casa e troncare sul nascere la conversazione.
«Se mi scusate, ora vorrei tornarmene a casa. Domani devo fare un trasloco nei pressi di Roma e devo svegliarmi presto»
Ma prima che uscisse dalla stanza…
«Roberto!»
«Cosa c’è, signor Palieri?»
«Tu… Voglio dire…»
«Se c’è qualcosa che ci devi dire, tu non esiteresti a farlo, vero?» domandò la signora Palieri togliendo le parole di bocca al marito.
«C-certo…»
«Quindi, devi dirci qualcosa?»
All’ennesima domanda sospettosa nei suoi confronti, Roberto fissò i due coniugi con tono severo e accigliato e rispose ad alta voce:
«Ma cosa avete oggi nei miei confronti?! Perché siete tutti sospettosi di me? Pensate che io abbia fatto qualcosa e che io lo stia nascondendo?»
«Non lo sappiamo. Questo devi dircelo tu… E ti prego, abbassa la voce. Siamo in un ospedale. Preferisci se andiamo fuori?» domandò il signor Palieri con tono pacato all’agitato e nervoso Roberto.
«No! Non andremo da nessuna parte! Come vi ho già detto, domani devo svegliarmi presto»
«Tu non vai da nessuna parte finchè non ci dici cosa ci nascondi!»
«Lei non ha nessun diritto di trattenermi contro la mia volontà!»
«Io no… Ma i due ispettori di prima sì. Farò in modo che ti tengano bloccato in ospedale anche tutta la notte se è necessario. Sono stato generale capo della guardia di finanza e ho molte conoscenze nelle file della giustizia»
«Cosa? Ma lei non era un fruttivendolo o chessò io?...»
Roberto non credeva alle parole del vecchio. Pensava che utilizzasse ogni espediente per tenerlo in ospedale e far confessare i suoi segreti.
«Sì, Roberto. Mio marito ha servito per quasi quarant’anni le fiamme gialle, ottenendo un sacco di soddisfazioni e consegnando nelle mani dei giudici criminali di ogni specie»
«Oh mio Dio Signora Palieri! Anche lei sta delirando?»
«No… Siamo sani di mente tutti e due, non preoccuparti. Tu, non essendo di queste parti, ti abbiamo tenuto nascosto il nostro “piccolo segreto.” Devi sapere Roberto, che né a me né a mia moglie sei mai piaciuto e finalmente sto per averne conferma. Avanti! Di tutto quello che hai da dire o finirai in guai seri!» Roberto ormai, era con le spalle al muro. Come poteva uscire da questa situazione compromessa? Ormai erano tutti contro di lui.
«Sto aspettando… Allora, non hai niente da dire?» domandò infuriato il signor Palieri mentre fissava l’uomo alquanto pensieroso.
«Io non ho colpe da dichiarare. Vi state tutti sbagliando! Voi due e gli ispettori!»
«Testardo fino al midollo! E allora ci dici il perché ti hanno visto aggredire l’ispettore Coliandri nella sala d’attesa?»
Anche stavolta Roberto era rimasto a bocca aperta.
«E lei come fa a saperlo? Ci ha forse spiato?»
«No, caro mio. Ho degli interlocutori che fanno bene il loro lavoro…»
«Ma come osa fare una cosa simile?! Non ne ha il diritto!»
«E tu non hai il diritto di continuare a mentirmi. Dimmi una volta per tutte cos’hai da nascondere e poi parleremo anche del tuo “corteggiamento” con la ragazza della stanza accanto»
“Oh no! Ora pure questo!”
Per un attimo Roberto rimase in silenzio, interdetto dalla confessione del signor Palieri.
«Da chi mi ha fatto spiare?»
«Non penso che questo sia molto importante in questo momento. Magari dopo te lo dirò… Ormai ti ho colto in fallo!» rispose bruscamente l’uomo anziano.
«Scommetto che è stato il primario…»
«Non cercare di sviare la situazione, tanto ormai è inutile. Nessuno potrà mai tirarti fuori da questo guaio» Ma mentre il signor Palieri pronunciò quella fatidica frase, una ragazza interruppe quella sgradevole conversazione. Era Olympia.
«Ciao Roberto, interrompo qualcosa?» Olympia si era alzata dal letto grazie alle sue protesi e a malapena riusciva a reggersi in piedi.
«Olympia, sei tu? Ti hanno messo le protesi così puoi camminare?»
«Tranquillo, sono io. Non sono un fantasma» disse la ragazza in tono sarcastico.
«Oh, certo che non ci interrompi… Oggi è la giornata delle sorprese…»
E mentre diceva quella frase, l’uomo fissò i coniugi Palieri con aria disprezzante.
«E’ stata una sorpresa pure per me… Ma interrompo qualcosa? Forse stavate parlando…»
«In effetti stavamo chiarendo alcune cose importanti…»
«No! Non stavamo dicendo nulla di importante. Cosa desideri?» ribattè Roberto ad alta voce interrompendo il signor Alfredo.
«Visto che oggi vengo dimessa dall’ospedale, per te è un problema se mi accompagni a casa? Come ben sai non ho nessuno che mi faccia compagnia tranne te»
«Certamente. Per me sarà un privilegio accompagnarti»
L’uomo misterioso, incredibilmente, era riuscito a liberarsi da quella situazione intrigata, suscitando non poca rabbia nei confronti dell’uomo anziano.
«Fermati! Dove pensi di andare? Noi due non abbiamo finito!»
«Oh, invece penso proprio di sì. Andiamo signor Palieri, vuole che non faccia un’opera buona ad una mia grande amica che ho conosciuto poco tempo fa’? Sarebbe molto scortese, non trova?»
Pochi minuti fa’ Alfredo Palieri era riuscito a incastrare Roberto, ma in un solo minuto, era avvenuto il contrario.
«Vai, se proprio devi. Ma ti avverto di una cosa: stai lontana dalla mia famiglia, è chiaro? Non voglio più vedere la tua lurida faccia da malfattore… E anche lei signorina, se è una persona intelligente, stia lontana da quell’uomo»
«Basta! Non cerchi di spaventare questa povera ragazza. Ha perso le gambe da poco e lei non si deve permettere di turbarla inutilmente!»
«Come ormai hai imparato a conoscermi, soprattutto oggi, non dico mai cose a vanvera. Sono una persona seria… Io… al contrario di alcuni in questa stanza…»
«La smetta!...»
«Alfredo, ti prego… Lasciamo andare il ragazzo. Credo che tu sia stato abbastanza chiaro»
E per interrompere definitivamente la conversazione, avevano avuto l’improvviso “aiuto” della signora Elizabeth Palieri che quando vedeva due persone litigare, diventata inesistente. Come se non ci fosse. Ma non in quell’occasione.
«Hai ragione Elizabeth… e se disgraziatamente non sono stato chiaro, dovrò usare le cattive maniere. E anche se sono vecchio, posso ancora farmi valere»
«Arrivederci signori Palieri…»
Fu l’ultima cosa che Roberto riuscì a dire, mentre insieme ad Olympia uscirono dalla stanza con volti in comprensivi e ignari di un futuro che non sarebbe stato roseo.

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Capitolo 6
*** 6° ***



Olympia, dopo aver assistito a gran parte della litigata tra il suo nuovo amico e un signore anziano, nella sua mente balenavano un sacco di domande da rivolgere alla persona che si fidava ciecamente…
«Roberto, perché quel signore anziano ti ha detto di stare lontano dalla sua famiglia?»
«Oh niente… è solo un po’ rimbambito per la vecchiaia. Vedrai che si sistemerà tutto…»
«Ma per caso loro sono i genitori della tua ragazza?»
«Sì esatto. Il signore anziano è Alfredo Palieri e sua moglie è la signora Elizabeth Palieri»
«Ho sentito anche provenire la tua voce dalla sala d’attesa che come hai ben visto, è vicino alla mia stanza. Cosa stava accadendo? Stavi litigando con qualcuno?»
«Beh, stavo litigando con il distributore di caffè… ora sali in macchina. Mi devi guidare verso casa tua.>
La casa di Olympia era posizionata in mezzo ad una collina incantevole e piena di fiori. Era una delle più belle ville mai costruite in tutto il territorio.
«Wow! Che lusso! Ma è tutta tua?» domandò Roberto impietrito da quello che stava vedendo.
«Certo. È una cosuccia, quando sei imparentata con una famiglia di imprenditori…»
«E che lavoro fanno i tuoi genitori, se posso chiedere?»
«Hanno un’azienda di computer… Ti prego di non dirmi altro sulla mia famiglia. Sai che non vado d’accordo con nessuno»
«Un’ultima cosa poi non ti importunerò più su questo argomento: sei figlia unica? Hai fratelli? Sorelle?» «Ho un fratello e una sorella più grande di me che puntualmente mi hanno voltato le spalle come tutti. Zii, nonni, cugini e tanti altri parenti… Venivo sempre vista come la pecora nera della famiglia per il mio carattere capriccioso e viziato, fino a quando non mi sono laureata in storia dell’arte. Sono professoressa di artistica nella scuola media di Mutigliano»
L’uomo contemplò silenzioso lo sguardo attento della ragazza mentre spiegava la sua vita piena di insidie. «Forse ti starai chiedendo il perché una professoressa di arte e immagine può permettersi tutto questo…» «Beh, in un certo senso…  Ma non vorrei essere troppo curioso»
«Nessun problema. Io mi fido di te  e poi non ho nulla da nascondere… Dopo essermene andata di casa, sono riuscita ad accaparrarmi una cospicua eredità che mi sarebbe spettata dopo la morte dei genitori. Ma mio padre, che non sopportava più la mia presenza, ha deciso di darmi una cifra così enorme che non ci pensai due volte. Accettai con grande felicità e me n’andai per la mia strada. Da quel giorno, non ho più rivisto nessuno della mia famiglia. A volte passo dinanzi la sede principale fermandomi per qualche secondo per contemplare quello che poteva spettarmi…»
«E non hai qualche rimorso?»
«Macchè! Non sono per nulla brava a guidare un’azienda prestigiosa come quella dei miei genitori… E poi se dovevo continuare a sopportare mio fratello o mio padre… Credo proprio che mi sarei suicidata» «Olympia! Ti prego di non scherzare su queste cose!» disse l’uomo con tono di voce alto e forte .
«Scusami Roberto, non volevo che tu la prendessi male»
Roberto era profondamente rammaricato per aver reagito male alla battuta della ragazza.
«No, scusa tu. Non dovevo sgridarti così»
«Ti vedo molto stanco. Vuoi riposarti un po’ qui?»
«Oh, non vorrei disturbare troppo…»
«Nessun disturbo. Sarei contenta se ci fosse qualcuno a proteggermi in questa casa…»
Mentre Olympia scandiva queste parole, si avvicinò a Roberto e lo fissò con fare seduttorio e occhi languidi. E l’uomo, per replicare, decise di accettare frettolosamente l’offerta e andarsi immediatamente a distendere.
«Va bene, allora. Accetto volentieri la tua offerta»
«Perfetto! Vieni che ti faccio vedere il piano di sopra»
E salirono lentamente le scale per andare al primo piano dove si trovavano un immensità di stanze. «Questa casa, oltre al fatto che c’è una cucina, cinque sale e una sala da pranzo, ha all’ultimo piano una grande soffitta, che è la stanza più grande di tutta la sala. E sotto la soffitta, il primo piano è composto da circa dieci stanze di cui due bagni con bagno turco, idromassaggio, doccia e sauna e otto camere da letto che in sé per sé non sono molto grandi, ma sono molto graziose e ben arredate»
«Accidenti! Sembra di vivere in una casa di uno sceicco»
«Ahahah sì esatto. Ecco, questa è la mia camera preferita. Ti potresti riposare qui se a te va bene»
La camera che Olympia scelse per il suo nuovo “amico” era composta da un letto matrimoniale, due armadi, una scrivania e tre sedie.
«Se mi va bene? È davvero stupenda! Davvero, non so cosa dire. Penso di non essere mai entrato in una stanza del genere. Le pareti ricoperti di arazzi inestimabili, i mobili antichi… Ora capisco perché è la tua preferita. Almeno che non ci siano stanze uguali a questa»
«Eeeh … Lo scoprirai alla prossima puntata» rispose Olympia sghignazzando.
«A dire il vero questa è la mia camera preferita perché quando combinavo qualcosa che ai miei genitori sembrava sbagliato o perché non volevo vedere nessuno, mi rinchiudevo qui, a leggere alcuni libri delle favole. Ora tutti i libri li ho spostati nella mia stanza…»
«Va bene che hai l’imbarazzo della scelta su dove puoi dormire, ma perché cambiare stanza?»
«Beh, anche se è la mia stanza preferita, da qualche tempo mi era venuta a noia, e così sono andata nella stanza accanto…»
La risposta della ragazza non aveva convinto Roberto perché quando guardava fisso negli occhi qualcuno, la maggior parte delle volte riusciva a capire se mentiva, oppure no. In quel caso l’aveva capito. Cosa poteva nascondere? 
«Ah capisco…»
«Bene, ora ti lascio riposare. Se hai bisogno di qualcosa, non esitare a chiamare. Io vado»
Ma mentre la ragazza stava uscendo dalla porta…
«Ah Olympia… Grazie di tutto»
Lo fissò con occhi dolci e benevoli che quasi parevano commuovere chiunque.
«Grazie a te e del tuo affetto che mostri nei miei confronti» e lasciò la stanza nascondendo il suo sguardo furbesco e pieno di mistero.
«Che cos’è questo bagliore?»
Improvvisamente, Roberto aveva aperto gli occhi accecato da una luce quasi celestiale.
«Chi c’è? Avanti, fatti vedere!» disse alquanto nervosamente l’uomo.
Oltre alla luce, sentiva nell’aria una musica bassa e fioca con note tristi e strappalacrime.
«Dove mi trovo? E cos’è questo suono?»
Si faceva un sacco di domande, ma nessuno gli si presentava o gli rispondeva.
«Basta! Chiunque mi stia facendo questi scherzi, la smetta immediatamente o se ne pentirà amaramente!» Fu investito da una paura incontrollabile che gli faceva dire parole coraggiose.
«Roberto…» lo chiamò una voce sconosciuta.
«Chi c’è? Chi è che mi chiama?»
Il suo nervosismo e la sua paura sfiorarono qualsiasi altra emozione, per il momento.
«Roberto… Roberto…» chiamò nuovamente questa voce senza rivelarsi.
«Ti prego, fatti vedere. Sto impazzendo!» rispose l’uomo con le lacrime agli occhi e con tono esasperato. Finalmente, alla fine, la persona sconosciuta si rivelò andandogli dinanzi: era la voce dolce e pacata di Rebecca.
«Oh mio Dio! Rebecca! S-sei davvero tu?...»
«Sì, caro fidanzato mio»
«Questo è un miracolo! Vuol dire che ti sei svegliata!»
«No… Quello che ora stai vedendo è la mia anima che vaga su questo pianeta pieno di ingiustizie. Il mio corpo è ancora in ospedale che dorme in attesa del momento giusto per svegliarsi…»
«Ma cosa stai dicendo? Io non capisco. Perché definisci questo pianeta pieno di ingiustizie? E perché aspetti il momento giusto per svegliarti?»
La ragazza fece una risata sarcastica per ribattere a quella raffica di domande del suo ragazzo.
«Andiamo Roberto. So benissimo che sei stato tu a manomettere i freni della mia auto. Volevi sbarazzarmi di me perché non sopportavi il motivo per cui io ti avevo lasciato. Mi hai segnato per sempre la vita, ma vedrai che te la farò pagare a caro prezzo. Sarai colto da un’infinità di sensi di colpa fino a quando non cadrai in disperazione e ti ucciderai da solo»
L’uomo, alquanto sconvolto da quelle dichiarazioni dell’anima della sua fidanzata, non potè fare la minima resistenza.
«Ma… Come fai a sapere tutto questo?»
«Lo so e basta. Hai mandato un complice a fare il lavoro sporco per avere un alibi perfetto per tutta la sera di quel giorno. Sei solo un maledetto bastardo vigliacco!»
«Rebecca… Ti prego, perdonami…»
Le sue parole erano una sorta di confessione: Roberto aveva assunto uno per uccidere la sua ragazza. Un crimine imperdonabile a cui non poteva tenere nascosto all’infinito.
«Non c’è perdono per quello che hai fatto! Non avrei mai pensato che tu saresti caduto così in basso… Non ho parole… Ma posso cominciare a torturarti» disse la ragazza infuriata e piena di rancore.
«Che cosa vuoi farmi?»
Gli andò addosso con un grido acuto facendolo tremare e alzarsi di scatto dal letto risvegliandolo dal suo incubo.
«Rebecca!... Rebecca!..»
Sudava freddo ed era impaurito per quella strana e fantascientifica avventura che aveva avuto nella sua testa.
«Oh santo cielo! Era solo un brutto sogno…»
In un primo momento, Roberto credeva che fosse tutto vero quello che aveva sognato. Ma subito si era ricordato che la sua ex fidanzata Rebecca, giaceva dormiente su un letto d’ospedale e che doveva farla finita una volta per tutte. E questa volta doveva farlo con le sue stesse mani.
Uscì dalla camera da letto per dirigersi di sotto e andarsene senza farsi vedere da Olympia. Ma la ragazza lo colse sul fatto mentre stava uscendo di casa.
«Roberto, dove stai andando?»
«Oh, beh… vado a prenderti qualcosa da mangiare…» fu le uniche parole che uscirono dalla sua mente: menzogne su menzogne.
“Maledizione! Perché non me ne vai mai bene una?” pensava inorridito.
«Ah… sul serio? E allora perché te ne stavi andando senza nemmeno salutarmi come se tu stessi scappando da qualcosa?»
«Scusami Olympia, non ti ho visto mentre stavo per uscire e sto andando di fretta perché sennò il minimarket che sta qui vicino, chiude»
La ragazza giovane sembrava essere stata convinta dall’uomo misterioso.
«Capisco… Comunque non ti devi disturbare. Non serve niente»
«Voglio almeno rendermi utile un poco per la tua ospitalità. Cosa potrei fare per te?»
«Nulla, davvero. Anzi… Mi farebbe piacere se tu rimanessi qui ad abitare con me. Cosa ne dici?»
«Non lo so, Olympia. Sei sicura che sia una buona idea?» domandò Roberto non affatto convinto.
«E perché non dovrebbe esserlo? Tu abiti da solo e io pure. Potremmo farci compagnia a vicenda… E non mi dire che preferisci essere solitario perché non ti crederei affatto, visto che rimanevi spesso per gran parte della giornata accanto alla tua Rebecca»
Al suono di quel nome, Roberto sbiancò in volto, dando non poche preoccupazioni alla ragazza.
«Tutto bene, Roberto? Mi stai ascoltando?»
La cosa che in quel momento lo preoccupava di più, era proprio quel maledetto sogno che poteva rovinargli la vita dopo che lui l’hai rovinata a quella povera ragazza.
«Sì, certo che ti stavo ascoltando… Beh, se a te fa piacere, rimarrò alcuni giorni qui con te»
Olympia, tutta euforica e sorridente per la risposta positiva, balzò addosso al Povero Roberto facendolo cadere sulla soglia d’entrata.
«Oh, scusami per la mia contentezza. Adoro ricevere belle notizie come queste»
«L’ho notato» ribattè dolorante l’uomo.
«Bisogna assolutamente festeggiare con una bella cena! E comunque non ti preoccupare per le scorte di cibo. Qui ce ne è abbastanza per un esercito»
Prepararono qualcosa di veloce, ma di molto buono. La loro cena fu composta da tramezzini di ogni genere e da stuzzichini che a forza di mangiarli, riempivano lo stomaco. Il tutto contornato da champagne d’annata.
La serata filava liscia e piacevole, senza alcun intoppo. I due ragazzi giovani parlavano ridendo e sghignazzando per le battute fatte e prendendo la vita con filosofia.
«Una volta ho tentato di far avviare un modello nuovo di computer e sai cos’è successo? Ha preso fuoco perché un operaio incompetente ha infilato del materiale esplosivo dentro il mezzo!»
«Ahahah non ci posso credere. Non è che mi prendi in giro per farmi sbellicare dalle risate eh?» domandò Roberto un po’ brillo per aver esagerato con lo champagne.
«Se dovevo farti ridere a tutti i costi, potevo farti il solletico» rispose puntualmente Olympia con naturalezza.
«E come fai a sapere che io ne soffro?»
«Me lo immagino… Vogliamo fare una prova?» e prima che l’uomo rispondesse, venne travolto e agguantato dalle veloci mani della donna, facendolo dimenare come non mai.
«No ti prego, smettila. Ti assicuro che sennò dopo starò male»
«Mi dispiace, ma non m’incanti» disse la giovane continuandogli a fargli il solletico.
Il suo modo di divertirsi, fu interrotto dal suono del campanello della sua villa. Roberto e Olympia erano sicurissimi che non aspettavano nessuno.
«Chi potrebbe essere a quest’ora?»
«Vado ad aprire io? Non credo che sia un ladro perché non so se suonerebbe ed entrerebbe nell’entrata principale»
«No, lascia stare. Vado io»
La ragazza si alzò dal divano molto tremante e preoccupata per paura di ricevere brutte presenze. E in effetti fu proprio così. Alla porta c’erano il padre e la madre di Olympia.
«Mamma! Papà! Cosa ci fate qui?»
L’uomo, sulla cinquantina d’anni, di alta statura e con i segni del tempo che gli corrugavano la fronte, fissò la figlia con sguardo accigliato.
«E me lo chiedi pure?!» ed entrò in casa senza il permesso della ragazza.
«Come ti permetti di entrare in modo irruento in casa mia?»
«Prima di tutto, questa non è ancora definitivamente casa tua. Almeno fino a che non muoio e non scrivo testamento… Sono venuto qui da te perché voglio dei chiarimenti. È vero che ti hanno amputato le gambe?» Olympia, che era vestita con un abito sgargiante che gli nascondevano le ginocchia, non fece notare nulla d’insolito ai genitori.
«Purtroppo sì… Ho avuto un incidente pochi giorni fa’»
Il padre della ragazza, la guardava stupefatta e innervosito dalla tranquillità e dalla pacatezze delle sue risposte.
«E me lo dici così? “Ho avuto un incidente pochi giorni fa’…” Ti sembra il modo?! Mi dici cosa ti dice il cervello? Ti ricordo che siamo sempre i tuoi genitori»
«Sì, dei genitori che mi hanno scaricata corrompendomi con del denaro e regalandomi questa villa vuota e piena di ricordi d’infanzia…»
«Non ti abbiamo regalato questa villa… è solo un prestito»
«Pure! Così quando morirai e farai testamento, mi escluderai di tutti i miei beni e mi sbatterai in mezzo alla strada!»
«Mmh, non sono così crudele… Però potrei pensarci. Tu che cosa ne dici, Stefania?»
La madre di Olympia non era la persona adatta che diceva la sua sui litigi. Preferiva rimanere in silenzio e godersi la scena, soprattutto nelle litigate tra suo marito e sua figlia.
«Stefania? Sei tra noi?»
«Oh scusami… Cosa stavi dicendo?»
Gli occhi del padre di Olympia si erano spostati sulla moglie, guardandola più furioso che mai.
«Accidenti! Voi donne mi farete andare fuori di testa! Ma mi ascolti quando parlo? E perché te ne stai dinanzi alla porta?»
L’uomo tempestò di domande sua moglie, che lei non ebbe nemmeno il tempo di risponderne a una.
«Beh, non saprei…»
«Lascia stare! Deciderò io per te!… Tornando a noi Olympia, mi dici perché non ci hai detto nulla? Come tuoi genitori avevamo il diritto di…»
«E smettila di fargli la morale!» e improvvisamente, la signora Provini prese la parola interrompendo il marito.
«Se ha deciso di non dirci nulla è perché non parliamo con lei da più di due anni. Eppure non siamo lontani dalla sua abitazione… Però non abbiamo mai avuto il coraggio di chiarirci una volta per tutte!»
Gli occhi erano tutti fissi sulla signora anziana che aveva dato sfogo al suo pensiero.
«Esatto mamma… Mi hai tolto letteralmente le parole di bocca… Sentito, caro papino? Dovresti prendere d’esempio questa povera donna che ti sopporta ogni giorno della sua vita!»
«Lei che sopporta me? Semmai il contrario! E poi non ti permettere di chiamarmi papino, capito? È già tanto se quando eri piccola non ti ho imposto di darmi del voi… Un grave errore che rimpiangerò fino alla fine dei miei giorni»
«Rimpiangi non avermi dato un’educazione degna della nostra famiglia?»
«Esatto cara figliola»
«Ma se sono più educata di te! Se tu quello che non hanno imposto un’educazione adeguata per mantenere unita una famiglia che sta cadendo a pezzi!»
«Ma come ti permetti?! Io…»
«Scusate se vi interrompo, ma credo che sia inutile litigare su tutto questo. Credo che peggio di così, voi, non possiate comportarvi»
«E tu chi sei nel dirci quello che dobbiamo fare?»
«Vedi papà? Siamo anche dei maleducati. Stavamo parlando senza prima integrare nei nostri discorsi il mio nuovo amico Roberto»
«E cosa centrerebbe lui con i problemi della nostra famiglia?» domandò il padre che si era messo a braccia conserte come segno di superiorità.
«Niente, ma dopo tutto questo tempo che non ci eravamo rivisti, potremmo evitare di litigare… Non credi?»
«E’ tutta colpa tua se agisco così. Come ho detto, tu e tua madre mi fate uscire fuori dai gangheri»
«E certo. Dai pure la colpa agli altri invece che a te stesso!» rispose la donna indignata.
«Mamma! Papà! Adesso smettiamola una volta per tutte… Vi presento ufficialmente Roberto, che è più di un mio caro amico»
All’inizio, il ragazzo giovane pensò di non aver capito le parole della sua amica, ma poi si rendette conto di aver udito bene.
“Cosa? E da quando in qua sarei più di un amico per lei? Chi lo ha deciso?”
Fissava la ragazza con sguardo di rimprovero. Ma Olympia non dette segno di vacillazione nelle sue parole. «Quindi questo vuol dire che… ti sei fidanzata?»
«Non proprio papà, ma credo di essere sulla strada giusta»
E mentre si rivolgeva al padre, guardava Roberto con un sorriso che sembrava gli occupasse tutta la bocca. «Ma che vuol dire che sei sulla strada giusta nel diventare la fidanzata di questo sconosciuto? O lo sei o non lo sei»
«Lo sono! Ecco, così va bene?»
«Beh Olympia, credo che tu stia correndo un po’ troppo…» mormorò Roberto mantenendo un sorriso tirato.
«E perché? Noi due ci vogliamo bene, e credo proprio che possiamo essere di più che due amici…»
“Ma se siamo a malapena conoscenti!”
«Hai sentito Stefania?»
«Ho sentito Adolfo. Non sono ancora diventata sorda… Almeno c’è qualcosa di positivo nella vita di nostra figlia. Prima l’abbandono, poi l’incidente e infine un ragazzo che sono sicuro la renderà felice»
«Lo spero proprio»
«Signora, sua figlia l’ho conosciuta solo qualche giorno fa’ e mi sembra esagerato che Olympia possa definirmi “il suo ragazzo”»
«Giovanotto, se non siete nemmeno d’accordo sul fatto se siete fidanzati oppure no, dovrete riguardare un po’ di cose sul vostro rapporto… E magari andare da uno psicologo…»
«Papà!»
«Adolfo!» gridarono insieme le due donne mentre Roberto era visibilmente imbarazzato e stizzito.
«Cosa? Non sarebbe una brutta idea…» e mentre stavano ancora discutendo, al signor Provini suonò il suo cellulare.
«Renzo, cosa vuoi?»
Nessuno dei presenti riuscì a capire cosa si stessero dicendo il padre di Olympia e lo sconosciuto dall’altra parte del telefono.
Dopo un paio di secondi, riattaccò e fu preso da una fretta indecifrabile.
«Stefania, dobbiamo andare. Devo risolvere delle questioni urgenti»
«Non ci posso credere che Renzo, quel santo del tuo consigliere, sia ancora al tuo servizio… Come fa a sopportarti dopo tutti questi anni?»
«Purtroppo finchè non va in pensione dovrà assorbirsi per un po’ le mie lamentele. Non può permettersi si licenziarsi, visto i tempi che corrono oggi… Dove troverebbe lavoro alla sua età?»
«Sì, purtroppo hai ragione… Povero Renzo» replicò rammaricata la ragazza giovane.
La signora Provini, molto educatamente e cordialmente, salutò la figlia abbracciandola e baciandola sulle sue guance rosse.
E a Roberto gli strinse la mano destra e dandogli pure a lui dei baci sulle guance.
«Torneremo presto a farvi visita. Figlia mia… Sono stata contento di riaverti rivista. E ora non voglio più perderti»
«Non mi perderai mai più mamma»
E le due donne furono presi da una viva commozione che per poco si misero a piangere.
«Sono vicino a te. Soprattutto dopo tutto quello che ti è successo»
«Grazie mamma» 
E la signora Provini, incitata dal marito per sbrigarsi nei saluti, uscì dall’abitazione molto irritata per i suoi modi bruschi.
«Ci vediamo presto Olympia. O almeno, lo spero…» e senza troppi fronzoli, se n’andò anche il signor Provini.
Dopo che il padre di Olympia ebbe richiusa la porta, Roberto pensò subito alla discussione avuta.
«Mi dispiace per la discussione accesa che ho avuto con i miei genitori…»
«Non occorre che ti scusi. È stata una visita alquanto inaspettata»
«Puoi dirlo forte»
«Ora, la cosa che più mi interessa sapere di te, è perché hai detto ai tuoi che sono fidanzato con te… Che bisogno c’era di dire tutto questo?»
«Non volevo sentirmi una nullità agli occhi di mio padre…»
«E questo ti da il diritto di dirgli una bugia? Per di più sul mio conto?»
«E’ una bugia innocua. Non facciamola diventare una questione di stato»
Roberto era molto innervosito dal comportamento di Olympia.
«E invece la faccio diventare una questione di stato! Ti devo ricordare che sono fidanzato con Rebecca?»
La giovane ragazza gli si avvicinò con modi sensuali che lo fecero per un momento fremere.
«Ora non pensare a lei. Sei a casa mia e sotto ho un vestitino che sono sicura che… ti piacerà»
Si levò la sua t-shirt e i suoi Jeans rimanendo con una calzamaglia che avrebbe fatto eccitare qualsiasi uomo. Ma non lui…
«Allora Roberto, che ne dici? Andiamo su in camera e ci facciamo un po’ di coccoline? Così ti farò vedere di cosa sono capace»
E tutta convinta, Olympia si diresse verso le scale, ma fu fermata dal tono di ripensamento del ragazzo giovane.
«No Olympia, non posso farlo. Mi dispiace… Io amo ancora Rebecca, anche se tra noi sono successi un sacco di problemi…»
«Ma se i suoi genitori non vogliono più vederti! Anche se non ho ancora compreso il perché… Ma questo ora a me non m’importa… Ho altre cose a cui pensare. Allora, vieni su da me?»
Le parole della ragazza non fecero minimamente vacillare Roberto, che si diresse verso la porta d’uscita. «Olympia, perdonami se puoi, ma devo andare da colei che ho avuto e che ho dato tutto… Addio»
E pochi secondi dopo, scomparve definitivamente sotto la vista della ragazza, dandogli il più freddo e inaspettato ben servito.
Ma in cuor suo Olympia, sapeva che non era ancora finita. Aveva perso la battaglia ma non la guerra.
«Devo sbarazzarmi di quella ragazza in coma se voglio conquistare l’unica persona che ha saputo capirmi pienamente»
E senza perdere tempo, pensò ad elaborare un piano efficace che avrebbe risolto i suoi problemi d’amore.

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Capitolo 7
*** 7° ***



Senza perdere più tempo con quella ragazza cui aveva un amore non corrisposto, arrivò in quell’ospedale che da un anno a questa parte, aveva dedicato la sua vita a stare vicino a Rebecca.
Finchè alla fine non si opposero i suoi genitori che erano ad un passo nello scoprire il passato tenebroso e difficile del ragazzo.
Si fermò dinanzi alla camera della ragazza vedendo con suo dispiacere, che probabilmente in un giorno non era mutato nulla.
A guardarla a vista c’era la signora Palieri. “Per fortuna non c’è il padre.” E facendosi coraggio, irruppe nella stanza facendo prendere un grande spavento alla povera signora anziana che aveva il cuore un po’ malandato.
«Buonasera signora»
«Tu qui? Ma dico, sei impazzito? Hai scordato gli avvertimenti di mio marito?»
«No signora Palieri, non ho dimenticato. Comunque vi assicuro che le accuse di suo marito sono prive di fondamento»
Nell’udire quelle parole, la signora anziana storse il naso distogliendo lo sguardo dal ragazzo.
«Mi spiace, ma non riesco proprio a crederti. Anche se sei stato per me un ragazzo molto simpatico, sono cambiate un sacco di cose…»
«Che cos’è cambiato, signora? Io sono sempre lo stesso. Non abbia paura di me»
«Di te, per ora, non ho paura, perché sono certa che non avresti mai il coraggio di farmi fuori qui dinanzi alla piccola Rebecca» disse la signora Palieri con tono ardito, coraggioso e sfrontato.
«Lei crede davvero che io sia un assassino?»
«Non si sa mai… In questa vita possono accadere un sacco di situazioni… Cambiando discorso, sei venuto qui per stare vicino a Rebecca?»
«Senza offesa signora, ma se non ci fosse la mia Rebecca, non verrei mai»
«Oh, ma non mi offendi, ragazzo»
«Suo marito è a casa?»
«Sì, ma presto tornerà per darmi il cambio. Sarà lui stanotte a stare vicino a Rebecca»
«Se potessi starci io…» rispose Roberto malinconicamente.
«Sai che non puoi… Anzi, forse è meglio se te ne vai e non ti fai più vedere da queste parti. Almeno per un po’»
«Signora, come potete dirmi una cosa del genere? Io separarmi dalla donna della mia vita? Mai!»
«Eppure sei stato quasi un intero giorno senza mai vederla per seguire quella… Come si chiama la tua amica che ha interrotto la litigata?»
«Olympia… Ma tranquilla signora. Non la rivedrò più»
«E perché mai ragazzo mio? È successo qualcosa tra voi due?» Roberto fissò la signora Palieri con tono storto e quasi minaccioso che immediatamente, la donna anziana ritirò quello che ebbe detto.
«Scusami, non sono affari miei…»
«Non si preoccupi. Rebecca da qualche segno di risveglio?»
«Macchè! I medici hanno detto che non si sveglierà a breve. Purtroppo…»
Prima che la signora anziana finisse la frase, sentì lo sbattere di una porta.
«Presto vattene! È mio marito che sta arrivando!»
«Vado subito signora Palieri e mi raccomando, non dica a nessuno del nostro incontro. Soprattutto a suo marito» disse con un filo di voce il ragazzo.
«Tranquillo, il nostro segreto è al sicuro. Ora vai» e senza farsi vedere, sgattaiolò fuori dalla stanza e uscì dall’ospedale senza farsi vedere da nessuno.
Per Roberto era venuto il momento di regolare i conti con il passato che ultimamente lo aveva attanagliato. E per assopire i suoi mali, dovette rintracciare un vecchio amico nonché complice di un tentato omicidio. «Elio, sono io» disse Roberto dopo aver tentato di rintracciarlo un paio di volte chiamandolo al cellulare. «Cosa vuoi da me?» L’uomo sembrò irritato nell’ascoltare la voce di colui che tante volte gli aveva parato il “sedere”.
«Cos’è tutta questa arroganza? Ti ho fatto qualcosa di male?» domandò Roberto facendo il finto tonto. «Non faccia l’ignorante con me, signor Livisi. Lo sai benissimo la cosa che ci lega a noi…»
«Ora mi dai pure del lei? Vabbè che non ci vediamo da un anno, però non pensavo che saremmo diventati degli sconosciuti. Sbaglio, o hai riconosciuto immediatamente la mia voce? Eppure non ho detto chi sono…» «Com’è perspicace, signor Livisi»
«Avanti Elio, smettila. E parliamo di cose serie»
«Giusto. Tagliamo corto questa conversazione. Avrei da fare…»
«Accipicchia! Prima che io ti dessi la ricompensa per il lavoro svolto, eri solo uno straccione nullafacente che rubava nei piccoli negozi. E ora sei diventato un uomo impegnato? Che fai dei bello?»
«Questi non sono affari tuoi!» disse sprezzante il vecchio complice di Roberto.
«Andiamo, siamo vecchi amici, no?»
«Io non sono mai stato amico tuo!»
«Eppure mi hai fatto un grande favore ed è questo che gli amici si fanno a vicenda. Oppure sbaglio?» «Cerca di non tirarla troppo per le lunghe, perché come ti ho detto, avrei da fare»
«Dimmi come te la passi e poi andrò subito al punto»
«Ho un appuntamento al casinò con gente facoltosa che ho conosciuta pochi giorni fa’»
«Casinò? Gente facoltosa? Te la passi bene! Attento a non giocare troppo d’azzardo perché sai benissimo cosa ti potrebbe accadere…»
«Sono un uomo maturo, caro Roberto. Stai pur tranquillo che non ho nessuna voglia di tornare a fare il barbone»
«Ne sono certo. Dove ti trovi di bello? A Montecarlo? Las Vegas?»
«Fuori da un lurido paese dove ho trovato solo rogne come te»
«Sei libero di non dirmelo… Però strano che hai tenuto questo numero. Se tu l’avessi eliminato non ti avrei mai potuto chiamare, sai?»
«Ho sempre immaginato che alla fine avresti riavuto bisogno di me… E credo proprio che sia stato così. Non è forse vero?»
«Verissimo, caro Elio. Immagino che ci sei dietro tu sulla sparizione di alcuni documenti riguardanti l’incidente di Rebecca…»
«Essendo fuori dall’Italia, ho ingaggiato un uomo fidato che lo ha fatto al posto mio. Pagato profumatamente, come tu hai fatto in passato per me»
«Splendido! Ottimo lavoro. Ora ti dai pure a questi tipi di giri? Assumi chi vuoi tu per fare il lavoro sporco al posto tuo?»
«Che ci vuoi fare… Forse ho preso dal migliore»
«Ahahah, grazie delle belle lusinghe. Potrei incontrare il tuo uomo per parlarci a quattrocchi? Così potrei congratularmi con lui di persona…»
«Meglio di no, visto che sei tallonato da agenti di polizia…» Roberto rimase esterrefatto dalle dichiarazione di Elio. Sembrava essere diventato capo di un circolo malavitoso.
«E tu come fai a saperlo?»
«Ho i miei interlocutori… Per paura che tu spifferi qualcosa a persone sbagliate. Come ad esempio alla tua nuova amica. Mi sembra che si chiami Olympia, giusto?»
«Elio, smettila di farmi seguire dai tuoi uomini o te la faccio pagare!»
«Stai calmo Roberto, non c’è niente di cui preoccuparsi. E poi non sei nella posizione di fare minacce. Se sgarri un minimo su questa storia, finisci male. Io ti ho avvertito. Stammi bene Roberto e goditela la vita, come sto facendo io»
Ed Elio riattaccò il telefono facendo montare su tutte le furie Roberto.
“Maledetto! Lo sapevo che non dovevo fidarmi dei tipi bastardi come lui. Ho subito notato che in lui albeggiava qualcosa di crudele… Ma che ora diventasse quello che penso io… Un malavitoso senza scrupoli?...”
Intanto la povera Olympia, che non mandava giù il rifiuto di Roberto, continuava a tempestarlo di chiamate fino a mandarlo all’esasperazione.
Alla fine l’uomo cedette e rispose.
«Olympia! Smettila di chiamarmi! Tra noi due non può funzionare!»
La ragazza era triste e aveva lo sguardo pieno di lacrime. Ma per non farglielo capire, si mostrò dura e incomprensiva.
«Come fai a esserne sicuro se non c’abbiamo nemmeno provato? Ci conosciamo a malapena! Dammi almeno una possibilità. Saprò amarti come nessun’altra»
«Olympia, smettila una buona volta di perseguitarmi con questa storia!»
A quel punto, la povera ragazza, perse tutta la calma che poteva possedere sfogandosi contro di lui.
«Con i tuoi fiori… Con le tue belle parole… Con la tua compagnia… Tu mi hai solo usato per i tuoi scopi e per non pensare a quella maledetta della tua fidanzata!»
«Non ti permetto di maledirla! Chi sei tu nel dire queste cose?» ribattè infuriato Roberto.
«Lo scoprirai presto… Ti odio Roberto Livisi!» gridò e attaccando la chiamata demolendo con rabbia il suo cellulare.
“Ci mancava pure quella pazza a rendermi l’esistenza difficile. Come ho potuto cadere in tentazione per quella megera?”
I problemi dell’uomo continuavano a moltiplicarsi senza un attimo di sosta. Sembrava che fosse solo contro tutto il mondo. E in verità, solo lo era.
«Ancora tu? Non sono stato abbastanza chiaro? Ti ho detto di andartene per sempre e di non farti mai più rivedere!» gridò il signor Palieri appena Roberto varcò la stanza d’ospedale dove giaceva ancora dormiente la povera Rebecca.
 “Chissà se a tutti quegli strepiti e urla potesse avvertire qualcosa. Di sicuro niente di buono…”
Il ragazzo si accomodò sulla sedia senza distogliere lo sguardo dal padre della ragazza e dalla madre che sembrava spaventata.
«Che diavolo stai facendo?» continuò a domandare l’uomo anziano.
«Allora, mi dica tutto quello che vuole sapere. Sono a sua completa disposizione»
Il signor Alfredo non comprendeva il repentino cambiamento d’idea di suo cognato.
«Come mai ti presenti qui? E perchè tutto ad un tratto hai cambiato idea?»
«Voglio solo confessare tutti i miei mali… E lo faccio solo per sua figlia e per dimostrargli che io la amo sopra ogni cosa»
«Non ti credo, ragazzo. Se tu l’avessi amata, scommetto che non si troverebbe in questo letto d’ospedale» «Avete ragione per metà…»
«Allora inizia a spiegarti meglio: cos’è successo quella sera di quasi un anno fa’?»
Prima che Roberto iniziasse a parlare, La signora Palieri monopolizzò l’attenzione.
«Forse è meglio che io me ne vada. Scommetto che vorrete rimanere soli…»
Ma con un segno con la mano, Roberto la fermò prima che se n’andasse definitivamente.
«No signora, deve sapere anche lei. In fondo è sempre la madre»
Con quel gesto, la signora anziana lo accarezzò sulla fronte sussurrandogli qualcosa di incomprensibile.
«Il tuo coraggio ti onora, Roberto»
Ma il ragazzo, con sguardo freddo e duro, fisso la madre della sua amata mormorandogli: «Ora dite così, ma dopo non sarete dello stesso parere»

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Capitolo 8
*** 8° ***



 
«Elizabeth, stai lontana da lui!» ordinò suo marito.
«Ora è giunto il momento di parlare. Abbiamo aspettato fin troppo. Avanti Roberto, procedi»
Prima di raccontare la sua versione dei fatti, il ragazzo contemplò tutti i suoi chiari ricordi felici e spensierati che condivideva con la sua ragazza.
«Mi sembra incredibile che sia passato quasi un anno. Quel dolce profumo di rose, che inebria ancora la mai mente… Ora invece sembra sparito tutto per sempre…»
«Ti stai riferendo al profumo che si metteva sempre mia figlia?»
«Certo signor Palieri. Stiamo parlando di lei, no? Sembrava una giornata come le altre e invece…»
Ad un tratto si sentì un colpo di pistola che frantumò la finestra della camera d’ospedale.
La scena fu così surreale per il semplice motivo che era successo tutto in fretta.
«Dannazione! Mi hanno colpito!» disse Roberto con tutta la voce che aveva in corpo.
«Oh mio Dio!» gridò invece la signora Palieri.
«Che cosa è successo?»
Il primario dell’ospedale era accorso nella stanza colpita per capire cos’era quel rumore.
«Qualcuno ha sparato dalla finestra e ha colpito la spalla il povero Roberto» rispose con sangue freddo e senza perdere la calma il vecchio signor Palieri.
«Dobbiamo subito estrargli la pallottola. Dottor Capini!»
«Eccomi! Cos’è successo?»
«Presto, dobbiamo portarlo in sala operatoria»
«Subito, dottor Danesi»
«Signori Palieri, voi intanto chiamate immediatamente la polizia per far luce sull’accaduto»
 
L’uomo ferito, si risvegliò dopo un paio d’ore a causa dell’anestesia totale che gli avevano somministrato. «Dove mi trovo? Cosa è successo?» domandò con un filo di voce al dottor Danesi che lo aveva assistito per tutto il tempo.
«Sei in un letto d’ospedale perché ti hanno colpito con un proiettile alla spalla sinistra. Per fortuna è andato tutto per il meglio e il colpo non ha danneggiato nessun organo vitale»
«Sì, ora ricordo tutto… Ma come è potuto succedere?»
«Gli investigatori stanno ancora continuando ad indagare. Probabilmente dopo verranno a farti delle domande. Ma ora riposati. Ne hai bisogno»
E si congedò dal suo paziente per dare notizie incoraggianti ai signori Palieri che temevano per la sua vita.
 
«Ora sta bene?»
«Si riprenderà Alfredo, non preoccuparti. Come ho detto a lui, è stato fortunato che il colpo abbia colpito la spalla e non organi vitali. Ma ora ditemi, com’è potuto accadere tutto questo?»
«Non lo so Federico… è successo tutto all’improvviso. Prima il sordo botto di qualcosa che non avevo compreso, poi la rottura della finestra e infine il proiettile che va a colpire il povero ragazzo. E poi tutto quel sangue… è stato orribile!»
«Lo credo. E gli investigatori cosa dicono?»
«Cosa vuoi che dicono… Hanno solo scoperto dov’è partito il colpo: dal tetto di un palazzo qui vicino» «Allora a sparare è stato un vero cecchino!»
«Penso proprio di sì. Ora quello che bisogna capire è: perché?»
«Una domanda da un milione di euro! Ora scusami Alfredo, ma vado ad assicurare alcuni pazienti che si stanno continuando a preoccupare per questa faccenda»
«Sì sì, tranquillo. Posso vedere Roberto?»
«E’ meglio che ora riposi. Magari più tardi»
«Nessun problema, Federico»
 
«Non puoi essere stato tu… Maledetto! Che tu sia maledetto!» urlava a squarciagola Roberto a causa dell’effetto dell’anestesia.
«Dottore! Dottore!» chiamava intanto il signor Palieri che era venuto a vedere in che condizione era il ragazzo.
«Lasciami andare! Lasciami andare!» continuava intanto a gridare.
Ma nemmeno un dottore si faceva vedere.
«Dottore! Aiuto! Ma non c’è nessuno in questo ospedale?»
E alla fine il primo medico che si trovava nelle vicinanze arrivò nella stanza di Roberto.
«Che diavolo gli sta succedendo?»
Per calmare il pover’uomo dovettero iniettargli un sedativo che fece immediatamente effetto.
«Niente di grave… è colpa dell’anestesia se si era agitato così…»
«Ma quando si potrà riprendere definitivamente?»
«Non appena il ragazzo si risveglierà. Stia tranquillo. Lei è un parente?»
«Beh no…»
«Allora non posso dirgli niente. È la prassi. Il ragazzo non ha un familiare stretto che possiamo contattare?» «Ora che ci penso dottore… C’è sua madre»
«Bene, ha qualcosa per rintracciarla? Un indirizzo o un numero di telefono?»
«Sì certo. Ecco a lei»
 
L’ultima volta che Roberto aveva visto sua madre, avevano litigato ferocemente sulla questione di andare a vivere con Rebecca, una volta che lei si sarebbe svegliata.
Anche se la signora Livisi comprendeva che ormai suo figlio era diventato un uomo, non accettava di rimanere in casa da sola, dopo la scomparsa del padre avvenuta quindici anni fa’.
Quei tempi per loro furono molto duri, ma grazie all’aiuto dei parenti, hanno tirato avanti facendo un sacco di sacrifici.
Sua madre aveva trovato un buon lavoro come operaia in una fabbrica tessile che non conosceva crisi, non facendo mai mancare nulla al suo unico figlio.
Dopo questa notizia, sua madre era corsa immediatamente in ospedale per saperne di più.
Quando qualcuno gli diceva che suo figlio è o era stato in pericolo, diventava la persona più ansiosa e preoccupata che un essere umano può incontrare sulla sua strada.
E l’ennesima prova ce l’ebbero i medici dell’ospedale.
«Dove si trova mio figlio?»
«Come si chiama suo figlio, signora?»
«Roberto Livisi. Allora, dove si trova?!»
«Stia calma signora, sto controllando»
«Non potrebbe essere più svelto? I computer aiutano a questo!» continuava a dire impaziente la madre del ragazzo, fino a che intervenne il primario dell’ospedale.
«Mi scusi, lei è la madre di Roberto Livisi?»
«Esattamente. Sa  dove posso trovare mio figlio?»
«Al secondo piano. Attraversi un lungo corridoio fino ad arrivare alla camere 57. Lì si trova suo figlio»
E senza dire nemmeno un grazie, corse su per le scale con la rapidità di un fulmine.
 
«Tesoro! Finalmente ti ho trovato!» disse la donna con tono disperato, vedendo ancora suo figlio che stava ancora dormendo.
«Mi scusi, lei chi è?»
«Sono Alfredo Palieri. Il padre della fidanzata di suo figlio»
«Oh mi scusi, non l’avevo riconosciuta» rispose la signora Livisi con tono di scuse.
«Come sta mio figlio? Mi dica che è fuori pericolo»
«Sì, stia tranquilla. È sotto sedativo e tra poco si dovrebbe risvegliare»
«Grazie al cielo! Ma com’è successo?»
Con tono pacato ma nervoso, il signor Palieri raccontò tutto quello che sapeva sulla sparatoria avvenuta nella stanza di sua figlia.
«Come?! Gli hanno sparato?! Chi diavolo è stato?!»
«Purtroppo signora, questo non lo sappiamo ancora. La polizia sta indagando tutt’ora»
«Se lo becco quel maledetto disgraziato, fa una brutta fine!»
E per sfogarsi, diede un colpo al carrello che stava accanto al letto di suo figlio.
«Signora! Cosa sta facendo?» mormorò l’anziano con tono spaventato per il rumore causato.
«Mi scusi. Quando sono preoccupata divento una persona intrattabile… A proposito, come sta sua figlia? Roberto mi ha raccontato tutto quello che è successo»
Per non turbare notevolmente quella furia della signora Livisi, il signor Palieri evitò di sollevare la questione su una verità non ancora svelata per quanto riguardava il figlio della donna.
Una verità che conosceva solo Roberto e il suo illustre complice.
«Sempre uguale. È ancora in coma» disse in poche parole l’uomo con tono triste.
«Oh. Mi dispiace»
«Povera piccola. Non si meritava un simile destino»
All’improvviso, con la coda dell’occhio, la signora Livisi vide il braccio sinistro di suo figlio che si stava muovendo.
«Sì sta svegliando!» aveva detto con somma gioia.
Alla fine il ragazzo si sveglio.
«Roberto! Meno male. Ho temuto per te» e con le lacrime agli occhi, piombò su suo figlio dandogli un forte abbraccio.
«Mamma… Sei tu?»
«Certo che sono io!»
«Ma dove mi trovo?»
«Sei su un letto d’ospedale. Non ti ricordi che sei stato colpito da un proiettile alla spalla?»
«Oh… sì…»
«Chiamo subito il dottore per dirgli che si è svegliato»
E il signor Palieri uscì dalla stanza con sguardo sollevato, senza pensare a riprendere la conversazione lasciata in sospeso.
«Figlio mio. Mi ha fato preoccupare un sacco» disse sua madre continuando a coccolarlo come se fosse tornato piccolo.
«Non è stata colpa mia…»
«Non lo fare mai più, hai capito?»
«Ma Mamma…»
«Niente ma Roberto. Appena ti riprendi torni a casa e che tu lo voglia o no, non uscirai dalla tua camera da letto per almeno una settimana»
Per evitare di iniziare una brutale discussione e di contraddire la sua fervida madre, decise di non rispondere.
«Roberto, finalmente ti sei svegliato» era la voce del dottor Capini che era arrivato nella sua stanza.
Gli fece una visita veloce di tutto il corpo e potè constatare definitivamente che non c’erano state complicazioni dopo la sua operazione.
«Per fortuna è andato tutto per il meglio. Dopodomani può già tornare a casa»
«Sia ringraziato il cielo!» disse la signora Livisi facendo un lungo sospiro.
«E di colui che gli ha sparato si sa qualcosa?»
«No signor Palieri. Queste sono domande che dovete rivolgere alle autorità competenti, non a me»
«Sì, ha ragione» e dopo aver chiarito tutto quello che riguardava Roberto, si congedò dai due signori andando a visitare altri pazienti.
 
Il telefono squillava, ma la persona dall’altra parte esitò un momento nel rispondere.
«Pronto, chi è?»
«Capo sono io»
«Meno male. Pensavo che fosse quel piantagrane di Roberto. Hai fatto quello che ti ho chiesto?» Quest’ultima voce era del vecchio complice di Roberto: Elio, che a sua volta, aveva mandato qualcuno a spiare l’uomo per controllare che non facesse cavolate.
Ma purtroppo non fu così. Il complice di Elio, che teneva continuamente aggiornato il suo capo, gli disse che doveva immediatamente intervenire per fermare Roberto, che stava per spifferare tutto sulla faccenda che riguardava l’incidente di Rebecca.
«Fa quello che devi» Aveva risposto Elio al cecchino.
 «Ma lo devo eliminare, oppure lo ferisco soltanto?»
«Mmh, per ora feriscilo soltanto… Spero che poi capisca con chi ha davvero a che fare…»
«Per il suo bene lo deve capire, capo»
«Sei un cecchino eccellente John. Vedi di non deludermi»
«Stia tranquillo capo. Non lo farò» E non lo aveva fatto. Roberto Livisi era stato colpito in una zona del corpo non critica, evitando così il pericolo di morire.
 
Il giorno dopo l’operazione trascorse più velocemente del previsto.
Per ingannare il tempo, Roberto aveva trovato il tempo per leggere alcuni dei suoi libri preferiti come i romanzi del Titanic e alcuni libri che trattavano di cose fantastiche e misteriose.
In fondo la sua vita conteneva abbastanza mistero per scriverci un libro.
Però non dedicò tutto il tempo a leggere.
«Buongiorno Roberto, come ti senti?»
I due ispettori di polizia, Coliandri e Palombi, erano venuti a verificare direttamente la sua salute.
«Non c’è male, ispettore Coliandri»
«Siamo molto contenti che non sia accaduto niente di grave» rispose l’altro ispettore.
«Vi ringrazio. Tutti e due»
Mentre la conversazione era appena iniziata, furono subito interrotti dall’invadente madre di Roberto. «Buongiorno. Voi chi siete?»
«Buongiorno signora. Sono l’ispettore Coliandri e questo è il mio collega, ispettore Palombi. Siamo venuti a trovare vostro figlio»
«E’ molto gentile da parte vostra» disse cordialmente la donna.
«Per caso siete voi che vi occupate del tentato omicidio nei confronti di mio figlio?»
«Esattamente, signora. Stiamo facendo del nostro meglio per identificare il criminale interrogando tutti coloro che ieri si trovavano nell’edificio e nei suoi paraggi verso le cinque del pomeriggio»
«E avete scoperto qualcosa di utile?»
«Purtroppo no. Sembra che nessuno abbia visto niente… La cosa non ci convince. Come può una persona non essere identificata con un fucile da cecchino quando il sole non era ancora tramontato?»
«Beh, non saprei…»
«Lei dov’era ieri sera a quell’ora?»
«Ero al lavoro, perché? Mica sospetterete di me, spero»
«Oh no, stia tranquilla. È solo un piccolo interrogatorio di routine. Che lavoro fa’?»
«Lavoro in una fabbrica tessile»
«Bene… Ora dovremmo interrogare lei, Roberto.»
Il ragazzo, rimase un attimo muto di fronte a quella richiesta.
Dopo la tentata rivelazione avvenuta ieri e interrotta dal colpo di pistola che l’aveva ferito, aveva paura di essere spiato, rischiando ancora una volta la vita se avesse detto qualcosa di compromettente.
«Proprio ora? Vedete, sono molto stanco e l’operazione di ieri ha tolto gran parte delle mie forze»
«Sta tranquillo. Non ci vorrà molto» disse con tono tranquillo l’ispettore Palombi.
«Se mio figlio non se la sente di rispondere alle vostre domande, vuol dire che lo interrogherete un’altra volta» La signora Livisi stava tornando ad essere irascibile come suo solito.
«Signora, dobbiamo interrogare le persone principali su questa faccenda e più aspettiamo, più il colpevole non sarà più rintracciabile»
«E mi dite cosa centra mio figlio? Cosa vuole che ne sappia del criminale?»
«Magari ha alcuni nemici…» ribattè l’ispettore Coliandri facendo il vago.
«Io non ho nessun nemico»
Gli sguardi dei due poliziotti si posarono fissi e minacciosi sul ragazzo ferito, che aveva appena ricordato del suo primo interrogatorio proprio con loro.
«Roberto, noi e tu sappiamo che non è così»
Ora pure sua madre lo cominciò a fissare.
«Cosa stanno dicendo Roberto? Che parte hai in questa storia?»
I due ispettori lo avevano incalzato ancora una volta.
Forse era giunto il momento di dire le cose come stavano?
«Mamma, lasciaci soli»
«Cosa? E per quale motivo?»
«Devo scambiare alcune parole in privato con questi due signori. Se non ti dispiace…»
«Mi dispiace eccome! Ti ricordo che sono tua madre ed ho il diritto e il dovere di sapere tutto della tua vita! Vita, morte e miracoli! Hai capito bene?»
«Ti prego di non trattarmi come un poppante. Ormai sono un uomo maturo che sa benissimo badare a se stesso»
«Ah davvero? Beh, io non la vedo in questa maniera. Tra noi due non ci devono essere segreti. Soprattutto in questo momento»
«Quando le cose si sistemeranno, chiarirò il problema anche con te»
«No Roberto, io…»
«Fiona Livisi, sei pregata di aspettare fuori da questa stanza, mi hai capito bene?!»
Roberto non si era mai permesso di chiamare sua madre con tono furioso e per di più per nome e cognome. Aveva raggiunto la sua rabbia massima e i due ispettori, con molto imbarazzo, avevano assistito all’intera scena.
«Va bene. Farò come vuoi tu…» e con gli occhi gonfi di lacrime, uscì di volata dalla stanza.
Fu la prima volta che la signora Livisi ricevette una sgridata del genere.
«Vi prego di scusare mia madre, ispettori»
«Perché non ha voluto che sua madre assistesse al tuo interrogatorio?»
«Vedete, tra mia madre e me ultimamente non corre tutto questo buon sangue. Qualche tempo fa’ abbiamo litigato furiosamente e me ne sono andato via di casa. Mi dovetti comprare un appartamento con i pochi risparmi che avevo. Tutto pur di non tornare da mia madre. Almeno per ora»
«Cosa è successo di così grave da andarsene di casa?»
«Ispettore Palombi, questi non sono affari suoi. E di sicuro, non fanno parte del tentato omicidio»
«Oh certo, mi scusi… Allora, ci dica, cosa stava facendo nella stanza d’ospedale dove tuttora si trova la sua fidanzata?»
«Ero andato lì per provare a riconciliarmi con i coniugi Palieri. Sostengono che sia stato io l’artefice dell’incidente capitato a sua figlia»
«E non è forse vero?» domandò l’Ispettore Coliandri con tono sospetto e ironico.
«Ispettore, ne abbiamo già parlato. Io con lei e il suo collega. Queste accuse sono prive di fondamento» «Allora ci illumini, signor Livisi: lei come si spiega un criminale che si apposta su un tetto di un palazzo con forse l’intenzione di ucciderla? Perché mi creda, se avesse voluto, lei poteva essere colpito in una zona diversa dalla spalla»
Nella testa di Roberto balenò immediatamente questa ipotesi. Dopotutto pensava, che l’ispettore non avesse detto il falso.
«Lei crede veramente?»
«I cecchini non sono sprovvisti di mira. È una cosa indispensabile che devono assolutamente avere. E poi sanno quali sono le parti del corpo vitali e quali no… Quindi il criminale, sapeva benissimo che lei sarebbe stato ancora vivo»
Roberto era visibilmente sconvolto dalle pieghe che stavano prendendo gli eventi di questa storia.
«Quindi, per il suo bene, ci dica se è stato lei a manomettere i freni della sua ragazza o se ha avuto un complice. Le assicuro che la pena sarà ridotta notevolmente e lei non rischierebbe più la vita»
«E certo, perché starei al fresco… E comunque ve lo dico per l’ultima volta: non ho causato l’incidente della mia ragazza e di conseguenza non ho mai avuto un complice! Spero che mi abbiate capito una volta per tutte!» ribattè seccato e innervosito come non mai.
«Ok. Penso che per oggi possa bastare. La ringrazio per il suo tempo che ha dedicato a noi»
E i due ispettori si incamminarono verso l’uscita dalla sua stanza.
«Un’ultima cosa… Rifletti bene su questa storia. È ancora in tempo per confessare il tutto prima che la sua famiglia o i suoi amici e conoscenti più stretti, possano piangere la sua morte»
«Stia tranquillo. Non mi piangeranno molto presto»
 
Da quel momento Roberto, si sentiva ancora di più in serio pericolo.
Le questioni erano due: nascondere ancora la sua verità rischiando la vita oppure raccontare tutto e risalire al suo vecchio complice che era stato l’artefice dell’incidente.
Dopo che i due ispettori se n’erano andati definitivamente, la madre di Roberto rientrò nella sua stanza con gli occhi rossi per aver pianto.
«Perché mi fai tutto questo? Perché non posso più essere partecipe della tua vita?»
«Perché non andiamo più d’accordo come una volta, mamma. E finchè tra noi due non ci saranno dei chiarimenti, non ti intrometterai mai più nella mia vita. Mi sono spiegato»
«Non ti ho mai fatto mancare nulla. Cibo, giocattoli… Nulla. E tu ti permetti di trattarmi così? Dovresti ringraziarmi se non sei morto di fame o di qualche altro male di questo mondo!»
«E chi dovrei ringraziare per aver avuto un’infanzia infelice e traumatica? Tu, mamma!»
«Ma cosa diavolo stai dicendo? Cosa ho fatto di male?»
«Non fare la finta tonta con me, Fiona Livisi. So tutto. Mia nonna, ovvero la mamma di mio padre che non vedo da un’eternità, mi ha raccontato che sei stata tu la causa della fuga di nostro padre!»
«Sono accuse ridicole Roberto!»
«Ah sì? Allora dimmi, hai mai tradito mio padre?»
Roberto fissava intensamente sua madre tremante per quella domanda inopportuna e anche pericolosa. «Non provare a mentirmi perché ormai ti conosco bene»
«E’ stata una notte d’amore… una sola e inutile notte d’amore… Non avrei mai creduto che lo avesse scoperto… E ora anche tu lo sai»
«Non ci posso credere. Allora è tutto vero. Chi è quel bastardo figlio di buona donna che ha osato rovinare la nostra famiglia?»
«Noi due non siamo mai stati una vera famiglia. Da quando mi sono sposata con tuo padre, ho capito che non era l’uomo giusto per me»
«Accidenti! Te ne sei accorta un po’ tardi, non credi?»
«Hai ragione. Ti devo confessare che mi sono sposata con tuo padre solo per i suoi soldi…»
Roberto continuava a rimanere stupito dalle dichiarazioni della madre senza riuscire ad esprimere altre sentimenti tranne che il disgusto.
«Sì, peccato che il tuo piano non ha funzionato visto che siamo rimasti senza un centesimo… Sei una donna senza scrupoli. Mi fai veramente schifo! Quello che non capisco è il perché non sia mai venuto a trovarmi» «Si è ripromesso che della sua famiglia non voleva più sentir nominare. Ha sofferto troppo»
«E cosa centro io? E’ colpa tua… è solo colpa tua…»
«Non ho scuse che tengano. Hai assolutamente ragione tu. L’unica cosa di cui mi sono liberata, è il peso di dirti tutto questo»
Il ragazzo giovane aveva gli occhi lucidi. Aveva voglia di piangere, ma la sua rabbia gli impediva di mostrare altri sentimenti.
«Vattene fuori di qui! Non voglio più vederti!»
«Roberto ti prego, perdonami…»
«Vattene immediatamente! Non voglio più vedere la tua lurida faccia!»
E se n’andò com’era arrivata: con gli occhi gonfi di lacrime e di dolore.
 
«Bene Roberto, puoi tornartene a casa. Dov’è tua madre?» domandò incuriosito il primario Danesi.
«Io non ho più una madre…»
«E’ successo qualcosa di grave?»
«Sono successe troppe cose… Troppe per raccontarle a qualcuno…»
«Vuoi che torni più tardi? Puoi rimanere ancora qui per qualche ora, se vuoi»
«Con la possibilità di rivedere mia madre varcare quella soglia? Assolutamente no. Prendo le mie poche cose e me ne ritorno a casa»
«Ok, come vuoi tu»
E il medico lasciò la stanza del ragazzo giovane per farlo immergere nel male dove era appena piombato da pochi istanti.
 
Per uscire dall’ospedale, Roberto passò nel corridoio che conduceva alla stanza della sua ragazza.
Per prima cosa incrociò i signori Palieri.
«Come stai, ragazzo?»
«Molto bene, signor Palieri. Mi hanno appena dimesso. Me ne torno a casa per riposarmi in santa pace» disse il ragazzo senza specificare null’altro.
«Capisco, ma forse ora è meglio di no… C’è una cosa che ti devo far vedere e dire…»
«Si è risvegliata Rebecca?»
Per un istante gli occhi di Roberto sembravano illuminarsi di una luce immensa di speranza e di felicità, ma purtroppo fu non così.
«Magari, figliolo. Sarebbe stato troppo bello pure per me… Vieni, te lo mostro»
Gentilmente il signor Palieri scortò il ragazzo nella stanza della povera ragazza in coma per fargli vedere una persona che avrebbe portato per l’ennesima volta scompiglio nella sua vita.

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Capitolo 9
*** 9° ***



 
Roberto vide un ragazzo seduto che stringeva la mano destra della povera Rebecca, baciandola ripetutamente.
«Ma… Chi è quest’uomo?» si domandò il ragazzo giovane non capendo il momento e dove voleva andare a parare l’anziano signore.
«… Quell’uomo presume di essere… Il fidanzato di Rebecca»
Ancora una volta a Roberto, gli era crollato il mondo addosso. Forse l’universo… Rimanendo sbalordito per quella vita che lo metteva dinanzi a prove e sorprese di ogni genere.
«Ma cosa diavolo state dicendo? Non è possibile… Non può essere vero. Sono io… il solo e unico suo fidanzato»
«A quanto pare quel ragazzo giovane, che sembrerebbe avere la tua stessa età, non dice così. Che ne dici di andarci a parlare con calma?»
Ma Roberto era tutto, fuorchè calmo.
«Andarci a parlare con…? No, no. Appena me lo trovo davanti gli sgancio una pugno dritto in muso che se lo ricorderà finchè campa!»
«Non peggiorare la situazione, ragazzo. Non mi sembra la soluzione adatta. Se vuoi possiamo parlarci insieme, e se per caso tu perdi le staffe, ci sarò io a fermarti»
«Ma perché lei non ci ha ancora parlato?»
«Mi ha solo detto chi è ed il motivo della sua visita… Poi per il resto ero troppo scosso per starlo a sentire. Avevo bisogno di qualcuno che mi desse coraggio. Mia moglie Elisabeth in questo momento è a casa e la persona che mi potrebbe dare coraggio in questo momento sei tu, Roberto. Come hai fatto fino a pochi giorni fa’. E poi mi è sembrato doveroso che tu lo dovessi sapere…»
«Avete fatto bene… Ma la cosa che in questo momento mi fa infuriare è che lei ha lasciato sua figlia in valiade di uno sconosciuto? Siete pazzo o?...»
«Ho lasciato mia figlia solo per pochi secondi. E in quei secondi ti stavo venendo ha cercare»
«Va bene… E come si chiama il ragazzo?»
«Angelo. Angelo Primieri»
 
Lo sguardo di Roberto tradiva un po’ d’impazienza, ma anche di forte rabbia per vedere quell’uomo che raccontava di essere il ragazzo della sua amata.
Appena entrò nella stanza, il ragazzo sconosciuto si voltò, scambiando con Roberto degli sguardi furenti e pieni di tensione.
«Chi sei tu?» iniziò a dire Angelo.
La prima reazione di Roberto fu di sdegno assoluto.
«Dovrei essere io a iniziare a farti questa domanda…»
Angelo scosse la testa come segno che non capiva.
«Tu… Che dopo un anno dall’incidente di questa ragazza ti presenti come nulla fosse e dici di essere il suo ragazzo… Ebbene, cosa vuoi tu dalla sua famiglia? E da me, s’intende…»
«So benissimo di essere caduto come un fulmine a ciel sereno… Mi hanno informato alcuni miei amici solo pochi giorni fa’ di tutto quello che era accaduto a Rebecca. Da un anno a questa parte mi ero trasferito a Londra per studi e…»
Roberto ascoltava intensamente il nuovo arrivato, così intensamente da scrutarlo nel profondo dei suoi occhi.
«E cosa? Avanti, continua»
«Prima dimmi tu chi sei e forse continuerò a parlarti di me»
Era giunto il momento di dirgli la verità. Di confessargli che non c’era posto per lui nel cuore della sua ragazza.
«Non vorrei vantarmi troppo, ma sono il primo e unico fidanzato che Rebecca abbia mai avuto. Mi chiamo Roberto Livisi»
«Cosa? Tu sei quel Roberto che lavora nella ditta di traslochi?»
«Sì perché? Hai preso un appuntamento con il mio capo?»
«No, no… è solo che… Rebecca mi ha parlato molto di te»
Roberto rimase sbalordito da quella notizia. Tanto che la sua rabbia repressa continuava ad aumentare sempre di più.
«Cosa? Ho capito bene? Rebecca ti avrebbe parlato di me?»
«Precisamente… Ti posso dare del tu?»
«Puoi farla breve… Finisci di dirmi quello che voglio sapere e vattene da qui!»
«Non hai nessun diritto di cacciarmi»
«Io no, ma i medici sì. Sono amici miei e del padre di Rebecca»
Gli occhi di Angelo diventavano più seri e nervosi per come era stato trattato dal suo rivale in amore. «Cambiando discorso e rilassiamo gli animi. Parlami un po’ di Rebecca» disse Angelo con tono tranquillo.
«E speri che io ti riveli qualcosa di lei?»
«Dimmi almeno come sta…»
«Sei stupido o lo fai apposta? Lo puoi vedere benissimo con i tuoi occhi…»
«Non si è ripresa  minimamente dopo un anno?»
«Nemmeno un piccolo miglioramento»
«Ma com’è potuto accadere?»
«Era in macchina e ad un certo punto ha perso il controllo ed è andata a sbattere contro un albero»
«E dov’è che si stava dirigendo?»
«Ma che diavolo te ne frega eh?!» ribattè incollerito Roberto.
«Forse stava venendo da me…» mormorò invece l’altro ragazzo.
«Cosa stai blaterando? Nascondi qualcosa?»
«Beh… Io…»
«Parla! O ti farò pentire di essere venuto qui...»
Il suo avvertimento fu interrotto dal dolore alla spalla, che evidentemente, non era ancora guarita.
«Che ti succede? Stai bene?»
«Non fare il preoccupato divagando l’argomento!» disse Roberto attaccando sempre di più il povero ragazzo.
«Stavo cercando di fare la persona educata, a differenza tua.»
«Io almeno non cerco di fregare la donna d’altri. Hai presente il nono comandamento?»
E fu in quel momento che Angelo sbollentò di rabbia.
«Ma quale fregare e fregare! Ti confesserò una cosa che penso proprio tu non sappia… Io e Rebecca avevamo una storia d’amore da un paio di mesi. Due settimane prima della mia partenza di Londra gli avevo domandato gentilmente se lei mi avrebbe seguito a Londra per i miei studi. Lei rispose che ci avrebbe pensato su, ma prima doveva parlare con l’altro ragazzo… Credo che eri tu, no?»
La rabbia di Roberto sembrava sparita per un istante, facendo largo alle lacrime che stavano riempiendo i suoi occhi.
«No, non è vero!»
«Purtroppo per te, è così come ti ho detto. La sera prima che io partissi, mi disse che andava ad una festa di un suo amico e mi ha detto che avrebbe incontrato pure te. Chiarirsi con te, gli avrebbe permesso di decidere della sua vita: o te o me.
L’ultima cosa che gli dissi fu: ‘Ti aspetterò domani mattina all’aeroporto. Se verrai mi renderai la persona più felice di questo mondo. Altrimenti, avrai scelto la vita della tua fedeltà. La fedeltà che ti lega a quell’uomo’.
Lei non mi rispose direttamente, chiudendo il discorso, dicendomi che era arrivata a destinazione e che mi avrebbe fatto sapere al più presto. Ma la sua decisione non arrivò mai come non arrivò mai all’aeroporto. E così decisi di partire lo stesso e per un anno non ho ricevuto più sue notizie.
Ho sempre creduto che fosse uscita per sempre dalla mia vita… Ma quando sono tornato nella mia casa a Londra, i miei amici mi avevano detto che la mia ex fiamma Rebecca aveva avuto un incidente. Da lì ho capito che non era mai uscita dalla mia vita. Non c’eravamo mai incontrati a causa di quello che gli era successo. È stata quella una disgrazia a farci separare per un lungo periodo… Ma ora mi sono ripromesso che non l’abbandonerò mai più. Quindi mettiti l’animo in pace e lasciala a me»
Più che mettersi l’anima in pace, dentro Roberto, si era scatenato il diavolo in persona, facendolo tornare la persona intrattabile e pericolosa di un tempo.
«Sarai tu a uscire dalla sua vita! Da questo istante!»
«No! Non accadrà mai»
«Ah no?!»
Roberto scaraventò via la sedia e il tavolo che si trovavano vicino a lui, scatenando un gran putiferio e un pizzico di paura ad Angelo.
«Questa è la tua Fine! Me la pagherai… Fosse l’ultima cosa che faccio!»
E mentre si stava preparando a scagliarsi contro il suo nemico, Roberto fu fermato dalle grida del signor Palieri e dal primario Danesi.
«Fermati Roberto! Cosa diavolo ti è preso?» tuonò il signor Palieri.
«Mi lasci immediatamente! Devo vendicarmi di colui che si è preso gioco di me!»
«Ti sbagli Roberto. Io non mi sono mai preso gioco di te…»
«Mi dite che diamine sta succedendo? Questo è un ospedale e non un incontro di wrestling!»
«Ha cominciato lui, dottore. Se lei e il signor Palieri non foste arrivati in tempo, mi avrebbe pestato a morte» disse con tono impaurito Angelo.
«Puoi dirlo forte! Questo qui si è insinuato nella vita mia e di Rebecca e dovrà pagarla cara!»
«Ora smettila Roberto e non peggiorare la situazione! Ti devo chiedere di andartene o sarò costretto a cacciarti via con la forza»
«Ma dottore, lei non può dare ragione a questo maledetto!»
«Non do’ ragione a nessuno. Sto solo evitando che la situazione peggiori ulteriormente… E poi tu devi andare a casa e riguardarti per qualche giorno. Mi sono spiegato?»
Non avendo altra scelta nel replicare, Roberto acconsentì abbassando la testa come un cane che era stato appena bastonato.
«E se tornerai di nuovo a far visita a Rebecca, sei pregato di rivolgerti prima a me per evitare che tu e questo signore vi incontriate di nuovo»
Con un ultimo sguardo maligno e pieno di rancore, guardò i presenti nella stanza, minacciando ulteriormente Angelo.
«Certo… Tanto ci saranno altri posti in cui io e questo qui ci incontreremo… E per lui non sarà un buon momento»
 
Roberto tornò nel suo appartamento dopo essere stato invitato a trascorrere alcuni giorni nella villa di Olympia, dopo aver trascorso gran parte del suo tempo a trovare Rebecca in ospedale e dopo essere stato ferito.
«Ma chi si crede di essere quell’insolente?! È arrivato così all’improvviso e si permette di invadere la mia vita e quella della mia amata… Ma, saranno vere le cose che mi ha detto su Rebecca? È vero che voleva lasciarmi per quello lì? Se fosse così, ho fatto bene a…»
Mentre l’uomo pensava ad alta voce, fu interrotto da un uomo che era entrato in casa sua sfondando la porta.
«Buonasera Roberto»
«E lei chi diavolo è? Come si permette di entrare in casa mia?!» domandò Roberto con tono infuriato. «Abbassi la voce. Per il suo bene… Io mi chiamo John, e sono venuto qui a vedere di persona come sta fisicamente»
«Ma cosa sta dicendo? È impazzito per caso?»
Il giovane Roberto non capiva, e fissava il trasgressore di mezza età con sguardo accigliato e visibilmente impaurito.
John aveva all’incirca cinquant’anni e da tutta una vita aveva lavorato al servizio di criminali senza scrupoli. Sapeva benissimo come uccidere una persona e come comportarsi prima e dopo l’omicidio. È divenuto un famoso cecchino, grazie agli anni trascorsi a fare il militare. E dopo quasi sette anni di addestramento, nessuno sparava come lui. Aveva acquisito una mira fuori dal comune. Aveva incontrato per la prima volta Elio all’aeroporto di New York quando furono appena sbarcati. John, aveva confessato ad Elio che era emigrato nella grande mela per cercare fortuna per vie illegali, ovvero, divenendo un pericoloso sicario.
Fu in quel momento che ad Elio balenò un’idea brillante ‘Che ne dici se ci mettiamo in affari e guadagniamo un sacco di soldi? Io sarò la mente e tu il braccio. Cosa ne pensi?’
All’inizio John, non fu molto convinto della proposta dell’uomo appena conosciuto, ma arrivato in un paese nuovo e senza un soldo in tasca, non potè rifiutare. E fortuna per lui, le cose gli andarono alla grande. Grazie all’amicizia con Elio, riuscì a guadagnare un sacco di milioni uccidendo persone facoltose e spacciando droga e altre sostanze proibite. Elio aveva trovato la sua miniera d’oro e la sua macchina da guerra. Un criminale violento e spietato.
«Una tua vecchia conoscenza, ovvero, un mio grande amico, mi ha pregato di venirti a trovare… Ti ricordi di un certo Elio?»
Dopo aver udito quel nome, non potè trattenere uno sguardo sorpreso.
«Stai parlando di Elio Vitti?»
«Vedo che ti ricordi ancora di lui…»
«E tu come fai a conoscerlo?»
«Questi non sono affari tuoi!»
«Cosa diavolo stai nascondendo? Hai paura di me?»
John scoppiò in una fragorosa risata.
«Ahahah, io paura? Ma per chi mi hai preso? Per un moccioso poppante? Appena ti dirò chi sono, vedrai che ti farai un’idea chiara su di me»
«Penso di aver capito chi sei tu…»
Lo sguardo dell’uomo più giovane, tradiva un accento di tranquillità. Esso cercava di nascondere il suo timore cercando di provocare il suo nemico.
«Ora chi dovrebbe avere paura?» domandò John con accento pacato.
«Vattene! Immediatamente!» e fu in quel momento che John, tirò fuori la sua pistola.
«Non così in fretta. Ascoltami bene e ti lascerò in pace. Almeno per ora…»
Roberto, visibilmente preoccupato, si sedette sulla prima sedia che adocchiò.
«Ok, parla»
«Vedi Roberto, ti consiglio di non parlare a nessuno del segreto che accomuna te ed Elio, se non vuoi che la prossima pallottola che ti potrebbe colpire, finisse in un punto mortale… A me non interessa cosa dici al padre di quella ragazza… Basta che tu non commetta passi falsi e cerchi un’altra soluzione. Mi hai capito bene?»
Roberto aveva compreso come in tutti quei giorni era stato spiato per tutto il tempo. Come poteva rifiutare un ordine simile?
«Sì, va bene… Ho capito» rispose con un filo di voce.
«E bravo ragazzo!» ribattè John dandogli uno schiaffetto amichevole sulla sua guancia destra.
«Ti terrò sotto controllo per molto altro tempo… i miei occhi osserveranno instancabilmente ogni tuo passo e ogni tua destinazione, fino a quando le acque non si saranno definitivamente calmate… Ora devo andare. Il mio lavoro sta per ricominciare…»
E silenziosamente, uscì dalla casa di Roberto, lasciando il ragazzo profondamente turbato e interdetto.
 
Dopo che la sua spia se n’era andata, mise a soqquadro il suo piccolo appartamento in cerca di cimici e piccole telecamere che potevano essere state messe di nascoste.
Durante la sua ricerca, squillò il suo telefono di casa. Esitò un istante, ma alla fine decise di rispondere. «Pronto?...» la sua voce si udiva a mala pena.
«Non sprecare le tue energie inutilmente. Tanto non troverai mai nulla di sospetto»
La voce dall’altra parte dell’apparecchio era di John.
«Lasciami in pace!»
«No, finchè non farai come ti dico! Stai peggiorando ulteriormente la tua situazione. Ti ho avvertito una volta…»
La spia di Roberto tagliò corto su quella conversazione, lasciando il suo uomo immerso nella sua disperazione.
Non aveva nessuno che lo potesse aiutare, e non poteva nemmeno chiederlo aiuto senza essere scoperto.
 
«E tu che diamine ci fai qui?» domandò con tono rabbioso Roberto a sua madre che era entrata senza chiedere il permesso.
“Oggi deve essere la moda di entrare in casa degli altri come se nulla fosse.”
«Finalmente ti ho trovato. Sono già stata in ospedale e mi hanno detto che ti avrei trovato a casa»
«E per quale motivo volevi vedermi?»
«Noi due dobbiamo parlare»
«Non abbiamo altro da dirci! Mi hai già mentito a sufficienza e non vorrei che tu nascondessi altri segreti inconfessabili»
«Beh, in un certo senso…»
«Cosa vuoi dire? Hai altre cose da dirmi?»
«Prima che tu mi faccia fuori dalla tua vita, ti devo confessare altre cose sul tuo passato…»
«Non le voglio sapere! Adesso vattene o chiamo la polizia!» ribattè il ragazzo con tono più infuriato che mai.
«Ti permetteresti ancora di cacciare così tua madre? Non rimembri tutte le cose che io ho fatto per te? Grazie a me hai avuto tutto quello che avevi bisogno in questa vita!»
«E invece ti sbagli! Ancora una volta! Per causa tua non ho mai avuto una famiglia che mi sostenesse durante la mia adolescenza!»
«Se ti stai riferendo a quel bastardo, ce la siamo cavata bene pure senza di lui»
«Quel bastardo a cui tu ti riferisci, è mio padre, e io non tollero che venga offeso per tutte le tue colpe che hai causato a me e a lui in tutti questi anni! In verità, sei tu la bastarda!»
A quel punto la madre di Roberto non ci vide più dalla rabbia e gli mollò uno schiaffo che gli fece storcere la testa e arrossare il viso.
«Ma come…»
«Silenzio! Sono stanca delle tue offese e delle tue ingiurie nei miei confronti! È ora di cambiare regime!» Roberto sembrò tornato un bambino piccolo, mentre sua madre si sentiva superiore come mai.
«Non darò mai ascolto a te!»
E mentre sua madre stava per mollargli un altro schiaffo, Roberto le afferrò il polso fermandola in tempo. «Dimmi quello che hai da dirmi e vattene da qui, oppure finirà male!»
«Sì, hai ragione. Preparati ad ingoiare altre situazioni spiacevoli…»
I due si diressero verso il salotto dell’appartamento e si accomodarono su una sedia uno dinanzi all’altro. «Non mi offri nulla? Non credevo che la tua maleducazione arrivasse fino a questo punto»
«Io non offro nulla alle persone indesiderate, Fiona»
«Smettila di chiamarmi per nome! Io sono tua madre!»
«Io non ho più una madre…»
«E se è per questo non hai mai avuto nemmeno un vero padre…»
«Che cosa intendi?»
«Quello che ho detto… Frank, quell’uomo italo – americano che è sempre stato considerato tuo padre per tutti questi anni, in realtà non è il tuo vero padre biologico»
«Ma che cosa stai dicendo? Strega!»
Ci mancava questo dispiacere nella vita di Roberto. Sembrava che da un anno a questa parte, nulla gli andava per il verso giusto. E in fondo era proprio così.
«Che fatto curioso… In un giorno sono diventata da mamma a strega, passando per una perfetta sconosciuta…»
«E diventerai qualcos’altro di spiacevole se non ti spieghi meglio!»
«Ora mi minacci pure? Dove può arrivare la tua cattiveria?»
«Non lo so e non voglio nemmeno scoprirlo. Non voglio macchiarmi di possibili sbagli per colpa tua. Tu da sola sei uno sbaglio»
«Che gentile. Lo prenderò come un complimento»
Fiona Livisi aveva preso il momento come uno svago per passare il tempo. Proprio come se stesse spettegolando con le sue amiche. Soltanto che non era con le sue amiche, ma con suo figlio. E quest’atteggiamento suo, stava piano piano facendo arrabbiare suo figlio.
«Prendila come ti pare. A me non me ne frega niente!»
«Ma almeno ti interessa sapere chi è tuo padre?»
«Non lo so se lo voglio sapere sul serio…»
«Che vuoi dire?» domandò la madre di Roberto con tono confuso.
«Lo capisci o no che io non ho mai avuto una famiglia?!» ribattè gridando con tono disperato il ragazzo.
«Mi dispiace Roberto… Non avrei mai voluto che questo momento arrivasse. Ma per il tuo bene dovevi saperlo…»
«Per il mio bene?! Non finirò di dirti che mi hai rovinato la vita e mi hai gettato nell’inferno più oscuro e senza speranza! Da quando sei qui mi parli con tono menefreghista come se niente per te abbia importanza. Non cercare di dimostrare quanto forte sei… Perché tanto sei la persona più debole che io conosca e non ci sarà nessuno che ti starà vicino»
Roberto era definitivamente “esploso”. Tutti i suoi sentimenti erano usciti come un’eruzione di lava, che si erano riversato su sua madre.
«Hai ragione, rimarrò sola… Proprio come te»
«Io non sono solo come tu dici. Ho degli amici che mi confortano»
«E dimmi, chi sarebbero?»
«Francesco, il mio collega, è uno di questi»
«Quella specie di ubriacone? Ti devo ricordare che qualche anno fa’ ti ha dato la colpa per un rapina che non hai fatto e hai rischiato di essere rinchiuso in prigione?»
«Sì, ma poi, da bravo amico, ha confessato che era stato lui di sua spontanea volontà»
«Vorresti dire per senso di colpa… Comunque, hai solo lui, come “amico”?»
«Questi non sono affari tuoi! Ti ho buttato fuori dalla mia vita, non ti ricordi? E dopo questa nostra ennesima litigata, sarà ufficiale»
«Non vuoi dirmelo perché hai paura a confessarmelo… Comunque hai ragione, non mi devo più impicciare dei tuoi affari. Addio»
E  mentre si stava dirigendo verso la porta dell’appartamento, la signora Livisi si voltò un’ultima volta per fissare gli occhi di suo figlio, quegli occhi che fin dalla sua nascita aveva potuto ammirare.
«Sei proprio sicuro di chiudere con me?»
«Dimmi chi è il mio vero padre e…»
Roberto aveva le lacrime agli occhi e non riuscì a finire la sua frase.
«… Come vuoi tu. Per rintracciare tuo padre, chiedi in giro di Enrico Ruvini. È lui il tuo vero padre»
«Tutto qui?»
«Cos’altro vuoi che ti dica di lui?»
«Non lo so. Almeno dirmi dove abita»
«Mi dispiace ma ho perso i contatti con quell’uomo…»
«Ti pareva,,,»
«Roberto… Se vuoi, per te la porta di casa mia sarà sempre aperta. Non riesco a stare in collera con te per molto tempo, perché starei male e non sarei in pace con me stessa… Anche se ora penserai che io non sono stata mai in pace con me stessa, visto tutti i segreti che ho accumulato nel corso di questi anni…» «Mamma… Finiamola di litigare»
La serata poteva concludersi con un stretto e caldo abbraccio, ma sia madre che figlio erano bloccati dai loro sentimenti forti che avevano assaporato sulla loro pelle.
«Hai ragione figliolo. Spero solo di rivederti presto»
 
Angolo d’autore lmpaoli94
 
Mi scuso intanto se ho dovuto cancellare e ripubblicare questo capitolo, ma volevo avvertirvi che per chi segue questo mio racconto, le sorprese non sono di certo finite qui.
Nuovi scenari e nuove situazione accadranno a Roberto e a chi gli sta intorno.
Quindi non vi resta altro che continuare a seguirmi e leggere questa storia (oltre che a seguire anche le precedenti storie che ho pubblicato, naturalmente)
Ciao e a presto per nuove situazioni tutte da scoprire

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Capitolo 10
*** 10° ***


10°
 
Sua madre se n’era andata dopo aver affrontato con il suo unico figlio, la peggiore delle litigate che ha avuto in vita sua. Ma per fortuna la loro conversazione si era conclusa con un velo di speranza che aleggiava nei loro cuori.
 
Per lui non c’era tempo di rimanere a rimpiangere le cose passate e a deprimersi da solo a casa. Non andava più nemmeno al lavoro da molto tempo, per colpa della crisi. Ma per lui i soldi non erano un problema. Aveva sempre ripetuto alle persone più fidate che se ci fosse il momento in cui avrebbe perso tutto, sarebbe andato a vivere in una baracca che aveva acquistato da un vecchio contadino ormai morto anni fa’. Per lui quella baracca significava molto. Anche se da un po’ non ci si recava per tutti i turbinii che la sua vita nelle ultime settimane ha avuto. Per lui il problema principale era di riconquistare la fiducia dei coniugi Palieri per poi riavvicinarsi alla sua ragazza e scacciare via quell’impiastro che poteva continuare a dargli dei problemi.
 
Arrivò in ospedale passeggiando prima per un paio d’isolati.
Angelo se n’era appena andato, lasciando il signor Palieri con sua figlia.
«Buongiorno» disse inizialmente Roberto con tono cordiale all’uomo anziano.
«Roberto, ma tu non dovevi riposarti?»
«Perché perdere tempo in solitudine a casa propria quando qui puoi parlare con qualcuno come lei e Rebecca? E poi sto bene… Veramente»
«Sono contento per te» ribattè con tono sincero il signor Palieri.
«Grazie. Ma più che altro sono venuto qui per lei…»
Nell’udire quelle parole, Alfredo rimase momentaneamente interdetto, come se non avesse capito bene la frase di colui che aveva dinanzi.
«Cosa? Ho capito bene? Tu sei venuto qui per…»
«Sì, ha capito benissimo… C’è ancora speranza per riavvicinarmi a lei e alla sua famiglia?»
«… Hai paura di perdere l’affetto dei tuoi “conoscenti” come me, mia moglie e di mia figlia?... Oppure vuoi riavvicinarti a noi per il semplice motivo che un certo Angelo ti soffi tutto quello che finora hai costruito?» «Beh… Un po’ tutte e due…»
Continuando a fissare il signor Palieri, Roberto era certo di essere stato scoperto nelle sue vere intenzioni… Ma furbescamente, fece come se nulla fosse, senza mutare il suo sguardo attento e vigile.
«Spero vivamente che tu non abbia costruito inganni o altre cose di cui prima o poi pagherai…»
«Non sono ancora stato a confessarmi da nessun prete… Ma prima o poi lo farò…»
«Quindi stai dicendo che…»
«Signor Palieri, avrò commesso un sacco di sbagli di cui anche oggi mi pento amaramente. Ma se lo fatto è perché ero disperato e arrabbiato»
«Ti rendi conto di cosa mi hai fatto capire finalmente?! Sei stato tu! Tu hai causato l’incidente a Rebecca! E tutto questo tempo hai fatto finta di niente, nascondendo tutti i tuoi peccati… E vorresti che io ti perdonassi? Ma in che mondo vivi?!»
L’uomo anziano aveva scatenato tutta la sua furia rabbiosa. Se avesse avuto qualcosa di pericoloso e micidiale nelle mani come una spranga di ferro, avrebbe colpito a morte Roberto, vendicando l’incidente di sua figlia.
«Vivo nello stesso mondo in cui vive lei…»
«Cosa? MI prendi pure in giro?!»
«Certo che no… Ho avuto soltanto una vita molto diversa dalla sua… Ovvero molto più complicata»
«Non ci sono scuse per quello che hai fatto! Hai mandato in coma la mia unica figlia. Il fiore di una vita che ho saputo crescere con tanto amore e tanti sacrifici. E tu non hai nessun diritto su di lei! Mi hai capito?!» «Sì fermi signor Palieri!» la voce dell’ispettore Coliandri irruppe nella stanza prima che il padre di Rebecca potesse compiere un gesto disperato di cui si sarebbe pentito nel resto dei suoi giorni.
«La prego signor Palieri. Lasci il ragazzo»
Con sguardo riluttante, l’uomo anziano lasciò andare Roberto che era stato agguantato per la camicia. «Oddio, non mi sento bene…» disse con voce fioca il signor Palieri, svenendo a terra.
Ora fu la volta del primario Danesi che ordinò ad alcune infermiere nelle vicinanze, di farlo sdraiare su di un letto e dargli qualche calmante.
«Abbiano sentito tutto quello che hai detto al signor Palieri, Roberto. Ora non hai più via di scampo»
Dopo qualche secondo, fu ammanettato a forza e scaraventato su una sedia nelle vicinanze.
Roberto non voleva che finisse così. Voleva solo ottenere il perdono del padre della sua ragazza.
Ma i rimorsi che continuavano a tanagliarlo da un anno a questa parte, hanno avuto la meglio.
I nervi del giovane ragazzo erano crollati improvvisamente, tradendo l’espressione calma e tranquilla che ha manifestato quando confessava i suoi maledetti propositi.
«Grazie a questa ricetrasmittente e ad alcune cimici nascoste nella stanza, sei rimasto fregato… E ora dimmi, cosa hai da dire a tua discolpa?»
«Lei non mi porta in commissariato come fanno tutti i poliziotti? Preferisce interrogarmi qui e umiliarmi dinanzi all’unica donna che ho amato in tutta la mia vita?»
«Amato?!» rispose l’ispettore con tono furente e deciso. «Come puoi scambiare il sentimento dell’amore con la sua cattiveria e malvagità che ha macchiato questo Povero Cristo? Me lo spieghi, prima che la sbatta in cella e butti via la chiave»
Quando l’ispettore Coliandri era deciso a scoprire i fatti che gli si nascondevano dinanzi, perdeva il controllo di se stesso sbraitando e bestemmiando con forte vigore.
«La gelosia… Sì è vero, ho fatto un sacco di cattiverie a quella ragazza… E se il buon Dio vuole, pagherò per quello che ho fatto. Anche in un’altra vita…»
«Roberto, ti devi ritenere soddisfatto se questo paese non ha più la pena di morte! Senno stai pur certo che ti avrei fatto finire sulla sedia elettriche come fanno in alcuni stati americani ancora oggi»
«Sì, ma Rebecca non è ancora morta… è in coma. E presto si risveglierà»
«Scommetto che te lo ripeti ogni giorno…»
«Di cosa sta parlando?»
«Che quella povera ragazza si risveglierà e rivedrà il male di questo mondo dannato! Ma stai pur certo che lei non ti rivedrà molto presto. Ti farò marcire in carcere!»
«Non ce la farà mai! Con un buon avvocato me la caverò con alcuni mesi di carcere e gli arresti domiciliari» «Farò in modo che tutto questo non accada. Renderò la tua vita peggio dell’inferno!... Roberto, sei stato molto sfortunato ad avermi incrociato sul tuo cammino»

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Capitolo 11
*** 11° ***


11°
 
«La vita è un susseguirsi di prove difficili da compiere. Ed ecco qui dinanzi a questa cella che devo superare l’ennesimo brutto momento che mi si è presentato»  aveva detto con tono semplice e poetico all’ispettore Coliandri, portandolo in caserma per interrogarlo al meglio per poi sbatterlo in carcere.
«Smettila di fare il filosofo Roberto! Non è proprio giornata oggi!»
«A me sembra che da quando ha saputo che ero io il colpevole, lei sia andato fuori di testa. Perché tutta questa rabbia repressa?»
«E cosa le dice che la mia sia rabbia repressa?! E comunque sono io a fare le domande qui, non lei.»
«Domandare è lecito, rispondere è cortesia. È diventato maleducato di colpo?»
La rabbia dell’ispettore aveva preso l’ennesimo apice massimo.
«Stammi a sentire una volta per tutte Roberto! Smettila di prendermi per i fondelli o ne pagherai le conseguenze»
«Cosa vuole farmi? Mandarmi su una sedia elettrica? Oh, ma che sbadato. In Italia non si fanno queste cose»
«Brutto figlio…»
Prima che l’interrogatorio potesse degenerare ulteriormente, l’ispettore Palombi riuscì a fermare il suo collega.
«Ma è impazzito ispettore Coliandri? Vuole per caso ucciderlo?»
«Sarebbe una gran liberazione per l’intero pianeta. Io non sopporto i tipi come lui!»
«A dire il vero, lei non sopporta nessun tipo di criminale» disse Roberto rincarandola dose.
«La smetta immediatamente o la sbatteremo nel peggior buco che lei possa immaginare»
«Da quando in qua anche la polizia viola la legge? Voi non avete nessun diritto di sbattermi in una cella senza un minimo accorgimento igienico. Volete essere denunciati?»
«Lo senti Palombi? È proprio una rotta in culo!»
«E’ proprio vero che il mondo va alla rovescia…»
«Mi aspetti fuori ispettore. Ora parlo io con il criminale» e senza fare una piega, l’ispettore Coliandri se n’andò dalla stanza consapevole che se sarebbe stato ancora lì dentro con il pregiudicato, sarebbe finita molto male sia per lui che per il condannato.
«Allora ispettore Palombi, lei cosa mi vuole chiedere?»
«Roberto… Non ci posso credere. Una brava persona come te si è rivelata la cattiveria spregevole in persona»
«Accidenti che paroloni! Mi dica ispettore, lei ha sofferto mai per amore?»
«Questo cosa centra?» mi domandò l’ispettore Paolmbi con tono insospettito.
«Risponda alla mia domanda» risposi tagliando corto fissandolo con sguardo serio.
«Quando ero solo un ragazzino… perché?»
La reazione di Roberto fu alquanto da presa in giro.
«Ahahah ma io intendevo l’amore vero. Ha mai incontrato l’anima gemella?»
«Questi non sono affari suoi!» rispose bruscamente l’ispettore voltando il suo sguardo tetro e sofferente. «Dal suo viso capisco che è così… E naturalmente ha paura di confessarlo. Scommetto che si è ritrovato nella mia stessa situazione…»
«Io non ucciso nessuno, però»
«Non volevo intendere questo… Anche a lei hanno portato via una persona alquanto cara… Giusto?»
«Non ne ho mai parlato con nessuno e di certo non lo farò con lei!»
L’ispettore Palombi passò dalla sua calma irremovibile allo sfogo improvviso. La verità è che si soffre tutti per amore.
«Ora andiamo in cella. Il suo inferno sta per cominciare»
 
Roberto fu sbattuto in cella con il tipico criminale accoltellatore/ rapinatore con i tatuaggi che gli coprivano gran parte della pelle.
“A vederlo mi disgusta enormemente” pensò Roberto dopo essere entrato nella sua cella.
«Salve, io sono Roberto. Tu chi sei?»
«E a te che importa?» ribattè con tono rude il compagno di cella del giovane.
«Mi è sembrato educato presentandoci per bene…»
«Ascoltami bene mezza cartuccia: o qui mostri le palle o non durerai molto a lungo. Te lo dice uno che è qui dentro da tre anni»
Il prigioniero che Roberto aveva incontrato presentava varie cicatrici in fronte e uno sguardo freddo e minaccioso, il tutto contornato da una corporatura piena di muscoli.
«Grazie dell’avvertimento… Da quanto tempo hai detto che sei qui dentro?»
«Cosa?»
«Insomma, dovremo pur parlare di qualcosa per passare il tempo no?»
«Preferisco affilare questa forchetta che ho trasformato in un coltello molto affilato. Sei avvertito, non farmi girare gli zibidei o te ne pentirai amaramente»
«Ok, allora io non disturberò te e tu non disturberai me»
«Bravo vedo che hai capito»
«Un ultima cosa…»
«Che diavolo vuoi?!» domandò innervosito il prigioniero.
«Cosa posso fare per passare il tempo?»
«Tra poco ci porteranno fuori a respirare un po’ d’aria malsana di questa maledetta prigione. Intanto rifletti bene su quello che hai fatto per finire qui dentro e lascia ogni speranza»
«E’ così che hai fatto tu il primo giorno che sei arrivato?»
Il suo compagno di cella guardò Roberto con occhiatacce da far gelare chiunque, che il povero giovane ragazzo, distorse lo sguardo dalla paura.
«Va bene, va bene. Me ne starò in silenzio»
 
Nel cortile della prigione, a mala pena ci entravano una trentina di prigionieri.
«Accidenti! Qui siamo in troppi. Non ci stiamo!» aveva gridato Roberto al suo compagno di cella.
«Chiudi per una buona volta il becco se non vuoi passare guai»
«Tanto anche se non combino nulla, finisco nei guai… Potresti farmi da guardia del corpo. Così mi sentirei più al sicuro»
«Ma ti sei bevuto il cervello o sei scemo di natura? Io non sono la guardia del corpo di nessuno, tanto meno di un moscerino come te. Io penso solo a me stesso. Per me tutti gli altri possono morire in questo istante. Ora, lasciami in pace»
E il gigante inorridito se n’andò dalla vista di Roberto dandogli gratuitamente una spallata facendolo cadere a terra tra le risate e gli scherni degli altri prigionieri.
«Che avete da ridere? Fatevi un giro!» ribattè arrabbiato Roberto.
«Sei tu quello nuovo?»
«Sì. E tu chi sei?»
«io sono Ugo e questo è il mio amico e compagno di cella Gianni»
«Piacere di conoscerti» disse cordialmente Gianni.
«Piacere mio»
«Che ne dici di fare una partitina di basket nella nostra squadra? Sai giocarci?»
«Non sono Lebron James, ma credo che me la saprò cavare»
«Allora vieni con noi»
E senza pensarci due volte, il nuovo arrivato seguì i due compari come se si fidasse ciecamente di loro.
 
Rientrarono tutti in cella dopo appena quindici minuti.
«Mamma mia come vola il tempo quando ci si diverte» iniziò a dire Roberto
«Dovrebbero aumentare i minuti di “ricreazione”, se così si può dire… Tu cosa hai fatto di bello…? Come ti dovrei chiamare?»
«Non sono affari tuoi»  rispose sprezzante il suo compagno di cella.
«Ah bene, quando non hai voglia di rispondere dici a tutti che non sono affari loro?»
«Ci sono già i piedipiatti che mi interrogano abbastanza. Non l’hanno fatto anche con te? Oppure ti hanno sbattuto direttamente qui?»
«Tu hai il diritto di fare domande e io no?»
«Già, hai ragione… Libero di non rispondermi»
«Sai, non sembri così duro come vuoi far credere»
Il prigioniero si alzò di scatto dal suo letto, fissando Roberto con sguardo atroce come aveva fatto poco tempo prima.
«Rimangiati subito quello che hai detto o creperai nella tua prima notte in prigione!»
«Cosa ho detto di male?» domandò Roberto senza capire.
«Rimangiatelo ho detto!»
«Va bene, scusa, non volevo dire nulla di tutto ciò»
«Che succede qui? Cosa sono queste urla?» domandò la guardia che si era affacciata alla loro prigione con fare minaccioso.
«Niente. Non è successo niente»
«Lo spero per voi.  Smettetela di gridare o andrete dritti tutte e due in una cella di punizione!»
E se n’andò con aria superiore che hanno tutte le guardie che sgridano ai prigionieri.
«Ce la siamo vista brutta… Meno male che qui dentro non sono tutti come te. Oggi ho conosciuto un certo Ugo e un certo Gianni…»
«Cosa? E che vogliono da te?»
«Niente… Mi hanno solo invitato a fare una partita di basket»
«Ti do’ un consiglio da amico: stai lontano da loro!»
«Perché? Sei geloso?» domandò ironicamente il ragazzo giovane.
«Smettila di fare il sarcastico e lo spensierato! Non è il luogo adatto»
«E allora perché non dovrei più frequentarli? Sai qualcosa che io non so?»
«Se sei abbastanza intelligente, dovresti aver capito che sono un tipo taciturno… Ti dico solo che hanno messo nei guai alcuni prigionieri che poi sono finiti male»
«Che cosa hanno fatto a questi prigionieri?»
«Hanno l’astuzia di incolpare persone che non hanno fatto niente. Proprio come sei tu. Il tipico bravo ragazzo di prigione»
«Ah, capisco…»
«Bene, ho parlato abbastanza. Vedi di non fare rumore se non vuoi vedermi veramente arrabbiato. Mi voglio riposare un po’»
«Sì, tranquillo. E grazie»
«Mark. Il mio nome è Mark»
«Grazie di tutto Mark» disse infine Roberto con il sorriso sulle labbra e con la consapevolezza di aver trovato un amico di cui si poteva fidare.
 
Passarono alcuni giorni e non venne nessuno a trovare Roberto. Nemmeno sua madre o i coniugi Palieri. Finchè una mattina non venne chiamato nella stanza delle visite per trovarsi dinanzi Olympia.
«Tu? Come sapevi che ero qui?»
«Ciao pure a te: non sei contento di vedermi?» domandò con tono flebile la giovane donna.
«Più che contento direi… Sorpreso»
«Ho letto la notizia sul giornale ieri pomeriggio che sei stato tu a causare l’incidente a Rebecca»
«Perfetto! Ci mancavano anche i giornalisti»
«Ti avevo avvertito che quella ragazza ti avrebbe causato un sacco di guai»
«Se sono finito qua dentro, è colpa mia che ho confessato togliendomi un gran peso dallo stomaco»
«Bravo stupido. Non ti facevo così ingenuo» disse Olympia con quel tono di rimprovero e canzonatorio odiato da tutti.
«Olympia, sei venuta qui a trovarmi o a prendermi per i fondelli? Se sei venuta qui a burlarti di me, te ne puoi benissimo andare»
«No, non sono venuta qui per prenderti in giro… Sono venuta qui per tirarti fuori da guai»
Roberto non voleva credere alle sue orecchie. Cosa aveva in mente quella ragazza?
«E come pensi di riuscirci?»
«Di questo non devi preoccuparti…»
«Olympia, cosa ti sta balenando nella mente? Sono già nei guai fino al collo e non vorrei aggravare la mia situazione per causa tua»
«Non succederà niente di tutto ciò. Stai tranquillo»
«Olympia… Perché faresti tutto questo per me?»
«Lo sai bene…»
«Smettila, ti prego. Non peggiorare ulteriormente la nostra amicizia tra noi due. Anche se credo che dopo il modo in cui me ne sono andato da casa tua ha significato la rottura tra di noi»
«Non badare al passato. Ormai è acqua passata Roberto… Vorrei riallacciare la nostra amicizia che c’è tra di noi. Sei troppo importante per me e non voglio perderti!»
“Non so bene se faccio prima a contare le verità o le sue bugie… Ah certo. Lei non me ha mai dette oggi di cose vere… Continuierò a reggere il gioco.”
«E’ molto lodevole da parte tua Olympia»
Afferrò delicatamente la mano di Roberto come segno di vicinanza che aveva lei nei suoi confronti.
«Farei qualsiasi cosa per te, ricordatelo»
«Il tempo delle visite è scaduto!» aveva gridato la guardia ai visitatori dei prigionieri.
«Aspetta che risolvi alcune questioni e poi ti ritroverai fuori di qui»
Senza aspettare la risposta di Roberto, Olympia se n’andò scortata dalla guardia di turno insieme agli altri visitatori.
 
Aveva tutto il tempo di pensare dove quella ragazza tanto misteriosa che aveva conosciuto quel primo giorno in ospedale dopo che gli avevano amputato le gambe, potesse arrivare.
«Mark, secondo te come dovrei fare per incastrare una ragazza?»
«Di quale ragazza stai parlando? Di quella che ti è venuta  a trovare poche ore fa’?»
«Sì esatto, proprio lei. Ho la netta sensazione che mi stia nascondendo qualcosa di brutto. Pensa che mi vorrebbe fare uscire di prigione dopo che avrà finito di risolvere alcune sue faccende…» rispose bisbigliando con un filo di voce.
«Farti uscire di prigione? Ha in mente un’evasione?»
«Penso di sì… Ma quello che mi preoccupa è che cosa deve fare. L’ho conosciuta poco tempo fa’ e non mi fido per niente di lei. Soprattutto quando ci siamo detti addio»
«Scommetto che ora stai pensando il perché sia ricomparsa improvvisamente, giusto?»
«Esatto, amico. Sei un veggente!»
«Anche se a prima vista posso essere guardato come un ignorante, non si dovrebbe giudicare un libro dalla copertina»
«Che parole sagge Mark! Non ti facevo così poetico»
«Già, già… E guai a te se vai a spifferare a qualcuno della mia intelligenza come hai tuoi amici Ugo e Gianni»
«Sta tranquillo. Di qui non uscirà nemmeno una parola… A proposito di Ugo e Gianni, come posso stare in guardia da loro?»
«Se non riesci a difenderti a parole, cosa che in prigione serve a poco, devi difenderti con le mani. Sai combattere?»
«Non proprio. Ma vedendo quei due, non mi sembrano dei tipi grossi fisicamente»
«Cosa ti ho detto poco fa’?»
«Ah giusto. Non devi giudicare troppo presto»
«Gira voce che Ugo e Gianni siano due intenditori di karate… Però devo dire che quando li ho affrontati non mi hanno dato questa sensazione. Gli ho dato una bella lezione che credo se la ricorderanno a vita»
«Li hai riempiti di botte?»
«Riempiti di botte non da l’idea a pieno: li ho massacrati»
«Non avevo dubbi»
«Ma visto che tu non sei me, ti consiglio di tenere gli occhi bene aperti. Ti avverto che anche se mi stai simpatico, qua dentro se te la cavi da solo è meglio. Almeno che tu il giorno dopo non voglia essere preso in giro da tutti perché c’è qualcuno che ti difende»
«Perché, mi vuoi far credere che qui ognuno si difende per conto suo?»
«Sì esatto. Anche gli uomini che sono delle mezze cartucce. È vergognoso essere aiutato da qualcuno in prigione. Sono stato abbastanza chiaro?»
«Come l’acqua limpida del mar dei Caraibi»

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Capitolo 12
*** 12° ***


12°
 
Intanto in ospedale, la notizia dell’arresto di Roberto fu presa come un sospiro di sollievo.
Tutti erano convinti di essersi sbarazzati di una persona meschina e molto pericolosa.
«Figlia mia, giustizia è stata fatta. Quel criminale di Roberto non ti importunerà mai più» diceva il signor Palieri a Rebecca. «E’ un vero peccato che quel caro ragazzo si sia rivelato un mascalzone. Era la persona più buona che noi avessimo mai incontrato. Troppo buona per essere vero, Elizabeth. Infatti poi si è rivelato…»
«Buongiorno signori» disse con il sorriso sulle labbra il primario Danesi che era appena entrato nella stanza della ragazza. «Scusate se vi interrompo ma dovrei vedere se ci sono dei progressi per vostra figlia» «Progressi, dottore? Ormai non so quanta speranza può avere un vecchio come me…»
«Non si deve tirar giù, Alfredo. Le condizioni di sua figlia sono stazionarie e anche se è dimagrita, il suo corpo non presenta grandi problemi»
«Solo che si deve risvegliare…»
«Ha ragione signora… Intanto potreste aspettarmi fuori? Ci metterò pochi minuti»
E i coniugi Palieri uscirono dalla stanza della loro figlia per far svolgere al dottore il lavoro per cui è pagato.
 
«Cari signori Palieri» aveva iniziato a dire il dottore alla fine della sua visita «Spero di non sbagliarmi, ma credo che tra poco vostra figlia si risveglierà dal coma»
La notizia fu accolta con grande entusiasmo dai genitori di Rebecca che quasi pensavano di non aver capito bene.
«Crede che ci siano delle possibilità?»
«Sì. Anche se dobbiamo aspettare ancora un po’ di tempo, ma non vi preoccupate. È questione di ore o al massimo di giorni. Le mie più sentite congratulazioni»
I due anziani signori piombarono sul povero dottore sprigionando felicità come due ragazzini innamorati e felici come non mai.
«Grazie a lei, dottore. Per tutto quello che ha fatto per noi e per nostra figlia, grazie»
«E ringrazi pure i suoi colleghi» aveva precisato la signora Palieri.
«Hai ragione, Elizabeth. È anche grazie ai suoi colleghi che non abbiamo perso la speranza, dottor Danesi» «Presenterò i ringraziamenti a tutti coloro che hanno assistito vostra figlia. Dagli infermieri ai medici, ma vorrei che aspettaste a fare i salti di gioia. Il momento tanto atteso non è ancora ufficialmente arrivato…» «E credo che quando arriverà, mi prenderà un infarto»
«Alfredo! Non dirlo neanche per scherzo!»
«Sua moglie ha ragione. Lei signor Palieri non è giovane come quando ci siamo incontrati la prima volta» «Sì, ma vedrete che Rebecca mi riconsegnerà tutta la giovinezza che ho perduto nel corso degli anni»
«Lo spero tanto. Vi lascio signori. Devo visitare altri pazienti. Arrivederci»
E con un saluto alquanto veloce, il primario Danesi si congedò dai coniugi Palieri che stavano continuando a festeggiare la notizia ricevuta.
Ma tutto il loro entusiasmo si spense di un niente quando Elizabeth fece una domanda a cui, per conto di suo marito, bisognava dare una risposta brusca.
«Secondo te dovremmo passare a trovare Roberto e comunicargli la grande notizia?»
«Elizabeth sei impazzita? Non intendo rivelare a quel disgraziato che nostra figlia si sta per risvegliare! Ti sei già scordata che è stata tutta colpa sua?»
«No, certo che no… Ma io non dimentico tutta la speranza che ha continuato a darci nel corso di tutti questi mesi. E quindi secondo me, dovremmo dirglielo»
«Ma vuoi capire che ha fatto finta e basta?» domandò ad alta voce e con insistenza il signor Palieri.
«No, non è vero! Nei suoi occhi eleggiava sconforto e dispiacere come nei nostri occhi… E sai bene, Alfredo, che io riesco a vedere se una persona mente oppure no»
«Forse una volta… ma ora?»
«Mi stai forse dicendo…»
«Ti prego di non offenderti Elizabeth»
«Mi offendo eccome! Anche se sembro vecchia e decrepita, sono ancora capace di stare al mondo e di badare a me stessa!»
«Non ne ho alcun dubbio»
«Invece credo proprio di sì…»
«Forse dovremmo parlarne a quel ragazzo… Ad Angelo Ruvini»
«Cosa? Non ci pensare neanche! Quel ragazzo non mi convince»
«E per quale motivo Elizabeth? Almeno lui non è un criminale» mormorò il signor Palieri continuando a ribattere senza sapere le vere intenzioni di sua moglie.
«E tu che ne sai?»
«Lo so e basta!» ribattè il signor Palieri inorridito.
«Forse dovrei indagare su questo Angelo Ruvini…»
«Ma smettila Elizabeth! La notizia di nostra figlia ti ha completamente rincitrullito!»
«No, sei tu quello che non ci sta con la testa! E comunque, se tu non vuoi parlare di questo a Roberto, non provare a dirlo nemmeno a quello lì o è la volta buona che chiedo il divorzio!»
«Non dici sul serio…»
«Ah sì? Ti conviene non mettermi alla prova se non vuoi scoprirlo!»
E per evitare che la litigata peggiorasse ulteriormente, il signor Palieri se n’andò da sua moglie per andare a prendere un caffè alla macchinetta dell’ospedale e pensare sul da farsi.
 
«Ti sei calmato ora? Guarda che prendendo il caffè non risolvi molto»
«Non ti ho mai vista così determinata. Dov’è finita la Elizabeth che ho sposato e che ho condiviso con lei tutti questi anni?» domandò il signor Palieri con tono malinconico.
«Alfredo, sono sempre qui dinanzi a te… E se non mi hai mai visto così determinata, è perché prima non ce n’è mai stato bisogno» ribattè l’anziana donna con tono prima dolce e poi determinato. 
«Forse sono stato troppo autoritario… Ma comprendi le mie ragioni, per favore!»
«E tu comprendi le mie! Roberto deve sapere!»
«Non da me! Anche se gli ho voluto bene come un figlio, qualcosa tra noi due si è spezzato e nulla può rimarginare»
«Ti capisco ma è sempre quel ragazzo dolce e gentile che abbiamo sempre visto. Ne sono sicura»
«State parlando di me?» domandò Angelo appena arrivò nella stanza di Rebecca facendo sobbalzare i coniugi Palieri.
«Angelo, ci hai spaventato» disse con tono improvvisato Elizabeth.
«E non te ne deve importare, visto che non sono affari tuoi» ribattè fredda e dura la signora anziana, andandosene dalla stanza dopo aver visto quel ragazzo misterioso di cui non sopportava la visione e non comprendeva il suo passato.
«Allora Angelo, come ti va la vita?» domandò con tono amichevole il signor Palieri.
«Oh, non c’è male, grazie»
«Se non sono troppo indiscreto vorrei farti alcune domande. Giusto per sapere del tuo passato»
In un primo momento, Angelo sembrò essere inorridito dalle domande che stava per ricevere, ma riuscì a mascherare i suoi veri sentimenti facendo un sorriso sgargiante.
«Come vuole, lei. Mi faccia queste famose domande»
«Perfetto… Che lavoro fai?»
«In questo momento non ho nessun lavoro visto che sono tornato da poco a casa»
«Ah vero. Eri in viaggio di studi a Londra… Come ti sei trovato in una città così grande lontano da tutti i tuoi parenti?»
«All’inizio è stato difficile, ma grazie ad alcune amicizie fatte nella capitale inglese, sono riuscito ad andare avanti»
«Cosa studiavi a Londra?»
«Giurisprudenza»
«E perché hai scelto quella città? Insomma, non potevi studiare qui?»
«Signor Palieri, non vorrei essere scortese, ma non è carino farmi il terzo grado»
Il sorriso con cui Angelo mascherava le sue intenzioni, facevano infuriare a vista d’occhio il signor Palieri.
«Mi hai detto che avresti risposto senza problemi… Comunque scusa se sono stato troppo indiscreto»
«Oh, ma non lo è stato. È solo che non gradisco rispondere a raffiche di domande, dopo un po’ di tempo. Mi innervosisco improvvisamente»
«No ti prego. C’è già mia moglie che oggi è abbastanza nervosa. Non mettertici pure tu»
«Stia tranquillo. Lei è una persona molto educata e leale. Non potrei mai fare una cosa del genere»
«Ne sono certo»
«Mi scusi un attimo signor Palieri. Devo fare una telefonata»
«Fai pure con comodo» disse infine il signor Palieri.
Angelo si nascose dietro un pilastro della sala d’attesa, per evitare di farsi vedere da qualcuno. Cosa nascondeva?
Digitò un numero sul cellulare molto velocemente e dopo alcuni squilli, la voce dall’altra parte rispose: «Pronto?»
«John, sono Angelo»
Angelo era invischiato in qualcosa con John e di conseguenza, dietro c’era pure l’ex scagnozzo di Roberto, Elio.
«Ah bene, sei tu. Come sta procedendo il nostro piano?»
«Molto bene, devo dire. A parte quando poco fa’ il signor Palieri mi ha riempito di domande per saperne più di me»
«E tu cosa gli hai risposto?»
«Che nell’ultimo anno ho vissuto a Londra a studiare giurisprudenza. Credo che se la sia bevuta»
«Per il tuo bene spera di sì. Non possiamo permetterci di fallire»
«Tranquillo, non accadrà. Assicura il capo dei miei miglioramenti»
«Ti ricordo che se il piano deve riuscire alla perfezione, la ragazza in coma ti deve riconoscere. Devi convincerla che aveva un amante e che quello sei tu, hai capito?»
«Ok sì, non mettermi fretta. Come ti ho appena detto è tutto sotto controllo»
«Va bene. Mi fiderò di te. Richiamami se ci sono altri sviluppi»
«Senz’altro»
E riattaccò facendo il suo solito sorriso rassicurante, senza rendersi conto che c’era qualcuno che lo stava spiando: la signora Palieri.
 
«Alfredo, ora ho le prove che mi servivano su Angelo»
«Di cosa parli, Elizabeth?»
«L’ho sentito che parlava con uno sconosciuto al telefono… Sta mandando avanti un piano segreto e a dir poco diabolico»
«Secondo me ti stai sognando»
«Non è vero Alfredo! Sai che in tutti questi anni non ti ho mai detto una bugia. Perché dovrei mentirti proprio ora?»
«Ovviamente per mettere in cattiva luce quel ragazzo»
«Ok fa come ti pare… se non vuoi starmi a sentire, non parlerò più» disse la signora Palieri innervosita per l’atteggiamento di suo marito.
«No dai Elizabeth, dimmi cosa mi volevi dire»
«Ecco, il punto è che…»
«Telefonata finita. Qualche miglioramento durante la mia assenza?»
«No Angelo. Nessuno»
«Peccato… Stavate parlando in privato?»
Sembrava davvero che quel mascalzone di Angelo, riuscisse bene ad interrompere le persone nel momento più importante di una conversazione.
«Oh no. Non si stava dicendo niente di importante» rispose la signora Palieri con tono tranquillo.
«Capito. Non vi dico di cosa avete parlato perché so come la signora qui presente non mi risponderebbe»
“Che faccia tosta” pensò la signora Palieri.
«Bravo Angelo. Vedo che ora mi conosci»
Le due persone al centro della discussione, si scambiarono rapidi sorrisi tirati come a presa di giro.
“Non ha intenzione di andarsene questo qui?” continuava a pensare inorridita la signora anziana.
«Se volete farvi un giro o tornare momentaneamente a casa, posso pensare io a Rebecca»
«Ti ringraziamo, ma non ce n’è bisogno»
«Ne è sicura?»
«Senz’altro, ragazzo mio. Sennò non ti avrei risposto come ho fatto ora»
«Capisco… Allora rimango qui con voi e la bella Rebecca. Ha un viso che non smetterei mai di fissare» Elizabeth faceva di tutto per trattenere le sue parole d’odio contro Angelo per evitare di scatenare un putiferio.
Fece un cenno con le mani al marito come dire: “Te ne parlerò più tardi.”
 
«Angelo, ti vedo un po’ assonnato…» disse il signor Palieri dopo aver svegliato il ragazzo che fissava imperterrito Rebecca.
«Oh, è solo un po’ di stanchezza»
«Perché non vai a casa a riposarti? Potresti tornare domani»
«Non si preoccupi. Non sembro così stanco come lei pensa»
«Ah davvero? Da molto l’impressione che tu dimostri il contrario» rimbeccò la signora Palieri dopo che era tornata nella stanza della ragazza per una breve passeggiata.
«E’ sempre qui?»
«La disturbo forse?»
«In un certo senso… Sì»
«Elizabeth, comportati bene»
«Alfredo, non darmi degli ordini! Sai come la penso»
«Riguardo a cosa? O meglio, a chi? State parlando di me?»
«Oooh, quante domande! Credo che sai bene la risposta…»
«Mi tolga una curiosità signora Palieri, ma lei ce l’ha con me? Mi risponda con tutta sincerità, per cortesia» La signora anziana, dinanzi a quel ragazzo scortese, aveva perso tutta la sua educazione e tutta la sua tranquillità ferrea.
A quest’ultima domanda del ragazzo, per poco non scoppiava a ridere.
«Credo che l’abbiano capito anche i muri di questa stanza. Mi sorprende che l’unico a non averlo capito sei proprio tu. Non ti facevo così ingenuo»
Dopo le dichiarazioni della signora Palieri, Angelo la fissò con sguardo pieno di cattiveria e di rancore, ma sempre nascosto da un velato sorriso.
«Non avrei immaginato che io e lei non riuscissimo ad andare d’accordo…»
«E questa cosa ti ferisce alquanto»
«Abbastanza. Magari un giorno potrei diventare il marito di vostra figlia… E in quel giorno dovremmo riuscire ad andare tutti d’accordo»
«Pregherò ogni momento che questa cosa non accadi. Te lo giuro su quello che ho più caro al mondo e cioè, la mia famiglia»
Angelo si era avvicinato alla signora con sguardo sempre più minaccioso.
«Lo giuri su quello che lei vuole. A me non interessa minimamente!»
«Allontanati da me e stai a distanza di sicurezza! Potrebbero sorgere seri dispiaceri…»
«Vi prego di calmarvi. Siamo in un ospedale, se non ve ne rendete conto!» disse il signor Palieri intromettendosi nella loro discussione che si stava trasformando in una litigata feroce.
«Ha ragione il signor Palieri. Meglio che me ne vada a sgranchirmi le gambe per evitare di commettere atti spiacevoli. Così avrete anche la possibilità di sparlare anche di me… Con permesso»
E uscì dalla vista dei due coniugi.
«Non lo sopporto! Non lo sopporto!» continuava a dire inviperita la signora Palieri.
«Elizabeth, ora calmati. L’abbiamo capito che non sopporti quel ragazzo»
«E allora perché non ti decidi a cacciarlo dalla nostra vita e da quella di nostra figlia? Senza il tuo aiuto, non posso farcela da sola»
«Non caccerò qualcuno che ha tutto il diritto di venire a visitare nostra figlia. Almeno che tu non abbia delle prove…»
«Ah giusto, le prove! Ecco cosa ho scoperto su di lui…»
Ma in quel momento accadde un fatto improvviso e aspettato da più di un anno.
Rebecca aveva mosso la mano sinistra e mandato strani lamenti, come quando una persona si stava per svegliare.
«Cos’è questo rumore?» domandò il signor Palieri senza riuscire a capire da dove venisse.
A quel punto Elizabeth si era voltata verso la figlia e con grande gioia e sorpresa aveva notato che si era svegliata.
«Rebecca! Rebecca si sta svegliando!»

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Capitolo 13
*** 13° ***


13°
 
«Mamma… Sei tu?» Erano le prime parole che la ragazza aveva scandito con voce debole e sommessa.
«Sì tesoro, sono io!»
«Rebecca!» Ora era il padre ad essere sorpreso.
«Papà, ci sei anche tu… Ma dove mi trovo? Ho la sensazione di aver dormito per non so quanto tempo» «Alfredo, vai a chiamare subito i dottori e a dire che nostra figlia si è finalmente svegliata»
Il signor Palieri avrebbe voluto rimanere volentieri lì per vedere ancora sua figlia che aveva appena aperto i suoi luminosi occhi.
Ma aveva anche capito che non era il momento di mettersi a discutere con la moglie per mettersi d’accordo su chi sarebbe andato a chiamare i dottori.
«Dottor Danesi, presto venga!» aveva gridato l’anziano uomo interrompendo la conversazione del primario con un suo collega.
«Signor Palieri, cosa sta succedendo? Perché mi sta trascinando così vigorosamente?»
«Rebecca si è svegliata!»
Aveva la felicità al massimo della sua forma.
Anche il primario sembrò vivamente contento come l’anziano signore.
«Signor Palieri, dove sta andando così di fretta?» domandò Angelo con due bicchierini di caffè in mano, interrompendo la sua corsa e quella del dottore.
«Vieni, Rebecca si è svegliata!»
«Cosa? Sta dicendo sul serio?»
Anche Angelo non se ne capacitava.
«Assolutamente sì»
 
Corsero tutti in preda alla felicità, tranne Angelo.
Ora doveva convincere la ragazza che lui era il suo amante.
«Ma dove mi trovo? Lei chi è?» domandò Rebecca facendo mille domande come una bimba piccola che era alla scoperta del mondo.
«Ciao Rebecca, sono il dottor Danesi e sono il primario di questo ospedale»
«Perché mi trovo in ospedale?»
«Hai avuto un grave incidente stradale e sei stata in coma un anno. Non te lo ricordi?»
«Un incidente stradale? Io in coma un anno?»
«Qual è il tuo ultimo ricordo prima dell’incidente?»
La ragazza cercò di sforzarsi per ricordare se davvero aveva fatto l’incidente. Evidentemente non ricordava e non voleva credere al dottore.
«A parte il fatto che non credo di aver fatto nessun incidente, l’ultima cosa che ricordo è… Aspetti un attimo…»
Ma Rebecca non ricordava nulla.
«Non ricordi niente, vero?»
«Dottore, Rebecca è colpita da amnesia?» domandò Angelo per saperne di più sulle condizioni della giovane donna.
«E’ probabile, ed è del tutto normale dopo tutto questo periodo di coma. Può darsi che ci metta ancora un po’ a ricordare il tutto»
«Dottore, l’unica cosa che mi ricordo è che avevo parlato con Roberto e subito dopo mi ero diretta a casa mia per andare a dormire. Ecco, questo è il tutto»
«E cosa avresti detto a Roberto?»
«Non lo so, non mi ricordo…»
Rebecca si massaggiava la testa per cercare di ammorbidire il suo mal di testa che l’aveva colpita da quando si era svegliata.
«Ok Rebecca ora si riposi un po’… Mi sembra strano dirti di riposarti dopo tutto il tempo che ha dormito… E Voi signori, lasciatela un po’ in pace per il momento. È ancora un po’ scossa per tutto quello che ha udito» «Senz’altro dottore» disse infine la signora Palieri.
 
«Sempre quel Roberto!» gridò inviperito il signor Palieri. «E’ stato lui a vedere per ultimo mia figlia e questo non far altro che aggravare la sua situazione»
«Alfredo, ti sei messo a fare il poliziotto? E comunque questo non vuol dire nulla»
«Ma che dici Elizabeth? È tutta colpa sua. E lo ha pure confessato!»
«Non ne metto in dubbio… Ma ti voglio ricordare di una cosa…» disse la donna anziana sottovoce al marito per evitare che Angelo udisse le sue possibili intenzioni.
«Ah certo. Quella cosa…»
«Abbassa la voce!»
 
«Angelo, che ne dici di tornartene a casa? Tanto non puoi farci nulla qui. Rebecca deve riposare»
«Signora Palieri, ho la sensazione che vuole sbarazzarsi di me»
La donna anziana fece finta di fare la faccia stupita.
«Cosa? Alcune volte ti vengono in mente certe cose!»
«Signora, con tutto il dovuto rispetto, non sono stupido come lei sembra. So benissimo che ha un segreto da nascondere e non vede l’ora di raccontarlo a suo marito…»
Ora si che la donna anziana era visibilmente sorpresa. Anche visibilmente un po’ scossa.
«Ogni coppia sposata ha un segreto da nascondere. Soprattutto noi che stiamo insieme da più di quarant’anni»
Per replicare alle parole della donna, Angelo fece un cenno con la testa.
«Per caso non trovi che ci siano dei segreti tra me e mio marito?»
«Oh, certo che no. Tra lei e suo marito ci possono essere un’infinità di segreti. È solo che non gradirei se ci fossero dei segreti che riguardassero me…»
«Ma figurati! Non sei così importante come tu sembri»
Avrebbe volentieri replicato con uno sguardo accigliato da far gelare le vene, ma il ragazzo si limitò a rimanere silenzioso.
«Ok, ora finitela, per favore. Sto cominciando ad essere stanco dei vostri battibecchi»
«E’ sua moglie che ce la con me, non riuscendo a capire il perché»
«Ah no? Allora te lo rivelo subito cosa ho contro di te: ho ascoltato la tua conversazione di prima con un uomo sconosciuto e ho sentito benissimo che non sei mai stato l’amante di mia figlia. Sei solo uno che fa il lavoro sporco di altri per aggravare la situazione del povero Roberto! Non ho forse ragione?»
Qualsiasi persona avrebbe perso la calma dinanzi alla verità apparente. Ma non Angelo.
«Cosa? Lei è completamente pazza!»
«Non cercare di mentire a me! Lo capisco benissimo quando una persona non mi dice la verità. E anche se tu mantieni una calma ferrea, non riuscirai ad ingannarmi!»
«Io non ho intenzione di ingannare nessuno. Nemmeno sua figlia!»
«Sei fortunato a non essere mio figlio perché sennò ti avrei già dato un sonoro schiaffo!»
«Elizabeth! Ora stai davvero esagerando! Ti prego di smetterla!»
«Signor Palieri, con tutto il dovuto rispetto, dovrebbe far capire a sua moglie quale è il suo vero posto. Un uomo come lei non dovrebbe far dire a sua moglie ingiurie senza senso»
«Sono vere più di qualsiasi altra cosa, e mio marito mi crede. Non è vero, Alfredo?»
L’uomo anziano riflettè un momento prima di rispondere.
«Alfredo, tu mi credi, vero?»
«Ma certo che non le crede! Lo si vede benissimo dalla sua faccia. E fa anche bene»
«Beh, ecco Elizabeth, non so… Può anche essere vero che tu ti sia sbagliata… Sai, l’età gioca brutti scherzi…» «Cosa?! Non posso crederci! Dopo tutti questi anni di matrimonio che sono sempre stata al tuo fianco nella buona e nella cattiva sorte. Anche quando eravamo in guai seri io non ti ho mai abbandonato! E tu mi tradisci in questo modo?! È meglio che non ti dica quello che sto pensando di te!»
E la signora Palieri, che stava per perdere il controllo dei suoi poveri e vecchi nervi, se n’andò via tutta impettita e con le lacrime che stavano scorgendo dai suoi occhi.
«Elizabeth, aspetta!» gridò suo marito cercando di raggiungerla.
Ma fu agguantato al braccio dal ragazzo che aveva gettato altrettanto scompiglio nella loro vita dopo Roberto.
«La lasci perdere per il momento, signor Palieri. Deve sfogarsi da sola»

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Capitolo 14
*** 14° ***


14°
 
Le giornate in carcere del povero Roberto proseguivano lente e inesorabili.
Per Fortuna c’era un buon amico come Mark con cui poteva conversare.
«Tra quando ci sarà il tuo processo?»
«Non ne ho la più pallida idea! La mia mente è occupata su quello che può fare Olympia… Quella ragazza potrebbe essere capace di tutto…»
«Anche di uccidere?»
«Non vorrei, ma credo di sì… Ma ti prego, non farmici pensare… Tu quanto altro tempo rimarrai chiuso qui?»
«Non lo so. Se mi comporto bene potrei uscire tra un paio di mesi se non anni. Ho ancora quattro anni da scontare»
La loro conversazione fu interrotta da un suono di una campanella stridula che indicava ai prigionieri di dirigersi fuori nel cortile.
«Su avanti, andiamo a sgranchirci le gambe»
 
Roberto andò nella direzione opposta rispetto al suo compagno di cella e amico Mark, perché come era stato avvertito proprio da lui, non amava far vedere che aveva degli amici.
Voleva farsi vedere che era un tipo solitario.
«Ehi Roberto come te la passi?» domandò Ugo che aveva raggiunto il ragazzo giovane.
«E come me la dovrei passare in carcere? Male. Vorrei essere fuori di qui la più presto!»
«Come tutti, d'altronde… Comunque mi riferivo soprattutto a come te la passi con il tuo compagno di cella, Mark»
«Ah, è così che si chiama? Da quando sono arrivato in carcere con lui, non mi ha mai rivelato il suo nome. È anche vero che non parla proprio. Preferisce fissare le sbarre di fuori e vedere il bel panorama»
«L’ho sempre ritenuto strano, ma credo che sia proprio pazzo»
«E credo che picchi duro, a giudicare dai suoi muscoli» intervenne Gianni.
«E’ probabile… Allora, oggi a cosa giochiamo?»
«Purtroppo a niente, visto che c’è già altra gente che ha occupato il campo da basket. Ma ho sentito dire che stanno giocando ad un nuovo gioco là al coperto. Che ne dici di andare a vedere?»
«Ok va bene»
Raggiunsero il posto prestabilito vedendo alcune persone che tiravano calci ad un pallone.
«E’ questo il nuovo gioco che intendevi, Ugo?»
«Oh, pensavo che stessero facendo qualcos’altro... Mi sarò sognato»
«Eppure non mi sembri troppo rincitrullito per la tua età» ribattè cordialmente Roberto.
«Sarà l’offuscamento della prigione… Ora scusaci ma io e Gianni dobbiamo andare»
«Aspettate, vengo con voi»
«No, stai pure qui a vedere come giocano i prigionieri. Uno di loro è un vero fuoriclasse!»
 “Ma quale fuoriclasse? Sono davvero penosi questi giocatori. Non riescono a fare due passaggi consecutivi in modo decente.” Pensava Roberto.
Poco dopo, in un punto nascosto della prigione, il giovano ragazzo udì delle forti grida.
Stranamente le persone che stavano giocando a pallone non fecero la minima esitazione per quei rumori. «Ma voi non avete sentito nulla?» domandò Roberto ai carcerati.
«No!» risposero freddamente i prigionieri in coro.
«Ma com’è possibile che voi non abbiate udito nulla?»
«Ehi, non scassarci! Non abbiamo sentito nulla, ok? Ora lasciaci giocare!» ringhiò uno di loro.
“È meglio lasciar perdere prima di finire in guai seri.”
Ma purtroppo Roberto, a sua insaputa, sarebbe finito nei guai lo stesso.
Andò nel luogo nascosto dove aveva sentito le grida e vide un ragazzo malconcio che si era accasciato per terra.
Grondava sangue da gran parte del corpo e aveva le costole incrinate se non rotte.
Prima di gridare aiuto, il gruppo di carcerati che stava giocando a pallone, si diresse proprio lì dove c’era Roberto.
«Ehi ragazzi, guardate cosa ha fatto questa matricola!»
«Cosa? Io non ho fatto nulla»
«Sì certo, raccontalo a qualcun altro! Guardia!»
E nell’udire il grido fatto dal prigioniero, una poliziotto che controllava il cortile accorse immediatamente. «Cosa sta succedendo qui?»
«Lo può vedere benissimo con i suoi occhi. Questo ragazzo ha massacrato quel povero Cristo»
«Non è assolutamente vero! Io sono accorso qui dove c’è questo ragazzo a terra perché ho sentito delle grida raggelanti!»
«Lo spiegherai al direttore della prigione. Aiutatemi a portarlo in infermeria prima che sia troppo tardi e rientrate immediatamente nelle vostre aule!» aveva tuonato la guardia
 
«Cosa è successo Roberto? Sta girando una voce che dice che tu hai quasi ammazzato un prigioniero. È vero?»
«Certo che no, Mark! Non sarei capace di fare una cosa simile!»
«Ah no? Questo lo dovrà decidere il direttore, brutto mascalzone. Andiamo, ti porto da lui» disse la guardia che era accorsa a soccorrere il ferito.
Roberto fu condotto in malo modo nell’ufficio del direttore a forza di calci e manganellate.
«Lasciatemi in pace! Non ho fatto nulla!» continuava a gridare Roberto.
«Ma cos’è tutto questo trambusto?» domandò il direttore della prigione dopo che era uscito dal suo ufficio. «C’è stata una rissa in cortile poco fa’, direttore. E questo ragazzo ne è il colpevole»
«Non è assolutamente vero!»
«Vediamo cosa ha da dire a sua discolpa. Portatelo nel mio ufficio» e il povero ragazzo, fu scaraventato su una sedia nello studio del direttore ammanettato.
«Allora ragazzo, come ti chiami?»
«Mi chiamo Roberto Livisi e ci tengo a precisare che io sono innocente e…»
«perché si trova qui in prigione?»
«Perché…» Roberto esitò un momento prima di rispondere a questa domanda tanto si vergognava di rivelare quello che aveva fatto.
 «Avanti signor Luvisi, non si preoccupi. Se non me lo dice lei, mi toccherà vederlo nel suo fascicolo»
«Beh, ho manomesso i freni dell’auto della mia ragazza e sono stato accusato di tentato omicidio» «Capisco… E mi dica, cosa è successo nel cortile?»
Il ragazzo giovane raccontò quello che era accaduto in quel frangente di momento, senza tralasciare il minimo particolare.
«Quindi, se ho capito bene, lei ha udito una voce straziante dal palchetto dove un gruppo di persone stava giocando a calcio, giusto?»
«Sì»
«E che poi sono stati loro a dare l’allarme. Ha visto i presunti aggressori in faccia?»
«No. Purtroppo quando sono arrivato a soccorrere il pover’uomo, l’aggressore era già fuggito»
«Signor Callieri, mi porti qui tutto il gruppo che stava giocando a pallone. Voglio interrogare anche loro» «Subito direttore»
Il signor Callieri era il direttore in seconda nonché fidato consigliere del direttore stesso.
 Era il classico cagnolino che faceva tutto quello che gli diceva il suo superiore, nel bene e nel male.
Tutto per farsì che un giorno diventi lui il nuovo direttore della prigione dopo che il direttore attuale se ne fosse andato in pensione.
Il gruppo di ragazzi che giocavano a pallone erano in cinque.
Essi raccontarono tutt’altra verità rispetto a quella di Roberto.
«Ma che diavolo state dicendo? Come potete accusarmi se sono stato tutto il tempo lì con voi a vedervi giocare come schiappe a calcio?!»
«Come schiappe dici? Rimangiati quello che hai detto o te ne farò pentire amaramente!»
Prima che potessero arrivare alle mani, il direttore aiutato dalle sua guardie riuscirono a fermarli in tempo. «Ordine o andrete tutti in cella di punizione!» urlò il povero direttore che aveva uno sguardo malandato per l’età.
«Signore, forse è meglio che torni a casa a riposarsi. Ha un brutto aspetto»
«Sto bene signor Callieri. Non si preoccupi. Andiamo avanti sull’argomento e cerchiamo di risolvere il tutto al più presto»
Ma nel mentre che il direttore voleva andare avanti,si sentì svenire e cadde a terra.
«Chiamate subito il dottore!» aveva ringhiato il direttore in seconda ad alcune guardie lì vicino. «e riportate in cella questi criminali! A loro penseremo più tardi»
E in ben che non si dica, furono rispediti malamente nelle loro rispettive celle.

«Allora Roberto, com’è andato il colloquio con il direttore?»
«Non molto bene, purtroppo. Quel gruppo di prigionieri che stava giocando a pallone mi accusa senza alcune prove che sono stato io a picchiare quel ragazzo!»
«E tu ti dichiari innocente?»
«Certo che sì visto che sono stato con loro tutto il tempo! La cosa che non capisco è perché mi accusano in questo modo. E per di più il direttore si è sentito male ed abbiamo interrotto momentaneamente l’argomento»
Mark fissava intensamente la cella che lo chiudeva intorno per pensare sul da farsi e aiutare il suo compagno di cella.
«Prima di recarti a vedere quei mascalzoni, hai incontrato Ugo e Gianni?»
«Sì, perché?»
«Ricordi che ti avevo detto che di loro due non ci si può fidare?»
«Beh… Veramente no…»
«Accidenti Roberto! Se tu te lo fossi ricordato, magari tutto questo non sarebbe mai successo!»
«Credi che siano stati loro a incastrarmi in tutto questo?»
«E’ molto probabile… E sono anche sicuro che pure loro testimonieranno contro di te»
«E ora cosa facciamo? Cosa mi potrebbe accadere?»
«Potresti essere sbattuto in un determinato periodo in cella di punizione. Un brutto posto quello…»
«Perché com’è?» domandò Roberto con tono spaventato.
«La cella di punizione è una cella che è la metà di questa e non ha uno spiffero per poter respirare. Ed è completamente al buio»
«Oh mio Dio!»
«Preparati al peggio, Roberto. Come tu hai ben capito, corri un gran rischio»
«Grazie dell’avvertimento!... Accidenti a me e quando ho conosciuto quei due! Appena le rivedo…»
«Allora si che a quel punto non saresti più innocente. Credo che tu abbia bisogno di un piccolo aiuto…»
«Lo credo anch’io»

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Capitolo 15
*** 15° ***


15°
 
Il giorno dopo i prigionieri non uscirono nemmeno un momento nel cortile per tutto quello che era successo. I
l classico momento che per colpa di uno dovevano pagare tutti.
Ma per fortuna non furono abolite le visite.
Quella volta in prigione fu il turno della madre di Roberto per venire a trovare il suo ragazzo. Ma non era sola…
Fu accompagnato da un uomo misterioso che Roberto non aveva mai visto in vita sua.
«Ciao mamma, cosa ci fai qui? Spero che tu non sia venuta per deridermi e prendermi in giro»
«Certo che no, figliolo. Non sono così crudele come pensi. Non sai quale sorpresa quando i coniugi Palieri mi hanno detto che ti avevano arrestato con l’accusa di tentato omicidio nei confronti della tua ragazza. Spero solo che non sia vero…»
«Mamma, purtroppo è vero. E a causa dei sensi di colpa, ho raccontato una parte di verità al signor Palieri» «Cosa?! Ma sei impazzito?» urlò la signora Livisi fuori di sé.
«Calmati mamma! Purtroppo non sono riuscito a raccontargli tutto al signor Palieri. Ed è per questo che dovrai farlo al posto mio»
«Semmai mi racconterai tutto più tardi… Ti devo presentare una persona»
L a persona che aveva accompagnato la madre di Roberto era un uomo alto di mezza età con i capelli neri (ovviamente tinti), occhi marroni, e un fisico da urlo.
Il classico uomo per cui la madre di Roberto perdeva la testa.
«E chi sarebbe questo tizio? Il mio avvocato?»
«Veramente…»
«Grazie mamma. Grazie davvero. Ne ho un gran bisogno se devo uscire da qui. Non posso sopportare che quel tizio si accaparri la fiducia dei coniugi Palieri e di Rebecca quando si sveglierà»
«Roberto, ti prego di non interrompermi. È già abbastanza difficile dirtelo ora»
«Cosa mi devi dire di così importante che non riesci a parlarmene? Di solito quando non ci riesci vuol dire che è una cosa grossa»
«Infatti lo è. Roberto, ti presento… Ehm, ti presento…»
La signora Livisi non riusciva a dire il nome per colpa della forte emozione.
«Oh mio Dio! Non riesco a ricordare il nome di Enrico»
«Fiona, guarda che l’hai appena detto» disse l’uomo che per la prima volta aveva parlato.
«Mamma,  ti rinvieni? Piacere di conoscerti. Sei il nuovo compagno di mia madre? Spero che duriate di più dell’ultima relazione che ha avuto con un fattorino di cui non ricordo il nome»
«Roberto! Come ti permetti di spifferare i miei segreti così all’acqua di rose?»
«Andiamo mamma, ormai lo sanno tutte le persone che abitano nel nostro quartiere»
«Cosa? Voglio tutti i loro nomi. Così posso andarci a fare quattro chiacchiere»
«Fiona, ti sei scordata il motivo più importante per cui siamo qui? Dopo essere venuti a trovare tuo figlio, naturalmente» disse con voce pacata e tranquilla l’uomo di mezza età come se stesse nascondendo qualcosa 
«Mio figlio? Perché parli in prima persona singolare? Voglio rammentarti che è anche tuo figlio!»
«Eeeh? Cosa hai detto mamma?»
«Oh santo cielo!»
E senza nemmeno accorgersene, la sbadata e pettegola signora Livisi aveva dichiarato il loro segreto.
«Oh… Scusatemi tanto» ribattè la madre di Roberto facendo un sorriso tirato e di scuse.
«Fiona, non è così che volevo dirlo al mio ragazzo»
«Che hai detto? Il tuo ragazzo?»
«Esatto Roberto. Se non tu fossi rinchiuso in prigione e non ci fosse una parete divisoria tra di noi, ti abbraccerei calorosamente»
«Ah sì? Se non fossi già abbastanza nei guai e se non ci fosse questa parete divisoria, ti sgancerei un bel pugno!»
La reazione di Roberto fu così incompresa che nè sua madre nè il suo vero padre se la spiegavano.
«Ma che dici? Perché mi rispondi così?»
«Da quanto tempo sai che io sono tuo figlio?»
«Vedi… Io…»
«Rispondi alla mia domanda senza cercare giri di parole. Da quanto tempo lo sai?»
«Da… Da quando sei nato»
Roberto, vivamente arrabbiato, cercava di trattenere a stento le lacrime che si stavano preparando a sgorgare dal suo viso.
«E t-ti sei presentato solo ora?»
«È stata tua madre a impedirmi tutti questi anni di vederti. Mi ha sempre detto che si era fatta una nuova vita e non mi voleva più avere tra i piedi»
«Cosa? Non è del tutto vero Enrico! Anche tu mi hai detto che ti sei fatto una nuova vita lontano da qui, e a mala pena ci incontravamo una volta l’anno!»
«Per chiederti di vedere mio figlio! Ma tu no, non avevi intenzione di turbarlo e con il passare del tempo i tuoi segreti aumentavano sempre di più»
«Adesso piantatela!»
«Scusaci figliolo»
«E non ti azzardare a chiamarmi figliolo! Io non ho un padre. Non l’ho mai avuto. E mia madre? Ha fatto più sciocchezze che altro in questa vita rovinandomela del tutto! Ma una cosa è certa di lei: è ricca di sorprese. Purtroppo il 99% delle volte sono negative!»
«Roberto, ti prego, non torniamo più su questo argomento»
«E invece ci torniamo, cara la mia bella Fiona. Questo bell’imbusto deve sapere che razza di persona sei!» «Non sprecare il fiato. Lo so già. La prima volta che ho incontrato tua madre era al liceo e…»
«Oh per favore! Risparmiatemi la storia della vostra vita. In questo momento è l’ultimo dei miei pensieri» «Roberto, siamo venuti qui solo per aiutarti. Se fossi stata una madre irresponsabile e sconsiderata come tu mi definisci già da un bel po’, sarei a fottere il primo che incontrerei per strada, abbandonandoti al tuo fatale destino! È questo che vuoi?»
«Voglio solo trovare un po’ di tranquillità una volta per tutte senza che ogni volta che ti vedo, io diventi nervoso senza controllare le mie reali emozioni. E cosa più importante, voglio un avvocato. Tra tutti e due sareste capaci di trovarmelo?»
«Faremo tutto il possibile. Non ti preoccupare» rispose Enrico con il suo solito tono tranquillo.
«Fine delle visite!» aveva gridato come di consueto la guardia.
«Guardia, ho uno speciale permesso che mi ha firmato il direttore in persona per parlare ancora un po’ con il prigioniero. Ecco qua»
All’inizio la guardia non fu molto convinta dalle parole del padre di Roberto, ma poi si ricredette e accettò di eseguire gli ordini impartiti dal permesso del direttore.
«Cos’è cha abbiamo ancora da dirci?»
«Un sacco di cose, Roberto. Vorrei parlarti di me se ti interessa, e vorrei sapere tutto sulla tua vita» «Partiamo dal presupposto che di te non m’importa nulla, della mia vita puoi fartelo spiegare da mia madre. Anche se non si direbbe, mi conosce più di qualunque altra persona»
«Roberto, ma perché ti comporti così?»
Ora si che il giovane ragazzo sembrava profondamente irritato.
«Perché? Lo vuoi davvero sapere? Perché sono stufo di vivere e starmene rinchiuso qua dentro! Sono certo che sono sulla soglia della follia se non me ne vado via di qui!... Ma in fondo me lo merito, anche se non è tutta colpa mia»
«Cosa? Ci vorresti dire che hai avuto un complice?»
«Tanto ora sono rinchiuso tra queste minuscole quattro mura… E non corro il rischio di essere spiato dal complice del mio ex complice che mi ha reso gli ultimi giorni in vero inferno… Sì, ho avuto un complice che ha fatto il lavoro sporco al posto mio. Ma ora se n’è andato all’estero chissà dove e ha assunto un criminale che mi deve tenere d’occhio 24 ore su 24 per evitare che io spifferi qualcosa che lo possa compromettere»
I genitori del ragazzo lo fissavano attentamente cercando di trattenere tutta la loro sorpresa e incredulità. «Come si chiama questo tizio?»
«Elio Vitti… Non cercate lui, ma il suo scagnozzo»
«È stato lui a ferirti la spalla, giusto? Stavi confessando il tutto a qualcuno, vero?»
«Sì. E lui mi ha fermato prima che io potessi parlare»
«Che vada all’inferno! Quel maledetto bastardo farà i conti con me! Fosse l’ultima cosa che faccio!»
«Fiona, ora calmati»
«Calmarmi? Come faccio a calmarmi? Ora che so chi ha sparato a mio figlio andrò a denunciarlo alla polizia e insieme a loro, mi impegnerò con tutte le mie forze a rintracciarlo»
«No mamma! Tu non farai proprio niente! Se per caso scopre che vi ho raccontato tutto e andate a riferirlo alla polizia, sono un uomo morto. Corromperà qualcuno per farmi tacere per sempre, quindi non dovrete dire nulla di tutto ciò, mi avete capito?»
Sebbene inizialmente fossero stati scettici cercando di convincere loro figlio che sarebbero stati indiscreti, mantennero la promessa.
«Ce la caveremo da soli» disse la madre del ragazzo nascondendo la sua preoccupazione.
«State molto attenti! È un uomo molto pericoloso»
«Saremo cauti, non ti preoccupare»
Prima che se ne andassero, Enrico stava per dimenticarsi un’altra cosa importante.
«Roberto, non vorrei turbarti ancora di più, anche perché devo tornare al mio lavoro, ma devo dirti che ho anche un figlio nato dalla mia seconda famiglia: si chiama Angelo»
A quel punto Roberto, fissava suo padre con cenno tra rabbia e tranquillità.
“No, non può essere quell’Angelo che conosco io.” Pensava ripetutamente il giovane ragazzo in quella frazione di secondo.
«Roberto, tutto bene?» domandò suo padre un po’ preoccupato.
«Per caso tuo figlio passa ultimamente molte ora in ospedale?»
«Ora che ci penso sì… Ma tu come fai a saperlo? Lo conosci?»
«Papà… Lasciamo perdere»
«Mi hai chiamato papà? Non ci posso credere! Vuol dire che ti ha fatto piacere saperlo…»
«Mah… Veramente, non è esatto. Me lo sono ritrovato un giorno all’altro, prima di finire in prigione, che si stava accaparrando l’amicizia dei coniugi Palieri per poi conquistare la mia ragazza che purtroppo è ancora in coma»
«Ah…» disse il padre di Enrico con vivace sorpresa.
«Ci mancava che io avessi un fratellastro… Sai mamma? Sembra di stare in una di quelle soap opere che non finiscono mai. Io che conosco mio padre che si è fatto una nuova vita  e cha ha fatto un altro figlio che è mio fratellastro che odio con tutto me stesso, io che cerco di lottare con tutte le mie forze in questa vita che non mi ha voluto bene, e così via…»
«Guardia, potrei abbracciare mio figlio?»
«Sarebbe contro le regole ma… Ve lo concedo. Ma sbrigatevi!»
«Faremo prima possibile»
«Mamma, cosa vuoi fare?»
La signora Livisi abbracciò come non aveva mai fatto, il suo unico figlio.
Il figlio che nonostante tutto, amava più della sua stessa vita.
«Tesoro, non devi pensare che la tua vita sia così brutta. È vero, ora sei in prigione e non te la spassi come vorresti, ma vedrai che tutto si sistemerà per il meglio!»
«Mamma, apprezzo il tuo affetto che hai nei miei confronti… Ma io non sono così ottimista come te. E in questo momento, non voglio nemmeno esserlo»
Era giunto il momento dei saluti.
Le lacrime tornarono a sgorgare negli occhi del giovane Roberto, contagiando anche sua madre.
«Cercherò di tornarti a trovare. Cerca di stare bene e non ficcarti nei guai»
«Ehm mamma, è molto difficile esaudire queste due richieste… Ma cercherò di comportarmi bene» Roberto decise di omettere le ultime verità accadute in prigione, per evitare di far preoccupare ancora di più sua madre.
«Roberto, sono contento di averti conosciuto una volta per tutte»
Padre e figlio si diedero la mano e si strinsero in un caloroso affetto.
«Devo dire che lo sono stato anch’io. Anche se hai un figlio come Angelo…»
«Vedrò di fare il possibile per allontanare mio figlio dalla tua ragazza. Però è strano… Non mi ha mai raccontato che corteggiava una ragazza. Di solito ci raccontiamo tutto… Vabbè ora cerchiamo di non pensarci… A presto, figliolo»
E dopo che si furono dati saluti e abbracci, ognuno tornò alla sua rispettiva vita.

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Capitolo 16
*** 16° ***


16°
 
«Ciao papà, dove sei stato tutto questo tempo?» domandò Angelo appena sua padre varcò la soglia di casa. «Ciao Angelo. Oggi sono stato a trovare una persona e sono andato al lavoro»
«Chi sei andato a trovare?»
«Oh, dopo ti racconto e ti prenderà un colpo. È pronta la cena?»
«Ecco, vedi… Me ne sono dimenticato…»
«Cosa? Ti ho dato un preciso compito stamattina ed era tuo dovere compierlo. Cosa hai fatto in tutto il giorno?»
«Sono stato un po’ a giro con gli amici»
«Ah, certo. I tuoi amici perditempo sono più importanti delle tue faccende di casa. Dove andremo a finire?»
«Papà, mi sono scordato una piccola cosa. Non farne una questione di stato»
«Ne faccio eccome! Non è la prima volta che ti scordi di adempiere ai tuoi doveri. Io lavoro tutto il giorno mentre tu rimani a casa a far niente o vai a giro con tizi che tu chiami amici!»
Questa era la vita della famiglia Ruvini. Dopo che la moglie di Enrico era morta in seguito ad un tumore, padre e figlio si dovevano rimboccare le maniche per tirare avanti.
Il padre di Angelo, Enrico, era un brillante venditore di auto, ma dopo la morte di sua moglie, non è stato più lo stesso.
Angelo aveva frequentato il liceo classico, ma con scarsi risultati. Non era riuscito nemmeno a superare la prima superiore.
Faceva dei lavoretti ai suoi parenti santuariamente, giusto per guadagnare qualcosa.
Ma purtroppo era più quello che spendeva che quello che guadagnava.
Tra uscite con gli amici e soldi sprecati in bevute e sigarette, lui e suo padre arrivavano alla fine del mese quasi in deficit.
 Per fortuna la defunta signora Ruvini aveva lasciato in eredità abbastanza soldi da vivere dignitosamente per anni.
Questi soldi venivano usati per pagare le bollette arretrate.
Insomma, questa era la vita di quella famiglia, che molto velocemente si stava sfasciando.
«Mi dici ora che cuciniamo? Non abbiamo nulla da mangiare immediatamente!» continuò a bofonchiare il padre di Angelo visibilmente irritato.
«Andiamo a prendere qualcosa fuori. Una pizza, un hamburger o che so io»
«Sai che i soldi ci servono. Basti tu che li vai a spendere a destra e a manca. Mi domando in cosa li spendi…» «Mangiando un panino o prendendo qualche bevuta con gli amici»
«Sì, e magari offri sempre a loro mentre loro non offrono nulla a te»
«No, ti stai sbagliando… Cambiando discorso, quale è la cosa che mi dovevi dire?»
«Te la dirò più tardi. Ora vado a farmi una doccia rilassante»
Angelo si interpose tra suo padre e le scale che conducevano al piano di sopra.
«No, ne parliamo ora»
«Tu prima cerca di trovare qualcosa da mangiare e poi forse ne parleremo»
«Sai quale è il tuo problema, papà? Che rimandi sempre le cose a dopo. Fai sempre tutto dopo»
«Al contrario di te che non fai proprio nulla! A proposito, ho un lavoretto per te. Il signor Gravsky deve ripulire le grondaie ed è troppo vecchio per farlo da solo. Quindi ho fatto il tuo nome e ha accettato che tu vada ad aiutarlo»
«Pulire le grondaie? Non ci pensare nemmeno! Domani mattina devo andare in osp…»
«Devi andare dove?»
«Oh, da nessuna parte, papà»
«Ah sì? Bene, allora puoi fare il lavoro a cui sei stato richiesto»
«Ma non potrei farlo un altro giorno? Domani è proprio impossibile»
«E cosa avresti da fare eh? Svegliarti a mezzogiorno?»
«Ehm… Devo aiutare Renato ad aggiustare una macchina che ha appena comprato»
«Figliolo, guarda che non mi inganni. Lo so benissimo che il tuo amico Renato non se ne intende di macchine. Non sa nemmeno la differenza tra un carburatore e un filtro per l’aria condizionata. Vado a farmi la doccia e poi ne riparliamo»
 
«Ora che hai finito di fare i tuoi porchi comodi, mi vorresti dire la cosa che stai tenendo nascosta?»
«La vuoi proprio sapere?» domandò Enrico fissando intensamente suo figlio.
«Sì! Avanti!»
«Bene, tieniti forte, perché sto per rivelarti…»
E proprio in quel momento in cui il padre di Angelo si stava preparando a parlare, qualcuno suonò alla porta.
«Ecco qui le pizze che avete ordinato» disse colui che consegnava pizze a domicilio.
«Quanto le devo?»
«12 euro»
«Ecco. Tenga» disse Angelo porgendo il denaro
«Grazie e arrivederci»
Angelo aveva ordinato alcuni pezzi di margherita della sua pizzeria preferita che stava vicino alla sua abitazione.
«Tu, hai ordinato la pizza?»
«Sì, non è fantastico? Senti che buon odorino. E sono stato così bravo da prendertela pure a te»
«Oooh, tante grazie! Cosa ti ho detto prima? Che dobbiamo…»
«Risparmiare il più possibile, lo so. Ma io non posso resistere al profumo di questa pizza»
«Non resisteresti nemmeno al sapore della droga…» mormorò suo padre distogliendo lo sguardo.
«Che cosa hai detto? Mi stai forse accusando che sono un drogato?»
«Certo che no, figliolo. Però talvolta alzi un po’ troppo il gomito» ribattè con tono pacato Enrico mentre si era voltato verso il frigorifero per prendere una lattina di birra.
«Guardami in faccia quando ti parlo!» ringhiò Angelo. «Non ti permettere mai più di parlarmi di questa storia, è chiaro? Io sono un ragazzo per bene, al contrario di quello che pensi tu»
«Sì certo… Mangiamo in pace poi vado a letto»
«No, tu non ti muovi di qui finchè non mi dici una volta per tutte…»
«Angelo, hai un fratello. Ecco, l’ho detto»
Il giovane ragazzo rimase letteralmente folgorato dalla dichiarazione del padre, tanto che non gli credette e lo prese per matto.
«Ahahah ma ti sei bevuto il cervello?»
«No caro mio. Oggi, per la prima volta, l’ho conosciuto. E sai dove? In carcere»
«Oh benissimo. Quindi ho un fratello criminale»
«Fratellastro, per essere precisi. È stato concepito con una che avevo conosciuto al liceo e che al primo rapporto sessuale l’ho messa incinta»
«Bel colpo, papà. Ma non ti vergogni? Se lo sapesse la mamma…»
«La mamma lo sapeva»
«E… Non si è mai arrabbiata con te?>»
«No perché gli ho detto che non l’avevo mai più frequentata dopo la prima notte che ero stato insieme a lei, e la mamma mi ha creduto»
«Non ci posso credere… Stai parlando sul serio?»
«Mai stato più serio in vita mia»
«Se fossi stato in mamma, a quest’ora ti avrei buttato fuori di casa»
«E perché? Come ti ho appena detto, non aveva nulla di cui preoccuparsi. Io non ho mai mentito a tua madre. Preferivo morire invece che mentirgli o tradirla»
«Che bel gesto nobile da parte tua» disse ironicamente Angelo.
«Sì, sì, scherza pure, ma è la verità»
«E dimmi, come si chiama questo sconosciuto? Non vedo l’ora di conoscerlo, sai? Chissà quante cose abbiamo in comune»
«Credo che tu l’hai già incontrato… Si chiama Roberto»
«Roberto!!!» gridò con gran voce il ragazzo dopo che aveva sputato la sua birra sulla pizza come cenno di incredibile sorpresa.
«Sì esatto… La domanda che ora mi sorge è dove vi siete conosciuti…»
«Qui nei dintorni… Oh Cristo, Roberto mio fratello no! Questo non lo posso accettare! È tutta colpa tua!» «Ah si? E perché mai?»
«Se non avessi conosciuto quella poco di buono di sua madre, a quest’ora saremmo più tranquilli e ci gusteremo in pace questa pizza»
«Non parlare così di lei! Non te lo permetto!»
«Sennò cosa mi fai?» domandò il ragazzo lanciando la sfida a suo padre.
«È sempre una mia cara amica!»
«Ma fammi il piacere!»
«E comunque, non cercare di mentirmi…»
«E su cosa ti mentirei?»
«Anche se Roberto non mi ha detto nulla al riguardo, immagino che tu l’hai conosciuto in ospedale per accaparrarti la fiducia di una famiglia per poi conquistare la sua ragazza! Non è forse così? Rispondi immediatamente»
«No, io…»
«Ecco dove passi gran parte del tempo… Ma ora non sarà più così»
«E perché, scusa?»
«Perché ti proibisco di tornare in ospedale e importunare quelle persone!»
«Io non importuno un bel niente! Chiedilo pure ai coniugi Palieri»
«Ok, lo farò»
«No, no aspetta… Vado d’accordo con tutti, tranne che con la madre della ragazza. Stranamente con lei non ho mai legato»
«Un buon motivo perché tu non la veda più»
«Scordatelo! Ora che finalmente Rebecca si è svegliata, non starò lontano da lei!»
«Cosa?! Rebecca si è svegliata?!»
Angelo divenne pallido in volto perché aveva capito di aver rivelato qualcosa che non tutti dovevano sapere…
«Beh, non del tutto…»
«Questa si che è una bella notizia. Devo parlarne con Roberto. Chissà come sarà contento quando saprà che la sua fidanzata si è finalmente svegliata!»
«Cosa? Diresti al suo omicida che si è svegliata?»
«Mmh?...»
«Roberto non ti ha detto che è stato lui a mandare in coma Rebecca?»
«Sì, me l’ha detto…»
«E allora non credi che sia imprudente dirgli questo segreto? Dopo Rebecca tornerebbe ad essere in grave pericolo. Roberto potrebbe scappare di prigione, andare in ospedale e finire il lavoro che aveva iniziato un anno fa’»
«No, non credo che Roberto possa tornare a fare una cosa del genere… Sì è pentito»
«Non dargli ascolto. Piuttosto, credi a me che mi conosci da una vita. Lui l’hai appena conosciuto oggi» Enrico rifletteva attentamente sulle parole convincenti del malvagio di suo figlio.
«Sì… Forse non hai tutti i torti… Ok, non gli dirò niente»
«Bravo» disse con un sorriso amaro il ragazzo.
Ora Angelo era consapevole che il segreto che legava lui e i parenti più stretti sulle condizioni della ragazza, era al sicuro.
Ma non si sarebbe immaginato che una donna  vicino a lui, gli avrebbe messo i bastoni fra le ruote.

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Capitolo 17
*** 17° ***


17°
 
«Ora torniamo a parlare della tua visita a Roberto in cella. Cosa ti ha raccontato?» domandò il giovane ragazzo mentre stavano finendo la loro cena.
«Niente in particolare… Come ti ho detto mi ha parlato di te, della sua ragazza e di… Di una cosa che mi ha profondamente turbato…»
«Ah sì? Del tipo?» domandò Angelo incuriosito.
«No… Non posso parlartene…»
«E perché? Cos’ha da nascondere?»
«Niente»
«E allora perché non me ne puoi parlare?»
«Perché ha chiesto espressamente a me e a sua madre, di non dirlo a nessuno»
«Andiamo papà, io sono tuo figlio. Di me puoi fidarti»
Il giovane ragazzo, quando voleva sapere a tutti i costi delle cose che potevano interessarlo, metteva in luce la sua insistenza e la sua furbizia, mescolando il tutto con tono seducente.
«Veramente io non mi fiderei tanto di te… Potresti andarlo a raccontare al primo che capita, mettendo in pericolo la sua vita»
«Addirittura in pericolo la sua vita? Allora dev’essere una cosa grossa!»
«Infatti lo è! È per questo che non posso dirti nulla su un cecchino sconosciuto che lo ha perseguitato negli ultimi giorni»
Senza rendersene conto, Enrico aveva iniziato a dire i segreti nascosti di Roberto. Segreti che potevano compromettere la sua sicurezza.
«Un cecchino? Questo si che è fa interessante… E chi è che lo manda?»
«Mah… Mi sembra che si chiami Elio… Aspetta! Ma io non dovevo raccontarti nulla!»
«Troppo tardi, papà. Ormai so il segreto che accomuna te e lui»
«Prometti che non dirai nulla a nessuno, chiaro?»
«Oh certo. Sta tranquillo, il segreto è custodito bene nella mia mente» disse Angelo con sorriso furbesco. «Cos’è quella faccia? Angelo, non devi dire nulla a nessuno!»
«E non lo farò. Non essere paranoico»
Il ragazzo iniziò ad alzarsi dalla tavola, senza finire il suo pezzo di pizza.
«Ora dove stai andando?»
«A prendere un po’ d’aria. Magari incontro un mio amico e andiamo a fare un giro insieme… Senza parlare di Roberto e del cecchino. Ci vediamo più tardi. Non mi aspettare alzato»
«Un attimo Angelo» mormorò Enrico fermando suo figlio sulla soglia della porta.
«È strano che tu lasci un pezzo della tua pizza preferita sul tavolo…»
«La mangerò più tardi, papà. Quale è il problema?»
«Ascolta bene il mio avvertimento, perché non te lo dirò un’altra volta»
«Non fai altro che darmi avvertimenti su avvertimenti. Ormai ci sono abituato»
«Sì, ma questa volta è diverso: se scopro che hai raccontato tutto a qualcuno che non doveva sapere nulla, non ti considererò più mio figlio. Non esisterai più per me e te la dovrai vedere con Roberto»
«Stai scherzando, vero?»
«Mai stato più serio prima d’ora»
«Ah… Ok. Afferrato il messaggio. Posso andare adesso?»
«Sì, vai»
Angelo uscì di casa senza nemmeno riuscire a guardare suo padre dritto negli occhi.
“E dovrei preoccuparmi di Roberto? È solo uno smidollato che molto presto verrà condannato per i suoi crimini, mentre me non mi beccheranno mai…”
 
Angelo non perse tempo.
Dopo essersi allontanato da casa sua, compose il numero di colui che manovrava tutta la questione.
«John, sono Angelo. Ti devo parlare»
«Spero che sia importante. Vorrei cenare in santa pace senza essere disturbato»
«Vedrai, è una cosa che ne va della vita di Roberto»
«Ah sì? Cosa avrebbe detto di “proibito”?»
«Ha solo fatto il nome di un certo Elio…»
«Cosa? Ma ne sei sicuro? Chi te l’ha detto?» domandò John con tono preoccupato e nervoso.
«Me l’hai riferito mio padre che l’ha saputo da Roberto»
«Oltre a te e a lui, lo sa qualcun’altro?»
«Sembrerebbe che lo sappia anche la signora Livisi»
«Quando Roberto ha parlato con tuo padre e con quella megera, ha fatto per caso il mio nome?»
«Mmmh n-no, non credo. Mio padre non mi ha detto nulla al riguardo… Perché sei così preoccupato? E chi è questo Elio?»
«Questi non sono affari tuoi. È una faccenda solo mia»
«Ehi! Guarda di non mandarmi nei casini!» tuonò Angelo senza pensare quanto veramente fosse pericoloso john.
«E tu stai attento a come parli! Nessuno si è mai rivolto a me con impeto come hai fatto tu! Abbiamo un accordo noi due: tu mi tieni informato sulla ragazza e su Roberto e io ti passo un po’ di soldi. Siamo intesi?»
«Certo. Va bene»
«Ora devo proprio andare. Fammi sapere se c’è qualcuno che sa il mio nome su questa faccenda…»
«E se per caso lo sapesse?»
«Allora non ci sarebbe nessuna possibilità tranne che farlo sparire…»
«Che cosa?!» gridò paurosamente Angelo senza ricevere la risposta.
«Pronto! Pronto!... Dannazione! Quel maledetto ha attaccato!»
 
John, dopo aver ricevuto la notizia, credette che fosse venuto il momento di tenere sotto controllo altre persone che non fossero Roberto, come ad esempio Enrico e la signora Livisi.
Ma prima di cominciare un altro compito…
«Ehi capo, sono John»
«Che cosa vuoi?» domandò rudemente Elio con tono seccato.
«Come te la passi?»
«Molto meglio di te sicuramente»
«Ah, questo di sicuro!... Scusami se ti disturbo, ma dobbiamo parlare di una cosa»
«Cerca di fare in fretta. Mi sta aspettando un riccone della zona con un paio di pollastrelle. Se hai capito cosa intendo…»
«Ci faccia un pensierino da parte mia» ribattè John con tono malizioso e sorridente.
«Comunque, veniamo a noi… Ho reclutato un ragazzo che per pochi soldi si è infiltrato nella vita della ragazza e di Roberto e indovina cosa ha scoperto…»
«Dimmelo, ti prego. Sono qui che non sto più nella pelle»
In realtà, a Elio non fregava nulla di quello che accadeva in Italia, tranne quando veniva fatto il suo nome in faccende che andavano contro la legge.
«Ha scoperto che quel fottutissimo bastardo di Roberto ha tirato fuori il mio nome…»
«E anche il mio?!» gridò innervosito e preoccupato Elio.
«No, assolutamente no, capo. Comunque non ha detto il mio nome… Ha solo detto che ha un persecutore che gli sta alle costole»
«Di te non m’importa nulla. Basta che non arrivi a dire il mio nome… Dimmi, è ancora in prigione?» «Certamente!»
«Questo è un problema. Ci sono un sacco di sbirri che lo controllano…»
«Cosa dovrei fare, capo?»
«Devi farlo uscire di lì ed eliminarlo il prima possibile. Ti do’ tempo tre giorni e poi non voglio più sentir parlare di Roberto Livisi!»
«Ma capo, non ce la farò mai in così poco tempo!»
«E invece ce la devi fare!... E se per caso non eseguirai perfettamente i miei ordini, sarai in un mare di guai. Talmente grandi  che non ce la farai ad uscirne. Chiaro il concetto?»
«Alla perfezione capo. Buona giornata»
Dopo che ebbe chiuso la chiamata, John aveva lo sguardo allarmato e la testa occupata nell’elaborare un piano perfetto per mettere a tacere per sempre Roberto.
“Come faccio in soli tre giorni? Che vada al diavolo lui e tutta la sua vita! Non dovevo accettare i suoi ordini!”
Ad un certo punto, mentre il cecchino era assorto nei suoi pensieri, sentì qualcuno bussare alla porta.
«Chi è?»
Ma di fuori nessuno rispondeva.
«Chi è?!»
«Apra questa porta!» tuonò una voce femminile.
John, impugnò il suo fucile da cecchino e andò ad aprire la porta.
«Chi sei tu?»
«Abbassa quel fucile!» rispose la ragazza a lui sconosciuta.
«Non abbasserò questo fucile finchè non mi dici chi sei. Hai tre secondi per dirmelo. Uno… Due…»
«Ok, ok. Mi chiamo Olympia ed è da un bel po’ che ti cercavo... Ho un lavoro per te»
«Un lavoro per me?»
«Esatto, John»
«Ma, come fai a sapere il mio nome? Chi diavolo sei tu?!» urlò John sempre con il fucile in mano.
«Grazie a internet. Ho fatto alcune ricerche su di te. Sei uno dei migliori cecchini che ci sono in circolazione, giusto?»
«Il migliore in assoluto!... Come hai fatto a rintracciarmi? Sei una poliziotta per caso?»
«Non sono una poliziotta»
«E chi mi dice che tu non mi stia mentendo?»
«Devi solo fidarti di me…»
«No, no. Io non mi fido di nessuno. Soprattutto di una donna. E poi devi sempre dirmi, come hai fatto a trovarmi»
«Vedi John, sono una persona estremamente ricca e il linguaggio dei soldi, lo capiscono tutti… Mi è bastato andare in una base militare un po’ distante da qui e farmi dire dove potrei trovare un certo John che di professione faceva il militare e che è diventato un abile cecchino. E dopo un paio di giorni di ricerca… Eccoti qua! Ora potrei entrare? Non vorrei trattenermi in questo quartiere squallido più tempo del previsto»
«Va bene, mi hai convinto. Entra»
La ragazza rimase in piedi, per evitare di prendere qualche malattia legata allo scarso igiene.
«Non ti vuoi sedere?»
«Preferisco di no…»
«E invece tu ti siederai! Mi mettono ansia le persone che stanno in piedi mentre io sono seduto»
«Ho detto di no!»
Bastarono pochi secondi per far sì che John riprendesse il suo fucile per puntarlo sulla povera ragazza. «Siediti, se non vuoi che la casa si riempia delle tue budella»
Olympia, senza nascondere la sua paura, ubbidì alla richiesta del cecchino.
«Fai tanto la dura e poi hai il terrore a stare qui con me»
«Se non fossi costretta, non ti avrei nemmeno conosciuto»
«Per forza non si fa neanche l’aceto, cita un detto di queste parti…»
«Sì certo… Sono venuta qui per dirti di eliminare una persona…»
«Mi dispiace, ma non sono interessato. E poi, come ti ho appena detto, in questi giorni sono molto occupato»
«Altri uccisioni da aggiungere nel tuo repertorio? Credo che possono aspettare…»
«Non penso proprio!»
«Sono disposta a darti qualsiasi cifra»
«Non è una questione di soldi, bensì di tempistica»
«Andiamo John, è sempre una questione di soldi. Devi solo eliminare una ragazza in coma. Il suo nome è Rebecca Palieri»
Nell’udire quel nome, il cecchino rimase come folgorato.
«Cos’hai? Per caso la conosci?»
«Eh?... Io conoscerla? Macchè! Con chi pensi di avere a che fare? Con un infermiere? Non conosco nessuna persona in coma.»
«Perfetto… è un lavoretto veloce veloce. Basta un piccolo sparo e non avrò più problemi»
«Che cosa ti ha fatto quella povera ragazza?»
«Povera ragazza un bel niente! Per colpa sua non posso stare insieme alla persona che io amo: Roberto Livisi»
“Immaginavo! Sempre lui!” pensò John digrignando i denti.
«Sei sicuro di sentirti bene?»
«Mai stato meglio»
«Allora, farai questo per me?»
«Mmmh non lo so… Ci devo pensare…»
«Avanti smettila! Non farti pregare!»
La ragazza tirò fuori dalla sua borsa un blocchetto degli assegni, strappandone uno.
Lo firmò, ma non ci mise nessuna cifra.
«Ecco a te. Sarai tu a metterci la cifra pattuita. Naturalmente dopo il lavoro svolto. E non provare a fregarmi perché non sembra, ma sono molto più furba di te!»
«Non sopporto la tua tenacia… Comunque accetto»
«Splendido! E quando ti metterai all’opera?»
«Non lo so ancora. Ma non penso che farò passare più di una settimana»
«Benissimo. Questo è il mio numero. Chiamami quando avrai finito, ok?» disse la giovane donna dettandogli il suo numero di cellulare.
«Bene, è giunta l’ora che io vada… è stato un piacere John»
«Non raccontarmi cavolate! So bene che non è così»
«Sì che lo è! Non fingo molto spesso» ribattè la ragazza con sorriso ironico, facendo ridere anche l’uomo. «Ahahah, sì certo»
«Ah un’altra cosa… Noi due non ci siamo mai visti e conosciuti»
«Questo era scontato, mia cara… A risentirci»
eDopo un saluto veloce, Olympia se n’andò, lasciando John ai suoi rispettivi compiti.
“Prima la ragazza e poi Roberto… Così facendo prenderò due piccioni con una fava e a lavoro finito sarò sistemato a vita.”

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Capitolo 18
*** 18° ***


18°
 
La violenta discussione dell’altro giorno, ha fatto sì che Elizabeth, si allontanasse momentaneamente da suo marito. Lui non voleva assolutamente che Roberto sapesse di Rebecca. Ma la signora Palieri non sentiva ragioni.
 
Appena trovò un po’ di tempo libero, si recò in prigione a trovare Roberto.
«Signora Palieri! Che sorpresa vederla qui»
«Ciao Roberto. Come stai?»
«Potrei passarmela meglio. E lei?»
«Non c’è male. Potrei stare meglio se non ci fosse quell’impiastro di Angelo. Non posso ancora crederci che Alfredo creda alle sue bugie!»
«In compenso non vuole più saperne di me…» disse sconsolato il giovane ragazzo.
«Allora signora Elizabeth, cosa è venuta a fare qui?»
«È la prima volta che mi chiami Elizabeth, sai?» mormorò la donna facendogli un sorriso.
«Oh mi scusi. Non volevo»
«No no non ti scusare. Mi fa piacere. Sempre a chiamarmi signora Palieri. Chiamami pure Elizabeth e dammi del tu»
«Mi sembra strano darle del tu dopo tutto questo tempo»
«E allora ti ci dovrai abituare»
«Come vuole… Oh, come vuoi…»
«Così va molto bene»
«Toglimi una curiosità Elizabeth: Ma non ce l’hai mai avuta con me? Nel senso, anche dopo l’incidente che ho causato a sua figlia?»
«Vedi Roberto, per me sei stata la speranza vivente. Il figlio che non ho mai avuto, come ben sai. E anche se ti sei macchiato di un crimine imperdonabile, il perdono nei miei confronti l’hai ottenuto meritatamente» «Sono felice di sentirtelo dire Elizabeth»
«Non martoriarti con questo dubbio. Ho ben compreso che non sei una cattiva persona. Lo sono altre…» «Credo che stai pensando a quell’impostore di Angelo, vero?»
«E chi sennò? L’altro giorno l’ho spiato che stava conversando con un certo John… Ora ho le prove che ha delle cattive intenzioni»
«Del tipo?»
«Si è infiltrato nella nostra vita per rovinarcela»
«Hai scoperto nient’altro?»
«Per ora no, Roberto…»
«Hai parlato con tuo marito?»
«Ho provato, ma non ho mai trovato l’occasione. Sempre per colpa di Angelo che ci ha interrotto sempre sul più bello»
«Maledizione! Devi trovare assolutamente il modo per parlarci e smascherare quel farabutto!» disse Roberto con foga e rabbia. «Vorrei poter uscire da qui!»
«Vedrai che andrà tutto bene»
«Macchè! Ormai ho confessato il tutto ed è questione di tempo per il processo e per poi essere condannato!»
Mentre finì di dire la frase, gli balenò un’idea che poteva farlo stare un po’ più tranquillo.
«Elizabeth, devi tener d’occhio tutti coloro che circondano Rebecca. Tuo marito, i medici, gli infermieri e soprattutto quello lì che non nomino nemmeno»
«Ah proposito di Rebecca… Mi sono appena ricordata il principale motivo per cui sono qui. Roberto, ho una notizia eccezionale da darti!»
Il giovane ragazzo fissò la donna anziana rimanendo per qualche momento interdetto ma desideroso di sapere la notizia. Anche se si immaginava di cosa si trattasse.
«Oh cielo! Non dirmi che…»
«Sì, Rebecca si è finalmente svegliata»
«Sììììììì!!!!!! Non ci posso credere Elizabeth! Questo è un vero miracolo!!!»
Roberto urlò con tutta la potenza che le sue corde vocali potevano permettergli.
«Abbassi la voce Livisi!» tuonò una guardia interrompendo senza successo la felicità del giovane ragazzo. «Guardia! Finalmente la mia ragazza si è svegliata! Mi ha sentito?»
«Forte e chiaro. Ma ora ti ordino di contenere la tua felicità se non vuoi tornare in cella in anticipo»
«Sì, ho capito… Oh mio Dio Elizabeth, non so come ringraziarla per avermi dato questa notizia!»
«Già…»
«Cosa ti prende?» domandò Roberto che si era preoccupato di colpo.
«Niente di grave. È solo che se non era per me, nessuno ti avrebbe dato questa notizia»
«E per quale motivo?»
«Come ti ho detto, mio marito non si fida più di te… E questo è stato il motivo della nostra ultima litigata» «Che ottuso!... Comunque mi dispiace…»
«Oh, non dispiacerti. È tutta colpa sua!»
«Non ne dubito, però…»
«Il tempo della visita è scaduto, signora» interruppe la guardia.
I due iniziarono ad alzarsi, per poi tornarsene alle rispettive vite.
«Ci rivedremo molto presto, Roberto»
«Spero proprio di sì Elizabeth, e mi raccomando… Occhi bene aperti»
«Senz’altro figliolo» disse infine mentre si dettero un lungo abbraccio prima di essere interrotti per l’ennesima volta dalla guardia.

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Capitolo 19
*** 19° ***


19°
 
Roberto non era mai stato così contento in tutta la sua vita.
Il risveglio di Rebecca però ha compensato solo in parte la sua gioia, visto che si trovava sempre in prigione per il suo crimine.
Ma in quel giorno non ne voleva sapere e non voleva pensare a cose brutte che potessero intaccare la sua giornata magnifica.
Il primo che fu colpito dalla sua contentezza fu il suo compagno di cella Mark.
«Ehilà caro compagno! Giornata felice oggi, non trovi?»
L’uomo pieno di cicatrici fissava il ragazzo giovane con aria sorpresa e confusa. «Mah, se lo dici tu…» «Eeeh… Il sole è alto sopra il cielo e nemmeno l’oscurità della prigione può offuscare»
«MI dici cosa ti sta succedendo? E con chi hai parlato? Con Dio in persona?»
«Dio no, ma la Madonna sì!»
«Caspita! Perché non mi hai chiamato? Così potevo conoscerla di persona» ribattè ironico Mark.
«Ahahah sarà per un’altra volta… Ho una notizia bomba!»
«Ma va’? Non l’avevo capito. Avanti, spara»
«Rebecca, la mia fidanzata, si è finalmente svegliata! Non è una notizia fantastica?»
«Se lo dici tu…»
Mark sembrava interessato più alle notizie sul giornale che stava leggendo, che alle notizie del suo amico. «Mark, cos’hai?»
«Io? Niente. Perché?»
«Pensavo che saresti stato partecipe della mia gioia… Non sai da quanto tempo aspettavo questo momento!»
«Roberto, mettiamo le cose in chiaro… Anche se hai ricevuto una notizia bellissima, questo non fa sì che tu sia libero. Certo, ora la tua vita può riprendere il vigore che da quasi un anno ha perso, però quanto durerà?»
«Mark, non capisco cosa stai dicendo. Dove vuoi arrivare?» domandò il ragazzo con il buio che aleggiava nel suo sguardo.
«Dico solo che finchè rimarrai qui dentro, non sarai fiero fino in fondo, soprattutto se non fai pace con la tua ragazza, visto che l’hai quasi uccisa»
«Questo non ci avevo pensato… Credi che i suoi genitori gli abbiano raccontato tutto?»
«Certo che sì, ragazzo. Se non lo ha fatto sua madre, lo ha fatto sicuramente suo padre o il tuo nemico giurato»
«Maledizione!... Mark, devo andarmene immediatamente da qui»
«Per parlare con la tua ex?»
«Non è la mia ex! Non ci siamo ancora lasciati! O forse sì…»
«Meglio che non diventi più cattivo di quello che posso essere, sennò solo dolori per te… E comunque non puoi andartene da qui. Sei ancora accusato di aver pestato un ragazzo nel cortile della prigione»
«Ma io sono innocente!»
«Lo so bene, ma questo a chi vuoi che importa? A nessuno. Faranno di tutto per sbatterti nella cella di punizione»
«Cosa? Perché non me l’hai detto prima?»
«O prima o dopo non sarebbe cambiato nulla»
«Certo che sarebbe cambiato!... E io che credevo nella giustizia del buon vecchio direttore… A questo punto spero che gli prenda un bell’infarto così ce lo togliamo tra i piedi!»
«Anche se il vecchio morisse, ci sarebbe il suo vice e per quanto ne so io, è molto più crudele del direttore attuale»
«E ti pareva? Qui si va di male in peggio! Mi dici ora che posso fare?»
Mark cercò di pensare ad un valido piano per aiutare il suo compagno.
«Dobbiamo far sì che tu esca prima che tu finisca in cella di punizione, perché non saprei proprio quando torneresti qui…»
«Quanto tempo abbiamo per trovare un valido piano?»
«Si sta facendo buio… Credo fino a domani mattina»
«Allora mettiamoci al lavoro e spremiamo le meningi!»
 
Intanto la signora Palieri, dopo essere stata in prigione a trovare Roberto, era tornata in ospedale per far visita a sua figlia.
Purtroppo per lei non evitò nè il marito nè Angelo.
«Elizabeth! Finalmente sei tornata!» disse il marito al colmo della gioia «Dove sei stata finora?»
«Questi non sono affari tuoi!» ribattè sprezzante la donna ancora visibilmente arrabbiata con il marito.
«Ti prego Elizabeth. Non fare scenate dinanzi a tua figlia e ad ospiti»
«Mamma!» disse con fierezza la giovane Rebecca.
«Sono qui, angelo mio. Come stai oggi?»
«Molto bene, grazie. E tu? Perché stai litigando con papà?»
«Oh, niente di che…»
«È la prima volta che vi sento litigare…» ribattè con aria innocente la giovane donna.
La signora Palieri non rispose a sua figlia, andando a fissare lo sguardo su suo marito.
«Comunque Alfredo, oggi non farò scenate, e non perché c’è ancora quell’impiastro di Angelo. Perché c’è nostra figlia»
Intanto Angelo, visibilmente irritato per gli attacchi della donna anziana nei suoi confronti, avanzò lentamente dentro la stanza della ragazza.
«E buonasera anche a voi, signora Palieri. Signor Palieri»
«Ciao Angelo» rispose timidamente Alfredo.
«Mamma, chi è quest’uomo?»
Alla domanda della figlia, la donna scrutò con sguardo accigliato il nemico della sua famiglia, intenta a fare di tutto per farlo cacciare via.
«Nessuno, figlia mia. È solo un maledetto sconosciuto che vuole rovinarci la vita!»
«Elizabeth, smettila!»
«No, tu smettila di difendere questo qui! Ma non hai ancora capito che è un impostore?!» gridò la signora Palieri furente di rabbia.
Angelo continuò ad avvicinarsi a Rebecca, causando un profondo stato di agitazione nella madre della ragazza.
«Lei si dovrebbe solo vergognare a dire queste calunnie contro delle brave persone» mormorò sottovoce il ragazzo.
«Tu sei tutto tranne che una brava persona! Ora stai lontano da mia figlia, o chiamo i medici!»
«Aspetta mamma…» disse d’un tratto Rebecca interrompendo sua madre.
«Cosa c’è, figliola?»
«Fammi parlare con questo sconosciuto. Sono curiosa di sapere cosa mi dice»
«Rebecca, non mi sembra il caso»
«E perché? Ha paura che io facci del male a sua figlia?» domandò indignato Angelo.
«Ne sarebbe sicuramente capace!» ribattè stizzita la signora Palieri.
«Elizabeth, fai quello che ti dice Rebecca. È stata in coma per un anno intero e non credi che gli dobbiamo almeno un piccolo desiderio?»
La domanda di suo marito, fece vacillare la signora e finì per doversi arrendere.
«Va bene. Mi avete convinto»
«E vorrei farlo in privato» continuò a dire la ragazza.
«Certamente. Per qualsiasi cosa, noi siamo qui fuori» rispose sorridente il signor Palieri.
«Grazie papà»
«Tu Elizabeth non vieni?»
«N-Non ne sono sicura…»
«Andiamo Elizabeth. Siamo qui fuori. Non può succedergli niente» disse il signor Palieri convincendo anche in quell’occasione la signora Palieri che aveva ceduto in due momenti in poco tempo.
Molto raro che accadesse quando era di cattivo umore.
 
Dopo che i coniugi Palieri furono usciti dalla stanza per lasciare soli i due ragazzi, Rebecca fissava intensamente Angelo per capire veramente chi fosse.
«Ciao Rebecca» furono le prime parole che Angelo mormorò.
«Ciao… Chi sei tu?»
«Mi chiamo Angelo. Angelo Ruvini»
«Non intendevo sapere il tuo nome… Voglio solo capire che ruolo avevi nella mia vita prima dell’incidente»
«Ero la persona che ti stava più vicino di tutti. Più dei tuoi genitori»
«Cosa? No, questo è impossibile. Nessuno mi è mai stato più vicino di mio padre e mia madre. Nemmeno Roberto mi è stato tanto vicino come loro…»
«Forse hai le idee un po’ confuse… Forse non ricordi bene gli ultimi momenti prima del tuo grave incidente…»
«Hai ragione… Però mi fido del mio istinto» disse Rebecca con tono trionfante proteggendosi con fermezza alle raffiche di bugie che gli stava raccontando Angelo.
«E dimmi, come ti comportavi standomi vicino»
«In poche parole… Ero il tuo amante»
Quelle parole per la ragazza, furono come una disgrazia imprevista, perché era contraria fermamente in tutto e per tutto al tradimento.
«Cosa? Io la tua amante? Mi dispiace, ma non ti credo»
«So che è una verità un po’ inspiegabile per te… Ma ti dico che è così»
«Ripeto che è impossibile! Non tradirei mai una persona! Anche se è il mio peggior nemico. Io sono una persona fedele»
«Ti giuro che è vero…»
«Non dire idiozie, Angelo!»
«La verità fa male quando ti viene sbattuta in faccia eh? Non ti ricordi i bei momenti che abbiamo passato insieme io e te?»
«Adesso basta. Mi stai facendo innervosire!» brontolò Rebecca alquanto irritata.
«Ti ricordi l’estate scorsa quando siamo andati a fare un giro al lago e abbiamo passato la notte insieme?»
«Smettila ti ho detto!»
Rebecca era arrivata alla sua soglia di sopportazione e per difendersi dalle ingiurie dell’uomo che gli stava dinanzi, alzò la voce e si mise a piangere.
«Cos’è tutto questo rumore?» disse la signora Palieri arrivando in soccorso della figlia.
«Niente, signora Palieri. Niente»
«E allora perché mia figlia sta piangendo?!» domandò furiosa Elizabeth.
«M-mamma…»
«Cosa c’è tesoro? Ti ha fatto qualcosa di male?»
«Fallo andare via. È solo un bugiardo» ribattè la giovane donna con un filo di voce.
«Ma io…»
«Tu! Brutto delinquente che non sei altro! Vattene immediatamente da qui e non farti più vedere!»
«Non ho fatto niente di male…»
«E invece sì! Tu sei il male in persona! Vattene e non fartelo dire un’altra volta!»
Angelo, che ormai non aveva più speranza con la ragazza, cercò di rivolgersi al signor Palieri, scusandosi con l’accaduto.
«Signor Palieri, mi dispiace. Io…»
«Vai ragazzo. Non peggiorare ulteriormente la situazione»
E senza più nient’altro da fare, lasciò l’ospedale con la consapevolezza che la sua missione era fallita.

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Capitolo 20
*** 20° ***


20°
 
Dopo che il tormentatore di Angelo se ne fu andato, la signora Palieri cercò di calmare sua figlia visibilmente agitata per il corso delle cose.
«Tesoro, cosa ti ha detto quel ragazzo per turbarti così tanto?»
«Non ne voglio parlare, mamma. Lasciami sola»
«Ma… Tu devi parlarmene…»
«Non ora! Non insistere, per favore… E lasciami sola»
A malincuore, la signora Palieri lasciò la stanza della figlia per poi recarsi a parlare con il marito, accusandolo di tutte le colpe da quando aveva fatto amicizia con Angelo.
«Hai visto cosa è successo! Hai visto come ha ridotto nostra figlia!»
«Elizabeth, calmati…»
«Se tu l’avessi mandati via, tutto questo non sarebbe mai successo! Rebecca è ancora molto debole fisicamente e psicologicamente e non si può permettere di sentirsi dire certe cose!»
«Ma cos’ha sentito che gli ha dato così fastidio?»
«Non lo so, non me lo ha detto… Alfredo, sei avvisato. Se ritrovo qui il ragazzo e sei stato tu ad acconsentire di vedere nostra figlia, ti assicuro che prenderò appuntamento con il mio avvocato per iniziare le pratiche di divorzio!»
Il signor Palieri non aveva mai assistito a questo tipo di sfuriate. Anche perché prima d’ora, sua moglie non ne aveva mai avute.
Quando iniziarono ad avvenire, pensò che sarebbe stata una cosa passeggera, ma man mano che i giorni passavano, sua moglie peggiorava ulteriormente di carattere.
E per di più, Angelo aveva dato il colpo di grazia.
Addirittura erano arrivato a sentire la parola “divorzio”, parola mai detta in tutti quegli anni vissuti insieme.
 
«Ciao amore, posso entrare?» domandò timidamente il signor Palieri per parlare con sua figlia.
«Vieni pure papà»
l’uomo anziano si accomodò seduto sul letto di sua figlia.
«Come ti senti oggi?»
«Dopo aver parlato con quel ragazzo, molto male. Ma ora mi sto riprendendo piano piano»
«È tutta colpa mia! Non dovevo incitarlo a restare nei giorni prima che tu ti svegliassi qui in ospedale»
«Non ti preoccupare papà. Non è colpa di nessuno»
«Tua madre non la pensa così…»
«Parlerò con mamma più tardi e chiarirò io questa storia» ribattè Rebecca per rassicurare suo padre. «Grazie, figliola. Lo sai che non ho mai visto tua madre arrabbiarsi con me come prima? Sembra che si sia svegliata tutta d’un tratto per tirare fuori le unghie e difenderti ad ogni costo»
«nemmeno io mi aspettavo la sua reazione nei confronti di Angelo»
«Tua madre ce l’ha sempre avuto con quel ragazzo, dal primo momento che lo ha visto»
«E non aveva tutti i torti…»
«Io purtroppo, l’ho capito tardi…»
«Ti prego papà, non guardarmi con occhi tristi e afflitti. Non dopo che sono stata in coma tutto questo tempo… Piuttosto, toglimi una curiosità, è da quando mi sono svegliata che non ho più visto Roberto in giro. Che fine ha fatto?»
Era venuto il momento di spiegare alla ragazza che era stato lui a causargli l’incidente.
Come avrebbe reagito la ragazza?
«Vedi Rebecca… Roberto non è qui perché… Come posso dire…»
«Gli è successo qualcosa di grave? Non è che pure lui ha avuto un incidente, vero?»
«No, figliola. Niente di tutto questo. Roberto non è qui con te perché… è in prigione»
La giovane donna fissava suo padre con occhi sconcertati e pieni di tristezza.
«Oh mio Dio. Per quale motivo?»
«È molto difficile dirtelo Rebecca e non vorrei essere io a dirtelo, ma è mio dovere…»
«Papà, mi stai facendo preoccupare…»
«Tesoro ti prego, non interrompermi… Stavo dicendo che è mio dovere parlartene»
L’uomo fece un gran respiro e cercò di trovare tutte le parole che potessero essere le più giuste possibile. «È in prigione perché è stato lui a causare il tuo incidente e a mandarti in coma»
Ora lo sguardo della ragazza era perso nei suoi pensieri. Pensava a quando lo aveva conosciuto la prima volta al liceo. Quando Roberto gli aveva dato appuntamento a cena fuori in un ristorante intimo e romantico. E quando l’ultima volta si erano visti prima che lei salisse in macchina verso il suo brutale destino.
«Rebecca, cos’hai? Stai bene?»
«No papà, non sto affatto bene. Come è potuto accadere tutto questo?»
«Ha manomesso i freni della tua auto e così sei andata schiantarti contro un albero»
«Sei sicuro che sia stato proprio lui?»
«Sì, me lo ha confessato proprio a me»
Rebecca si era voltata dall’altra parte del letto per dare le spalle al padre e per non farsi vedere che stava piangendo.
«Mi dispiace tanto, tesoro. Nemmeno io mi sarei immaginato che fosse stato lui a causarti questo… Ma per fortuna alla fine hanno vinto i suoi sensi di colpa e ora sta scontando la sua pena prima del suo processo che ci sarà tra qualche giorno»
«Nessuno ha vinto in questa brutta situazione che malgrado tutto, sono io la protagonista. Roberto si è macchiato di un crimine nei miei confronti. E tutto questo perché eravamo sul punto di lasciarci… A volte la vita è davvero crudele e certe volte vorrei proprio non esistere»
«No Rebecca! Ti proibisco di dire certe cose! Ti sei già scordata che sei stata…»
«E come potrei scordarmelo?!» lo interruppe con le lacrime agli occhi. «Non sono così scema come tu pensi!»
«No tesoro, non volevo dirti questo. Io…»
«Lasciami in pace e di a tutti coloro che vogliono entrare a farmi visita, che mi sto riposando e riflettendo sul da farsi»
«Come vuoi tu, Rebecca»
Anche il signor Palieri aveva discusso con la sua unica figlia.
Elizabeth e Alfredo non si sarebbero mai immaginati che dovevano affrontare questi tipi di problemi con la figlia che si era appena risvegliata.
Appena uscito dalla stanza, incrociò sua moglie che stava per entrare dalla figlia per dargli un po’ di tè appena pronto e alcuni biscotti per fare merenda.
«Alfredo, hai parlato con Rebecca?»
«Ahimè, sì. Gli ho raccontato del crimine che ha fatto Roberto nei suoi confronti»
«Ma sei impazzito?! Come ti è venuto in mente?!»
«Dovevo farlo! Qualcuno doveva farlo il prima possibile, e il compito è toccato a me»
«Dovevamo aspettare altro tempo prima di parlargliene! Così ora è più turbata che mai!»
«Mi ha chiesto dove fosse Roberto e cosa avrei dovuto rispondere?»
«Accidenti!... Posso almeno entrare per dargli la merenda?»
«No, ha detto che non vuole vedere nessuno»
«Come immaginavo. E ora cosa ne faccio di tutto questo ben di Dio?»
«Mi è appena venuto un certo languorino… Che ne dici di fare merenda insieme? Così potremmo riaggiustare le cose tra di noi. E cosa più importante, ti devo chiedere scusa. Scusami per aver dato fiducia a quel mascalzone di Angelo. Non se lo meritava proprio!»
La donna fissava il marito con sguardo dolce e gentile che egli non vedeva da tanto tempo.
«Mmh, accetto le tue scuse. Ma che mi dici di Roberto? Riuscirai a perdonarlo come ho fatto io?»
«Magari un giorno di questi potremmo recarci in prigione per andare a fargli una visita. Che ne dici?»
«Mi sembra una grandissima idea! Su, andiamo a bere questo tè prima che si raffreddi»
Angolo d’autore lmpaoli94
Eccoci qua!
La vita di Rebecca continua ad essere sconvolta da verità allucinanti.
E questo è solo l’inizio.
Come andrà a finire la storia?
Non vi resta altro che continuare a leggere…
Intanto voglio ringraziare tutti coloro che hanno letto almeno un capitolo di questa storia che tra pochi capitoli avrà un termine. Forse…
A presto
lmpaoli94

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Capitolo 21
*** 21° ***


21°
 
Prima o poi, Angelo Ruvini doveva trovare tutte le sue forze e tutto il suo coraggio di parlare con John sulla faccenda di Rebecca. Sapeva bene che uno stravolgimento disastroso del loro piano, avrebbe infuriato inevitabilmente il cecchino.
«Ehi John, s-sono Angelo» disse il ragazzo dopo aver composto il suo numero di cellulare.
«Che succede? E perché hai la voce che inchecca?»
«Niente di che. Dobbiamo parlare di una cosa? Quando ci possiamo vedere?»
«Anche subito visto che ti sto osservando dal tetto di un palazzo»
«Cosa? Ma in che punto sei? E come fai a vedermi se è buio?»
«Ho i miei metodi… Non ti muovere. Ti vengo io incontro»
«Non è che mi fai qualche scherzo e mi fai fuori con il tuo fucile da cecchino?»
«Dovrei proprio? Cos’hai combinato?»
«Poi ti racconto…»
 
John ci mise poco meno di cinque minuti per raggiungere Angelo.
Dovette solo scendere dal palazzo e recarsi da lui.
«Allora non mi stavi mentendo»
«Io non mento mai, Ruvini. Se non mi hai ancora conosciuto bene, ti consiglio di farlo per il tuo bene se un giorno di questi tu ti trovassi in pericolo»
«So di che pasta sei fatto…» ribattè Angelo con tono sconnesso.
«Allora, di cosa volevi parlarmi?»
«Non qui, John. Ci potrebbe essere gente che ci spia»
«Che ci provino minimamente e assaggeranno la potenza del mio fucile»
«Niente spargimenti di sangue qui! Siamo in un ospedale»
Con un impeto di rabbia improvviso, John prese per il collo della maglia il povero Angelo senza che lui si potesse difendere.
«Ora ti sei messo a darmi degli ordini? Chi ti credi di essere tu, eh?! Sei solo una miserabile marionetta comandata da me!»
«Ok ora calmati! Volevo solo avvertirti che questo non è il luogo adatto per fare una strage»
E convinto dalle sue parole, John lasciò il ragazzo inerme e visibilmente impaurito.
«Sei molto strano stasera… Allora, dove vuoi darmi appuntamento?» domandò sarcastico l’ex militare.
«Al parco. Lì nessuno ci disturberà»
«Va bene, andiamo»
 
Dovevano camminare un po’ per arrivare al parco della città.
Fortuna per loro che era notte e nessuno dei passanti aveva visto l’arma di quel criminale.
«Finalmente siamo arrivati» disse Angelo sedendosi sulla prima panchina che avevano incontrato.
«Tu non ti siedi?»
«Spero che quello che vuoi dirmi sia importante per avermi fatto fare una camminata come questa» «Vedrai che se ti siedi, sarai più rilassato»
«Basta giri di parole! Dimmi cosa hai combinato e non parliamone più»
Il ragazzo si alzò lentamente dalla panchina senza distogliere per un secondo lo sguardo cruento e rude del cecchino.
«Ci sono brutte notizie John…»
«Lo immaginavo. Avanti, di che si tratta?»
«Il nostro piano di farci amica Rebecca Palieri è andato in fumo. Poco fa’ ho avuto una brutale discussione con lei riguardo a fatti che gli ho inventato prima del suo coma. Lei non mi ha creduto, sbraitando e chiedendo che io me ne andassi immediatamente…»
«E tu non hai potuto far niente… Ottimo lavoro Angelo. Davvero un ottimo lavoro»
«Un giorno di questi vedrai che riconquisterò la sua fiducia e il nostro piano andrà avanti fino arrivare al suo termine»
«No, no. Tu non farai un bel niente. Ormai hai fallito e non potrai mai più riconquistare la sua fiducia. Almeno che… Vai ancora d’accordo con il vecchio?»
«Il signor Palieri dici?»
«Sì proprio lui»
«Beh, veramente…»
«Ruvini non provare a mentirmi se non vuoi fare una brutta fine. Sai come tratto le persone quando mi dicono falsità»
«Li uccidi…»
«Cosa?» disse John facendo finta di non sentire e fissando il ragazzo con odio profondo.
«Niente, niente, come non detto… Per quanto riguarda il signor Palieri, ho chiuso i contatti con lui e per poco la signora Palieri non mi mette le mani addosso»
«E avrebbe fatto bene! Hai rovinato tutto!»
Quasi come se fosse fuori di sé, John impugnò il suo fucile contro il povero Angelo.
«John, cosa stai facendo?!» domandò spaventato il ragazzo.
«Quello che avrei dovuto far fin dall’inizio. Sai che non tollero i fallimenti. Come il mio capo che mi paga profumatamente:. E ora pagherai con la vita!»
«No, ti prego! Dammi un’altra possibilità!»
«Non ci sono possibilità in questo lavoro! E adesso muori!»
E senza pensarci due volte, John fece fuori il suo uomo puntando il mirino del fucile dritto in fronte e sparando a sangue freddo come solo lui sapeva fare, facendo capitombolare Angelo sul terreno freddo.
A quel punto il cecchino, non si curò minimamente di rimuovere il corpo del povero ragazzo. Lo lasciò lì inerme, sputandoci sopra come segno di disprezzo.
«E ora è il turno di Roberto»
Per John la caccia, era appena cominciata.

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Capitolo 22
*** 22° ***


22°
 
Il corpo di Angelo fu ritrovato la mattina presto da una donna che stava portando a spasso il cane. Visibilmente scioccata, chiamò immediatamente la polizia che venne immediatamente sul posto. All’ispettore Coliandri e L’ispettore Palombi gli si prosperava una giornata lunga e difficile.
«Come si chiamava il ragazzo?»
«Angelo Ruvini, età sui 25 anni, disoccupato. Gli hanno brutalmente sparato in testa presumibilmente con un’arma di precisione»
«Un fucile da cecchino?»
«È molto probabile. Suo padre, Enrico Ruvini, è un venditore di auto che sta andando verso il baratro del fallimento»
«Come fai a saperlo?»
«Lo so perché ho comprato l’auto da lui e mi ha detto che i suoi affari non andavano tanto bene…» disse il medico legale.
«Ok, grazie dell’informazione. Ci sono delle tracce che l’omicida ha lasciato in giro?»
«Purtroppo no. Non abbiamo trovato nulla di rilevante. Nel caso contrario, verrete immediatamente informati»
«Perfetto» disse l’ispettore Coliandri.
«Credi che si possa collegare alla ferita che avuto Roberto qualche settimana fa’?» domandò l’ispettore Palombi mentre stava passeggiando con il suo collega.
«Non lo so, ma non è da escludere. Dobbiamo andare a parlare con suo padre e dargli la brutta notizia»
«Prima non possiamo andare a prendere un buon caffè? Conosco un bar qui vicino che lo fa’ alla perfezione! Con delle paste che sono la fine del mondo…»
«Palombi, non siamo qui per fare colazione. Siamo in servizio. Penseremo più tardi a mangiare»
«Sì, ispettore» ribattè il collega con tono affranto.
 
Quando i due ispettori erano arrivati dinanzi al cortile di Enrico Ruvini, l’uomo non aveva ancora lasciato la sua abitazione per recarsi al lavoro. Aveva pensato che anche se ci andava a metà mattinata, non sarebbe venuto nessuno.
Quando andò ad aprire, si impaurì immediatamente vedendo i due agenti di polizia perché come tutti sanno, quando vengono a bussare alla tua porta, non è niente di buono.
«Buongiorno, cosa posso fare per voi?»
«Lei è Enrico Ruvini?»
«Sì sono io»
«Dobbiamo dirgli una spiacevole notizia riguardante suo figlio»
«Cosa gli è accaduto? Non ha dormito nella sua stanza, stanotte»
«È morto signor Ruvini»
«Come, scusi?» disse Enrico visibilmente incredulo.
«Una donna l’ha trovato stamattina al parco qui vicino. È stato colpito e ammazzato con un fucile da precisione in fronte… Ci dispiace»
Enrico non fu in grado di dire minimamente una parola.
«Le promettiamo che faremo tutto il possibile per scovare quell’assassino. Intanto, possiamo fare qualcosa per lei?»
«N-no… Non ho bisogno di nulla…» disse l’uomo distrutto dal dolore e balbettando con un filo di voce.
«Le lasciamo qui il nostro biglietto da visita. Se ha da dirci qualcosa, non esiti a chiamarci. Passeremo tra qualche giorno quando lei si sarà ristabilito per fargli alcune domande»
«Non ce n’è bisogno agente… Può interrogarmi benissimo anche ora»
«Ne è sicuro, signor Ruvini?»
«Farei di tutto per assicurare alla giustizia un criminale così crudele»
«Bene. Possiamo entrare?»
«Sì, accomodiamoci in cucina»
I passi dei tre uomini per raggiungere la cucina, furono così silenziosi che quasi non si udirono nemmeno. «Vi posso offrire qualcosa?»
«No signor Ruvini, non ci serve niente» rispose il commissario Coliandri.
«Allora, cosa mi volete chiedere?» Ad interrogare iniziò prima l’ispettore Coliandri.
«Ultimamente suo figlio che tipo di compagnie frequentava?»
«Sicuramente non buone. Non ho mai conosciuto i suoi amici e non ero nemmeno sicuro che ce n’avesse alcuni su cui potersi fidare…»
«Pensa che suo figlio si sia infilato in brutti giri?»
«Forse sì. Da alcuni anni a questa parte, era diventato molto scontroso e venale. Mia moglie è venuta a mancare un po’ di tempo fa’ e le cose sono ulteriormente peggiorate. Non è mai riuscito a finire la scuola, mentre per quanto riguarda il mio lavoro, peggio di così non può andare»
«Accidenti! Come fate ad andare avanti?»
«Con i pochi risparmi che riusciamo a mettere da parte. Ma poi, come se non bastasse essere in guai finanziari, Angelo era divenuto uno spendaccione. Ogni volta che usciva fuori con i suoi presunti amici, ritornava sempre senza soldi. Talvolta anche indebitato quando si metteva a giocare d’azzardo»
«Lei non ha proprio la minima idea del gruppo che frequentava suo figlio?»
«Purtroppo no. Sto via dalla mattina alla sera e non ho il tempo di fare la spesa, figuriamoci di sapere che gruppo frequenta mio figlio… Dovevo pensare a tutto io: la casa, il lavoro, le spese. Lui non mi dava neanche un piccolo aiuto»
«Suo figlio era un ribelle e un irrispettoso»
«Ma non è sempre stato così. Forse se gli avevo impedito di frequentare brutte compagnie, sarebbe stato il ragazzo migliore che era da piccolo»
E fu in quel momento che le lacrime non poterono più trattenersi sul viso del povero Enrico. La morte di suo figlio era stato il colpo di grazia inferto nella sua dolorosa vita.
«L’unica gioia che ho potuto assaporare nelle ultime settimane è di aver conosciuto un altro mio figlio avuto da una storia precedente»
«Possiamo sapere il suo nome?»
«Non credo che sia rilevante…» protestò Enrico.
«Signor Ruvini, questo lo lasci decidere a noi.»
«Ok va bene. Il suo nome è Roberto Livisi»
Al suono di quel nome, i due agenti di polizia ebbero la conferma che l’omicidio di Angelo poteva associarsi alla tentato omicidio di Roberto.
«Grazie signor Ruvini, è stato di grande aiuto. Si ricordi che per qualsiasi necessità, chiami uno di noi due» disse l’ispettore Coliandri dopo che si era alzato dalla sua postazione.
«E mi raccomando: cerchi di non mollare e cerchi il conforto dei familiari a lei più stretti» disse invece l’ispettore Palombi.
«Grazie per il vostro sostentamento morale. Cercherò di fare il possibile»
E dopo una veloce stretta di mano, i due agenti uscirono dall’abitazione del signor Ruvini per mettersi sulle tracce di un pericolosissimo cecchino ancora a piede libero.
 
La notizia dell’uccisione del povero Angelo si diffuse in tutta la città.
Giornali e pure la televisione nazionale si era interessata alla notizia.
Per i coniugi Palieri, fu un vero shock.
«È una vera disgrazia!» aveva detto il signor Palieri a sua moglie.
«Puoi ben dirlo! Cosa avrà fatto per essere stato ucciso?» si domandò la signora Palieri.
«Non ne ho la minima idea Elizabeth»
«Forse io potrei saperlo… Con il suo carattere bugiardo e meschino che si ritrovava, si sarà messo in qualche brutta situazione, lasciandoci le penne»
«Elizabeth! Ma ti sembra il modo di parlare così di un povero ragazzo?!» domandò infuriato e fuori di sé l’anziano uomo.
«Calmati! Cos’è tutta questa furia?»
«Non ti permetto di dire certe infamità! Soprattutto quando  avevo legato con lui»
«Che poi, come hai detto pure te, è stato un grande sbaglio»
«Sì, ma non mi permetterei mai di offendere un morto. E non lo dovresti fare nemmeno tu»
«Va bene» acconsentì la signora Palieri con un filo di voce e controvoglia.
«Credi che dovremmo dirlo a Rebecca?»
«No! Non intendo turbarla ancora. Glielo diremo più avanti. Dobbiamo starle vicino più nel bene che nel male, non credi?»
«Credo che dovremmo proteggerla anche a costo della nostra vita»
La loro conversazione fu interrotta dai due agenti di polizia che si occupavano del caso: la coppia Coliandri e Palombi.
«Buongiorno signori Palieri. Scusate se vi interrompiamo, ma abbiamo bisogno di farvi alcune domande» disse inizialmente l’ispettore Coliandri che era quello che parlava molto di più rispetto al suo collega. «Certo, nessun problema. Accomodiamoci in sala d’attesa. A quest’ora non c’è nessuno» rispose il signor Palieri.
«Credo che abbiate saputo del tragico destino che ha colpito il povero Angelo…»
«Sì… Abbiamo letto la notizia stamattina sul giornale locale. Una vera disgrazia!» ribattè Alfredo quasi con le lacrime agli occhi.
«Voi lo conoscevate molto bene? Veniva spesso qui in ospedale?» domandò l’ispettore Palombi che aveva preso in pugno la situazione.
«Veniva spesso in ospedale per venire a trovare nostra figlia»
«E come l’ha conosciuta vostra figlia? Erano fidanzati?»
«È una lunga storia, signor ispettore. Cercherò di essere breve»
«Basta che non tralasci nulla d’importante»
«Cercherò di non farlo»
Il signor Palieri raccontò ai due ispettori la prima volta che si era introdotto nella vita sua , di sua moglie che non aveva mia legato con lui e soprattutto con sua figlia che ha tentano invano di conquistarla.
«Perché lei, signora Palieri, non ha mai legato con quel ragazzo?»
«Perché dal primo giorno che l’ho visto, ho subito capito che era un bugiardo e un impostore. E infatti si è rivelato così. Perché lui asseriva che aveva conosciuto mia figlia prima che lei finisse in coma, arrivando a dire che era il suo amante. Ma mia figlia, furba e sveglia com’è, non si è fatta abbindolare da quel mascalzone e le sue cattive intenzioni, sono venute alla luce»
«Vostra figlia sa dell’uccisione di Angelo?»
«No, e non intendiamo dirglielo. Per il momento. Come ho detto a mio marito, è già stata turbata abbastanza»
«Sì certo… Ora il problema principale potrebbe essere che l’assassino potrebbe venire a cercare e uccidere vostra figlia…»
«Cosa?!»
«Non dirà sul serio?!» domandarono in coro i coniugi Palieri visibilmente spaventati e sbigottiti.
«È solo una possibilità… Ma dovremmo farci trovare pronti perché non accadi l’irreparabile. Spero che mi avrete capito»
«S-sì ispettore. In poche parole dovremmo stare appiccicati a nostra figlia»
«Esattamente»
«Elizabeth, credo che dovremmo raccontare a Rebecca di tutto quello che è successo: dalla morte di Angelo a questo criminale senza scrupoli»
«Sì, penso che non possiamo fare altrimenti…»
«Intanto, ci saranno alcuni dei nostri uomini che controlleranno il territorio 24 ore su 24 7 giorni su 7, finchè le acque non si saranno calmate»
«Grazie del vostro aiuto, agenti» disse cordialmente il signor Palieri.
«Grazie a voi per aver risposto alle nostre domande» ribattè l’ispettore Coliandri.
«Teniamoci aggiornati e restiamo uniti per combattere questo pericoloso malvivente»
«Senz’altro, ispettore»
«Rimarremo qualche ora a farvi compagnia per ispezionare il territorio intorno all’ospedale. Così per vedere dove il criminale potrebbe colpire»
«Credo che il posto principale, sia il palazzo che si affaccia alla camera di nostra figlia»
«Ovvero nel punto in cui hanno colpito Roberto? Potrebbe avere ragione. Palombi, mandi subito un folto numero di uomini a controllare il palazzo che sta di fronte all’ospedale»
«Subito»disse il suo compagno correndo subito sul posto.
«Se solo Roberto fosse qui…» disse ad un certo punto Elizabeth.
«Perché dice così?»
«Perché ci avrebbe dato la forza necessaria e la tranquillità come ha sempre fatto quando nostra figlia era in coma. Non potrei mai scordare quei giorni»
«Nemmeno io… Anche perché gli devo delle scuse su come mi sono comportato»
«Meglio tardi che mai» ribattè sorridente la donna anziana.

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Capitolo 23
*** 23° ***


23°
 
John non si fece vedere nei pressi dell’ospedale.
Doveva elaborare un piano perfetto per eliminare Roberto e Rebecca, e doveva farlo nel luogo più sicuro possibile: la sua botola segreta, che aveva fatto costruire in casa sua quando era ancora un militare.
Non aveva ancora pensato definitivamente come eliminare il giovane ragazzo, ma aveva capito che per fare ciò, aveva bisogno di un piccolo aiuto da alcuni carcerati… Ma prima di pensare ancora a lui, John chiamò Olympia con il numero che lei gli aveva dato.
«Pronto?» domandò la ragazza con tono intimorito non capendo chi la stava chiamando.
«Buonasera signorina. Si ricorda di me?»
La ragazza non ci mise molto a capire chi era.
«Sì, mi ricordo di lei… Allora? Ha fatto quello che gli ho ordinato?»
«Non esattamente…» ribattè il cecchino con tutta la calma di questo mondo.
«Cosa?! E mi dice che diavolo sta aspettando?! Mi aveva detto che non avrebbe fatto passare più di una settimana e…»
«So quello che ho detto»
«E allora perché mi ha chiamato? Ci eravamo messi d’accordo che ci saremmo sentiti a lavoro concluso» «Ha perfettamente ragione… Però ci sarebbe un piccolo problema…»
«Problema? Quale problema?»
«Non li legge i giornali? Il punto dove dovevo tirare con il mio fucile da precisione è salvaguardato a vista dagli sbirri ed è troppo pericoloso che io vada fin lassù senza farmi vedere. Se il nostro piano deve riuscire alla perfezione, lei mi deve aiutare»
«Cosa dovrei fare?»
«Oh, una piccola sciocchezza. Dovrebbe portare la bomba che ho appena costruito dentro l’edificio…» disse il cecchino con una naturalezza inspiegabile che fece rabbrividire la ragazza.
«Eeeh?! Ma lei è completamente pazzo!!!» ribattè fuori di sé Olympia.
«Sì lo so, me lo hanno detto in molti»
«Non farò mai una cosa del genere! Se lo tolga immediatamente dalla testa!»
«E allora mi dice come potrei eliminare la ragazza?»
«Non lo so come potrebbe fare. È lei il genio del male! Si faccia venire una bella idea e la esegua»
«Sono una persona può darmi degli ordini e non è certo lei! O piazza la bomba in un luogo nascosto, oppure il nostro accordo salta. Faccia lei. Io ho ben altre cose a cui pensare»
«John, lei sa che facendo così rinuncerebbe a un sacco di soldi, vero?»
«Sì, ma la mia sicurezza e la mia incolumità non hanno prezzo. Rischio di finire in carcere per un lavoro di minore importanza!»
«Lei è un vero ingrato! Se riesco a trovarla, gliene dico di tutti i colori!» ribattè furente di rabbia la giovane donna.
«Prego, venga pure da me. L’aspetto molto volentieri»
«La smetta di sfidare la mia pazienza!»
«Le giuro sul mio nome che non lo farò. Se viene da me potremmo metterci d’accordo una volta per tutte. Che ne dice?»
il desiderio di eliminare Rebecca era più forte di qualsiasi altro sentimento. E poi Olympia, tenacia com’era, non avrebbe mai rifiutato la sfida del suo complice.
Nemmeno se fosse stato la persona più pericolosa di questo mondo.
 
Olympia arrivò dinanzi la casa del cecchino senza nemmeno bussare.
Visto che la porta era semiaperta, decise di tirarci un calcione per aprirla definitivamente.
«Salve. È questa l’educazione che le hanno insegnato?» domandò John che aveva in mano una tazzina di caffè. «Ha fatto presto ad arrivare. Era nelle vicinanze? Oppure si è messa a fare la spia pure lei?»
«Basta con le domande ironiche! Son venuta qui per chiudere questa storia!»
«Come vuole lei. Prego, mi segua.»
La giovane ragazza fu condotta in un passaggio segreto che portava al nascondiglio del cecchino. «Benvenuta nel mio mondo!» disse sorridente John.
Con la poca illuminazione che disponeva la stanza, Olympia riuscì a vedere molti oggetti necessari per costruire una bomba. Dai fili elettrici alla nitroglicerina.
«Attenta a dove mette le mani» la avvertì il cecchino prima che potesse maneggiare qualcosa di veramente pericoloso.
«Che materiale usa nelle bombe?»
«Perché vuole saperlo?»
«Semplice curiosità… Che c’è? Non si fida di me?»
«In verità? No! A questo mondo non ci si può fidare di nessuno. Comunque nella bomba metto molta nitroglicerina. Ci metterei la dinamite, ma con i controlli che corrono in ogni posto che vai, è molto difficile trovarla»
«L’asso delle bombe non riesce a trovare i materiali? Non l’avrei mai detto!»
«In primo luogo io sono un cecchino, ma ultimamente mi sono messo a costruire delle bombe, perché sono molto devastanti… Intanto, questa è la bomba che lei dovrebbe portare nella stanza della ragazza» disse il cecchino indicandogli il meccanismo complicato che aveva costruito.
«Allora, gli spiegherò molto velocemente come lei si deve comportare…»
«Guardi che io non ho ancora deciso…»
«Oh, certo che ha deciso» disse sicuro di sé John.
«E se mi rifiutassi ancora una volta mi farebbe sparare come ha fatto con quel povero ragazzo trovato morto nel parco?»
«Cosa le fa credere che ad ucciderlo sia stato io?»
«Andiamo John, non sono così sciocca come lei pensa»
«Mai detto e mai pensato, signorina Olympia»
«Comunque, chi oltre a lei, in questa piccola città ha un fucile da precisione come il suo?»
«E mi dica, come sa che ho utilizzato un fucile da precisione?»
«L’ho letto sul giornale. E non credo che mentano…»
«Questo non lo può sapere… Il mondo è pieno di bugiardi»
«Il primo sta dinanzi a me» rispose coraggiosamente la ragazza.
John, dopo averla fissata benevolmente, si era fatto cupo e accigliato.
L’ultima battuta della ragazza non gli era per nulla piaciuta.
«Sa, se avessi tra le mani il mio fucile da cecchino, non avreste avuto scampo»
«Ah sì? Mi avrebbe davvero ucciso? E come la mettiamo con il nostro piano?»
«Lei mi ha ripetutamente detto che ha rifiutato…»
«Ah già, è vero»
«Glielo chiederò un’ultima volta: ne è sicura di non volerlo fare?»
«John, non voglio rischiare la vita per una uscita appena dal coma»
«Facciamo così: se lei mi fa questo favore, non gli chiederò nulla» disse il cecchino porgendogli l’assegno che la ragazza aveva firmato qualche giorno fa’.
«Beh, se la mette in questo modo…»
«Perfetto! Allora ascolti il mio piano… Lei entrerà come se nulla fosse con una borsa piena di vestiti e domanderà ad un infermiera quale è la stanza della ragazza»
«So quale è la sua stanza! La mia era proprio davanti la sua!»
«Meglio! Così ci saranno sempre meno inconvenienti… Arrivati in camera sua, gli dirà che lei è una sua vecchia amica che non vedeva da molto tempo e dopo avergli parlato un po’, appoggerà la borsa dove capita e uscirà dalla sua stanza, ritrovandoci subito dopo. Tutto chiaro?»
«Ehm, ci sono due problemi. Primo: ho letto sul giornale che ci sono due poliziotti che fanno guardia alla sua porta. Appena capiranno che voglio entrare dalla ragazza, mi perquisiranno e troveranno la bomba» «La metterò in una scatola di puzzle con così tanta carta che la apriranno, lei avrà il tempo di fuggire»
«Ok… Secondo punto: lei non mi conosce. Mi dici come faccio a convincerla che io sono una sua vecchia amica?»
«Potrebbe dirle che era una sua compagna alle elementari o all’asilo. Non me ne frega. Basta che lei riesca a ingannarla. E non come ha fatto Angelo!»
«Questo vuol dire…»
«Sì, sono stato io, contenta?»
La ragazza lo fissava con occhi inespressivi.
«Che cosa le prende? Ha paura?» domandò con un ghigno malevolo il cecchino.
«No…» rispose la ragazza con un filo di voce.
«Bene…»
Appena John cominciò a fissarla a sua volta, la ragazza distolse il suo sguardo.
Per riuscire a calmarla. prese la sua mano destra e la bacio delicatamente.
La ragazza, che era spaventata più che mai, la ritrasse verso di sé.
«Allora, quando potremmo agire?»
«Anche stasera. Così ci togliamo subito lo sfizio»

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Capitolo 24
*** 24° ***


24°
 
«Dannazione! Me ne devo andare immediatamente da qui! Quel pazzo potrebbe uccidere la mia fidanzata da un momento all’altro»> disse Roberto al suo compagno di cella Mark mentre stavano ancora elaborando un piano di fuga.
 Quando Roberto apprese da sua madre dell’uccisione di Angelo Ruvini che poteva ricollegarsi al tentato omicidio di qualche settimana fa’ nei suoi confronti, era divenuto impaziente e intrattabile.
Nemmeno Mark, che li legava una salda amicizia, poteva più sopportarlo.
«Mi dispiace Roberto, vorrei farti uscire, ma non riesco a trovare un piccolo sbocco per fuggire»
«Mark, credo di essere impazzito del tutto!»
«Ma dai? Meno male che te ne rendi conto da solo! È tutto il giorno che non fai altro che scassarmi!» «Mettiti nei miei panni! Come ti sentiresti se la tua ragazza è in pericolo di vita perché là fuori c’è un cecchino spietato che potrebbe farla fuori in qualunque momento?!»
«Ma chi ti ha detto che potrebbe uccidere proprio la tua ragazza?»
«Il mio istinto» ribattè semplicemente Il giovane uomo che non faceva altro che impensierire e innervosire Mark.
«E ci si può fidare del tuo istinto?»
«Certo! Non mi ha mai tradito e sono sicuro che non lo farà nemmeno ora!»
«Forse sarebbe meglio aspettare fino a domani pomeriggio quando usciremo in cortile. Se non ricordo male, in un’area precisa, c’è la possibilità che un pezzo di muro crolli per la troppa umidità degli ultimi giorni. Mettiamoci anche lo smog e l’inquinamento e siamo apposto»
«Credi davvero che alcune parti del muro della prigione si potrebbero sgretolare?»
«Sì. Questa prigione ha quasi un secolo di vita e La muraglia che la circonda non è più come una volta» «Quindi ho una possibilità anche uscendo da questa cella!»
«Mmh no, non credo. Queste pareti sono molto nuove. Credo che questa parte di prigione sia stata ristrutturata di recente»
« «Ehi, ehi! Avanti! Non ti ho mai visto mollare prima d’ora!» mormorò Mark per rinvigorire il suo compagno di cella.
«Tu, che conosci questa prigione come le tue tasche, se non riesci a trovare un punto debole, io non ho nessuna speranza»
«C’è sempre una speranza! Aspetta e vedrai»
«Cosa dovrei aspettare? Che mi cadi il miracolo dal cielo?»
Subito dopo che Roberto sembrava sul punto di non avere più nessuna speranza, sentì un forte rumore di passi avvicinarsi alla sua cella.
«Lo senti? Chi sta arrivando da queste parti?»
«Finalmente!» disse Mark mormorando tra sé.
«Che cosa hai detto?»
Davanti alla cella comparvero due uomini muscolosi e alti come grattacieli.
«E voi chi siete?» domandò Roberto spaventato.
«Tu devi essere Roberto. Salve, il mio nome è Rocco. E questo è il mio ormai ex compagno di cella Giacomo» disse il primo prigioniero facendo le presentazioni come se fossero tra una festa di amici.
«Ehi Mark!» gridò Giacomo.
«Abbassa la voce! Vuoi per caso farci scoprire?»
«Assolutamente no! Abbiamo operato settimane per riuscire a scassinare la nostra cella e far sì che nessuna guardia giri nelle vicinanze»
«Ma di cosa state blaterando? Tu per caso le conosci, Mark?»
«Certo che li conosco! Sono i miei due fratelli»
«Accidenti!» disse visibilmente sorpreso il giovane Roberto che accanto a loro due, sembrava una sardina. «Mark ci ha parlato molto di te…»
«Rocco, non è il momento di dare spiegazioni! Le hai prese le chiavi che aprono questa cella?»
«Sì, penso di avere preso quelle giuste»
«Come pensi?!» ringhiò Mark con fare minaccioso.
«È l’unico mazzo di chiavi che siamo riusciti a trovare»
«Ok va bene. Infilate una chiave alla volta e scopriamo se riusciamo a trovare quella giusta»
Per fortuna, dopo vari tentativi che potevano compromettere la loro fuga, riuscirono a trovare la chiave giusta e in pochi secondi,  erano fuori nei corridoi che correvano come dei dannati senza fare il minimo rumore.
Riuscirono ad arrivare senza problemi nel cortile, aggirando un mucchio di guardie che avevano il turno di salvaguardare il perimetro.
«Ok ci siamo. Ora dobbiamo finire di fare un buco nel muro e saremmo finalmente liberi»
Essi si trovavano nella parte del cortile che Mark aveva descritto a Roberto.
«Mark, non ce la facciamo a romperlo con l’unico martello che siamo riusciti a ricavare»
«Dobbiamo riuscirci per forza! Non voglio marcire in prigione un giorno di più!»
La forza di volontà del caposquadra, ebbe la meglio sul muro che doveva demolire.
«Ce l’abbiamo fatta! Sei un grande Mark!» disse fiero di lui Roberto.
Purtroppo il buco nel muro fece scattare l’allarme della prigione e i quattro uomini dovettero correre a gambe levate e separarsi per depistare al meglio l’inseguimento della polizia e nascondersi nel primo posto che per loro sarebbe stato sicuro.
«Bene, qui non ci troveranno. Ci siete tutti?» mormorò Giacomo dopo che si erano rifugiati in una casa abbandonata.
«Sì fratello. C’è anche Roberto che è visibilmente sfinito» rispose ironico Rocco.
«Oh mio Dio! Non avevo mai corso così velocemente in tutta la mia vita!»
«Questo vuol dire che sei fuori forma. Dovevi allenarti di più durante il tuo soggiorno in prigione. A quest’ora non avresti avuto problemi» ribattè ironico e con tono sollevato Mark.
«Tu la fai facile! Perché non mi hai mai detto che tu avevi dei fratelli e che insieme a loro avevi in serbo un piano di evasione?»
«Sinceramente? Non mi fidavo pienamente di te. Quando mi hai detto che avevi fatto amicizia con due criminali della peggior specie, avevo paura che gli avresti spifferato tutto e quindi ho preferito tacere. La cautela prima di tutto. Non potevo permettere che questo piano fallisse»
«Sì, anche perché non credo che avremo avuto un’altra possibilità» disse Rocco prendendo la parola a scapito del fratello maggiore.
«E avremmo passato tutta la vita in cella di punizione»
«Non mi ci fare pensare, Giacomo»
«Beh, la cosa che più conta è che ora siamo fuori»
«Eh già…» disse Roberto con tono pensieroso e cupo.
«Ehi Roberto, cosa ti prende?»
«Devo andare in ospedale per misurarmi con Rebecca. È più di un anno che non vedo i suoi bellissimi occhi» «Devi proprio volergli bene a quella ragazza»
«Non sai quanto, Giacomo»
«Prima che ci separiamo definitivamente, ti vorremmo dare una cosa»
«Un regalo per me? Ragazzi, non ce n’era bisogno!» rispose Roberto dopo aver ritrovato il sorriso.
«E chi ti ha detto che è per te?»
i tre fratelli, non si capisce come, tirarono fuori dalle loro tasche una rosa rossa per uno.
«Ecco, questa è per te»
«Delle rose rosse? E dove le avete prese?»
«Mentre fuggivamo dalla polizia, abbiamo rotto con un sasso la vetrata di un fioraio qui vicino e abbiamo preso una rosa ciascuno»
«Ahahah siete unici, ragazzi!» ribattè divertito il giovane ragazzo.
«Beh, non se il primo che ce lo dice» rispose Mark che aveva gradito il complimento del suo ex compagno. «Ah, e non dire alla tua fidanzata che siamo stati noi a darti quelle rose, ok?»
«Va bene Rocco»
«Ormai credo che la polizia l’abbiamo seminata. Non ci resta altro che tornare a casa, fare i bagagli e via per una nuova vita»
«Dove avete intenzione di andare?»
«Il nostro sogno sarebbe andare in Brasile, ma visto che non disponiamo di un Jet privato, basterà arrivare in auto viaggiando per tutta la notte fino in Spagna e poi vedremo col da farsi»
«Se non ci hanno svaligiato casa, passeremo di lì e prenderemo tutto l’occorrente»
«Davvero un bel piano ragazzi. Vi auguro il meglio per essere felici»
«E noi ti auguriamo lo stesso, per te Roberto»
Dopo che Mark pronunciò quella frase che sapeva di addio, i tre uomini abbracciarono Roberto che per loro era divenuto il loro migliore amico.
«Mi raccomando Roberto, stai attento a te, intesi?»
«Tranquillo Mark! Chi vuoi che mi scalfisca?»
«Nemmeno un meteorite potrebbe farlo!» ribattè il Mark con tono sorridente.
«Ah, se avrai sistemato il tutto con la tua ragazza, potresti fare un salto in Spagna e cercarci. Ti assicuro che è una terra magnifica»
«Prima dovremmo arrivarci in Spagna, non trovi Giacomo?» mormorò Rocco facendo sentire il fratello un vero stupido.
«Ah, giusto…»
«Stammi bene Roberto e… Buona fortuna»
«Anche a tutti voi»
E dopo l’ennesimo saluto, le strade dei tre fratelli e di Roberto si separarono definitivamente.
A Mark, Rocco e Giacomo li aspettava una vita fatta di mille avventure, ma a Roberto spettava una notte fatta di molti pericoli.

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Capitolo 25
*** 25° ***


25°
 
La distanza tra la casa abbandonata e l’ospedale era di qualche chilometro, ma con la forza della disperazione che non conosceva stanchezza, Roberto riuscì ad arrivare all’ingresso principale dello stabilimento dopo un’ora dal saluto dei suoi amici.
Riuscì ad evitare le guardie dell’ingresso che se n’erano andati nel bar accanto per prendere un caffè e ricaricare le energie.
Ma non si poteva dire delle guardie che controllavano a vista il corridoio dove risiedeva la stanza di Rebecca. “Ecco, ci siamo.” pensò Roberto con il cuore in gola.
Si avvicinò piano piano verso la stanza della ragazza e quando si ritrovò davanti le due guardie, fu colto da una paura indicibile.
«E tu chi saresti? Non puoi entrare qua dentro»
«So che non è l’orario adatto, ma sono venuto qui per vedere la mia ragazza che si è svegliata dal coma pochi giorni fa’»
«Quale è il tuo nome?»
Visto che era appena scappato di prigione, Roberto aveva pensato che se avrebbe detto il suo vero nome, sarebbe stato immediatamente arrestato e riportato in cella.
«Rodolfo. Mi chiamo Rodolfo Valentino»
Fu l’unico nome che passò per la mente al giovane ragazzo.
«Sì certo. E io sono James Dean»
«E io Clark Gable. Vattene via ragazzO se non vuoi passare dei guai»
«Ho corso per un paio di chilometri con queste tre rose rosse in mano e non intendo fermarmi ora solo perché voi due non mi fate entrare!»
«Torna domattina se vuoi entrare e bada bene di dirci il tuo vero nome  o ti mettiamo dentro per falsa testimonianza»
«Ma questo è il mio vero nome! E non intenderò tornare domani solo perché mi sono presentato a quest’ora»
«Non capisco perché i nostri colleghi non ti abbiano fermato all’entrata… Vorrà dire che lo faremo noi»
E senza che potesse difendersi, Roberto fu agguantato dai due poliziotti che intendevano sbatterlo fuori dall’ospedale a calci.
«Lasciatemi!» gridò Roberto mentre cercava di divincolarsi.
Grazie al frastuono che rimbombò quasi in tutto l’ospedale, Rebecca aprì la porta della sua stanza chiedendo ai due agenti di scorta cosa stava succedendo.
Ma appena gli sguardi dei due ragazzi si incontrarono per la prima volta dopo tanto tempo, furono colti da un’improvvisa emozione che sfociò in un lungo abbraccio e in un lunghissimo bacio.
«Roberto! Finalmente sei arrivato!»
«Roberto? Allora Rodolfo Valentino non è il tuo vero nome, eh?»
«È il soprannome che Rebecca ha dato a me. Ora, se volete scusarci…»
«Tranquilli agenti, lo conosco»
Seppur controvoglia, accettarono che il ragazzo entrasse dentro la stanza di Rebecca.
«Non fate confusione o sbatteremo fuori una volta per tutte quel ragazzo!» tuonò la guardia come ultimo avvertimento.
Una volta entrati, non riuscirono a staccarsi.
I loro lunghi discorsi furono scanditi da parole dolci e d’amore incondizionato.
«Rebecca, devo farti le mie scuse per quello che ti ho fatto. Mi pentirò per tutta la vita per averti mandata in coma. Potrai mai perdonarmi?»
«Roberto, la tua azione è stata crudele e non meriterebbe il mio perdono… Ma io ti amo più della mia stessa vita e in fondo è stata anche colpa mia perché volevo lasciarti»
«Sì, hai ragione. Questo non giustifica le mie azioni» rispose cupo il ragazzo
«Sì. Però…»
«Però cosa? Mi perdoni?»
«Mmh sì… Però la prossima volta cerca di non farmi fuori, ok?» disse ironicamente Rebecca.
Sapevano benissimo che non era una cosa su cui scherzarci, ma quella notte per loro doveva essere spensierata e indimenticabile.
«Ahahah affare fatto» ribattè sorridente Roberto e dopo un momento di tristezza, si riversò immediatamente nelle braccia della sua amata.
«Cos’hai che tieni in mano e che non lasci da quando ci siamo rivisti?»
«Oh, che smemorato! Queste sono per te»
«Sono davvero bellissime! Dove le hai prese?»
«Ehm, le ho coltivate nel mio giardino e le ho piantate dopo il tuo incidente»
Dallo sguardo fuggente di Roberto, Rebecca aveva capito che il suo ragazzo stava mentendo.
«Ok, ho afferrato il concetto. Non ti chiederò dove le hai prese veramente perché continueresti a mentirmi. Però d’ora in poi voglio un rapporto giusto e sincero tra di noi, capito?»
«Forte e chiaro!»
«Veramente no» disse incuriosito Roberto.
«Il colore rosso sta a significare un amore ardente, passionale e coraggioso e il numero tre sta a significare che mi ami…»
«Non potrebbe essere più giusto e azzeccato» rispose Roberto sorridente.
«Perché tu mi ami davvero?» domandò Rebecca con occhi lucidi.
«Più della mia vita perché senza te, niente posso, niente sono»
Se fosse stata per Rebecca, sarebbe svenuta per il sentimento più forte del mondo: l’amore.
La ragazza, al colmo di una gioia mai provata prima, strinse ancora di più il suo uomo dai mille difetti ma anche dai mille pregi.
Il pregio più importante è che avrebbe reso felice qualsiasi donna, e solo Rebecca poteva saperlo.
«Resterai per sempre al mio fianco?»
«Sempre! Possa il male maggiore provare a separarci»
«A quel punto farebbe i conti con me!»
«E con me» ribatterono sarcastici i due giovani.
«Rimani con me, stanotte. Non te ne andare…»
«Non ti lascerò mai un minuto da sola. Nemmeno di notte»
«Forse quando saremo sposati… Ma per stasera facciamo un eccezione»
La voce dolce e soave di Rebecca rimbombava nelle orecchie del giovane come se avesse ritrovato l’eterna contentezza che non aveva mai capito fino in fondo il suo significato.
 
Angolo d’autore lmpaoli94
Eccoci!
Siamo arrivati al penultimo capitolo.
Intanto voglio ringraziare tutti coloro che hanno seguito la mia storia.
Anche se per ora non ho ricevuto nemmeno una recensione, non cerco di dargli peso.
So che preferite rimanere lettori anonimi xD
Però vi confesso che un vostro parere mi farebbe alquanto piacere.
Soprattutto perché tra pochi giorni pubblicherò il capitolo finale.
E vi assicuro che ci saranno moltissimi colpi di scena.
Ciao a presto.
lmpaoli94

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Capitolo 26
*** 26° ***


26°
 
Erano le tre di notte quando John e Olympia posteggiarono l’auto in un luogo buio e appartato vicino all’ospedale.
«Allora, è tutto chiaro il piano? Ti rechi in camera della ragazza, parli un po’ con lei, nascondi la borsa e poi torni subito qui. Appena ritorni faccio scattare il timer con questo telecomandino che ho in mano e poi tanti saluti a Rebecca»
«Chi mi dice che quando non sono in camera della ragazza tu fai scattare il timer e uccidi anche me?»
«Ok, se proprio non ti fidi, te lo do’ a te. Ma mi raccomando, non premere nessun pulsante se non vuoi far scattare il conto alla rovescia e lasciarci le penne, chiaro?»
«Chiarissimo»
«Ora vai»
Dopo che John porse il telecomandino a Olympia, la ragazza scese di macchina e con passo felpato entrò dentro l’ospedale.
 Era iniziata definitivamente l’operazione “Liberarsi di tutti i problemi”, nomignolo inventato John.
 
La ragazza superò l’entrata dell’ospedale senza nessun problema.
In soli cinque minuti si ritrovò nel corridoio dove risiedeva la stanza di Rebecca.
Appena i due agenti di polizia che facevano guardia alla stanza della ragazza, squadrarono immediatamente quella persona tutta incappucciata e il suo sacchetto che portava nella mano destra.
«Lei dove pensa di andare a quest’ora?»
«A trovare una mia amica che per il momento alloggia qui dentro l’ospedale. Si chiama Rebecca Palieri e se non mi sbaglio, è dietro questa porta»
«Ma lo sa che ore sono? Torni domani se vuole vedere la sua amica»
«Purtroppo non posso. Domani ho un aereo che mi porterà a Rio de Janeiro»
«Questo non è un nostro problema, signorina. Doveva pensarci prima»
«Non potreste fare una piccola eccezione e lasciarmi entrare? Vedendo la luce accesa nella sua stanza, intuisco che è ancora sveglia»
«Questo non è proprio possibile! Se ne vada immediatamente o la porteremo via con la forza!» ribattè la guardia senza cedere di un millimetro.
«O lei mi fa entrare o qui succederà un putiferio» disse con tono minaccioso la ragazza che era sul punto di confessare le vere intenzioni.
«‘Ma che diavolo sta facendo?! È impazzita?!’» sbottò John che aveva nascosto una piccola ricetrasmittente dentro il pacco dove era custodita la bomba. «‘Vuole far saltare la nostra copertura’!».
«Che cosa intende dire con questo?»
«Meglio che non glielo dica…»
«Eh no, invece lei mi spiegherà tutto immediatamente o la sbatteremo dentro per oltraggio a pubblico ufficiale!»
«Credo che non avrete l’occasione…»
 
Roberto e Rebecca, che si erano addormentati momentaneamente con la luce accesa, furono svegliati dalla voce degli agenti.
«Ma cosa sta succedendo? Cosa stanno dicendo quei due per parlare così forte?» domandò la ragazza mezza addormentata
«Non ne ho la minima idea. Vado a vedere cosa sta succedendo»
Quando aprì la porta della stanza, incrociò lo sguardo cattivo e minaccioso della sua vecchia amica che per tanti giorni le aveva fatto compagnia in ospedale.
«Olympia?... Ma tu… Cosa ci fai qui?»
«R-Roberto… Sei davvero tu?» domandò Olympia rimanendo quasi folgorata per aver rivisto il suo uomo. «Mi dici che ci fai qui?»
«Te l’ho fatta prima io questa domanda!»
«Roberto, vattene o non supererai la notte!»
«Ma che cosa stai dicendo? Sei per caso ubriaca?»
«Non sono mai stata più cosciente in vita mia. Corri il più veloce che puoi e vattene di qui!»
«Roberto, che succede?» domandò Rebecca con tono allarmato mentre era uscita fuori dalla sua stanza con camicia da notte.
«Niente di complicato, tesoro. Tornatene in camera tua!»
«Ah, è così che stanno le cose! Sei venuto in ospedale per spassartela con la tua vecchia ragazza. Mentre dovresti essere in carcere a marcire per il crimine commesso!»
«In carcere? Di cosa state parlando?» disse una delle due guardie vivamente confuso dalla faccenda che lo circondava.
«Niente, agente. Questa pazza sta delirando!»
«Attento a come parli, Roberto!... Qui dentro c’è una cosa che deciderà la tua e la vita di tutti noi»
«Ora mi sono stancato! Bruno, arrestiamo questa pazza!»
«Buona idea, Ciro»
«Fermatevi tutti!» disse John con voce alta e autoritaria e impugnando il suo fucile da cecchino. «Che nessuno si muova!»
«John, cosa ci fai qui?»
«Zitta maledetta! È ora che tutti voi facciate i conti con la coscienza!»
«Finalmente ci conosciamo John» disse Roberto dichiarando il nome dell’omicida  a denti stretti.
«Sei tu quello che deve fare i conti con la coscienza!»
«Caro Roberto, anche per me è un piacere conoscerti e vedere la tua lurida faccia! È arrivata la tua fine Roberto!»
«Chiama immediatamente rinforzi, Ciro» mormorò l’agente di scorta al suo collega.
Ma mentre si stava muovendo piano piano per lasciare il corridoio, fu colpito a morte alle spalle dal cecchino.
«Brutta mossa agente…»
E come se non bastasse, finì per uccidere anche l’altro agente.
Rebecca, visibilmente impaurita, stava prepararsi per lanciare un grido acuto che avrebbe svegliato l’intero ospedale, ma temendo per la sua stessa vita e per quella di lei, Roberto gli tappò prontamente la bocca. «Ssh. Calmati Rebecca»
Gli spari si udirono in gran parte dell’ospedale, e gli infermieri che erano di turno, si diressero a vedere cosa stava accadendo.
«Fermatevi tutti se non volete fare la loro stessa fine! E non vi azzardate a chiamare gli sbirri!» minacciò John.
 
Tra la confusione generale, John condusse me, Rebecca e Olympia fuori dall’ospedale minacciandoci di spararci a sangue freddo se non gli avremmo dato ascolto.
Dopo essersi nascosti lontano da tutto e da tutti, cominciò a confessare i suoi veri propositi.
«John, perché sei venuto in ospedale? Perché non hai fatto ciò per quello che abbiamo concordato?!»
Nell’udire quelle domande aggressive, John sganciò un sonoro schiaffo alla povera Olympia che cadde a terra in preda alla paura e alle lacrime.
«Perché hai fatto di testa tua, sgualdrina. Come hai pensato di far saltare il nostro piano? Non dovevi minimamente provare a dire nulla sulle tue intenzioni!»
«Era un modo per spaventarli sciocco! E per riuscire ad entrare nella stanza della ragazza!»
«Non importa! Questo non faceva parte del piano e come puoi ben sapere, io non sopporto chi non segue le mie istruzioni!»
Nel mentre parlava fisso negli occhi impauriti di Olympia, John gli puntò il suo fucile, guardandola soffrire piano piano e crollare psicologicamente.
«Cosa vuoi fare? Uccidermi?!»
«Beh, l’idea mi alletterebbe… Però mi piace anche vederti soffrire e piangere come una disperata»
«Sei un maledetto! Non avrei dovuto fidarmi di te!»
«E io di te! Portami i saluti ad Angelo!»
John, che non ci vedeva dalla rabbia, sparò in fronte alla povera Olympia facendola morire sul colpo.
I due ragazzi, impietriti dalla paura, rimasero a godersi la brutale scena fissando con odio il micidiale assassino.
«Allora, chi è il prossimo tra voi due?»
«Sei un folle! Perché fai tutto questo! Spiegacelo!» ribattè furente di una rabbia Roberto.
«Perché mi è stato ordinato dal tuo vecchio complice Elio. Che ora è diventato uno dei boss malavitosi più influenti di tutta l’America. Chi l’avrebbe mai pensato che uno straccione come lui, diventasse un uomo di spicco nel crimine? Ma è grazie a lui se io sono tornato quello che ero una volta. Uno spietato e rozzo cecchino che se viene ben pagato, non guarda in faccia a nessuno!»
«I soldi ti hanno rovinato l’anima, John. Se butti giù il fucile, noi potremmo aiutarti»
«Non cercare di impensierirmi, donna da quattro soldi! O vuoi finire come Olympia che mi aveva pregato di ucciderti? All’inizio avevo rifiutato il compito perché dovevo pensare ad uccidere solo Roberto, ma poi era probabile che si sarebbe presentata l’occasione di uccidervi tutti e due… E così è stato. Preparatevi a salutare questo mondo!»
John aveva il fucile puntato su tutti e due i ragazzi e li fissava con tale odio da far raggelare chiunque. «Comincerò da te» disse subito dopo puntando definitivamente la sua arma contro la ragazza.
Ma mentre era partito il colpo, con una rapidità fulminante, Roberto si mise a protezione della ragazza salvandogli la vita.
Il ragazzo crollò a terra colpito nella spalla che era stata ferita proprio dal fucile di John.
«Sei uno stupido! Perché ti sei messa a protezione di lei? L’avete capito o no che non avete più scampo?!» Ma queste furono le sue ultime parole.
Correndo come un pazzo, un agente di polizia arrivò nel luogo nascosto e riempi di pallottole il corpo maledetto del cecchino sterminatore.
L’ispettore Coliandri aveva salvato la vita di Rebecca.
Ma forse non si sarebbe detto lo stesso di Roberto.
«Roberto, ti prego resisti!» disse con tono disperato Rebecca e con le lacrime agli occhi.
«Ho subito chiamato un’ambulanza. Tra poco saranno qui» disse l’ispettore cercando di assicurare la ragazza.
Ma purtroppo Roberto non riuscì ad arrivare in tempo in ospedale.
Mentre i medici si stavano preparando per operarlo, il suo cuore smise improvvisamente di battere. Roberto era deceduto in quella fredda alba primaverile tra la sconforto dei suoi più cari amici, di sua madre e della ragazza che aveva sempre amato.
 
Pochi giorni dopo ci furono i preparativi per il suo funerale.
La camera funeraria brulicava di persone conosciute e sconosciute, e il dolore nel vedere quel povero ragazzo giovane che aveva dato la sua vita per salvare quella della sua fidanzata, era immenso.
Le persone smisero di venire alla camera funeraria solo quando venne il fatidico giorno del suo ultimo saluto.
Molte persone affollarono la chiesa e i tanti sfortunati che non riuscirono a trovare un posto a sedere in chiesa, si dovettero accomodare fuori.
«Avanti, portiamo la bara di Roberto in chiesa»
Ma quando l’ispettore Palombi aprì la porta della stanza dove aveva lasciato la bara con dentro il corpo di Roberto, vide con grande sorpresa e incredulità che il suo corpo era misteriosamente scomparso, mentre la bara era stata distrutta cadendo a terra.
                                                                                                                                                                         FINE
                                                                                                                                                        LORENZO MARIO PAOLI
                                                                                                                                                               (Alias lmpaoli94)
 
Angolo d’autore lmpaoli94
Eccoci arrivati alla fine.
Spero che chi ha letto questa storia dall’inizio alla fine l’abbia apprezzata come ho fatto io scrivendola.
Naturalmente non finirà così.
Anche se non ho ancora deciso quando scriverò il seguito perché devo ancora trovare una trama adatta per continuarla.
Ma vi prometto che prima o poi lo scriverò J
Ringrazio ancora chi l’ha letta / messa tra le seguite (e chi magari la commenterà in futuro xD)
Ciao a presto
lmpaoli94

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