Memorie di gioventù.

di xzaynsmouthx
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I. ***
Capitolo 2: *** Capitolo II. ***
Capitolo 3: *** Capitolo III. ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV. ***
Capitolo 5: *** Capitolo V. ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI. ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII. ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII. ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX. ***
Capitolo 10: *** Capitolo X. ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI. ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII. ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII. ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV. ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV. ***



Capitolo 1
*** Capitolo I. ***


Ringrazio calorosamente chiunque abbia letto anche solo la prima frase di questa storia a tratti paradossale. 
Ci sono riferimenti a persone realmente esistenti, ma soltanto per quanto riguarda nomi o poche caratteristiche in ogni caso. 
Invito chiunque sia curioso di sapere come questa storia continui di farmelo presente o di farmi presente che devo smetterla immediatamente di scrivere perchè faccio pena. 
Detto ciò vi auguro una buona lettura.

 



CAPITOLO I 

Quella giornata di giugno era insolitamente calda e umidiccia, dalla fronte di John, un giovane avvocato d’origini rispettabilissime e dalle forme a dir poco generose, sgorgavano a fiotti luccicanti goccioline di sudore. Era stata Nicole ad organizzarci quell’appuntamento al buio ad Hyde Park, probabilmente non tenendo conto minimamente dei miei gusti in fatto di uomini, tuttavia ero rimasta l’unica da sistemare fra le amiche, se così si possono definire. Le avevo conosciute all’università, e avevamo instaurato un rapporto malato fin da subito basato su bugie, giudizi affrettati e quant’altro, ma eravamo femmine, no? Il che giustificava probabilmente alcuni comportamenti da oche che tutte, nessuna esclusa, aveva avuto e che adesso, alla veneranda età di 27 anni avevamo superato, o meglio, omesso o meglio ancora, avevamo fatto finta di nulla ed eravamo semplicemente andate avanti mantenendo rapporti perlopiù superficiali. Ciò era dimostrato dal fatto che Nicole mi avesse costretta a sorbire quel trombone parlare di scartoffie burocratiche tutto il pomeriggio mentre avrei preferito sedermi al Cafè con Sophie e Abigail, le uniche che potessi affermare di conoscere realmente e viceversa. John stava ancora blaterando ed io ad ascoltarlo avevo preferito pensare alla cena, chissà cos’avrei mangiato quella sera: cucinare o non quest’era il dilemma. E tra l’altro, nella mia mente, fra le immagini di ravioli, involtini e nuggets di pollo era comparsa un’altra grande minaccia: cos’avrei dovuto dire a Nicole? Perché avevo mollato John ancor prima di frequentarlo o pensare almeno di farlo? Non era una domanda complicata alla quale rispondere, ma non avrei certo potuto dire la verità, cioè che questo si aggiungeva ad una lunga lista di amici scapoli del suo adorato Kevin, del quale era promessa sposa, che sarebbero andate bene per una di quelle donne da pubblicità dei detersivi, non per me. – Lo sai, a volte penso che certe donne siano proprio stupide. – oh, wow da che pulpito. – Scusa, ma potrei sapere perché pensi questa cosa? – Beh, scusami, ma queste sono cose che potresti non capire. – Ah, oddio scusami. Facciamo che quando potrò capire ti cercherò sicuramente, ok? – Cos…? Io non volevo assolutamente offenderti, solo che vedi, alcune cose sono da uomini ... – Oh, peccato allora non capirò mai, addio. – e ridacchiando mi allontanai lasciandolo incredulo su una panchina, pure il sessista doveva capitarmi? Purtroppo non era una puntata di Sex&The City, era la dura realtà e a differenza di Sarah Jessica Parker invece di raggiungere le mie amiche in Taxi, così da non rovinare le mie Manolo nuove di zecca, presi la metro, dove con le mie sneakers della collezione dell’anno precedente della sottomarca di H&M e pestai anche una gomma. Entrai nel Turkish, il solito locale della solita Camden e raggiunsi le mie amiche al solito divanetto mentre sorseggiavano la solita birra o il solito drink. – Ragazze, ogni tanto potremmo anche far finta di fare qualcosa di nuovo. – Allora, l’avvocato? – chiese Abby curiosa ignorando totalmente ciò che avevo detto. – Evitiamo di parlarne. – L’ennesimo buco nell’acqua? Guarda che se rifiuti ancora un amico di Kevin ti toglieranno dalla lista degli invitati. – disse ironica Sophie per poi cominciare a ridere seguita subito da Abby. – Oh,no. Pensavo di incontrare l’amore della mia vita a quella festa. – dissi mettendomi le mani nei capelli e facendo un espressione buffa. – Andiamo, facciamo le brave, è importante per Nicole questa cosa ... – Cosa esattamente? Kevin o la cerimonia? – Ovviamente la cerimonia. – Appoggiai Sophie, ero troppo vecchia per queste cose, ma erano così divertenti. Abby ci lanciò un’occhiataccia. – Ok, mi arrendo. – dissi alzando gli occhi al cielo, Sophie alzò semplicemente le mani in segno di resa. – Ci sono delle notizie che ho da darvi, intendo alle donne che siete in fondo non alle bambine che ho davanti. – E allora smettila di gongolare e parla! – la esortò Sophie per poi incrociare le braccia al petto. – Al matrimonio indosseremo tutte lo stesso abito ... beige. – Come la vita che li aspetta? – Oddio, che bambina! – esclamò Sophie portandosi la mano alla bocca e squadrandomi in modo a dir poco teatrale. – E poi – continuò Abby ignorandoci, anche se non lo ammetteva sono certa che si divertisse anche lei, ma non avrebbe mai potuto darlo a vedere perché in tal caso avrebbe rinunciato alla sua imparzialità risalente alla faida che ci fu fra di noi tutte alcuni anni prima, nata probabilmente per il fatto che eravamo semplicemente cresciute ed avevamo iniziato ad intraprendere strade diverse, modi di vita diversi. C’era chi dava importanza ai soldi e basta, chi all’amore, e chi alle amicizie e al lavoro. Inutile dire che io rientravo nell’ultima categoria, vero? A dire il vero, una decina di anni prima sarei rientrata nella seconda categoria, ero una di quelle innamorate dell’amore, (ma avevo sedici anni, perciò in qualche modo potrei essere giustificata) tuttavia quel periodo della mia vita è durato fino ai 20 anni circa. Si cresce semplicemente e si capisce che in realtà il compagno di banco di cui eri cotta e reputavi davvero strafico perché fumava nel bagno fottendosene delle regole, in realtà non era davvero la persona che avresti portato all’altare anche se allora lo pensavi magari. Quant’ero imbecille? E capisci anche che per fare colpo non devi far notare al diretto interessato che su di te ha il potere di provocarti anche un ictus volendo. Oppure che straparlare non è proprio indicato e tante altre cose che penserete non faccia più ... poveri illusi. Beh, non si smette mai di imparare, insomma è nella normalità delle cose e ... okay, ero indifendibile. – E l’altra notizia è ... una vacanza! – io e Sophie ci guardammo leggermente turbate, l’ultima vacanza organizzata da Abby non era stata propriamente un successo, eravamo andate in montagna in cerca di pace e fresco, ma fece talmente freddo quell’estate che la neve ci costrinse a chiuderci in casa e non uscirne per due settimane circa, in poche parole: un incubo. – Ok, so di aver fatto male i calcoli a volte ... ma stavolta è diverso. – Due anni fa, invece, non ricordo neanche dove dovessimo andare ricordo solo che prenotò il volo per la prima settimana d’agosto e l’appartamento per la seconda. – E perché? – chiese Sophie. – Perché ci ospita una mia amica d’infanzia. –  Wow, il livello di difficoltà dell’organizzazione della vacanza è salito, Abby, ce la farai? – chiesi beffarda. – Almeno io organizzo. – rispose stizzita. – Io il bagno potrei farlo anche nel Serpentine e prendere il sole sulle panchine del parco. Vi piace come idea? – chiese Sophie speranzosa. – Ok, dicci di più, Abby. – Era una bella idea, stronze! – Allora, Melissa – Che nome da puttana. – disse subito Sophie. – le feci cenno di tacere e lei mi guardò torva per poi stare finalmente zitta. – E’ una mia amica d’infanzia come ho detto, e indovinate con chi è fidanzata! – Oddio, lo so, lo so. Con uno dei One Direction? – io scoppiai a ridere guardando l’espressione concentrata di Sophie. – No. – le rispose Abigail. – Allora non lo so. – Come facciamo a sapere con chi è fidanzata? – chiesi, era una domanda alquanto ovvia. – Marlon Richards. – Il figlio di Keith Richards? Il figlio dell’amore della mia vita? – Piano Sophie, c’ero prima io. – le disse Abby ridacchiando. – Deve essere davvero grandioso per lei, ma a noi che importa? – Lui ha una villa enorme in Francia. – Sophie aveva preceduto notevolmente Abby e adesso guardava un punto indefinito del locale con uno sguardo sognante. – Non sapevo di questa tua gerontofilia, Sophie. – Lei scoppiò a ridere spintonandomi leggermente. – Comunque, ci ha invitate a passare due settimane lì. – D’accordo, meglio della Scozia onestamente. – Molto meglio. – Ma ... del viaggio ce ne occuperemo io e Soph. – dissi puntando Abigail con il dito e fingendo uno sguardo minaccioso. 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo II. ***


CAPITOLO II
 
Dal finestrino dell’auto la Costa Azzurra sembrava una grande macchia verdognola che in alcuni punti della strada diventava biancastra o cristallina. D’un tratto, dato il caldo asfissiante, pregai che Soph si fermasse così da gettarmi nella boscaglia che costeggiava la strada, attraversarla e raggiungere il mare. Poi mi augurai che accendesse l’aria condizionata di lì a poco, questa non sembrava essere una pretesa così assurda come la precedente, ma data la scarsa qualità della macchina di suo padre avevamo dovuto scegliere cosa dovessimo tenere acceso se lo stereo o il condizionatore. E ovviamente, a nessuno era importato che a me l’aria dietro non arrivasse e che stavo per arrivare all’ultimo stadio della scala dei sintomi del colpo di sole, perché Sophie era troppo presa dalla canzone delle Spice Girls che risuonava in quel momento nella macchina e Abby stava mandando chissà quali e quanti messaggi smielati a Marc, il ragazzo che la rendeva la donna più felice del mondo e bla bla bla. – Soph, so che le Spice Girls ti stanno prendendo tanto, ma dopo aver sentito metà della loro discografia possiamo accendere il condizionatore? Ho letto su Internet che potrei arrivare anche al coma esposta a questo caldo. – Abbassa il finestrino, senti il vento fra i capelli, l’odore del mare della Francia ... – Il mio finestrino è finto, non c’è manco la manopola per abbassarlo, ma quanti anni ha questa macchina?! – Tanti, chissà quante cose sono state vissute qui dentro ... Sai i miei mi hanno concepita lì dove sei seduta tu. – Tossii rumorosamente, forse m’era andata storta la saliva per lo schifo o forse ero arrivata al coma, in ogni caso pochi minuti  dopo ci trovammo in un vialetto sterrato. – Sembra la location per un film dell’orrore. – La smetti di lamentarti? – Beh, almeno lei partecipa. Che stai dicendo a Marc? Sono ore che parlate! – disse Soph venendo in mio aiuto. – Niente... mi manca già, ecco tutto. – Io e Soph ci guardammo come a dire “balle” ma avevamo imparato che a volte a stare zitte si guadagna molto di più che a dire la verità, soprattutto tra amiche. E’ una cosa brutta da dire, ma la verità a volte va calibrata e non puoi sempre ritenerti libera di dire ad una tua amica “non lo ami e stai con lui perché a stare da sola non ci riesci”. Strano ma vero: alla gente non piace sentirselo dire. – E’ questa? – Ecco, invece questa sembra la casa di “Non aprite quella porta”. – Dio, nessuno ci ucciderà, Angie! – Ok, ok. La smetto. – Abigail si calmò e calò il silenzio nella macchina. – Ang, vai a bussare. – Vai tu,Soph. – Io sono al volante. – Ma la macchina è ferma. – Quanti anni avete? – Ok, vado, vado. – dissi sbuffando. Scesi dalla macchina che ormai era più un fornetto che altro e fui investita da una sensazione di freschezza che al mio corpo era estranea ormai da ore. Bussai premendo l’unico pulsante malridotto che riuscii a trovare accanto al cancello. – Chi è? – Ehm ... Angie? Cioè, voglio dire ... Siamo amiche di Melissa. – Non ottenni risposta, ma il cancello si aprì e questo bastò almeno a tenere calme le due scalmanate che erano rimaste in macchina. Ok, lo ammetto avevo contribuito anch’io a creare quell’aria così tesa in quella scatoletta infernale, ma a me proprio non andava giù quel posto, quella Melissa e quel suo ragazzo che faceva la vita da rockstar sulle spalle del padre. Forse l’avevo fatto trasparire un po’ troppo quel mio parere tanto da indispettire Abby, che era stata quella che aveva deciso di portarci lì, avrei dovuto essere più riconoscente, insomma eravamo in Costa Azzurra dopotutto e gratis! Ok, aveva avuto un colpo di genio, ma noi con quel mondo che c’entravamo?  Che anche loro stessero diventando come Nicole? O ero io ad essere troppo pesante? Nah, saranno loro. Rientrai di malavoglia in macchina e feci di tutto per fingere un sorriso entusiasta, sembravo un po’ Jocker, ma comunque penso che apprezzarono lo sforzo. – Arrivammo al parcheggio dove c’erano una dozzina d’altre macchine di gran lunga più accessoriate, luccicanti, veloci e costose. Scendemmo dalla macchina e evitai di lanciare ad Abby uno sguardo alla “te l’avevo detto” quando vidi anche lei tentennare. Un tipo incravattato e inamidato da capo a piedi si presentò dinanzi a noi, sudaticce e stravolte dal viaggio, il che probabilmente ci fece sentire ancor più fuori posto. – Benvenute, vi accompagno dalla Signorina? – Si, grazie. – rispose Abby. Entrammo all’interno dell’edificio che probabilmente risaliva agli anni 20’ e il cui pavimento all’ingresso era di pietra bianca e nera, la scala principale portava a due corridoi che a loro volta chissà a quante camere portavano, senza contare il lampadario sopra le nostre teste e le stanze che s’intravedevano ai lati della scala. Mi venne in mente il mio monolocale a Camden e trattenni a stento una sana e grassa risata. Melissa, dai capelli biondi e dalla faccia effettivamente da cagna, scese le scale pensando probabilmente di essere la regina del mondo, e anche in quel momento a stento trattenni le risa, anche perché incontrai lo sguardo complice di Soph che stava per mandare a puttane tutto il mio autocontrollo. – Benvenute a Villa Nellcote. – Ciao, Mel. – la salutò Abigail. – Oh, Abby quanto tempo. – disse abbracciandola. – E loro? – chiese Mel – Sono Angela Scott e Sophie Delacroix. – Tanto piacere, è un onore per me avervi qui. Ovviamente, l’unica regola è che non ci sono regole, potete fare ciò che volete. – Mel, chi sono loro? – una voce roca e graffiante alle mie spalle mi fece sussultare. – Sono Abby, una mia amica d’infanzia e due sue amiche, resteranno qui da noi, Marley. – mi girai e vidi il ragazzo accennare un sorrisetto beffardo, il mio sguardo incrociò il suo, e probabilmente doveva aver pensato che le sue iridi nere come la notte mi potessero mettere in soggezione, ma ressi abbastanza a lungo quel contatto, abbastanza da guadagnarmi uno sguardo d’approvazione e gli ultimi tiri rimanenti della sua sigaretta. Lo vidi salire poi le scale e inoltrarsi in uno dei due corridoi. – Seguitemi, vi porto alla stanza. – disse Mel sbrigativa e improvvisamente impettita.  – Mica male anche Jr. – mi sussurrò Soph all’orecchio. Ridacchiammo e seguimmo Melissa finché non arrivammo in camera dove ci lasciò augurandoci ancora una buona permanenza.

Eccomi con un nuovo capitolo che spero vi piaccia. Lasciate un qualsiasi commento, anche per scrivermi che la storia è una merda, così da capire se dover mandare al diavolo qualsiasi intenzione di continuare a scrivere o meno. :')
Ringrazio comunque chi abbia speso anche solo il tempo per apire la pagina del capitolo precedente e aver detto: "Che merda, andiamo subito via di qui". Ringrazio quei pochi a cui potrà piacere questa storia che racconta, con toni talvolta verosimili e talvolta no, un percorso di vita, di crescita che spero continuerete a seguire e scoprire assieme ad Angie. 
Arrivederci! 

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Capitolo 3
*** Capitolo III. ***


CAPITOLO III.

Mi stesi sul letto con un buon libro in grembo guadagnandomi un’occhiataccia da parte di Sophie. – Allora? Ho mica guidato nove ore per questo? – Sophie, eri tu che non volevi prendere l’aereo. E sei tu che hai vomitato sul traghetto in Normandia, perciò aggiungici una sosta di un’ora e mezza per riprenderti. – D’accordo, ma potresti divertirti? Come una volta ... –  Lo prometto, adesso andrò in piscina e farò la persona socievole, così intendi che mi diverta? – lei annuì ed io gettai gli occhi al cielo e quando Soph ebbe distolto lo sguardo infilai il libro in borsa e corsi fuori dalla camera.

– E tu che fai qui? – ero sulla balconata del primo piano, quella dannata casa era enorme e il mio senso dell’orientamento praticamente inesistente doveva avermi condotta lì, di fronte ai padroni di casa e a gli altri ospiti che sedevano attorno ad una lunga tavolata imbandita e stracarica di squisitezze locali. Mi sentii alquanto in imbarazzo ad essere piombata lì improvvisamente. Non era Mel quella che mi aveva domandato cosa diavolo ci facessi lì, ma un capelluto dalle labbra piene e che, dipinta in volto, aveva sicuramente un’espressione più gentile dei padroni di casa. Chissà cosa pensava ognuno di loro in quel momento. – Io ... stavo andando in piscina, devo aver sbagliato ... – ridacchiai come a voler sdrammatizzare una situazione che non era per niente drammatica, e allora perché quel silenzio? – ... ecco tutto. – terminai per poi tentare di andar via, ma nel momento in cui avevo mosso un passo all’indietro così da svignarmela in un posto tranquillo, all’ombra di un albero a leggere, lontana da quei radical-chic. – Siedi con noi. – “brutto stronzo, adesso dovrò sedermi e socializzare con queste mummie, però chissà di cosa parlano ...” – D’accordo. – sussurrai e mi sedetti al fianco del capelluto che scoprii essere James Jagger. Facevano un gran baccano, per comunicare urlavano in modo che tutti sentissero tentando di coprire il suono di alcuni che strimpellavano chitarre, James mi aveva passato un bicchiere stracolmo di vino, che avevo voluto finire il prima possibile come se la fine del bicchiere mi portasse magicamente anche al termine di quel pranzo. Ore ed ore durò quello strazio, erano le quattro del pomeriggio, faceva caldo e l’atmosfera era più calma. A Jagger avevo raccontato del mio lavoro, delle mie amiche e quant’altro e viceversa, alla conversazione si era unito anche un terzo elemento: Candice, sulla ventina o giù di lì, che mi aveva accolta in modo affabile e aveva ascoltato ciò che avevo da dire, nonostante probabilmente a lei la mia vita potesse sembrare davvero molto noiosa, ma non lo diede a vedere, non quanto James almeno. – Cosa? E tu ... davvero fai un lavoro così palloso? Cioè, lavori con i numeri, dai! – Non lavoro con i numeri, mi servo dei numeri per ... – ma non continuai, era inutile e quindi dissi: – Hai ragione, non mi spiego come faccio a continuare quel lavoraccio. – Jagger annuì senza cogliere la mia ironia e Candice ridacchiò. – Dovresti cominciare a vivere. – Eh? – era lui quello ironico stavolta? – Intendo delle avventure. – ah, no. Era serio. – Non sono tipa da avventure. – Si vede. – La tua ultima conquista? – era Candice. Non potevo certo parlare di John, mi avrebbero tenuta lì a psicoanalizzarmi per ore. – Beh, ho passato anni a morire dietro ad uno che mi voleva solo usare e ho imparato che questo non va bene. – Imparato? – Già. – Ma non puoi comandare il tuo cuore. – disse Candice sorridendomi dolcemente. – Questo lo pensavo anch’io, ma poi vedi ... quando ti prendono per il culo cambi idea. – Già, sentivo addosso il peso delle responsabilità di cui io stessa volontariamente m’ero caricata. Sono un’imbecille, ribadisco. Ma non era neanche del tutto colpa mia, dovevo trovare delle soluzioni veloci per riprendermi dal vuoto lasciato da Henry, e l’unica che avevo trovato era questa irrazionale razionalità. Nel caso non fosse chiaro: non cercavo avventure, le cose dovevano essere limpide, sicure. Insomma, una relazione tra cinquantenni. Suona più triste detto così. I due adesso stavano ridacchiando fra loro e approfittai del momento di distrazione di entrambi per tagliare la corda salutandoli da lontano così che non fossi tenuta a rispondere ai loro “ma dai, rimani!” facendo finta di non sentire. E così, finalmente, raggiunsi la piscina. Mi sedetti su una sdraio e continuai la lettura che avevo cominciato in viaggio, prima che avvertissi il calore talmente tanto da stare per soffocare in quel buco infernale d’una macchina. Ero sul più bello, la madre di lui stava ammettendo che non era stato solo il padre a tradire, ma anche lei! Che stronza, l’ha mandato via e poi ... Ma poi che sarà mai un tradimento? Ah, si ... lo so. Henry mi aveva tradita con un’odalisca. Cioè, non una vera odalisca, una che aspirava ad esserlo, nonostante paresse più inglese di me. Henry disse che era stato affascinato dalla sua vocazione per la conoscenza della cultura orientale, ma ho sempre pensato che la vocazione della cara Kala (nome d’arte, in realtà si chiama Elizabeth) fosse più per i pompini che altro. Ma è un capitolo chiuso questo. Dell’acqua gelida m’arrivò improvvisamente sul capo per poi scendere fino al fondoschiena lungo la colonna vertebrale, il che mi fece alquanto rabbrividire e inveire contro chiunque fosse stato ad inzuppare me, la sdraio, il libro e il telo. Mi girai e vidi Sophie e Abby che si tenevano le budella dalle risate. Lanciai addosso a Sophie il libro e mi avventai su Abby per gettarla in piscina, ma colpii qualcun altro. – Ehm, scusami. – Sempre tu? – riconobbi lo sguardo scuro e il ghigno. Era Marlon, era in costume e aveva gli occhiali da sole poggiati sul capo. Lo ammetto era sexy, ma avevo incontrato già altri ragazzi anche più sexy e li avevo accuratamente evitati in modo da non mettere in pericolo il mio piccolo cuoricino e così doveva continuare ad essere. Perciò distolsi lo sguardo dal suo, prima che mi ci perdessi dentro come una povera quindicenne in piena tempesta ormonale. – Sono una tipa un’ po’ confusionaria. – Vedo. – e andò via. Che risposta era? Avrei dovuto dire: “ sei tu che stai sempre fra le palle, amico”, non fare gli occhi da cerbiatta e dire che aveva ragione. – Oh, Marley ... – mi fece il verso Soph, ecco mancava lei. – Non dire stronzate, non potevo mica mandarlo a fanculo, siamo sue ospiti, eh! – che cacchio di scusa era questa? Cavolo, sono proprio un’attrice schifosa. – Non ci credo, hai capito! – Eh? – Soph, dovresti prendere esempio da lei, insomma ha capito cosa significa essere educati e affabili. – Soph la guardò come a dire “ma sei seria?” e io: – Già, io ho imparato e tu no. – le feci una smorfia divertita, ma Abby si era giocata il cervello? Ok, la cosa mi era convenuta, ma scherziamo? 

Hola! 
Beh, cosa dire?
Partirò col dire che mi fa piacere che almeno qualcuno abbia letto i precedenti capitoli e vi dico che il più bello deve ancora venire. In realtà questi capitoli iniziali mi piacevano molto di più prima, ma avendoli scritti in concomitanza con un mio personale e radicale cambiamento ovviamente adesso li ritengo alquanto "infantili", ma è giusto che sia così poiché la storia deve trattare proprio della crescita della protagonista. 
Fatevi conoscere e sapere cosa ne pensate, non so quando recensirò la prossima volta a causa di alcuni impegni, ma farò il possibile. Segnalatemi eventuali errori mi raccomando! 
Alla prossima! 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV. ***


CAPITOLO IV

Sarei riuscita a finire quel libro? La cena sembrò durare un'etenità, un'eternità passata senza neanche lontanamente intravedere Marlon. Lì per lì mi convinsi che non m'importasse un bel niente o, forse, volevo che m'importasse: per sentire qualcosa. Jagger e Candice erano ai soliti posti e Mel stava intrattenendo gli ospiti parlando delle sfilate di Victoria’s Secret e quant’altro, e quasi mi venne la nausea quando finalmente arrivati al dessert non si era ancora finito di discutere riguardo le mutande che Gigi Hadid aveva indossato nel 2015. Vidi Candice gettare gli occhi al cielo e sparire con il suo piatto, e poco a poco la maggior parte dei conviviali si fu dileguata preferendo non ascoltare le stronzate di Mel. Non mi ero resa conto che la mancanza di Marlon facesse quest’effetto, aveva una personalità forte e trascinante e la gente adorava stare intorno a lui. Allora pensavo fosse questo quello che cercavo in un uomo e probabilmente avevo ragione, ma alla fine non ho mai capito come funzionasse la chimica, il gioco di sguardi e ancor meno allora che non l'avevo mai provato. Avevo le idee confuse, molto più che ora e penso che mi volli convincere di qualcosa, di pianificare una storia d'amore in piena regola. Ero una giovane sognatrice, una donna che stava ancora tentando di crescere e di vivere senza troppe pretese (perché di pretese non è che ne avessi chissà quante): sognavo l'amore, come solo una ragazzina col cuore infranto può fare. Sognavo d'incontrarlo alla fermata del pullman, a lavoro, al pub e mi chiedevo come sarebbe potuta cambiare la mia vita, cosa mi stavo pernendo senza l'amore. 

Volsi lo sguardo al cielo. Non era come il cielo di Londra, 
era affascinante quel cielo, sembrava un dipinto quella sera. – Ancora? – Mi stai seguendo? – chiesi ironicamente al ragazzo dalla zazzera scura che si avvicinava lentamente a me. – Volevo leggere su questa panchina, mi è vietato? – No, ma vengo qui a cercare un po’ di pace da quando ho 9 anni. E’ di certo è la mia panchina, non la tua. – Ok, ma stasera la condividerai con me. E poi ... sei in vacanza perché dovresti rilassarti? – Ho detto che cerco pace non relax. C’è troppa gente per la pace. – Li hai invitati tu. – E’ stata Mel, e poi mi piace stare in mezzo alla gente, ma mi piace anche la pace. – Te lo posso concedere. – Menomale. – e produsse un suono a metà fra lo sbuffo e la risata. Calò il silenzio per una buona mezz’ora e non fu imbarazzante, continuai la mia lettura come se nulla fosse e ogni tanto alzavo lo sguardo e lo vedevo guardare in alto e aspirare il fumo della sigaretta. – Sono Marlon. – disse improvvisamente. – E dov’è finito il “anche se penso tu lo sappia già”? – chiesi ridacchiando, anche lui rise per poi dire:– E’ scontato che tu lo sappia già ... – Angela – Angela – ripeté. Passarono solo alcuni minuti prima che si alzasse e dicesse: – A domani, Angie. E’stato un piacere. – A domani. – 

– Ahhh! – Soph, cosa vuoi!? – mugugnai non appena lei si gettò sul letto strattonandomi affinché mi svegliassi. – Fanculo ... va’ via! – Non lamentarti sempre! – sbuffai. – Allora che c’è? Perché sei così emozionata? – Già, cos’hai? – Ho organizzato una gita in barca, cioè ... ci saranno anche altri ragazzi e ... – Hai organizzato una gita in barca? – Sì. – Sei stata invitata e stai invitando noi, vero? – Più o meno. – Bene, allora rifiuto e continuo a dormire. – dissi gettando la testa fra i cuscini, ma Abby spalancò le finestre e spostò ai lati le tende pesanti e polverose in modo da par entrare la luce ed evitare che mi riaddormentassi. – Che cosa volete da me? Oh, mio Dio ... – Vogliamo che ti diverta. Su,vestiti. –  

 – Soph, guarda! – I gabbiani! – La smetti con quel libro? –  era James. Ma che avete tutti contro i libri?  
– Perché non alzi un po’ lo sguardo e guardi questa meraviglia di paesaggio? – borbottai qualcosa d'incombrensibile e davvero poco elegante, ma per fortuna Jagger non sentì nulla. Alzai lo sguardo come promesso a James, e devo dire che quello che vidi fu davvero meraviglioso. Le rocce scendevano a strapiombo nel mare quasi vi si gettassero dentro, e su di esse c’erano alberi qua e là e perlopiù steppa, i gabbiani volavano sulle nostre teste e a pochi metri da dove Jagger aveva fermato lo yacht vi era una grotta all’interno della quale la luce si rifletteva sulle pareti rocciose creando una splendida illusione ottica fatta di luci e ombre. – E’ fantastico. – Già. – risposi a Sophie col fiato mozzato dall'emozione. 


Buonasera,
per prima cosa ci tengo a scusarmi per il terribile ritardo con cui pubblicherò stasera due capitoli e vogliono continuare a ringraziare i miei lettori silenziosi che spero decidando di dire la loro al più presto, perché mi piacerebbe tanto sentire le vostre opinioni. Grazie e alla prossima!!  

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Capitolo 5
*** Capitolo V. ***


CAPITOLO V

Quella sera in spiaggia nella mia mente cominciarono a riaffiorare ricordi: una vacanza con i miei, la faccia sfocata di Sophie che ride felice, Abby che piange per Marc, colori e macchie sfocate e la voce di Henry che mi rassicura. Quanti casini
avevo per la testa un tempo! Ma ero cresciuta ormai o così credevo, eppure quei casini un po' mi mancavano. Mi mancavo io. Che ci si possa credere o meno, sono stata capace di prendere decisioni impulsive, di fare sbagli, di amare ciecamente e senza alcuna riserva, ma apparteneva ad un’altra me. Quella ragazzina a cui ogni tanto piaceva alzare il gomito (più che ogni tanto a dire il vero), quella che pensava di non essere abbastanza carina ed ora ero una donna, anche se Abigail pensava il contrario. Ma crescere significava dire addio ai sentimenti nella loro totale purezza e ingenuità? O i nuovi sentimenti, quelli adulti erano quelli di Abby, Nicole o Frannie? Quei ti amo finti, quei continui regali inutili, quelle false attenzioni erano amore? – Scott, sei strana. – fui felice che fosse Marlon a distrarmi. – Mi hai seguita? – Pensavo ti volessi suicidare. – ridacchiò beffardo. – Che simpaticone. – Sembri una con cui si può parlare. – Si può, si può. – Da dove vieni? – Londra, cioè i miei genitori adottivi sono londinesi, di Whitechapel. Ma ho origini italiane o era qualcos'altro, non ricordo. – I tuoi veri genitori? – I genitori sono quelli che ti crescono. E' da quando ho 8 anni che tutti mi fanno questa domanda e la risposta rimane sempre la stessa: non m'importa! – lui strabuzzò gli occhi, mi guardò come se avessi due teste. – Che mi dici? – dissi per smorzare l’imbarazzo che quello sguardo puntato addosso mi stava iniziando a provocare. – C’è da sapere qualcosa? – Di certo hai più cose da dire di me. – Beh, io vengo da Dartford, mio padre è di lì e ho vissuto con mia nonna fino ai 9 anni circa. I miei genitori giravano il mondo ed io li guardavo dalla vecchia televisione in bianco e nero di mia nonna.  – risi con lui – Ma ho avuto un'infanzia felice nonostante tutto. Keith è stato presente, distruttivo, ma presente. Soprattutto quando è morta mia madre. – Oh ... – Che ti aspettavi? – Niente di più o di meno. Pensi che il fatto che sei così in pace con queste cose sia negativo? – Come può la pace essere negativa? – Non lo so, non si può essere felici se si è in pace. – Essere in pace con sé stessi non significa gettarsi nell’apatia più profonda. – Sarà. – O non dovrebbe ... – Ecco. – Ma che importa? Arrabbiarsi non mi ridarà mia madre e neanche un padre “normale”. – Ma significa reagire. – E farsene una ragione fa parte della vita, si va avanti. – A te piace essere Marlon Richards? – A volte. Essere Angie Scott è piacevole? – Quando la gente mi dice che ho fatto bene qualcosa, o che sono una bella persona, o ... – Hai ancora bisogno dell’approvazione degli altri? – Certo, è sempre importante. – Ah, si? – Certo, cioè no. In realtà è importante la propria accettazione, ma tutti ci accettiamo perché siamo prima accettati da altri. – E se non volessi essere accettato? – Saresti una copia sbiadita di tuo padre. – Magari sono una copia sbiadita di mio padre. – Magari no. – mi sorrise dolcemente. – Tu credi? – Io credo. – Ti va un giro in canoa? – Ma è notte. – E allora? – Come facciamo a vedere? – Ho la torcia. – Ehm ... – Un po’ non volevo averlo sulla coscienza lasciandolo andare tutto solo a sperdersi nel bel mezzo del niente, e un po’ avevo ancora voglia di parlare con lui, perciò accettai. – Sai pagaiare? – Ecco ... – D’accordo, faccio io. Tu siediti e non sbilanciarti. – 

 – Marlon! – urlai sputacchiando acqua mentre tentavo di stare a galla, le luci del paese si riflettevano sbiaditamente nel mare ed era quasi tutto avvolto nella notte buia. – Avevo detto di non sbilanciarti! – disse ridacchiando non appena emerse dall’acqua e mi vide in quelle condizioni a dir poco imbarazzanti. Io gettai gli occhi al cielo e tentai di colpirlo, ma facendo ciò mi allontanai dalla canoa ulteriormente cosa che mi gettò ancor di più nel panico. – Cazzo! – Perché hai paura? – E tutto buio! – Tranquilla, non sei sola. – E’ non amo il mare già normalmente, se poi ci metti che siamo in mezzo al niente al bu ... – Ma il paese è vicino! – Si, ma ora che facciamo? – Dovremmo risalire sulla canoa, ma con te mi sembra impossibile. – Che cosa staresti insinuando? – Che sei imbranata. – Non dirlo. – Perché non dovrei? –  Mi fai pensare che non ne usciremo mai di qui.– Okay, sai nuotare? – 

Marlon si stese al mio fianco. – Non dovremmo tornare? Melissa ti starà aspettando. – Nah, rimaniamo ... solo un altro po’. – Ma siamo fradici. – Devi sempre trovare il lato negativo? – mugugnai e Marlon rise ancora, lo divertivo molto a quanto pareva. – E poi arrivi fino in fondo. – Si, beh ... mi lamento molto, ma le cose le faccio. E’ che mi piace accontentare la gente. – A me no, la gente non lo merita. – Non puoi non avere fiducia a prescindere, crescere significa anche imparare a chi darla, perché farlo è importante. – Chi sei? Gesù? – Angie, preferisco. – Cosa fai quando non ciondoli per casa? – Perché domani non vieni con me e lo scopri? – Non viene Mel con te? – Io e Mel non condividiamo molte cose. – D’accordo, allora penso che verrò. Dovrò solo dirlo a quelle due sgallettate che mi porto dietro.– Non ti voglio mica sequestrare! – Ma dai? – chiesi sorridendo sorniona – ma questa è l’ultima vacanza che passiamo insieme prima che si sposino. – E tu non sei la promessa sposa di nessuno? – Sono sempre stata indietro con i tempi per quanto riguarda l’ambito sentimentale. – Ma quanti anni avresti, scusa? – 27. Tu? – 30. E mica mi sento indietro perché non sono sposato. – Ma neanche io. – E allora? – Loro ... sono loro che ti fanno sentire un po’ così, ecco. Ma non lo fanno con cattiveria o intenzione, è che ... – Domani passerai la giornata con me in ogni caso, ti farò divertire. Vedrai. – disse dolcemente. E fu spontaneo per me abbracciarlo, lo volevo ringraziare per aver ascoltato, da quant'era che qualcuno non mi ascoltava! Marlon rimase inizialmente di sasso e poi, poco dopo, anche lui mi strinse a sé. – Io devo andare. – mi divincolai fra le sue braccia in modo da allontanarmi da lui e mi alzai di scatto. – Beh, devo andare ... a domani allora. – e andai via senza neanche sentire la sua risposta. Imbecille, ecco cosa sono. 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI. ***


ANGOLO AUTRICE
Attenzione! Questa non è la parte che preferisco di questa storia, nè della mia vita a dire il vero, ma si deve pur sempre raccontare. 
Buona lettura e fatemi sapere in tanti cosa ne pensate, mi raccomando!!



CAPITOLO VI


Mentre tagliuzzavo un’arancia avvertendo la forte mancanza dei Corney’s, i cereali più insignificanti del mondo occidentale, sentii una mano poggiarsi sulla mia spalla e mi girai sussultando. – Sei scappata ieri, perché? – No,no,no. – Io ... dovevo ... prendere ... una pillola. – Ma certo. – disse Marlon sorridendo beffardo. – Pronta per oggi? – Cosa faremo? – Beh, nulla di particolare. Potremmo vedere dei film per passare la giornata o andare in spiaggia, ma stasera c’è una festa. – E? – Siamo stati invitati io e Jagger e se vuoi puoi portare le tue amiche. – Di chi è la festa? – Un tale. – E perché siete stati invitati? E perché non porti Mel? – Perché chiunque ci vorrebbe alla propria festa, non credi? – E Mel? – Mel starà bene qui. Fai troppe domande, Scott. –

– Come pensate che stia? – chiese Sophie strizzata nel suo tubino nero identico a quelli che aveva provato precedentemente. – Fantastico, come gli altri quattro. E tu? – adesso avevo lo sguardo di entrambe puntato su di me – Io? – Già, tu. – Cosa? – Che metti? – chiese mentre fremeva dalla voglia di saperlo. – Non lo so, manca ancora ... un’ora? – Oh, andiamo devi far colpo su Richards! – Ma tu non eri amica di Mel? – Sono più amica tua, Ang. – D’accordo, stiamo stranamente vivendo un bel momento e non vorrei rovinarlo dicendo che non ho intenzione di far colpo su nessuno. – Certo. – dissero entrambe ridacchiando. – Davvero! – gettai gli occhi al cielo leggermente seccata.

Arrivammo da sole alla festa a bordo della scatoletta infernale, all’interno della quale risuonava instancabilmente la voce di Britney Spears che, non appena arrivammo a destinazione, fu leggermente oscurata da “Are You Gone Go My Way” che risuonava ad un volume a dir poco alto in quella che sembrava essere la residenza estiva del Grande Gatsby più che “ La Villa di Uno Qualsiasi”. Le mie amiche scesero velocemente dalla vettura e si avviarono all’entrata, sul portico c’era gente che vomitava o tentava di accaparrarsi una scopata in qualche modo talvolta disperato. Non era diverso dal clima di Villa Nellcote, ma in quel momento ritornare in quel postaccio era il mio più grande desiderio, era più casa di quel bordello di sicuro. Avevo già perso Sophie e Abigail, ed ora ero tutta sola in quel casino, ed un cameriere mi si avvicinò porgendomi un bicchiere di sbobba rossastra. – Vuole? – accettai di buon grado ringraziandolo, mandai giù velocemente la sbobba al pompelmo sperando mi stordisse tanto da dimenticare che avevo quasi trent'anni ed ero circondata da ventenni ubriachi e con la puzza sotto al naso, e mentre tentavo di ritrovare Soph o Abby vidi Candice seduta sulle ginocchia di James. – Ci sei anche tu! – esclamò Jagger riconoscendomi, anche Marlon allora mi vide. – Sei sola? – chiese afferrandomi un polso – Ero con Soph e Abby, me ho perse. – Voglio vedervi ballare! – urlò un tipo al microfono sbracciandosi e muovendosi convulsamente. Fummo spinti dalla folla che aveva deciso di ballare data la geniale idea di quello stronzo alla console ed io mi ritrovai letteralmente addosso a Marlon. – La conosci questa? – chiese Marlon divertito dalla mia espressione d’imbarazzo data l’eccessiva vicinanza dei nostri corpi. – Fell In Love With a Girl, White Stripes. – risposi. – Wow, che brava. – Vuoi vedere una cosa? – Cosa? – e mi unii alla folla in quei movimenti ridicoli e spassosi, e allora mi sembrò di avere ancora 18 anni. – Vieni! E’ divertente, giuro! – urlai a Marlon vedendolo appoggiato al muro a fumare, immobile, mi seguiva con lo sguardo. – Dai, Marlon! – Si era unito a me dopo poco a cantare a squarciagola circondati da 20enni alle prese con il primo amore, le prime sbornie e quant’altro. Mi sentivo irrimediabilmente vecchia. Guardai Marlon cantare e gli presi la mano. – Non siamo troppo vecchi per queste cose? – chiesi d’un tratto. – Mi hai trascinato a ballare e ora balli. – D’accordo. – annuii e sorrisi.

– Non mi aspettavo che ti sapessi scatenare così. – Ero un’altra persona stasera. – Eri una persona leggera e felice. – Dici che sono pesante? – alzò le mani in segno di resa. – Io non ho detto nulla! – Ah, ah. – E’ stato bello. – sussurrò. – Perché volevi che ti raggiungessi? – continuò – Non volevo essere l’unica a divertirsi. – silenzio. Era l’alba, avevo messo Soph e Abby a dormire in macchina dopo averle ritrovate ubriache fradice. Io e Marlon avevamo le schiene poggiate ai cerchioni di quella trappola infernale incrostata di sporco e stracolma di polvere, eravamo seduti nella ghiaia del parcheggio. Ancora troppo grandi per quelle cose. Lui mi prese la mano fra le sue. Ancora troppo grande per farlo e io per non ritirarmi. Si avvicinò guardandomi fisso negli occhi. Ancora ... Oh, al diavolo! Gli gettai le braccia al collo e lo baciai notando con gran gioia che ricambiava con foga il mio gesto. Ci stendemmo nella ghiaia e l’avremmo davvero fatto in quel parcheggio, fra le macchine, ad una festa, con le mie migliori amiche quasi in coma etilico se non fosse stato per un improvviso conato di vomito di Soph. Ridemmo entrambi di quella situazione assurda. Ma la mia razionalità? E il mio cervello? Marlon decise di rialzarsi e mettersi alla guida del rottame, James sarebbe tornato in un modo o in un altro. Mi sedetti al suo fianco, era ormai sorto il sole, Soph si era riaddormentata, tutto taceva ora. Guardai il paesaggio trasformarsi continuamente passando da macchia informe verde, ad azzurra, e poi ancora giallastra. Lanciai uno sguardo colmo di complicità a Marlon che ricambiò prontamente. Sembrava un sogno, sembrava tutto ciò che avevo sempre desiderato, sembrava che avessi di nuovo 17 anni, ma non appena entrammo a Villa Nellcote e la macchina fu ferma Marlon scese e senza dire nulla andò via. “Cazzo Angie, di nuovo l’amante vuoi fare?” – Sono un disastro! – dissi colpendo lo stereo del rottame e portandomi le mani alla faccia. – Cos’è questo baccano? – chiese Abby con la voce impastata di sonno. – Niente, lascia perdere ... – Stavi per andarci a letto? – chiese Abby – Stavano per farlo a terra, che cosa sexy! – disse Soph – E tu come fai a saperlo? – Ero semicosciente. – Sono l’amante, vero? – Annuirono. – Non si lascia ma ... – Mai quella ufficiale per l’amante. – completai la frase di Abby. – Però se ci vai a letto fai una gran cosa. – s’intromise Soph. – Soph ha ragione. – Che senso ha? – Perché tutto deve avere sempre un senso per te? – Ho 27 anni Soph, non 17. – Ma se ti piace ... – disse facendo spallucce. – Mi sento una sorta di Bridget Jones. – Se non ci riesci con Richards puoi sempre provare con Jagger. – Soph, dopo questa sei esonerata dai consigli. – disse Abby in un tono che non ammetteva repliche. – Ma ... – Shh. – Ma io ... – Shh! –

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Capitolo 7
*** Capitolo VII. ***


CAPITOLO VII

Il mattino dopo raccolsi tutta la dignità che mi rimaneva per sgusciare fuori dalla mia stanza, inoltre evitai accuratamente gli ambienti della villa normalmente frequentati da Marlon.
– Piaciuto il party? – mi urlò James dalla cima della scalinata principale. Mi portai istintivamente l’indice al petto come a voler dire: “l’hai chiesto proprio a me?”, per poi vederlo annuire e raggiungermi svelto. – Si, proprio a te. – Bene, è stato divertente ... ma, cos’è tutta questa gente? – Non ne ho idea, ma ci sarà da divertirsi! – esclamò strizzandomi l’occhio e dandomi un buffetto sulla guancia. Non gli diedi tanto peso, nè volli chiedermi cosa sapesse esattamente della notte precedente, anche se temevo ne sapesse fin troppo. Allora pensai sarebbe stato meglio rintanarmi in camera mia fino alla partenza, chissà cosa sarebbe potuto accadere se avessi incontrato Melissa o Marlon stesso. Mi trascinai fino alla cima delle scale, presi il secondo corridoio a sinistra e, mentre mi stropicciavo gli occhi con una mano e con’altra tenevo svogliatamente “Chesil Beach”, desideravo di essere vergine come la protagonista, esserlo mi avrebbe evitato tante cazzate.
– Scott. – Mh ...? Oddio! – inciampai nei miei stessi piedi cadendo con la faccia per terra e per evitare l’imbarazzo mi avrebbe fatto non poco piacere sprofondare nella moquette. – Angie? – Ehm ... Ci sono. – Ho sentito che avete intenzione di partire prima del previsto, c’è qualcosa che non è stata di vostro gradimento? – sul volto di Marlon comparse un sorriso beffardo, avrei voluto dargli una sberla e dovetti fare appello a tutto il mio autocontrollo per evitare che ciò accadesse. – Una delle nostre più care amiche si sposa e ha anticipato le nozze. – Capisco ... quando partite? – Stasera. – Allora addio, Scott. – e mi diede le spalle per poi allontanarsi velocemente. Faceva moderatamente male e non perché avessi in mente chissà quale storia d’amore e neanche amicizia, ma avrei dovuto davvero far fronte a quella situazione che si riproponeva periodicamente uguale a sè stessa da non ricordavo più quanti anni? "Stiamo scherzando? Sarà il decimo che mi tratta così." sintetizzai nella mia mente. 
Iniziai a pensare che forse avessero ragione Nicole, Abby e le altre, forse ad usare soltanto il cervello e gettarsi fra le braccia del primo facoltoso e soprattutto premuroso, nonché ingenuo passante si faceva bene. Andai in camera ed iniziai a fare convulsamente i bagagli, volevo andar via, tornare a Londra, allontanarmi da quel posto e lasciarmi alle spalle quei dubbi da ragazzina che mi erano venuti lì. Soph ed Abby mi tennero sott’occhio tutto il giorno in quelle condizioni e non dissero nulla, non c’era nulla da dire. Il pensiero del matrimonio di Nicole e della mia inadeguatezza matrimoniale mi seguivano come un’ombra, una presenza nefasta. Ero  la damigella d’onore, quella che chissà quale noioso e logorroico testimone avrebbe tentato di accaparrarsi, come in uno di quei film rosa come The Wedding Party o qualcosa del genere. Quella sera rividi il paesaggio a macchie, risentii Britney Spears starnazzare qualcosa sull’amore allo stereo, risentii caldo e avvertii un forte senso di malinconia, come quando non sei né triste né felice e non sai se questa cosa ti renda triste o felice. “A Londra tutto andrà meglio” pensai.

Scherzavo.
Mancavano due giorni al matrimonio di Nicole, il mio abito beige, come la vita che attendeva i dolci sposini, - che avessero ragione o meno nell’accontentarsi di quella vita color vomito - era stato abbinato per volere di Cassie, una cara amica della sposa che a me aveva fatto sempre venire l’orticaria ogni volta che apriva bocca, ad un cappellino con sopra un uccello color prugna. Perciò oltre ad essere triste almeno quanto il colore del mio abito sarei stata anche a dir poco ridicola. Immaginate una donna di quasi trent’anni con un bicchiere di spumante in una mano, la pochette nell’altra, strizzata in un abito beige, che si guarda spasmodicamente intorno alla ricerca di qualche uomo della sua età di cui innamorarsi con un uccello viola in testa. Alquanto ridicola come scena, tutto perché avevo quasi trent’anni ed ero single, e se sei una donna di trent’anni single significa che qualcosa non va in te, anche se nessuno sa mai dire il perché. 

Era un pomeriggio afoso, probabilmente a causa della pioggerellina che incessante cadeva al suolo e distogliendo lo sguardo dall'abito beige riportai lo sguardo sul libro di fisica. Così in quel pomeriggio grigio, in una casa grigia, in una stanza verdognola di un appartamento azzurrino, c’era una ragazza il cui umore era nero che studiava svogliatamente, in quanto ricercatrice di un’università grigia. Non appena udii il campanello balzai in piedi, essendo quello probabilmente il momento più emozionante di quella giornata. – Soph? – ma quando aprii mi ritrovai dinanzi Sophie in lacrime con un sorriso stampato in faccia, era strano persino per me. – L’ho lasciato. – Eh? – Matthew – Perché all’improvviso? – Non lo amavo. – Allora perché stai piangendo? – Perché mi ero affezionata, ma merito di meglio. – non dissi nulla, non dissi che erano balle, che era già stata fortunata a trovarne uno single e decente sui trenta, non dissi che sarebbe stata dura la vita da single, l’abbracciai semplicemente tentando di consolarla. – Ma ... dovrei essere io quella conciata così! – ridacchiò squadrandomi da capo a piedi. Avevo gli occhiali, i capelli raccolti e quello che indossavo era alquanto discutibile. – Io stavo lavorando! – tentai di giustificarmi. – Abby mi darà dell’immatura? – E quale sarebbe la novità? – entrammo in casa e raggiunse la camera da letto per poi gettarsi sul letto, poi si mise a sedere e disse con fare serio: – Stasera ci divertiremo. – E cosa vorresti fare? – chiesi scettica. – Io devo dimenticare Matty. – E hai intenzione di bere per farlo? – Certamente, per questo guiderai tu la mia macchina. – Quindi sono l’amica da chiamare nel momento del bisogno o quella sobria che ti riporta a casa? – Puoi essere entrambe. Andiamo, fallo per me, sto male. – Stai già pensando a divertirti. – Tu ti divertirai. – alzai gli occhi al cielo e dissi: – D’accordo. – Mi gettò le braccia al collo e mi strinse fortemente a sé. – Ti adoro! – 

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII. ***


 

CAPITOLO VIII



Alla fine optammo per un pub a Soho, all’interno c’era un lezzo non indifferente proveniente dalla cucina. Questo non sembrò sconfortare per nulla Sophie, che, per qualche strano motivo, sembrava sentirsi perfettamente a suo agio. Sembrava che quel posto fosse fermo agli anni 70’: la carta da parati, i tavoli, il menù, le panche, tutto, persino il proprietario: Oliver, un cinquantenne baffuto e panciuto, accogliente e affabile, che, nonostante le forme generose, non aveva rinunciato ai pantaloni a zampa. E mentre Soph parlava con la moglie di Oliver, la cuoca, nonché autrice di chissà quali porcherie dietro quel bancone, di quanto fosse triste e ubriaca decisi che era in buone mani e raggiunsi il piano inferiore per andare alla toilette. Il piano inferiore era sostanzialmente una stanza illuminata da una flebile luce bluastra, da una parte c’era una logora porticina con soscritto “WC” e dall’altra un ammasso di vinili e Cd. Non appena fui più vicina al mucchio notai che erano molti di più di quanti immaginassi, c’era di tutto e mi accovacciai per vedere meglio. Quel gesto mi ricordò quando da bambina facevo più o meno la stessa cosa con i dischi di mio padre: lui mi diceva di scegliere quello con la copertina più bella e colorata e poi le note del prescelto si disperdevano per casa arrivando al piano superiore dove mamma correggeva i compiti dei propri alunni o copriva il rumore della televisione, della lavatrice o della lavastoviglie, la musica avvolgeva la casa in una dolce nuvola che sapeva di felicità e allora papà mi stringeva fra le sue braccia dicendo di amarmi. Ma questo era tanto tempo fa, quando dovevo nascondere a mio padre di star frequentando qualcuno e ora, invece, facevo fatica a dirgli di non essermi ancora fatta ingravidare o aver accettato la proposta del primo coglione di turno. – Ah, ti facevo proprio tipa da Oasis ... – Che? – risposi ancora sovrappensiero, fra le mani reggevo Definitely Maybe, la cui copertina dai toni giallastri doveva aver attirato la mia attenzione. Mi girai per scoprire chi fosse il mio interlocutore e che intenzioni avesse soprattutto, la luce bluastra non mi aiutò né a rendere più facile il riconoscimento né a smorzare l’ansia crescente in me all’idea che ero in un sottoscala, al buio, con un tipo che avrebbe potuto essere chiunque, ma non appena si abbassò alla mia altezza inginocchiandosi le nostre labbra quasi si sfiorarono e riconobbi quegli occhi color della pece. E in un solo colpo fu come ritornare ad avere diciassette anni e vedere che il compagno di classe sul quale ti eri ricreduta atteggiandoti a donna ormai matura e che avevi giudicato un semplice stronzo, ma che in realtà speravi tornasse da te, era finalmente tornato. O il primo bacio, la prima volta, tutte cose che mi avevano tolto il fiato, che mi avevano fatto tremare le gambe e arrossire esattamente come in quel momento. Ma sorrisi, nonostante potessi sembrare alquanto ridicola, come una bimba che ha appena ricevuto un regalo e lui mi sorrise di rimando. – Che ci fai qui? – chiese – Io ... sono venuta con Soph e poi mi sono distratta ... insomma, guarda qua, è impossibile non farlo! – Marlon ridacchiò guardando la mia espressione estasiata mentre indicavo il mucchio di dischi che ci circondava. – Pff, questo non è niente. – Non sarà niente per il figlio di Keith Richards, per me è tanto. Perché li tengono qui? – Non interessano più a nessuno, la gente li da a Oliver quando non sa più cosa farne. – E tu che ne sai? – Ho vissuto qui vicino e questo è un posto tranquillo per gustarsi una semplice birra, non trovi? – Si, comunque ... perché sei a Londra? – Mi ero stancato di stare lì. – E Melissa? – L’ultima volta che io e te ci siamo visti è stato quasi due mesi fa e pensavamo di non vederci mai più, ora ci incontriamo per caso e tu chiedi di Melissa? – annuii. – L’ho cacciata via, mi aveva stancato anche lei. – rispose Marlon sbuffando. – E il matrimonio? – Ehm ... Alla fine la sposa lo ha rimandato e poi ancora e ancora. E’ tra due giorni fino a prova contraria. – mi portai una mano alla bocca in modo da coprire il ghigno soddisfatto che si era creato sul mio volto. – Sei con qualcuno? – chiese lui portandosi una sigaretta alla bocca. – Ne hai una per me? – Tipa da sigarette e Oasis. – risi con lui e continuammo a punzecchiarci per un po’ finché l’immagine di una Soph ubriaca e sola al piano superiore mi venne in mente improvvisamente. – Soph! – esclamai d’un tratto, lui sobbalzò quasi, data l’enfasi con la quale pronunciai il nome della mia migliore amica. – Che c’è? – chiese stranito, ma io ero già diretta al piano superiore, dove trovai fortunatamente Soph che dormiva su una panca e il locale semivuoto. Marlon mi raggiunse e quando fu alle mie spalle disse: – Posso aiutarti con lei? – Te ne sarei grata. – Non potrei mai lasciarti andare via così, è notte fonda e se ti succedesse qualcosa non potrei più godermi incontri simili. – gongolò. Marlon si caricò Sophie in spalla e si incamminò verso l’uscita voltandosi talvolta per controllare se lo stessi ancora seguendo. Sistemammo non con poca fatica Soph sui sedili posteriori di quella scatoletta di latta; partimmo poco dopo, Londra sembrava un minestrone di colori: rosso, giallo, arancione. Colori felici che si stagliavano nella buia notte, e allora perché avevo improvvisamente avvertito una sensazione di nausea e continuavo a torturarmi le mani? Marlon era lì, perché non ero felice? Ma poi notai che inconsciamente sapevo che tutto ciò sarebbe durato ben poco, come un bel sogno, una notte, una manciata di ore e poi addio. – Dovresti dirmi dove abita. – indicò Sophie con un leggero cenno del capo. – Camden, non molto lontano da me. – Come mai questo silenzio? – Che t’importa? – il mio tono stavolta non era sarcastico, era acido, tagliente. Quel silenzio che seguì era assordante e non appena giungemmo al capolinea mi gettai letteralmente al di fuori di quel trabiccolo infernale, svegliai Sophie la quale salutò Marlon che intanto era ancora in macchina e l’accompagnai fin sotto casa, poiché dubito avrebbe potuto reggersi in piedi da sola e addirittura essere nelle condizioni di varcare la soglia del portone senza alcun appiglio. Quando fu dentro ed ebbe chiuso la porta alle sue spalle salutandomi con voce flebile ma riconoscente rimasi immobile, non volevo tornare indietro, non volevo tornare alla macchina. Di malavoglia vi feci ritorno lo stesso. – Cos’hai posso saperlo? – Che diritto avresti di saperlo? – Nessuno, a non mi sembrava che per noi questo fosse un problema. – Io ... è finito il periodo della mia vita in cui posso permettermi di comportarmi così. – Così come? – Come se non avessi responsabilità, anche solo nei confronti di me stessa. – sospirò profondamente rimettendo in moto. – Sei felice di avermi incontrato? – Che domanda è? – La smetti di rispondere alle domande con altre domande? – Allora fallo anche tu. – Dove abiti? – Tranquillo va' pure a casa tua, poi torno da sola. – Sola? Nella buia notte londinese? – Sarò in macchina. – Hai il coraggio di chiamarla macchina questa? – rido, sembra un’eternità dall’ultima volta che ho riso e invece sarà passata un’ora o giù di lì. – Io volevo stare con te. – Non voglio farti salire a casa mia. – Perché mai? – Non voglio venire a letto con te. – sputo senza pensare, l’ho detto davvero? Ecco, brava l’imbecille. Arrossisco e mi porto istintivamente una mano alla bocca come e volessi ricacciare dentro quelle parole, inghiottirle di nuovo. – Non devi necessariamente. Angie, voglio passare del tempo con te, non mi importa come lo impieghiamo. – Inarco un sopracciglio, non si è scomposto minimamente sentendo la mia affermazione, sembra sincero. – D’accordo, gira a destra fra poco. – 

Eccomi, questi sono capitoli orribili a mio avviso, ma i miei preferiti stanno per arrivare. 
Oggi ne posterò vari non sapendo quando ne potrò pubblicare altri.
 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo IX. ***


CAPITOLO IX


(...) Mio marito è nel salotto e sta sorseggiando un tè, la televisione è accesa e la voce che emette sembra essere lontana anni luce. Mi guardo allo specchio, ho qualche ruga in più, non ho più trent’anni, ma la mia faccia è la stessa, la stessa che vidi quella sera riflessa nello specchio del mio appartamento a Camden. (...)

Mi schiaffeggiai leggermente le guance, il mio repentino cambio d’umore aveva confuso Marlon e, ad essere sincera, anche me. E l’ansia dell’abbandono aveva lasciato posto a quella di un Marlon che si aggira indisturbato in casa mia.
Lo raggiunsi chiudendomi la porta del bagno alle spalle, era in cucina e si stava preparando un tè. – Posso? – chiese distrattamente continuando senza attendere veramente la risposta. – Certo. – dissi dolcemente, con una dolcezza che per poco lo disarmò, e lo so perché intercettai il suo sguardo interdetto e al contempo profondamente soddisfatto. – Ti va di vedere un film? – chiesi ad un Marlon che stava combinando un macello con il tè in polvere. – Scusa ... Io... – balbettò, il che mi sembrò alquanto adorabile. Accorsi in suo aiuto con un dolce sorriso dipinto sulle labbra. Lui mi cinse la vita con le braccia attirandomi a sé con delicatezza. Continuai come se niente fosse a riempire il bollitore sotto il suo attento sguardo. Quando finii e mi girai smettendola di dargli le spalle per consegnargli il tè mi sorrise e le sue labbra sfiorarono le mie per un secondo o ancora meno, ma il mio cuore perse ugualmente qualche battito e le mie guance si colorarono di un buffo color porpora. Imbecille, non mi smentisco mai, eh? Lui ridacchiò e si spostò nel salotto adiacente alla cucina. Lo seguii ancora semi – imbambolata e mi sedetti al suo fianco sul divano.
– Allora che film vuoi vedere? – Non so scegli tu. – Mi fai sentire troppo importante facendomi prendere scelte così importanti. – Marlon, davvero, perché sei qui? – Cosa fai nella vita? – ignorò totalmente il mio ennesimo repentino cambio d’umore, del resto i pazzi si assecondano,no? In realtà avrei voluto far ben presente a quel ragazzo che non ero una folle, non del tutto, era lui a farmi quell’effetto ed ero io la stupida a perdere il controllo per così poco. Non mi era ancora chiaro il perché del mio comportamento, del mio temperamento umoralmente bipolare: la volontà d'essere amata e amare a tutti i costi sapendo già di non poter realizzare tutto ciò con Marlon? Era forse questo che mi attirava così tanto a lui: il fatto che potessi rinchiudermi in un mondo di fantasticherie pensando ad una nostra possibile vita insieme tenendo ben presente che niente di tutto ciò si sarebbe realizzato? – Ingegnere informatico, ma per il momento sto lavorando per l’Università di Londra. – Wow, dunque mi dovrei chiedere a questo punto perché mai sta sprecando del tempo prezioso con me, ingegnere. – parlò in modo tremendamente sexy, ma al contempo pronunciò quelle parole amaramente. – Non dovrei, Richards? – Non penso di essere talmente elevato culturalmente. – Nessuno è perfetto. – un debole sorriso gli comparve in volto. – Parlami di te. – Cosa vorresti sapere? – Quello che tu vuoi che io sappia. – lo guardai per poi prendere profondamente un sospiro e gettare lo sguardo al cielo con rassegnazione. – Non so cosa dirti. – abbassai lo sguardo imbarazzata, nell’arco di quei quasi trent’anni non c’era davvero niente che avessi vissuto che fosse degno di memoria o quella domanda mi avrebbe destabilizzata anche se avessi girato il mondo o combattuto contro uno squalo, avendo così, finalmente, argomenti validi con cui rispondere a quella domanda? – So che non è così. Avanti, parla. – suonò come un ordine ed io obbedii: – Se dovessi raccontarti qualcosa degno di nota ti racconterei di qualcosa che ho costruito, insomma, le cose belle capitano a tutti, ma non penso siano speciali proprio perché capitano. – lui ridacchiò – Cazzo, sei complicata! – A volte mi contraddico da sola. – dissi abbassando ancora lo sguardo mentre le mie guance si tingevano di un buffo rossastro. – E allora? Chi è davvero sicuro di quello che pensa? – Non lo so, ma ... non ti sembra una cosa stupida? Oddio, mi sto comportando da ragazzina! – nascosi il volto fra le mani sperando di scomparire o di riuscire a ficcare la testa nel pavimento come un dannato struzzo. Marlon continuò a ridacchiare, il che non mi fece di certo star meglio, ma poi mi cinse la vita con un bracciò per poi avvicinarmi a sé e prendermi le mani in quella che aveva ancora libera. E in quello sguardo che ci scambiammo, in quel bacio, in quei sospiri gettai via quel briciolo di ragione rimanente e fra le braccia di Marlon coltivai l’illusione che l’ardente passione che ci legava fosse dovuta ad un qualche disegno del destino, secondo cui il raggiungimento della felicità sarebbe stato possibile solo assieme. Puttanate, quante puttanate. – Così distruggi tutti i miei buoni propositi. – ansimò, pensai che di lì a poco vi avrei rinunciato anch’io, sennonché Marlon si allontanò leggermente dicendo: – Il film? – sorrisi maliziosamente paga dell’effetto che avevo avuto su di lui, mi sentivo sexy come mai prima d’ora. La mia vita sessuale, del resto, non era mai stata chissà quanto più felice di quella sentimentale, motivo per cui non avevo mai avuto modo di riscuotere quasi alcun genere di soddisfazione o di accrescere ampiamente la mia sicurezza, forse era tutto dovuto al fatto che coloro con i quali mi ero intrattenuta, che fossero anni o semplici scappatelle, avevano sempre pensato di dover simulare chissà quale dei film porno che avevano visto nella loro lunga carriera di segaioli invece di pensare semplicemente a godersi l’attimo e, non dico farmi arrivare all’orgasmo perché pretenderei troppo, ma almeno rendermi il tutto un po’ più piacevole e un po’ meno veloce. – Beh, lì ci sono dei Dvd. – indicai lo scaffale alla destra della televisione. Marlon si alzò e si avvicinò allo scaffale osservando attentamente i Dvd, Cd e libri che vi erano riposti. – Cos’è? – chiese con in mano una Videocassetta lanciandomi uno sguardo beffardo. Mi avvicinai tentando di sottrargliela, era già abbastanza imbarazzante che l’avesse trovata. – E’ solo un video. – Porno? – chiese ridendo della mia reazione. – No! E’ solo un video del liceo ... non è nulla d’importante. – Davvero? E perché la conservi allora? – Perché è un ricordo, è solo uno stupidissimo ricordo. – Marlon mi diede velocemente le spalle arrivando alla Tv e inserendo nel videoproiettore il “Compleanno di Nicole”, a dire il vero quella videocassetta solo inizialmente era stata destinata a contenere la documentazione di quel momento, più tardi, infatti, avevo deciso di riempirla con i momenti più importanti della mia adolescenza che avevo deciso di filmare e poi tenere sempre sott’occhio, a portata di mano, per quei momenti di nostalgia in cui avrei voluto ricordare quanto fosse tutto più bello visto dagli occhi di una diciassettenne. Il video partì: le immagini di me, di Nicole, di Abigail e altre persone di cui avevo ormai dimenticato il nome si susseguivano l’una dopo l’altra; ed ecco Nicole ballare ubriaca fradicia, nel suo vestito da principessa al suo compleanno; Abigail che, con indosso una maglietta dei Blur, mi dice che un giorno sposerà Damon Albarn; io che, nella mia camera, in pigiama e scaldamuscoli, ballo atteggiandomi a Madonna e mia madre che entra improvvisamente urlandomi contro di dover cominciare a studiare; io e David, il mio primo fidanzatino; io e Abby che ci prepariamo per il ballo di fine anno; io con i capelli arruffati e la faccia ancora da bambina che, nel cortile di scuola, rincorro uno dei miei compagni di classe che mi aveva fatto chissà cosa; e ridevo, ridevo e ancora ridevo. Quanto era divertente avere diciassette anni, la scuola e le amicizie? Quando pensavamo di essere invincibili, quando ci dicevamo che saremmo rimasti tutti amici pensandolo davvero, quando gli unici nemici erano i genitori e i professori. Dimenticai che Marlon fosse al mio fianco e che stesse vedendo uno dopo l’altro quelli che erano i momenti più imbarazzanti e allo stesso tempo belli e spensierati della mia vita, ero troppo presa dal filmato e dagli ulteriori ricordi che mi aveva fatto riportare alla mente. Con la coda dell’occhio vidi Marlon sorridere dolcemente. – E queste cose sono capitate o le hai “costruite”? – disse virgolettando con le mani. Sospirai continuando a guardare la serie d’immagini che andando avanti mi mostrava sempre più cresciuta. – Entrambe. – sembrò la risposta più giusta che potessi dare e lo dissi più a me stessa che a lui. – Peccato non avere un video del genere di te. – dissi sorniona. – Ci saranno da qualche parte ... ma non mi aspetterei nulla di particolarmente interessante. Probabilmente sono solo filmati tengo la testa a mio padre per evitare che gli cada nel cesso. – sputò velenosamente. Tutto tacque o meglio non seppi cosa ribadire mentre dalla Tv continuavano a provenire schiamazzi. – La tua vita è stata tutta così? – pigolai impercettibilmente. – Non sempre, da quando è morta mia nonna più o meno. Prima vivevo con lei a Dreadford e non dico che le cose fossero perfette, ma quantomeno avevo l’impressione di avere uno straccio di famiglia e non solo un gruppo di tossici attorno a me. – E adesso cosa credi ... insomma, della tua famiglia? – Niente di che, non sono mai stati niente di che, né Keith né Anita, ma sono cresciuto anch’io con buoni amici. – Tipo? – chiesi guardandolo speranzosa e dovette accorgersene perché mi guardò languidamente per poi prendermi il viso fra le mani e continuare: – Beh, Jagger ad esempio. James è uno a posto. – Uno a posto? – Non ho video in cui mi preparo per il ballo con lui, ma non significa che non tenga alla nostra amicizia. – ridacchiò ed io con lui. – Ho visto che hai dischi di Bowie. – cambiò improvvisamente argomento e pensai che, forse, era giusto assecondarlo nella scelta di smettere di trattare questioni tanto delicate. – Lo adoro. – risposi semplicemente. – Sei la persona più normale che conosca. – Cosa? – ed io che mi aspettavo una semplice e normale conversazione sulla musica in cui Marlon avrebbe ribadito ancora che ho gusti di merda ed io avrei gettato gli occhi al cielo divertita e indispettita. – Insomma, si. Sei andata a scuola, avevi delle migliori amiche, un ragazzo, una madre che ti dice di studiare, l’amica oca, sei andata all’Università ... – Non ho mai vissuto veramente. – sentire Marlon riassumere in una manciata di parole tutta la mia vita mi rese incredibilmente ansiosa e nauseata. – Cosa? Io intendevo dire che, cazzo sei speciale! Sei la persona più normale che esista e, allo stesso tempo, sei così ... così strana. – Marlon, non migliori la situazione. – dissi alzandomi e allontanandomi da lui di qualche passo. – Pensi che nella mia vita abbia mai incontrato qualcuno che si emozionasse per una cosa così – e indicò la Tv – o che sappia cosa significa tornare a casa dopo scuola e trovare la madre in cucina o il padre che legge l’inserto sportivo del giornale? So che a te sembra che ti stia prendendo in giro o ... cazzo, non volevo offenderti, io volevo solo ... dirti che sei speciale proprio perché sei così normale, semplice. – Non pensavo che a nessuno piacessero le persone semplici, il melodramma colpisce molto di più non trovi? Io sono solo una cinica stronza. – Tu? – rise – Cinica? Sei la persona più dolce che conosca. – Ma tu non mi conosci. – Cosa pensi ci voglia per conoscere una persona? – Non lo so ... tempo? – Allora nel poco tempo passato assieme una cinica stronza mi avrebbe portato a letto e poi detto “Addio, a mai più.” – Melissa era così? – Melissa è troppo stupida per essere così. – D’accordo non sono stronza, per niente direi. Ma sono cinica. – O solo spaventata. – Eh? Smettila di psicoanalizzarmi! – lui ridacchiò in tutta risposta e, perciò, capii che anche quell’argomento era stato chiuso.

Sbadigliai, era notte fonda e cominciavo ad accusare la stanchezza, non avevo più il fisico per passare la notte in bianco! – Marl ... io ... ho sonno. – dissi in un sussurro stropicciandomi gli occhi con il dorso della mano. – Sembri una bambina. – rispose dolcemente. – Andiamo. – continuò alzandosi dal divano. Lo presi per mano e lo guidai in camera ed ebbi appena il tempo di augurargli di dormire serenamente che cademmo entrambi in un sonno profondo. 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo X. ***


QUESTO CAPITOLO ESIGE UNA PREMESSA:
QUI INIZIA LA MIA PARTE PREFERITA DELLA STORIA, PERCHE' ADORO LIAM E TUTTO CIO' CHE RAPPRESENTA, ORA DETTO CIO' VI SALUTO E VI INVITO ANCORA A LASCIARE UN COMMENTO FACENDOMI SAPERE COSA NE PENSATE DEI PERSONAGGI. 
au revoir :*

CAPITOLO X


– Tu, cosa!? – disse Sophie sconvolta, strizzata nel suo abitino beige. – Sophie, taci. – la ammonii – Certo, certo. Lo dirai ad Abby? – Non lo so, so già cosa mi direbbe. – Si voleva solo svuotare le palle o pensavo non ci cascassi ancora? – Non ci sono andata a letto. – Ecco, ed io proprio non capisco perché. – Perché, semplicemente, voglio conoscerlo meglio ed essere sicura di rivederlo almeno un’altra volta in vita mia. – D’accordo – alzò le mani in segno di resa per poi dirmi concitatamente: – Guarda lì! – m’indicò una scena alquanto raccapricciante, più dei genitori di Kevin che si palpavano sulla pista da ballo. Distinsi nitidamente la viscida lingua di John nella bocca di una povera malcapitata dai capelli biondi e il culo formato portaerei. – E pensare che potevi essere tu. – disse Sophie ancora turbata e attonita. – Bleah, che schifo. – Meglio Marley? – chiese beffarda – Certamente. – Com’è? Andiamo racconta. –
Era ormai sera, gli sposi ed altre coppie improponibili ballavano sulle note di una canzone che mi ricordò tanto “Il Tempo delle Mele”, peccato solo che Nicole non fosse Sophie Marceau. – Pensi che saranno felici? – Lo spero per loro. Sai, ho pensato che, in qualche modo, voglio ancora bene a Nicole. – Anche ad Abigail? – Pensavo prendesse decisioni migliori.– mi riferivo alla notizia che la nostra amica ci aveva dato pocanzi: avrebbe sposato Marc, quella sottospecie di uomo – merda. Un vigliacco che per anni non aveva fatto altro che tradirla e lei, nonostante sapesse tutto per filo e per segno, aveva deciso persino di premiarlo diventando sua moglie. – La vita è sua. – sussurrò mestamente Soph. – Questa giornata non è stata poi chissà quanto disastrosa. – tentai di cambiare argomento avendo notato i suoi occhi inumidirsi al solo pensiero di quello che la nostra amica aveva volontariamente scelto di subire. – Già, non male. Beh, tralasciando ovviamente alcuni particolari ... – disse alludendo alla maggior parte degli invitati. Allora il telefono mi squillò. – Pronto? – risposi sorridente mentre Sophie fece scherzosamente finta di rimettere mimandomi un mi fai venire il diabete. – Allora, la mia cinica stronza dov’è che sta di preciso? – Sono ad un matrimonio, non pensavo mi richiamassi così presto. – Sono passati due giorni, cominciavo a preoccuparmi che senza di me non ti stessi divertendo. – Che brutta idea hai di me, Richards. – Ti andrebbe una cena domani? – Ehm ... Si, certo. – D’accordo, ti faccio sapere l’ora. – Ma dove andiamo? – Ah, questo non è affar tuo. – ed attaccò lasciandomi basita e stupidamente felice. – Chissà cosa direbbe Abby ora! – ridacchiò Soph. – Penso di essere incinta. – il cocktail mi andò di traverso e tossicchiai a dir poco sconvolta. – E questa nonchalance? – ultimamente il suo viso sembrava si stesse lentamente scavando, logorando e le iridi bluastre spegnendo giorno dopo giorno fino ad arrivare a quell’azzurrino opaco nel quale vedevo riflessa la mia immagine in quel momento. – Io ... – Sophie, perché cazzo non mi hai detto nulla?! – sbottai terribilmente offesa, per poi pensare che non fosse il caso di darle ulteriori preoccupazioni e continuai: – Ti avrei ... avrei fatto qualcosa, lo sai! – E cosa c’era da fare? – Ne sei certa? – dissi riferendomi alla gravidanza indicandole il grembo istintivamente. Annuì col capo. Tacqui, era troppo. – Di chi è? – Non lo so ... Io ho frequentato dei tizi ... con Matt le cose non andavano da un po’ e se te l’avessi detto tu mi avresti giudicata. – Sophie, sai che non l’avrei fatto e non abbiamo quindici anni, non puoi comportarti come se ... – Come?! Eh? Sei la prima che a trent’anni sogna di trovare ancora l’uomo che le faccia sentire le farfalle nello stomaco e che la porti all’altare! Guardati intorno, cazzo! Non accadrà mai! – fu come un pugno nello stomaco, Sophie mi guardò scuotendo il capo come a dire non era quello che intendevo,credimi, ma era troppo anche per la donna forte che volevo che gli altri pensassero che fossi. – Chiamami se hai bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa. – le sorrisi impercettibilmente per poi raggiungere il guardaroba per riprendere cappellino e soprabito. – Ma dove vai? – mi gridò dietro raggiungendomi sveltamente. – A casa, Soph. – Ti prego, ho solo te ... non mi abbandonare, non volevo. – Lo so. Come so che quello che hai detto è esattamente ciò che pensi, non sei poi così diversa da Abby alla fine, forse nessuna di noi lo è e dopo la nascita di tuo figlio finirai con uno di questi bellocci o finirò io così chissà. – sputai con cinismo e freddezza mentre continuavo a camminare quanto più veloce mi consentissero quelle scarpe maledette in cui quella mattina avevo strizzato i piedi. Sophie mi stava dietro mentre percorrevo il gran viale alberato di quella villa per ricconi che sembravano molto più felici di me, quest’era poco ma sicuro. – Io credo in te e Marlon. – Ah, davvero? – tacque, mi portai una mano allo stomaco mentre le lacrime minacciavano di inondarmi il volto. Versai qualche lacrima dandole le spalle in modo che non mi vedesse in quelle meste e vergognose condizioni. – Non ci credo neanche io. – sussurrai dando sfogo al pensiero che mi stava affollando la mente e facendo soffocare. Era quello il punto, il punto è sempre quello: quando stai pensando qualcosa e sembra che a tenerselo per sé lo si cancelli, ma arriva sempre il momento in cui qualcuno ti riporta alla realtà, te la spiaccica in faccia. – Pensavo fossi felice ... – Pensavo fosse solo questione di trovarlo, intendo trovare quello giusto e suppongo che sia Marlon ... ma l’uomo giusto non dovrebbe essere reale? – Reale? – Non pensavo che a trent’anni avrei amato come una diciottenne. – Io ho amato Matt come una cinquantenne. – Cosa? – Non era amore, era abitudine, niente sesso, niente intesa, niente di niente. – E se avesse davvero ragione Abby? – scoppiammo a ridere, una risata dal retrogusto amaro. – Non puoi sapere come andranno le cose con Marlon. – continuò – Goditi questo ritorno all’adolescenza finché puoi. – Dovrei? – annuì – Perché no? – E a cosa mi porterà? – Che importa? – Soph ... – Angie, seppure non ti portasse a nulla, che importanza ha? Non puoi vivere pensando costantemente al tuo matrimonio! – Non tornerò a casa finché non sarò sposata. – Sophie mi guardò come a dire finalmente ti sei decisa ad affrontare il problema, il che mi convinse ulteriormente a continuare a parlare – Loro non hanno mai creduto che fossi capace di nulla, probabilmente anche perché non sono davvero figlia loro, ma fatto sta che continuare a dire che sto bene bastandomi non servirà a nulla, sarò sempre guardata con compassione, come se fossi lo scarto di quest’umanità di cui nessuno ha deciso di farsi carico. Sono semplicemente stanca di tentare di dimostrare chissà cosa a chissà chi e confondo tutto ciò con la solitudine, perché mi conviene: è più facile dire che ti manca qualcosa che dovrebbe mancarti piuttosto che dire di essere stanca di quello che hai già. – Soph mi abbracciò senza aggiungere nient’altro e a me sembrò che dovessi essere proprio lì in quel momento, che mai come in quell’istante fossi davvero al posto giusto nel momento giusto.

Il cellulare vibrò facendomi destare improvvisamente dopo esser riuscita ad addormentarmi solo due ore prima. Quel mattino un’insolita luce giallina, che non sembrava provenire da alcun lampione acceso a causa della nebbia, filtrava attraverso le tendine verdognole della mia camera. Mi rigirai tentando di riprendere sonno, ma fu un tentativo del tutto vano. Sbuffai sonoramente afferrando il telefono: avrei dovuto consegnare delle scartoffie per l’Università quel giorno, sarebbe stato un classico giorno di merda se non fosse stato per la mancanza della nebbia, che aggiungeva sempre quel non so che di deprimente. Mi alzai di malavoglia e sgranocchiando una manciata di cornflakes mi diressi verso l’armadio. Scorsi la mia figura nello specchio, avevo gli occhi contornati da profondi segni violacei che rappresentavano al meglio le mie notti insonni, i capelli arruffati, avevo lo stomaco ancora in subbuglio e la testa mi doleva fortemente. Mi gettai nuovamente sul letto ricadendo su esso priva di forze non appena avvertii il dolore acuirsi. Pensai che il mio cervello di lì a poco sarebbe potuto anche scoppiare quando mi rimisi in piedi animata dal senso del dovere, ma dovetti risiedermi prima che corressi realmente il pericolo di cadere a terra esanime quando le pareti del mio appartamento vibrarono a causa dell’inquinamento acustico a dir poco fastidioso che la radio del mio vicino di casa stava producendo. E mentre “You Shook Me All Night Long” mi stava facendo letteralmente tremare ogni singolo nervo rischiando di farmi impazzire di lì a poco, mi alzai ancora una volta, stavolta per inveire contro quell’imbecille che aveva disturbato la mia apparente quiete, ma probabilmente avrei rivolto a lui anche qualche insulto che avrei dovuto destinare ad altri. Bussai malamente alla porta colpendola con la mano ripetutamente e urlando: – William, coglione di merda! – il ragazzo dalla zazzera castana e dagli occhi tanto azzurri quanto diabolici apparve nascondendosi dietro la porta semiaperta. – Non ho intenzione di sapere cosa tu stia facendo, ma abbassa quel cazzo di volume. – Buongiorno, Angela. E comunque no, ho visite. – ghignò sornione. – Gli AC/DC dopo il sesso si portavano una decina di anni fa, cos’è le diciottenni che ti scopi non ti aggiornano sulla musica di tendenza post – coito? – Beh, solitamente con loro faccio altro. Dovresti provare, ti farebbe bene una scopata e poi, è da un po’ che non vedo nessuno entrare in casa tua. – Abbassa solo quel cazzo di volume, pervertito. – mi girai, punta nell’orgoglio, e sveltamente mi rintanai in casa sentendo alle mie spalle Liam sghignazzare. – Coglione. – sbuffai ancora alterata.

– Stasera vedrai Marlon, no? – annuii – E come stai? Insomma, cosa pensi che farete? Cosa pensi di poter provare? – Soph, non so neanche cosa ordinerò da mangiare ... a proposito, ma il cameriere? – dissi guardandomi attorno sentendo il mio stomaco ribellarsi al forzato digiuno al quale l’avevo costretto fin dal primo mattino. – Ma che hai? – Sono distratta e mi sta scoppiando la testa. – Ti posso essere d’aiuto? – No, tranquilla. Hai pensato a chi potrebbe essere il padre del bambino? – No, cioè a dire la verità ci ho pensato. – Quindi? – incalzai – E’ un tipo che viene in palestra con me. – Avete scopato in palestra? – Già. E non solo. – un sorrisetto beffardo comparve sul volto della mia migliore amica per poi spegnersi dopo pochi secondi. – Non vergognartene. – Non me ne vergogno. Pensavo solo ... cosa dirò a mio figlio di suo padre? – La verità, Sophie. Non hai idea di quante volte avrei voluto che mi avessero detto prima di essere stata adottata. La verità è sempre la cosa giusta da dire. – Sophie mugugnò in risposta distratta da chissà cosa, sembrava star osservando qualcosa alle mie spalle. – Sophie? – Ah? – Cosa guardi? – Pensavo che quello fosse Matt. – Hai bisogno di lui? – Sono stata un’idiota a lasciarlo? – Questo devi saperlo tu, ma certamente per tradirlo le cose non andavano chissà quanto bene e non è solo colpa tua per questo, Soph. – Ma è colpa mia se sono rimasta incinta. – Smettila. Non è una colpa. – Cambiamo argomento. – Sophie ... – Ho detto: cambiamo argomento. – sospirai profondamente per poi dire: – Ho paura di rivedere Marlon. – Perché? – Non lo so, non so quello che voglio e non so se fidarmi di lui. – Non correre! Passa una bella serata e scopaci, per favore. – E poi? – E poi si vedrà. –

Le porte dell’ascensore si aprirono permettendomi di entrare e raggiungere il più velocemente possibile il mio appartamento così da tentare di riprendermi da una giornata di lavoro stremante e demotivante, passata fra le scartoffie della segreteria e a cercare di far tenere le mani di quei decrepiti che insegnano alla facoltà di Matematica e Fisica lontane dal mio sedere. Prima che le porte dell’ascensore fossero completamente chiuse Liam le bloccò sveltamente riuscendo ad entrare con fare stanco e trafelato. Mi vide e mi fece un cenno col capo in segno di saluto. – Buonasera. – risposi. – Sei stanca anche tu? – Già. – Eppure tu la notte dormi. – ghignò per poi ridacchiare sommessamente – Ah, ah. – risposi sarcasticamente – E’ stata una giornata difficile a lavoro? – annuii semplicemente – A te? – chiesi distrattamente per educazione più che per saperlo davvero. – Bene, ho trovato finalmente qualcuno che allestirà una mostra con alcuni dei miei lavori. – Che culo. – commentai atona, non avevo intenzione di uscire, sarei stata lì a parlottare con Liam per un po’ e poi sarei volentieri andata a letto, ma avrei dovuto vedere Marlon, perché non stavo facendo i salti di gioia? – Cos’hai? – Sono stanca. – Ti va di mangiare da me? – Non ci vengo a letto con te, Liam. – Ti avrei evitato di cucinare, sei davvero scorbutica e come fai a pensare che voglia solo portare a letto chiunque? – gli lanciai un’occhiata colma di non sono mica stupida o con me non attacca. – D’accordo, d’accordo. – disse alzando le mani al cielo in segno di resa per poi uscire dall’ascensore non appena le porte si furono riaperte. – Allora, buonasera, signorina Scott. – disse facendo un buffo inchino che mi fece sorridere – Ah! Hai sorriso, ecco! – Ciao, Liam. – dissi entrando in casa e chiudendomi la porta alle spalle senza aspettare che Liam avesse una qualsiasi reazione. 

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Capitolo 11
*** Capitolo XI. ***


– E’ una notte che ricorderò sicuramente. – Marlon era al mio fianco completamente nudo e ancora boccheggiando continuò: – Sei stupenda. – sorrisi impercettibilmente portandomi una ciocca umidiccia di capelli dietro l’orecchio. – Non posso rimanere a dormire, tesoro. – Cosa? – mi divincolai di scatto dall’abbraccio in cui Marlon mi aveva stretta mettendomi a sedere. – Si, insomma ... non posso. – Cosa pensi che sia? Una puttana? – Ma che cazzo ti prende? – A me? Pensavo rimanessi, insomma ... abbiamo scopato, diavolo! Potresti anche far finta che di me t’importi qualcosa. – Ti ho già detto che ti adoro, adoro vederti totalmente disinibita ed eccitata, ti scoperei tutta la notte, ma non posso. – Io non volevo sentirmi dire questo. Dove devi andare? – Perché dovresti saperlo? – mi resi conto di star avanzando pretese che Marlon non avrebbe mai soddisfatto e mi trovai io stessa abbastanza ridicola, bambinesca, ma era quello che volevo, un uomo che rimanesse al mio fianco la notte, che non mi lasciasse sola in un letto sporco del suo sperma a domandarmi il perché non fosse rimasto, dove avessi sbagliato. – Hai ragione. – tagliai corto. – Lo sai che per me sei importante, sei così ... così, ecco ... originale. – mi domandai perché allora non rimanesse a bearsi della mia originalità se gli era tanto gradita, ma adesso vedevo chiaramente la situazione per quello che era: una farsa, una storiella, una botta e via, una bambinata. Quando Marlon ebbe chiuso la porta alle sue spalle la trentenne che era in me iniziò a inveire contro quella che ero stata in passato: una sognatrice, una che credeva di poter cambiare questi esemplari di maschio a dir poco scadenti fino a renderli degni di essere definiti uomini, una che credeva che un paio di parole dolci e carezze potessero riparare ogni errore, un’adolescente semplicemente, una ragazzina innamorata dell’amore. Fu allora, in quella sera di settembre, che capii di non mancarmi, capii che ero una donna ormai, nuda, ferita, ma pur sempre donna. E le parole dolci, i baci, le carezze e il sesso, per quanto spettacolare potesse essere, con Marlon non sarebbero valsi a nulla, erano briciole ed io di briciole ne avevo abbastanza. E mentre mi trascinavo nel bagno udii i gemiti di una qualche malcapitata adescata da Liam attraverso la parete. Gettai gli occhi al cielo producendo un suono a metà tra uno sbuffo e una risata, anche Liam era un tipo di poche pretese: le donne per piacergli bastava che avessero un buco, ma forse aveva ragione lui, era schietto, diretto e non l’avevo mai visto rincasare con la stessa donna, se di donne si poteva parlare. Che persino Liam fosse meglio di Marlon? Che scegliessi gli uomini così male?

 – Allora? – Cosa? – L’ecografia, Soph! – Ah, tutto benissimo. – disse sorridendo felicemente, i suoi occhi erano un misto d’ansia e gioia incontenibile. – Sembra una patata, però. –  continuò osservando le foto dell’ecografia mordicchiandosi il labbro. – Soph, avrà un mese o due. – Due! Due! – Non dovrebbe sembrare una patata. – A me sembra più una rana. – ridacchiai beccandomi uno sguardo truce da parte di Soph. – L’hai detto ad Abby? – scosse il capo con veemenza. – Dovrai prima o poi. – dissi per poi soffiare sul mio caffè ancora fumante. – Tu l’hai più vista dopo il matrimonio di Nicole? – No. Né vista né sentita. – e un po’ ad ammetterlo fece male. – Neanche io. – affermò con rassegnazione – Dovremmo chiederle del matrimonio. – No, non ho intenzione di appoggiarla in questa follia! – Soph, è la sua vita, non possiamo fare niente. Se ancora la vogliamo nelle nostre vite ... – E chi lo dice? – A te non manca? – Giusto un po’, ma lei mi avrebbe solo giudicata. – disse incrociando le braccia al petto con fare profondamente indispettito. – D’accordo ... – Comunque, Marlon? – Non l’ho più sentito, abbiamo scopato due settimane fa e niente più. Era quello che aveva voluto fin dall'inizio. – Ho sentito che è ritornato con Melissa. – lo sussurrò quasi, aveva comprensibilmente paura della mia reazione al sentire quelle parole. – Probabilmente non l’ha mai lasciata, mi ha scopata soltanto e va bene così. – Cosa? – per poco Soph non si strozzò col caffè. – Sophie, non voglio dover rincorrerlo per elemosinare un minimo d’attenzione, se Melissa è disposta a farlo, allora è più adatta a lui di quanto non lo sia io. – Wow, Angela Scott, mi sorprendi ogni giorno di più. – feci spallucce, non era stato proprio semplice pervenire a quella conclusione e ricominciare a vivere in uno stato di torpore dell’animo, rimettere i sentimenti in un cassetto e dimenticarli totalmente, ma vivere in quello stato di apparente disillusione che, in realtà, dimostrava ancor di più quanto stessi soffrendo, sembrava la cosa più facile da fare.

L’odore nauseabondo che proveniva dall’angusto angolo cottura mi fece storcere il naso mentre mettevo ordine alle scartoffie poggiate sulla scrivania. Tentai di raccoglierle tutte il più velocemente possibile controllando costantemente i fornelli, affinché la pietanza che avevo cucinato non diventasse ancor più indigesta a causa di eventuali bruciature. Imprecai non appena sentii il telefono squillare lasciando cadere a terra le scartoffie con calcoli e scarabocchi e raggiungendo sveltamente i fornelli per spegnerli, per poi raggiungere finalmente il telefono e rispondere: – Pronto? – Angie, amore della mamma! – Oh, no pensai battendomi una mano sulla fronte con arrendevolezza e un fare a dir poco seccato. – Tesoro, volevo solo avvertirti che sono in India e vorrei venissi qui per Natale. – Eh? In India? – Già, con Robbie. – Chi? – Il mio ... compagno, Ang. E’ un regista e attore, pensa che sta facendo anche il corso per diventare musico-terapeuta! – Mamma, che ci fai in India? – L’ho seguito, ho ascoltato il cuore e lo spettacolo sta avendo davvero tanto successo, tesoro. – Tu ... mamma, e la nonna!? – E’ stata contenta di vedermi andar via, non mi ha mai voluto bene ... – sbuffai sonoramente realizzando che avrei dovuto rivestire io i panni di madre ancora un’altra volta. – Dovresti tornare. – No, tu vuoi venire? – Devo andare da papà, lo sai. – Ci andrai dopo, questo posto è fantastico, così spirituale che ... non puoi perdertelo. – Ti farò sapere, ma tu pensa a ritornare il più presto possibile. – Non posso, Robbie ha bisogno di me. – e mi resi conto di quanto i sogni adolescenziali stridessero con la sua età fin troppo avanzata per comportarsi da teenager. – Anche la nonna ne ha bisogno. – Va’ tu da lei. – Mamma, ho detto di dover passare il Natale da papà. – Ma perché vuoi passare un Natale così triste? – a dire la verità non sbagliava del tutto: avrei passato l’ennesimo Natale ad essere osservata con compassione e profonda preoccupazione dalla maggior parte degli appartenenti alla mia famiglia paterna e avrei dovuto tentare di spiegar loro di stare bene, in realtà, nonostante non fossi ancora gravida e coniugata, ma non mi avrebbero creduto spalleggiati dalle battutacce di mio padre come: hai preso da tua madre, evidentemente la vita coniugale non fa per te o ci sarà qualche problema in te, sono anni che spero che trovi un marito! Ma quell’uomo mi faceva tenerezza alla fine, aveva sempre creduto così fermamente nel matrimonio e nel suo in particolar modo e ne era rimasto fregato, deluso, amareggiato e tradito. Mia madre per dirmi d’esser andata via di casa e di esser tornata a vivere dalla nonna mi mandò una cartolina e sul retro di essa c’era scritto: tra me e tuo padre non funziona più, ho deciso di vivere la mia vita senza di lui, di amare veramente. Ero all’Università quando mi arrivò quella cartolina da Manchester, dove mia nonna risiedeva, lessi tutto d’un fiato e scoppiai a piangere singhiozzando rumorosamente, non so perché mi facesse così male, a dire il vero, forse perché era stato proprio guardandoli che mi ero innamorata dell’amore, ma era tutto finito. E cos’avevo visto allora era tutto finto? Ma l’amore era mai esistito? Probabilmente mi sarei posta gli stessi interrogativi anche se i miei genitori non avessero divorziato, ma allora mi sembrò una cosa così assurda, surreale. Non vedendola rientrare a casa per giorni avevo pensato fosse partita per l’ennesima volta alla scoperta di chissà quale luogo esotico con le amiche, ma mi sbagliavo: era partita con chissà chi per andare chissà dove a fare chissà cosa tradendo mio padre che, affranto, per giorni si rintanò nella stanza mugolando ogniqualvolta il sguardo incontrasse una foto di mia madre per casa, finché non decisi di toglierle di mezzo io stessa. Quando fui laureata ed andai via di casa cominciando a lavorare, mio padre decise di andar via la casa a Whitechapel e comprare un rudere nel Kent, non molto lontano da Dover, dove aveva deciso di passare gli ultimi tristi anni della sua vita senza Teresa, sua moglie, mentre la suddetta Terry chissà cosa faceva andando in lungo e in largo a divertirsi. Mia madre aveva sempre avuto ragione, nonostante il comportamento a dir poco infantile, irresponsabile, ed egoista, ma la vita con mio padre non doveva esser stata facile, pesante e retrogrado com’era. Terry più tardi mi disse che non era sempre stato così, che era peggiorato con l’età, ma aveva sempre sospettato fosse un arido contadino nell’animo, e come avrebbe potuto sopportare un minuto di più quel semplice contadino di origini irlandesi quella donnina altolocata dell’industrializzata Manchester? Era una falsa, tuttavia, motivo per cui l’avevo sempre condannata più del marito, inneggiava alla libertà e alle arti, e invece di far continuare gli studi a mio padre facendolo “elevare al suo livello” l’aveva costretto a lavorare in fabbrica e sposarsi il prima possibile, perché la piccola principessa di papà non sopportava più Manchester, era troppo poco per lei, sognava la capitale e mio padre era l’unico cretino che l’era capitato sotto mano tanto stupido da credere al suo amore e portarla lontana da lì. Ma non avrebbe mai capito se l’avessi accusata di ciò, soprattutto adesso che si atteggiava a figlia dei fiori. E’ un po’ come quando vorresti dire a uno stupido che è stupido, ma sai che essendo questi stupido non capirà mai di esserlo. – Devo, non voglio abbandonare anch’io papà. Ora devo andare, ci sentiamo, Terry. – Ciao, amore. – disse titubante, probabilmente a disagio per quanto io avessi detto prima. Il campanello suonò ad intermittenza in modo tremendamente fastidioso tant’è che senza pensare minimamente chi potesse essere urlai malamente: – Cazzo con calma, sto arrivando! – non so se quella reazione fosse dovuta semplicemente allo stridio sgradevole del campanello oppure al fatto che avessi appena parlato con mia madre dovendo rivestire nuovamente i panni di madre che, da una parte, tenta di controllare la propria figlia, che le sfugge di mano girando il mondo cambiando uomini come mutande, e dall’altra parte pensa a riprendere il figlio sull’orlo del suicidio. Come se non avessi avuto già abbastanza problemi di cui riempirmi il cervello. – Sempre di buon umore. – disse Liam non appena aprii la porta. – Cosa vuoi? – Ascolta, il locale di un mio amico non sta facendo grandi affari ultimamente e ho bisogno di racimolare gente che stasera venga e spenda tanti soldi in alcol. – Ti sembro un’alcolizzata? – lui gettò gli occhi al cielo. – Non sembri neanche una santa. – gli lanciai un’occhiata truce e tentai di sbattergli letteralmente la porta in faccia, ma entrò in casa prima che potessi chiuderlo fuori. – Esci subito! – La smetti di fare l’esaurita? Adesso ascoltami: verrai stasera e porterai delle amiche? – Ma non puoi chiederlo alle puttanelle che ti porti a letto? Saranno un centinaio e per avere il coraggio di scopare con te devono fare uso di droghe pesanti, chissà allora quanto alcol ... loro vanno bene per il bar del tuo amico, non io. Arrivederci. – dissi mettendogli una mano sul petto iniziando a spingerlo verso l’uscita, ma nonostante i miei vani tentativi di smuoverlo dal mio salotto non si mosse d’un millimetro continuando a tentare di convincermi a passare quella serata in compagnia sua e dei suoi amici. – Andiamo, lo sai che non posso rivederle per più di una volta. – Ma che regola del cazzo è? – Sennò si affezionano. – Cosa? – Pensano che sia una relazione, insomma. – Quindi se non ti richiamano è perché eri solo una scopata? – chiesi mestamente abbassando lo sguardo. Quello era stato l’ennesimo colpo al cuore, l’ennesima dimostrazione provata di menefreghismo da parte di Marlon nei miei confronti e della mia stupidità. Liam dopo aver fatto spallucce mi guardò un po’ più attentamente per poi sospirare profondamente a disagio e guardarmi compassionevolmente dicendo: – Chiunque l’abbia fatto con te è un imbecille. Insomma, non si fa con quelle intelligenti, rischi che soffrano per davvero. – biascicò con fare a dir poco impacciato, un atteggiamento che mi fece ridacchiare e dire – Grazie, Liam. – mi guardò sorpreso, ma non disse niente, non chiese a cosa mi riferissi, non chiese perché quell’argomento mi avesse fatto un tale effetto. Tra noi cadde il silenzio, un silenzio tranquillo in cui nessuno di noi nascondeva grandi segreti, affermazioni, aforismi, un silenzio estremamente silenzioso in cui mi sentivo semplicemente Angela. – Verrò. – Davvero? – Si, ma sei in debito con me, Harris. – Sicuramente, Scott. – disse lasciando che la porta si richiudesse lentamente alle sue spalle. 

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Capitolo 12
*** Capitolo XII. ***


CAPITOLO XII

– Pensi che scopare renderebbe la mia vita meno triste? – La smetti di auto-commiserarti? – Sono triste, Soph. La monotonia mi sta uccidendo. – Puoi venire con me a scegliere la culla del bambino per dare un taglio a questa monotonia. – Sono seria. – Anch’io. – gettai gli occhi al cielo arrendendomi ad abbandonare la serietà del discorso che avevo tentato d’intavolare, che per quante volte l’avevo ripetuto in quegli ultimi anni sembrava essere diventato una nenia. – Ok, verrò. – Benissimo. – A proposito d’impegni, stasera dobbiamo andare in un bar ... il mio vicino di casa mi ha chiesto di andare e portare della gente. – D’accordo, anche se starò in un angolino a guardare le persone bere e divertirsi ricordandomi quanto sia stata sfortunata a rimanere incinta. – Smettila di auto-commiserarti. – dissi facendole il verso, a cui lei rispose ghignando per poi ridacchiare. – Hai più detto niente al padre? – No, anche se so che dovrei. – Avrebbe giusto un po’ il diritto di saperlo. – sbottai ironicamente – Già, ma non so neanche con precisione chi sia. – Speri sia di Matt? – Sarebbe bello, ma non credo proprio. L’ho chiamato, sai? – E che ha detto? – Non risponde, ovviamente. – l’abbracciai notando i suoi occhi luccicare a quell’affermazione amara e alquanto difficile da mandar giù. – Andrà tutto bene. –

Masticando un’estremità della penna notai improvvisamente con grande disgusto d’averla rotta e mi trovai a sputacchiare dell’inchiostro blu su alcuni progetti che avrei dovuto presto portare a termine: la mia mente era altrove e quando sentii squillare il telefono pregai affinché rispondendo non mi trovassi nuovamente a sorbire il suono squillante della voce di mia madre. – Pronto? – Piccola. – quel suono graffiante e tremendamente sexy era la voce di Marlon. – Chi è? – feci tentando di mascherare la gioia, che nonostante il profondo rancore che provavo nei suoi confronti, avevo provato sentendo la sua voce. – Marlon. Ascolta, ho pensato di mettere le cose in chiaro: non riesco a stare senza di te, ma io non ho intenzione di impegnarmi. – Perché lo sei con Melissa? – Ci dobbiamo sposare tutti prima o poi, no? E Melissa è l’unica che accetti le mie scappatelle. – Vorresti continuare a scopare con me? – E’ così. – D’accordo, ma stasera sono impegnata. Non presentarti a casa mia prima delle tre. – Ci sarò, metti qualcosa di sexy. – non appena ebbe attaccato composi il numero di Sophie al cellulare sperando che rispondesse il prima possibile. – Angie? – Sophie, ho accettato di vedere Marlon stasera. – Eh? – Già, ha detto di non volere una relazione seria, ma di aver voglia di scoparmi. Mi sento una specie di prostituta ... ha persino detto di mettermi qualcosa di sexy! – Calmati! – disse Sophie ridacchiando – Va tutto bene. – continuò – Cosa va bene? Ho accettato di scopare con uno che mi piace, ma che reputo un imbecille con la stessa capacità di avere rapporti emozionali e sentimentali di un sedicenne! – Allora perché hai accettato? – Perché mi piace l’idea di scoparmelo. – E vorresti sposarlo? – Vorrei che non fosse una testa di cazzo, ma è come tutti gli altri se non peggio. – E allora è una cosa solo fisica? – Si, purtroppo. – Perché purtroppo? Essere incinta non è per niente sexy, e in più vorrei tanto scopare, ma nessuno scoperebbe con me al momento, perché ti lamenti? Beata te! – Ma io non voglio solo scopare! – Beh, fallo mentre aspetti il principe azzurro, no? – Mi ricorda solo quanto è triste la mia vita. – Smettila ... – ... di auto-commiserarti, lo so, lo so. – Ecco. – Ma il sesso non riempie. – Beh, io al momento sono più che piena. – Ah, ah. – Invece di pensare a quanto sia triste la tua vita, tu usalo e passa un po’ di tempo in questo modo, piuttosto che deprimerti. – Che rimedio contro la depressione è mai questo? – Tranquilla, funziona. Ora devo andare. A stasera. – A stasera. –

– Liam, non sono d’accordo col fatto che tu mi abbia detto di vestirmi in questo modo. – dissi tentando di allungare la gonna che avevo indosso almeno in modo da non far vedere il sedere. – Una tipa l’ha lasciata a casa mia, pensavo ti potesse star bene. – Si, se fossi di turno in un strip-club. – Stai bene, non lamentarti. – La smettete tutti di dire che mi lamento? – Ma tu lo fai. – alzai gli occhi al cielo con fare seccato incrociando le braccia al petto. – Non fare la mocciosa. – disse Liam beffardo e io gli diedi un leggero colpetto sulla nuca ridacchiando e dicendo: – Non sono una mocciosa, idiota che non sei altro. – Attenta non muoverti troppo, giuro di averti visto le mutande. – continuai a colpirlo e a ridere assieme a lui. Quando fummo fuori dal palazzo l’aria autunnale che pian piano lasciava spazio all’inverno ci investì provocandomi una sensazione di tiepida felicità, dolce, calma. L’inverno mi metteva allegria, era sinonimo di dolcezza seppur non condivisa con nessuno, mi ricordava quando andavo a scuola e il pomeriggio passavo il tempo con i miei amici in strada a sfregarmi le mani continuamente per il freddo. Liam s’incamminò e feci fatica a stargli dietro maledicendomi per aver deciso d’indossare quei trampoli rinunciando alle sneakers. – A pensarci ti ho vista davvero poche volte conciata bene come ora. – Cosa? – Non dico che tu stia male in tuta, le ragazze che stanno bene anche in tuta sono terribilmente affascinanti. – Dovresti vedermi quando lavoro a casa, sono a dir poco affascinante! – sbottai ironicamente ridendo – Davvero? Dimmi di più. – rispose altrettanto ironicamente portandosi una mano al mento fingendo di appoggiarvi sopra il capo. – Beh, intanto lego i capelli e poi porto gli occhiali, quando fa freddo indosso anche il maglione coi gatti disegnati sopra. – Un maglione, un destino. – Ah, ah. Harris, oggi sei più simpatico del solito, come mai? – E’ l’astinenza, credo. – Ah, certo, quanto? Tre ore? – Un giorno intero. – Oh, povero! – dissi portandomi una mano alla bocca fingendo un’espressione compassionevole. – Stasera rimedierò un paio di biondine. – Un paio? – Ah, dimenticavo che nel tuo mondo fatato le cose a tre non devono esistere. – Nel mio mondo fatato due biondine non verrebbero di certo con te. – E invece si. – Ma come fai a sapere già che le troverai? – Alla gente piace il sesso facile, quello senza troppe pretese e io sono un partner molto generoso. – disse ammiccando e facendomi scoppiare in lacrime dalle risate. – Questa sera farò del sesso senza sentimenti. – sbottai improvvisamente tornando seria. – Col solito stronzo? – Non è molto diverso da te. – Io non vado a letto con sentimentali come te! Non vado in giro ad illudere la gente. – Sarà, comunque non so perché il fatto che non m’importi minimamente di andare o no a letto con lui mi da così tanta ansia. – Il sesso occasionale ti crea ansia? Penso tu sia l’unica persona a cui capita di provare questa sensazione. – Sono seria, Liam! Non m’importa! E’ non è per il sesso occasionale, perché l’ho fatto in vita mia, idiota. Io ... non lo so, semplicemente non m’importa di lui e vorrei che m’importasse. – Perché? – E io che ne so! – D’accordo, ma calma. – disse portando le mani dinanzi a sé in segno di resa facendomi sorridere in modo divertito.

Quando arrivammo il locale a luci psichedeliche all’interno del quale sarei potuta sembrare davvero una spogliarellista era stracolmo di gente ubriaca fradicia. – Ti piace? – Dieci anni fa l’avrei adorato e mi sarei ubriacata fino a ballare mezza nuda sul cubo, ma ora è decente. – Ballavi sul cubo? – Ho conosciuto così il  ragazzo con cui sono stata per due anni all’Università. – Cioè? – Henry, lui mi riportò a casa e non so davvero cos’avrei fatto senza di lui. All’Università ho vissuto più o meno la fase che tu stai vivendo adesso, finché non ho conosciuto lui. – Avevi trovato l’uomo perfetto allora, perché è finita? – Lui non mi amava più e mi ha tradita. Forse è stato proprio quando ho iniziato ad affezionarmi di più che è successo tutto quel casino. – Ci sei stata tanto male? – Non più di tanto, ma è passato ormai. – già, erano passati cinque o sei anni, un’eternità. – L’hai più visto? – No, ma non è una bella cosa. E’ come perdere un pezzo del passato. Rischi di guardarti indietro e dire: è successo davvero o me lo sono sognato? – Liam non rispose continuando a scrutarmi finché non fui io a dire: – E tu? Cosa ti ha portato a credere solo e fermamente nel sesso occasionale? – Non lo so, niente di particolare. Non ho niente in testa, tutto qui. – balbettò gesticolando in modo da dare il meno possibile importanza alle poche parole che aveva pronunciato sull’argomento. – Non sei stupido, Liam. Fai solo finta di esserlo. – Lo sono, ma ... dio, è un discorso così stupido da fare a quasi trent’anni. – Lo è anche portarsi le diciottenni a letto. – Chi sei? Mia madre? – si era messo sulla difensiva e aveva ridotto gli occhi a due piccolissime fessure iniettate di rancore e tristezza, non nei miei confronti, nei propri. – Liam ... – Scusami, non volevo risponderti male. – Tranquillo. – Vado a cercare Tom, il proprietario. – Okay, io cerco la mia amica. – fece per allontanarsi per poi rigirarsi verso di me e chiedermi: – Torniamo assieme? – era una domanda tanto piena d’ingenuità, tenerezza che non declinai l’offerta annuendo sorridente. 

Okay, eccomi qui. 
Ringrazio Be_My_Friend per aver seguito la mia storia e tutti gli altri lettori silenziosi. Grazie mille a tutti. Lasciatemi un parere facendomi sapere cosa ne pensate! Chi è il vostro personaggio preferito? Come li immaginate fisicamente? ;)
Avvertitemi nel caso notiate qualche errore.

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII. ***


CAPITOLO XIII

 – E’ un posto fantastico, Liam! – sbottò Sophie. – Mi fa piacere che ti piaccia, Soph. – Andrebbe meglio se potessi bere ... – No, perché non saprei come riportarti a casa. – controbattei ridacchiando. Liam al mio fianco sorseggiava il suo drink mordicchiando la cannuccia e Sophie stava parlottando incomprensibilmente a causa dell’elevato volume della musica (è da cose del genere che capivo quant’ero diventata decrepita) quando lo sguardo di Sophie s’incupì improvvisamente. – Soph? – chiesi sporgendomi verso di lei, che indicò un punto della sala, un punto in cui c’era Matt spalmato addosso ad una che avrà avuto più o meno diciassette anni. E pensai che l’universo stesse inevitabilmente rendendo indietro a Sophie tutte le cattiverie che lei stessa aveva inflitto a Matt, ma fu a dir poco doloroso vederla in quella condizione d’estrema fragilità: aveva gli occhi gonfi e rossi e con lo sguardo mi pregava di andar via, fuggire via di lì avendo scoperto che colui che avrebbe voluto come padre di un’ipotetica figlia stava tentando di adescare una che sembrava poco più di una bambina. Mi alzai e la trascinai fuori con l’aiuto di Liam al quale lanciai subito dopo un’occhiataccia per fargli intendere d’andare via, lui annuì silenziosamente lo vidi rientrare dentro mentre stringevo Sophie tra le mie braccia per evitare che cadesse tra un singhiozzo e l’altro. Improvvisamente mi spintonò dicendo: – Va’ dentro, non preoccuparti. – Cosa?! – Torno da sola. – disse tentando di ricomporsi. – No. – Ang, va tutto bene, davvero. – No, che non va bene. – Perché, Ang? Perché siamo infelici? – ripeteva disperata dandomi dei colpetti ripetutamente sulla schiena.

Mi svegliai al fianco di Marlon alquanto stordita, le immagini di quella notte mi avevano tormentata nel sonno dal volto disperato di Sophie alle mani di Marlon lungo la mia schiena. Tentai di non strapparmi i capelli dal nervoso pensando alla giornata che mi attendeva a lavoro e mi girai a guardare Marlon che dormiva beato. Poi pensai a quella giornata e a quanto sarebbe stata stancante e al contempo d’importanza poco rilevante nella mia vita, ma chi me lo faceva fare di essere così filosofica di primo mattino? Scossi il capo come per scacciare qualsiasi pensiero che avrebbe potuto portarmi a pensare, non dovevo assolutamente concentrarmi su nulla che non fosse il mio lavoro, tutto il resto, tutto il riassunto della mia vita in quel periodo mi avrebbe soltanto scoraggiata e mancava davvero poco alle vacanze natalizie, per cui ci sarebbe già stato mio padre a scoraggiarmi o quantomeno a dirmi di dovermi rinchiudere in un monastero se non mi fossi sposata di lì a poco.
Ma effettivamente il periodo “botta e via” non l’avevo già attraversato? Dio, manca solo che mi chieda di comprare i preservativi la prossima volta e potrò dire di avere di nuovo diciassette anni.

– Fai la puttanella e non mi dici nulla? – disse Liam incredulo dopo aver osservato Marlon uscire dal mio appartamento e stando appollaiato sulla soglia di casa sua stiracchiandosi e sonnecchiando ancora. – Ma perché dovrei dirti i fatti miei? E poi perché sei qui fuori? – Pensi di essere l’unica ad aver avuto ospiti? – non appena disse ciò due biondine slavate comparvero dietro la sua figura, nessuna delle due si diede un minimo di contegno nel salutare Liam con fare talmente appassionato che oltre a sembrare di essere in un film porno mi sembrò anche che stessi per vomitare. Ridacchiai guardando anche loro allontanarsi lungo il corridoio e scomparire nell’ascensore. – Hai trovato le biondine. – Già. – rispose tronfio indicandomi i segni violacei che le bamboline gli avevano lasciato sul collo. – E non sono mica solo sul collo! – aggiunse. – D’accordo, Harris. Bene così, il resto non m’interessa. – dissi ridendo e portando le mani avanti per bloccare metaforicamente l’arrivo di qualsiasi cosa stesse per dire alle mie povere orecchie. – Quel tipo è ... non è uno sfigato. – Pensi che con me possano uscire solo sfigati? – Lo pensavo, ma mi dovrò ricredere.
– tacque un momento per poi continuare adottando un tono più serio: – Mi è dispiaciuto non poter essere d'aiuto per te e per Soph ieri, vi avrei riaccompagnate a casa ...  – Non è un problema, Liam. Io e Sophie sappiamo cavarcela. – e rientrai velocemente in casa senza sentire cosa avesse da aggiungere, perchè avevo semplicemente paura di far perdere a me e alla mia amica quella poca dignità che c'era rimasta. 
– Abby? – Sono io, Ang. – Cacchio, quanto tempo. – Saranno due mesi che non ci sentiamo. – Già. Ma ora sono a lavoro, Abby. E’ urgente? – dissi in un sussurro accovacciandomi in un angolino della biblioteca. – Beh, a dire il vero no, ma semplicemente perché non c’è più nulla da fare. – Cosa? – chiesi distrattamente tentando di evitare lo sguardo ammiccante di uno studente del primo anno occhialuto e pasciuto. – Sophie è partita, è ritornata in Francia. – Cosa!? – urlai beccandomi un gran numero di rimproveri e improperi. – Come fai a saperlo? – Lei mi ha detto che non ce la faceva ad avvertirti, che ti ringrazia dell’aiuto, ma ... che cazzo sta succedendo nelle nostre vite? – Non lo so, non lo so. – Ci dovremmo vedere, prima del mio matrimonio intendo. – era ironica e al contempo un’affermazione amara che sapeva di una malinconica nostalgia.
Quel pomeriggio, dopo essere uscita o meglio cacciata dalla biblioteca, tentai di chiamare Soph, ma non ricevetti alcuna risposta. Negli ultimi anni m’ero preparata all’eventualità di dover salutare un giorno le mie amiche senza la certezza che le avrei riviste allo stesso bar il mattino dopo, eravamo delle donne ormai e le nostre vite più andavano avanti e più sembravano essere soggette a cambiamenti. Dunque, cresecendo avevo imparato che la mia vita non sarebbe andata esattamente come se fossi stata Carrie Bradshow: i soldi non sarebbero piovuti dal cielo, gli uomini non mi avrebbero rincorsa per strada pregandomi di sposarli e le mie amiche avrebbero continuato le loro vite, con o senza di me. Uscendo dalla metro e immergendomi nuovamente nel rigido inverno londinese vidi sulla strada del ritorno verso casa Liam con i capelli sporchi di pittura e gli occhiali tondi che gli coprivano probabilmente i segni a dir poco evidenti dell’inevitabile stanchezza provocata dal duro lavoro che aveva dovuto svolgere quel giorno o quella notte. Mi vide e scosse leggermente il capo in segno di saluto. – Liam. – sussurrai sovrappensiero avvicinandomi a lui. – Come è andata oggi, ingegnere? – Bene, ma sono stanca. – Anch’io, ma stasera c’è la proiezione di un film sui fratelli Lumière all’Università. – Eh? – L’Accademia. – Anche tu lavori per l’Università? – Purtroppo si, ma sia ben chiaro che non è quello che voglio dalla vita, voglio dipingere non insegnare agli altri a farlo. – Beh, mi sembra comunque un buon punto dal quale cominciare, no? – Pensavi non fossi bravo? – No, non l’ho mai pensato questo, pensavo soltanto che non fossi così affidabile da affidarti delle ricerche universitarie. – E invece lo sono. – disse mostrandomi il dito medio con fare tronfio e gongolante, in risposta alzai le mani al cielo in segno di resa e continuai – Io non vedo l’ora di tornare a casa. – Non metterti troppo comoda, Scott. – Eh? – Ho appena deciso che mi accompagnerai, così capirai com’è bella la vita senza tutti quegli stupidi calcoli. – Gli stupidi calcoli ti permettono di ... Oh, mio Dio. Sono davvero noiosa! – 
Le luci si spensero e il silenzio calò in sala. O perlomeno così avrebbe dovuto essere, ma a Liam non piacque per niente l’idea di tacere e, così facendo, privarsi della possibilità d’istruirmi riguardo a quei filmati e la loro inestimabile importanza nonché bellezza. – Liam, credo che tu debba fare silenzio. – lo ammonii dopo che uno spettatore seduto al mio fianco ebbe borbottato qualcosa di non proprio gentile nei suoi confronti. Ma lui continuò a parlare come se nulla fosse, come se in quella sala ci fossimo solo io e lui, e, a dire il vero, un po’ sembrò che fosse così: era tutto così eccentrico dal film al comportamento di Liam, che mi sembrò che il vero spettacolo fosse la sua gestualità esasperata, le sue espressioni sbigottite, divertite, rilassate e ancora allibite. – Ma sarà la centesima volta che lo vedi e ancora reagisci così? – chiesi divertita dalle sue reazioni. – Veramente è la diciottesima, ma comunque c’è sempre qualcosa che non avevo notato prima che mi salta all’occhio ed è ... stupendo, semplicemente. – tacqui rispettando la sua venerazione nei confronti di quel film, dei suoi autori e dell’arte in generale continuandolo ad osservare attentamente.  – Cosa ne pensi, allora? – disse saltando quasi dalla sedia non appena le luci si riaccesero e gli risposi semplicemente con un sorriso dicendo che era stato meraviglioso assistere a quella proiezione, non so perché, ma vedere Liam tenere a qualcosa mi fece reprimere la voglia che normalmente avevo di esternare qualsiasi cosa davvero pensassi, ma in tal modo avrei solamente smorzato il suo entusiasmo, mi sembrava così sentimentale, come non l’avevo mai visto che l’assecondai. 

– Al liceo ero convinta che non avrei avuto una bella vita. – Perché? – chiese Liam mentre trangugiava una fetta di pizza seduto su un muretto non lontano dal cinema in cui eravamo stati poco prima. – Perché non l’avevo allora e pensavo sarebbe stato così per sempre. – Non ti era piaciuta l’adolescenza? – Si, ma quando sei un adolescente non ti sta mai bene nulla, no? – Touché. – A te è piaciuta l’adolescenza? – Per me non è mai finita, eccetto il fatto del non farsi mai star bene nulla. – gettai gli occhi al cielo producendo un suono a metà tra una risata e uno sbuffo. – Infatti, è risaputo il fatto che ti accontenti facilmente. – lo punzecchiai. – Ah, ah. – Non hai mai paura del futuro? – Di svegliarmi un giorno e chiedermi perché non ho moglie o figli intendi? – Non solo, qualcuno che ... ti voglia bene. – La famiglia? – ridacchiai nervosamente. – Non mi ricordare che si avvicina Natale, Liam. – E quindi? – Significa che tra poco dovrò partire per Dover, rivedere mio padre e la sua famiglia. – E allora? – Sei uno che ci tiene, eh? – Molto, un po’ meno quando mia madre ... –  ... chiede quand’è che ti sposerai. – completai la sua frase. – Come hai fatto ...? – chiese sorpreso. Feci spallucce e gli rubai una fetta di pizza. – Perché non hai voluto che te la comprassi? Adesso devo sopportarti mentre mi rubi il cibo dal piatto. – disse Liam fingendosi arrabbiato. – Beh, non volevo che per la prima volta nella tua vita offrissi del cibo ad una donna. – Sei una delle poche che meritano un comportamento simile da parte mia. – ridacchiai per poi guardarlo brevemente negli occhi color del mare, azzurro fanghiglia. – Allora, perché ti pesa tanto andare a Dover? – Perché mi sono seccata semplicemente di essere additata come zitella. – E se venissi con te? Ti restituirei l’antico favore e tu verresti con me, a Brighton. – Cosa? – chiesi incredula. – Sono serio, o devi portare Marley? – lo spintonai scherzosamente. – D’accordo, imbecille. –

Il getto d’acqua della doccia mi colpì in pieno volto avvolgendomi in un dolce torpore dal quale dovetti riprendermi immediatamente, poiché il telefono cominciò a squillare insistentemente. Possibile che chiamassero tutti a quell’ora della sera? – Pronto? – grugnii non appena ebbi risposto. – Cherie. – Soph?! – Proprio io. – Non so se odiarti o essere felice di risentirti onestamente. – Lo so, avrei dovuto farmi viva prima. – O anche non partire. – I miei possono aiutarmi. – Mi manchi, lo sai. E’ per questo che non riesco ad accettarlo. Come va? – Bene, tra un mese saprò il sesso. – silenzio – Cos’è? Non mi dici nulla? – Cosa dovrei dirti? – ero in difficoltà, mi sembrava di star parlando ad un’estranea, era partita da quasi un mese e mezzo senza dir nulla e adesso? – Come va con Marlon? – incalzò. La verità è che a volte pensiamo che l’amicizia sia una delle poche certezze che ci è concessa avere nella vita, gli amici sono quelli che puoi faticare a conquistare davvero e poi rimangono per sempre, o dovrebbero o meglio non è mai così, avevo perso le mie amiche ed era una cosa dura d’accettare, non più dura del tradimento di Henry o del divorzio dei miei genitori, ma era difficile pensare di parlare a Sophie come facevo prima. – Bene, insomma ... scopiamo senza molte pretese. – Ma sei felice? – E tu, Soph? – silenzio – Mi hanno invitata ad una cena, devo andare ora. – forse fu quella l’ultima volta che la sentii. 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV. ***


CAPITOLO XIV

Bonjour, eccomi qua con un altro capitolo finalmente. 
Spero davvero che vi piaccia e commentiate!

 
Entrai nell’appartamento di Nicole, non quello da nubile, quello di Kevin in cui s’era trasferita poco dopo il matrimonio. Sembrava una casa d’altri tempi, interamente in legno scuro come la pece e c’erano gingilli ovunque mi girassi e mi stupii fortemente del fatto che non vi fosse appesa al muro da qualche parte la testa imbalsamata di un qualche povero animale o una pelliccia a mo’ di tappeto davanti al camino. Nicole mi accolse con un’espressione tremendamente soddisfatta e orgogliosa, la stessa con la quale mi guidò nel salone color salmone dove mi fece accomodare al fianco di Marc su una sedia dal gusto barocco e alquanto discutibile. – Ti sei unita a noi, come mai? – chiese Kevin accavallando le gambe e portando un braccio attorno al collo di Nicole che si era appena seduta accanto a lui e guardava insistentemente uno dei quadri pseudo – impressionisti appesi alla parete color salmone. – Pensavo di essere stata invitata. – risposi tentando di sorridere, ma probabilmente sul mio viso comparve solo un ghigno che mostrava realmente cosa pensassi di quella casa, lui e quel matrimonio. – Bene, siamo tutti contenti che tu sia qui. Abby ha capito subito chi sarebbe stato bene continuare a frequentare, le coppie hanno bisogno di coppie, Ang. Non devi mica prenderla sul personale! – continuò Nicole alzandosi e raddrizzando ossessivamente il quadro. Guardai Abby la quale distolse lo sguardo dal mio velocemente mentre Marc annuiva al suo fianco, ma per quale motivo non fu ben chiaro a nessuno.

 – Allora, cos’hai da dirmi? – Mi dispiace. – sussurrò quando fummo in veranda e gli altri a programmare le vacanze che avrebbero fatto quell’inverno in Vermont. – Quand’è la data del matrimonio? – A Giugno. – Ci sarò. – Non avevo dubbi. – Abby, cosa credi che succeda parlandomi? Che torniamo ad essere quelle che eravamo a vent’anni? – Ti rendi conto di quante cazzo di cose abbiamo condiviso? – Già, anche con Nicole, e adesso, onestamente, non so chi sia: prima mi ha chiesto un parere sul suo servizio di posate d’argento! – Lo sai che non diventerò mai così. – Come sapevo che Sophie non mi avrebbe mai abbandonata? – Non sei sempre al centro dell’universo, Ang. Non l’ha fatto pensando a te. – Abby, io ci avrei pensato a voi. – Tu non sei capace di tenerti nessuno nella tua vita, come credi avresti potuto gestire la situazione di Soph, come l’avresti aiutata? – Le hai detto tu di andare via? – non rispose, ma sapevo che era così. – Perché? – chiesi in un sussurro laconico. – Perché era giusto che il bambino crescesse in una famiglia, non da due amiche single. – Pensavo di conoscervi ... – Pensavo di fare il suo bene! – Perché tu hai sempre ragione, no? Perché dovremmo seguire i tuoi consigli?! Stai per sposare Marc! – Abby mi guardò mestamente senza aggiungere nient’altro. 

Era la fine di un’era. Non ricordo più perché né quando abbiamo smesso di esserci. Di essere qualcosa, qualsiasi cosa fosse, insieme. Di loro ricordo solo il bene. Non ci siamo dette addio e non abbiamo urlato. Sorridendo e guardandoci di sbieco ci siamo allontanate come si allontanano le stagioni: certe di tornare.

– Ci vediamo al matrimonio. – dissi raggiungendo la porta e senza neanche salutare me ne andai sveltamente tentando di lasciarmi alle spalle e non dar peso a tutte le cazzate che avevano potuto dire in quel pomeriggio stranamente tiepido per essere novembre.

Nel periodo che precedette Natale ritrovai un’armonia interiore che probabilmente avevo perso al liceo, ero paga del mio lavoro, non più alla spasmodica ricerca di cambiamenti, con Liam avevo imparato ad accontentarmi, a gioire per le piccole cose, non sentivo più il bisogno di gesti eclatanti per dare un senso alla mia vita (sebbene non l’avessi ancora trovato la ricerca di esso non mi sembrava più così necessaria), avevo deciso di prendere la vita per quella che sarebbe stata. – Non starò diventando troppo filosofica stando in tua compagnia? – Sta’ zitta, tra poco comincia Friends. – grugnì Liam che dalla cucina del suo appartamento si sporgeva nel salotto per tener d’occhio la televisione. – Grazie, eh. – Andiamo, solo perché sei passata dall’essere Angelansia a una persona quasi normale non significa che tu sia diventata una filosofa. – Ah, ah. – dissi, mostrandogli il mio dito medio alzato. – Hai più sentito Sophie o Abby? – No, quella era la mia vecchia vita. – Ah, già. E come stai in relazione alla tua vecchia vita? – Considerando che nell’ultimo mese ho perso le mie due migliori amiche e tra un paio di giorni rivedrò mio padre e la sua famiglia, il fatto che non mi sia ancora suicidata potrebbe essere considerato a dir poco positivamente. – Wow, sarà che sei più calma da quando Marlon dorme ogni sera da te. – Non sto cambiando per questo! – Si, e ora che lui “ti vuole”, tu non lo vuoi e inizi a prendere tempo, a dire di non volerti sposare e stronzate simili. – Lui sposerà Mel. – Allora perché sprechi tempo con lui? – Mi piace, William. Cosa devo fare? – lui scosse il capo profondamente infastidito per poi dire: – Fa’ quello che vuoi, ho soltanto paura che questo cambiamento non sia dovuto al fatto che stai aprendo gli occhi, ma alla paura. – Potrebbe avermeli fatti aprire lui. – Scherzi? Cos’eri prima della nostra amicizia? – Molto più speranzosa. – Liam mi guardò torvo – Vuoi dire che ti ho tolto la speranza? – No, però sono più razionale. E’ un paradosso! Io dovrei essere quella razionale, non tu. – Sono un uomo dalle mille sorprese. – rispose sornione. – Sei un idiota, in più mi stai costringendo a vedere Friends, che avrò visto milioni di volte, invece di scendere in strada a fare spese. – Prego, la porta è quella. – disse continuando a guardare la televisione con fare assorto e indicandomi distrattamente la porta. – Ma perché siamo amici? Ricordamelo. – Siamo una forza assieme. – Seh. – risposi ironicamente beccandomi un'ironica occhiataccia. – Liam, devo comprare un regalo a tua madre e in più Londra a Natale è stupenda! – continuai a cantilenare con fare bambinesco. – D’accordo! – esclamò Liam esausto di sentirmi lamentare, il che mi fece sorridere perché pensai che non ero mai stata così con un uomo, avevo imparato da mia madre e dalle mie amiche che si deve sempre mostrare il lato più sexy, indipendente, affascinante, sicuro, non quello e nonostante Liam fosse soltanto mio amico era bello sapere che sarebbe rimasto (poco o molto) lo stesso, anche se conosceva gli aspetti negativi del mio carattere. Lo trascinai al mio seguito per le strade innevate di Londra, per negozi e a guardarci semplicemente intorno, a vedere quanto la mia città fosse bella così illuminata e felice. – Sto frequentando una tipa. – Che intendi per frequentare? – chiesi distrattamente mentre guardavo alcune magliette poggiate su uno scaffale di un negozietto dai toni orientaleggianti. – Come lo intende il resto del mondo. – Hai visto per più di una volta una ragazza? – Già. – Perché non sei felice, Liam? Magari è quella giusta. – dissi entusiasta, ma lui mi guardò scuotendo il capo e dicendo: – Lo sai come la penso. – Allora perché la frequenti? – cominciavo ad agitarmi, discutere con Liam risultava la maggior parte delle volte alquanto complicato, soprattutto quanto lui assumeva un atteggiamento tanto enigmatico da far saltare i nervi mentre io continuavo invano a tentare di farlo ragionare. – Perché il tempo passa. – Quindi sei un incoerente del cazzo. – sbottai alzando nervosamente le mani al cielo. – Non dare spettacolo, Ang. Tu incontrerai qualcuno che ti darà il tuo fottuto lieto fine, io mi arrangio, okay? – Ma come puoi essere così idiota? – Ho intenzione di fartela conoscere. – Com’è? Deve avere qualcosa che ti spinge a conoscerla meglio, no? – Non lo so, ultimamente sono confuso. – Ultimamente? – chiesi ironicamente facendolo ridacchiare mestamente – Willy, non farmi preoccupare.
Odio quando mi chiami così. – E’ il tuo nome. – alzò gli occhi al cielo prendendomi per mano e trascinandomi fuori dal negozio. – Caffè? – Non so ... mi andrebbe un ... – tè? – Sono così prevedibile, Willy? – E anche schifosamente inglese. – gli mostrai un sorriso beffardo. – Allora, il suo nome? – chiesi mentre camminavamo alla rotta del Turkish. – Perrie. – Cosa fa nella vita? – L’attrice a tempo perso. – Potresti essere meno simpatico? Mi sto divertendo troppo. – Smettila. – grugnì. – Smettila tu, che cazzo stai passando? – chiesi indispettita dal suo rude comportamento. – Te l’ho detto: non lo so. – Lo sai e non vuoi dirmelo. – Andrà meglio quando saremo a Brighton. – Come vuoi ... sei strano forte, lo sai? – E’ per questo che siamo così amici. – disse sorridendomi dolcemente. 






 

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Capitolo 15
*** Capitolo XV. ***


CAPITOLO XV


Più si avvicinava la data della partenza più Liam sembrava ritornare ad essere straordinariamente di buon umore, finché il calendario non ci ricordò che fosse proprio il ventitré dicembre facendo raggiungere a Liam l’apice della contentezza. Pensai che fosse normale tutto sommato, chissà da quanto tempo non vedeva la propria famiglia e camminava instancabilmente per casa propria afferrando cose a caso e gettandole in valigia. Inutile dire che dovetti rifargliela io e dopo aver pensato anche alla mia avvisai Liam che era il momento di partire, lui mi prese per mano e correndo come un bambino per le scale rischiando di farci cadere molteplici volte riuscimmo chissà come ad uscire illesi dal palazzo e fermare un taxi affinché ci portasse alla London Victoria Station. – Non sei contenta? – mi chiese con fare bambinesco non appena ebbi finito di illustrare il percorso al conducente del taxi. – Si, certo. Ma che ti prende? – Sono solo felice, tutto qui. – scrollò le spalle tentando di ridimensionare invano il proprio entusiasmo. Nel treno si addormentò poggiando il capo sulla mia spalla, mi aveva detto di essere emozionato all’idea di rivedere la propria famiglia e chissà perché non riuscivo a percepire quell’emozione come normale. Stupida, non tutte le famiglie sono disfunzionali come la tua pensai ricordandomi improvvisamente di mia madre e mia nonna, che non sentivo da mesi e alle quali avrei dovuto fare gli auguri, tra l’altro non sapevo neanche la seconda che fine avesse potuto fare dovendo assecondare continuamente le follie di mia madre.

Svegliai Liam scuotendolo dolcemente e dicendogli in un sussurro che eravamo arrivati, al solo udire quelle parole lui si alzò prontamente e prendendo le nostre valige si diresse sveltamente all’uscita. Ad aspettarci alla stazione c’erano il fratello maggiore di Liam, Russell e sua madre, Joan. Non appena Joan vide me e suo figlio (che mi aveva presa per mano dando inizio a quella recita che sarebbe durata per una settimana circa) un sorriso stracarico di commozione si dipinse sul suo volto. Russell anche sembrava essere piacevolmente sorpreso dai miei capelli ramati e il corpo minuto secondo Liam, era come se fossero per la prima volta orgogliosi di una sua scelta. – William! – esclamò sua madre correndogli incontro e stringendolo fra le sue braccia, li guardai sorridente e partecipe di quel momento così dolciastro. – Mamma! – rispose felicemente Liam fra le sue braccia lasciandomi in balia del fratello che, continuando ad osservarmi attentamente, mi strinse la mano per poi dire: – Io sono Russell, tu devi essere Angela. Il piccolo Liam ci ha parlato molto bene di te e devo dire che sei la prima ragazza che conosciamo che sembra almeno avere sembianze dignitose. – Oh, lo prenderò come un complimento. – risposi titubante. – Russell, insomma! E’ modo questo di presentarsi? Io sono Joan, tesoro. – disse stringendomi la mano e sorridendomi dolcemente, un sorriso rassicurante, che sapeva di casa e che ricambiai prontamente. Russell prese la mia valigia e assieme ci dirigemmo alla macchina che avevano pargheggiato nei dintorni. – Cosa fai nella vita, Angie? – chiese Russell osservandomi nello specchietto retrovisore mentre sua madre mi chiedeva se avessi preferenze per quanto riguardava il cibo e la cena che ci sarebbe stata quella sera. Liam mi poggiò una mano sul ginocchio con una naturalezza tale che mi lasciò per un attimo interdetta, ma al contempo dovetti ammettere che stare al suo fianco in quel momento, in quella macchina, in quel contesto non era poi chissà quanto male. – Io sono laureata in ingegneria informatica, faccio la ricercatrice all’Università. – Bella e intelligente, dov’è che l’hai trovata, Ourkid? – ironizzò Russell. – Credi che non la meriti, fratellone? – Tutt’altro, Will. – s’intromise Joan. - Non saprei davvero cosa fare senza di te, tesoro. – lo guardai con un’espressione di complicità e Russell abbassò leggermente lo sguardo, il che fece illuminare gli occhi a Liam che, probabilmente d’impulso, mi attirò a sé facendo sfiorare le nostre labbra. Cazzo eravamo degli attori nati o solo dei gran coglioni che giocavano a marito e moglie e ci riuscivano fin troppo bene rischiando di mettere a repentaglio una fantastica amicizia? – Angie, non sarai mica vegetariana? – No, Signora. – dissi tentando di ridarmi un minimo di contegno e di nascondere il fatto che le mie gote si fossero tinte di un acceso color porpora. – Chiamami Joan. –. Lungo il tragitto ebbi modo di dare uno sguardo superficiale a Brighton, dove da piccola assieme a mio padre scappavo nei weekend d’estate o inizio autunno per fare il bagno, quando il West Pier esisteva ancora. Passarono i colori sgargianti di Blaker Street, la spiaggia ed il Palace Pier ed arrivammo in una strada dai toni grigi e marroncini con ai lati agglomerati di case uguali fra loro. Scendemmo dall’auto e Joan mi prese per il braccio esortandomi a camminare e lasciare la sua prole occuparsi delle valige. Entrai in casa subito dopo quella donnina dai capelli biondastri e un lieve torpore m’investì nonché un odore agrodolce di curry, sapeva d’accoglienza quella casa che, nonostante l’aspetto malandato, faceva una gran bella figura con tutti quegli addobbi e la cura con la quale erano stati disposti. – Ha una casa stupenda. – Grazie, Ang. – mi guidò in salotto dove mi abbandonò sparendo in cucina dopo avermi presentato velocemente Edith, la moglie di Russell, Lorie, Peggy e Sonny, i loro figli, Garrett e Arianna, il primogenito di Joan e sua moglie, Whitney, Rea e Patrick, i loro figli. La situazione era più delicata di quanto pensassi. Ero lì in veste di compagna di Liam, cognato, fratello e zio di quelle persone in quella stanza e mi pianse il cuore al solo pensiero di doverli illudere. Insomma, avevo pensato si trattasse semplicemente di prendersi gioco di qualche vecchia arpia non dei bimbi innocenti e i loro genitori, che mi guardavano studiando il modo più efficace per far amicizia. – Io sono Peggy. – squittì una bimba scostandosi i capelli color mogano dal viso. – Io sono Angie. – risposi sorridendole. – E’ un piacere conoscerti. – mi disse sua madre – Iniziavamo a pensare che Liam avesse intenzione di perdersi tutto questo. – continuò Garrett indicando i propri figli e nipoti. Feci un sorriso di circostanza tentando di allontanare dalla mia mente il pensiero: eccome se ce l’ha. – Papà, lei è la moglie di zio? – chiese Patrick con innocenza indicandomi. – No, tesoro lei ... – E che lavoro fai, Ang? – quello doveva essere Sonny – Io al matrimonio voglio fare la damigella, mamma! Una mia amica, Jenny l’ha fatta. – Whitney. – Zitta Whitney, nessuno si sta sposando! – Arianna. La famiglia di Liam era esattamente come l’avevo immaginata: incasinata e tremendamente spassosa. – Cosa pensate che faccia, bambini? – i loro genitori mi sorrisero grati del fatto che non avessi dato in escandescenza, del resto erano solo bambini, perché prendersela? Perché avevano voluto sapere i fatti miei? Ero un’estranea in casa loro, era normale che volessero sapere chi ero. Così decisi di reggere il loro gioco: – Allora? – incalzai guardando le loro espressioni interdette, chi si mordeva le labbra, chi si guardava intorno portandosi il pollice alla bocca. – La principessa? – Lorie, le principesse non esistono! – Rea, non essere aggressiva! – la ammonì la madre. – La maestra? – scossi il capo e Peggy mi guardò corrucciata. – La veterinaria? – L’astronauta? – Lavoro con i computer. – dissi scrollando le spalle e guardandoli come a dire: sapevo di deludervi, non è niente di divertente. – Tu hai inventato “Call of Duty”?! – chiesero all’unisono Patrick e Sonny con la voce che tradiva l’emozione. – No. – dissi scrollando le spalle e scusandomi tacitamente di averli illusi ulteriormente. Ma non prestarono molta attenzione alla risposta che diedi loro, poiché Liam era appena entrato in salotto al seguito di Russell. Guardarono lo zio per poi gettarsi tra le sue braccia e cominciando a raccontargli dell’ultima partita di calcio della squadra locale. – Facciamo schifo! – Di più. – continuava Liam facendoli ridere, anche le bambine sembravano emozionate alla vista dello zio, ma si avvicinarono solo quando la conversazione tra i tre fu terminata dopodiché fu il turno di Garrett di salutarlo e delle cognate. Ero imbarazzata, fuori luogo e cominciai a mordicchiarmi il labbro inferiore e Garrett sembrò notarlo perché disse ironicamente rivolto al fratello più piccolo: – Liam, perché una ragazza tanto bella e intelligente ha scelto te? – non sembrava serio o cattivo com’era sembrato Russell quando aveva detto più o meno la stessa cosa, Garrett voler davvero bene al fratellino, non che sembrasse che Russell non gliene volesse, soltanto che sembrava che nutrisse un sentimento paterno nei confronti di William e questa cosa mi scaldò il cuore. Questa volta, infatti, alla stessa domanda risposi ridacchiando un :– E’ stato davvero fortunato. – Liam rise con me. – Come vi siete conosciuti? – chiese Edith. – Beh, siamo vicini di casa. – Lei mi odiava! – Certo, e aveva ragione immagino. – commentò Garrett. – Ovviamente, e di certo non posso dire il perché davanti ai bambini. – Ma poi perché hai deciso di sorbirti OurKid? – chiese curiosamente Russell. – Perché siamo diventati amici e ... – guardai Liam negli occhi, ma non con complicità, quello era solito che accadesse, ma con dolcezza, ricordando il momento in cui avevo deciso che Liam dovesse far parte della mia vita. – ... non so perché o quando, ma ho deciso che sarebbe dovuto rimanere con me. – completai arrossendo, Liam mi cinse le spalle con un braccio e mi attirò a sé dandomi un bacio sulla guancia color porpora. – Dopo voglio sapere i dettagli. – mi sussurrò Arianna con fare malizioso passandomi di fianco per raggiungere la suocera in cucina. Anche Edith si alzò e pensai di lasciar soli i fratelli Harris e di seguire Arianna ed Edith in cucina. – Joan, hai bisogno di una mano? – chiesi alla donnina che stava ai fornelli. – Tranquilla cara, puoi apparecchiare assieme ad Edith se vuoi. – disse senza togliere lo sguardo dai fornelli. – Certo. – biascicai con imbarazzo, dovevo sembrare una bambina. Edith mi passò piatti, stoviglie e vino e mentre ci dirigevamo nuovamente in salotto esordì dicendo – Sai, sei proprio come ti immaginavo. Perfetta per OurKid. – quella lì non mi faceva impazzire ed ho il sospetto che neanche io facessi impazzire lei, ma fu gentile e continuò a chiedermi di raccontarle chi fossi e viceversa. Soltanto quando fu pronto e tutti ci sedemmo a tavola notai che non vi era alcun capofamiglia, alcun uomo da capelli bianchi che si sedesse a capotavola e guardasse la sua famiglia mangiare e conversare gioiosamente. A dire il vero me l’ero aspettato e non fu per nulla una sorpresa, ma avevo sperato non fosse realmente così, per Liam e per il fatto che avevo sempre con lui m’ero sempre lamentata di mio padre e della sua volontà di essere eccessivamente presente nella mia vita senza pensare minimente alla possibilità che lui un padre non l’avesse neppure. Liam mi poggiò la mano sulla coscia riportandomi alla realtà e distogliendomi da quei pensieri, durante quel pranzo si parlò del mio lavoro, della mia famiglia, del quartiere in cui ero cresciuta, di Brighton, della scuola dei bambini, del calcio, del braccio che Patrick s’era rotto mesi prima, del fatto che il capo di Arianna fosse uno stronzo e dei continui litigi di Russell e Liam. – Quando erano piccoli era anche peggio! Non potevo lasciarli da soli neppure un attimo! – disse Joan esasperata parlando del cattivo rapporto che avevano i due fratelli. – Ma adesso siamo degli uomini, mamma. – la canzonò Russell facendo ridacchiare tutti. – Vostro padre è uno stupido. – controbatté lei rivolgendosi ai figli di Russell. – Perché litigavamo tanto? – Chissà, Kid. – Scommetto che litigheremmo ancora. – borbottò Liam. Gli strinsi la mano che aveva poggiata sulla mia coscia come a dire taci, idiota. E funzionò perché il fratello fece finta di nulla e Liam tacque. – Dovresti visitare Brighton se non ci sei mai stata, può essere interessante. – disse Arianna. – Volevo portarla al Palace Pier, a cena. – disse Liam. La madre borbottò qualcosa come: è lei, è quella giusta ed io feci finta di nulla chiedendo di più sul posto e su cosa avremmo dovuto visitare in quei giorni.

– Liam, dimmi perché sei di cattivo umore. – Non lo so, ti piace qui? – eravamo in quella camera che gli era dovuta appartenere da adolescente con le pareti tappezzate di poster e alcuni scatoloni con i suoi vecchi vestiti all’interno, le pareti erano tappezzate da poster di band, bottiglie di birra da collezione e foto di un giovanissimo e talvolta ubriachissimo Liam ed i suoi amici, la sua prima ragazza, il suo diploma. – Certo, Liam. Perché? – Così. – Parla, idiota. – Russell è imbarazzante. – Ma smettila, piuttosto io non sarò piaciuta per niente alla tua famiglia, sono un’impedita! – dissi battendomi una mano sulla fronte. – Ma smettila tu! – controbatté Liam ridacchiando. – Potresti goderti questa vacanza? – Potresti darmi un bacio? – il mio cuore mancò qualche battito, Liam era steso sul letto, al mio fianco e per la prima volta, senza che dovessimo fingere, mi chiedeva un bacio. Dovette notare la mia espressione di sgomento perché precisò che stava scherzando, il che a dire il vero un po’ mi dispiacque, ma pensai che tutto sommato fosse meglio così, la situazione ci sarebbe sfuggita di mano se avessimo cominciato a scambiarci effusioni ed altro, perché eravamo amici, nient’altro che buoni amici.

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