E tu chi sei? (Kuroko no Basket edition)

di LadyLicionda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Eiko (prima parte) ***
Capitolo 3: *** Eiko (seconda parte) ***
Capitolo 4: *** Eiko (terza parte) ***
Capitolo 5: *** Eiko (quarta parte) ***
Capitolo 6: *** Eiko (sesta parte) ***
Capitolo 7: *** Eiko (quinta parte) ***
Capitolo 8: *** Eiko (settima parte) ***
Capitolo 9: *** Ti va di diventare amiche? (prima parte) ***
Capitolo 10: *** Ti va di diventare amiche? (seconda parte) ***
Capitolo 11: *** La verità è che lui assomiglia a mio fratello (prima parte) ***
Capitolo 12: *** La verità è che lui assomiglia a mio fratello (seconda parte) ***
Capitolo 13: *** La verità è che lui assomiglia a mio fratello (terza parte) ***
Capitolo 14: *** Tutto quello di cui hai bisogno è fidarti di me (prima parte) ***
Capitolo 15: *** Tutto quello di cui hai bisogno è fidarti di me (seconda parte) ***
Capitolo 16: *** Sei tu Eiko Wadsworth? ***
Capitolo 17: *** Non voglio avere più niente a che fare con te ***
Capitolo 18: *** Questo è un ordine ***
Capitolo 19: *** Sono orgogliosa di te ***
Capitolo 20: *** Io non sono come te ***
Capitolo 21: *** Non voglio sparire ***
Capitolo 22: *** Tu non sei un mostro ***
Capitolo 23: *** Benvenuta alla Seirin! ***
Capitolo 24: *** Io continuerò a credere in te ***
Capitolo 25: *** Non sono abbastanza maturo da lasciar correre ***
Capitolo 26: *** Non distruggerai il mio sogno d’amore ***
Capitolo 27: *** Sta’ lontano da Eiko! ***
Capitolo 28: *** Non dimenticarmi, Ryōcchi ***
Capitolo 29: *** Diventa la sua ragazza ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

 

 

          Dicono che ognuno di noi nasconda dentro di sé un’altra persona, un frammento scollato e separato dal nostro essere primario; a volte schiacciato e represso; a volte semplicemente dimenticato; a volte a noi stessi sconosciuto. Dicono che le persone non cambiano dall’oggi al domani; che è difficile perdere le abitudini; che è necessario celare la propria natura vivendo di menzogne e indossando maschere create su misura. Ma qual è la vera natura di un essere umano? Può davvero un individuo definire se stesso in modo perfetto? È davvero possibile affermare di conoscere se stessi senza rischiare di cadere in errore? Qual è la vera me? Quando le persone mi guardano, chi è che vedono veramente? Chi è la ragazza che compare davanti ai loro occhi?

          Domande a cui credevo di avere una risposta. Ma mi sbagliavo. Come si sbaglia qualunque umano che sostenga di conoscere se stesso. Ognuno di noi non è che un eterno enigma irrisolto, un puzzle i cui pezzi sono in continuo mutamento, rendendo impossibile qualunque combinazione permanente. E la verità più spaventosa è che non siamo quasi mai noi a innescare tali mutamenti. Essi avvengono a nostra insaputa, stravolgendo la percezione di noi stessi che abbiamo avuto fino a quel momento.

“Disturbo dissociativo dell’identità”. O più comunemente noto come “Disturbo di Personalità Multipla”. Così viene definito in ambito medico questo particolare fenomeno da cui tutta l’umanità è affetta.

Ho scoperto improvvisamente di avere dentro di me altre cinque personalità. Per ora sono soltanto cinque, ma chi può dire che non ne compaiano altre in futuro? Io prego ogni notte che ciò non accada. Non potrei sopportarlo. Sono sicura che mi distruggerebbe.

 

Dieci anni fa, quando la gente mi domandava: “E tu chi sei?” avrei risposto: “Mi chiamo Wadsworth Eiko. Frequento il terzo anno delle scuole medie. Il mio colore preferito è il blu. Mi piacciono gli sport, benché non sia portata per nessuno di essi. In realtà non sono portata per nulla in particolare. Sono tranquilla e riservata. Amo i cani. Non parlo molto, ma so ascoltare. Non eccello in nessuna materia, ma me la cavo in tutte. Nonostante abbia tanti sogni e ambizioni, non ho tuttavia le abilità per realizzarli. Sono goffa, timida, maldestra, insicura. Non possiedo una solida autostima. Non sono pessimista, semplicemente conosco i miei limiti e so quanto sia difficile superarli. Non ho un talento speciale, ma a me va bene così. Essere speciali non sempre è positivo. Non mi sono mai innamorata e non ho mai ricevuto una dichiarazione. Tuttavia la gente dice spesso che sono carina. Non ho nemici. Ma neanche persone che possa considerare amici.

Benché appartenga ad una delle famiglie più ricche e influenti del paese, non mi sono mai considerata superiore agli altri. Non è ciò che mi hanno insegnato mio padre e mia madre. Ho un fratello maggiore e una sorella maggiore. Diversamente da me, sono entrambi molto dotati e intelligenti. Ho anche cinque cugini e viviamo tutti insieme nella grande tenuta di famiglia. Siamo sempre stati uniti, fin da bambini. Passo la maggior parte della mia giornata in loro compagnia. Mi trattano bene e sono sempre tutti molto gentili con me. E a me non dispiacciono le loro attenzioni, anche se a volte le trovo soffocanti. Da parte mia cerco di ricambiare il loro affetto come meglio posso, ma finisco quasi sempre col creare pasticci e causare problemi. Eppure nessuno di loro si arrabbia mai con me. Forse perché abbiamo come esempio il legame tra mio padre e mia zia. Fin dalla nostra nascita infatti ci è stato insegnato quanto sia importante per i membri della stessa famiglia prendersi cura gli uni degli altri, accettarsi e proteggersi a vicenda. E in modo particolare io ho potuto godere di questo insegnamento: come ultima arrivata, infatti, ho ricevuto le premure e le attenzioni di tutti.

In qualche modo mi sento protetta e accettata, nonostante le mie imperfezioni. Insomma, mi considero una ragazza normale. È nella mia natura vivere seguendo il mio ritmo, senza affaticarmi per rincorrere il mondo, neanche quando mi lascia indietro.

Io non sono speciale come i miei fratelli o i miei cugini, ma questo loro non me l’hanno mai fatto pesare. Non ricoprirò mai un ruolo di guida all’interno della famiglia, lo so, ma so anche che non verrò mai abbandonata”.

 

Dieci anni fa, quando la gente mi domandava: “E tu chi sei?”, avrei risposto così, sicura di non sbagliarmi. Ma io non sono così. Non lo ero. Non era nella mia natura esserlo.

La mia natura. Quante volte ho pensato e pronunciato nella mia mente questa espressione. Anche io come tutti credevo, anzi ero assolutamente certa di conoscere la mia natura. Di conoscere me stessa. Ero certa di essere l’unica. L’unica me. L’unica Eiko.

Poi sono comparse loro.

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Capitolo 2
*** Eiko (prima parte) ***


Capitolo 1

“Eiko”

 

 

 

 

 

 

La primavera è arrivata in anticipo quest’anno, quasi avesse avuto fretta di far fiorire i ciliegi del lungo viale che si estende dai cancelli della tenuta fino al portone della maestosa villa d’epoca. È una mattina luminosa, tuttavia la brezza pungente del lungo inverno nevoso è ancora percepibile. Emergo dalle coperte con un sonoro sbadiglio. Durante la notte non sono riuscita a chiudere occhio per l’emozione. Oggi è il primo giorno di scuola. Finalmente sono una studentessa del terzo anno.

Sorrido tra me e me quando sento un colpo di nocche alla porta della mia camera.

«Eiko, sei sveglia?».

Rispondo alla domanda emettendo un mugugno indistinto. Ora che è arrivato il momento di alzarsi mi sento improvvisamente assonnata.

«Hai di nuovo passato la notte in bianco?».

Naoko, la mia insostituibile sorella maggiore, si avvicina al letto con un sorriso di stupore sulle labbra. La osservo con attenzione mentre cammina verso di me. Il suo viso è radioso come sempre. I suoi splendidi occhi neri luccicano di tenerezza mentre con una mano cerca di sistemare i miei capelli arruffati. Lei invece è perfetta. La sua pelle è candida come porcellana, i suoi capelli brillano come fili di seta corvina, nella sua voce c’è sempre una dolcezza materna. Il calore delle sue carezze riscalda il mio animo, accendendo in me il buon umore. Adoro essere svegliata da lei.

«Non vorrai arrivare in ritardo il primo giorno di scuola?», si accerta, lasciando sfuggire dalle labbra una risatina divertita. Probabilmente in questo momento i miei occhi sono cerchiati di nero, ed io assomiglio ad un piccolo panda stordito.

Stropiccio energicamente le palpebre e scuoto la testa per scrollarmi di dosso la stanchezza. Mi libero delle coperte con un gesto lento e mi alzo, quando l’improvviso schianto della porta mi fa ricadere indietro sul materasso.

«Buongiooorno!».

«Buongiorno anche a te», balbetto tenendo una mano sul cuore e respirando affannosamente: i buongiorno di mio fratello Tatsuo hanno sempre un impatto molto incisivo sulla mia salute.

Sfoggiando un profondo inchino, degno del migliore attore teatrale, annuncia a gran voce: «La colazione è pronta, mia principessa».

Io e Naoko ci scambiamo uno sguardo di complicità e al suo segnale corriamo verso di lui, afferrando ognuna un suo braccio e trascinandolo fuori dalla mia stanza.

«Fa sempre piacere essere accompagnato da due graziose fanciulle», commenta mio fratello orgoglioso, portando il petto in fuori.

Di tutti e tre, io sono l’unica ad indossare ancora il pigiama, ma questo non mi fa assolutamente sentire fuori posto. Mentre percorriamo il lungo corridoio del primo piano, Tatsuo ci intrattiene con storie divertenti, inventate sul momento per farci sorridere. Questa è di sicuro la sua qualità migliore. L’innata capacità di portare gioia alle persone che lo circondano, di alleggerire la più tetra delle atmosfere in pochi attimi. Accanto a lui è impossibile sentirsi abbattuti o sfiduciati. Come primogenito, e quindi futuro presidente della compagnia di famiglia, ci si aspetterebbe da lui una personalità seriosa e composta. E in effetti quando si tratta di lavoro è incredibilmente affidabile e capace. Tuttavia io preferisco il Tatsuo della sfera privata, il fratello maggiore spontaneo e solare, sempre pronto a regalare una risata e a spargere ovunque il buon umore. Tatsuo è quel tipo di persona che vede sempre il bicchiere mezzo pieno, che riesce a trarre vantaggio da una situazione all’apparenza disperata. Ha una grande forza di volontà e un’incrollabile tenacia. La sua energia, quella sua incontenibile gioia di vivere sono per me come la luce di un faro nelle tenebre del mare notturno. Anche se dovessi perdermi, so che quel bagliore intenso mi raggiungerebbe, mostrandomi la via.

 

Quando infine giungiamo nella sala da pranzo, io e Naoko stiamo ancora ridendo di gusto, completamente rapite dalla brillante narrazione di Tatsuo.

«Vedo che ci siamo alzate di ottimo umore».

La voce profonda e calma di mio padre richiama la mia attenzione sulla lunga tavola imbandita.

«Buongiorno, papà».

Seduto ad un capo del tavolo, mi sorride teneramente, invitando me e miei fratelli ad unirci per la colazione. I miei occhi scivolano quindi sulla splendida figura alla sua destra, mentre prendo posto fra Naoko e Tatsuo.

«Buongiorno, mamma».

«Buongiorno, darling», risponde lei, con la solita grazia della sua melodiosa voce.

Infine rivolgo la parola alla donna che siede alla sinistra di mio padre: «Buongiorno anche a te, zia Azumi».

«Buongiorno, piccola Eiko», pronuncia lei a sua volta, inspirando la fragranza del tè al ginseng, il suo preferito. Ogni mattina ne beve due tazze.

La mia è una famiglia di origini miste. Mio padre è giapponese, mentre mia madre è britannica. Da quando sono nata le persone hanno sempre detto che assomiglio a mia madre. Tatsuo e Naoko, invece, hanno preso dal ramo di nostro padre. Anche i miei cugini hanno sangue misto nelle loro vene, dal momento che mia zia Azumi ha sposato il fratello maggiore di mia madre. In questi giorni, però, lo zio Leonard non è con noi poiché si trova in Germania per conto della compagnia. Come vicepresidente della filiale di Tokyo, è stato incaricato di raggiungere la capitale tedesca per dirigere la costruzione del nuovo Grand Hotel Royal Green. La famiglia Wadsworth è infatti fondatrice della più antica e rinomata catena di edifici turistici ispirati alle bellezze naturali e all’architettura dell’Inghilterra vittoriana. Molti nobili europei del passato hanno alloggiato nelle storiche camere della sede principale di Londra, che attualmente si trova sotto la direzione dello zio Alan, fratello maggiore di zio Leonard e di mia madre.

«Hai di nuovo fatto le ore piccole nel letto, vero Eiko?».

Yoichi, seduto all’altro lato del tavolo, solleva il cucchiaino da tè a mezz’aria e inizia a disegnare cerchiolini nel vuoto, simulando i segni delle miei occhiaie e sogghignando con malizia.

«Non è come pensi», rispondo imbarazzata, avvertendo un lieve tepore sulle guance provocato dalla sua tacita e piccante allusione.

«Ti prego di non attribuire alla nostra Eiko gli atteggiamenti promiscui del tuo ambiguo essere».

In mio aiuto accorre Seiichi, primogenito di zia Azumi. È di un anno più giovane di Tatsuo, ma la sua compostezza, la raffinatezza nel suo parlare, l’eleganza dei suoi gesti a volte mi fanno dubitare della sua vera identità. Ogni tanto mi ritrovo a pensare che il suo corpo sia in realtà abitato dallo spirito di un antico principe, intrappolato nel suo lontano passato e ignaro dei mutamenti sociali avvenuti nel corso dei secoli.

L’espressione inebetita sul volto di Yoichi esprime perfettamente anche la mia confusione.

«Voleva dire che Eiko non è una pervertita come te che passa le notti a leggere manga e riviste porno».

Questa volta è Haruka a parlare, l’ultima figlia di zia Azumi. Contrariamente al suo aspetto grazioso, Haruka ha una personalità molto forte ed è sempre diretta quando parla alle persone. Ci sono momenti in cui vorrei avere la sua spigliatezza per esprimere i miei sentimenti senza vergogna.

«Che cosa stai facendo, fratellone?».

Seguendo con lo sguardo il tono monocorde della voce di Shizuka, quartogenita di zia Azumi, tutti i nostri occhi ruotano sul ragazzo seduto al suo fianco.

«Non lo vedi? Sto cercando di stabilire un contatto con lo spirito di Miyu», risponde Mikio, con fare solenne e grave,  senza sollevare il volto dalla ciotola di latte fumante. Le sue mani fluttuano sopra la densa bevanda bianca creando al loro interno una sfera immaginaria. L’espressione assolutamente concentrata sul volto del secondo figlio di zia Azumi ricorda quella di un chiromante intento a leggere nella boccia di cristallo le infauste rivelazioni di un oscuro avvenire. Tra tutti i membri della mia famiglia non vi è dubbio che Mikio si distingua per la sua eccentricità e stravaganza. Le sue azioni, le sue parole, i suoi stessi pensieri sembrano il mero frutto di una genuina, imprevedibile ma innocua follia. È impossibile anche solo ipotizzare che cosa passi per la sua mente, quale sia la fonte del suo incomprensibile agire. Ma non è una cattiva persona. O almeno non credo che qualcuno capace di versare lacrime per la morte del proprio gatto possa esserlo. Si, Miyu era la gattina di Mikio. È venuta a mancare due mesi fa. Era molto anziana e debole.

Anna, una delle numerose domestiche al servizio della famiglia Wadsworth, si avvicina alla mia sedia. Nella sua mano destra scorgo con la coda dell’occhio una piccola coppa di vetro azzurro, riempita con decine di pezzetti di frutta fresca di stagione.

«La sua colazione, signorina Eiko», annuncia posizionando la coppa di fronte a me, mentre i miei occhi si illuminano alla vista del delizioso breakfast. Senza indugiare, afferro la brocca più vicina e verso il latte sulla squisita macedonia con un sorriso che si allarga da un estremo all’altro del mio volto.

«Non capisco come possa piacerti tanto la frutta?», mi domanda Haruka, i cui gusti alimentari le proibiscono di ingerire qualunque cosa possa definirsi dolce.

Da quanto ricordo, infatti, non l’ho mai vista mangiare nulla che non fosse ridicolamente salato o bere qualcosa che non fosse estremamente amaro. E in questo siamo agli antipodi. Dal canto mio, non riesco proprio a immaginare una dieta senza zuccheri: sarebbe deprimente. I cibi dolci riescono a risollevare lo spirito dalle fatiche quotidiane e sono l’anima di qualsiasi party che si rispetti. Non che io possa definirmi un animale da festa, ma trovo incredibile come una torta di compleanno, una scatola di cioccolatini di San Valentino, o il semplice profumo dei biscotti fatti in casa riescano ad allentare la tensione anche sul volto più indurito. Senza contare che il cioccolato è considerato tra i migliori rimedi per guarire un cuore infranto. Ma forse il carattere schietto, spesso cinico, di Haruka non è altro che una conseguenza della sua avversione per i dolci.

 

Al termine del pasto mi alzo dalla tavola affollata e mi dirigo nella mia stanza per preparami ad uscire. Quando apro la porta, appesa a una delle maniglie delle nove ante che compongono l’immenso armadio sulla parete, trovo la mia divisa scolastica, perfettamente stirata e intrisa del profumo della lavanderia. La osservo per qualche secondo col cuore in trepidazione, nutrendo il mio animo di felici propositi per il nuovo anno accademico.

Come giovane studentessa, non posso affermare di avere vissuto un’intensa vita scolastica, né di aver fatto tutte le esperienze tipiche della mia età, che si tratti di amicizie o di interessi romantici. Non sono mai stata una ragazza socialmente attiva, a causa della mia natura introversa e insicura, quanto piuttosto un’attenta spettatrice. Ascoltare o essere testimone delle esperienze degli altri, senza viverle in prima persona, mi ha fatto sentire ugualmente coinvolta nell’intricata rete delle relazioni sociali. Durante gli anni passati ho acquisito numerosi ricordi indiretti grazie ai racconti e alle confidenze dei miei vecchi compagni di classe. È vero che non ho amici né nemici, ma non sono del tutto asociale. Semplicemente non sono ancora riuscita a costruire un relazione abbastanza forte con qualcuno che possa considerarsi un’amicizia o una rivalità. E ovviamente i legami famigliari non contano. Essere amati dalla propria famiglia dovrebbe essere scontato, naturale. Ma ci sono cose di cui non si riesce proprio a discutere con la famiglia, per quanto unita possa essere. Ed è solitamente in questi casi che entrano in gioco gli amici, quasi sempre coetanei.

Entro nel piccolo bagno annesso alla mia camera per una doccia rapida: sono in ritardo sulla tabella di marcia. Indosso la divisa e le scarpe quando Naoko compare sulla soglia offrendosi di sistemare i miei capelli. Con la mano indica la sedia vicino alla scrivania, di fronte alla finestra socchiusa che affaccia sul parco della tenuta. Appena prendo posto davanti a lei, uno sbuffo di vento primaverile sfiora la mia pelle ed io inspiro il tenue profumo delle rose arancioni proveniente dagli splenditi giardini, curati secondo il classico gusto inglese. Ovunque si posi lo sguardo, la villa Wadsworth sembra voler rendere omaggio alle nobili ed eleganti magioni dell’Inghilterra vittoriana.

Chiudo gli occhi concentrandomi sul calore confortevole del fon che accarezza i miei capelli, mentre i lunghi denti della spazzola corrono dall’alto della mia testa fino alle spalle, dividendo la mia chioma umida in piccole ciocche. Di tanto in tanto sento le dita di Naoko indaffarate a sciogliere qualche nodo formatosi sulle estremità. Il suo tocco è delicato come una carezza e provoca un piacevole solletico. Completata l’asciugatura, percepisco la sua figura sporgersi sopra di me per raccogliere il fermaglio in bella vista sulla scrivania. È forse l’oggetto a cui sono più affezionata. Il giorno in cui sono diventata una studentessa delle medie, poco prima di uscire di casa per raggiungere la scuola e partecipare alla cerimonia di benvenuto, Naoko si è offerta di preparare la mia acconciatura, proprio come oggi. Una volta terminato, mi ha accompagnata di fronte al grande specchio a figura intera, posizionato accanto alla scrivania, e con un secondo specchio rotondo, abbastanza piccolo da essere tenuto con una sola mano appena dietro la mia testa, mi ha mostrato il risultato del suo lavoro. È stato allora che la superficie circolare ha riflesso davanti ai miei occhi il luccichio delle minute pietre blu sui grandi petali del grazioso fermaglio floreale, sapientemente incastonato tra i miei capelli.

«Ecco, adesso sei davvero pronta».

Al suono della voce di Naoko, le mie palpebre lentamente si sollevano, rivelando nuovamente le pupille rimpicciolite dalla luce del sole che illumina la camera. Porto la mano dietro la nuca e proprio lì, sotto le mie dita, si materializza la forma singolare del prezioso fermaglio.

«Ti ringrazio».

Naoko mi rivolge un ultimo sorriso di incoraggiamento, quindi si incammina all’esterno, precedendomi sulle scale che conducono al piano terra. Prima di seguirla mi concedo un’ulteriore controllata allo specchio per assicurarmi che la mia divisa sia in ordine, prelevo la cartella dall’armadio e mi chiudo la porta alle  spalle.

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Capitolo 3
*** Eiko (seconda parte) ***


Una volta varcato il massiccio portone d’ingresso, ad attendermi sull’ampio spiazzale circolare antistante la facciata della villa, su cui troneggia l’imponente fontana esagonale, trovo Arthur, il mio autista personale (ogni membro della famiglia ne ha uno). Non appena si accorge della mia presenza, in un gesto di deferenza, solleva il berretto dal capo e mi accoglie con un inchino.

«Buongiorno, signorina Eiko».

«Buongiorno, Arthur», pronuncio con un soffio di voce, «Perdona se ti ho fatto attendere».

 

Arthur, come la maggior parte dei dipendenti che servono la mia famiglia, è inglese ed è stato educato secondo i costumi europei. È molto giovane, ha infatti la stessa età di Tatsuo, ma svolge il proprio lavoro con grande dedizione e professionalità. E’ una persona responsabile e profondamente rispettosa delle gerarchie. Nutre una sincera ammirazione per mio padre e una devota gratitudine per mia madre.

Da quanto mi è stato raccontato dai miei fratelli, la madre di Arthur era la migliore amica di nostra madre. Era una donna incantevole e la sua bellezza eri pari solo alla nobiltà del suo animo. In lei non era germogliato il seme della corruzione e non conosceva l’invidia. Possedeva molti talenti ma nulla era capace di accendere di passione il suo sguardo come un libro. Ed è stato proprio l’amore per la letteratura a fare incontrare lei e mia madre. Al tempo del loro incontro erano infatti entrambe studentesse di letteratura inglese e americana presso l’università di Londra.

Poco prima della laurea, però, Victoria (così si chiamava la madre di Arthur), ha dovuto rinunciare agli studi a causa di una malattia improvvisa che l’ha costretta a sottoporsi ad una difficile operazione. Una volta guarita è tornata all’università e si è laureata. Due anni dopo si è sposata con un amico di zio Leonard ed è nato il piccolo Arthur. Nel frattempo mia madre ha raggiunto in Giappone lo zio Leonard, già vicepresidente della compagnia, per incontrare il direttore del Grand Hotel Royal Green di Tokyo, Akihiko Kamiya, ovvero mio padre. Il matrimonio dei miei genitori si è celebrato prima a Londra, mentre una seconda cerimonia si è svolta successivamente a Tokyo subito dopo il trasferimento definitivo di mia madre. Nonostante la distanza, però, l’amicizia con Victoria non si mai affievolita e a quanto pare la donna è venuta in visita in Giappone per congratularsi con mia madre in occasione della mia nascita. Quella è stata anche la prima volta in cui Arthur ha incontrato mia madre e i miei fratelli. Io, al contrario, non possiedo alcun ricordo di quel giorno. Tuttavia, poco tempo dopo,Victoria si è nuovamente ammalata lasciando alla fine il piccolo Arthur orfano. Alla notizia che la vita della cara amica si trovava di nuovo in pericolo, mia madre è tornata a Londra per accudire Victoria nei suoi ultimi istanti. Dopo il funerale, al quale hanno partecipato tutti i membri della famiglia Wadsworth, mio nonno, su richiesta di mia madre, ha accettato di assumere nella propria compagnia il padre del piccolo Arthur e di contribuire all’istruzione del bambino. Compiuti i sedici anni, il giovane figlio di Victoria si è quindi presentato ai cancelli della nostra residenza dichiarando di essere finalmente pronto a ripagare il debito di amicizia lasciatogli in eredità da sua madre.

 

Mi avvicino alla limousine bianca che scintilla davanti ai miei occhi, quasi accecandomi. Dopo aver rapidamente riposizionato il berretto sui capelli, perfettamente pettinati all’indietro, Arthur si adopera per aprire lo sportello posteriore e mi porge una mano per aiutarmi a entrare nel veicolo. Infine entra a sua volta nell’abitacolo, sedendo al posto del guidatore.

La residenza Wadsworth si erge nel cuore della campagna giapponese, alle porte della modernissima capitale, e durante la prima parte del tragitto le mie attenzioni sono tutte dedicate al paesaggio campestre che si prepara ad accogliere il nuovo giorno. Una volta raggiunto il centro urbano, però, il mio sguardo si posa sulla miriade di persone che affollano le strade di Tokyo e in qualche modo le immagino come miliardi di formiche operose, lavoratrici infaticabili che corrono attraverso le anguste gallerie del formicaio, anche se le strade principali di Tokyo non sono affatto anguste. Riesco a percepire il vorticoso ritmo della vita di una grande metropoli, l’incalzante susseguirsi di ogni singolo attimo che compone il giorno. Il mondo visto attraverso il vetro della mia auto sembra così distante, intangibile, eppure così familiare.

Non appena arriviamo in prossimità della scuola, la limousine sorpassa una dopo l’altra schiere di studenti raggruppati su entrambi i lati della strada e diretti verso l’edificio che ora si staglia davanti a me. Il veicolo si arresta proprio di fronte ai cancelli e io attendo l’arrivo di Arthur. Quando infine lo sportello posteriore si apre, abbandono la morbida pelle imbottita del sedile per emergere alla luce del sole.

«La attenderò qui al termine delle lezioni, signorina Eiko», annuncia Arthur, augurandomi subito dopo una piacevole giornata e rimontando in auto.

Osservo la limousine allontanarsi per non prestare attenzione ai numerosi occhi puntati su di me: essere l’erede di una delle famiglie più in vista di Tokyo, se non dell’intero Giappone, ha lo svantaggio di attirare costantemente attenzioni indesiderate.

Ignorando i commenti di meraviglia e quelli di invidia, mi incammino all’interno del cortile stringendomi nelle spalle, nella speranza di rimpicciolirmi e passare così inosservata. Per mia fortuna le attenzioni degli studenti trovano presto un nuovo soggetto su cui focalizzarsi. Una seconda limousine, questa volta nera, sopraggiunge alle mie spalle, inducendomi a interrompere momentaneamente la mia avanzata e a voltarmi. Le ragazze più ostili, che fino a pochi istanti prima scandagliavano la mia figura con la stessa accuratezza di una macchina ai raggi X, probabilmente nel tentativo di trovare una pecca nella mia immagine per la quale biasimarmi e criticarmi, sembrano improvvisamente avere cancellato la mia esistenza, divenuta ora completamente invisibile ai loro occhi. Come tante oche a guardia del cortile, corrono le une verso le altre a formare un’unica, interminabile fila perpendicolare ai cancelli della scuola. Schierate le une affianco delle altre, attendono con trepidazione il passaggio del giovane proprietario della lussuosa auto. Un uomo emerge dal sedile dell’autista: indossa una divisa simile a quella di Arthur, ma di un colore più scuro. Senza lasciarsi distrarre dai gridolini di eccitazione e ammirazione che dominano all’ingresso dell’edificio scolastico, si porta di fronte allo sportello posteriore. Nel momento in cui l’anta metallica si dischiude, rivelando così la figura al suo interno, una delle studentesse schierate si avvicina al ragazzo, accogliendo il suo arrivo con un inchino.

«Congratulazioni per essere diventato un allievo del terzo anno, Akashi-senpai (senpai indica in questo caso uno studente più grande). Come vicepresidentessa del Consiglio Studentesco le porgo il bentornato alla scuola media Teikou».

«Ti ringrazio, ma non sono l’unico allievo del terzo anno con cui dovresti congratularti, Yamada», un sorriso appena percettibile ma gentile si distende sul volto del dignitoso interlocutore. «In questa scuola ci sono molti giovani meritevoli e il Consiglio Studentesco non dovrebbe mostrare favoritismi. Tuttavia ti ringrazio per l’impegno e la dedizione con cui ricopri il tuo ruolo. Spero di poter contare sulla collaborazione del Consiglio anche quest’anno».

Anche se non distintamente a causa della distanza che ci separa, intravedo un lieve rossore colorare le guance della vicepresidentessa. Essere lodata dal migliore studente della scuola deve essere sicuramente fonte di orgoglio, ma al suo posto io mi sarei sentita solo terribilmente in imbarazzo.

Akashi Seijuurou, unico rampollo dell’illustre famiglia Akashi, è da molti considerato il fiore all’occhiello della scuola media Teikou e come capitano della squadra di pallacanestro gode sicuramente del rispetto e dell’ammirazione di tutti.

Conosco il nome Akashi da quando ero una bambina. Lo sentii pronunciare per la prima volta una sera, quando mio padre e mia madre rincasarono dopo aver partecipato alla festa di compleanno di un noto industriale, a quanto ricordo un amico di famiglia.  Tra gli invitati c’erano anche l’attuale presidente della compagnia Akashi, Masaomi, e sua moglie Shiori. Quest’ultima venne a mancare poche settimane dopo il felice evento a causa di una terribile malattia. La mia famiglia non partecipò ai funerali. All’epoca i Wadsworth non avevano rapporti di nessun tipo con gli Akashi. In realtà non ne hanno neanche adesso. Semplicemente siamo consapevoli gli uni degli altri per via della notorietà che circonda i nomi delle rispettive famiglie. E neanche dopo aver scoperto che avrei frequentato la stessa scuola dell’unico erede degli Akashi, le cose sono cambiate. La verità è che, durante i due anni trascorsi alla Teikou, io e Seijuurou non ci siamo mai rivolti la parola. Non si è mai presentata per nessuno dei due la necessità di farlo. E comunque non sono sicura di volere essere associata ad un ragazzo tanto in vista. Suscitare le invidie delle mie compagne di scuola, o inimicarmi la vicepresidentessa del Consiglio Studentesco, Yamada, non mi gioverebbe in alcun modo. La famiglia Wadsworth godrà anche dello stesso rispettabilità della famiglia Akashi, ma è anche vero che tale prestigio non è certo il frutto del mio operato. Per quanto ne so, una ragazza poco dotata come la sottoscritta non ha alcun futuro nella dirigenza della compagnia. E a me sta bene così.

Sollevo le spalle in accettazione del mio destino e riprendo a camminare verso l’edificio scolastico, senza tuttavia entrarvi. Mi dirigo infatti ai due grandi tabelloni sui quali sono illustrate le disposizioni delle aule per il nuovo anno. Mi infilo tra la folla approfittando di un piccolo spazio vuoto creato da un paio di ragazze che, dopo avere consultato i cartelloni, si allontanano dalla confusione. Faccio scorrere il dito sulle colonne in cui sono riportati i nomi degli studenti di terza: a quanto pare quest’anno sono nella sezione B, al secondo piano.

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Capitolo 4
*** Eiko (terza parte) ***


Prima di raggiungere la nuova aula, mi assicuro di sostituire le mie scarpe con le pantofole da interni e di riporre le prime nello spazio contrassegnato con il mio nome. Raccolgo la cartella che avevo momentaneamente appoggiato sul pavimento per eseguire il cambio e mi unisco al gruppo di studenti diretti al piano superiore. Raggiunto il lungo corridoio in cima alle scale, inizio a scorrere con lo sguardo i cartellini posizionati fuori alle aule per individuare la mia classe. Avanzo quindi verso la meta ma una volta giunta a destinazione mi rendo conto di non potere entrare nella stanza.

Ad ostruire il passaggio, un fitto stormo di alunne gracchianti, ammassate le une sulle altre in quella che potrebbe apparire come una rissa da strada. Mi avvicino cautamente, abbastanza da avere una visione più dettagliata della situazione senza rischiare tuttavia di essere coinvolta nella turbolenta mischia. Nonostante sia riuscita a ridurre notevolmente la distanza dal chiassoso gruppo, il caotico squittire delle esagitate intruse mi permette di distinguere una sola parola, più che altro un nome.

«Kise-senpai, sei bellissimo».

«Kise-senpai, guarda da questa parte».

«Kise-kun, scattiamo una foto insieme».

A giudicare dal tono rispettoso con cui la maggior parte delle scatenate ragazze si rivolge al proprio idolo, immagino si tratti di alunne del secondo e del primo anno. Mentre cerco di ricordare dove ho già sentito il nome in questione, una gomitata vagante mi colpisce all’altezza della spalla, facendomi perdere l’equilibrio e rovinare al suolo con un tonfo. Il contenuto della mia cartella si riversa sul pavimento, intralciando il passo degli studenti che si affrettano per il corridoio.

Senza badare al dolore provocato dall’impatto improvviso, mi accingo a raccogliere le mie cose, cercando di scansare le imprevedibili scalciate delle scalmanate ammiratrici, ancora ammassate sull’uscio della mia aula. L’impresa si rivela più ardua del previsto, ma alla fine riesco a recuperare più o meno tutti i miei effetti. Nel controllare il contenuto della cartella, infatti, mi accorgo che all’appello manca il portamatite metallico. Ispeziono il pavimento per la seconda volta con maggiore attenzione e intravedo l’oggetto smarrito giacere tra le gambe scalpitanti delle indomabili fanatiche. Provo ad aprirmi un varco nel mezzo dell’intricata foresta di polpacci e ginocchia, non senza fatica, quando all’improvviso, quasi per opera di un incantesimo, il branco di belve assetate di attenzioni si disperde, liberandomi dalla sua asfissiante morsa. Inspiro profondamente, lieta di rivedere la luce, seppure artificiale, delle lampadine che illuminano il corridoio. Senza indugiare sulla miracolosa causa che ha indotto infine le incontenibili ragazze alla quiete e all’ordine, mi appresto a raccogliere l’astuccio, quando una mano, sulle cui dita affusolate spiccano delle unghie corte perfettamente curate, mi precede nell’operazione prelevando l’oggetto metallico al mio posto.

«Ecco, tieni».

Il ragazzo che fino a pochi secondi prima si era rivelato essere l’origine dell’assordante fracasso, è ora inginocchiato davanti ai miei occhi, nella sua mano destra il mio portamatite.

«Grazie», rispondo con un filo di voce, prendendo la scatoletta ovale.

«Stai bene?», ancora una volta l’affascinante idolo mi rivolge la parola, offrendomi un braccio per aiutarmi a rimettermi in piedi.

I suoi occhi luccicano come due gemme d’ambra mentre mi sorridono con galanteria. Ma sono soprattutto le sue lunghissime ciglia ad attirare la mia attenzione e finalmente ricordo. Kise Ryouta. Il famoso modello il cui volto compare ormai su ogni rivista pubblicata nella prefettura di Tokyo. Il giovane talento della pallacanestro che è riuscito a guadagnarsi un posto fra i titolari pochi giorni dopo essersi unito alla squadra. Il sogno proibito di tutta la popolazione femminile delle medie Teikou. E proprio quest’ultima realizzazione mi riporta alla situazione attuale.

Sollevo lentamente lo sguardo per tastare il terreno intorno a me. Come temevo, gli occhi famelici delle ammiratrici di Kise sono ora tutti minacciosamente puntati sulla mia figura titubante, in attesa che io compia il passo più lungo della gamba, dando così loro un pretesto per azzannarmi alla gola. Il nuovo anno è appena iniziato e non ho alcuna intenzione di inimicarmi metà della scuola, ma soprattutto non voglio attirare futili attenzioni sul nome della famiglia Wadsworth.

«Sto bene, grazie», rispondo infine, declinando cortesemente l’aiuto di Kise e rialzandomi da sola. Il mio cuore non batteva così velocemente dall’ultima volta che ho visto un film horror, e non è certo per la vicinanza al ragazzo più desiderato della scuola.

Varco la soglia dell’aula e mi dirigo verso il mio banco. Nonostante sia ormai fuori dalla portata delle pericolose ragazze del secondo e del primo anno, riesco ancora a sentire il peso soffocante dei loro sguardi su di me, mentre un brivido gelido percorre la mia schiena.

«Eiko?».

Una voce femminile vagamente familiare interrompe i miei pensieri timorosi.

«Eiko, sei proprio tu».

«Mayumi?». Le mie pupille si dilatano alla vista della mia vecchia compagna di classe.

«Non puoi immaginare quanto sia felice di vedere finalmente un volto conosciuto», squittisce lei afferrando le mie mani.

Taneda Mayumi. È stata la mia vicina di banco durante il primo semestre del secondo anno. È una ragazza molto socievole ed estroversa che non ama la solitudine.

«Mi sentivo così spaesata in mezzo a tutte queste facce nuove», confessa in tono piagnucolante.

«Una ragazza solare come te non dovrebbe avere problemi a socializzare», controbatto a mezza voce, incapace di comprendere la sua preoccupazione.

«In teoria hai ragione. In circostanze normali non avrei esitato a iniziare una conversazione con i nostri nuovi compagni di classe. Ma la situazione in cui mi trovo adesso è tutt’altro che normale».

Ancora una volta mi sforzo di trovare una motivazione alle sue parole incerte, ma ogni tentativo si risolve in un fallimento. Solo quando i suoi occhi scivolano sul ragazzo biondo accanto alla porta riesco finalmente a mettere a fuoco l’intera scena. Non deve essere facile ritrovarsi nella stessa aula del ragazzo per cui metà della scuola ha una cotta. Ed è ancora più difficile se anche tu appartieni a quell’enorme fetta della popolazione femminile il cui cuore è stato ingiustamente rapito dall’irresistibile idolo. A pensarci bene è stato proprio durante il secondo anno e per bocca di Mayumi che ho sentito il nome di Kise per la prima volta. Per tre settimane i suoi discorsi hanno ruotato ininterrottamente intorno al tanto conteso modello e su ogni pagina dei suoi quaderni compariva a lettere cubitali il nome del bellissimo atleta. A quanto vedo, la sua infatuazione non ha fatto che rafforzarsi.

«Che cosa ti ha detto prima? Che cosa è successo? Sei riuscita a toccarlo?».

L’incalzante interrogatorio di Mayumi mi richiama al di fuori dei miei pensieri.

«A cosa ti riferisci?».

«Poco fa ti ho vista parlare con Kise», nei suoi occhi si accende il bagliore inconfondibile di un feroce entusiasmo.

Nella speranza di spegnere sul nascere il pericoloso focolaio della fervida immaginazione della ragazza di fronte a me, mi appresto a chiarire l’equivoco.

«Non è successo niente di particolare. Stavo cercando di raccogliere le mie cose dopo essere caduta e lui mi ha semplicemente aiutata. Tutto qui».

«Ma c’è stato un contatto fisico, giusto? Non provare a negarlo», l’espressione sul suo volto sembra ora sottile e tagliente come una lama e io ho bisogno di deglutire prima di aprire nuovamente la bocca per rispondere.

«Credo di avergli sfiorato le dita per prendere il mio portamatite», quindi, anticipando la sua prossima domanda, aggiungo: «Con questa mano».

Senza attendere la fine della frase, ma seguendo semplicemente il movimento del mio braccio sollevato, Mayumi afferra la mia mano e con un gesto rapido la appoggia sulla sua guancia, facendola scorrere prima in alto e poi in basso.

«Eiko, ti proibisco ti lavare questa mano per il resto della tua vita», ordina infine tenendo in ostaggio il mio arto.

Il trillo provvidenziale della campanella annuncia l’inizio delle lezioni poco prima che la mia mano perda la sua sensibilità a causa della tenace stretta di Mayumi. Riluttante, la ragazza acconsente a liberarmi e prende posto di fronte a me. Ma la sua testa, a dispetto del corpo proiettato in avanti verso la lavagna, ruota all’indietro per seguire la figura di Kise mentre si accomoda nel banco di fianco al mio.

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Capitolo 5
*** Eiko (quarta parte) ***


«E così siamo compagni di classe, Eiko-cchi (-cchi è il suffisso che Kise utilizza per rivolgersi a tutte le persone per cui nutre rispetto o che considera amici)».

Il largo sorriso che accompagna il mio nome sulle labbra del ragazzo tradisce una natura da esperto dongiovanni. Tra le tante voci che corrono sul conto di Kise, molte lo definiscono come un inguaribile donnaiolo, sempre a caccia di nuove conquiste romantiche. E stando sempre ai pettegolezzi, pare che il giovanissimo modello possa vantare già una ricca collezione alle spalle. Finire nel suo mirino non rientra affatto nei miei piani per il nuovo anno.

«Posso sapere come fai a conoscere il mio nome?», domando facendomi coraggio e sforzandomi di ignorare la pressione esercitata dal suo profondo sguardo ambrato.

«È più che naturale che una ragazza carina come te sia una celebrità».

La sua testa è ora elegantemente appoggiata sulla sua mano, mentre i suoi occhi sono ancora posati su di me in un’espressione allusiva. Notando probabilmente lo smarrimento sul mio volto, le sue parole diventano improvvisamente più esplicite.

«Il tuo nome è famoso quanto quello di Akashi-cchi. Ma forse tu non sei consapevole», le sue labbra curvano allora in un sorriso compassionevole.

«Ma io e Akashi non abbiamo nulla in comune», la mia voce è ora ridotta ad un soffio impercettibile.

Essere paragonata al rampollo della famiglia Akashi non produce altro effetto se non quello di ricordarmi quanto manchevole sia il mio ruolo all’interno del casato dei Wadsworth. A dispetto dei miei fratelli e dei miei cugini, le mie abilità e i miei talenti sono ben lontani dal definirsi tali e l’unico modo in cui una ragazza ordinaria come me possa contribuire positivamente a mantenere alto il nome della famiglia è cercare di mantenere un profilo basso per non causare problemi.

«Esattamente», l’assoluta affermazione di Mayumi riesce in qualche modo ad attirare la curiosità di Kise. «È impossibile che una ragazza timida e impacciata come Eiko abbia qualcosa in comune con Akashi. Dico, l’hai guardata bene?», le sue mani afferrano il mio volto per avvicinarlo a quello del ragazzo, senza lasciarmi alcuna possibilità di ribellione.

«Certo che l’ho guardata bene. A dire la verità la osservo da un bel po’ di tempo e non mi sbagliavo: è proprio carina».

Forse è per colpa della distanza ridottissima che mi separa da Kise, o forse è per colpa della forza esercitata dalle mani di Mayumi sulle mie tempie, ma un intenso calore divampa rapidamente sulle mie guance colorandole quasi certamente di rosso. Imprigionata tra lo sguardo ammiccante di Kise e la morsa ferrea di Mayumi, sento la testa improvvisamente più leggera del solito, e un senso di spossatezza invade tutto il mio corpo. Le mie palpebre sono pesanti e lottano contro il mio volere per calare sui miei occhi. I miei sensi si sono inspiegabilmente affievoliti provocandomi allucinazioni. Sposto lo sguardo oltre il viso di Kise focalizzando la mia attenzione sui banchi alle sue spalle e li vedo ondeggiare prima a destra, poi a sinistra. Solo quando iniziano a muoversi nella mia direzione nel tentativo di raggiungermi, con un gesto istintivo ritraggo la testa liberandomi così dalla presa di Mayumi e allontanandomi da Kise. Inspiro profondamente mentre mi riapproprio di tutte le mia capacità sensoriali e percettive. Non credo affatto che svenire in aula il primo giorno di scuola possa aiutarmi a passare inosservata.

«Va tutto bene, Eiko?», si informa Mayumi, sinceramente preoccupata. «Sei pallida».

Scuoto la testa in segno di negazione per rassicurarla. «Si è trattato solo un piccolo giramento di testa, ma ora è passato».

La debolezza nella mia voce probabilmente non ha convinto né Mayumi né Kise, i cui sguardi apprensivi continuano a sondare le mie condizioni fisiche. Nell’intento di spostare il centro della conversazione su un nuovo soggetto, e anche nella speranza di soddisfare la mia curiosità, mi rivolgo al giovane modello al mio fianco.

«Posso chiederti perché prima mi hai chiamata Eiko-cchi?».

L’espressione allarmata sul volto del ragazzo muta repentinamente in un sorriso accecante.

«Perché è così che chiamo tutte le persone che approvo».

«Ora che ci penso, ricordo di averti sentito chiamare in questo modo anche i titolari della squadra di basket. Però quella volta hai usato solo i loro cognomi», un’ombra di perplessità si fa strada nello sguardo di Mayumi mentre si impegna a ricordare l’episodio in questione.

Kise incrocia le braccia sul petto, prendendo il mento tra l’indice e il pollice, e, simulando lo stesso stato di concentrazione di un detective prossimo a risolvere il mistero più intricato della storia, infine annuncia: «L’ho fatto senza pensarci. Come posso dire? Appena ti ho vista, il tuo nome è uscito dalle mie labbra in modo del tutto spontaneo». Le pupille nere del ragazzo scorrono quindi sulla mia figura, dall’alto verso il basso, per un’attenta ispezione. «Hai una statura nella media e di spalle sembri una studentessa delle medie in tutto e per tutto. Direi che a questo punto è per via della tua faccia».

«Che cos’ha la mia faccia che non va?», lo interrogo abbassando lo sguardo piena di vergogna.

La reazione di Kise alla mia domanda è prontamente accompagnata da ampi e confusi gesti di scuse.

«M-Mi dispiace. Non stavo cercando di offenderti, devi credermi. Non c’è bisogno che fai quell’espressione triste e imbarazzata. Volevo solo dire che il tuo viso è carino come quello di una bambina e che la tua goffaggine ti fa sembrare così indifesa che viene istintivamente voglia di proteggerti».

In qualche modo la spiegazione di Kise alleggerisce il mio cuore, liberandolo da ogni sentimento negativo. Non è la prima volta che mi viene fatta questa osservazione, ma devo credere a questo punto che il mio viso non sembri proprio quello di una ragazza delle scuole medie. In effetti quando ci si ritrova a parlare con i bambini viene naturale rivolgersi a loro utilizzando i loro nomi.

«Capisco perfettamente cosa vuoi dire», interviene Mayumi, condividendo il punto di vista del ragazzo. «Anche io, la prima volta che ho visto Eiko, non ho potuto fare a meno di chiamarla per nome»

«Davvero?», probabilmente l’esaltazione che domina ora lo sguardo di Kise è dovuto al fatto di avere appena trovato qualcuno in grado di comprendere la sua singolare logica.

Consapevole di non avere più le attenzioni dei miei due compagni di classe, li lascio al loro entusiastico scambio di opinioni, in attesa che il professore faccia la sua apparizione in aula. Il cielo di questa mattinata che si appresta a iniziare è terso e luminoso e limpidi sono anche i miei pensieri. Sono di nuovo nella stessa classe di Mayumi e Kise si è rivelato essere un ragazzo simpatico e socievole. Forse sarebbe meglio non farsi vedere in giro insieme a lui troppo spesso, per non attirare scomode gelosie. Tuttavia credo che non ci sia pericolo nello scambiarsi qualche parola mentre siamo in classe. Fino ad oggi non sono stata capace di costruirmi delle vere amicizie e l’anno scorso la mia relazione con Mayumi non si è mai estesa al di fuori delle mura scolastiche. Proverò ad accogliere questa seconda opportunità che mi è stata generosamente concessa e forse, al termine di quest’anno, potrò dire anch’io di avere un’amica. Incoraggiata da questo improvviso ottimismo, sorrido tra me e me quando la porta dell’aula si dischiude annunciando l’arrivo del professore.

 

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Capitolo 6
*** Eiko (sesta parte) ***


Il primo giorno di scuola volge infine al termine. Accendo il cellulare per controllare se ci sono nuovi messaggi nella posta. Con il pollice scorro l’elenco fino a quando il breve segnale acustico mi segnala una e-mail non ancora letta. Clicco sul link aprendo la nuova schermata. Il mittente è mio fratello Tatsuo.

 

Ehi, Eiko, non tornare a casa troppo tardi. Mikio ha i biglietti per il nuovo film horror appena uscito al cinema e non puoi assolutamente tirarti indietro questa volta  :P

 

Un pesante sospiro sfugge dalle mie labbra. In famiglia tutti sono a conoscenza del mio tallone d’Achille, non è certo un segreto. Il solo pensiero di ritrovarmi incollata alla poltrona di una sala cinematografica completamente buia, senza possibilità di fuga, mentre sul maxi schermo viene proiettata la pellicola di uno spaventoso film dell’orrore è sufficiente a terrorizzarmi. Ammetto di non essere coraggiosa; al contrario sono fin troppo suggestionabile quando si tratta di queste cose. Non posso farci niente se ogni volta mi immedesimo a tal punto nelle sfortunate vittime dell’assassino di turno da innescare nella mia testa l’interruttore della paranoia, che puntualmente mi tiene sveglia tutta la notte facendomi immaginare le situazioni più assurde e sussultare al più lieve dei rumori. L’ultima volta sono riuscita a sottrarmi alla crudele tortura solo perché un’improvvisa influenza mi ha costretta a letto. Ma questa sera non ho assi nella manica da poter giocare a mio favore. Devo preparami a trascorrere la solita notte in bianco, col cuore in gola e la mente in totale subbuglio fino al sorgere del sole. Inizio a digitare, senza troppo entusiasmo, la mia risposta sulla tastiera virtuale.

 

Le lezioni sono appena finite. Sarò a casa tra poco  :’(

 

La replica di Tatsuo è immediata.

 

    Brava la mia sorellina. ^^

 

          Ripongo il cellulare nella cartella e raccolgo i miei libri. Mayumi e Kise stanno aspettando appena fuori l’aula. Stanno parlando con qualcuno, un ragazzo con gli occhiali. Ha un aspetto molto serio e composto. Nella sua mano sinistra c’è qualcosa. Sembrerebbe un peluche. È piuttosto bizzarro per un ragazzo camminare trasportando un orsacchiotto di pezza, ma forse è solo un oggetto molto importante, come il mio fermaglio. Distolgo lo sguardo dal corridoio e riporto le mie attenzioni sul banco. Mi assicuro di non aver dimenticato nulla e raggiungo all’esterno i miei due compagni di classe.

«Hai preso tutto, Eiko?», si informa Mayumi, vedendomi comparire al suo fianco.

«Si, penso di si. Chi era il ragazzo con cui stavate parlando? Credo di averlo già visto da qualche parte», la interrogo a mia volta, seguendo con gli occhi la figura in lontananza.

«Chi? Midorima-cchi?», Kise interviene nella conversazione. Sembra impaziente di soddisfare la mia curiosità. «È venuto a consegnarmi il nuovo programma degli allenamenti, che riprenderanno da domani».

«Midorima?», gli faccio eco, sforzandomi di ricordare. «Intendi Midorima Shintarou, il formidabile tiratore della squadra di basket? Ecco perché aveva un’aria familiare». Da quanto ho sentito in giro è anche il vice-capitano. Deve essere una persona molto affidabile.

«Se gli allenamenti ricominciano domani, significa che oggi hai il giorno libero, giusto?», non è affatto difficile indovinare cosa passi per la testa di Mayumi in questo momento. Dopotutto potrebbe essere l’occasione perfetta per rafforzare la sua relazione con l’affascinante idolo.

«Perché non andiamo tutti insieme a provare gli hamburger del nuovo negozio che ha aperto qui vicino? Pare che siano la fine del mondo».

Per fortuna Kise sembra entusiasta almeno quanto Mayumi  e accetta all’istante la proposta.

«Voi andate pure e divertitevi», rispondo invece io, declinando a malincuore l’offerta.

« Eiko-cchi, tu non vieni?», pronuncia Kise con evidente delusione.

«Ha ragione, Eiko. Dobbiamo andare insieme».

Mi volgo verso Mayumi, sfoggiando un sorriso rammaricato.

«Purtroppo ho già un impegno. Mi dispiace».

Preferirei sicuramente unirmi ai miei due compagni di classe piuttosto che tornare a casa ben sapendo cosa mi aspetta. Ma dopo aver dato la mia parola a Tatsuo, sono sicura che, se non dovesse vedermi rincasare come promesso, me lo ritroverei ai cancelli della scuola. Se soltanto Mayumi avesse proposto la sua idea prima di mio fratello, avrei avuto un’ottima scusa per evitare di andare al cinema.

«Se hai già un impegno non possiamo farci niente, ma la prossima volta non voglio sentire scuse, d’accordo?».

Il sorriso che questa volta si apre sul mio volto è sincero e suggella in modo irrevocabile il mio patto con Mayumi. Saluto entrambi con un gesto della mano e mi affretto verso il cortile. Non voglio fare aspettare Arthur e temporeggiare non servirà a risparmiarmi la spaventosa esperienza che mi attende a casa.

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Capitolo 7
*** Eiko (quinta parte) ***


Durante la pausa pranzo Kise è di nuovo vittima dell’assalto delle sue irriducibili ammiratrici: in questo momento sarebbe pericoloso avvicinarsi a lui. Mi accodo a Mayumi e insieme ci dirigiamo all’esterno dell’edificio, per consumare il nostro bentou (bentou è il pranzo a sacco in stile giapponese) su una panchina del cortile: è una bella giornata e siamo entrambe d’accordo sul trascorrere un po’ di tempo all’aria aperta. Ci sistemiamo nei pressi del campo di baseball dove alcuni membri del club si stanno esercitando approfittando dello spacco tra le lezioni. Appoggio il piccolo contenitore sulle mie gambe e lo apro, rivelando il contenuto al suo interno.

«Ah! Eiko, il tuo bentou è super-carino», Mayumi si sporge sul mio pranzo, contemplando con uno sfavillante luccichio negli occhi le curiose palline di riso, lavorate in modo da riprodurre le testoline pelose di tanti cagnolini dalle più svariate razze.

«Questo non è un Golden Retriever, la tua razza preferita?», l’osservazione di Mayumi sposta la mia attenzione sul delizioso boccone indicato dal suo dito.

«Hai ragione. E questo qui invece è un Pastore Tedesco, mentre quest’altro ricorda un Husky», continuo io, riconoscendo una dopo l’altra le simpatiche razze.

«E non dimentichiamoci dell’Akita», conclude infine Mayumi, additando l’ultima pallina di riso nell’angolo più alto della scatola. «Sembrano tutte deliziose. Le hai preparate tu?».

«No, ma credo di sapere chi è stato», rispondo pensando a mia sorella Naoko intenta a destreggiarsi tra i fornelli della cucina. L’immagine da sola basta a farmi sorridere di gratitudine.

«Eiko, ti è arrivato un messaggio», Mayumi mi esorta a prendere il cellulare, impaziente di scoprire l’identità del misterioso mittente.

Il nome che vedo comparire sullo schermo è quello di mia sorella Naoko: il suo tempismo è perfetto come al solito.

 

Ti è piaciuta la mia sorpresa?

 

Con il cuore ancora in fermento per la gioia, mi affretto a risponderle.

 

Assolutamente si. Grazie  ^.^

 

«Vedo che tu e tua sorella siete unite come sempre», l’espressione sul volto di Mayumi si intenerisce alla vista del messaggio.

Annuisco con decisione. Con Naoko ho sempre avuto un legame speciale, fin da quando ero piccola. È un po’ come una seconda mamma, premurosa e gentile. Il suo sorriso è per me un continuo incoraggiamento a dare il meglio di me. Voglio bene a tutti i membri della mia famiglia, ma Naoko ha un ruolo insostituibile nella mia vita. Non potrei immaginare un’esistenza senza di lei. È l’unica persona a cui abbia confidato i miei segreti, le mie paure, le mie insicurezze, i miei interessi, i miei sogni o a cui abbia confessato le mie marachelle d’infanzia o i miei continui fallimenti. E lei non mi ha mai negato i suoi preziosi consigli, né le sue affettuose carezze, né le sue incoraggianti parole. Quando sono in sua compagnia non provo timidezza né vergogna e questo mi permette di parlarle sempre a cuore aperto.

Io e Mayumi trascorriamo il resto della pausa chiacchierando piacevolmente. Più che altro io mi limito ad ascoltarla con sincero interesse mentre decanta le infinite lodi di Kise. È al settimo cielo, lo leggo chiaramente nell’eccitazione della sua voce, nella brillante luce dei suoi occhi, nell’esuberanza dei suoi gesti. E non posso biasimarla. A giudicare da come chiacchieravano in classe, sembrano entrambi andare già molto d’accordo. Verrebbe da pensare che siano fatti l’una per l’altra.

Quando mancano poco meno di dieci minuti all’inizio delle lezioni pomeridiane mi separo da lei, diretta al distributore automatico, mentre Mayumi si incammina verso i bagni al piano terra. Non posso proprio ritenermi soddisfatta senza terminare con uno snack dolce.

La mia prima tappa sono i tre distributori del piano terra, ma con mia grande delusione percorro il tragitto solo per scoprire che tutte le scorte di dolciumi delle tre macchinette sono esaurite. Raggiungo allora le scale più vicine e salgo al primo piano, dove sono collocati altri due distributori, ma anche questi sembrano aver terminato tutte le provviste. La sfiducia inizia a farsi strada nel mio animo, insieme a un sentimento di stupore per la straordinaria coincidenza. È come se tutti gli studenti della Teikou oggi si fossero coalizzati contro di me per depredare le macchinette dei loro rifornimenti zuccherati. Piegata dal peso del mio sconforto, faccio rotta verso l’ultima spiaggia: i distributori del secondo piano. Il primo di essi si materializza di fronte ai miei occhi non appena conquisto la vetta della scalinata. Come uno scalatore in vista dell’impervia cima del monte, trascino sui gradini i piedi che, dopo il lungo e infruttuoso pellegrinare, sembrano ora pesanti come macigni.

«Non ci credo».

L’esclamazione irrompe dalle mie labbra come naturale conseguenza dell’assurdità di cui mi ritrovo ad essere testimone e vittima allo stesso tempo: ancora una volta tutti gli scomparti riservati ai dolciumi sono inspiegabilmente vuoti. Un terrificante pensiero attraversa allora la mia mente, inducendomi per un attimo a rinunciare alla caccia. E se dietro le misteriose sparizioni si celasse lo spirito vendicativo di una vecchia studentessa della scuola, diventata vittima di qualche bullo a causa del suo amore per dolci? O il fantasma salutista del precedente professore di educazione fisica, tornato per ammaestrare gli alunni verso una dieta più equilibrata? In tal caso sarebbe saggio non sfidarli e rimandare a un altro giorno il mio goloso spuntino.

Convinta di aver preso la giusta decisione, imbocco il corridoio delle aule puntando la mia bussola verso la mia classe. Mentre ripenso al pericolo di una maledizione soprannaturale appena scampato, il mio naso si scontra con una superficie dura come roccia, provocando un mio lamento di dolore. Quando sollevo lo sguardo, ciò che compare davanti ai miei occhi è un muro alto almeno due metri e largo abbastanza da riempire tutta la mia visuale. Faccio un passo indietro per allargare il  mio campo visivo e quella che ad un’occhiata più attenta sembrerebbe una sagoma umana prende forma sotto la luce del sole che penetra dalle finestre del corridoio. La divisa scolastica che avvolge l’imponente figura maschile mi suggerisce che si tratta di uno studente, per quanto incredibile possa apparire, tenendo conto delle eccezionali proporzioni dello sconosciuto, che non sembra neppure essersi accorto della mia presenza, quasi non avesse avvertito l’impatto.

«Perdonami, non stavo guardando dove andavo», sebbene intimidita dalla monumentale stazza del ragazzo, mi sforzo di pronunciare almeno le mie scuse, riconoscendo di essere in errore: avrò anche evitato la vendetta degli spiriti dei distributori, ma potrei sempre incappare nella punizione di un gigante infuriato.

Finalmente riesco a guadagnare l’attenzione del colossale adolescente. Il suo mastodontico corpo ruota fino a fronteggiarmi e quando i suoi occhi infine si abbassano per incontrare i miei, il prezioso bottino custodito tra le sue braccia mi lascia assolutamente sbigottita. Decine di  pacchetti di dolciumi traboccano dai due muscolosi arti superiori, minacciando di precipitare al prossimo movimento del ragazzo.

«Ma questi sono…possibile che…», incapace di formulare una frase compiuta, mi limito a guardare le numerose confezioni, che all’inizio della giornata erano sicuramente esposte all’interno dei diversi distributori e che ora giacciono invece in un unico e disordinato mucchio tra le braccia sovraccariche dell’ingordo ladro di merendine.

Seppellita nel cumulo, riesco a scorgere una scatola di Pocky, i deliziosi grissini ricoperti di cioccolato che avevo intenzione di comprare prima di tornare in classe. Dopotutto non sono pronta a rinunciarvi. Annullando per un momento la presenza del gigantesco ragazzo di fronte a me, le mie labbra si curvano in un’espressione imbronciata mentre le mie pupille si posano con avidità sull’agognato spuntino. Avere l’oggetto della mia instancabile ricerca a pochi centimetri dal mio naso e non poterlo tuttavia afferrare genera nel mio petto una insostenibile frustrazione che sfocia in un pianto silenzioso. L’unica consolazione è che adesso sono certa che spiriti e fantasmi non hanno nulla a che fare con questo sfortunato incidente. Eppure non riesco a sentirmi del tutto sollevata. Come è possibile che una sola persona possa mangiare così tanti dolci in una volta? Magari non si tratterà di un abitante dell’aldilà, ma è comunque impensabile che un simile individuo sia umano. E se si tratta davvero di un alieno venuto da un altro pianeta, non avrei alcuna probabilità di riuscire a convincerlo a condividere con me il suo goloso bottino.

Un sonoro e lungo sospiro di rassegnazione abbandona le mie labbra, come un’anima si separa da un corpo spezzato. Dal momento che il mio interlocutore sembra troppo impegnato a masticare una barretta di cioccolato per parlare, mi convinco a riprendere la mia marcia verso l’aula, in cui sono certa Mayumi sta aspettando il mio ritorno da un pezzo. Ma è proprio mentre mi accingo a muovere il primo passo che l’inaspettato gesto del ciclopico adolescente mi induce a temporeggiare. Senza emettere suono, preleva dal mucchio di dolci la scatoletta di Pocky per adagiarla tra le mie mani.

«Non capisco», sono le uniche parole che escono dalla mia bocca mentre i miei occhi umidi si sollevano per incontrare due iridi splendenti come gemme d’ametista.

«Puoi mangiarli, se vuoi», risponde il ragazzo, svelando una voce incredibilmente fiacca e inespressiva.

Non sono sicura di cosa lo abbia convinto a cedermi il piccolo tesoro, ma lo accetto volentieri, seppure titubante. Forse non è una persona così egoista come pensavo. Nel preciso istante in cui la sua smisurata figura mi oltrepassa, allontanandosi nella direzione opposta, un’intuizione attraversa la mia mente. Tra gli attuali titolari della squadra di basket c’è un ragazzo irragionevolmente alto, ma altrettanto talentuoso: il suo nome è Murasakibara Atsushi.

Il trillo acuto della campanella echeggia per il corridoio facendomi sobbalzare. In qualche modo sono riuscita ad ottenere quello che volevo e ciò è sufficiente per risollevare il mio morale. Purtroppo dovrò attendere la fine delle lezioni prima di concedermi il dolce spuntino, dal momento che non è consentito mangiare in classe al di fuori della pausa pranzo.

Non appena varco la soglia dell’aula, Mayumi abbandona il proprio banco per corrermi incontro.

«Finalmente, Eiko. Ma dove eri finita?».

«Scusa, ma ho avuto un contrattempo», confesso senza scendere nei dettagli della mia disavventura. Tuttavia decido di menzionare il mio fortuito incontro con il colosso del club di basket. «Mentre tornavo ho incontrato Murasakibara Atsushi».

Le palpebre di Mayumi si dilatano in uno sguardo esterrefatto. «Ti sei imbattuta nel gigante e sei ancora tutta intera?».

Annuisco con molta tranquillità. «Tralasciando il suo aspetto spaventoso, è una persona gentile. Si è perfino offerto di condividere con me la sua scorta di dolci», riporto infine mostrando il pacchetto di Pocky ottenuto all’ultimo momento.

«Cosa? Murasakibara-cchi ti ha davvero regalato quei Pocky?».

Kise compare alle nostre spalle. Non ha una bella cera. Probabilmente le sue fan non gli hanno dato tregua nemmeno durante la pausa pranzo.

«Si. È davvero così strano?», domando confusa, attendendo la risposta dell’esuberante modello.

«Quel ragazzo non è affatto il tipo che si priverebbe di un dolce per darlo a qualcun altro. Soprattutto se si tratta di un estraneo. Che cosa hai fatto esattamente?».

L’interrogativo si rivela di difficile interpretazione. Continuo a non comprendere lo scetticismo nelle parole di Kise. È vero che Murasakibara, ad un primo sguardo, mi ha dato l’impressione di essere una persona avida ed egoista, ma mi sono ricreduta non appena ho ricevuta dalle sue stesse mani la confezione di Pocky che tanto desideravo. Non mi è sembrato affatto dispiaciuto di condividere con me la sua preziosa provvista.

«Non ho fatto niente. Ho girato tutta la scuola in cerca di questi Pocky, ma erano già stati prelevati da tutti i distributori, insieme a tutti gli altri dolci. Quando ci siamo scontrati nel corridoio e ho notato la scatoletta spuntare dal mucchio di pacchetti che teneva fra le braccia, mi sono rattristata, ma non ho detto nulla. Non potevo certo costringerlo a darmi qualcosa di cui era entrato in possesso prima di me».

Kise si sporge in avanti per scrutare il mio volto. È incredibilmente vicino e l’estrema concentrazione nel suo sguardo mi induce a trattenere il respiro.

«Ma certo, ho capito», esclama infine con un grido di esultanza. «Sono sicuro che dopo aver visto questa espressione abbattuta sul tuo viso, Marasakibara-cchi si sia sentito colpevole, come un adulto che ruba le caramelle a un bambino. Hai davvero un talento innato, tu», conclude quindi visibilmente divertito, dandomi un amichevole colpetto sulla spalla.

Non sono sicura di cosa stia dicendo Kise, ma credo di aver capito che la mia faccia potrebbe avere convinto Murasakibara a regalarmi questi Pocky. Probabilmente, senza volerlo, devo avergli fatto pena, non che la cosa mi renda orgogliosa. Senza rimuginare troppo sull’accaduto, mi sistemo nel mio banco e apro il libro di inglese, preparandomi alla prossima lezione.

 

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Nota d'Autrice:
Visto che non l'ho fatto alla fine del primo capitolo, ho pensato di scrivere qualche riga alla fine di questo nuovo episodio. Innanzitutto grazie per aver letto la storia fino a questo punto. ^^  Come autrice sono molto interessata a leggere le vostre recensioni poichè credo che mi aiuterebbero sicuramente a migliorare la narrazzione, perciò se avete opinioni al riguardo assicuratevi di  condividerle. E' vero che questa storia è appena iniziata, ma se trovate che vi siano elementi che possano essere migliorati  o se avete semplici consigli o richieste spero che decidiate di esprimerle liberamente. In realtà questa FF ho iniziato a scriverla più per un desiderio personale e all'inizio non avevo in progetto di pubblicarla. Questa è anche la prima FF in cui parte dei personaggi  sono stati presi in prestito da un'altra opera. Di solito preferisco scrivere storie completamente originali. Tuttavia, essendo una grande fan di KNB, o pensato di cimentarmi anche in questo genere.  Vi informo che la storia sarà molto lunga e, come penso avrete notato, i capitoli verranno pubblicati  spezzetatamente. Spero di  riuscire a mantenere alto il vostro interesse e di farvi affezionare non solo ai personaggi di KNB ma anche ai nuovi protagonistii. ^.^

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Capitolo 8
*** Eiko (settima parte) ***


Come previsto, durante l’intera proiezione del film il mio viso  non si è separato neanche per un attimo dalla manica della maglia di Naoko, che ha accettato di sedersi accanto a me. Le mie mani non hanno allentato la presa sul suo braccio neppure per assaggiare gli invitanti pop-corn caramellati, che alla fine sono stati divorati senza pietà da Yoichi, seduto invece sulla poltrona alla mia destra. Non contento di avermi privata della mia unica golosa consolazione, si è divertito per la maggior parte del tempo a ridere della mia sfortuna, stuzzicando la mia paura e provocando le mie disperate reazioni ad ogni occasione. Se non mi fossi trovata in un luogo pubblico, affollato da sconosciuti, non mi sarei certo impegnata per soffocare le grida di terrore che minacciavano di squarciare la mia gola ad ogni scena del film, o ad ogni scherzo di Yoichi. A parte la mia fobia per il cinema horror, però, è stata una serata piacevole. Era da un po’, infatti, che non passavamo del tempo tutti insieme.

Siamo rincasati piuttosto tardi: sono già le undici passate. Non c’è da stupirsi se siamo stati rimproverati sia da mio padre che da mia zia, ma abbiamo assicurato a entrambi che la tarda uscita non ci impedirà di alzarci in orario domani mattina e alla fine ci hanno perdonati. Tatsuo, Naoko, Seiichi e Mikio sono ormai studenti universitari e non è insolito per loro rimanere fuori casa fino a serata inoltrata. Yoichi, Shizuka e Haruka frequentano le scuole superiori mentre io ho appena iniziato l’ultimo anno delle medie. Anche se Haruka ha solo un anno più di me, è piuttosto indipendente e poco incline a rispettare i coprifuoco imposti da zia Azumi.

Mi lascio cadere all’indietro sul materasso del letto. Ovviamente mi sono adoperata per accendere tutte le luci della mia camera. Nella mia testa continuano a ripetersi le scene più spaventose del film, come un disco rotto che riproduce sempre la stessa sequenza musicale. Provo a sfogliare la rivista dedicata agli amanti dei cani che ho comprato ieri. È piuttosto interessante, soprattutto la sezione che spiega come evitare gli errori più comuni che si compiono quando si adotta un cucciolo.

L’unico animale domestico in casa nostra fino a poco fa era Miyu, la gattina di Mikio. L’ha notata una mattina andando a scuola (all’epoca frequentava le elementari), abbandonata in uno scatolone sul ciglio della strada. Era così piccola da entrare nel palmo di una mano. Fin da bambino, Mikio è stato un amante degli animali e se zia Azumi non avesse posto un limite agli sventurati trovatelli che mio cugino aveva il permesso di adottare, l’intera villa Wadsworth si sarebbe trasformata in una fattoria.

Non passa molto tempo prima di rendermi conto che la lettura in cui mi sono cimentata non è abbastanza per distrarre i miei pensieri dal ripercorrere gli agghiaccianti eventi delle ultime due ore. I miei nervi sono ancora tesi come corde di violino e io temo che possano spezzarsi da un momento all’altro. Il silenzio che mi circonda in questo momento, inoltre, non contribuisce affatto ad alleggerire l’atmosfera. Se non avessi quattordici anni, non esiterei ad infilarmi in camera di Naoko per chiederle di dormire insieme, come succedeva spesso quando ero bambina. 

Mi siedo alla scrivania e accendo il computer. Mi destreggio fra diversi siti di manga finché non ne trovo uno la cui trama cattura il mio interesse e mi immergo in una nuova lettura. Rimango concentrata sullo schermo per circa un’ora, quando un inizio di sonnolenza si fa strada attraverso il mio corpo. Per nulla intenzionata a opporre resistenza, spengo il PC e mi infilo sotto le coperte lasciando accese le luci, ma non appena socchiudo le palpebre un fruscio risveglia tutti i miei sensi facendomi scattare in posiziona seduta.

«È solo un uccello notturno tra le fronde degli alberi», mi ripeto nella speranza di riuscire a convincermi. Ma una volta attivato, il congegno della paranoia rimane in funzione anche senza essere alimentato.

I miei occhi corrono freneticamente da un angolo all’altro della stanza in cerca dell’invisibile presenza in agguato. La parte più razionale del mio cervello continua a suggerirmi che sono l’unica persona nella camera da letto, ma il mio subconscio, ormai schiavo devoto della suggestione, mi impone di mantenere alta la guardia contro un pericoloso nemico inesistente. Per diversi minuti l’unico suono percepibile è il mio respiro pesante che, contro ogni previsione, ha l’effetto di tranquillizzarmi, inducendo nuovamente uno stato di sonnolenza. La mia testa scivola lentamente sul cuscino e la tensione che attanagliava i miei nervi inizia a sciogliersi fino a estinguersi del tutto. La percezione del piccolo mondo racchiuso fra le mura della mia camera si affievolisce progressivamente fino a catapultarmi in una dimensione sospesa tra il sogno e la realtà. Ogni cosa intorno a me perde a poco a poco la sua forma perfettamente delimitata entro confini fisici, diventando un’immagine sfocata e confusa che si fonde con quella più vicina. Ancora una volta le palpebre stanche calano sulla mia vista solo per riaprirsi con uno scatto non appena il battito di una mano sulla porta richiama la mia coscienza nel mondo sensibile.

«Chi è?», la mia voce esplode come il tappo di una bottiglia di spumante, mentre il mio cuore ricomincia a battere alla stessa velocità di una galoppata.

«Sono io. Posso entrare?».

Mi basta un secondo per riconoscere il tono gentile di Naoko attraverso la parete. Allungo la mano per afferrare la sveglia sul comodino: è quasi l’una e mezza, che cosa ci fa ancora in piedi a quest’ora? Non che possa dirmi dispiaciuta della sua visita.

«Certo, vieni pure», rispondo emergendo dalle coperte e mettendomi seduta.

L’anta si dischiude e la splendida figura di Naoko si manifesta, avvolta in una veste di raso semiaderente lunga fino al ginocchio. L’orlo inferiore impreziosito da un candido merletto.

«Sapevo che ti avrei trovata ancora sveglia», esordisce con un tenero sorriso sulle labbra di pesca.

Si avvicina al mio letto con il passo leggero di una ninfa e si adagia accanto a me.

«Non riesci ad addormentarti, vero?».

Alla sua domanda annuisco, portando una mano sul petto per ascoltare il mio cuore che ancora non riesce a calmarsi.

«Continuo a ripensare al film», confesso quindi, lieta di avere finalmente una presenza confortevole al mio fianco.

«Non posso biasimarti. È stato abbastanza spaventoso anche per me», le parole di Naoko raggiungono le mie orecchie come il canto melodioso di un pianoforte. So che è sincera e che in questo momento è l’unica persona in grado di comprendere il mio turbamento.

«Vuoi che resti a farti compagnia finché non ti addormenti?», propone infine, interpretando l’espressione supplichevole sul mio viso.

«Davvero lo faresti?», ribatto io, un po’ in colpa per la mia tacita ed egoistica richiesta.

Con un cenno della mano, Naoko mi invita ad infilarmi sotto le lenzuola e inizia ad accarezzare dolcemente i miei capelli. Il tocco delle sue dita è così delicato e familiare che il mio corpo si abbandona istintivamente ad esso. Ogni pensiero negativo si allontana dalla mia mente per essere sostituito dai ricordi più sereni della mia infanzia, prima di mutare in allegri e luminosi sogni. In lontananza percepisco la voce di mia sorella intonare una nostalgica ninna nanna, che guida il mio subconscio fino alle terre del greco Morfeo. Appena prima di perdere i sensi, le labbra di Naoko si posano sulla mia fronte sigillando il mio sonno fino al sorgere del sole.

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Nota d’Autrice: Con questa settima parte si conclude il primo capitolo e la nostra Eiko ha incontrato tutti i membri della Generazione dei Miracoli. Quale destino attende la nostra protagonista?
Se avete dedicato un po’ del vostro tempo a leggere la storia fino a questo punto, non esitate a condividere con me le vostre opinioni o le vostre critiche. Ogni vostra recensione sarà per me un prezioso aiuto a migliorare come scrittrice per regalarvi una storia indimenticabile ^.^

 

 

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Capitolo 9
*** Ti va di diventare amiche? (prima parte) ***


Capitolo 2

“Ti va di diventare amiche?”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

          È trascorsa una settimana dall’inizio del nuovo anno scolastico. Il carico di compiti che i professori ci assegnano ogni giorno è decisamente superiore rispetto all’anno scorso e al termine dei corsi sono quasi sempre costretta a ritornare subito a casa per attendere alle lezioni supplementari del mio tutore privato. Più che altro l’insegnante assunto da mio padre si assicura semplicemente che io non abbia incontrato troppe difficoltà nell’apprendimento dei nuovi concetti spiegati in classe. È vero che non sono un genio, ma non sono neanche così stupida da dovermi impegnare due volte più dei miei compagni per non rimanere indietro. Tuttavia comprendo l’apprensione dei miei genitori nell’adoperarsi affinché riceva la migliore istruzione possibile. Anche se non prenderò posto tra i futuri dirigenti della compagnia, non posso certo adagiarmi sugli allori. E comunque sia mio padre che mia madre conoscono perfettamente il mio potenziale e non cercano in alcun modo di spingermi oltre i miei limiti, solo per mantenere alto il nome della famiglia. Ecco perché studiare per me non è così spiacevole o stressante come forse lo è per la maggior parte dei miei coetanei, soprattutto considerando che spesso mi ritrovo a condividere le mie sessioni di studio pomeridiano con Yoichi, Shizuka e Haruka. Tuttavia i miei impegni extrascolastici mi hanno impedito fino a questo momento di accettare l’invito di Kise ad assistere agli allenamenti della squadra di basket.

          All’inizio dell’ora di educazione fisica, Fujioka-sensei (sensei significa insegnante) mi ha incaricata di andare a prendere alcuni dei nuovi palloni da pallavolo che sono arrivati due giorni fa e che sono stati momentaneamente sistemati nel magazzino annesso alla palestra. Il piccolo deposito si trova però all’esterno, proprio di fronte ai campi di calcio, per cui ora mi sto dirigendo lì da sola. Quando raggiungo la destinazione, tuttavia, la porta è già aperta e all’interno trovo un ragazzo intento a sistemare un paio di vecchi palloni da basket.

«Chiedo scusa per l’intromissione», annuncio la mia presenza prima di entrare a mia volta nell’angusta e poco illuminata stanza.

Attirato dalla mia voce, il minuto studente mi concede le sue attenzioni e i nostri sguardi si incontrano. I lineamenti del suo viso sembrano incredibilmente giovani: penso di capire finalmente che cosa volevano dire Mayumi e Kise quando dicevano che non dimostro affatto la mia età. Se non indossasse la divisa della scuola Teikou, avrei sicuramente scambiato il ragazzo davanti a me per uno bambino delle elementari smarritosi sulla via del ritorno verso casa.

Per diversi, e oserei dire interminabili, secondi restiamo entrambi in silenzio osservandoci a vicenda. I suoi grandi occhi azzurri come topazi sembrano, per qualche inspiegabile ragione, meravigliati dal fatto che io abbia notato la presenza del loro esile proprietario nonostante la penombra. Diversamente da me, forse, questo ragazzo è davvero abituato a passare inosservato. Oppure è semplicemente sorpreso di vedere un’altra persona in questo remoto e decadente angolo della suola.

«Prego», finalmente le sue labbra si dischiudono per comunicare con me. Ha una voce sottile e leggera, ma allo stesso tempo piacevolmente pacata.

Avanzo verso la parete di fondo, dove sono accatastati i nuovi palloni da pallavolo. Ne scelgo tre e, dopo averli saldamente sistemati tra le mie braccia, mi incammino verso la palestra. A causa della scarsa illuminazione dello stanzino o, più verosimilmente, a causa della mia innata goffaggine, riesco a compiere solo un passo prima di inciampare in uno scatolone e precipitare al suolo. Il tonfo è così forte che sono pronta a scommettere che l’hanno sentito anche da fuori. La mia prima preoccupazione è accertarmi delle condizioni dei palloni, sparpagliati ora sul pavimento polveroso. Raccolgo rapidamente i primi due, caduti a pochi centimetri da me. Il terzo invece sta ancora rotolando verso la porta e minaccia di spingersi fino all’esterno, in direzione dei campi di calcio.

«Fermati!», è l’unica parola che riesco ad emettere mentre annaspo sul sudicio pavimento cercando di rialzarmi.

In un periodo di tempo breve quanto un battito di ciglia, l’esile ombra del taciturno ragazzo compare ad oscurare la luce che tenta di infilarsi nella stanza e il pallone si arresta appena prima di varcare la soglia della porta spalancata, arenandosi tra le smagrite gambe del giovanissimo studente, il quale si china in avanti per raccogliere la sfera coperta di polvere.

«Ti ringrazio», pronuncio immediatamente, emettendo un sospiro di sollievo.

Mi sollevo da terra per raggiungerlo e recuperare l’oggetto in questione, ma non appena allungo il braccio per ricevere il pallone avverto un tremendo bruciore in prossimità del gomito.

«Devi esserti graffiata quando sei caduta», osserva il misterioso sconosciuto, offrendosi subito dopo di accompagnarmi in infermeria.

«Non posso», ribatto prontamente, ignorando il dolore. «Devo prima portare questi palloni alla professoressa».

Il piccolo ragazzo riflette per un momento quindi, con un cenno di assenso, mi invita silenziosamente a seguirlo in palestra. Cammino dietro di lui mantenendo gli occhi sui suoi piedi. Il suo passo è quasi impercettibile, ma regolare. Osservandolo meglio, sembrerebbe più basso di me di un paio di centimetri. Non percepisco nulla di speciale dalla sua figura e forse è proprio per questo che trovo la sua compagnia insolitamente confortevole. Mayumi e Kise hanno entrambi una personalità molto vivace, così diversa dalla mia. L’energia sprigionata da Mayumi è calda e vigorosa come la fiamma di un camino scoppiettante, mentre l’entusiasmo di Kise è travolgente e accecante come il bagliore del sole. Paragonato a loro, il ragazzo di fronte a me assomiglia più ad una pallida luna, o ad una stella fredda. Più che un pianeta, sembra un piccolo satellite che non può fare a meno di gravitare all’ombra dei grandi corpi celesti.

Dopo avere ottenuto il permesso dalla professoressa Fujioka, come promesso ci dirigiamo insieme verso l’infermeria. È una lunga e quieta passeggiata per i corridoio della scuola. A quest’ora gli alunni si trovano nelle rispettive classi, impegnati a seguire le lezioni e io e il mio gracile accompagnatore siamo le uniche persone nei paraggi. Improvvisamente decido di spezzare il gravoso silenzio.

«Non mi sono presentata. Sono Eiko Wadsworth della 3-B. Grazie ancora per il tuo aiuto».

«Io sono Kuroko Testuya della 3-C. Molto piacere», risponde cordialmente, voltandosi verso di me. L’espressione sul suo viso è indecifrabile e io non sono sicura se in questo momento trovi la mia presenza piacevole o fastidiosa. Dal momento, però, che è stato lui a proporre di accompagnarmi, forse non dovrei essere così pessimista.

Finalmente giungiamo a destinazione. Mi introduco timidamente nella stanza dell’infermeria, dove la dottoressa Saito attendeva probabilmente con trepidazione l’arrivo di un paziente. Nel momento in cui faccio scorrere la porta, infatti, abbandona la sua sedia imbottita scattando come una molla e a grandi passi, quasi correndo, si precipita ad accogliermi con un larghissimo sorriso disegnato sulle labbra.

«Benvenuta. Che cosa ti è successo? Una slogatura? Un raffreddore improvviso? Un mal di pancia? Oppure un’emicrania?», le parole rotolano dalla sua bocca come sassi da una scogliera, stordendomi per un momento.

«No, niente di tutto questo. Solo una sbucciatura», rispondo io, esponendo la ferita all’analisi della donna.

Quest’ultima, dopo una prima e rapida diagnosi, mi chiede di seguirla dietro la tenda di uno dei tanti lettini, per procedere alla medicazione. Prima di ubbidirle, però, mi volto indietro per ringraziare ancora una volta Kuroko, ma lui non è più nella stanza e non importa quanto i miei occhi si affannino a cercare la sua sagoma, poiché sembra essere evaporata nel nulla. Se lo incontrerò di nuovo, mi assicurerò di sdebitarmi per il suo aiuto.

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Capitolo 10
*** Ti va di diventare amiche? (seconda parte) ***


Per tutto il resto della giornata, Kise e Mayumi non hanno lasciato il mio fianco per un solo istante, impedendomi di utilizzare il mio braccio accuratamente fasciato. Non mi hanno neanche concesso di utilizzare le bacchette durante il pranzo (sono stata imboccata da Mayumi) o di portare la mia cartella, che al termine delle lezioni è stata letteralmente presa in ostaggio da Kise. So che hanno agito in buona fede perché erano preoccupati per me, ma le loro asfissianti attenzioni hanno fatto apparire la situazione peggiore di quanto fosse. Per tutto il tempo mi sono sentita come una celebrità attorniata dalle sue guardie del corpo e questo mi ha messo a disagio per due motivi. Primo, io non sono affatto così importante. Secondo, ancora una volta ho fallito nel passare inosservata come mi era riproposta all’inizio dell’anno scolastico.

Tuttavia, parlando con Kise, ho scoperto qualcosa di eccezionale sul conto di Kuroko Tetsuya. Non l’avrei mai detto, ma a quanto pare anche lui è un membro titolare della squadra di basket e, a giudicare dalle parole del mio compagno di classe, le sue abilità sul campo sono a dir poco straordinarie. Ammettendo che il discorso di Kise sia riuscito a stuzzicare la mia curiosità e ricordando che oggi non devo tornare a casa presto poiché non ho lezione con il mio tutore privato, ho infine accettato di recarmi ad assistere agli allenamenti del club di pallacanestro, dopo aver debitamente informato mia madre sul mio ritardo.

L’allenatore non ha opposto obiezione alla mia presenza, ma si è raccomandato affinché non disturbi i giovani atleti. Niente di più semplice, per quanto mi riguarda. Ho già attirato fin troppe attenzioni per oggi e ho tutte le intenzioni di starmene immobile e in silenzio in un angolo della palestra, da brava spettatrice. Al contrario, Mayumi sembra eccessivamente entusiasta di poter vedere il suo idolo esibirsi sul campo di gioco, sedendo in prima fila.

Nello stesso momento in cui Kise raggiunge il resto della squadra negli spogliatoi per cambiarsi e indossare abiti più comodi, io e Mayumi veniamo avvicinate da una ragazza incredibilmente bella e prosperosa. Il mio sguardo non può fare a meno di posarsi sul suo seno prominente facendomi arrossire.

«Mayu-chan! Finalmente sei qui».

«Mayu-chan?», ripeto all’indirizzo di Mayumi, che sembra trovare la mia confusione divertente.

«Non te l’ho detto? Due giorni fa sono diventata manager della squadra. Così potrò passare più tempo insieme a Kise», mi informa lei, strizzando un occhio.

«Non lo sapevo. Congratulazioni», sono sinceramente felice per lei. Spero davvero che questa nuova opportunità la aiuti ad avvicinarsi a Kise.

Dopo aver scambiato un breve saluto con la bellissima ragazza, Mayumi si prodiga nelle dovute presentazioni.

«Satsuki, questa è la persona di cui ti ha parlato Kise», annuncia invitandomi nella conversazione.

«Mi chiamo Eiko Wadsworth. Piacere di conoscerti», esordisco un po’ imbarazzata. Da vicino questa ragazza è ancora più bella di quanto apparisse.

«Il piacere è tutto mio. A dire la verità, ero impaziente di incontrarti. Ki-chan non fa che parlare di te e ripetere quanto sei carina, perciò ero curiosa di conoscerti. Sei esattamente come ti ha descritta. Sei così adorabile che vorrei abbracciarti», la sua euforica reazione non fa che raddoppiare il mio sbalordimento e, ad essere sincera, un po’ mi impensierisce. Non credo di essere pronta a gestire un’altra personalità esuberante quanto quella di Mayumi e di Kise.

«Che sciocca, non mi sono ancora presentata», riprende infine sorridendo con i suoi grandi occhi, che sembrano luccicare come due diamanti rosa. «Io sono Momoi Satsuki e sono l’assistente del coach. Ma tu puoi chiamarmi come preferisci», quindi senza mostrare la minima esitazione, aggiunge: «Ei-chan».

«Ei-chan?», una fragorosa risata irrompe dalle labbra di Mayumi. È la prima volta che la sento ridere così di gusto, anche se non sono sicura di conoscere la causa del suo divertimento.

«Oh, perdonami. Ti ho appena conosciuta e mi sono già presa tutta questa confidenza. Spero di non averti offesa chiamandoti per nome», Momoi china prontamente il capo in segno di scuse.

«Figurati», rispondo io pregandola di rialzare la testa. «In qualche modo ci sono abituata. A quanto pare il mio viso sembra proprio quello di una bambina».

«Non dovresti dispiacertene. Io penso che sia una cosa positiva. Guardandoti, le persone provano il desiderio di diventare subito tue amiche».

«Amiche?», il suono di questa piccola parola è così piacevole.

Subito dopo aver conosciuto Kise e ritrovato Mayumi, mi sono ripromessa di affrontare questo nuovo anno con ottimismo. Per una ragazza introversa come me, è sempre stato difficile stringere solide amicizie. Anche se le persone tendono a socializzare con me per via del mio aspetto, la mia timidezza innalza ogni volta un muro tra me e il mondo, rinchiudendomi in un guscio impenetrabile. Sono sempre stata convinta che il maggiore requisito da possedere per farsi degli amici sia il coraggio. Il coraggio di accettare nuove opportunità, di comunicare con sincerità, di manifestare emozioni, di confrontarsi per migliorare. Ma io non sono coraggiosa e questo è il motivo per cui non ho veri amici. Quando qualcuno mi tende la mano, io esito ad afferrarla e questa esitazione viene spesso interpretata come un rifiuto. Io stessa non riesco a comprendere la mia natura, questa mia personalità così insicura e titubante, quando intorno a me ci sono così tante persone pronte ad offrirmi la loro amicizia. Persino in questo momento una parte di me prova a trattenermi. Ma se continuo a lasciarmi dominare da qualcosa che non riesco a spiegare, finirò col rimanere sola tutta la vita. Fino ad oggi non avevo mai pensato al mio aspetto come a uno strumento per aiutarmi a inserirmi nel vorticoso mondo delle relazioni sociali. Ma pensandoci con attenzione, potrebbe essere il più grande vantaggio a mia disposizione: come la luce di una lampada attira a sé una falena, il mio giovane volto attirerebbe una nuova amicizia.

«Che cosa ne dici, Ei-chan?», la voce acuta di Momoi mi distoglie dalle mie riflessioni. «Ti va di diventare amiche?».

In una domanda così diretta, non esiste margine di errore. Una domanda così diretta non ammette esitazioni. Queste parole sono semplicemente inequivocabili. Sono le parole che in fondo aspettavo di sentire per non adagiarmi più su pallide scuse. Per una volta, sceglierò di essere coraggiosa.

«Si, mi renderebbe molto felice. Satsuki».

Un accecante sorriso si dischiude sulle labbra della ragazza e le sue mani afferrano le mie per suggellare il momento.

«Non è fantastico, Eiko?», interviene Mayumi, poggiando una mano sulla mia spalla. «Adesso hai tre amici».

«Tre?», ripeto io, inarcando le sopracciglia e allargando gli occhi.

In risposta alla mia reazione, Mayumi sfoggia un’espressione imbronciata. «Ma come? Vuoi dire che per tutto questo tempo io e Kise non siamo stati altro che dei compagni di classe per te? Se lui venisse a saperlo, sono sicura che ci rimarrebbe malissimo».

Le mie labbra si separano, pronte ad emettere le parole che vorticano nella mia testa per rimediare all’equivoco, quando l’intera squadra, di ritorno dagli spogliatoi, fa il suo ingresso in palestra, deviando le nostre attenzioni sui giovani atleti che si apprestano ad iniziare gli allenamenti. Dal fitto gruppo di persone si alza un braccio che inizia ad ondeggiare vistosamente in quello che si direbbe un saluto e bastano pochi secondi per capire che si tratta di Kise, intento ad attirare la mia attenzione e quella di Mayumi. I miei occhi si spostano quindi sulla figura imponente di Murasakibara, subito vicino. La sua presenza è davvero eccezionale ed è impossibile non notarlo. Ma nel gruppo ci sono altri due volti familiari: quello del capitano Akashi e quello del vice-capitano Midorima. Questa opportunità potrebbe aiutarmi a scoprire qualcosa in più sul loro conto, soprattutto su Akashi. Vederlo in un ambiente così informale, circondato dai suoi compagni di squadra, che sembrano nutrire tutti un’assoluta fiducia nelle sue qualità di leader, potrebbe essermi di ispirazione. Osservare qualcuno tanto carismatico mi offrirebbe un’opportunità per prendere coscienza delle mie lacune e forse un suggerimento su come colmarle.

Mentre mi avvicino alle panchine a bordo campo per raggiungere Satsuki e Mayumi, noto infine la minuta sagoma di Kuroko, che quasi sembra scomparire in mezzo a quelle degli altri ragazzi. So che è immaturo giudicare un libro dalla sua copertina, ma ancora non riesco a capacitarmi di come una persona tanto esile abbia ottenuto un posto fra i titolari. Ma in fondo è soprattutto per dissipare il mio scetticismo che ora mi trovo qui.

Il prestigio della scuola Teikou è notevolmente cresciuto negli ultimi due anni, soprattutto grazie ai ripetuti successi della squadra di basket, che a quanto pare non ha ancora perso un incontro. L’unica grande manifestazione sportiva che seguo con interesse e costanza sono le Olimpiadi, che si tengono ogni quattro anni, e le poche conoscenze che possiedo sulla pallacanestro provengono tutte da questo evento internazionale. Mayumi sembra notare il mio disagio e si offre orgogliosamente di istruirmi su tutto ciò che ancora non conosco di questo sport. In questo modo sarà più semplice per me comprendere gli schemi di gioco e le tattiche della squadra.

 

Ammetto che è stata una buona idea accettare l’invito di Kise e fermarmi per assistere agli allenamenti. Tutti i titolari sono sicuramente giocatori fuori dal comune. Benché siano così giovani, sono tutti dotati di abilità individuali ed uniche, quasi irreali. Ma chi mi ha sorpresa di più è stato proprio Kuroko. Le sue capacità sono molto diverse da quelle dei suoi compagni eppure si integrano perfettamente all’interno del gioco di squadra. La sua presenza sul campo costituisce un fattore primario per la buona riuscita dei vari schemi. La sua figura sembra fluttuare tra gli altri giocatori come un’ombra invisibile e impercettibile e confesso di avere avuto qualche difficoltà a seguire alcuni suoi spostamenti. Tuttavia è assolutamente straordinario come riesca a completare lo stile di gioco dei suoi compagni. E in particolare potrei dire che ha un’intesa speciale con quello che potrebbe essere definito il giocatore più spettacolare della squadra: Aomine Daiki. Ho sentito Kise nominarlo spesso negli ultimi giorni e sono pronta a scommettere che il mio compagno di classe nutra una profonda ammirazione verso di lui. In effetti sa sicuramente come farsi notare. Non sarebbe esagerato dire che ha la stoffa per diventare una celebrità del mondo sportivo. Il suo stile di gioco è semplicemente assurdo e per nulla convenzionale. È imprevedibile, sconclusionato, irregolare sotto ogni aspetto ma allo stesso tempo ipnotico e coinvolgente. Guardarlo muoversi per il campo mi ha fatto realizzare quanto questo ragazzo ami la pallacanestro, dal momento che per tutta la durata degli allenamenti il sorriso sulle sue labbra non si è spento neanche per un attimo. Comincio a comprendere per quale motivo sia stata coniata l’espressione “Generazione dei Miracoli” per descrivere l’eccezionale talento di questi giovanissimi prodigi. Essere circondata da persone tanto straordinarie mi fa sentire fuori luogo ma allo stesso tempo fortunata. Eppure non dovrei sorprendermi. In fondo vivo con persone altrettanto eccezionali da quando sono nata, nonostante i talenti dei miei fratelli e dei miei cugini risiedano in altri campi. Tuttavia, se dicessi di provare invidia e gelosia, mentirei. Più doni si possiedono, maggiori sono le aspettative da non deludere o le responsabilità da assumere, anche contro la propria volontà. E una ragazza insicura come me non sarebbe certo in grado di sopportare il peso di pressioni tanto gravose. Vorrei solo avere più fiducia in me stessa per non essere costretta a dipendere sempre dal mio prossimo. Mi accontenterei di ripagare, almeno una volta, le persone a cui tengo di più. Di diventare, anche solo per un giorno, il loro sostegno più saldo per ringraziarle di tutto quello che hanno fatto per me. Non voglio essere l’unica a ricevere senza dare nulla in cambio, e soprattutto non voglio che la mia natura debole diventi una giustificazione. Ecco perché devo abbassare le mie difese e ampliare i miei orizzonti. E il primo passo da compiere è stringere nuove amicizie che possano aiutarmi a crescere.

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Capitolo 11
*** La verità è che lui assomiglia a mio fratello (prima parte) ***


Capitolo 3

“La verità è che lui assomiglia a mio fratello”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Finalmente è di nuovo domenica. Ieri sera ho ricevuto una telefonata di Mayumi: suo zio lavora come dipendente presso l’acquario di Ikebukuro e ha ricevuto sei biglietti omaggio. Ovviamente questa sarà un’ottima opportunità per invitare Kise e a quanto sembra anche Satsuki si unirà a noi. L’appuntamento è fissato per le dieci, davanti all’ingresso. Manca poco più di un’ora e devo affrettarmi se non voglio arrivare in ritardo. Quella di oggi sarà la prima vera uscita con i miei amici e questo mi rende nervosa. A parte i miei fratelli e i miei cugini, non ho mai frequentato nessuno prima d’ora. Spero solo di non combinare guai e mettermi in imbarazzo.

Per tutta la mattina Yoichi e Haruka hanno tenuto il broncio e si sono rifiutati di parlare con me: non l’hanno presa bene quando ho detto loro che gli ultimi due biglietti disponibili erano già stati prenotati. Quando ho interrogato Mayumi, tuttavia, ha semplicemente risposto che non mi avrebbe rovinato la sorpresa e si è rifiutata di aggiungere altro. Sembrava piuttosto divertita e soddisfatta.

Lascio la mia stanza dopo aver inspirato profondamente per calmare il mio cuore e aver controllato il mio aspetto per l’ultima volta. Ho indossato degli abiti comodi, ma femminili, per agevolare i miei movimenti. È stata Naoko a sceglierli.

«Sembri una graziosa bambolina», ha commentato a vestizione completa, e io non ho potuto contraddirla. Il cappellino alla francese che mi ha prestato per l’occasione si sposa perfettamente con il fiocco sulla mia camicetta e i pantaloncini a palloncino, che però esporrebbero eccessivamente le mie gambe se non fosse per le parigine di lana leggera. Indosso gli stivaletti dalla suola piatta e mi affretto giù per le scale per lasciare la residenza.

 

 

Lo spiazzale antistante l’entrata dell’acquario è gremito di persone. La folla è così fitta che non oso muovere un passo per paura di essere trascinata via. Eppure devo avanzare se voglio raggiungere il luogo dell’appuntamento. L’acquario si trova infatti all’ultimo piano dell’edificio commerciale.

 Una volta giunta a destinazione inizio a guardarmi intorno, sperando di scorgere i miei amici, ma c’e così tanta gente (soprattutto famiglie) che è impossibile distinguere tra sconosciuti e volti noti. Proprio quando comincio a perdere fiducia, il mio cellulare squilla. Grazie al messaggio di Mayumi, adesso so dove dirigermi. Mi allontano di qualche metro dalla folla in attesa davanti al botteghino e finalmente intravedo Mayumi che con il braccio in aria tenta di segnalarmi la sua posizione.

«Spero di non essere in ritardo», esordisco imbarazzata mentre cerco di sistemarmi i vestiti in disordine.

«Sei in perfetto orario», mi tranquillizza lei, approvando immediatamente il mio abbigliamento con un pollice in su. «Kise sta prendendo l’ascensore in questo momento, quindi all’appello mancano solo Satsuki e gli altri due, ma hanno detto che saranno qui a breve».

«Gli altri due?», ripeto io, sollevando le sopracciglia. «Non mi hai ancora detto a chi hai dato gli ultimi due biglietti».

Un ghigno divertito scivola sulle labbra di Mayumi. «Presto lo saprai, abbi ancora un po’ di pazienza».

La mia bocca si dischiude per replicare quando la figura di Kise emerge dalla folla, avvicinandosi di gran carriera. Il cellulare stretto nella mano destra.

«Stavo per chiamarvi: avevo paura di non trovarvi in mezzo a tutta questa gente», pronuncia ansimando. Probabilmente è arrivato qui correndo dalla stazione e immagino non sia stato facile destreggiarsi per le vie affollate di Ikebukuro.

La sua attenzione si sposta su di me e i suoi occhi iniziano a scorrere dalla mia testa fino ai piedi.

«Vestita così sembri proprio una bambola da collezione. Sei ancora più carina del solito».

«E’ esattamente quello che ho pensato anche io», aggiunge Mayumi squittendo come un topolino di fronte a una gustosa fetta di formaggio. «E’ talmente adorabile che viene voglia di abbracciarla, ma tu non puoi, Kise», conclude quindi, indirizzando una severa occhiataccia al modello.

«Eeeeh? Ma non è giusto. Anche io voglio abbracciare Eiko-cchi», gli occhi di Kise luccicano come gemme d’ambra bagnate dalla rugiada del mattino. Tuttavia il suo sconforto muta in volontaria rassegnazione dopo un cenno di intesa con Mayumi.

«E va bene, per oggi mi farò da parte come da programma. In fondo non vogliamo che lui si faccia un’idea sbagliata, giusto?», asserisce infine strizzandomi l’occhio in segno di complicità.

«Temo di non capire», è la mia risposta, sinceramente confusa. Ho come l’impressione che i miei due compagni di classe mi stiano nascondendo qualcosa. E poi, chi sarebbe lui?

Una voce acuta richiama la nostra attenzione e i nostri sguardi sulla figura di Satsuki e dei suoi due accompagnatori.

«Kuroko?», è il primo nome che esce dalle mie labbra, provocando una smorfia di scontento sul volto di Mayumi.

«Perché mi guardi così?», la interrogo, ingarbugliandomi nelle parole. «Ho detto qualcosa di sbagliato?».

«No, è solo che pensavo avresti notato prima lui. Ma forse sei troppo sorpresa per pronunciare il suo nome. In fondo non posso biasimarti».

Seguendo lo sguardo di Mayumi, i miei occhi si posano infine sul secondo ragazzo al fianco di Satsuki. La sua pelle di cioccolato non passa certo inosservata tra la folla, ma non è questo a suscitare la mia meraviglia. Come nel giorno del nostro primo incontro, anche oggi tutti i miei sensi sono concentrati su un unico particolare: l’inteso blu zaffiro che domina il suo sguardo, profondo e intenso come il cielo notturno.

«Ma quello non è Aomine?», pronuncio infine, riconoscendo il prodigioso asso della squadra di basket. «Che cosa ci fa qui?».

«E’ la sorpresa di cui ti ho parlato», risponde Mayumi, sfoggiando un sorriso pieno di orgoglio.

«Beh, di certo non credevo avresti invitato anche lui e Kuroko», confesso senza affannarmi a nascondere lo stupore sul mio volto.

«Tecnicamente è stata Satsuki a invitare entrambi», chiarisce subito Mayumi, delusa di non potersi attribuire tutto il merito. «Sapevo fin dall’inizio che avrebbe chiamato Kuroko, dal momento che ha un debole per lui. Ma eravamo entrambe d’accordo sull’invitare anche Aomine e, visto che lui e Satsuki sono amici d’infanzia, ho lasciato che fosse lei a telefonargli».

Non riesco ancora a comprendere le intenzioni di Mayumi (perché è più che evidente che abbia qualcosa in mente), ma forse non dovrei sentirmi così agitata. Anche se non sono esattamente miei amici, sia Kuroko che Aomine non sono neanche degli sconosciuti. Soprattutto Kuroko: la sua presenza è inspiegabilmente confortevole e potrei cogliere questa occasione per forgiare una nuova amicizia.

«Ei-chan!», le braccia di Satsuki carpiscono il mio collo premendo la mia testa contro il suo morbido petto e soffocando il mio respiro. «Sono così felice di rivederti. E oggi sembri particolarmente carina vestita così».

La stretta serrata della ragazza è tale da privarmi momentaneamente dell’ossigeno e spingermi sull’orlo dello svenimento. In mio soccorso, però, interviene Kuroko.

«Momoi-san, ora lasciala andare».

Un po’ ritrosa ma docile alla richiesta dell’esile ragazzo, Satsuki allenta la presa permettendomi di inalare nuova aria e le sue iridi si illuminano di un bagliore sospetto, mentre uno sguardo di tacita intesa saetta rapidamente dai suoi occhi a quelli di Mayumi.

«Bene, ora che ci siamo tutti possiamo entrare», dichiara Mayumi ponendosi alla guida della comitiva insieme a Kise. Come avevo immaginato, questa visita all’acquario si è rivelata un’ottima scusa per invitare il giovane idolo e passare del prezioso tempo in sua compagnia, senza temere un improvviso assalto delle sue scatenate ammiratrici.

«Buongiorno, Eiko-san», il profilo di Kuroko si materializza al mio fianco, provocandomi un lieve sussulto.

«Buongiorno, Kuroko», la mia risposta giunge a ricambiare il saluto, dopo un primo momento di smarrimento. «Non sapevo che Satsuki avesse invitato anche te, ma forse avrei dovuto aspettarmelo. Ad ogni modo, sono felice che tu abbia accettato di venire».

«Avevo la giornata libera. Sono felice anch’io di rivederti», pronuncia infine ruotando il viso nella mia direzione, senza tuttavia mostrare emozione che possa convalidare la sua felicità. È davvero difficile interpretare il suo volto inespressivo e di conseguenza credere alle sue parole quando non sono supportate da stati d’animo visibili. Ma l’insolita familiarità che provo in sua presenza dovrebbe bastare a dare una risposta a tutte le mie perplessità.

Credo che sia soprattutto la sua natura pacata e contenuta a mettermi a mio agio, diversamente dalle personalità esuberanti di Mayumi o Kise o Satsuki. E’ come se il tempo intorno a lui rallentasse per adeguarsi al suo ritmo, convertendo i secondi in minuti e i minuti in ore.

 

Durante la maggior parte della visita Mayumi e Kise hanno continuato a saltellare da una vasca all’altra, soffermandosi a commentare con entusiasmo ogni singolo esemplare acquatico esposto, convincendo persino alcuni bambini ad unirsi a loro nel tentativo di attirare le attenzioni di un piccolo branco di simpatici cavallucci marini dalle code arricciate, o di una grossa manta, troppo impegnata a giacere pigramente sul fondale sabbioso per degnare gli affascinati visitatori di uno sguardo. D’altro canto Satsuki non ha tardato a derubarmi del mio interlocutore, trascinando un accondiscendente e paziente Kuroko alla rassegna dei suggestivi scenari marini proposti in ogni sala dell’acquario. In entrambi i casi, tuttavia, osservando con attenzione i comportamenti delle due ragazze, sono infine giunta ad una conclusione: l’obiettivo di Mayumi e Satsuki, a quanto pare, era organizzare un’uscita a coppie. Se non altro questo spiegherebbe come mai adesso sono completamente sola davanti alla vasca delle foche, in attesa che inizi lo spettacolo programmato per il pomeriggio.

 

Nota d’Autrice:  

Buona domenica a tutti voi, miei meravigliosi lettori! *.*

Spero che stiate trascorrendo un piacevole finesettimana e spero che questo nuovo capitolo abbia contribuito a rendere più luminosa questa giornata di festa…eheh XD

Vi informo che la seconda parte di questo terzo capitolo verrà pubblicata domenica prossima. Nel frattempo vi esorto a lasciare i vostri commenti e le vostre recensioni per sapere cosa pensate di questa storia.

 

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Capitolo 12
*** La verità è che lui assomiglia a mio fratello (seconda parte) ***



    La piazzetta allestita per l’esibizione è gremita di spettatori: ci sono tanti bambini accompagnati dai loro genitori, ma anche studenti delle scuole medie, come me, e delle scuole superiori e perfino diversi turisti stranieri, probabilmente europei. Sono circondata da decine di volti tra i quali però non scorgo quelli dei miei amici e questo mi preoccupa. Non mi trovo a mio agio in mezzo alle grandi folle e la consapevolezza di essere sola genera in me una scintilla di ansia. Non avevo previsto una situazione del genere e riconosco, non senza vergogna, di essere impreparata. Seleziono nuovamente sul mio cellulare i numeri di Mayumi, Satsuki e Kise ma nessuno di loro sembra accorgersi delle mie chiamate. La verità è che non so dove andare e, considerando il mio scarso senso dell’orientamento, sono sicura che finirei col perdermi. Di conseguenza posso solo aspettare che qualcuno si accorga della mia assenza e venga a cercarmi. Nel frattempo proverò a distrarmi guardando lo spettacolo.
    I primi minuti dell’esibizione sono dedicati ad alcuni semplici esercizi, degni però dei migliori giocolieri. La foca che ora si trova di fronte a me solleva il musetto appuntito attendendo la grande palla rossa, ora tra le mani dell’addestratrice. Quando quest’ultima si decide finalmente a lanciare l’oggetto sopra la sua testa, l’acrobatica foca la accoglie sulla punta del proprio naso, tenendola in equilibrio, mentre con le pinne anteriori si esibisce in una sequenza di simpatici saluti al pubblico divertito. Devo proprio ammetterlo: la coordinazione di questo simpatico animale è decisamente migliore della mia.
    Nel frattempo la seconda foca intrattiene un gruppo di bambini all’altro lato del palco centrale, cogliendo al volo i piccoli cerchi di plastica che le vengono lanciati dagli spalti e, come la sua compagna, si assicura di mostrare la propria gratitudine salutando con la grande pinna i piccoli umani, che le rispondono emettendo gridolini di meraviglia ed entusiasmo.
    Entrambi gli animali sembrano trovarsi a proprio agio, nonostante siano circondati da così tante persone. Forse sono nate all’interno dell’acquario senza mai conoscere l’odore dell’oceano o il freddo dei ghiacci. Questo pensiero suscita in me un sentimento di malinconia che per un attimo distoglie la mia attenzione dallo spettacolo gioioso. Le persone intorno a me continuano a ridere a ad incitare i loro beniamini palmati, acclamando la loro destrezza acrobatica. Soltanto i miei occhi tradiscono un’espressione contrastante con il buon umore generale. Ancora una volta il mio animo è pervaso da un sentimento di solitudine che riaccende le insicurezze e di inadeguatezza che mi allontana dal mondo. Era davvero questo ciò a cui mirava Mayumi quando ieri sera mi ha telefonata per invitarmi all’acquario? Ero così elettrizzata all’idea di questa uscita, all’dea di trascorrere un’intera giornata con i miei amici come una normale ragazza delle medie. E invece sono seduta qui, completamente sola, circondata da persone che non conosco in un ambiente a me poco familiare. Ma quello che proprio non capisco è il fatto che nessuno abbia ancora cercato di mettersi in contatto con me, quasi non si fossero accorti della mia assenza. O forse è proprio quello che volevano. Del resto era fin troppo evidente che Mayumi stesse tramando qualcosa alle mie spalle, solo non pensavo fosse qualcosa di tanto crudele. E a quale scopo, poi? A questo punto aspettare sarebbe inutile. È già passata un’ora da quando è iniziato lo spettacolo: credo sia meglio incamminarmi verso l’uscita dell’acquario cercando di seguire le indicazioni.
    Muovendomi con discrezione per non disturbare gli spettatori accanto a me, mi alzo dalla sedia e mi allontano dalla piazzetta per sottrarmi alla folla. Tuttavia, senza che me ne rendessi conto, nuovi visitatori incuriositi sono accorsi ad infoltire il pubblico, rendendo difficoltoso il passaggio. Nel tentativo di risalire la corrente per ritornare all’interno dell’edificio, sono costretta ad aprirmi la strada ricorrendo a tutta la forza delle mie braccia e dei miei gomiti ma, data la mia costituzione abbastanza esile, avanzare attraverso questa serrata folla richiede più tempo del previsto. Quando infine raggiungo l’ultimo anello della muraglia umana, quello più esterno, il mio respiro si è dimezzato, così come la mia resistenza fisica e i miei muscoli hanno perduto tutto il loro vigore, che non era molto fin dall’inizio. Provo ad infilarmi tra due ragazze più grandi di me, due studentesse liceali, nella speranza di costringerle ad allargarsi per facilitarmi il passo, ma al contrario i loro corpi si stringono attorno a me, intrappolandomi nella loro morsa come le porte di un ascensore difettoso. Inspiro profondamente raccogliendo nei miei polmoni tutto l’ossigeno di cui sono capace e, riesumando le poche forze che mi sono rimaste, mi proietto in avanti usando le schiene delle due ragazze come leve per darmi lo slancio. Una volta libera e al sicuro mi trascino sulla panchina più vicina per riprendere fiato. Le calze che prima coprivano le mie gambe fino al ginocchio sono ora scivolate alle caviglie, mentre il cappellino che mi ha prestato Naoko non è bastato a proteggere i miei capelli che ora assomigliano ad un cespuglio di rovi ingarbugliati. La mia camicetta è tutta sgualcita e una metà dell’orlo inferiore è fuori dai pantaloni, ma non è questo a farmi scattare in piedi e sgranare gli occhi: il grande fiocco che una volta si trovava al centro del mio petto, infatti, è sparito.
    Un istinto che non credevo di possedere mi suggerisce che potrebbe essermi caduto in mezzo alla folla, durante la mia faticosa avanzata tra le linee nemiche. Scegliendo di fidarmi per una volta della mia intuizione, scruto il pavimento intorno a me, nella speranza remota che il fiocco si sia staccato nei pressi della panchina.
    «Oh, no. Qui non c’è», mormoro infine con il cuore in gola, costretta a prendere atto della tragedia.
   Mi lascio cadere sulla fredda panchina prendendo la testa fra le mani, incapace ormai di trattenere le lacrime di frustrazione che desideravano inondare i miei occhi dal momento in cui sono stata abbandonata dai miei amici. È andato tutto storto. Mayumi e gli altri si sono completamente dimenticati di me, i miei vestiti sono un disastro, sono sfinita, ho fame e domani mattina il mio corpo sarà ricoperto dei lividi che mi sono appena procurata in mezzo a questa folla di spettatori. Non è così che doveva andare questa giornata. Non sarei dovuta venire. Voglio tornare a casa.
   Prendo il cellulare dalla borsetta per chiamare Arthur. Il mio cuore è un vortice di emozioni negative che lottano per prevalere e dominare il mio umore. La mia testa è incapace di produrre pensieri e i miei cinque sensi sembrano essersi scollegati dal mio cervello. Continuo a fissare lo schermo del telefono senza trovare uno stimolo che mi induca a comporre il numero sulla tastiera. Non ho neanche la volontà di fermare le lacrime, nonostante mi trovi in pubblico e abbia già attirato diversi sguardi su di me. Non importa, voglio piangere. Il mio cranio pulsa come un tamburo e un tremore incontrollabile attraversa i miei muscoli indolenziti. Nel mio stomaco echeggia il brontolio della fame mentre la saliva nella mia bocca è aumentata a causa del pianto. Se soltanto qualcuno venisse a cercarmi. Si sono davvero dimenticati tutti di me? Perché mi hanno fatto questo? Mi sento così stanca che potrei addormentarmi qui, su questa panchina. Ma non posso. Non voglio diventare la prossima attrazione della giornata e rubare i riflettori alle foche o a qualsiasi altro animale abbia programmato di esibirsi.
    «Eiko. Eiko. Eiko».
    Nella confusione delle urla che gremiscono la piccola piazza, le mie orecchie catturano il suono di una voce lontana che invoca il mio nome: sono talmente esausta che il mio cervello ha iniziato a produrre allucinazioni attingendo alla mia disperazione.
    «Lasciatemi passare».
    La voce è ora più vicina e distinta. È una voce maschile, calda e avvolgente, dal tono profondo ma gioviale. Sembra in difficoltà, sotto sforzo. È così vibrante da insinuarsi sotto la mia pelle ed entrare nelle mie vene. La sento scorrere nel mio sangue fino al cuore e alla testa, riempire le mie membra e il mio spirito, accarezzare la mia coscienza. Non è affatto confortevole. Mi sento vulnerabile, senza difese. Il mio stomaco è in subbuglio e non è per la fame. Il mio battito sembra impazzito. Ogni cellula del mio organismo è in ebollizione e, come lava in fermento nella bocca di un vulcano,  protende verso la voce.
    «Eiko, mi senti?».
    Si, ti sento. Questo suono è così assordante da scuotere i miei organi, da provocarmi la nausea. Mi sento soffocare. Ho bisogno di aria. Ho bisogno di silenzio.
    «Eiko, stai bene?».
    No, non sto bene, ed è tutta colpa di questa voce che continua a pronunciare il mio nome come se mi conoscesse da una vita. Voglio che esca dalla mia testa. Voglio che liberi il mio corpo da questa attrazione che non riesco a reprimere. È umiliante. Io non sono così. Non mi riconosco più e ho paura.
    «Eiko, rispondimi».
   No, non voglio. Non voglio parlare. Non voglio guardare. Ma soprattutto non voglio più sentire. Ogni parola pronunciata da questa voce è come una scarica elettrica che accende una nuova cellula del mio corpo. Non voglio sentirla. Deve tacere. È pericolosa come il canto delle sirene che annulla la coscienza e risveglia istinti irrazionali. Eppure è così difficile ignorarla. È preoccupata per me. È venuta a cercarmi. Dovrei rassicurarla. Ringraziarla per essere venuta da me. In fondo, nonostante la spiacevole influenza che sembra esercitare sul mio inconscio, le sono grata per essere giunta in mio soccorso.
    Allargo le mani per liberare le tempie. Il mio volto si solleva insieme alla mia schiena, riportando il mio busto in posizione eretta. Le palpebre gonfie e le guance umide. I capelli arruffati e gli abiti in disordine. Non mi sorprende che la persona davanti a me sia così allarmata: dopotutto ho un aspetto terribile.
    «Eiko».
    I miei occhi reagiscono al suono del mio nome dischiudendosi lentamente e svelando infine l’immagine del mio salvatore.
    «Aomine?».
    E’ la prima parola a lasciare le mie labbra. La mia voce è debole e arrugginita, consumata dalle lacrime. La mia vista è incerta ma so di non sbagliare. Il ragazzo di fronte a me è la stessa persona che mi ha stregata nel giorno in cui ci siamo incontrati. Che ho visto brillare con la stessa intensità del sole. Che ho visto sorridere come nessun altro mentre il pallone scivolava nel canestro o le scarpe stridevano sul campo di gioco. Ma è soprattutto questo il ragazzo che mi ha incantata con la bellezza accattivante del suo sguardo di zaffiri, misterioso come l’oscuro fondale degli oceani, suggestivo come il manto stellato della notte.
    «Che cosa ti è successo? Hai un aspetto orribile».
   Lo so anch’io e non puoi immaginare quanto mi senta imbarazzata. Vorrei avere il coraggio di pronunciare queste parole, ma è così difficile. Non riesco a muovermi. La vergogna che provo in questo momento è tale da spingere con forza in superficie il pianto che ho appena represso. Pensavo di non avere più lacrime da versare, ma è chiaro a questo punto quanto mi sbagliassi. Questa giornata non poteva concludersi in un modo peggiore. Il detto recita: “La prima impressione è quella che conta”.
    Io e Aomine non ci siamo mai parlati fino ad oggi. Il giorno in cui ho assistito agli allenamenti, Kise è riuscito a fare solamente le dovute presentazioni prima che la ferita sul mio braccio decidesse di riaprirsi, costringendomi a lasciare la palestra per raggiungere nuovamente l’infermeria. Da allora non ho incontrato Aomine neanche per i corridoio della scuola e non sono più riuscita a fermarmi dopo le lezioni per seguire gli allenamenti. Di conseguenza questa è la seconda volta che i nostri cammini si incrociano e l’immagine che sto offrendo di me non è affatto migliore di quella del primo incontro.
    «Che cosa fai? Perché adesso ti sei messa a piangere?», l’agitazione nelle voce di Aomine è fin troppo evidente. Vorrei rispondere alla sua domanda, ma cosa potrei dire? Sto piangendo perché mi avete lasciata sola per tutto questo tempo. Sto piangendo perché non volevo che mi vedessi in questo stato. Sto piangendo perché sono così imbarazzata da non riuscire a parlare. Sto piangendo per ogni livido che domani mattina comparirà sulla mia pelle. Sto piangendo perché sono stanca e affamata. Perché ho perso il fiocco sulla mia camicetta. Perché niente è andato come avevo sperato. Perché mi sento vulnerabile e ho paura. Perché il tuo sguardo insostenibile è ora posato su di me. Perché non posso nascondermi da te. Sto piangendo perché il suono della tua voce è come un narcotico che indebolisce la mia ragione. Perché il tuo volto è così vicino da togliermi il respiro. Ma più di ogni altra cosa piango perché nonostante tutto sono felice che tu sia venuto da me.
    Che cosa sto pensando? Da quando la vicinanza di una singola persona riesce a creare così tanta confusione dentro di me? Da quando sono diventata così emotiva da piangere in pubblico, in presenza di estranei, di un ragazzo di cui non so praticamente nulla? Che idea si sarà fatto di me? E perché ora sono ossessionata dall’opinione che la gente ha di me? La gente? No, non è così. L’unica persona, il cui giudizio conti qualcosa per me, si trova proprio qui, di fronte ai miei occhi. È così impacciato. Sono pronta a scommettere che non sappia assolutamente come comportarsi in questo momento. Probabilmente non ha molta esperienza con le ragazze. E io non posso certo dire di essere un’esperta di ragazzi. Se soltanto non fosse venuto a cercarmi. Avrei potuto lasciare questo posto con relativa discrezione. Riappropriarmi delle mie facoltà intellettive e razionali. Avrei controllato i miei sentimenti e il mio animo si sarebbe acquietato. Invece no. L’arrivo di Aomine ha complicato tutto. Ha scombussolato le mie emozioni facendomi dubitare della mia stessa natura. Mi sento così diversa e non mi piace. Il mio cuore è un nido di contraddizioni. Eppure non è la prima volta che mi trovo così vicina ad un ragazzo. È già successo con Kuroko nel magazzino della palestra, con Murasakibara nei corridoi durante la pausa pranzo, con Kise nel primo giorno di scuola. Anche in tutti questi casi, seppure per motivi diversi, ho provato imbarazzo, è vero, ma era completamente differente dal sentimento che provo in questo istante.
    «Per favore, smetti di piangere. Ci stanno guardando tutti. Penseranno che è colpa mia», il tono insicuro di Aomine mi sprona a sbirciare timidamente il suo viso. Sembra molto a disagio e non posso biasimarlo. Il mio pianto esasperato ha attirato l’attenzione dei visitatori. I loro sguardi accusatori sono tutti puntati su di lui, sul responsabile delle mie lacrime. Osservo Aomine senza smettere di singhiozzare, mentre si affanna a chiarire l’equivoco con gesti confusi e frasi incomplete. L’espressione sul suo volto è diversa da come la ricordavo. Sembra così innocente, ingenua. Non vi è traccia di quella geniale fiducia, di quella sorridente vitalità che irradia sul campo di gioco. In questo momento leggo nei suoi movimenti incerti lo smarrimento di un giovanissimo uomo impreparato.
    Tra la folla inquisitrice si distinguono ora i commenti dei giudici più severi, la cui indignazione verso Aomine muta in compassione verso di me. Invece dovrei essere io l’oggetto della loro condanna, poiché mi sono servita del ragazzo accorso in mio aiuto per sfogare la mia frustrazione, lasciando che venisse incolpato per una mia debolezza. O per il mio egoismo. Volevo qualcuno da biasimare per la mia confusione emotiva, qualcuno che si assumesse la responsabilità al mio posto. Qualcuno che non sarebbe stato capace di risalire alla verità guardandomi negli occhi: il talento sportivo di Aomine è indiscutibile, ma le sue capacità intuitive lasciano molto a desiderare quando non si parla di basket. O almeno così mi ha assicurato Satsuki.
    Il brusio del tribunale d’eccezione si intensifica diventando infine un vociare ardimentoso. Dal pubblico radunato sulla piazza si sollevano una dopo l’altra feroci opinioni di disapprovazione nei confronti di Aomine.
    «Che ragazzo terribile».
    «E’ soltanto un bullo».
    «Il suo comportamento è imperdonabile».
    «Dovrebbero cacciarlo immediatamente da questo posto».
    «Hai ragione. Forse sarebbe meglio chiamare la sicurezza».
    I commenti della folla in subbuglio si caricano presto di una crudeltà inaccettabile. I loro sguardi, infiammati dal risentimento, ardono come fuochi demoniaci pronti a divorare l’anima del giovane peccatore. All’improvviso mi tornano in mente le esecuzioni pubbliche della Francia rivoluzionaria: il popolo affamato di giustizia, radunato in esultanza sotto la ghigliottina, che reclama a gran voce le teste di Luigi XVI e della sua consorte Maria Antonietta.
    «Accidenti».
    E’ l’ultima parola che le mie orecchie sentono pronunciare, prima che la mano di Aomine afferri saldamente la mia per trascinarmi il più lontano possibile dall’animosa piazza.

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Capitolo 13
*** La verità è che lui assomiglia a mio fratello (terza parte) ***


Le mie gambe stanche faticano a tenere il passo e più di una volta mettono alla prova il mio senso dell’equilibrio. I miei piedi a stento si sollevano da terra, costringendo la punta delle scarpe a raschiare contro il pavimento. Vorrei implorare Aomine di rallentare, ma sono troppo esausta per emettere suono. I miei abiti trasandati e i capelli in disordine non rappresentano più neanche una preoccupazione, così come ho rinunciato a ritrovare il fiocco perduto.
    Le miei pupille offuscate si posano sulla schiena del ragazzo che mi precede. Il cappuccio della sua felpa sobbalza ad ogni nuovo passo, che scandisce il ritmo sostenuto della nostra corsa. È come guardare un pendolo in attesa di cadere sotto l’ipnosi del suo oscillare.
    Il mio respiro è così affaticato che lo sento vibrare nella mia testa piuttosto che nel mio petto e dalle miei dita, imprigionate nella mano di Aomine, è defluita ormai l’ultima goccia di sensibilità. Tutto il mio corpo continua ad avanzare perché trainato dalla forza inarrestabile della persona che mi è davanti. Il vigore che emana dalle sue giovani membra sembra diffondersi attraverso la mia pelle, i miei muscoli, le mie ossa e combattere la forza di gravità che vorrebbe sopraffarmi, approfittando della mia stanchezza.
    Ora che siamo nuovamente all’interno dell’acquario mi rendo conto di quanto rapidamente sia trascorso il tempo. Le sale d’esposizione non sono più affollate come al nostro arrivo: probabilmente manca poco all’orario di chiusura.
    «Da questa parte», pronuncia Aomine, guidandomi nella direzione opposta all’uscita.
    Mi chiedo se Mayumi e gli altri abbiano già lasciato l’edificio o ci stiano cercando. Di sicuro si saranno accorti dell’assenza di Aomine e, di conseguenza, anche della mia.
   La nostra fuga termina in una saletta dal soffitto insolitamente basso, se paragonato a quello delle altre sale dell’acquario. Finalmente posso riprendere fiato mentre le mie ginocchia collassano facendomi precipitare sul pavimento. Allarmato dal suono tonfo della mia caduta, il volto di Aomine ruota nella mia direzione.
    «Ohi, tutto bene?», il suo respiro è regolare, quasi non avesse accusato lo sforzo della disperata corsa.
    Rispondo con un cenno della testa poiché la mia bocca è troppo impegnata a risucchiare tutto l’ossigeno possibile per rianimare i miei polmoni. Del resto non sono mai stata un tipo atletico.
    Sollevo lo sguardo per guardarmi intorno. Non ci sono pareti, né soffitto a delimitare l’ambiente, ma solo un’immensa volta di vetro da cui filtra un’intensa luce cobalto che irradia tutta la stanza e, immerse in quella luce, decine di meduse fluttuano sulle nostre teste. I loro movimenti aggraziati e sinuosi incantano i miei occhi. È come ammirare la danza di mille spose vergini che invocano la benedizione degli dei.
    Il battito concitato del mio cuore rallenta gradualmente, stabilizzando il mio respiro, ma le mie gambe, paralizzate dalla fatica, non sono ancora in grado di sostenere il peso del mio corpo. Rimango quindi seduta sul freddo pavimento, contemplando con invidia la leggerezza evocativa delle diafane creature che mi circondano, ma prima ancora che possa rendermene conto, il sentimento di gelosia evolve in una serena ammirazione.
    «Finalmente un sorriso».
    I miei occhi scivolano di lato per incontrare quelli di Aomine. La soffusa luce marina che si riflette nel profondo blu delle sue iridi illumina il suo sguardo di un confortevole bagliore. E’ così facile interpretare le emozioni che traspaiono dal suo volto gioioso, dal largo sorriso sulle sue labbra. Questo ragazzo non sa come nascondere i propri sentimenti, o semplicemente ha scelto di non farlo.
  «Quando sei scoppiata a piangere in mezzo alla piazza, mi sono spaventato. Non sapevo cosa fare. Continuavi a singhiozzare e poi tutta quella gente ha iniziato a fare commenti…», l’agitazione nella sua voce è la prova della sua sincera preoccupazione.
    Sono stata davvero ingiusta con lui. Avrei potuto rincuorarlo, o almeno proteggere la sua immagine respingendo le accuse di tutti quei turisti pettegoli e curiosi. Avrei potuto mentire per discolparlo. Ma ho preferito tacere, perché se avessi scelto di parlare, sarei stata obbligata a rivelare la verità, a mettere a nudo il mio cuore confuso. Ho preferito proteggere me stessa da un’imbarazzante confessione, piuttosto che Aomine da una ingiusta condanna. Sapevo che era a disagio, sapevo che era impreparato, sapevo che non meritava di essere giudicato così crudelmente. Sapevo tutto questo perché è stato lui a mostrarmelo. Perché Aomine è incapace di mentire. Perché il cuore di Aomine non conosce ipocrisia. Perché per Aomine la sincerità non è una vergogna. Sapevo tutto questo, eppure, sono rimasta in silenzio.
   «Se ho fatto qualcosa di sbagliato ti chiedo scusa. Non sono bravo a capire le ragazze, perciò se ho ti ho offesa in qualche modo ti chiedo di perdonarmi. Se hai qualcosa da rimproverarmi, ti ascolto».
  Sono davvero una persona orribile. Ed è solo colpa di questo ragazzo che si ostina ad affrontare gli altri in modo diretto. Di questo ragazzo a cui non piacciono le complicazioni che derivano dai banali fraintendimenti di tutti i giorni, per cui la sincerità ha più valore di qualsiasi altra cosa. È tutta colpa di questo ragazzo che non esita a mostrare i veri colori del suo animo, che guarda con scherno alle persona comuni, che per sopravvivere sono costrette ad indossare maschere, a mentire o a tacere. Persino in questo momento, in cui il mio cuore si dibatte nella confusione generata dalla sua vicinanza, sono sicura che stia ridendo della mia debolezza, che stia guardando con indignazione alla mia ipocrisia.
   Ti dispiace? Vuoi il mio perdono? Chi diavolo pensi di essere per implorare il mio perdono quando non hai fatto nulla di sbagliato? Se soltanto anche tu fossi come tutti gli altri, potrei urlarti contro, arrabbiarmi con te, rinfacciarti quella stessa falsità, quell’egoismo che mi hanno resa una persona detestabile. Potrei vomitarti addosso tutto il mio disgusto e liberarmi di questo sentimento insopportabile che lacera il mio animo, che stritola il mio cuore incasinato. Questa nauseante sincerità che trabocca da ogni tua parola, da ogni tuo gesto è come l’artiglio di una bestia affamata che dilania la carne viva del mio intero essere, riducendola a una infinità di brandelli sconnessi e sanguinanti. Perché devo sopportare tutto questo? Per colpa tua non mi riconosco più. Odio le persone come te. Le persone che non hanno paura. Le persone genuine, piene di energia, piene di luce. Odio il bagliore dei tuoi occhi limpidi e schietti. Odio la vitalità del tuo sorriso. Detesto la passione che brucia nel tuo sguardo quando giochi a basket. Il carisma con il quale attiri su di te tutte le attenzioni mi fa schifo. Le persone come te dovrebbero sparire dalla faccia della terra. Le persone luminose come te sono banali e noiose. Sono solo una seccatura. Non c’è nulla di affascinante in un corpo che splende di vita. Il vero fascino di un essere umano risiede nella sua oscurità, nelle sue perversioni, nei suoi desideri degradati, nelle sue passioni insane.
    «Eiko, che cos’hai? A cosa stai pensando?».
  Oh no, a cosa stavo pensando? Cos’è questo sogghigno sulle mie labbra? E perché invece Aomine ha smesso di sorridere? Che cos’e quell’espressione preoccupata? Preoccupata? No, sembra più…terrorizzata. E’ come se avesse paura di me. Ma perché? Mi sento strana. Avverto come un buco nella mia memoria. Che cosa mi sta succedendo? È esattamente come prima, nella piazza. All’improvviso il mio cuore è di nuovo colmo di sentimenti angoscianti. Ho la nausea. Le mie orecchie fischiano come treni. Aomine mi sta parlando ma non riesco a sentire le sue parole. Probabilmente pensa che abbia perso conoscenza perché ha iniziato a scuotere le mie spalle con vigore. Non percepisco il suono della sua voce ma riconosco i movimenti della sua bocca che continua ad articolare il mio nome. L’espressione sul suo viso è di nuovo cambiata. I suoi occhi allarmati sono così vicini ai miei che posso vedere la mia immagine riflessa nelle sue pupille. Devo dire qualcosa. Devo fargli sapere che sono cosciente. Non voglio commettere lo stesso errore. Ma soprattutto non voglio che si preoccupi per me. Non lo merito. Mi sento malissimo. Il mio cranio è come un groviglio di fili ad alta tensione e ogni scarica è così forte da poter bucare il mio teschio. Vorrei parlare, comunicare, ma non appena formulo le parole nella mia testa il dolore si intensifica, paralizzando il sistema nervoso.
    «Perché non reagisci? Eiko!».
   Devo calmare Aomine. Devo farlo a qualunque costo. Ho approfittato di questo ragazzo troppo a lungo. Sono stata troppo ingiusta con lui. Sarebbe troppo crudele costringerlo a darsi altro pensiero per me. Per una persona debole e insicura come me. Che preferisce sacrificare chi è corso in suo aiuto pur di proteggere i segreti del suo cuore confuso. La generosità di Aomine merita che io impieghi fino all’ultimo granello di energia per rassicurarlo. Nonostante il mio egoismo, non mi ha lasciata indietro. Nonostante abbia approfittato del suo imbarazzo per negare il mio disagio, nonostante sia rimasta a guardare in silenzio mentre veniva ingiustamente condannato, ha scelto di scappare insieme a me, quando avrebbe potuto abbandonarmi e fuggire da solo. Il dolore che sto provando in questo momento non è altro che l’adeguata ricompensa alla mia disonestà.
    I miei occhi sono umidi e la vista sbiadita. Sento le orbite gonfie d’acqua: per tutto questo tempo le mie palpebre spalancate non si sono chiuse neanche una volta. Lacrime dense spingono per emergere in superficie e fuoriuscire dalla mia pelle. Le lascerò scorrere. Saranno la mia reazione, la mia riposta alla voce, ai sentimenti di Aomine, così saprà che sono ancora qui con lui e si tranquillizzerà.
    «Eiko? Riesci a sentirmi?».
    Non capisco come sia possibile, ma adesso il suono della voce di Aomine riesce di nuovo a raggiungere le mie orecchie. La nebbia opprimente che offuscava i miei pensieri si sta diradando e il garbuglio di cavi elettrici che perforavano il mio cranio con le loro scariche ad altissimo voltaggio si sta districando. Non sento più dolore. I miei polmoni sono leggeri e gonfi di aria pura. I miei muscoli sono riposati e attivi. Sento la tensione colare dai miei nervi come la cera di una candela e liberarli dalla paralisi. Posso di nuovo muovermi. Posso di nuovo sentire il mio corpo. Ogni cellula pulsa di vitalità, come appena nata. Una nuova linfa scorre nelle mie vene ed infiamma i miei organi con la stessa potenza combustiva di un carburante. Penetra nei miei tessuti lacerati ricucendo insieme i brandelli, purificando il sangue delle mie ferite, fortificando le mie ossa, diffondendo calore in tutte le mie membra.
    I miei occhi sono limpidi e la mia vista nitida. Le lacrime che ho lasciato sgorgare, per qualche motivo non hanno raggiunto le mie guance, come un fiume generatosi sulle vette ghiacciate, il cui cammino viene deviato prima che possa giungere a valle. La mia pelle è asciutta e calda. Il tepore che percepisco sul mio viso non proviene dal mio corpo, tuttavia è familiare.
    Ah si, ora ricordo. Questo è il calore di Aomine. Il calore delle sue dita che raccolgono il mio silenzioso pianto, della sua mano esitante che sostiene la mia guancia, del suo tocco gentile e impacciato che ha risvegliato i miei sensi, della sua voce che continua a raggiungere la mia coscienza.
    «Si, ti sento», finalmente le mie labbra si dischiudono. La mia gola è arida e il suono prodotto dalle mie parole è sgradevole. Ma non ha importanza, perché adesso posso di nuovo comunicare e rassicurare il ragazzo che mi è di fronte.
    «Mi hai fatto prendere un colpo».
    Il volto di Aomine si allontana lentamente dal mio. Il suo corpo esausto ricade all’indietro mentre dalla sua bocca esala un profondo sospiro carico di tensione. Le sue gambe sono abbandonate sul pavimento, prosciugate di tutta la loro forza, le braccia a penzoloni in mezzo alle ginocchia divaricate. Le spalle basse disegnano un arco appena accennato sulla schiena ricurva. La testa ciondolante in avanti, come priva di vita, e il mento a pochi millimetri dal petto.
    Fino a pochi attimi fa questo ragazzo scuoteva il mio busto come si scuote il tronco di un albero per far cadere dai suoi rami i frutti maturi. Il vigore della sua stretta palpita ancora sulle mie braccia così come le sue grida disperate tuonano nella mia testa. Ora invece non vi è traccia di quella tempra incontenibile che mi ha trascinata fino a qui, sfidando la stanchezza e la gravità che tentavano il mio corpo fiacco. La persona seduta di fronte a me è come un burattino a cui sono stati tagliati i fili, come un fiore appassito a cui sono stati strappati i petali. E non posso fare a meno di sentirmi responsabile. Sono stata io a risucchiare dal suo corpo tutta la linfa vitale che scorreva nelle sue vene. Ho assorbito la sua luce per riportare in vita le mie cellule affaticate, per dissipare la nebbia dei miei pensieri oscuri, per riaccendere il respiro nei miei polmoni. Come un vampiro assetato mi sono nutrita della sua vitalità spingendo il suo corpo allo sfinimento.
    Ma ho dovuto farlo. Non avevo scelta. Ho avuto paura. Mentre la mia coscienza sbiadiva, regredendo in un angolo irraggiungibile della mia mente, una presenza sconosciuta, guidata da pensieri distorti, emergeva dalle tenebre più profonde del mio subconscio, dominando la mia volontà con la solo forza del suo desiderio. Probabilmente è questo che succede agli esseri umani quando il loro corpo viene posseduto da uno spirito maligno in cerca di vendetta. Ho sempre creduto nell’esistenza del male. E mi è stato insegnato che il male è un’essenza inscindibile della natura umana, qualcosa che ci appartiene fin dalla nascita, che non possiamo sradicare ma solo dominare. E per sottomettere il male che è dentro di noi occorre una volontà capace di resistere al fascino tentatore della passione, dell’invidia, della violenza.
    Ma una ragazza come me, che ha vissuto la sua vita tenendo la bilancia delle proprie ambizioni sempre in equilibrio, senza mai prendere decisioni che costringessero l’ago a pendere da una parte piuttosto che dall’altra, non ha ragione di affannarsi a respingere il male che tenta di avanzare, perché quel male non dovrebbe neanche avere la forza necessaria per imporre il suo dominio. L’accidia, l’indolenza, l’ignavia non sono certo un terreno fertile su cui far crescere brame e aspirazioni che possano accendere il fuoco della battaglia tra il bene e il male che albergano nel cuore umano. Chi si rifiuta di prendere posizioni non ha diritto a compiere scelte. Chi non desidera evolvere non ha motivo di sentirsi confuso o combattuto perché non ha propositi che possano generare contraddizioni, contrasti, fermenti nell’animo. In un cuore ozioso non può germogliare il bocciolo del dissidio interiore. In un cuore come il mio, il bene e il male non hanno motivo di affrontarsi. Di conseguenza, la presenza che ho avvertito poco fa non era altro che il frutto illusorio della mia mente provata dalla fatica. Ora che ci penso, non è affatto diverso da quello che mi succede quando guardo un film horror. Anche l’ultima volta la suggestione provocata dalla mia paura mi ha tenuta sveglia fino all’arrivo di Naoko. Come oggi anche quella sera continuavo a sentire voci nella mia testa, a percepire presenze nella mia stanza. Sentivo i loro insani desideri dilagare nella mia mente e inibire la mia volontà. Quella notte è giunta mia sorella Naoko a liberarmi dal sortilegio, a richiamare la mia coscienza plagiata nel mondo reale, proprio come poco fa il tocco di Aomine ha infranto l’ipnosi che mi teneva prigioniera nella torre delle mie paure. L’animo umano è fragile e quando è spaventato si arrende facilmente al delirio, ai vaneggiamenti, agli inganni dell’immaginazione.
   Forse non sarò mai in grado di ripagare il debito che ho accumulato in questo giorno, ma voglio che il mio salvatore sappia che gli sono riconoscente. Per non essersi dimenticato di me. Per avermi parlato. Per avermi protetta con la sua luce. Per aver vegliato sul mio cuore turbato e diviso. Non sono ancora sicura di poter spiegare con esattezza quanto mi è accaduto, così come non riesco ancora a comprendere la natura dei miei sentimenti. Non posso negare che la spontaneità, l’ingenua sincerità, la gioiosa passione di Aomine esercitino una misteriosa attrazione sul mio inconscio. Questo ragazzo ha il potere di scuotere il mio animo, di turbare i miei pensieri, di agitare il sangue che scorre nelle mie vene. Ma è anche capace di ristabilire la quiete dopo aver aizzato i venti della tempesta, di restituirmi la ragione dopo averla sconvolta, di asciugare le lacrime dopo aver provocato il mio pianto.
    Ma forse si tratta solo di una curiosa coincidenza. Di semplici supposizioni, opinioni infondate dettate da un’eccesiva e momentanea emotività. La frustrante confusione che ha stravolto la mia mente e il mio cuore potrebbe infatti non avere alcuna connessione con questo ragazzo. Piuttosto potrebbe essere il risultato di un mio affaticamento fisico e mentale, di quel fervore paranoico che sprona la mia immaginazione nei momenti di insicurezza e paura. La distanza che Mayumi e Satsuki hanno mantenuto da me per tutto il giorno, i loro sguardi complici e il loro comportamento evasivo sono stati sicuramente la causa che ha istigato la depressione nel mio cuore. Il timore di essere lasciata indietro ha generato in me un’angoscia che non ho saputo sanare e che è maturata fino a diventare totale sfiducia. Del resto una persona priva di spirito di iniziativa come me non avverte la necessità di affrontare gli altri a viso aperto solo per chiedere spiegazioni o chiarire equivoci. Preferisce seguire il flusso del fiume invece di affannarsi a risalire la corrente. E non importa che abbia promesso di essere coraggiosa o che abbia dichiarato di voler cambiare, perché le vecchie abitudini sono dure a morire. Ciò che pronunciano le labbra non sono che semi sterili senza il supporto del cuore. Ma per quanto sia ancora lontana dal mio obiettivo, non posso sottrarmi all’obbligo di ripagare la generosità di chi è venuto in mio soccorso.
    Mi sollevo sulle gambe cercando di sistemare come meglio posso i miei abiti sgualciti e i capelli in disordine. So di non essere presentabile in questo momento e sono sicura che il mascara, che Naoko ha steso questa mattina con cura sulle mie ciglia, sia ormai diventato un’ombra nera e sbiadita attorno ai miei occhi arrossati.
    Accompagnando il gesto con il mio rammaricato silenzio, porgo la mano ad Aomine. Con un movimento rallentato la sua fronte risale fino a incontrare il mio sguardo. I suoi occhi assorti indugiano sul mio volto per esaminare la mia condizione. Di tanto in tanto si stringono per mettere a fuoco la mia immagine sotto la penombra della soffusa luce blu che avvolge entrambi. Ma una volta catturato il lieve cenno col quale decido di rispondere alla silenziosa richiesta di conforto, si addolciscono in una tenera espressione di sollievo mentre la sua mano protende verso la mia desiderosa di afferrare le mie dita.
   «Sarà meglio uscire da qui e trovare gli altri», pronuncia una volta in piedi, mantenendo le sue attenzioni su di me. Immagino non sia ancora del tutto convinto che mi sia completamente ripresa.
    Annuisco incamminandomi dietro di lui. Il suo passo è lento e rilassato. Nonostante abbia proposto di raggiungere il punto di ritrovo in cui Mayumi, Kise, Satsuki e Kuroko ci stanno sicuramente aspettando, ho come l’impressione che stia cercando di prendere tempo, quasi voglia ritardare l’incontro con il resto del gruppo. Il suo incedere sembra titubante e il fatto che non stia provando a interagire con me in alcun modo mi induce a pensare che qualcosa lo stia turbando. Ancora una volta i miei occhi si posano sulla sua schiena. E’ leggermente curvata in avanti per assecondare l’inclinazione della testa verso il basso. Anche se non posso vederlo, sono abbastanza sicura che in questo momento il suo sguardo rannuvolato sia distrattamente puntato sui suoi piedi. Non ho idea di quali pensieri stiano affollando la mente di Aomine, ma non posso fare a meno di sospettare che stia ripensando all’eccentrica condotta di cui ho dato sfoggio pochi attimi fa. Non potrei biasimarlo se, al termine della sua riflessione, il suo atteggiamento nei miei confronti mutasse radicalmente. Qualunque sia stata la causa, il mio comportamento resta imperdonabile, ma soprattutto la fragilità emotiva che ho mostrato di possedere non può diventare motivo di disagio per chi mi è vicino. Piuttosto che imprigionare Aomine nella rete della mia confusione e della mia debolezza, sono pronta ad accettare il suo allontanamento. Certo non posso negare che mi sarebbe piaciuto avere come amico un ragazzo solare e gioioso come lui. Qualcuno capace di infondere entusiasmo con un semplice sorriso, di trasmettere energia e vitalità con un gesto.
   La mia natura introversa mi ha sempre portata a mantenere le distanze dalle persone troppo vivaci, poiché temevo che il loro fervore avrebbe potuto influenzarmi e trascinarmi sulla strada della determinazione e dell’ambizione. E non volevo incamminarmi su un sentiero del quale sapevo non avrei visto la fine. Conosco i miei limiti e non è mia abitudine mettere mano a un progetto se non sono sicura di realizzarlo. Di conseguenza mi sono sempre tenuta in disparte e ho evitato le amicizie troppo esuberanti. Neanche dopo aver conosciuto Mayumi e Kise ho cambiato idea, sebbene abbia promesso di non fuggire dalle nuove opportunità. Ma accettare di allargare le proprie conoscenze non vuol dire necessariamente modificare anche il proprio punto di vista e trasformarsi improvvisamente in una persona diversa. In queste settimane il mio affetto per i miei due compagni di classe si è sicuramente rafforzato, così come il legame con Satsuki. Tuttavia non posso negare ciò che sono. Io sono Eiko. Sono una ragazza timida, impacciata e insicura. Non ho carisma e non ho talenti e, finché sarò consapevole di questa verità e non tenterò di nasconderla, né di alterarla, non avrò motivo di impegnarmi per piacere alla gente.
    Allora perché mi sento così triste da quando ci siamo rimessi in marcia? È perché Aomine sembra essersi dimenticato che io sono proprio qui, dietro di lui? O perché sembra non avere alcuna intenzione di rivolgermi la parola? Oppure perché ho paura dell’impressione che avrò lasciato di me al termine di questa lunghissima giornata? Ma perché dovrebbe preoccuparmi cosa penserà Aomine? Questo ragazzo è solo un altro studente delle medie Teikou, proprio come Kise e Kuroko, o come Mayumi e Satsuki. E’ vero, saremmo potuti diventare amici, ma non sarà la fine del mondo se da domani torneremo ad essere due estranei l’uno per l’altra. Però potrei parlare con Satsuki e chiederle di mettere una buona parola da parte mia, per convincere Aomine a darmi una possibilità. Una possibilità? E per che cosa? Non sto mica cercando di diventare la sua ragazza.
    No, non la sua ragazza. Semplicemente sua amica. Ho desiderato diventare amica di Aomine dal primo momento in cui l’ho visto. Guardandolo sorridere mentre si allenava con i suoi compagni di squadra ho pensato: «Questo ragazzo mi ricorda Tatsuo». Proprio come mio fratello, anche Aomine possiede quella vitalità capace di contagiare chiunque gli sia vicino. Nei suoi occhi ho visto la stessa luce, la stessa determinazione, lo stesso entusiasmo che bruciano costantemente nello sguardo di mio fratello. Persino la stretta della sua mano aveva lo stesso calore confortevole.
    Quando ero piccola mi piaceva camminare dietro Tatsuo perché l’immagine della sua schiena ampia e solida mi trasmetteva sicurezza. Sapevo che se fossi rimasta dietro di lui, il suo corpo mi avrebbe protetta e avrebbe abbattuto gli ostacoli sul mio sentiero e se mi fossi stancata, avrei potuto arrampicarmi sulle sue spalle per accoccolarmi con le braccia intorno al suo collo.
    In questo momento la schiena di Aomine sembra affidabile e sicura come quella di Tatsuo. Ma è proprio perché la sua figura è così simile a quella di mio fratello che non posso sopportare di essere la causa del suo turbamento. Purtroppo non ho una risposta che possa sciogliere le sue perplessità o convincerlo a fidarsi di me. Tutto quello che posso fare è essere sincera riguardo i miei sentimenti perché, dopotutto, non voglio tornare ad essere un’estranea. Aomine è la prima persona, al di fuori della mia famiglia, che mi abbia indotta a credere che potrebbe accettare la mia mediocrità senza imporre compromessi. La sua presenza è confortevole e sono sicura che la differenza tra le nostre abilità non rappresenterebbe un ostacolo alla nostra amicizia. Se questa è un’altra opportunità che mi è stata offerta, non posso assolutamente sprecarla. Aomine è un ragazzo schietto e semplice. Se sarò onesta con lui, sono certa che mi sorriderà di nuovo. Se soltanto avessi la parlantina di Haruka. Lei sa sempre cosa dire e non avrebbe problemi in una situazione come questa.
   No, non devo pensare come Haruka. Io sono diversa da lei. Sono taciturna e timida, quindi il mio discorso deve essere breve e conciso se non voglio rischiare di ingarbugliarmi. Poche parole, non mi servono i monologhi complicati. Ma che cosa voglio dire ad Aomine? Cos’è che voglio fargli sapere? Credevo di avere tante cose di cui parlare con lui, tanti equivoci da chiarire, tante spiegazioni da organizzare, tanti comportamenti da giustificare. Eppure in questo preciso momento sono solo due le parole che continua a bisbigliare la mia testa. Dieci singole lettere che però sembrano pesare come mille. Ma se riuscissi a pronunciarle, potrei comunicare ad Aomine tutti i miei sentimenti in un’unica frase. Devo farlo adesso che siamo ancora soli, che ho ancora la possibilità di attirare la sua attenzione, in questo silenzio che permetterà alla mia voce di raggiungere la persona che ho di fronte. Sono solo due parole, ma varranno più di tutte quelle conversazione che avremmo potuto avere in questa giornata.
    «Mi dispiace».
    Mi dispiace, Aomine. Per quanto ingiusta sono stata con te. Per avere approfittato della tua generosità. Per averti fatto preoccupare. Per averti spaventato. Per averti mentito. Per averti mostrato solo la mia debolezza. Per averti esposto all’imbarazzo. Per averti accusato nel segreto del mio cuore. Per essere così egoista da voler diventare tua amica. Per essere così avida da voler rimanere sotto il bagliore della tua luce. Per aver rubato il sorriso dalle tue labbra. Per essere così presuntuosa da voler camminare al tuo fianco. Per essere così arrogante da volerti consolare. Per esserti così grata e incapace di ripagare il mio debito. Ma soprattutto, mi dispiace di non essere ancora in grado di dirti tutto questo con la mia voce.
    «Mi dispiace davvero», per ora è tutto quello che sono in grado di confessare.
    Il passo rallentato di Aomine infine si arresta. I miei occhi scivolano sulla sua mano destra: le dita serrate in un pugno di frustrazione. Nella calma che domina intorno a noi percepisco lo schiocco della sua lingua tradire la sua irritazione. Se ha intenzione di urlarmi contro, preferisco che lo faccia qui e adesso, lontano dagli sguardi di Mayumi e Satsuki. Sono consapevole di meritare il suo risentimento, perciò non mi nasconderò dietro futili scuse.
    Il battito ansioso del mio cuore rulla nel mio petto, mentre aspetto che Aomine riversi su di me tutta la sua rabbia. La tensione fra di noi appesantisce ogni secondo dell’attesa ma non ho intenzione di accelerare la mia condanna.
   Un fragoroso sospiro interrompe la muta quiete. I muscoli della mano di Aomine si rilassano, facendo dischiudere il pugno. La lieve curva sulla sua schiena è sparita e la sua testa è di nuovo alta.
    «Perché ti stai scusando?», sono le prime parole che spezzano il suo lungo silenzio. «Sono io a dovermi scusare».
   Il suo torace ruota quindi verso di me, mostrandomi l’espressione sul suo viso. Le sopracciglia aggrottate sono la prova più evidente della sua rabbia, tuttavia la sua profonda collera non sembra puntare nella mia direzione. I suoi bellissimi occhi di zaffiro evitano accuratamente i miei per non svelarmi la vergogna dei suoi sentimenti, di quel senso di colpa che credevo essere solo mio. Tutto questo è sbagliato. Aomine non ha nulla da rimproverarsi. Non capisco perché si senta in errore, ma è una mia responsabilità ovviare al malinteso e chiarire quale parte sia nel torto e quale nella ragione.
    «Non hai motivo di chiedere il mio perdono, perché non hai fatto nulla di sbagliato», il tono della mia voce è deciso ma non adirato.
  Benché il mio cuore stia galoppando come un cavallo selvatico, la mia mente è salda e controlla il mio corpo. Non posso lasciare trasparire la mia agitazione se voglio rassicurare Aomine. Al contrario, i moti interiori del giovane atleta esplodono all’esterno con la stessa veemenza di un’eruzione vulcanica, palesando senza alcun freno le emozioni del ragazzo.
   «Non è affatto vero», la sua voce esasperata rimbomba nella sala deserta. «Quando ci siamo accorti che eri sparita, Satsuki mi ha mandato a cercarti. Dovevo riportarti indietro e assicurarmi che stessi bene. Quando ti ho trovata eri così spaventata che sei scoppiata a piangere. Probabilmente, dopo essere rimasta da sola per tanto tempo, avrai pensato che ci fossimo dimenticati di te. Ma è solo colpa mia. La verità è che mentre ti cercavo mi sono perso, per questo ci ho messo così tanto prima di trovarti. Ma ti assicuro che nessuno di noi aveva intenzione di lasciarti indietro».
   Forse è perché mi sono sentita sola per tutto questo tempo, o forse è perché volevo solo avere la conferma che Aomine non fosse arrabbiato con me e mi disprezzasse, ma sento nuove, calde lacrime di serenità sgorgare dai miei occhi. Anche il mio cuore è più tranquillo e il battito sta gradualmente rallentando. È una sensazione così piacevole e leggera.
   Mi ero finalmente decisa a combattere la timidezza e l’insicurezza per il bene di Aomine. Volevo rassicurarlo e scusarmi con sincerità, ma di nuovo è stato lui a correre in mio aiuto. Evidentemente non sono ancora pronta a diventare io stessa un sostegno se ho così tanto bisogno di appoggiarmi alle parole, alla gentilezza di chi mi circonda. In fondo sarebbe presuntuoso da parte mia credere di poter raggiungere il traguardo tanto presto quando conosco esattamente i miei limiti. Se sono riuscita ad arrivare fino a questo giorno, nonostante le mie mancanze, è perché non ho avuto vergogna di affidarmi ai miei fratelli e ai miei cugini. Non ho esitato ad afferrare le loro mani nel momento del bisogno e questo mi ha portata a credere negli anni che accettare l’aiuto di chi è disposto ad offrirlo con sincerità non sia una debolezza, ma un atto di fiducia che aiuta a crescere. E, proprio come i preziosi membri della mia famiglia, anche questo ragazzo ha cercato di raggiungermi, di attirare la mia attenzione perché mi fermassi ad ascoltarlo, di convincermi a guardarlo negli occhi per sapere di potermi fidare della sua onestà. Non ho bisogno di affrettare i tempi. Posso continuare tenendo il mio passo, perché so che c’è qualcuno disposto a rallentare per camminare al mio fianco. Riconoscere di avere bisogno degli altri non è una vergogna. Io l’ho sempre saputo. E le lacrime che bagnano i miei occhi in questo momento non esprimono altro che la serenità derivata da questa consapevolezza. La parte dell’eroina, in fondo, non mi si addice. Per ora resterò fedele al mio personaggio, accettando con gratitudine l’aiuto di Aomine.
    «Grazie», mi auguro che quest’unica parola riesca a comunicare i miei sentimenti nel modo corretto.
    «Va tutto bene?».  
   Le mie pupille umide si posano sul volto perplesso di Aomine mentre le mie labbra si distendono in un largo sorriso. Le parole di questo ragazzo mi hanno resa immensamente felice. Non credevo sarei mai riuscita ad incontrare un’altra persona con il talento straordinario di mio fratello. Sono sicura che Tatsuo andrebbe molto d’accordo con Aomine. Non mi dispiacerebbe farli incontrare.
    Solleticata da quest’ultimo pensiero, gioisco nel segreto del mio cuore mentre la mano di Aomine si adagia improvvisamente sulla mia testa. Il mio sguardo si solleva quindi per incontrare un allegro riso di soddisfazione, che sembra avere completamente rimpiazzato l’ansia di pochi attimi fa.
    «Non so cosa sia successo, ma sono felice di vedere che hai ritrovato il buon umore», pronuncia Aomine, visibilmente sollevato, scompigliando i miei capelli già in disordine.
    Il suo tocco è così rassicurante e la sua positività così contagiosa che mi spingono ad annuire con entusiasmo. Asciugo i miei occhi con la manica della camicetta sgualcita e insieme ci incamminiamo verso l’uscita dell’acquario.

 

***

 

Una volta all’esterno Satsuki e Mayumi mi corrono in contro abbracciandomi simultaneamente. L’impatto con le due ragazze quasi mi fa perdere l’equilibrio, ma rimango in piedi.
    «Non puoi immaginare quanto eravamo preoccupate», piagnucola Mayumi, strofinando il viso sulla mia spalla destra.
    «Infatti. Stavamo per tornare dentro a cercarti», continua Satsuki, affondando il volto nella mia spalla sinistra. «Non avrei dovuto fidarmi di quello stupido Dai-chan».
    «Solo perché mi sono perso per un momento, non vuol dire che sia stupido», ribatte Aomine, incespicando nelle proprie parole per l’imbarazzo. Le sue gote di cioccolato sembrano più colorite del solito. So che si è dato davvero tanto da fare per rintracciarmi e sono sicura che non sia stato affatto semplice orientarsi fra le numerose sale dell’acquario.
    «Guarda, guarda. Sbaglio o quello che vedo è un sorriso innamorato? A quanto pare il nostro piano ha avuto successo».
   «Di cosa stai parlando?», la mia attenzione viene immediatamente rapita dalla criptica allusione di Mayumi. Il suo sguardo è ora illuminato da una radiante espressione di soddisfazione. E lo stesso vale per Satsuki.
    «Aspetta, hai detto piano?», ripeto, colta da una improvvisa intuizione. «Sapevo che stavate tramando qualcosa. Per tutto il giorno non avete fatto che evitarmi e lasciarmi in disparte. Che cosa avevate in mente?».
    Satsuki scioglie l’abbraccio e si allontana leggermente per studiare la mia figura dalla testa ai piedi.
   «Prima di rispondere alla tua domanda, perché non ci dici cosa ti è successo? Hai un aspetto, come dire, un po’ diverso da questa mattina. È come se fossi appena uscita da una tempesta di sabbia o da un tornado».
   Giusto. Non ho ancora avuto modo di sistemarmi e non mi sorprende che le due ragazze di fronte a me siano in cerca di una spiegazione che possa soddisfare la loro curiosità. Ma ora non mi va di raccontare delle mie disavventure, poiché non voglio rischiare di distrarmi e deviare dal punto davvero importante di questa conversazione.
    «E’ una storia troppo lunga. Magari un’altra volta», rispondo in modo sbrigativo, estinguendo sul nascere le entusiastiche aspettative di Satsuki. «Tornando alla mia domanda, cosa sarebbe questo piano di cui stavate parlando?».
    Mayumi solleva le spalle emettendo un lungo sospiro rammaricato, prima di iniziare a parlare.
    «Non stavamo cercando di evitarti, volevamo solo Darti una mano».
    «Darmi un mano?», le faccio eco, sfoggiando un’espressione confusa.
    «Non c’è bisogno che lo nascondi. Ormai lo abbiamo capito che ti piace Aomine», un nuovo sospiro abbandona le labbra della ragazza.
    «Che cosa?», il sangue risale rapidamente fino alle mie guance, riscaldandole eccessivamente e colorandole di rosso. «E cosa te lo avrebbe fatto credere?».
    «L’altro giorno, durante gli allenamenti, non gli hai staccato gli occhi di dosso».
    Facendo appello a tutta la mia razionalità, mi prendo qualche secondo per ricostruire nella mia memoria l’evento in questione. In effetti l’osservazione di Mayumi non è del tutto errata. Non posso negare che quel giorno le mie attenzione fossero tutte per il giovane talento della squadra di basket. Tuttavia sono più che sicura che la mia compagna di classe abbia frainteso la vera natura dei miei sentimenti.
    «Ammetto che Aomine abbia catturato il mio interesse», pronuncio tentando di nascondere l’imbarazzo, «ma ti assicuro che non è come pensi».
    «Vuoi dire che non ti sei presa una bella cotta per Dai-chan?», interviene Satsuki, visibilmente traumatizzata dalla mia insospettabile confessione.
    Annuisco, mentre in un angolino del mio cuore non posso fare a meno di dispiacermi per averla delusa.
   «La verità è che lui assomiglia terribilmente a Tatsuo. Più lo osservavo, più avevo l’impressione di vedere mio fratello», puntualizzo infine abbassando lo sguardo colmo di vergogna.
    «Tuo fratello? Quello stupido Dai-chan assomiglia davvero a tuo fratello?», lo stupore provocato dalle mie parole sembra aver profondamente scosso Satsuki.
    Mayumi, al contrario, dopo una breve pausa riflessiva, annuisce ripetutamente mostrando la sua approvazione.
    «Se la metti così, non hai tutti i torti. A pensarci bene, il loro carattere è piuttosto simile»
    «Tu hai già incontrato suo fratello?», si informa Satsuki, incapace di trattenere la propria curiosità.
    «Una volta è venuto a scuola per riportare Eiko a casa. Se ricordo bene è successo l’anno scorso, dopo che sei svenuta durante la lezione di educazione fisica».
    Lo spiacevole ricordo provoca un nuovo moto di vergogna che si manifesta attraverso il rossore sulle mie gote. Il giorno dopo, il mio nome era sulla bocca di ogni studente e di ogni professore della scuola. Tuttavia, avendo perso i sensi, non so cosa sia successo all’arrivo di Tatsuo, ma stando al racconto di Mayumi, mio fratello è riuscito a convincere la professoressa ad esonerarmi dalle lezioni per il resto dell’anno con un semplice sorriso. Personalmente dubito che le cose siano andate esattamente in questo modo, ma credo però che il bell’aspetto di mio fratello e soprattutto la sua carismatica personalità abbiano giocato sicuramente un ruolo importante nel raggiungimento dello scopo. Ad ogni modo, grazie a lui, ho potuto evitare nuove occasioni per esporre il lato più imbarazzante di me. Benché mi diverta guardare competizioni sportive in televisione, non ho alcun futuro come atleta.
   «Appena l’ho visto», continua Mayumi, «mi ha dato l’impressione di essere un ragazzo pieno di entusiasmo e di energia. Deve essere divertente avere un fratello come lui. Un po’ ti invidio».
    «A sentirti parlare, sembra un ragazzo straordinario. Vorrei tanto incontralo anch’io», commenta Satsuki, implorandomi silenziosamente con i suoi grandi occhi lucenti.
   Magari potrei invitarla un giorno da me e presentarle Tatsuo. Anzi, potrei invitare tutti loro. Sarebbe la prima volta che porto a casa degli amici. Sono sicura che mamma e papà ne sarebbero contenti.
   «A questo punto ti dobbiamo delle scuse, Eiko», il tono serioso di Mayumi mi richiama al di fuori dei miei pensieri. «Il vero motivo per cui io e Satsuki abbiamo finto di evitarti era perché volevamo farti passare del tempo da sola con Aomine, ma è chiaro che abbiamo completamente frainteso la situazione. Perdonaci».
   «Sono solo felice di sapere che non eravate arrabbiate con me. Pensavo che non voleste più essere mie amiche».
   «Che cosa dici?», Satsuki afferra le mie mani portandole al suo petto. «Noi saremo sempre tue amiche, ma questa volta abbiamo un po’ esagerato. Spero solo che quello stupido Dai-chan non abbia fatto niente di strano».
   Strano? Direi piuttosto che abbia fatto qualcosa di eccezionale, ma credo sia meglio tenere per me i dettagli di questa incredibile giornata. Ad ogni modo, sono ugualmente grata ad entrambe le ragazze. Anche se le cose non sono andate esattamente come avevano programmato, ora so di essermi avvicinata un po’ di più ad Aomine e spero che tra di noi possa sbocciare presto una splendida amicizia. Conserverò gelosamente il ricordo di questo giorno e i preziosi insegnamenti di cui mi ha fatto dono.

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Capitolo 14
*** Tutto quello di cui hai bisogno è fidarti di me (prima parte) ***


 

Capitolo 4

“Tutto quello di cui hai bisogno è fidarti di me”

 

 

 

         

 

 

 

 

 

    La campanella annuncia la fine delle attività scolastiche. Mayumi, seduta nel banco di fronte al mio, si prodiga nel raccogliere libri e quaderni, spingendoli alla rinfusa nella cartella, mentre Kise emerge dal letargo in cui è sprofondato durante l’ultima lezione.
    «Finalmente questa giornata è finita», pronuncia emettendo un lungo sbadiglio.
    «Ultimamente ti addormenti spesso in classe. Per caso soffri di insonnia?», lo interrogo, analizzando l’espressione sciupata sul suo volto.
    «Da un paio di settimane gli allenamenti si sono intensificati e, quando torno a casa, sono così stanco da non riuscire ad addormentarmi. Passo tutte le notti in bianco».
  «Non c’è da sorprendersi se Akashi e il coach hanno deciso di raddoppiare il carico di lavoro», risponde Mayumi, inserendosi nella conversazione. «Dopotutto anche quest’anno mirate a vincere i campionati nazionali. A proposito, se non ti dai una mossa arriverai in ritardo».
    «Per fortuna ho dormito abbastanza durante l’intera giornata e adesso mi sento in gran forma», Kise balza in piedi, raggiungendo Mayumi all’esterno della classe.
    Quanto a me, dal momento che oggi non ho lezione con il mio tutore privato, ho deciso di unirmi ai miei due compagni e di assistere agli allenamenti. Quando infine anch’io abbandono l’aula, ad attendermi in corridoio trovo Kuroko e Aomine, diretti come noi in palestra.
    «Ehi, Eiko!», esordisce Aomine, sfoderando un largo sorriso.
    Contraccambio il saluto con un cenno del capo. «Dov’è Satsuki?».
    «Si è già avviata», mi informa Kuroko. «Doveva consegnare alcuni fogli all’allenatore».
    Ci incamminiamo tutti insieme verso la palestra. Kise e Aomine discutono animatamente tra loro ripassando un paio di nuovi schemi di gioco, cercando di coinvolgere anche Kuroko nella conversazione, ma il ragazzo si limita ad ascoltare attentamente i due esuberanti compagni di squadra ed ad annuire di tanto in tanto.
    Sono trascorse diverse settimane dalla nostra visita all’acquario. Dopo essersi scusate con me per l’equivoco, sia Mayumi che Satsuki si sono mostrate molto più attente nei miei confronti. Trascorriamo quasi ogni giorno la pausa pranzo insieme ed entrambe le mie amiche si danno battaglia nell’elogiare le qualità e i pregi dei rispettivi idoli. Tuttavia, nonostante le loro continue ed esplicite manifestazioni d’affetto, non sono sicura che Kise e Kuroko siano consapevoli dei sentimenti delle due ragazze. O se non altro non sembrano provare lo stesso nei loro confronti. Del resto, nonostante sia abituato alla popolarità, Kise non dà l’impressione di volersi legare a nessuna ragazza in particolare, non al momento almeno. Parlando di Kuroko, invece, mi è parso di capire che consideri Satsuki solo un’amica, seppure molto speciale.
    Quanto a me, posso ormai dichiarare in tutta sicurezza di aver migliorato la mia relazione con Aomine. Oserei perfino dire che siamo diventati buoni amici. Sentirmi chiamare ogni giorno per nome anche da lui è diventata una piacevole abitudine. Inoltre non mi è più capitato di sentirmi strana in sua presenza. La confusione emotiva di cui sono caduta vittima quel giorno era dunque solo una conseguenza del mio timore di essere stata abbandonata dai miei amici.
    Una volta arrivati in palestra, i tre ragazzi raggiungono gli spogliatoi mentre io seguo Mayumi verso le panchine, dove troviamo Satsuki impegnata a riferire al coach i risultati delle sue ultime ricerche. Come assistente dell’allenatore è infatti incaricata di raccogliere informazioni su tutti i membri della squadra, per monitorare le loro condizioni fisiche e garantire le migliori prestazioni in campo. Al termine della conversazione, annuncio la mia presenza salutando il coach, il quale, dopo aver contraccambiato il saluto, si allontana diretto agli spogliatoi, e la stessa Satsuki che, accortasi di me, si precipita ad abbracciarmi con il solito entusiasmo.
    «Ei-chan, mi sei mancata», piagnucola quindi stringendomi al suo petto.
    «Ma sono passate solo tre ore dalla pausa pranzo», le rammento provando a divincolarmi dalla sua presa serrata.
    «Vuoi dire che in tutto questo tempo io non ti sono mancata?», domanda Satsuki, incurvando le labbra in un’espressione triste.
   «Non volevo dire questo», mi correggo immediatamente, approfittando della sua guardia bassa per liberarmi dall’abbraccio e respirare profondamente. Infine prendo posto sulla panchina e, insieme alle mie due amiche, mi preparo all’arrivo dei giocatori in campo.

 

***

 

Al termine dell’allenamento mi avvicino a Mayumi, offrendomi di aiutarla a distribuire gli asciugamani puliti ai membri della squadra, per ripulirsi del sudore che ora bagna le loro fronti.
    «Questo è un compito che spetta a noi manager. Non posso chiedere a un ospite di lavorare», Mayumi declina la mia offerta con un sorriso.
   «Per favore, lascia che dia una mano anch’io. Nonostante non faccia ufficialmente parte della squadra, il coach mi permette di assistere ogni volta che lo desidero. Vorrei almeno esprimere in qualche modo la mia gratitudine».
    Incapace di controbattere alla sincerità dei miei sentimenti, alla fine Mayumi acconsente alla mia richiesta, cedendomi una pila di asciugamani freschi di lavanderia. Seguendo il suo esempio e quello di Satsuki, mi accingo ad accogliere i giovani atleti che si stanno gradualmente radunando a bordo campo per dissetarsi e ripristinare le proprie energie, provate dall’intenso allenamento. Il primo ragazzo a venirmi incontro è Aomine. A dispetto degli altri membri della squadra, non sembra affatto stanco. Se non fosse per le gocce d’acqua, che dalla sua fronte scivolano fino alla base del collo, provocando sulla pelle abbronzata un effetto traslucido, nessuno penserebbe che il ragazzo ora di fronte a me abbia appena terminato una sfiancante sessione di allenamenti.
   La maggior parte dei giocatori intorno a me boccheggia sonoramente nella speranza di rianimare i propri polmoni. Alcuni giacciono abbandonati sul pavimento, fiacchi e pallidi; altri si sono impossessati della prima bottiglietta d’acqua che hanno trovato e adesso bevono avidamente senza badare ai compagni in attesa di dissetarsi. Perfino Kise sembra aver perso il solito brio e se ne sta seduto in silenzio con l’asciugamano intorno al collo. Ovunque si posi il mio sguardo, non vi sono che giovani atleti prosciugati delle proprie energie e desiderosi di tornare a casa; di immergersi in una vasca fumante che possa sciogliere la tensione accumulata nei muscoli; di consumare un pasto preparato in casa che possa risollevare il morale da una prestazione non proprio lodevole; di infilarsi tra le fresche lenzuola del proprio letto e sprofondare in un sonno ristoratore fino alle prime luci del nuovo giorno.
   Soltanto Aomine, in questo momento, sembra essere completamente fuori luogo. I suoi occhi ridenti e pieni di vitalità contrastano con le espressioni abbattute e spente dei suoi compagni di squadra. Mi basta guardarlo pochi secondi per sentirmi io stessa piena di energia e ottimismo e, senza un apparente motivo, anche sulle mie labbra si dischiude presto un sorriso.
    «Ecco», esordisco quindi porgendogli un asciugamano pulito e prendendomi qualche secondo per osservarlo mentre lo utilizza per tamponarsi il volto madido.
    «Stai pensando di unirti alla squadra?», domanda Aomine, gettando subito dopo il panno umido sulla spalla.
    «Per quanto mi farebbe piacere, ho paura di non essere la persona più adatta. Se diventassi una manager a tempo pieno, finirei sicuramente col causare qualche guaio».
    Con un gesto assolutamente naturale, Aomine posa una mano sulla mia testa, arruffando i miei capelli.
    «Stai facendo un ottimo lavoro, invece», commenta, accompagnando quindi il complimento con una risata compiaciuta che provoca in me una punta di orgoglio.
   Tuttavia la mia presunzione viene immediatamente punita nell’attimo in cui la pila di asciugamani che pesano sulle mie braccia, alta abbastanza da coprire metà del mio viso, inizia a inclinarsi minacciando di piombare sul parquet della palestra. Solo l’intervento provvidenziale di una mano alle mie spalle sventa il disastro, salvandomi allo stesso tempo da un’imbarazzante esperienza.
    «Oh, attenta».
   Nonostante il pericolo scongiurato, i miei nervi si irrigidiscono al suono della voce del mio soccorritore. Incapace di voltarmi indietro per incontrare il suo volto, rimango immobile, sforzandomi di ignorare il tiepido calore che, dal suo petto lievemente premuto sulla mia schiena, si propaga attraverso il mio corpo.
    «A-Akashi», balbetto infine, pronunciando il nome del capitano della squadra.
   Notando forse il mio disagio, il playmaker si allontana con disinvoltura, portandosi di fronte a me. Il lieve spostamento d’aria prodotto dal suo movimento sospinge fino alle mie narici l’odore penetrante della sua pelle ancora umida, inducendo il mio cuore ad un sussulto. Il soffice muro di asciugamani che si innalza al di sopra del mio naso è un ottimo riparo dietro il quale nascondere il rossore delle mie guance.
   Ho sempre considerato Akashi una persona a cui guardare con ammirazione. Benché sia il frutto di un sentimento maturato da una conoscenza piuttosto approssimativa, la considerazione che nutro nei suoi confronti può definirsi genuina. A dispetto della sua giovanissima età, Akashi sembra avere una personalità matura, responsabile, dignitosamente autoritaria. Dai suoi discorsi traspare una naturale sicurezza e le sue azioni non sembrano conoscere esitazione. Non c’è da meravigliarsi che un simile ragazzo sia riuscito ad imporre la propria egemonia ai compagni di squadra e a persuadere all’obbedienza, o se non altro al rispetto, i professori e gli studenti di tutta la scuola.
    «Non trovi anche tu che così vada meglio?».
   Emergo dai miei pensieri richiamata dalla voce del giovane capitano. Improvvisamente non avverto più la sensazione di morbidezza prodotta dal cotone contro le mie guance. Anche il campo visivo davanti ai miei occhi si è notevolmente allargato, mentre il peso sulle mie braccia sembra essersi inspiegabilmente dimezzato. Con mio stupore, mi accorgo allora che una cospicua parte degli asciugamani che coprivano metà del mio viso giace ora fra le mani di Akashi.
    «Ti ringrazio», pronuncio, mantenendo lo sguardo basso per la vergogna.
    «Apprezzo molto che tu voglia essere d’aiuto, solo cerca di non esagerare».
    «M-Mi dispiace. Aspetterò qui seduta che abbiate finito».
    Mentre mi appresto a posare i pochi asciugamani in mio possesso sulla panca più vicina, rinunciando un po’ a malincuore a sdebitarmi con i membri della squadra, un rapido cambiamento nel tono di Akashi mi incoraggia ad interrompere le mie azioni.
    «Perdonami. Stavo solo cercando di dire che mi rattristerebbe molto se ti facessi male».
   Vinta dalla gentilezza e dalla premura delle sue parole, mi volgo indietro per incontrare finalmente il suo sguardo. Nonostante sul suo viso siano evidenti i segni della fatica, l’espressione nei suoi singolari occhi rubini è incredibilmente affabile. Le sue profonde pupille nere splendono di un’accorata inquietudine e le sue labbra sono dischiuse in un sorriso di sincera apprensione. Ad un tratto mi torna alla mente Naoko; quel suo atteggiamento protettivo; quella sua dolce ansia materna, in virtù della quale non può fare a meno di vegliare costantemente su di me. Sono perfettamente consapevole che Akashi non abbia nulla in comune con mia sorella, eppure la sensazione che provo ora in sua presenza è lo stesso sentimento di tiepido conforto che mi trasmette Naoko. Anche in questo ragazzo riesco ad avvertire la stessa preoccupazione, la stessa volontà di proteggere e al contempo spronare.
    «Cercherò di stare più attenta».
    Pronuncio queste parole lasciandomi guidare dall’istinto, assecondando l’intimo desiderio di corrispondere alle sue premurose attenzioni.
    «Bene», risponde Akashi, visibilmente sollevato, aggiungendo immediatamente dopo: «Sono felice di essere riuscito a parlare con te».
   I miei occhi lo seguono in una silenziosa contemplazione mentre si allontana da me e da Aomine per raggiungere l’allenatore. Mi sento insolitamente serena. Avevo immaginato la mia prima conversazione con Akashi in modo molto diverso. In un conteso molto diverso. Uno dei motivi per cui mi sono sempre adoperata nel mantenere le distanze da lui era perché temevo che un confronto diretto avrebbe ulteriormente minato la mia già malferma autostima, acuendo il divario che ci separa. Ero inoltre sicura che una persona brillante come lui non avesse alcun desiderio di socializzare con una ragazza mediocre come me. Anche se apparteniamo allo stesso mondo, anche se abbiamo ricevuto un’educazione molto simile, come unico erede della sua famiglia, Akashi è destinato a portare sulle proprie spalle il peso di responsabilità e aspettative che a me resteranno invece sconosciute. Benché mi ritenga una giovane studentessa piuttosto coscienziosa, o per lo meno immune alle frivolezze tipiche della mia età, non posso negare la maturità, forse un po’ precoce, che traspare dalla persona di Akashi. Non è insolito cogliere nel suo sguardo un indizio di quella serietà consumata, di quella rigida disciplina che hanno plasmato la sua autorevole dignità, ma anche il suo carisma, fin dall’infanzia. L’immagine che mi sono costruita di questo ragazzo, di questo mio coetaneo, ha sempre esercitato una forte soggezione sul mio inconscio, portandomi istintivamente a fuggire da lui. Allo stesso tempo, però, mi ha indotta ad ammirarlo, a guardare con meraviglia, e con un pizzico di invidia, alla sua forza interiore, alla sua determinazione, alla sua perseveranza, a quella sua inattaccabile sicurezza. A quell’innata genialità che gli consente di eccellere in qualunque campo, di accogliere il successo come un’ovvietà, senza doverlo rincorrere o inseguire, arrancando lungo il cammino.
   Mio cugino Seiichi è quello che viene generalmente definito un prodigio, un individuo a cui la natura ha fatto dono dei suoi migliori talenti. Da quando ho memoria, non ricordo di essere mai stata testimone di un suo fallimento. Fin da bambino si è dimostrato un sublime musicista e un poeta dalla profonda sensibilità letteraria. Crescendo ha poi rivelato di possedere anche una vivace intelligenza, che lo ha portato ad inoltrarsi negli intricati ambiti scientifici del sapere, guadagnandogli attestati e riconoscimenti sia in Giappone che in Inghilterra. Tuttavia la sua passione indiscussa resta la pittura. Buona parte dei capolavori esposti nella villa Wadsworth, sono il frutto maturato dal pennello e dal raffinato senso estetico di Seiichi. Mio padre e zia Azumi hanno più volte provato a convincerlo ad allestire una mostra qui a Tokyo, ma mio cugino si è cocciutamente dichiarato contrario all’idea di cedere la sua arte a “profani”. «La natura», ha detto, «mi ha concesso il dono dell’arte perché omaggiassi le sue bellezze catturandole sulla tela, non perché le svendessi. La mia arte partorirà solo piaceri, mai profitti».
    A parte la sua peculiare filosofia, che tuttavia ritengo piuttosto affascinante e neanche tanto sbagliata, è indubbio che Seiichi abbia ricevuto alla sua nascita il bacio con il quale la natura benedice i suoi pupilli. E a questo punto sono portata a credere che anche Akashi sia stato scelto per entrare in quella ristretta cerchia di fortunati per i quali il fato ha già disposto i suoi favori.
    Ad ogni modo, penso che anch’io potrei ritenermi in un certo senso una “favorita”. Dopotutto, ho avuto la possibilità di incontrare due protetti della Fortuna. Ho promesso che mi sarei impegnata ad accogliere con ottimismo le opportunità che il Cielo sarà abbastanza benevolo da porre sulla mia strada. E credo di aver compiuto un altro passo in avanti proprio oggi. Osservare Akashi da vicino, entrare in una relazione amichevole con lui potrebbe aiutarmi a scoprire il “mio” talento, o semplicemente a farmi apprezzare di più, a comprendere il vero significato celato dietro concetti astratti come il sacrificio, la forza di volontà, la risolutezza. La vicinanza di una persona tanto carismatica, oltretutto mia coetanea, le cui origini affondano le proprie radici in quella stessa società elitaria che ha accolto la mia venuta in questo mondo, potrebbe rivelarsi un insostituibile incoraggiamento a coltivare speranze e ambizioni che possano infiammare il mio tiepido animo.

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Nota d’Autrice: Buongiorno a tutti! Spero che abbiate trascorso un piacevole week-end e che l’inizio della nuova settimana non sia stato troppo traumatico (XD).
Come sempre vi ringrazio per avermi seguita fino a questo punto. Come vi avevo accennato, questa storia è solo all’inizio e questa prima parte è un po’ un’introduzione con la quale intendo prepararvi un po’ alla volta prima di entrare nel vivo della narrazione. Purtroppo devo infirmarvi che, a causa degli esami universitari, potrei non essere in grado di pubblicare i prossimi capitoli con frequenza settimanale, perciò vi chiedo scusa fin da ora. Tuttavia vi incoraggio sempre a condividere con me le vostre opinioni in attesa del prossimo aggiornamento.

 
    Un bacione a tutti!

Lady L.

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Capitolo 15
*** Tutto quello di cui hai bisogno è fidarti di me (seconda parte) ***


***

 

Arthur parcheggia la limousine a pochi metri dai cancelli della scuola, abbastanza lontano da non dare nell’occhio e permettermi di scendere dal veicolo senza attirare attenzioni sospette.

«E’ sicura di non volere che l’accompagni fino all’interno dell’edificio?», domanda quindi, aprendo la portiera e porgendomi una mano per aiutarmi a uscire dall’auto.

«Si, sono sicura», rispondo afferrando le sue dita, fasciate da un candido guanto.

Una volta alla luce del sole, mi concedo qualche secondo per studiare l’espressione sul suo volto. I suoi limpidissimi occhi di cobalto evitano il mio sguardo, rimanendo posati sulla mia mano, saldamente stretta nella sua. Percepisco la sua esitazione nel lasciarmi andare e questo provoca in me un sentimento di rammarico: sono consapevole di essere io la causa della sua profonda preoccupazione.

Come mio autista personale, probabilmente in questo momento Arthur si sente in dovere di proteggermi dalla minaccia che, da diversi giorni ormai, incombe su di me. Ho promesso a me stessa che avrei trovato una soluzione al mio problema senza coinvolgere la mia famiglia. D’altro canto, però, avevo bisogno di confidarmi con qualcuno che potesse consigliarmi e così ho finito con il rivolgermi all’unica persona che sapevo avrebbe rispettato la mia decisione di tenere i miei fratelli e i miei genitori al di fuori di questa storia.

«Mi dispiace averti coinvolto, Arthur», pronuncio infine sinceramente pentita di averlo costretto al silenzio perfino nei confronti di mia madre, per la quale nutre un grande rispetto e una fedele devozione.

«Non si preoccupi. Sono solo felice che abbia deciso di confidarsi con qualcuno, invece di affrontare la cosa completamente da sola. Le ho promesso che manterrò il suo segreto, tuttavia…», le dita di Arthur si stringono attorno alla mia mano e i suoi occhi si sollevano per incontrare i miei, «se dovessi rendermi conto che la sua vita è in pericolo, informerò immediatamente la Signora e tutti i membri della sua famiglia».

Non potendo oppormi alla sua condizione, ma ancor meno alla risolutezza nel suo sguardo, annuisco remissiva. Solo dopo aver ottenuto il mio consenso, si convince dunque a liberare la mia mano e a farsi da parte affinché possa incamminarmi verso i cancelli della scuola.

Mentre avanzo, con passo incerto, esamino attentamente qualsiasi studente mi si avvicini, nella speranza di scorgere preziosi indizi che possano rivelarmi l’identità del misterioso persecutore che ogni giorno lascia lettere minatorie nel mio armadietto. Purtroppo non ho idea di chi possa essere. Inoltre questa persona non si è mai preoccupata di farmi conoscere il motivo del suo astio nei miei confronti. In ognuno dei messaggi che ho ricevuto fino a ieri, si è limitata ad intimidirmi preannunciando incidenti che avrebbero attentato alla mia incolumità. L’unica certezza di cui sono in possesso è che si tratti di uno studente della Teikou, tuttavia non ho informazioni nemmeno sul suo sesso, anche se personalmente sono portata a credere che possa trattarsi di una ragazza, o almeno così mi dice l’intuito.

 

***

 

Allo scoccare della pausa pranzo mi preparo a raggiungere Satsuki in cortile, insieme a Mayumi, quando Midorima si presenta in classe nostra, portandomi un messaggio da parte di Akashi.

«Che cosa?!», la voce di Mayumi esplode al mio fianco, emettendo un suono talmente acuto da provocare un breve fischio nel mio orecchio.

«E’ davvero necessario urlare in questo modo?», la interroga Midorima, assicurandosi di esprimere tutta la sua irritazione.

«Certo che lo è», ribatte prontamente Mayumi, incurante dell’implicito rimprovero. «Hai appena detto che Akashi ha invitato Eiko a pranzare con lui».

Il ragazzo di fronte a noi emette un lungo sospiro, prima di procedere a sistemarsi gli occhiali sul naso. Le sue dita sono accuratamente fasciate e le unghie limate con perfezione millimetrica. Una sera, al termine degli allenamenti, osservando Midorima intento a controllare le proprie unghie, ho interrogato Kise: a quanto pare il motivo per cui dedica così tanto tempo alla cura delle sue mani è perché sostiene che la lunghezza delle unghie influisca sulla precisione dei suoi tiri.

«Tu che cosa dici, Eiko?», questa volta l’attenzione di Mayumi si sposta su di me. «Hai davvero intenzione di andare?».

«Non lo so. Satsuki ci sta aspettando e…».

Ammetto di sentirmi impreparata. L’ultima cosa che mi sarei aspettata era un invito da parte di Akashi. È vero che ultimamente i rapporti fra di noi sono migliorati e non sono neanche tanto rare le occasioni in cui ho la possibilità di conversare piacevolmente con lui. Tuttavia ero convinta che Akashi preferisse trascorrere il proprio tempo in solitudine, o tutt’al più in compagnia di Midorima, magari per una partita di shogi. Per quanto mi sforzi di pensare, non riesco ad immaginare per quale motivo abbia convocato proprio me. Una parte del mio ego vorrebbe trovare una risposta a questa perplessità, ma d’altro canto avevo già promesso il mio tempo alle mie due amiche.

«Accidenti, adesso sono troppo curiosa», Mayumi porta il pollice alle labbra e inizia a mordicchiare nervosamente l’unghia. Quindi, dopo aver espirato sonoramente, afferra le mie spalle e pronuncia solenne: «Devi andare da lui».

«Ne sei sicura?», le chiedo, sperando in fondo in una risposta negativa per almeno due motivi. Primo, non me la sento di venire meno alla parola data e di rinunciare ad incontrare Satsuki: ho davvero bisogno della sua vivace compagnia per non pensare al mio pericoloso e anonimo molestatore. Secondo, vorrei evitare di sottopormi allo stressante interrogatorio a cui mi costringerà Mayumi al mio ritorno. L’unico motivo per cui sarebbe felice di convincermi ad accettare l’invito di Akashi è per conoscere le intenzioni che si celano dietro le azioni del capitano della squadra di basket.

«Hai il mio permesso e quello di Satsuki, non preoccuparti», dichiara la ragazza, sospingendomi verso Midorima prima che possa controbattere.

A questo punto non ho altra scelta: trascorrerò la pausa pranzo in compagnia di Akashi.

 

***

 

Durante il breve tragitto, la mia mente è impegnata a filtrare la moltitudine di domande che si accatastano rapidamente nella mia testa. Si accumulano le une sulle altre, come detriti sul letto di un fiume, ingarbugliando il flusso regolare dei miei pensieri. I miei occhi sono posati sui miei piedi e sull’alternarsi dei miei passi. Ho accettato di incontrare Akashi, ma forse sono stata troppo precipitosa. L’aura che emana da questo ragazzo è così intesa e austera da suscitare in me una forte suggestione e mentirei se affermassi si sentirmi a mio agio in sua presenza. Non è che abbia paura di lui. Piuttosto, l’ammirazione che nutro nei suoi confronti è talmente radicata nel mio inconscio da impedirmi di abbassare la guardia e rilassarmi. Quando sono con lui avverto la necessità di mostrare il mio lato migliore. Anche se non l’ho mai ammesso apertamente, desidero che Akashi abbia in ogni momento un’opinione positiva di me.

Infine raggiungiamo il luogo dell’appuntamento. Con un gesto sicuro, Midorima fa scorrere la porta dell’aula, aprendola. Nella stanza regna un silenzio assoluto. Tutti gli studenti si sono allontanati approfittando della pausa, con l’eccezione di un solo ragazzo.

«Akashi», esordisce Midorima, con il tono grave della sua profonda voce, annunciando la nostra presenza.

Mi sporgo leggermente oltre la sua figura per catturare la dignitosa immagine del giovane seduto all’altro lato della stanza. Quasi non si fosse accorto del nostro arrivo, Akashi rimane immobile, continuando ad offrirci le spalle. Il suo capo è lievemente inclinato in avanti per analizzare con imperturbabile concentrazione la scacchiera. La sua mano si muove quindi per raccogliere la pedina su cui è inciso l’ideogramma che indica il Re e posizionarla sulla griglia.

«Ohi, Akashi», per la seconda volta, Midorima reclama l’attenzione del capitano.

La testa si solleva e la voce autoritaria del ragazzo vibra nella quiete dell’aula.

«Midorima, puoi andare adesso».

Il prodigioso tiratore si accinge ad eseguire l’ordine, in rispettoso silenzio, senza mostrare alcun malcontento per la freddezza racchiusa nelle parole del giovane playmaker.

Rimasta sola con Akashi, costui decide infine di deviare su di me la sua concentrazione.

«Bene arrivata, Eiko. Ti stavo aspettando», pronuncia sollevandosi dalla sedia e ruotando il corpo fino ad incontrare il mio sguardo.

Contraccambio il saluto con un cenno del capo. Il suo viso sembra così diverso da come lo ricordavo: non riesco a scorgervi la stessa dolcezza del nostro primo incontro. L’espressione nei suoi occhi vermigli per un attimo genera un sentimento di sterilità nel mio cuore, raggelandolo.

«Ti vedo turbata. Credevo mi avessi dato il permesso di chiamarti per nome», dichiara Akashi, interpretando erroneamente il mio disagio.

«Infatti è così», rispondo sforzandomi di spingere la voce al di fuori della mia bocca. «Sono solo sorpresa. Non mi aspettavo un invito».

«Spero di non averti causato problemi con questa mia improvvisa richiesta».

Scuoto la testa in segno di negazione: non posso confessargli che avrei preferito trascorrere la pausa in compagnia di Mayumi e Satsuki.

Nell’intento di aiutarmi a rilassarmi, Akashi mi esorta a prendere posto insieme a lui. Lo raggiungo dunque al banco, appena accanto alla finestra. L’intera superficie del tavolo è occupata da una scacchiera di pregiatissima fattura, su cui sono state posizionate tutte le pedine, in modo da simulare una vera partita di shogi.

Akashi si accomoda di fronte a me e con un cenno della mano mi invita ad unirmi a lui in qualità di suo avversario. Purtroppo, con mio immenso dispiacere e imbarazzo, mi vedo costretta a rifiutare.

«Temo di non avere dimestichezza con questo gioco. Conosco a malapena le regole», confesso chinando il capo e mordendomi lievemente il  labbro inferiore.

Il pensiero strategico non è mai stato un mio punto forte. Una volta mio cugino Yoichi mi ha sfidata amichevolmente ad una partita di scacchi. Benché abbia appreso i fondamentali di questo gioco quando ero bambina, la partita si è rivelata impari fin dalle prime battute. Fra tutti i miei cugini, Yoichi è quello forse meno portato per le discipline che implicano una fervida attività mentale. Eppure quel giorno la sconfitta si è abbattuta su di me in modo inesorabile, dimostrando, dopotutto, quanto impraticabile resti per me il terreno delle battaglie strategiche.

«Sarò più che lieto di insegnarti, se avrai piacere di imparare».

L’offerta di Akashi è accompagnata da un sorriso gentile, tuttavia non avverto in esso lo stesso calore a cui pensavo di essermi ormai abituata. Nonostante sieda a pochi centimetri da me, distinguo chiaramente la gelida distanza che ci separa in questo momento. L’atmosfera che si è creata intorno a noi è così opprimente da angosciarmi. D’altro canto l’intuito che lentamente si fa strada nel mio animo continua a sussurrami che potrei non essere io la causa di questa insolita freddezza.

«Akashi», raccogliendo dunque il mio coraggio, sposto il centro della conversazione sull’argomento principale, «perché hai chiesto di vedermi?».

La sua mano si solleva dalla scacchiera, ma non prima di aver spostato il Cavallo bianco in campo nemico, portando così avanti l’offensiva. I suoi occhi, socchiusi in un’espressione di profonda concentrazione, si posano sul cielo terso che si apre oltre la finestra. Il suo silenzio sollecita il battito del mio cuore e per un attimo dimentico di respirare. Infine la sua bocca si dischiude per emettere il suono più amabile e affettuoso che abbia mai udito.

«Che cosa ti turba, Eiko?».

La dolcezza con la quale il mio nome abbandona le sue labbra scalfisce l’involucro che fino a questo momento ha avvolto la mia fragilità, celandola e sopprimendola. Questo sentimento è solo il frutto di un mio desiderio inespresso, non può corrispondere alla realtà. Ciononostante continuo a sperare che il ragazzo di fronte a me abbia parlato in questo modo perché consapevole; che i suoi compassionevoli occhi, i quali sembrano accarezzare così teneramente i miei, siano davvero riusciti a scorgere quella paura che ho provato a nascondere. Possibile che se ne sia accorto?

Quasi avesse percepito i miei pensieri, Akashi risponde alla mia silenziosa domanda con un cenno del capo, appena percettibile ma abbastanza inequivocabile da incoraggiarmi a frantumare l’involucro attorno al mio cuore per liberarlo.

«Ho paura. Non so cosa fare», confesso infine, portando una mano sul petto. Le mie dita si stringono con forza attorno al tessuto della mi divisa, mentre cerco di dominare il tremito nella mia voce.

«Va tutto bene. Prova a calmarti adesso».

Guidata dal suono quieto e posato delle sue parole, mi concentro su me stessa, focalizzando la mia mente sull’ansia e sul turbamento che lottano per possedere il mio animo. La solida presenza di Akashi mi è di grande conforto in questo momento di debolezza. E’ come se volesse spronarmi, con la sua sola esistenza, a non disperare, a non rinunciare a chiedere aiuto. Forse è ancora prematuro per me pretendere di uscire illesa dalla mia attuale situazione, affidandomi unicamente alle mie forze, e Arthur, purtroppo, non può rimanere al mio fianco mentre sono a scuola. Penso che sarebbe più sicuro avere qualcuno che possa assistermi anche durante le ore scolastiche, almeno finché non avrò scoperto l’identità del mio persecutore. Consolati da questi pensieri, il mio cuore si acquieta e il mio respiro si regolarizza.

«Ti ringrazio», la tensione nella mia mano si scioglie, allentando la presa sui miei vestiti.

«Quando sono iniziate le minacce?».

Alla domanda di Akashi, le mie palpebre si allargano. «Come fai a sapere che…?».

«Non è stato difficile capirlo. Ultimamente non fai che guardarti intorno con circospezione e sussulti appena qualcuno ti si avvicina».

La semplice consapevolezza che lo sguardo vigile del capitano abbia vegliato su di me per tutto questo tempo colora le mie guance di imbarazzo. Ma è la sua estrema accortezza a provocare la mia gratitudine: pur avendo scoperto il mio segreto, ha scelto di parlarmi in privato, rispettando il mio desiderio di riservatezza. Riflettendoci con attenzione, neanche Midorima, la persona più vicina ad Akashi, sembrava essere a conoscenza della reale motivazione che ha indotto questo insolito incontro.

«Ho ricevuto la prima lettera dieci giorni fa», rivelo dunque, rispondendo alla domanda del ragazzo seduto di fronte a me. «Il foglio non era firmato. Tuttavia, l’autore non ha scritto nessuna vera minaccia. Solo un avvertimento. Un ordine, più che altro».

«Che cosa ti ha ordinato?»,

«Di lasciare questa scuola».

«Hai conservato tutte le lettere?».

Annuisco. «Le ho nascoste in camera mia: volevo evitare che la mia famiglia le trovasse».

«Dunque nessun altro, a parte me, è a conoscenza della situazione?».

Questa volta scuoto il capo in diniego. «Ho raccontato di questa storia ad Arthur, il mio autista».

Akashi si concede qualche secondo di silenzio, probabilmente per cercare di visualizzare nella sua mente il volto di Arthur. Quindi torna a dedicarmi le sue attenzioni con animo sereno: è come se l’essere venuto a conoscenza di Arthur lo avesse in qualche modo tranquillizzato.

«Hai qualche sospetto?».

«Nessuno in particolare, purtroppo, ma non riesco a togliermi dalla testa l’idea che possa essere una ragazza».

«Ho capito», pronuncia Akashi, spostando un’altra pedina sulla scacchiera.

Seguendo il movimento della sua mano, i miei occhi scivolano sulla tavola di  legno. Benché non sia un’esperta di shogi, mi basta un’occhiata attenta per prendere atto della situazione: il Re Nero si trova sotto scacco, minacciato a destra dall’ombra imponente della Torre e sul fianco sinistro dalla punta acuminata della Lancia; l’unica possibilità che ha di sottrarsi momentaneamente alla cattura è battere in ritirata retrocedendo verso l’ultima casella, sul bordo della griglia.

Diversamente dal Re Nero, io non conosco ancora l’identità di chi mi sta minacciando, ma mi sento ugualmente con le spalle al muro. Se le parole del mio molestatore sono vere, potrei cadere vittima di un suo agguato in qualsiasi momento. L’ignoranza nella quale brancolo ogni giorno sta compromettendo la mia vita scolastica, oltre alla mia sanità mentale. Questa volta il nemico è reale e forse ora mi sta osservando da un angolo ben protetto della scuola. Il pensiero di essere costantemente controllata mi sta lentamente portando a dubitare delle persone che mi sono più vicine: i miei stessi amici. Persino in questo momento una parte di me, quella più insicura, continua a ripetermi di diffidare di Akashi. Fin dal mio primo giorno qui alla Teikou ho cercato di non dare nell’occhio, di frequentare le lezioni con la massima discrezione possibile, ma non appena ho deciso di aprirmi e di coltivare nuove amicizie ho attirato su di me il rancore di uno sconosciuto (e mi auguro che sia soltanto uno) che ha giurato di vendicarsi, attentando alla mia stessa vita. È assurdo. Non ho neanche idea di che cosa abbia fatto per meritare tanto odio. E se fosse…? In questo caso, però, anche Satsuki e Mayumi sarebbero in pericolo. Se per colpa mia dovesse succedere loro qualcosa...

Sono ancora in tempo. Dopotutto devo solo convincere i miei genitori a trasferirmi in un’altra scuola prima che le cose peggiorino. Non importa se alla fine sarò costretta a raccontare la verità. Non posso rischiare di coinvolgere le mie amiche, né i ragazzi della squadra di basket. Ho sbagliato. Parlare con Akashi è stato un errore. Non sarei dovuta venire. A questo punto anche lui potrebbe già essere entrato nel mirino del nemico e se così fosse non posso restare con lui. Questa è la mia battaglia: se non sono abbastanza forte per vincerla, non mi resta che accettare le condizioni del mio ricattatore e proteggere così almeno i miei amici. Questa sera, appena arrivata a casa, confesserò ogni cosa a mia madre e la implorerò di avviare le pratiche del mio trasferimento.

«Tu non lascerai questa scuola».

Sicura di non aver espresso ad alta voce i miei pensieri, sollevo il capo cercando il volto di Akashi. Mi rendo allora conto che per tutto il tempo i suoi occhi sono rimasti su di me, senza mai perdermi. Solo dopo avere ottenuto la mia attenzione, si abbassano sulle mie mani: ancora una volta le gelide dita si sono richiuse intorno alla stoffa, stringendola con una forza tale da rallentare il defluire del sangue sotto la mia pelle. Senza rendermene conto, ho manifestato attraverso i miei gesti il tormento del mio animo, permettendo involontariamente ad Akashi di apprendere i miei pensieri.

«Non ho altra scelta», ribatto con un impeto assolutamente anomalo. «Se non mi trasferisco, chiunque abbia scritto quelle lettere potrebbe decidere di prendersela non solo con me. Non voglio coinvolgere Mayumi o Satsuki e, a pensarci meglio, non voglio coinvolgere neanche te, Akashi».

«E’ un po’ tardi, Eiko. Se davvero fossi stata disposta fin dall’inizio ad accettare la condizione che ti è stata imposta, non saresti venuta da me».

«Che cosa vuoi dire?».

«Che non hai motivo di lasciare questa scuola. Tutto quello di cui hai bisogno è fidarti di me».

Uno schiocco proveniente dalla scacchiera attira la mia attenzione: il Re Nero è circondato.

«Scacco matto», dichiara Akashi, con imperturbabile calma.

Nel suo sguardo fermo è impressa l’irremovibile sicurezza di colui che ha accettato la sfida pregustando una vittoria assoluta. Se ha davvero deciso di lasciarsi coinvolgere nel mio problema, non sarò in grado di fargli cambiare idea in alcun modo. Quando si è abituati al successo, è facile abituarsi anche all’idea di avere sempre ragione e questa consapevolezza non fa che accrescere l’autostima e la presunzione nell’essere umano. Benché tenti forse di mascherarlo dietro i modi affabili, è piuttosto evidente ai miei occhi quanto arrogante sia la natura di Akashi, ma allo stesso tempo non posso biasimarlo. Quest’aura confidente che circonda la sua persona in realtà mi tranquillizza, trasmettendomi un sentimento di quieta pace. Per questa semplice ragione, non potrei infuriarmi con lui neanche se mi stesse usando solo per combattere la noia. Ma se anche fosse così, accetterei di assecondarlo nei suoi capricci, sicura di ricevere in cambio l’aiuto che nessun altro potrebbe offrirmi. In ogni caso, Akashi mi ha esplicitamente proibito di lasciare questa scuola: gli ordini del capitano non si discutono e chiunque proverà a costringermi ad infrangere questo divieto dovrà risponderne direttamente a lui.

«Avrei una richiesta», pronuncio dunque, accogliendo infine di buon grado la proposta di alleanza .

«Ti ascolto».

«Vorrei evitare di coinvolgere gli altri, soprattutto Mayumi e Satsuki. Se venissero a sapere delle lettere, sono sicura che si preoccuperebbero e finirebbero con l’attirare l’attenzione del molestatore. Meno sapranno, meno pericoli correranno».

«Hai la mia parola», mi assicura Akashi, dischiudendo le labbra in un sorriso indulgente. I suoi occhi rubini, socchiusi in una tenera espressione compassionevole, dissipano le ultime nubi di incertezza nel mio cuore, colmandolo di una serena fiducia.

 

***

 

Per fortuna anche questa giornata si è conclusa senza incidenti. Dopo avere incontrato Akashi, mi sono riunita alle mie amiche, come promesso, e ho trascorso con loro il resto della pausa pranzo. In qualche modo sono riuscita ad eludere le assillanti domande di Mayumi, evitando di rivelarle il vero motivo del mio incontro con il giovane capitano. Nel pomeriggio mi sono concentrata sulle lezioni, sforzandomi di assumere un atteggiamento quanto più naturale possibile, per non insospettire i miei due compagni di classe. Al trillo della campanella mi sono quindi involata nei corridoi, senza attendere Mayumi e Kise. Per non allarmarli, ho detto loro di dover tornare a casa per studiare con il mio tutore privato. Non ho mentito, sebbene non abbia raccontato tutta la verità. Volevo infatti raggiungere il mio armadietto, all’ingresso dell’edificio scolastico, senza che mi seguissero.

Anche oggi, nascosta sotto la suola delle mie scarpe, ho trovato una nuova lettera e, come sempre, non era firmata. Combattendo la tentazione di aprirla, l’ho infilata nella mia cartella, senza farmi vedere da nessuno, e mi sono incamminata verso i cancelli. Prima di rendermene conto, Akashi era al mio fianco.

«Un altro messaggio?»

Annuisco. «Anche questa volta manca il nome del mittente».

Continuiamo a camminare, percorrendo tutto il cortile, finché la figura di Arthur si materializza davanti a noi. I suoi occhi si assottigliano pieni di diffidenza, mentre analizzano rapidamente lo sconosciuto che mi accompagna.

«Va tutto bene, Arthur», lo rassicuro una volta lontana dagli sguardi indiscreti degli studenti che si affrettano a lasciare la scuola. «Akashi è un mio amico e si è offerto di aiutarmi».

«Akashi?», ripete Arthur, rilassando l’espressione sul suo volto. «Il giovane rampollo della famiglia Akashi?».

«Sono lieto di fare la tua conoscenza, Arthur. Ho sentito parlare molto bene di te», esordisce il giovane capitano, offrendo la mano al ragazzo in divisa per il saluto occidentale.

Le pupille di Arthur si spostano quindi su di me, in attesa di un mio comando e, solo dopo aver ricevuto il mio consenso, il suo busto si piega rispettosamente in avanti per il  reverenziale saluto orientale.

«L’onore è solo mio, signorino Akashi».

«Vedo che sei bene istruito sui costumi giapponesi», commenta il ragazzo al mio fianco, ritraendo la mano e ricambiando la formalità con un gesto appena accennato del capo.

«Arthur ha familiarità sia con la cultura britannica che con quella nipponica», aggiungo con una punta di fierezza, mantenendo lo sguardo sull’immagine ossequiosa del giovane londinese.

Ricordo con quanta devozione e con quanto sacrificio si sia sottoposto al periodo di formazione, appena arrivato qui a Tokyo. Essendo nato e cresciuto in Inghilterra, non aveva dimestichezza con le usanze giapponesi, diversamente da me, che sono stata allevata in un ambiente multiculturale fin dalla mia nascita. Tuttavia si è fin da subito mostrato disposto ad imparare per essere ritenuto degno di servire la famiglia Wadsworth e ripagare così il debito lasciato da sua madre. Arthur è un ragazzo che impara molto in fretta e in breve tempo è riuscito ad apprendere i fondamenti della cultura giapponese, dimostrando di padroneggiarla, in alcuni aspetti, meglio di me. Per questo ero sicura che avrebbe fatto un’ottima impressione ad Akashi.

«Non è sicuro parlare qui», osserva il ragazzo al mio fianco, invitandomi a salire in auto.

«Ho raccontato ad Akashi delle lettere», mi accingo a spiegare, portando le mie attenzioni su Arthur, nuovamente sospettoso, mentre mi accomodo sul sedile posteriore della limousine. «Ho pensato che sarebbe stato meno rischioso avere un alleato anche all’interno della scuola. In fondo è stato abbastanza perspicace da accorgersi da solo della mia situazione».

«In questo caso, le sono profondamente grato per essersi offerto di proteggere la signorina Eiko».

«Eiko è una preziosa amica», dichiara Akashi, indirizzandomi uno sguardo colmo di premura attraverso il finestrino dell’auto, «non potevo abbandonarla in un momento tanto pericoloso».

Sentirlo pronunciare queste parole mi è di grande conforto in questo momento. Mi ha chiesto di fidarmi di lui e ora so di non avere accettato solo perché si trattava di un ordine del capitano: fin dal giorno del nostro primo incontro, ho capito che Akashi è quel tipo di persona che mantiene sempre la parola data. Dal momento che ha promesso di proteggermi e di impegnarsi a catturare il mio persecutore, sono sicura che non si arrenderà finché non avrà raggiunto l’obiettivo. E, tenendo conto della sua straordinaria intelligenza, non dovrò attendere molto prima di scoprire chi si cela dietro le lettere minatorie.

«Per oggi torna a casa e cerca di riposare.», conclude Akashi, congedandosi da me e da Arthur. Lo seguo con lo sguardo mentre raggiunge la limousine nera, in attesa di fronte ai cancelli della scuola. Solo dopo averlo visto entrare nell’abitacolo ed essermi assicurata che l’auto si sia allontanata abbastanza dall’edificio, concedo ad Arthur il permesso di accendere il motore e incamminarsi verso casa.

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Capitolo 16
*** Sei tu Eiko Wadsworth? ***


Capitolo 5

“Sei tu Eiko Wadswoth?”

 

 

 

 

La mattina seguente, non essendo riuscita a dormire molto, mi alzo prima del solito. Nonostante manchino due ore all’inizio delle lezioni, decido di prepararmi e scendere in sala da pranzo per la colazione. Terminato il pasto, lascio la residenza con largo anticipo e mi dirigo a scuola. Arrivati a destinazione, Arthur mi scorta fino all’ingresso, studiando con attenzione i dintorni, infine, dopo avermi strappato la promessa di contattarlo immediatamente qualora dovesse succedermi qualcosa, si allontana per raggiungere la limousine, dove molto probabilmente mi attenderà fino al termine della giornata.

L’aria pungente di questa mattina primaverile accarezza la mia pelle risvegliandola dal torpore di una notte insonne, mentre con incedere stanco percorro il cortile. Le uniche persone a venirmi incontro per accogliere il mio arrivo sono i due guardiani della scuola. Sono sicura che anche questa loro giornata sia iniziata con il sorgere dell’alba. Saluto entrambi con molta cordialità mentre mi oltrepassano, armati di scope e sacchi dell’immondizia: con ogni probabilità trascorreranno la prossima ora a raccogliere i petali caduti dai ciliegi in fiore, che ricoprono ormai una buona parte del cortile frontale.

A quest’ora non ci sono studenti in giro, se non i membri dei club sportivi che si allenano regolarmente in vista dei prossimi campionati. Ovviamente anche i ragazzi della squadra di basket sono già in palestra. Visto che sono in anticipo, potrei fare un salto per vedere come se la cavano. Prima di incamminarmi verso il campo, però, voglio raggiungere l’edificio principale e assecondare questo angosciante sentimento che mi assilla da quando ho lasciato casa.

 

***

 

Ultimamente mi capita sempre più spesso di provare un po’ di invidia nei confronti di Akashi e degli altri membri della squadra. La perseveranza che li spinge ogni mattina ad arrivare a scuola prima degli altri studenti solo per sottoporsi ad un allenamento sfiancante è qualcosa che fino a poco tempo fa avrei ritenuto incomprensibile. Perché mai un ragazzo delle medie sceglierebbe spontaneamente di sacrificarsi in questo modo, spingendosi oltre i propri limiti? Per amore del basket? Per autocompiacimento? Per noia? Sacrificare preziose ore di riposo o di svago per passare il proprio tempo in una palestra, correndo per ore fino a sentire i polmoni soffocare, tirando una palla fino a sentire le braccia staccarsi dal corpo. Che cosa c’è di tanto straordinario nell’avere un obiettivo e nel ridursi allo stremo delle forze per raggiungerlo? Ogni volta che osservo questi ragazzi impegnarsi tanto e ambire alla vittoria a costo del sacrificio non posso fare a meno di interrogarmi sul reale motivo che li spinge a tanto. Eppure, nonostante la mia limitata capacità di comprendere fino in fondo la loro passione e la loro devozione verso questo sport, prima ancora di rendermene conto, sono diventata gelosa. Tuttavia non si tratta di un sentimento negativo. Forse sarebbe più corretto chiamarlo profonda ammirazione. Dopotutto, da emozioni come l’invidia e la gelosia, scaturisce il desiderio di possedere l’oggetto di quella stessa ammirazione, strappandolo così ad altri. E se non si riesce nell’intento, la frustrazione spinge ad ostacolare e danneggiare la persona invidiata, fino alla miseria. Benché la determinazione di Akashi e degli altri ragazzi susciti ogni volta la mia meraviglia, questo non vuol dire che anche io desideri ciò che al momento non possiedo. Questa gelosia che sento dentro non fa di me una persona avida, una persona desiderosa di possedere l’oggetto della sua brama ad ogni costo. La verità è che, pur invidiando segretamente coloro che hanno un obiettivo e che si impegnano per realizzarlo, non sono ancora disposta a sacrificarmi allo stesso modo: sarebbe un sacrificio inutile e sciocco. Parlando ottimisticamente, il mio potrebbe essere il comportamento di una ragazza estremamente razionale, che prende atto dei propri limiti e rimane con i piedi ben piantati a terra. D’altro canto, la mia potrebbe invece essere semplicemente codardia, paura di mettersi in gioco, di vedere le proprie speranze deluse, di accettare il confronto con persone eccezionali come Akashi solo per essere costretta a dichiarare pubblicamente la mia mediocrità. Qualunque sia la risposta, è indubbio che sono ancora lontana dal realizzare il mio proposito e diventare una persona migliore. Al contrario, il mio entusiasmo non ha fatto che diminuire da quando ho scoperto di essere entrata nel mirino di uno sconosciuto deciso a sbarazzarsi di me con ogni mezzo. Anche questa mattina, nonostante sia arrivata a scuola prima del solito, ho trovato una nuova lettera nel mio armadietto. Ho promesso ad Akashi che lo avrei immediatamente messo al corrente qualora il misterioso ricattatore mi avesse lasciato un nuovo messaggio, però oggi non sono sicura di volerlo informare, non dopo aver letto il contenuto del biglietto.

«Per questa mattina ci fermiamo qui», la voce di Akashi risuona all’interno della palestra, annunciando il termine degli allenamenti.

Senza farselo ripetere, la squadra si ritira negli spogliatoi, mentre Satsuki e Mayumi si apprestano a raccogliere i palloni sparpagliati per il campo. Osservo le mie amiche darsi da fare, standomene seduta sulla panchina. Sembrano così felici, soprattutto Mayumi. Mi ha confessato di essere diventata una manager solo per poter passare più tempo insieme a Kise, ma sono certa che ora prenda molto seriamente il suo ruolo ed è evidente che si sia affezionata anche agli altri membri della squadra. Si dà sempre un gran da fare per sostenere tutti quanti durante gli allenamenti, nonostante questo la costringa ad alzarsi presto ogni mattina e a sacrificare spesso i week-end. Eppure non si è mai lamentata una sola volta. Non potrei perdonarmi se a causa mia dovesse perdere tutto ciò per cui sta lavorando così duramente.

«E’ piuttosto insolito vederti assistere agli allenamenti così presto».

«Akashi», pronuncio con molta calma, nonostante il suo saluto improvviso mi abbia bruscamente risvegliata dai miei pensieri. «In effetti, non sono un tipo mattiniero», un lieve sorriso si distende sulle mie labbra mentre con estrema cautela allontano il mio sguardo da quello del capitano. È stata una reazione involontaria, ma sono sicura che abbia insospettito Akashi. Percepisco infatti i suoi occhi rubini che scrutano silenziosamente il mio volto. La sua vicinanza in questo momento è soffocante: se non mi allontano da lui mi forzerà a confessargli ciò che ho intenzione di tacergli.

«Penso che aiuterò Mayumi e Satsuki», mi alzo dalla panchina per raggiungere le mie amiche intente a raccattare i palloni. Forse sono stata troppo esplicita e a questo punto è impossibile che una persona acuta come Akashi non abbia capito. Entro la fine di questa giornata dovrò comunque affrontarlo, ma per ora ho bisogno di un po’ di tempo per riorganizzare i miei pensieri.

Mentre mi allontano da Akashi, la mia attenzione viene tuttavia attirata dalla figura in penombra sulla soglia della porta della palestra. Non l’avevo notata prima. Forse è uno dei ragazzi di ritorno dagli spogliatoi, anche se a giudicare dalla corporatura insolitamente esile probabilmente mi sbaglio. Per qualche secondo i miei occhi si posano sulla misteriosa ombra. Se ne sta immobile e ho come l’impressione che stia proprio guardando me. Stringo le palpebre cercando di mettere meglio a fuoco l’immagine. Un improvviso e gelido brivido percorre la mia schiena, provocando un tremito nel mio corpo. E’ la stessa sensazione che ho avvertito questa mattina appena arrivata a scuola. Che si tratti del mio persecutore? Possibile che mi abbia osservata per tutto questo tempo? Fino ad oggi non avevo idea di chi fosse, ma adesso, guardando con più attenzione, non ho più dubbi: si tratta davvero di una ragazza. Se la cogliessi di sorpresa correndo nella sua direzione potrei riuscire a vederla in faccia. No, è meglio di no, dopotutto non sono sola. Se adesso provassi a rincorrerla metterei in allerta anche Mayumi e Satsuki. Inoltre sono sicura che Akashi non resterebbe a guardare e si precipiterebbe all’inseguimento. Dopo la lettera che ho ricevuto questa mattina, non voglio assolutamente che Akashi entri in diretto contatto con una persona tanto pericolosa e imprevedibile. Credo sia più sicuro far finta di niente e raggiungere le mie amiche come avevo programmato.

«Eiko, che cosa fai lì imbambolata?», è la voce di Mayumi: meglio non insospettirla.

«Non è niente», ribatto portando le mie attenzioni su di lei con un sorriso forzato. «Volevo aiutarvi a raccogliere i palloni».

Mi affretto quindi verso il centro del campo di gioco, trascinando con me il carrello, ma prima decido di riportare velocemente le pupille sulla misteriosa figura nascosta nella penombra solo per rendermi conto che è sparita. Fino ad oggi non si era mai avvicinata così tanto a me. Probabilmente vuole farmi sentire sotto pressione facendomi sapere che, finché resterò in questa scuola, nessun posto sarà abbastanza sicuro per me. Se queste erano davvero le sue intenzioni, è riuscita a raggiungere lo scopo.

 

***

 

Il trillo dell’ultima campanella della giornata è accompagnato da un esasperato sospiro di liberazione. Sono esausta. Non credevo che mantenere la guardia alta per tutto il giorno fosse così stancante. Non è stato affatto semplice evitare di rimanere da sola con Akashi e tenermi allo stesso tempo lontano dai luoghi più isolati della scuola; dopotutto non volevo rischiare di incombere in un attacco a sorpresa da parte del mio perseguitatore. Finalmente capisco come si sentono i poveri animali della savana che devono costantemente guardarsi le spalle dai loro feroci predatori. La consapevolezza di avere una pericolosa sconosciuta alle calcagna pronta ad attentare alla mia vita ha innescato ancora una volta il meccanismo della paranoia nella mia testa. Ho dovuto impiegare ogni singola cellula del mio corpo per mascherare la mia inquietudine in presenza di Mayumi e di Satsuki. Quelle due sono incredibilmente acute e se mi avessero costretto a vuotare il sacco non sarei stata in grado di mantenere il sangue freddo, non questa volta.

«Ehi, Eiko, ti vogliono».

Mayumi conquista la mia attenzione indicando la ragazza in attesa sulla porta della classe. Non credo di conoscerla, ma non appena i nostri sguardi si incrociano mi invita ad avvicinarmi chiamandomi a sé con la mano. Ha un viso dolce, rotondo e incredibilmente grazioso. I capelli neri e liscissimi le ricadono sulle spalle incorniciando le guance rosee.

«Sei tu Eiko Wadsworth?», mi domanda con voce sottile e lievemente acuta. Annuisco. «Takeda-sensei vuole vederti. Dovresti raggiungerlo in sala professori».

«Ti ringrazio, vado subito», le assicuro, senza mostrare eccessivo entusiasmo, intuendo il motivo dell’improvvisa convocazione.

Il professore Takeda insegna arte e ha un’ossessione per il talento artistico di Seiichi. Sono sicura che vorrà di nuovo chiedermi di convincerlo a prendere parte a qualche mostra. Non importa quante volte mio cugino lo respinga: quell’uomo non sa proprio quando arrendersi. Dopo essermi data appuntamento con Mayumi e Kise al cancello principale, mi separo da loro per dirigermi in sala professori. Le mie gambe si muovono più per dovere che per un mio reale desiderio e una volta giunta a destinazione il tocco delle mie nocche sulla porta è accompagnato da un profondo respiro di rassegnazione.

«Professore, posso entrare?».

«Eiko, vieni, ti stavo aspettando», la voce di Takeda-sensei è ovattata dalla parete che ci separa, ma non abbastanza da camuffarne l’entusiasmo in essa racchiuso. Mi preparo dunque ad affrontare l’euforico insegnante, sapendo di non potermi sottrarre all’estenuante sessione di richieste che mi attende, e compio il primo passo all’interno della stanza.

 

***

 

Il sole è già tramontato quando Takeda-sensei si decide a lasciarmi andare. Seppure contro la mia approvazione, è riuscito a strapparmi la promessa di convincere Seiichi ad esporre almeno una delle sue opere alla mostra che sarà allestita la prossima settimana per presentare i giovani talenti artistici della città. Sono pronta a scommettere fin da adesso che, qualsiasi cosa dirò per persuadere mio cugino, si risolverà nel mio fallimento, costringendomi, per l’ennesima volta, a deludere le speranze del professore Takeda. Lo so che questa sua ostinazione è semplicemente la prova del suo desiderio di vedere mio cugino debuttare ufficialmente in società, ma preferirei non essere coinvolta in questo duello, del quale dubito vedrò mai una lieta conclusione.

Mi affretto giù per le scale ed esco fuori. Costeggio l’edificio per raggiungere il cancello principale, dove Arthur mi sta aspettando. La scuola è silenziosa come un cimitero notturno e improvvisamente il mio animo è colto dall’inquietudine. Affretto la marcia mentre passo sotto le finestre del corridoio dell’ala nord. So che a quest’ora non ci sono più studenti a scuola, eppure ho la sensazione di essere osservata. Nonostante sia l’unica persona nei paraggi, non posso fare a meno di guardarmi intorno con il cuore in gola. Credo di essere paranoica ma, dopo aver letto l’ultimo biglietto lasciatomi dal mio persecutore e dopo lo strano incontro di questa mattina in palestra, mi sembra di percepire una presenza invisibile e ostile spiarmi nell’ombra. Forse avrei dovuto accettare l’offerta di Akashi e lasciare che mi aspettasse, ma non me la sono sentita di costringerlo a rimanere a scuola fino a tardi. In questi ultimi giorni mi sono abituata così tanto alla sua presenza protettiva che adesso mi sento completamente vulnerabile senza di lui al mio fianco. E’ inutile piangere sul latte versato. Se ho il tempo di pentirmi della mia decisione, è meglio che mi sbrighi a raggiungere Arthur.

Forse è perché questa notte non sono riuscita a chiudere occhio, ma il mio corpo è diventato incredibilmente pesante e la stanchezza che sono riuscita ad ignorare fino adesso si sta ora imponendo sui miei piedi, rallentando il mio passo. A giocare da complice, è anche lo stress che ho accumulato giorno per giorno da quando ho scoperto di essere diventata la preda di un insano cacciatore senza nome e senza volto.

Scuoto la testa per scacciare via la sonnolenza che si aggrappa alle mie palpebre: non è stata una mossa intelligente, ma non ho il tempo di pentirmene. Il brusco movimento altera momentaneamente il mio senso dell’equilibrio, facendomi barcollare. Non potendo fare affidamento sulla vista, anch’essa manomessa e instabile, cerco con la mano qualcosa a cui appigliarmi per non precipitare sull’asfalto del cortile. Ma più cerco di dominare lo stordimento, più sento di perdere il controllo sul mio corpo. Come in uno di quegli specchi che si trovano nei parchi a tema, la realtà intorno è me è ora completamente distorta a tal punto che non posso distinguere l’alto dal basso, la destra dalla sinistra. Mi sembra di fluttuare in una dimensione intermedia, al di fuori dello spazio terrestre. Conosco questa sensazione fin troppo bene: è il preludio a un episodio di svenimento. Le mie gambe si piegano con uno scatto, come due rami spezzati, e mi trascinano in basso. Sollevo gli occhi al cielo e scorgo una figura, lontana, sbiadita. Istintivamente porto in alto un braccio e cerco di toccarla ma è troppo in alto perché possa raggiungerla. Un dolore acuto si diffonde dalla mia nuca e il mondo sparisce momentaneamente davanti ai miei occhi, come per l’effetto di un improvviso blackout. Percepisco il ruvido asfalto sfregare contro la mia schiena mentre cerco di muovermi. Quando riapro le palpebre, l’indecifrabile figura è ancora lì, sopra la mia testa. La vedo sporgersi da una delle finestre e alzare entrambe le braccia. Le sue mani sembrano stringere qualcosa di rotondo, ma sono troppo debole e assonnata per chiedere aiuto. L’ultimo ricordo impresso nella mia coscienza è il suono di una voce familiare che grida il mio nome.

 

 

Nota D’Autrice: Salve, Ragazzi! ^^

Finalmente, dopo la lunga pausa estiva, il nuovo capitolo è pronto. Vi chiedo di perdonarmi per l’interminabile attesa ma ho dovuto dedicare l’estate agli esami. L

Ma oggi ho ripreso di nuovo a scrivere e conto di portarvi nuovamente nuovi capitoli con più o meno regolarità.

Vi esorto sempre a condividere con me i vostri pensieri e vi abbraccio tutti.

Buon Week-end!!!! >_<

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Capitolo 17
*** Non voglio avere più niente a che fare con te ***


Capitolo 6

“Non voglio avere più niente a che fare con te”

 

 

 

 

 

 

Conosco questa voce. È la voce di Akashi. Credevo fosse già andato via: dopotutto sono stata proprio io a dirgli di non aspettarmi. Allora perché sento la sua voce così vicina?

«Eiko. Stai bene? Riesci a sentirmi?».

Sto bene? Non lo so. Ho perso i sensi: devo essere svenuta di nuovo. Ultimamente mi sento sempre meno me stessa e, quando torno in me, non ricordo nulla di quello che è successo. Proprio come ora.

«Signorina Eiko, la prego, apra gli occhi».

Arthur? Questa è sicuramente la sua voce. È insolitamente tremolante. Immagino sia molto preoccupato per me, ma non riesco a ricordare nulla. Che cosa mi è successo? Lentamente sollevo le ciglia e la luce perfora le mie pupille con una forza tale da indurmi a distogliere lo sguardo. Qualcosa di morbido e caldo accarezza la mia testa dolorante. Un’intensa fragranza di lavanda penetra le mie narici e risveglia i miei sensi. Apro gli occhi e sopra di me compare un soffitto che non riconosco: questa non è la mia stanza e con ogni probabilità non sono neanche a casa mia. Ruoto la testa di lato e due gemme di rubini splendenti mi salutano con tenerezza.

«Finalmente ti sei svegliata».

«Akashi?», il suono che abbandona le mie labbra è più simile a un gorgoglio che ad una voce. Le mie iridi appannate scivolano sul ragazzo al suo fianco. Proteso in avanti, mi osserva con i suoi occhi di cobalto lucido, quasi trasparente. «Arthur, sei tu?».

«Si, signorina. Sono qui con lei».

L’espressione nei suoi occhi è così pietosa e allo stesso tempo intrisa di colpevolezza. L’ultima cosa che voglia è che si senta responsabile di quanto mi è accaduto.

«Sto bene, Arthur», pronuncio distendendo le labbra in un sorriso, «perciò, ti prego, non sentirti in colpa», infine domando: «Dove mi trovo?».

«Sei a casa mia», risponde Akashi.

Questo spiega perché non ho riconosciuto né la stanza né l’odore di lavanda che emana dalle lenzuola che mi avvolgono. Provo a sollevarmi dal cuscino e subito dalla mia testa esplode una tremenda pena, simile a mille aghi, che provoca il mio grugnito di dolore.

«Non ti sforzare. Sei ancora debole», il braccio di Akashi si stringe dolcemente intorno alla mia schiena e ne accompagna la discesa sul materasso.

«Che cosa è successo?», mi informo, non sopportando di non ricordare.

«Ti spiegherò tutto dopo. Adesso pensa solo a riposarti», nonostante il tono gentile della sua voce, la severità nello sguardo di Akashi mi è sufficiente ad interpretare le sue parole come un vero e proprio ordine. Tuttavia non posso fare a meno di preoccuparmi.

«Mi sono preso la libertà di contattare la tua famiglia e informarli che questa notte sarai mia ospite», le mie pupille si allargano mentre cerco di processare l’improvviso annuncio di Akashi. Questo vuol dire che trascorrerò la notte a casa sua? E i miei genitori sono d’accordo?

Le mie attenzioni si spostano prontamente su Arthur, in attesa di un chiarimento.

«Ho parlato con la Signora e le ho assicurato che sarei rimasto con lei».

Ora ha più senso. Sapendo che Arthur è insieme a me, è naturale che i miei genitori non abbiano opposto resistenza. Tuttavia sono pronta a scommettere che Tatsuo non l’abbia presa tanto bene, invece. Probabilmente quando tornerò a casa mi sottoporrà ad una severa ramanzina. A volte sembra più un vecchio padre geloso della figlia, che un fratello maggiore. In fondo è sempre stato il più apprensivo di tutti nei miei confronti.

«Visto che sei sveglia, ti farò portare la cena», dichiara Akashi sollevandosi dalla sedia. «Hai bisogno di recuperare forze».

Con un lieve cenno del capo, ringrazio silenziosamente il capitano e lo seguo con lo sguardo mentre si appresta a lasciare la stanza. Mi sento ancora parecchio frastornata, ma ho come la sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato nel modo in cui si allontana da me. Qualcosa di diverso nella sua camminata. Possibile che Akashi sia ferito? Una nuova pungente fitta alla testa mi ammonisce, ordinandomi di mettere a riposo il mio cervello e, con esso, il mio corpo. Prima di chiudere gli occhi, invito Arthur a sedersi accanto a me. Sebbene incerto e titubante, acconsente alla mia richiesta senza distogliere lo sguardo dal mio volto stanco e insieme attendiamo il ritorno di Akashi.

 

***

 

«È sicura di non voler magiare altro?», domanda Arthur, sperando in un mio ripensamento.

«Non ho più fame», rispondo allontanando il piatto ancora mezzo pieno. Quindi mi volgo verso Akashi. «Mi spiace. Sono sicura che i tuoi cuochi si siano dati molto da fare per preparami la cena, ma ho un po’ di nausea e non credo sarebbe saggio ingoiare un altro boccone. Però vorrei che sapessero che era tutto delizioso».

«Mi assicurerò di riportare i tuoi elogi personalmente», promette Akashi, ordinando subito dopo a una domestica di portare via il vassoio d’argento brillante.

Ora che mi sono rifocillata, sento di aver ripristinato parte delle mie energie, anche se non posso affermare di essere completamente in salute. La benda che avvolge la mia testa è più stretta di quanto necessario e sento il cervello pulsare violentemente nel mio cranio, come un martello che batte incessante su un chiodo troppo testardo per conficcarsi nella parete. Non sono nelle condizioni migliori per sostenere una conversazione, ma non ho intenzione di rimandare oltre. Ho bisogno di sapere cosa è successo. Abbandono dunque la schiena sui cuscini dietro di  me e cerco di mettermi in una posizione quanto più comoda possibile, anche se non è facile rilassarsi in un letto che non mi appartiene, circondata da mura estranee.

«Sono pronta ad ascoltare il tuo racconto», dichiaro infine, invitando Akashi a mettere luce sulla nebbia che offusca la mia memoria.

«Oggi hai corso un grande pericolo, Eiko», esordisce il ragazzo al mio fianco, in tono serioso. «Qualcuno ha seriamente attentato alla tua vita».

Le mie gote gelano mentre il sangue defluisce dal mio volto, scolorandolo. Dunque la figura che ho visto sporgersi dalla finestra era il mio persecutore? Non oso immaginare cosa ne sarebbe stato di me se Akashi non mi avesse trovata in tempo. Perché credo di non sbagliare nel supporre che sia stato lui a salvarmi.

«L’ultima cosa che ricordo è che, dopo aver parlato con Takeda-sensei, mi sono diretta ai cancelli principali per raggiungere Arthur e tornare a casa», confesso portando una mano alla tempia. Per quanto mi sforzi di ricordare, tutto ciò che è avvenuto dopo non è che un enorme buco nero.

«E’ stato il signorino Akashi a trovarla poco prima che perdesse i sensi», il tono rammaricato di Arthur mi induce a spostare lo sguardo su di lui. I suoi occhi rifiutano di incontrare i miei mentre le sue mani si stringono in due pugni lungo i fianchi. Oh Arthur, quanto ancora hai intenzione di biasimarti a causa mia? Darei qualsiasi cosa per cancellare dal tuo volto il senso di colpa che ingiustamente ti stai imponendo.

«Appena ti ho vista collassare», Akashi interrompe le mie riflessioni reclamando la mia attenzione, «ho notato il vaso che precipitava e l’ombra del colpevole che si ritirava all’interno della scuola. Probabilmente in quel momento si è accorto della mia presenza e si è dato alla fuga».

«Hai detto vaso?», ripeto, sgranando gli occhi. Questo significa che l’oggetto rotondo che ho intravisto tra le mani del mio assalitore era un vaso, l’arma che ha utilizzato per sbarazzarsi di me. Istintivamente porto una mano alla nuca, accarezzando il punto da cui il dolore sembra propagarsi al resto del mio cranio.

«Quella ferita te la sei procurata quando sei svenuta», chiarisce immediatamente Akashi.

«Vuoi dire che il vaso non mi ha colpita?».

Il capitano annuisce. «Sono riuscito a raggiungerti prima che ciò accadesse».

La nebbia nella mia memoria comincia lentamente a diradarsi e la voce di Akashi, che disperatamente chiama il mio nome, prende forma tra i miei ultimi ricordi. In poche parole, mi ha protetta con il suo corpo e ha incassato il mortale colpo al mio posto. Questo spiegherebbe l’irregolarità che ho scorto poco fa nella sua andatura. Quasi certamente il vaso si è frantumato sulla sua schiena mentre mi faceva da scudo. Come ho potuto permettere che rischiasse la vita per una persona come me? Se le cose fossero andate diversamente e Akashi non fosse stato così fortunato…? Quel vaso era destinato a me e me soltanto. Un momento. Perché a quell’ora Akashi si trovava ancora a scuola nonostante gli avessi detto di non aspettarmi?

«Pensavi davvero che ti avrei lasciata sola sapendo che qualcuno ti stava pedinando?», ancora una volta la risposta del capitano anticipa le mie parole, decifrando i miei pensieri. «Dopotutto, ho promesso di tenerti al sicuro».

Giusto. Ma se avessi saputo che nel farlo avrebbe rischiato la sua stessa vita, avrei rifiutato la sua proposta di alleanza senza battere ciglio. Tutta questa storia mi sta sfuggendo di mano. Non riesco a capire per quale motivo una persona dovrebbe arrivare a tanto solo per liberarsi di una ragazza come me. Che cosa mai avrò fatto per finire in questa situazione? Beh, dopo aver letto l’ultimo messaggio di questa mattina, ora penso di avere un’idea. Ed è proprio per questo che non posso assolutamente coinvolgere Akashi più di quanto non abbia già fatto.

«Ti spiacerebbe dirmi cosa stai facendo?», si informa Akashi mentre mi osserva annaspare tra le lenzuola.

«Sto cercando di alzarmi per tornare a casa mia», rispondo senza interrompere i miei movimenti. Tutti miei muscoli sono indolenziti e il terribile mal di testa che sta esplodendo nel mio cranio con lo stessa potenza di mille cannoni non mi rende le cose meno complicate.

Un lungo sospiro esasperato abbandona le labbra di Akashi e il suo sguardo, dapprima indulgente e compassionevole, si assottiglia in due minacciose fessure cremisi.

«Rimettiti subito a letto, Eiko».

Il modo in cui il capitano pronuncia il mio nome provoca un brivido lungo la mia schiena. Non avevo mai sentito tanta asprezza, tanto distacco, tanta intimazione nella sua voce. Il comando che mi ha appena impartito vibra sotto la mia pelle come il freddo pungente dell’inverno e senza volerlo le mie braccia si stringono attorno alle mie spalle, proprio come da bambina ero solita rannicchiarmi in un angolo della mia stanza dopo essermi svegliata nel cuore della notte per colpa di un incubo. Ma il tono con il quale Akashi ha emesso il mio nome è reale, così come è reale la sensazione di disagio che provo in questo momento. Mi sento pietrificata, non solo nel corpo, ma anche nella mente. La sola idea di trasgredire all’ordine del capitano è sufficiente ad annullare completamente la mia volontà e a piegarmi ad una servile ubbidienza. E proprio come un servo sottomesso, non oso sollevare lo sguardo sul volto di Akashi.

«Per favore, Eiko, torna a letto».

Le labbra del capitano si schiudono nuovamente ma questa volta la sua voce è di nuovo gentile e mi abbraccia con una dolcezza che irradia tepore in tutto il mio essere. È calda e sembra voglia sciogliere il mio turbamento, rassicurandomi.

«I-Io…non posso. Mi dispiace», lascio cadere le braccia sul mio grembo e rilasso le spalle. Ammiro Akashi con tutta me stessa e non potrò mai ripagarlo abbastanza per avermi salvato la vita. Il suo comando intimidatorio per un attimo mi ha colta di sorpresa, ma in fondo ho sempre saputo quanto autoritario fosse il capitano della squadra di basket ed è proprio questa sua silenziosa e implicita arroganza, frutto di un’esistenza di successi, a renderlo un indiscutibile leader. Ma è altrettanto vero che, per quanto straordinario, geniale sia, Akashi resta sempre un essere umano, con un corpo umano, vulnerabile al dolore e alla morte. Di conseguenza devo allontanarmi da lui prima che sia tardi, prima che il degenerato che oggi ha attentato alla mia vita decida di deviare il suo risentimento verso di lui. Non posso indebitarmi ulteriormente; non posso diventare io stessa una minaccia al futuro di Akashi, non adesso che sono finalmente venuta a conoscenza della motivazione che sta muovendo il mio aggressore contro di me.

«Arthur, prepara l’auto: torniamo a casa».

Mi sollevo dal materasso sostenendomi alla testiera del letto e punto verso la porta. Arthur si affretta a recuperare la mia cartella e mi affianca ma, non appena raggiungo l’uscio e afferro la maniglia, mi accorgo che la serratura è bloccata.

«Se vuoi lasciare questa stanza avrai bisogno di questa», una piccola chiave dorata oscilla a mezz’aria fra il pollice e l’indice di Akashi.

«Che cosa significa?», protesto all’indirizzo del capitano.

Akashi abbandona la sedia e si avvicina, mantenendo gli occhi ben piantati nei miei. Il suo volto si arresta a pochi centimetri dal mio, esponendo un’espressione insolitamente amareggiata.

«Questo dovrei chiedertelo io. Che cosa mi stai nascondendo?».

Nel momento in cui le mie orecchie carpiscono la domanda il mio corpo si  immobilizza nuovamente. Se ne è accorto. Si è accorto del mio segreto. Da quanto tempo, poi? Possibile che abbia iniziato a sospettare di me da questa mattina, in palestra? Trattandosi di Akashi, è piuttosto probabile. E se ha aspettato fino adesso per uscire allo scoperto significa che sperava in una mia spontanea confessione. Una confessione che, tuttavia, non avrai. Questa volta sarò io a proteggerti.

«Non capisco di cosa parli», rispondo all’accusa, imponendomi di non distogliere lo sguardo.

«Ne sei sicura?».

«Assolutamente».

Le pupille di Akashi si abbassano sulla mia cartella, saldamente impugnata da Arthur. Il suo braccio si distende infine per afferrare l’oggetto e il mio corpo reagisce istintivamente alla provocazione.

«Non toccare!», la mia mano si stringe con forza attorno al suo polso.

Negli istanti di silenzio che seguono il mio gesto impulsivo, un ghigno compiaciuto guizza sulle labbra del capitano per ritirarsi immediatamente e riportare la bocca in posizione neutrale.

«Hai ancora intenzione di negare?», la sua voce è pacata ma seriosa. «Qualunque cosa tu stia nascondendo in quella cartella, ha sicuramente a che fare con l’incidente di questa sera. Mi sbaglio, Eiko?».

Per una persona perspicace come Akashi, il mio silenzio è più eloquente di mille parole. Non posso più mentire: dal momento che sono stata scoperta sarebbe sciocco e inutile. Ma non voglio confessare. Ho deciso di mantenere il segreto a qualunque costo. Ebbene, sia!

«Se vuoi il contenuto di questa cartella, dovrai prenderlo con la forza», esclamo infine, strappando la cartella dalle mani di Arthur e stringendola al petto.

«Mi stai chiedendo di usare violenza su una persona ferita? Capisco. Deve trattarsi di qualcosa di molto importante se sei disposta a tanto», commenta Akashi, compiendo un passo indietro e allontanandosi da me. «E’ chiaro che non posso accettare la tua sfida. In tal caso, resteremo entrambi chiusi in questa stanza».

«Vuoi tenermi prigioniera qui per sempre?», la mia voce esplode, piena di indignazione.

«Ti sbagli, Eiko. Sei tu a tenerti in prigione di tua volontà. Ti basterebbe confessare e domani saresti libera di lasciare questa casa».

Perché è così testardo? Ma soprattutto, perché lo sono io? Non è da me prendere posizioni così ostinate. Fronteggiare qualcuno con tanta veemenza e ardore. Ho sempre vissuto cercando di non sbilanciarmi mai; di mantenere i miei sentimenti in perfetto equilibrio; di affrontare ogni situazione con moderata razionalità. In un simile frangente sarebbe logico rivelare il contenuto dell’ultimo biglietto lasciatomi dal mio aggressore e affidarmi all’intelligenza e ai mezzi di cui dispone Akashi per superare la crisi. In poche parole, sarebbe normale lasciare che sia lui a risolvere la faccenda, visto che ha promesso di catturare il mio persecutore e tenermi al sicuro. Mantenere il silenzio significa invece raccogliere sulle mie spalle tutto il peso e farmi carico della frustrazione, dell’angoscia, dell’insicurezza che ne deriveranno. E questo è esattamente l’opposto di ciò che sono. Allora perché?

«Hai così poca fiducia in me, Eiko?».

Mi volto verso Akashi e lo vedo lì, in piedi, in tutta la sua armoniosa dignità, accentuata dal nobile e affabile sorriso sulle sue labbra, dall’elegante mano protesa verso di me in un silenzioso invito. Una visione principesca che riporta alla mia mente le splendide opere della ritrattistica rinascimentale, di quell’arte aristocratica tesa a omaggiare la gloria di illustri signori e potenti sovrani; capace di rievocare ancora oggi i fasti della vita di corte intrisa di cospirazioni, amori illeciti, favoritismi, ma anche di eccellenza, rettitudine, saggezza, virtù.

Come potrei non riporre la mia fiducia in una persona che emana perfezione e sicurezza da ogni minuscola parte di sé; che irradia un’aura di pura nobiltà e vivace intelligenza da ogni gesto, ogni parola? E’ ovvio che mi fidi di Akashi, ma, esattamente come un devoto popolano pronto a dare la vita per il suo magnanimo signore, anche io, in virtù di quella inestirpabile ammirazione che nutro dentro di me, non posso esporre il mio salvatore al pericolo.

«Akashi», il mio lungo silenzio infine si spezza, «in questo momento sei forse la persona di cui più mi fido. Ma sei anche la persona a cui devo la vita. Per questo motivo vorrei che rinunciassi a trovare il mio aggressore». Inspiro profondamente per non ritornare sui miei passi e lasciarmi convincere dal ripensamento. Sicura di aver preso la migliore decisione, infine dichiaro: «Non voglio avere più niente a che fare con te».

 

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Capitolo 18
*** Questo è un ordine ***


Capitolo 7

“Questo è un ordine”

 

 

 

 

 

 

«Non voglio avere più niente a che fare con te».

Per un attimo le labbra di Akashi si increspano in una muta irritazione e il mio cuore sobbalza, poiché temo di avere provocato la rabbia del capitano. Non ho mai visto Akashi davvero infuriato o, per meglio dire, non l’ho mai visto esprimere collera in modo palese, come fanno tutti, strepitando, urlando, imprecando e ricorrendo a gesti violenti. E in tutta onestà, non riesco neanche ad immaginare un Akashi Seijūrō che inveisce contro qualcuno a squarciagola o che minaccia col pugno serrato. Semplicemente non è quel tipo di persona. Ma ciò non significa affatto che non sia in grado di intimidire il suo interlocutore bloccandogli il respiro in gola o paralizzandogli le gambe affinché non fugga da un confronto diretto. E in questo momento la sola curva rovesciata delle sue labbra è sufficiente a scoraggiarmi, a estinguere la determinazione nel mio cuore, a farmi istintivamente indietreggiare di un passo, come una lepre in presenza della volpe.

«D-Dico sul serio, Akashi, non devi più avvicinarti a me».

E’ fuori discussione che Akashi prenda sul serio parole tanto labili, pronunciate da un animo che vacilla. Se mi trovassi al suo posto, io stessa non mi crederei. Tuttavia non riesco a pensare ad altro modo per convincerlo a farsi da parte.

I suoi occhi vermigli si assottigliano, infastiditi dal mio comando. Mi investono con tutta la loro tremenda intensità, inchiodando il mio coraggio al tronco legnoso e raggrinzito di un albero invisibile, scatenando intorno a me la terribile arsura di un fuoco insostenibile al pari degli antichi roghi su cui un tempo ardevano streghe e fattucchiere. Eppure la crudeltà con cui gli inquisitori conducevano ispezioni ed esecuzioni mi sembra ben poco cosa se paragonata alla silenziosa condanna che ora brucia nello sguardo di Akashi. Quasi non riconosco il ragazzo che ho di fronte. Ed è forse proprio questo a terrorizzarmi così tanto. Il mio istinto urla dentro di me e indietreggio di un altro passo mentre Akashi avanza ed accorcia la distanza che ci separa. Stringo la cartella al petto, quasi fosse uno scudo, e retrocedo fino a sentire la porta della camera battere contro la mia schiena. Una scossa attraversa i miei nervi mentre osservo la figura di Akashi farsi sempre più vicina. Che cosa sta succedendo? Perché si comporta così? Che intenzioni ha? Divarico le labbra ma non un suono esce dalla mia bocca: la mia voce è incastrata tra le corde vocali, come in un groviglio di rovi. Quando cerco di parlare, sento il battito del mio cuore pulsare nella gola e contrarre la laringe ostruendo il passaggio dell’aria. Intanto Akashi continua a camminare, ignorando lo stato di panico in cui verso ormai da parecchi secondi. La sua indifferenza alla mia condizione mi esaspera a tal punto da causare nel mio stomaco una violenta serie di spasmi.

Tra pochi passi mi avrà raggiunta e allora cosa ne sarà di me? Come può farmi questo dopo aver giurato di proteggermi? Non si rende conto di quanto mi stia spaventando? Perché all’improvviso mi ritrovo nella necessità di fuggire dal ragazzo che ha promesso di tenermi al sicuro?

«Hai detto che non avresti usato violenza su una persona ferita!».

Le parole scoppiano nella mia bocca come petardi e le mie braccia si sollevano sulla mia fronte nel disperato tentativo di proteggere la testa fasciata. Con gli occhi serrati attendo il dolore che la mano di Akashi imprimerà sul mio corpo convalescente. È un’attesa infinita e pesante, tanto lunga da confondermi. La mia pelle dovrebbe ormai bruciare per l’impatto e le mie membra dovrebbero essere in uno stato di profonda sofferenza. Allora perché non sento nulla?

Allargo le braccia per liberare il volto e dischiudo gli occhi: l’immagine di Arthur si concretizza di fronte a me; la sua ampia e solida schiena si erge davanti alla mia persona come una muraglia inespugnabile. Con il suo corpo a farmi da scudo contro Akashi, emano infine un lungo sospiro abbassando le spalle.

«Non le permetterò di toccare la signorina Eiko», la voce di Arthur vibra nella stanza, impavida e categorica.

È in quel momento che, nascosta dietro Arthur, colgo il respiro di Akashi: un suono di rassegnazione. Mi sporgo lentamente oltre la figura di Arthur, non avvertendo più alcun pericolo imminente. Il mio sguardo incontra quello del capitano. In esso non vi è traccia del gelido risentimento di pochi istanti fa. Al contrario le sue iridi brillano di un rosso carminio caldo e gentile. È la stessa espressione di profonda tenerezza che ricordo dal nostro primo incontro.

«A-Akashi?», pronuncio, assicurandomi che il ragazzo davanti a me sia ancora lo stesso di cui ho deciso di fidarmi.

«Non era mia intenzione spaventarti», è la risposta con cui mi rassicura. Il pugno serrato si dischiude rivelando la piccola chiave dorata al centro del palmo. «Hai avuto una giornata difficile e non voglio infierire sulla tua salute, quindi accetta questa chiave e riposati».

Le mie pupille si abbassano sull’oggetto luccicante. È davvero giusto per me trascorrere qui tutta la notte? Akashi sembra essere tornato in sé, ma non posso negare l’agitazione che ancora domina il mio animo. D’altro canto se tornassi a casa adesso sarei costretta a giustificare, soprattutto a Tatsuo, la mia testa bendata e sono sicura che questo attarderebbe la mia guarigione.

«Dato che la mia presenza è per te fonte di disagio, non rimetterò piede in questa stanza fino a domani mattina».

Akashi l’ha fatto di nuovo, è di nuovo riuscito a leggere tra i miei pensieri. Come posso dubitare di una persona che sembra conoscermi  meglio di me stessa? Forse sono stata troppo impulsiva nel giudicarlo. Forse prima ho completamente frainteso le sue intenzioni. Del resto non sono ancora in grado di pensare lucidamente a causa del dolore alla testa. Inoltre Arthur è con me: se Akashi dovesse davvero tentare qualche mossa falsa, mi proteggerebbe, proprio come ha appena fatto.

«È una promessa?», balbetto ancora scettica.

«Hai la mia parola», la chiave scivola nella mia mano. «Se deciderai di restare, Arthur potrà alloggiare nella stanza affianco», conclude Akashi prima di oltrepassarmi e scomparire al di là della porta.

Infine rimango sola con Arthur. Il mio animo è dibattuto. Cosa dovrei fare? Con la chiave della camera in mio possesso, mi basterebbe bloccare la serratura per essere certa che Akashi non infranga la promessa. D’altro canto, però, barricarmi in questa stanza equivarrebbe ad ammettere la mia sfiducia nei suoi confronti, nonché la mia incapacità di prendere una decisione coerente con la situazione in cui mi trovo. Se decido di restare qui devo credere alle parole di Akashi e confidare in lui. Ma se non riesco a sradicare completamente la diffidenza che aleggia nel mio cuore è meglio che torni a casa mia. Che cosa vuoi fare, Eiko? Fai la tua scelta e fa’ in modo che sia quella definitiva.

«Arthur», la mia voce vibra nel mio petto con fermezza.

«Si, signorina».

«Questa notte resteremo qui».

Nonostante il suo silenzio, vedo chiaramente il turbamento sul volto di Arthur, ma non revoco la decisione presa. Al contrario, mi accosto al letto e adagio la cartella sulla sedia. Dischiudo la mano sul cui palmo giace la piccola chiave luccicante: ho scelto di chi fidarmi e non tornerò sui miei passi.

«È proprio sicura?», domanda Arthur, restio a lasciarmi sola.

Annuisco. «Se tornassi a casa in queste condizioni, farei solo preoccupare tutti quanti», le mie dita sfiorano le bende che cingono la mia testa. «Oggi ho corso un grave pericolo, lo so, ma grazie ad Akashi sono ancora qui e, nonostante tutto, sto bene. Per fortuna la ferita che ho riportato non è grave, quindi sarebbe inutile allarmare i miei genitori o i miei fratelli». Mi volto indietro e alzo lo sguardo su quello di Arthur. «Ecco perché ti chiedo ancora una volta di assistermi e mantenere il segreto», nelle mie parole non c’è alcun intento perentorio, solo una supplichevole richiesta.

Dopo qualche secondo, Arthur inizia a muoversi nella mia direzione, avvicinandosi lentamente. Persino in un momento come questo, la sua immagine è impeccabile. Adesso che siamo soli, mi rendo conto di quanto rassicurante sia la sua presenza. Akashi mi ha salvato la vita, ma solo in compagnia di Arthur riesco ad abbassare completamente le mie difese. La sua fedeltà nei miei confronti sarà anche solo il frutto di un dovere, eppure dentro di me ho la certezza che, qualsiasi cosa accada, qualunque strada io decida di percorrere, Arthur sarà sempre al mio fianco.

«Se questo è il suo volere, non informerò la sua famiglia su quanto è accaduto», promette, infine, prima di tacere nuovamente. Il suo breve silenzio è più pesante di quanto credessi.

Il suo sguardo di cobalti splendenti si posa quindi sul mio. È così intenso da farmi girare per un attimo la testa. Una bellezza tanto ammaliante da farmi istintivamente ricordare Aomine. Proprio come all’acquario di Ikebukuro, anche adesso la mia immagine riflessa nelle profonde iridi di Arthur ha un effetto ipnotico e calmante su tutto il mio essere. Ho sempre avuto un debole per il colore blu, poiché è in grado di riportare la pace nel mio animo e rischiarare i miei pensieri.

L’espressione negli occhi di Arthur, al contrario, è cupa, colma di rammarico. La sua tristezza penetra il mio cuore e scava in profondità. Percepisco il suo senso di colpa come fosse il mio. Arthur non è solo il mio autista. Il profondo legame che lo connette a tutti noi, e in particolare a mia madre, fa di lui un membro della nostra famiglia. Ed è esattamente così che l’hanno sempre considerato i miei genitori, i miei zii, mio nonno materno, Tatsuo, Naoko, zia Azumi e i miei cugini. E, ovviamente, è così che l’ho sempre considerato anch’io. Per questo motivo non sopporto di vederlo abbattuto, soprattutto se a causa  mia.

È strano. Le lacrime, che fino adesso sono rimaste immobili sul fondo dei miei occhi, spingono ora in superficie. Oggi è stato un giorno pieno di emozioni per me: ho provato paura, diffidenza, smarrimento, indecisione, confusione e non una sola volta ho avvertito la necessità di piangere. Ma è bastato il volto afflitto di Arthur a scuotermi abbastanza da provocare il mio pianto, muto e colpevole. Le infinite gocce di acqua che stillano dai miei occhi umidi sono una liberazione e una condanna allo stesso tempo. Sono la prova di quanto duramente mi sia trattenuta fino a questo momento e di quanto ingiustamente Arthur abbia biasimato se stesso. Ma soprattutto sono la prova della mia debolezza; della debolezza di quella ragazza ancora incompleta e immatura che ha costretto il proprio amico a rischiare la vita per correre in suo soccorso.

«Signorina Eiko».

La mano di Arthur, dapprima serrata lungo il fianco, si dischiude e il braccio si solleva con estrema lentezza. Protende verso di me e le dita inguantate di bianco sfiorano la mia guancia. È un gesto legnoso e impacciato, che tradisce insicurezza e imbarazzo. È un gesto difficoltoso e audace, da cui traspare un’insanabile contraddizione. Il palmo tremolate si posa appena sulle mie gote inumidite dalle lacrime. Il tocco sulla mia pelle è delicato come piuma, quasi impercettibile. Porto lo sguardo sul volto di Arthur e i suoi lineamenti irrigiditi si addolciscono non appena i nostri occhi si incontrano.

«La prego, non pianga».

Questo suono… è confortevole come la fiamma scoppiettante di un camino in inverno; gentile come una carezza; rasserenante come un bacio sulla fronte. Abbraccia il mio cuore angosciato e stanco, sciogliendo la tensione e la tristezza. Le dita di Arthur premono dolcemente sulla mia guancia e il morbido tessuto del guanto assorbe gradualmente le mie lacrime. Non ho mai visto Arthur esprimere così apertamente i suoi sentimenti. Al contrario, ha sempre mantenuto una formale e rispettosa distanza da me. Pur essendo ogni giorno al mio fianco, non ha mai cercato di varcare quell’invisibile linea che separa un servitore dal suo signore. E confesso che, certe volte, avrei voluto vederlo comportarsi come un vero fratello e abbandonare per un attimo tutti quegli atteggiamenti cerimoniosi che il suo rango gli impone. Altre volte avrei voluto sentirlo ridere a crepapelle mentre Tatsuo raccontava una delle sue incredibili storie; o vederlo prendere posto attorno alla tavola insieme a tutti noi per festeggiare il Capodanno; o agghindare l’albero di Natale e appendere le luci festive. Avrei voluto vederlo passeggiare per il parco indossando dei normalissimi abiti quotidiani. Sfidare Seiichi a una partita di scacchi; rimproverare affettuosamente Haruka per i suoi modi da maschiaccio; cavalcare per la tenuta insieme a Mikio. Avrei voluto vederlo esattamente come adesso, premuroso, fraterno, spontaneo. Sentire la sua mano sul mio viso che dissolve ogni timore e incertezza.

«Ti devo delle scuse, Arthur», le mie parole provocano la sorpresa del ragazzo che lascia cadere la mano dal mio volto. «Non sono stata del tutto onesta con te, né con Akashi. Questa mattina ho trovato un nuovo messaggio del mio persecutore. Ho promesso che vi avrei informati entrambi non appena avessi ricevuto un altro biglietto, ma avevo paura delle conseguenze e per questo sono rimasta in silenzio Però adesso ho capito che non ho nulla da temere, perciò ho deciso: domani mattina rivelerò sia a te che ad Akashi il contenuto della lettera che si trova in questa cartella», dichiaro, abbassando lo sguardo sul robusto oggetto quadrato abbandonato sulla sedia. «Quindi, per questa sera vai pure a dormire e non preoccuparti per me». Infine, per la prima volta in vita mia, pronuncio: «Questo è un ordine».

Non ho mai impartito un solo comando a nessuno dei domestici della nostra famiglia e di certo non pensavo che avrei rivolto il mio primo ordine proprio ad Arthur. Ma è l’unico modo che ho per assicurarmi che questa notte la trascorra dormendo in un letto caldo e accogliente, preoccupandosi solo di ripristinare le sue energie attraverso un profondo e sereno riposo.

«Se dovesse accadere qualc…».

«Non mi accadrà nulla», lo interrompo con perentoria irremovibilità. «Dimentichi che siamo a casa di Akashi. In questo preciso momento, è forse il luogo più sicuro in cui potrei trovarmi».

Un guizzo di rabbia balena nelle iridi di cobalto che mi scrutano e so che non è destinata a me. È una collera silenziosa e inespressa che Arthur sta riversando su se stesso per quella che ritiene essere una sua mancanza nei miei confronti. Sentirsi debitore di un giovane rampollo che solo fino pochi giorni fa non aveva alcun legame con i Wadsworth e che invece questa sera ha salvato la vita dell’erede più giovane della casata è un’umiliazione troppo gravosa per un subordinato devoto e leale come Arthur. Anche se Akashi ha agito esclusivamente per il mio bene, sfruttando un tempismo provvidenziale, il suo gesto eroico ha profondamente ferito nell’orgoglio il giovane figlio di Victoria e, purtroppo, questa ferita resterà aperta per molto tempo. Tutto quello che posso fare io, è concedergli l’intera notte lontano da me, cosicché non sia costretto, guardandomi, a ricordare l’offesa inflitta alla sua dignità di servitore.

 

 

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Nota d’Autrice: Salve ragazzi!!! Ecco il nuovo capitolo. Finalmente sono riuscita a pubblicarlo tra un esame e un corso all’università. So che la storia sta procedendo lentamente ma spero davvero che tutti voi siate dei lettori pazienti perché alla fine, anzi presto, la vostra pazienza verrà premiata e la storia entrerà nel vivo della narrazione ;)

Vi auguro una splendida domenica e vi abbraccio!

Lady L.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** Sono orgogliosa di te ***


Capitolo 8

“Sono orgogliosa di te”

 

 

 

L’indomani, al mio risveglio, l’eco della promessa fatta ad Arthur risuona ancora nella mia memoria. Temevo che la lunga notte avrebbe indebolito la mia fermezza, ma sapere di essermi sbagliata è una lieta consolazione. Oggi non c’è scuola per cui decido di prendermi del tempo prima di abbandonare le coperte. Come immaginavo, non è facile rilassarsi in un letto sconosciuto e non posso dire che il mio riposo sia stato confortevole quanto avrei sperato. Il dolore alla testa mi ha tenuta sveglia per gran parte della notte, ma è stata soprattutto la lettera che ho promesso di mostrare ad Akashi e ad Arthur a turbare il mio sonno. Dopo che Arthur si è ritirato nella sua stanza, ho aperto la busta per rileggerne il contenuto e ho dovuto attendere diverse ore prima di ritrovare la giusta quiete per addormentarmi.

Mi sollevo dal materasso, attenta a non compiere movimenti bruschi che aggraverebbero solamente quello che per ora è un mal di testa appena accennato. Per fortuna questa camera è dotata di un piccolo bagno personale. Una volta vestita, prendo con me la cartella e mi dirigo alla porta. Non appena dischiudo l’anta, però, anche le mie labbra si aprono in un’espressione di incredulità.

«Buongiorno, signorina Eiko».

«A-Arthur?», pronuncio con gli occhi sgranati. «Cosa ci fai qui fuori?».

«La stavo aspettando», risponde Arthur sollevando il capo. Forse è solo una mia impressione, ma lo sguardo nei suoi occhi sembra rimarcare l’inutilità della mia domanda.

«Da quanto tempo mi stai aspettando?», domando, temendo la risposta.

«Un’ora e diciassette minuti».

«Sei qui fuori da più di un’ora?!», la mia voce schizza dalla gola, acuta come un fischio, riuscendo a provocare perfino una reazione involontaria di Arthur. Non c’è da stupirsi. Io stessa sono meravigliata: non credevo di poter raggiungere simili note. Ma è proprio questa nuova consapevolezza a spingermi all’imbarazzo e a portare entrambe le mani sulla bocca.

«Perché non hai bussato?», riprendo, assicurandomi questa volta di mantenere il volume il più basso possibile.

«Non volevo interrompere il suo riposo», confessa Arthur candidamente.

Una risposta sicuramente degna di lui, ma non avrebbe dovuto spingersi a tanto. Spero almeno che sia riuscito a dormire un po’ questa notte. Osservandolo mi sembra più tranquillo, quindi forse il mio piano ha avuto successo.

«Signorina Eiko, si sente meglio? È riuscita a riposare bene?», a quanto pare anche Arthur è a preoccupato per me.

«Ho ancora un po’ di mal di testa ma nulla di grave. Quanto al dormire bene… mi sarei trovata più a mio agio nel mio letto ma credo di non potermi lamentare, date le circostanze attuali. Dobbiamo essere grati ad Akashi per averci permesso di restare a casa sua. A proposito, sai dov’è?».

«Il signorino Akashi si è alzato presto e ha dato ordine alla servitù di non venirla a disturbare fino al suo risveglio».

«Davvero? Allora dovrò ringraziarlo», un brontolio irrompe dal mio stomaco e le mie guance si colorano di vergogna. «È che ieri sera non ho toccato quasi cibo quindi ora…», tento di giustificarmi tra un balbettio e l’altro.

«Prima di vedere il signorino Akashi, sarà meglio placare il suo appetito».

Arthur mi invita a seguirlo giù per le scale e io ubbidisco affrettandomi dietro di lui. Questo giorno è appena iniziato e mi sono già messa in ridicolo per ben due volte nell’arco di pochi minuti. Anche se c’era solo Arthur, è stato ugualmente imbarazzante.

Arrivati nella sala da pranzo, una domestica mi fa accomodare alla lunga tavola. Improvvisamente ripenso ad Anna e a quel suo sorriso che ogni mattina precede la mia colazione. La donna che mi sta servendo ora, invece, ha un’espressione fredda e seriosa. Non è giovane come Anna ma non penso affatto che la sua rigidità sia dovuta all’età. Riflettendoci, da quando sono arrivata, ho percepito un’atmosfera piuttosto pesante. Da quello che so, in questa casa vivono soltanto Akashi e suo padre, oltre alla servitù, ovviamente. Al mio arrivo non vi ho trovato alcuna traccia di quella festosa vitalità a cui invece sono abituata. Forse è perché sono cresciuta in una famiglia numerosa che ho subito provato un profondo sentimento di solitudine non appena ho varcato i cancelli della villa. Non sono abituata a tutto questo silenzio e a non potere interagire con i domestici. Ma non ho altra scelta se non adeguarmi. Dopotutto, sono soltanto un’ospite di passaggio.

Prendo posto a tavola e subito la donna in cuffietta e grembiule mi porge la colazione. Alla vista del ricco pasto le mie pupille si dilatano deliziate ma confuse allo stesso tempo. Adagiati in una coppa azzurra, decine di pezzettini di frutta coloratissima sembrano traboccare dal bordo cristallino. Luccicano come perle preziose e mi basta uno sguardo per capire che tale effetto è dovuto al velo di sciroppo d’acero di cui sono ricoperte. Un sospetto attraversa infine la mia mente.

«Arthur, è opera tua questa?», mi informo, non riuscendo a pensare a nessun altro a conoscenza delle mie abitudini alimentari.

«È stato il signorino Akashi», è invece la risposta, del tutto imprevista. «Questa mattina è venuto a cercarmi per chiedermi quale fosse il suo piatto preferito. Dal momento che ieri sera non ha mangiato quasi nulla, voleva assicurarsi che questa mattina il pasto fosse di suo assoluto gradimento».

 «Ha detto proprio così?».

Arthur annuisce. È un gesto molto premuroso da parte di Akashi e mi ha resa di sicuro felice. Guardando la coppa azzurra, è evidente con quanta attenzione ai particolari abbia fatto imbandire la tavola appositamente per me. Ma è altrettanto chiaro il suo tentativo di mettermi a mio agio. Immagino che questo sia il suo modo di farsi perdonare per quello che è successo ieri sera. Devo assicurarmi di ringraziarlo.

«Signorina Wadsworth», la domestica dalla sguardo serio e inflessibile mi rivolge la parola. La sua voce è matura ma più gentile di quanto avessi creduto. «Ho un messaggio per lei da parte del signorino Akashi: la attende nel suo studio non appena avrà terminato la colazione».

«V-Va bene. Lo raggiungo subito».

«Ha detto di prendersi tutto il tempo di cui ha bisogno, quindi faccia pure con calma», aggiunge subito la donna, invitandomi a risedere.

Avevo intenzione di incontrare Akashi il prima possibile, ma se mi concedo qualche minuto per gustare la colazione che ha fatto preparare esclusivamente per me non succederà nulla di male, giusto? In fondo sarebbe scortese rifiutare un simile dono.

 

***

 

 Al termine del pasto, la coppa è completamente vuota mentre il mio stomaco, riempito a sazietà, ha finalmente smesso di brontolare. Dopo aver ringraziato la donna dallo sguardo serio e rigido, io e Arthur veniamo entrambi scortati da un nuovo domestico fino allo studio di Akashi. Mentre camminiamo per la lussuosa residenza, un suono improvviso cattura la mia attenzione. È gradevole e armonioso. Si propaga per la villa silenziosa come una leggera brezza primaverile. È il canto di un violino, ora malinconico, ora lieto. È un canto trasparente, puro, cristallino in ogni sua nota. È una voce ammaliante che eccita il cuore. È il primo, reale segno di vita che spezza l’angosciante silenzio di questa villa; che disegna nella mente un’immagine inconfondibile: Akashi.

«Siamo arrivati».

Il nuovo servitore si ferma davanti a una porta chiusa. Con un colpo di nocche annuncia il nostro arrivo e dischiude l’uscio. La luce del mattino mi investe, attraversando l’immensa finestra e illuminando la stanza con un bagliore folgorante. I miei occhi si chiudono, feriti dall’insostenibile splendore del sole. Senza la vista a farmi da guida, resto immobile, in ascolto. La musica si infrange contro le mie orecchie, scomponendosi in un volteggiare di note simili a ninfe danzanti. Mi avvolgono nel loro cerchio melodico sospingendomi verso il centro della stanza. Muovo un passo e poi un altro. Mi fermo e un fruscio di abiti si mescola alla voce del violino. Le mie palpebre si sollevano e i miei occhi intorpiditi accolgono la luce del giorno. Le pupille si stringono e si allargano per adeguarsi all’intensità del bagliore mattutino e posarsi, estasiate, su di lui, sul giovane musicista dallo sguardo di rubini. La raffinata maestria delle dita che picchiettano le corde mi incanta e costringe i miei sensi a indugiare sulla loro rapidità. Ad ogni movimento, una nuova nota prende vita, in un continuo crescendo di intensità e di voci differenti che si sovrappongono in un potente ma armonioso coro.

Quando l’ultima nota si spegne nel silenzio, il volto di Akashi si solleva e le sue iridi, ancora intrise di passione, si posano su di me. Bruciano come fiamme cremisi, ricordandomi la furia impetuosa di una colata lavica, lenta nel suo discendere, ma indomabile nella sua distruzione. Involontariamente, abbasso lo sguardo, nell’illusione di fuggire dalla valanga infuocata che si avvicina. Avanza inesorabile ma invece di travolgermi, si apre davanti a me, circondandomi, quasi volesse abbracciarmi, senza tuttavia toccarmi, per poi richiudersi alle mie spalle e proseguire indifferente la sua discesa.

«Buongiorno, Eiko».

«Buongiorno, Akashi».

E’ soltanto un saluto, eppure la mia risposta è inaspettatamente spontanea. Avrei creduto che tra di noi ci sarebbe stato dell’imbarazzo, o per lo meno dell’incertezza. Akashi non può aver dimenticato la nostra conversazione e il suo comportamento di ieri sera, proprio come non l’ho dimenticato io.

«Spero che almeno tu sia riuscita a riposare questa notte», pronuncia Akashi, dandomi momentaneamente le spalle per riporre il violino nella pregiata custodia.

«Vuoi dire che tu non hai dormito affatto?», lo interrogo a mia volta.

Come risposta alla mia domanda, Akashi dispiega le labbra in un pallido sorrido, quindi mi invita a sedere insieme a lui. Lo raggiungo e prendo posto su una delle quattro poltrone sistemate accanto alla finestra. Il paesaggio che si staglia oltre il vetro cattura la mia attenzione, suscitando la mia meraviglia. Il parco annesso alla villa si apre sotto i miei occhi come la tavolozza di un pittore, offrendo allo sguardo una combinazione infinita di colori che si abbracciano in uno splendido dipinto degno di essere immortalato su una cartolina.

«Sono certo che i giardini della residenza Wadsworth siano di gran lunga più  incantevoli».

«Io invece non ne sarei così sicura», obietto scuotendo lievemente il capo, mentre Akashi si accomoda di fronte a me. «Chiunque si sia preso cura di queste aiuole, lo ha sicuramente fatto pensando a coloro che le avrebbero ammirate guardando da questa finestra».

Un breve momento di silenzio interrompe la conversazione. Con la coda dell’occhio esamino il volto di Akashi. I suoi occhi, leggermente socchiusi in un’espressione assorta e lontana, contemplano l’artistico paesaggio, fin quando scivolano su di me. Provando vergogna per essere stata sorpresa a sbirciare, abbasso la testa, interrompendo il contatto visivo.

«Forse hai ragione. Forse chi ha curato i giardini ha davvero pensato a chi li avrebbe guardati sedendo in questo studio. O forse non è così». Le ultime parole di Akashi sono cariche di disillusione e mi rattristano. Sono fredde, non lasciano spazio alla speranza. Sono come un’oscura formula magica pronunciata per spezzare l’incanto di una fiaba. Sarebbe davvero assurdo se qualcuno in questa villa svolgesse il proprio lavoro con l’intento di rendere felici altre persone? No, i miei stessi pensieri sono l’unica cosa davvero assurda. Continuo a dimenticare che questo luogo non è affatto come casa mia. Che il padrone di questa villa non ha nulla in comune con i miei genitori, se non la ricchezza e il fasto della propria dimora. Il padre di Akashi è un uomo che ha fatto del successo la sua unica ragione di vita. È un uomo che non si è concesso nemmeno un giorno per piangere la morte della sua giovane moglie e che ha cresciuto e istruito il proprio figlio imponendo una disciplina che esclude qualsiasi emozione umana.

«Spero che tu possa perdonare il mio comportamento di ieri sera, Eiko».

Le mie riflessioni vengono bruscamente interrotte dalle parole contrite di Akashi. Non mi aspettavo che sarebbe stato il primo a toccare l’argomento, ma non posso dirmene dispiaciuta. Ad essere onesta, stavo ancora cercando una scusa per introdurre il motivo della mia visita.

«Ormai è acqua passata», rispondo, scuotendo il capo. «Forse è perché ho avuto tutta la notte per pensarci sopra, ma credo che tu abbia ragione».

«Davvero?», le sopracciglia di Akashi si sollevano appena a disegnare la sorpresa nel suo sguardo.

Annuisco. «In effetti, avevo anch’io un motivo per incontrarti questa mattina».

Raccolgo la cartella ai miei piedi e la adagio sul mio grembo.  Gli occhi di Akashi seguono ogni mio movimento con attenzione. La mia mano trema mentre la infilo nella borsa e un’improvvisa secchezza inaridisce la mia bocca quando infine estraggo la lettera. Diversamente da quanto avessi immaginato, la reazione di Akashi è piuttosto normale, quasi avesse previsto le mie intenzioni.

«Non sei sorpreso?», domando, in fondo delusa per la fredda risposta.

«Quando ti ho vista entrare stringendo la cartella fra le mani, ho immaginato per quale motivo avessi accettato di vedermi», la confessione di Akashi è accompagnata da un tiepido sorriso.

«Sapevo di non poterti nascondere la verità ancora a lungo. Ieri sera ho provato fino all’ultimo a respingerti e a mentirti perché speravo di convincerti a lasciare perdere tutta questa storia. Non era mia intenzione farti arrabbiare o ferirti. Volevo solo…proteggerti».

Non riesco a credere a quello che sto dicendo. Io? Proteggere qualcuno? Eppure è la verità. Da ieri non ho fatto che pensare a come tenere Akashi fuori dai miei guai. Dopo essermi resa conto che la situazione mi stava sfuggendo di mano e che in ballo non c’era più soltanto la mia incolumità, non ho più potuto accettare l’aiuto e il coinvolgimento del capitano. Ero terrorizzata all’idea di quello che sarebbe successo se Akashi fosse rimasto al mio fianco. La consapevolezza di avere il pericolo così vicino, così concreto, mi ha fatto agire di impulso, ma avrei dovuto sapere fin da subito che non sarei riuscita ad ingannare Akashi.

Senza volerlo, emetto un lungo e sonoro sospiro. Se avessi realizzato prima la situazione, Akashi non si sarebbe arrabbiato.

«Non hai motivo di scusarti, Eiko. Spaventarti e farti dubitare di me è stato un mio imperdonabile errore», Akashi posa un involucro sigillato sul tavolino.

«Che cos’è?», lo interrogo.

«Il motivo per cui speravo avresti accettato di incontrarmi questa mattina».

Il capitano mi invita a raccogliere la busta e ad aprirla. All’interno ci sono alcune fotografie di una ragazza molto carina. Nella maggior parte degli scatti, indossa una divisa scolastica che riconosco all’istante: si tratta senza dubbio di una studentessa della Teikō, anche se non credo di conoscerla. No, un momento. Guardandola meglio, ha un’aria famigliare, ma non ricordo dove l’ho vista.

«Chi è questa ragazza? Una tua compagna di classe? O forse è una delle manager della squadra di basket? Ho come l’impressione di averla già incontrata, ma non riesco a ricordare né dove né quando».

«E’ la persona che ti ha scritto quella lettera», pronuncia Akashi in tono secco e grave.

I miei occhi seguono il suo sguardo fino al biglietto che pochi attimi prima giaceva sul fondo della mia cartella. Le mie mani gelano e il sangue ghiaccia  nelle vene.

«Vuoi dire che questa ragazza è…».

«Il tuo stalker», conclude Akashi. «E’ l’artefice di tutte le minacce che hai ricevuto fino ad oggi. Il suo nome è Aizawa Yukiko». Mentre continua a parlarmi, il capitano raccoglie una ad una le foto ora sparpagliate sul tavolino.

Dovrei sentirmi sollevata adesso che il mio aggressore ha finalmente un nome e un volto, invece provo solo sconforto. Come’è possibile che una ragazza così bella e all’apparenza fragile si spinga a tanto? È davvero la stessa persona che ieri sera ha attentato alla mia vita con un vaso? Una persona tanto graziosa da sembrare una fata stava davvero cercando di uccidermi? Una ragazza bellissima? Certo, ora ricordo dove l’ho vista. E’ la ragazza che ieri è venuta a cercarmi per conto del professore Takeda. Questo vuol dire che anche l’altra mattina, in palestra, era lei la figura che ho intravisto nella penombra.

«Signorina Eiko, si sente bene?».

Il tocco apprensivo di Arthur sulla mia spalla mi richiama nel presente. «Si, sono solo sorpresa, tutto qui».

«Questa è l’ultima lettera che hai ricevuto, giusto?», Akashi si impossessa dell’involucro e lo apre sotto i miei occhi atterriti. L’istinto mi dice di strappargliela dalle mani prima che possa leggere, ma il mio corpo rifiuta di muoversi. Non voglio che la legga. Non voglio che sappia che per tutto questo tempo in cui è rimasto accanto a me per aiutarmi, la sua vita è stata in pericolo e, probabilmente, lo è ancora. Se leggesse la lettera si allontanerebbe da me e l’ultima cosa che voglio adesso è perdere la sua amicizia.

«Akashi, aspetta!». Infine allungo il braccio per afferrare la busta ma la mano di Akashi è più rapida e la sottrae alla mia presa. Le sue pupille iniziano quindi a scorrere sulla carta e nella mia mente recito il contenuto del messaggio, visualizzando ogni singola parola, impressa ormai nella mia memoria.

 

“Ti avevo avvertita di stare lontana da Akashi-sama, piccola sgualdrina. Una nullità come te non ha alcun diritto di camminare al suo fianco, né tantomeno di rivolgergli la parola. Un rifiuto insignificante come te, non dovrebbe vivere nello stesso mondo di Akashi-sama. Muori!”

 

Terminata la lettura, Akashi consegna il foglio ad Arthur. Il suo volto è completamente inespressivo, non ho idea di quali siano i suoi pensieri in questo momento. Anziché accettare il pezzo di carta, Arthur si inginocchia accanto alla mia poltrona e attende. Non ho il coraggio di parlargli. Chino il capo per dare il mio consenso e solo allora preleva la lettera dalla mano tesa di Akashi. Pochi secondi dopo, il fruscio della carta stritolata dal suo pugno serrato riempie il silenzio attorno a me.

«Ho bisogno del tuo aiuto, Arthur», dichiara improvvisamente Akashi, ottenendo l’attenzione del mio autista. «Ho intenzione di porre fine a questa follia, ma mi occorrerà la tua collaborazione».

«Qualsiasi cosa, se servirà a proteggere la signorina Eiko».

«Che cosa vuoi fare, Akashi?», chiedo in un impeto di ansia.

«Costringere Aizawa ad uscire allo scoperto e, per riuscirci, anche tu, Eiko, dovrai recitare la tua parte. Voglio che tu faccia da esca e induca Aizawa ad attaccarti».

«Stai scherzando, vero!?», mi sollevo dalla poltrona con uno scatto talmente violento da catapultare la cartella abbandonata sulle  mie ginocchia fino ai piedi di Akashi.

«Vorrebbe che la signorina Eiko mettesse di proposito a repentaglio la sua vita?», la domanda di Arthur è un’esplicita accusa all’assurdità appena dichiarata da Akashi.

Tuttavia il capitano non sembra minimamente turbato dalla nostra opposizione. Al contrario, senza perdere compostezza, condivide con entrambi i dettagli del suo piano, avanzando infine un’ulteriore richiesta.

«Mi rendo conto che la mia proposta suoni inaccettabile, tenendo conto che sono proprio io il motivo per cui ci troviamo in questa situazione , ma la mia priorità assoluta è la sicurezza di Eiko». Il suo sguardo risoluto incontra il mio. «Ecco perché vorrei chiederti il permesso di coinvolgere anche i ragazzi della squadra di basket. La loro partecipazione è indispensabile per tenerti al sicuro».

Coinvolgere la squadra? È esattamente quello che ho cercato di evitare fino adesso. Tuttavia un altro pensiero assilla la mia mente.

«Akashi, come hai scoperto che è stata Aizawa a scrivermi le lettere?».

Anziché rispondere alla mia domanda, Akashi raccoglie ancora una volta l’involucro giallo contenente le fotografie e da esso estrae una seconda busta, più piccola e minuziosamente decorata, che non avevo notato.

«Confronta questa lettera con quella che hai ricevuto questa mattina», mi esorta infine porgendomi la carta.

Studio per un attimo la busta colorata fin quando la mia attenzione ricade sul nome del destinatario scritto sul retro.

«Questa lettera è indirizzata a te», esclamo infine, rivolgendomi ad Akashi. «È una…lettera d’amore?!». Sapevo che Akashi gode di una certa popolarità tra le studentesse della Teikō, ma immaginavo che fra le sue ammiratrici ci fosse qualcuna tanto coraggiosa da dichiararsi. «Non posso leggerla. È troppo personale».

«Desidero che presti particolare attenzione alla calligrafia. Tutto il resto è irrilevante».

Irrilevante? Come può definire i sentimenti di una ragazza innamorata “irrilevanti”? io sono forse l’ultima persona a poter parlare, dato che non ho alcuna esperienza in questo campo, ma non trovo giusto umiliare in questo modo una sincera confessione d’amore, anche se non corrisposta. D’altro canto se Akashi considera questa lettera “irrilevante” per quale motivo l’ha conservata? Avrebbe potuto gettarla via. Comunque è inutile immischiarmi in faccende che non mi riguardano. Meglio restare concentrata sulla mia situazione.

Come suggeritomi da Akashi, inizio a scorrere il contenuto l contenuto della lettera soffermandomi con attenzione sulla calligrafia. Mi basta leggere la prima riga per riconoscerla.

«Ma è la stessa scrittura. Vuoi dire che la stessa persona che da settimane minaccia di uccidermi ti ha scritto questa lettera?».

I miei occhi si abbassano quindi sul nome del mittente, riportato al termine del messaggio: Aizawa Yukiko.

Akashi prende la parola, approfittando del mio sgomento. «L’ho ricevuta qualche giorno fa e ho notato subito la somiglianza con la calligrafia delle lettere minatorie che hai ricevuto. Tuttavia, avevo bisogno di una prova concreta per affermare con sicurezza che Aizawa fosse l’autrice delle minacce».

Un campanello suona improvvisamente nella mia testa. Inizio quindi a frugare tra le fotografie finché trovo quella che stavo cercando, la foto incriminante. Nell’immagine si vede infatti Aizawa che, con fare circospetto e cauto, infila qualcosa nell’armadietto delle mie scarpe. Si tratta sicuramente di un biglietto minatorio. A questo punto non ci sono più dubbi sull’identità del mio stalker. La gelosia di Aizawa nei confronti di Akashi le ha fatto completamente fraintendere la mia relazione con il capitano della squadra di basket, facendomi diventare una sua rivale in amore. E a giudicare fino a che punto è disposta a spingersi pur di eliminare la concorrenza, dubito che mi ascolterebbe se provassi a spiegarle che fra me e Akashi non c’è assolutamente niente di quello che pensa.

Eppure qualcosa non mi quadra. Per quale motivo ha preso di mira soltanto me? Satsuki e Mayumi trascorrono insieme ad Akashi molto più tempo di me, essendo manager della squadra di basket, soprattutto Satsuki che, da quanto so, aiuta e sostiene la squadra già da tre anni. Io, al contrario, mi sono avvicinata ad Akashi solo di recente e fino a poco fa non ci rivolgevamo nemmeno un saluto. Non avevamo alcun tipo di rapporto. Allora perché? Possibile che Aizawa ce l’abbia con me per qualcosa che le ho fatto senza rendermene conto? Ma anche in questo caso, non ricordo di avere mai avuto nulla a che fare con lei prima di questa storia.

«So di avertelo già chiesto», Akashi interrompe le mie riflessioni. «ma non mi hai ancora dato una risposta».

«A che proposito?», domando seriamente confusa. In questo momento non riesco a pensare ad altro se non al motivo che mi ha fatta finire nel mirino di Aizawa.

«Sei d’accordo a mettere al corrente della situazione anche i ragazzi della squadra?».

Ah, giusto, ora ricordo. Akashi ha detto di avere in mente un piano e che tale piano prevede la collaborazione di Kise e degli altri. Anche se adesso che so chi è il mio nemico, anche se si tratta solo di una ragazza delle medie, sono comunque preoccupata. Aizawa è una persona pericolosa e imprevedibile. Se messa con le spalle al muro, potrebbe decidere di aggredire anche Mayumi e Satsuki. Ma se il suo odio è rivolto esclusivamente a me, come spero, anche se dovesse finire all’angolo e ripiegare su una strategia disperata, io resterei il suo unico obiettivo, l’unico vero intralcio al suo amore.

«Accetto solo se mi prometti che sarò l’unica a dovermi esporre al pericolo. Qualunque ruolo abbiano gli altri nel tuo piano, dovrà garantire la loro sicurezza».

Avrei preferito dettare le mie condizioni in tono più risoluto, ma non posso fermare il tremore che percorre ora tutto il mio corpo. Nonostante questo, Akashi sembra avere apprezza il mio coraggio e la mia sincerità, accettando infine la mia richiesta.

Una volta raggiunto l’accordo, io e Arthur trascorriamo il resto della mattina nello studio di Akashi, ascoltando con attenzione i dettagli del suo piano mentre il sole affretta la sua scalata in cielo.

 

***

 

All’imbrunire del giorno, sono di nuovo a casa, nel mio letto. Prima di potermi finalmente rilassare tra le lenzuola pulite, però, ho dovuto affrontare l’interrogatorio di Tatsuo e inventare sul momento una scusa che giustificasse la mia ferita alla testa. Come immaginavo, alla vista della benda sulla mia fronte, tutti i membri della mia famiglia si sono allarmati e non è stato semplice rassicurarli. Ho detto loro di essermi fatta male durante la lezione di pallavolo: mi sono tuffata per prendere la palla, ma non ho visto il palo della rete e vi ho sbattuto contro. Dati i miei precedenti e la mia naturale goffaggine, la bugia è suonata piuttosto credibile anche se mi è valsa una severa ramanzina da parte di Tatsuo.

«Ti avevo detto che riprendere a frequentare le lezioni di educazione fisica era una pessima idea. Se pensi che verrò di nuovo a scuola per convincere la tua prof. ad esonerarti, ti sbagli di grosso. L’ultima volta mi ha letteralmente trascinato in infermeria e ha cercato di saltarmi addosso. Mi vengono i brividi solo ripensarci», ha detto con il terrore negli occhi e una smorfia di disgusto sulle labbra.

A scuola tutti sanno quanto la professoressa Fujioka sia alla disperata ricerca di un uomo. Stando ai pettegolezzi, tutti gli uomini che ha frequentato fino adesso l’hanno alla fine lasciata per una nuova fiamma. Dopo l’ultima storia andata a rotoli ha deciso di saziare la propria fame cacciando prede più giovani, dalla carne più fresca. Fino ad oggi, non avevo capito che anche Tatsuo è stato costretto a difendersi dall’audace attacco della professoressa Fujioka, rischiando di diventare un suo trofeo di caccia. Non oso immaginare cosa abbia dovuto sopportare per il mio bene, ma di certo gli sarò grata per il resto della mia vita.

A parte i rimproveri di mio fratello, che ancora una volta si è dimostrato essere il più protettivo e apprensivo, il ritorno a casa è stato abbastanza tranquillo e adesso posso finalmente godermi la calma e la famigliarità della mia stanza. Poter dormire di nuovo nel mio letto è abbastanza per alleviare il dolore alla testa e sciogliere la tensione nel mio corpo. Queste ultime ventiquattro ore mi hanno caricata di emozioni troppo forti per essere smaltite in una sola notte. E resta sempre il fatto che sto mentendo alla mia famiglia riguardo ad Aizawa e al reale pericolo che ho corso ieri sera. Non credo che riuscirei a sopportare la loro reazione se venissero a sapere che qualcuno ha attentato alla mia vita. La quantità di ansia da gestire mi schiaccerebbe, ma soprattutto non potrei accettare di vedere l’angoscia negli occhi di mia madre o di mia sorella Naoko. Nonostante quello che mi sta succedendo, è un periodo sereno per la mia famiglia e non voglio essere io a spezzare lo loro felicità. Non ne ho il diritto.

Mi giro su un fianco, cercando una posizione comoda sul materasso. Mi raggomitolo nelle lenzuola, inspirandone il profumo quando la porta della mia camera si dischiude.

«Stai già dormendo, Eiko?», Naoko fa capolino nella stanza, chiamandomi con la sua voce melodiosa.

«Non ancora», le rispondo emergendo dalle coperte.

Naoko si chiude la porta alle spalle e si avvicina al letto, sedendosi infine accanto a me. Averla di nuovo al mio fianco, così vicina, mi fa istintivamente sorridere.

«Non puoi immaginare quanto mi renda felice poter di nuovo vedere il tuo sorriso», la mano di Naoko si stringe affettuosamente intorno alla mia.

«Mi dispiace averti fatto preoccupare».

«Ciò che conta è che tu stia bene, nient’altro», mi risponde scuotendo lievemente il capo. «Immagino non sia stato facile per te».

«La residenza degli Akashi è molto diversa dalla nostra e ad essere sincera, mi sono sentita un po’ a disagio per tutto il tempo. Non vedevo l’ora di tornare a casa». Naoko accarezza dolcemente i miei capelli e questo basta a darmi la certezza che ho tutta la sua comprensione. «Ad essere onesta, però», riprendo, «Akashi ha cercato di farmi sentire a mio agio. Pensa che questa mattina ha perfino ordinato alla servitù di preparare la mia colazione preferita».

«Si è preso molta cura di te», commenta Naoko, mostrando sollievo e gratitudine. «Dovremo assicurarci di ringraziarlo».

Annuisco con decisione, condividendo il suo pensiero. Un istante dopo, un improvviso silenzio cala fra di noi dandomi il tempo di notare l’espressione curiosa ma perplessa sul volto di mia sorella.

«C’è forse qualcosa che ti turba?», la interrogo allora preoccupata.

«Non direi. Sono solo sorpresa. In realtà lo siamo tutti. Nessuno di noi si sarebbe aspettato di ricevere una telefonata del giovane Akashi che chiedeva il permesso di ospitarti a casa sua per un intero giorno».

Capisco perfettamente cosa intende dire. E in qualche modo posso visualizzare nella mia mente lo stupore di mia madre quando ha risposto al telefono. In fondo, prima di oggi, nessun membro della mia famiglia aveva mai interagito personalmente con i membri della famiglia Akashi.

«Avevo intenzione di parlartene», confesso abbassando lo sguardo imbarazzata. «La verità e che nelle ultime settimane ho stretto amicizia con i membri della squadra di basket, di cui Akashi è il capitano. Fino ad oggi mi sono sempre tenuta in disparte e non mi sono mai lasciata coinvolgere da nessuno. Ma all’inizio di quest’anno mi sono ritrovata di nuovo in classe con Mayumi e mi ha convinta ad assistere agli allenamenti della squadra. Ah, non ti ho detto che tra i miei nuovi compagni di classe c’è anche Kise Ryouta, il famoso modello, per cui Mayumi ha una cotta, e che anche Kise è un titolare della squadra di basket. È un ragazzo molto socievole ed esuberante, proprio come Mayumi e, prima che me ne rendessi conto, siamo diventati amici. Grazie a Mayumi, che adesso è diventata manager della squadra, ho incontrato gli altri membri del club di pallacanestro. Sono tutti ragazzi eccezionali e all’inizio avevo paura. Sono molto diversi da me, così pieni di passione ed entusiasmo. Perfino Akashi. Il fatto è che è successo tutto così in fretta e neanch’io riesco ancora a crederci ma…potremmo dire che loro sono i miei primi amici».

Un calore sale fino alle mie guance mentre pronuncio l’ultima parola. Per una ragazza solitaria come me è imbarazzante ammettere di avere finalmente stretto delle amicizie. È una sensazione aliena,  irriconoscibile, ma non spiacevole.

Mentre sono ancora persa nei miei pensieri, le braccia di Naoko mi attirano a sé, accompagnando la mia testa al suo petto.

«Sono orgogliosa di te, Eiko».

Forse è perché desideravo sentire queste parole più di qualsiasi altra cosa, o forse è semplicemente il senso di colpa che percuote la mia coscienza bugiarda, ma calde lacrime rigano le mie guance mentre mi lascio viziare per un po’ dalle carezze di mia sorella, fino a quando i miei occhi si chiudono in un profondo sonno pacifico.

 

 

 

°°°

 

Nota d’Autrice: Innanzi tutto mi scuso con tutti voi per l’immenso ritardo, ma sono in periodo di esami universitari e ho fatto del mio meglio per trovare sempre un po’ di tempo per scrivere. Questo capitolo è abbastanza lungo e sono quasi certa che lo saranno anche i successivi. Spero che questo possa compensare il fatto che pubblicherò con meno frequenza, ma la storia andrà comunque avanti. Non perdete la speranza! ^^ vi incoraggio sempre a condividere con me le vostre opinioni e vi abbraccio tutti.

 

 Lady L. ; )

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Capitolo 20
*** Io non sono come te ***


ATTENZIONE: In questo capitolo si menziona più volte il tema della morte.

 

 

 

 

Capitolo 9

“Io non sono come te”

 

 

 

 La suoneria del cellulare interrompe bruscamente il mio sonno, avvisandomi che un nuovo giorno è iniziato. Ancora intorpidita, mi sollevo dal materasso. Porto una mano dietro la nuca e una calda umidità bagna le mie dita. Un velo di sudore ricopre la mia pelle e minuscole gocce di acqua scivolano dal mio collo fino all’incavo della gola. Un’intensa agitazione pervade il mio corpo mentre inizio a boccheggiare. Sento il cuore battere furiosamente e nella mia testa si addensano le ultime ombre di un incubo. Non ricordo cosa ho sognato, ma il sentimento di angoscia è ancora nitido e pulsa dentro di me. Martella nel mio petto e nel mio stomaco, nel mio cranio e nella mia gola, nelle mie braccia e nelle dita dei miei piedi. Avvicino le mani al viso solo per notare il forte tremore che mi impedisce di controllarle. L’interno della mia bocca è secco come un deserto africano e sulla lingua percepisco un sapore di acidità. Questa giornata non promette nulla di buono. Di solito non sono una persona che crede nelle premonizioni, ma il disagio che provo in questo momento potrebbe essere un campanello d’allarme. Un ammonimento a rimanere a casa, al sicuro. Potrebbe essere il mio istinto primordiale che urla per mettermi in guardia da un pericolo. E l’incubo sbiadito che aleggia nella mia memoria potrebbe essere una visione del futuro che mi attende. Ma cosa mi aspetta esattamente? Cosa ho visto nel mio sogno? Se non riesco a ricordare, forse non dovrei dare troppo peso alla questione. Forse è solo la mia instancabile paranoia che ancora una volta cerca di sedurmi con le sue illusioni. Si, è sicuramente così. Ho accumulato più stress di quanto avessi creduto e adesso il mio organismo sta tentando di disfarsene lasciando al mio subconscio il compito di gestirlo. È esattamente questo. Nulla di più. Nulla di cui preoccuparsi. Nulla a cui prestare attenzione. Nulla di cui preoccuparsi. Nulla…

 

***

 

Arrivo in classe poco prima del trillo della campanella. Mi trascino fino al banco con passo fiacco e mi lascio cadere sulla sedia come un sacco pieno di farina.

«Hai una cera orribile, Eiko. Che cosa è successo?».

Mayumi compare al mio fianco, salutandomi con una smorfia di stupore.

«Questa notte non ho dormito bene», le rispondo con voce monotona e priva di energia. Sento ancora la bocca impastata e le parole si aggrovigliano fra i denti. Ruoto gli occhi verso di lei, notando qualcosa di insolito.

«Sei piuttosto in ritardo questa mattina».

Mayumi posa la cartella sul banco e si siede di fronte a me. «In ritardo? Non direi. Sono a scuola da almeno un paio di ore. Questa mattina c’erano gli allenamenti della squadra di basket. A proposito, che fine ha fatto Kise? Ero sicura che stesse camminando dietro di me».

«Saaaafe!».

La porta dell’aula si spalanca annunciando l’arrivo di Kise. La divisa in disordine, i capelli arruffati sulla testa e il volto esausto sono sicuramente opera delle sue ammiratrici. Come fanno ad essere così energiche già di primo mattino?

«Oh! Eiko-cchi!!!».

Non appena gli occhi d’ambra di Kise si accorgono di  me, il sorriso torna sul suo volto perfetto. L’aria stremata e dimessa di pochi istanti fa è presto – troppo presto – sostituita da un nuovo, travolgente entusiasmo.

«Non so perché, ma mi basta guardarti per sentirmi di nuovo pieno di energia! Questa giornata non poteva iniziare meglio di così!!!», le sue lunghe braccia si stringono attorno alle mie spalle imprigionandomi in un vigoroso abbraccio.

«Ki-Kise, così mi soffochi».

«Ah! Scusami! Stai bene!?», Kise si allontana da me lasciandomi respirare. Rispondo con un cenno del capo mentre si sistema nel banco accanto al mio. Mentre le mie attenzione sono ancora rivolte a lui, Mayumi prende la parola.

«Eiko, sai forse se è successo qualcosa ad Akashi?».

«Perché me lo chiedi?», la interrogo a mia volta.

«No, niente. È solo che questa mattina, durante gli allenamenti, sembrava molto più serio del solito. Ha anche chiesto ai ragazzi, a me e a Satsuki di raggiungerlo in palestra dopo le lezioni. Ha detto che aveva qualcosa di urgente e importante da comunicarci. Ah, ovviamente ha convocato anche te».

Ovviamente. Dopo tutto è proprio di me che vuole parlare. Quindi vuole mettere in atto il suo piano il prima possibile. Vorrei poter dire di essere d’accordo con lui, ma sono ancora un po’ preoccupata. È davvero giusto coinvolgere Mayumi e tutti gli altri? Anche se mi ha dato la sua parola di tenerli al sicuro, c’è sempre una minima probabilità che le cose non vadano come previsto e se dovesse accadere il peggio…

«Eiko? Mi stai ascoltando?».

La mano di Mayumi si posa sulla mia spalla, facendomi riemergere dai miei pensieri.

«Si! Si, ti sto ascoltando».

«Allora? Non sai davvero niente?».

Deglutisco pesantemente mentre osservo il sopracciglio destro di Mayumi inarcarsi con sospetto.

«No, non so niente, mi dispiace», non credevo che pronunciare queste parole sarebbe stato così difficile, ma che scelta ho? È meglio che sia Akashi a rivelare la verità. Io non saprei da dove iniziare.

Delusa, Mayumi sospira sonoramente mentre la campanella dichiara l’inizio della mattina.

 

***

 

Le lezioni terminano, così come la giornata; sui volti dei miei compagni di classe i segni della stanchezza o della noia lasciati dalle estenuanti spiegazioni dei professori. Mayumi raccoglie i quaderni inserendoli nella cartella tra uno sbadiglio e l’altro. Neanche Kise sembra essere in piena forma e i suoi movimenti rallentati sono la prova della sonnolenza che sta cercando di sedurre il suo corpo. Io, al contrario, benché non possa definirmi completamente sveglia, mi sento ancora piuttosto attiva. Se non altro abbastanza da accorgermi dei due ragazzi nel corridoio.

«Yo, Eiko».

«Aomine. Siete ancora qui?».

«Visto che siamo tutti diretti in palestra, abbiamo pensato che potevamo andare insieme», spiega rapidamente Kuroko.

«Mi sembra un’ottima idea. Stavamo giusto per avviarci anche noi», risponde Mayumi afferrando la cartella.

Mentre camminiamo, la mia mente è distratta e non presta attenzione ai discorsi dei ragazzi. Ad ogni passo l’ansia e l’incertezza crescono nel mio cuore. Come reagiranno alle parole di Akashi? Vorranno ancora essere miei amici? Che diritto ho di coinvolgerli? E se per colpa mia qualcuno finisse col farsi male? Come potrei giustificarmi davanti alla sua famiglia? Ma non è detto che accettino di aiutarmi. Giusto, anche se si tratta di una richiesta del capitano, possono sempre rifiutare. Devono rifiutare. In tal caso nemmeno Akashi potrebbe costringerli.

«Secondo voi di cosa vorrà parlare Akashi-cchi di così urgente?».

L’improvvisa domanda di Kise mi fa sussultare.

«Non lo so, ma lo scopriremo presto», risponde Aomine spalancando la porta della palestra.

L’ampio salone è illuminato a giorno ma, oltre a noi, non vi è nessun altro.

«Dov’è Akashi?», pronuncia Mayumi, dando voce a tutti i nostri pensieri. «Visto che è stato lui a chiederci di venire, dovrebbe essere già qui».

«Akashi arriva subito».

La voce squillante di Momoi si alza alle nostre spalle. Le sue mani stringono un plico di fogli considerevolmente spesso.

«L’allenatore lo ha trattenuto, ma dovrebbe essere qui a momenti».

«Un’altra riunione?», domanda Mayumi.

Momoi annuisce, massaggiandosi la base del collo intorpidita. Essere l’assistente dell’allenatore sembra un lavoro più faticoso di quanto appaia. Al suo posto avrei sicuramente rinunciato dopo il primo giorno.

Molto presto anche Midorima e Murasakibara si uniscono al gruppo, convocati dal capitano, mentre di Akashi non si vede neanche l’ombra.

Forse gli è successo qualcosa? Un sospetto agghiacciante mi balena in testa? E se il sogno della scorsa notte avesse voluto avvisarmi proprio di questo? Non è possibile. Non deve accadere. Aizawa non ha motivo di prendersela con Akashi perché sono solo io la persona che odia. Ma devo accertarmene di persona.

Le mie gambe si mettono in moto e mi guidano verso la sala professori, dove dovrebbe trovarsi Akashi. Dietro di me sento le voci di Mayumi e Satsuki diventare sempre più lontane e infine tacere. Come ho potuto essere così ingenua? Aizawa è pericolosa e folle. Lo sapevo fin dall’inizio. Akashi non è mai stato al sicuro. Nessuno dei miei amici lo è. È stato un errore coinvolgerli. Spero solo di arrivare in tempo.

Salgo la rampa di scale avanzando due gradini alla volta. Il desiderio di salvare Akashi è l’unica forza che muove le mie gambe pesanti. Raggiunta la cima della scalinata i miei occhi scorgono l’allenatore della squadra di basket mentre si appresta a lasciare la stanza.

«Professore!», la mia voce esplode in un’eco che si propaga per il corridoio solitario.

«Wadsworth? Non lo sai che non si corre per i corridoi?».

«Dov’è Akashi?», lo interrogo, ignorando il rimprovero. Il mio respiro è affaticato e per un attimo la figura del professore perde nitidezza. No, non devo svenire.

«Akashi? Se stai cercando Akashi si è già incamminato verso la palestra. Mi aveva chiesto il permesso di usarla per una riunione straordinaria con i ragazzi della squadra».

«Ne è sicuro? Mentre venivo qui non l’ho visto».

«Non saprei. Avrete preso due strade diverse. In fondo ci sono tanti modi per raggiungere le palestre».

Non va bene. Ad ogni secondo che trascorre la paura cresce, così come la mia disperazione. L’unica cosa che posso fare è ritornare indietro percorrendo una strada diversa. Se sono fortunata, forse lo raggiungerò. Mentre riprendo a correre per la scuola, infilo una mano nella tasca della gonna cercando il cellulare: devo avvisare Mayumi e gli altri perché si mettano alla ricerca di Akashi.

«Eiko, ma dove sei finita?», Mayumi risponde immediatamente alla telefonata.

«Akashi è in pericolo! Non riesco a trovarlo da nessuna parte!», sono le prime parole che escono dalla mia bocca.

«Che stai dicendo? Akashi è appena arrivato e dovresti tornare anche tu».

«Cosa hai detto?». I miei piedi si fermano, inchiodando la mia corsa sfrenata. «Sei sicura? È davvero lì con voi?».

«Si, è qui. Insomma, Eiko, che ti prende? Perché sei così agitata?».

Akashi sta bene? Per fortuna i miei timori erano infondati. La mia mano si abbassa e il pollice interrompe la chiamata. Sollevata, collasso sul pavimento per riprendere fiato. Mi sto lasciando condizionare troppo dal mio sogno. Akashi è troppo intelligente per cadere in una trappola di Aizawa. È evidente che oggi sono più paranoica del solito. Devo calmarmi o farò solamente preoccupare i miei amici. Farò meglio a ritornare prima che Akashi pensi che mi sia davvero successo qualcosa.

Mi sollevo scuotendo la polvere dalla gonna e mi incammino verso la palestra. La scuola è silenziosa, ma io sono troppo impegnata a reprimere l’agitazione che mi domina per prestare attenzione. Cammino assorta nei miei pensieri, combattuta tra i miei sentimenti, rimuginando sull’assurdità di questa situazione. Prima di accorgermene, sono di nuovo all’esterno, nel cortile posteriore della scuola, che conduce ai club sportivi. A quest’ora non si vedono studenti in giro e i campi di allenamento giacciono nell’oscurità. Le uniche luci che brillano nel paesaggio serale sono quelle della palestra. Affretto perciò il passo, avvertendo di nuovo una profonda ansia. Il fruscio delle mie scarpe sul terreno riempie le mie orecchie e amplifica il silenzio che  mi circonda. All’improvviso sono costretta a fermarmi: il mio respiro si spezza in brevi e rapide boccate mentre il cuore inizia a pulsare frenetico. Conosco questa sensazione, è la stessa di questa mattina. Un sudore freddo scivola dalla mia fronte, bagnandomi le sopracciglia. Ordino al mio corpo di riprendere a muoversi ma si rifiuta di ubbidirmi. Resto immobile, osservando il profilo della palestra che si staglia davanti a me. Perché mi sono fermata? Che cosa mi sta succedendo? Mi sento strana. Che cos’è questa forza che spinge dal fondo della mia mente per emergere? No, non è una forza. Sembra più una voce. È fredda e cinica. È impaziente e irritata. Risuona nel mio cervello facendo vibrare il mio cranio. Il dolore è insopportabile. Cado sulle ginocchia prendendo le tempie fra le mani. Vorrei urlare per chiamare aiuto, ma la mia voce si rifiuta di uscire. Anzi, è come se venisse risucchiata nella gola, per sprofondare nello stomaco. Sento che sto per perdere conoscenza.

«Ciao, Eiko».

Un nuovo suono si leva alle mie spalle. È una voce femminile. La riconosco. Piegata dal dolore che tormente la mia testa, mi volto indietro. Aizawa. La ragazza che ha promesso di punirmi, che ha minacciato di uccidermi, è ora in piedi di fronte a me; la sua minuta figura velata dalla penombra della sera.

«È lei?».

Una seconda voce, maschile, spezza il silenzio. Aizawa non è sola. Due ombre la accompagnano e sembrano emanare un’aura minacciosa. Che si tratti di due studenti? Due complici di Aizawa? È troppo buio per vedere i loro volti.

«Sei sicura di volerlo fare?», l’ombra sulla sinistra si rivolge ad Aizawa.

I miei occhi scorrono su di lei. Non posso leggere l’espressione sul suo viso ma sono quasi certa che stia sorridendo con malizia, o almeno così mi suggerisce la sua voce.

«È la giusta fine per un rifiuto come lei».

Le sue parole sono cariche di veleno e di eccitazione. Sono parole di compiaciuta perfidia. Eppure non mi spaventano. In questo momento non ho paura di Aizawa, né di quello che potrebbe farmi. Il mio terrore scaturisce invece dall’interno del mio stesso corpo. Nella mia testa si addensano pensieri sadici, immagini di pura crudeltà, desideri nati da una insana perversione. Questa non sono io. Non posso essere io.

Chi diavolo sei? Esci dalla mia testa!

«L’unica che deve togliersi dai piedi sei tu».

Di nuovo quella voce. Sto forse impazzendo?

Una fitta potente come una scarica elettrica attraversa il mio cervello facendomi piegare sul terreno. Apro la bocca solo per emettere un grido muto. Perché non riesco ad urlare?

«Che cosa le prende? Aizawa, che cosa facciamo?».

«Ci atteniamo al piano, idiota».

«Ma…».

«Niente ma. Vi ho pagati per terminare il lavoro».

Mentre il mio corpo si contorce nel dolore, i complici di Aizawa iniziano a mostrare incertezza.

«Che cosa fate lì impalati? Prendetela!», ordina Aizawa.

I due ragazzi si chinano su di me e mi sollevano con forza, trascinandomi all’interno della scuola. Sono troppo debole per respingerli. Il dolore ha prosciugato tutte le mie energie. Non riesco più a distinguere le voci dei miei rapitori. Che cosa posso fare?

«Te l’ho detto. È arrivato il momento che tu ti faccia da parte».

Ancora quella voce? Non so a chi appartenga, ma sembra sentire i miei pensieri. Continua a dirmi di farmi da parte, ma cosa vuol dire? Più mi sforzo di riflettere, più sento la mia coscienza affievolirsi. Se adesso perdessi i sensi sarei alla completa mercé di Aizawa. Non posso svenire.

«Smettila di opporre resistenza e levati di mezzo. Ho aspettato anche fin troppo».

Come posso fidarmi? Non so chi sei. Come sei entrata nella mia testa?

«Non ci sono entrata. Sono sempre stata qui».

Che cosa vuoi dire? Chi sei?

«Sono l’unica persona che può toglierti da questo casino».

Davvero? E come pensi di fare?

«Questo non ti riguarda. Una nullità come te non dovrebbe fare domande. Ti trovi in questa situazione perché hai voluto fare di testa tua. Se mi avessi lasciato fare a modo mio fin dall’inizio tutto questo non sarebbe successo. Sei un’incapace. Mi sono stancata di assecondarti. Da adesso prendo io il comando».

Comando? Si può sapere chi sei e cosa vuoi da me? «Sparisci!».

«Che diavolo succede, adesso?».

«Non lo so. Si è messa a urlare all’improvviso».

Per un attimo riesco di nuovo a percepire il mondo intorno a me. Il mio corpo è ancora pesante. La vista non è limpida ma sono sicura di essere all’interno della scuola. Probabilmente i due complici di Aizawa mi hanno trascinata fino a qui mentre ero svenuta. Quello che non capisco è perché si siano fermati all’improvviso. Con gran fatica sollevo la testa e un’ombra si abbassa fino al livello dei miei occhi, contrariata e piena di irritazione.

«Che cosa hai detto?».

Il viso rotondo di Aizawa prende lentamente forma a pochi millimetri dal mio naso. Le sue sopracciglia sono piegate in un’espressione di puro odio. Solo allora ricordo: la mia voce ha infine abbandonato le profondità della mia gola per irrompere all’esterno. Probabilmente Aizawa ha creduto che stessi parlando con lei. Ma non ho il tempo di spiegarmi. Con una mano afferra i miei capelli facendomi piegare la testa indietro.

«Come osi ordinarmi di sparire? Non sei che un inutile rifiuto. Non montarti la testa solo perché Akashi-sama ti ha rivolto la parola».

Il disprezzo nelle sue parole è la prova dell’odio che nutre verso di me.

Non avrei dovuto cercare di cambiare. Non avrei dovuto cercare di diventare qualcuno che non sono. Non avrei dovuto essere egoista e presuntuosa. Non si può cambiare la realtà. Io sono Eiko Wadsworth. Sono una ragazza solitaria, senza ambizioni, insicura e introversa. Sono passiva e non amo rincorrere sogni impossibili. Sono il tipo di persona che passa inosservata, di cui nessuno si accorge. Sono mediocre in tutto quello che faccio e non ho talenti. Ma, soprattutto, non ho rimpianti. Ho accettato fin da subito la mia mediocrità e ciò mi ha permesso di trovare un  posto in questo mondo. Perché allora ho pensato di poter cambiare? Una pecora non diventerà mai un lupo.

Amici? Sogni? Speranze? Desideri? Da quando ho iniziato a interessarmi a queste cose? Da quando ho deciso di ignorare il buon senso per correre dietro alle illusioni? È vero. È solo colpa mia se ora mi trovo in questa situazione.

«Finalmente l’hai ammesso».

Non so chi tu sia, ma avevi ragione. Peccato solo che sia troppo tardi per tornare sui miei passi.

«Non è troppo tardi».

Si che lo è. Sono senza forze e tra poco perderò di nuovo i sensi. A quel punto, Aizawa potrà fare di me ciò che vuole.

«Non se ti fidi di me».

Fidarmi di te? Vuoi che ti ceda questo mio corpo debole e vulnerabile? A che scopo?

«Io non sono come te. Io non sono debole».

Forse. Ma loro sono in tre e tu saresti da sola.

«Ti cosa ti preoccupi? Non hai forse deciso di arrenderti?».

Arrendermi? È vero che ho deciso di smettere di lottare per cambiare, ma non voglio che Aizawa l’abbia vinta. Una sconfitta del genere sarebbe troppo umiliante persino per me.

«Allora vogliamo la stessa cosa».

Perché mai dovresti aiutarmi?

«Non ho mai detto di volerti aiutare. Io non sono tua amica e non ho intenzione di diventarlo».

Allora perché sei venuta da me?

«Perché tu sei debole».

Vuoi dire che se ti lasciassi prendere il mio corpo potresti tirarmi fuori da questa situazione? Potresti punire Aizawa per avermi minacciata?

«Farei molto di più. Farei ciò che tu non avresti mai il coraggio di fare».

Non puoi farlo!

«Tu non puoi, ma io si».

Commetteresti un crimine!

«Preferisci allora che sia Aizawa a commetterlo? Sei davvero pronta a morire?».

Io… io non lo so. Sono stata egoista, è vero. Ho provato a cambiare ciò che sono e forse è giusto che paghi. Però…non posso accettare che Aizawa la passi liscia. D’altro canto non saprei come fermarla. Sono completamente sola e senza forze. Non riesco più a sentire il mio corpo.

«Mettetela sulla sedia e legatela stretta».

«Ma, Aizawa, è ancora cosciente».

«Non importa. Vorrà dire che la ucciderò con un unico colpo, invece di farla soffrire. Per sicurezza, però, chiudetele la bocca in modo che non possa urlare».

Non so neanche dove mi trovo. Non ho mai visto questa stanza. Sono davvero destinata a morire così? Se avessi creduto al sogno di questa mattina, le cose sarebbero andate diversamente? Andrebbero diversamente che riuscissi a salvarmi? Tornerei di nuovo ad essere la vecchia Eiko senza amici? Adesso che so cosa si prova, sarei davvero capace di rinunciare a Mayumi, a Satsuki, ad Akashi e a tutti gli altri? Perché sono così insicura? Perché sono così debole? Qual è la cosa giusta da fare?

«Lo sai qual è. Lascia che me ne occupi io».

Non posso. Sento che tu sei più pericolosa di Aizawa.

«Tu hai bisogno di me! Non hai altra scelta! Se non vuoi farti da parte, mi prenderò il tuo corpo e il tuo tempo con la forza».

Che cosa… No, smettila! Fa male!

«Aizawa!».

«Ma che diavolo…? Non le ho ancora fatto niente. Tenetela ferma!».

Fa male! Fa troppo male! Esci dalla mia testa! Non posso fidarmi di te.

«È inutile resistere. Te l’ho detto. Io non sono come te. Io non sono debole».

 «Aizawa, non riusciamo più a trattenerla!».

«Com’è possibile che due ragazzi non riescano a tenere a bada una stupida ragazzina? Siete degli incapaci! Tenetele la testa. Non so a che gioco tu stia giocando, Eiko, ma con me non funzionerà. Ti avevo avvertita di stare alla larga da Akashi-sama».

«Aizawa, quello è…».

«È solo un anestetico che ho rubato dall’infermeria».

Non posso svenire adesso. Non devo.

«A quanto pare non avrò bisogno di usare le maniere forti. Mi basterà aspettare che l’anestetico faccia effetto».

Non ti lascerò prendere il mio corpo.

«Non hai scelta. Tu sei debole. Ah! Ah! Ah! Finalmente. Le cose sarebbero dovute andare così fin dall’inizio. Una volta che avrò il totale controllo del tuo corpo farò ciò che tu non hai avuto il coraggio di fare».

Non lo permetterò. Non ti lascerò commettere un crimine usando la mia faccia.

«Ipocrita! Sappiamo benissimo entrambe che è quello che vuoi anche tu».

Non è vero!

 «Si che lo è. Altrimenti perché avresti ignorato l’avvertimento di Aizawa sapendo che sarebbe successo tutto questo? L’hai fatto perché volevi un pretesto. Perché sei troppo codarda per seguire i tuoi veri desideri».

Ti sbagli. Io non ho mai desiderato la morte di nessuno.

«Smettila di mentire! Mi fai vomitare. Se solo non fossimo costrette a condividere lo stesso corpo…».

Che intendi dire?

«Non l’hai ancora capito? Sei più stupida di quanto credessi. Bhe, non ha importanza. L’anestetico sta già facendo effetto. Tra pochi secondi potrò finalmente prendere possesso del tuo corpo. Il tuo momento è giunto al termine, Eiko. Da adesso in poi, il tuo tempo appartiene a me».

 

 

 

 

°°°

 

Nota d’Autrice:

Ciao ragazzi. Ritorno dopo tanto tempo con un nuovo, importante capitolo. Un capitolo che segna il primo punto di svolta all’interno della storia e spero sia riuscito a catturare la vostra curiosità. Vi ringrazio per avermi seguita fino a questo punto. Vi abbraccio tutti e vi auguro un buon fine settimana. ^^

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Capitolo 21
*** Non voglio sparire ***


ATTENZIONE: In questo capitolo alcuni personaggi fanno uso di un linguaggio offensivo, ma non necessariamente volgare. Si menziona inoltre il tema dell'omicidio.

 

 

 

Capitolo 10

“Non voglio sparire”

 

 

Questa sensazione. La sensazione di avere finalmente un corpo e poterlo sentire. Quanto ho dovuto aspettare? Per quanto tempo sono rimasta  intrappolata? Ma adesso che sono libera non tornerò più laggiù. Il mio posto è qui, nel mondo reale. Perché io e soltanto io sono reale. Questo corpo è mio di diritto. Questa vita è mia. Non condividerò il mio tempo con nessun altro.

Ah, giusto. Prima però devo occuparmi di questi inutili rifiuti. Il mio primo giorno fuori di prigione non poteva offrirmi di meglio. Com’è che si chiamava la ragazza? Aizawa? Aah, chi se ne importa? Qualunque sia il suo nome, una volta che avrò finito con lei, non saranno comunque in grado di riconoscerla.

«Aizawa, si sta svegliando».

«Che diavolo dici, idiota? Le ho dato abbastanza anestetico da addormentare un cavallo. Semmai dovrebbe essere morta!».

Dove pensi di mettere quelle schifose mani? Solo perché quella buona a nulla ha avuto il controllo di questo corpo fino adesso, credi forse di potermi toccare dove ti pare?

«Come fai ad essere sveglia? Rispondi! Che trucco hai usato?!»

«A-Aizawa, forse è meglio lasciar perdere. Io non credo che sia una buona idea».

«Lo credevi anche questa mattina, mentre prendevi i miei soldi?».

«Se è solo questo il problema, puoi riprenderteli i tuoi soldi».

«Satō, aspetta, non vorrai lasciarmi da solo in questo casino?».

«Mi dispiace, Morikawa, ma la faccenda ci sta sfuggendo di mano. Aizawa ha detto che sarebbe stato un lavoro rapido ma… questo è troppo!».

«Vuoi piantarmi in asso, codardo?».

«Io sarò anche un codardo, ma tu hai dei seri problemi, Aizawa».

«Se tu te ne vai, Satō, allora lascio anch’io. Non ne vale la pena. Trovati qualcun altro, Aizawa».

«Non avrei dovuti fidarti di spazzatura come voi, ma non posso lasciarvi andare».

Aaaah, no, no, no, no, no. Non ci pensare neanche. Non sono rimasta qui a guardare per farmi fregare il divertimento proprio sotto il naso.

«Guardate! Come ha fatto a liberarsi? Eppure ero sicuro di aver stretto le corde al massimo».

Si, esatto. È proprio questa l’espressione che volevo vedere. Comunque, persino un bambino sarebbe riuscito a liberarsi. Quasi quasi, non c’è neanche gusto a prendersela con nullità del vostro calibro.

«Che cosa state aspettando? Catturatela!».

Tipico dei parassiti: lasciare che siano gli altri a fare il lavoro sporco. Al contrario, è decisamente meglio sporcarsi le mani di persona. Trovo che dia maggiore soddisfazione. Penso di essermi riposata abbastanza. Sono riuscita a smaltire quasi tutto l’effetto dell’anestetico. E poi, non posso lasciare che quel parassita di Aizawa si diverta da sola.

«Do-Dove pensi di andare, Wadsworth?».

Da nessuna parte. Dopotutto, la festa è appena iniziata.

«Che cosa vi prende? Perché vi siete fermati?».

«C’è qualcosa di strano, Aizawa. Questa ragazza…sembra…diversa».

«Morikawa ha ragione. C’è qualcosa di diverso nei suoi occhi».

Non vi ho ancora fatto niente e state già tremando? Così non è divertente. In fondo, mi sono solo alzata dalla sedia.

«Non indietreggiate! È solo una ragazza!».

Esatto. Non starete mica pensando di scappare, eh? Ah, come se poteste farlo. Forse sarà meglio sistemare prima i due ragazzi, così poi potrò prendermi il mio tempo con Aizawa.

«N-Non ti avvicinare. S-Stai lontana da me, mostro!».

«Mostro? Io? Non nego che possiate avere ragione, ma pensate di essere diversi, voi? Fino a un attimo fa parlavate di come togliere di mezzo quella buona a nulla di Eiko».

«Mi prendi in giro? Credi forse di spaventarmi?».

«Aizawa, che cosa vuoi fare?».

«Non ti immischiare, Morikawa! Non capisci? Sta solo fingendo. Il suo non è che un patetico tentativo di salvarsi, ma io non mi lascio ingannare! Non so come hai fatto a resistere all’anestetico, ma ti assicuro che non uscirai viva da qui. Lo sapevo che stavi nascondendo qualcosa. Ti sei avvicinata ad Akashi-sama perché volevi averlo tutto per te, confessa! Questa è la tua vera natura. Per tutto questo tempo non hai fatto che fingere!».

«Akashi? Ah, il capitano della squadra di basket. Quel tipo non mi interessa affatto. Io e lui siamo troppo simili per andare d’accordo. Ma forse tu stavi parlando di quella buona a nulla di Eiko. Io e quell’incapace non abbiamo niente in comune, se non questo corpo. Ma adesso che sono libera non dovrò più dividerlo con lei. Eiko non tornerà più».

«Cosa stai dicendo? Sei tu Eiko! Perché continui a parlare in terza persona? Non sei mica una bambina».

«Ti ho detto di non associarmi a quella perdente. Io non sono affatto come lei. Io non sono debole».

«Aizawa, andiamo via. Questa ragazza è pericolosa. Non mi piace il suo sguardo».

«Non vi azzardate a muovere un solo passo o vi ammazzo! Pensate di poterla passare liscia? Ormai voi siete miei complici. L’avete dimenticato? Siete stati voi a trascinare Eiko fino a qui e a legarla. Siete colpevoli quanto me».

«Ti sbagli! Tu hai cercato di ucciderla con quell’anestetico. Noi non abbiamo fatto niente».

«Quanto siete ingenui. A chi pensate che crederanno i professori? A due reietti, due teppisti falliti come voi o a una studentessa onorevole come me? Per quale motivo pensate che abbia scelto proprio voi per questo lavoro?».

«Non ci credo… ci hai usati!».

«La colpa è solo vostra. Vi siete lasciati comprare dal mio denaro perché siete dei rifiuti».

Gli esseri umani sono tutti uguali. Finché credono di potersi salvare, sarebbero pronti a fare qualsiasi cosa. Sono deboli e facili da manipolare. Sono spazzatura. Ma è proprio per questo che è divertente tormentarli. Basta una parola per confonderli, per dare loro speranza o per distruggere quella stessa speranza. Alla fine si preoccupano solo di se stessi, perché è nella loro natura. Sono disgustosi ma è proprio la loro perversione, la loro ipocrisia a renderli interessanti. Visto che ne ho la possibilità, dovrei divertirmi un po’ con loro.

«Voi due. Si, voi ragazzi. Ho una proposta».

«U-Una proposta?».

«Il tuo nome è Satō, giusto?».

«Si»

«E tu, invece, sei Morikawa».

«E-Esatto».

«Da quel che vedo, vi trovate in una brutta situazione. Aizawa ha approfittato di voi senza farsi alcuno scrupolo e, da quando mi sono svegliata, non ha fatto che offendervi. Si è presa gioco di voi e vi ha coinvolti nel suo crimine. Se si venisse a sapere che cosa è successo in questa stanza, sareste soltanto voi a pagarne le conseguenze. Quello che ha detto Aizawa probabilmente è vero. I professori non vi crederebbero e vi consegnerebbero alla legge. Anche se siete minorenni, verreste ugualmente puniti  e condannati, mentre lei continuerebbe a venire a scuola come se nulla fosse. Nemmeno io trovo che sia giusto. In fondo la vostra unica colpa è stata cadere nel suo inganno».

«S-Si, è vero. È andata così. Noi non abbiamo fatto niente di male. Giusto, Satō?».

«Bhe… ti abbiamo legata al quella sedia, ma non avevamo intenzione di ucciderti veramente. Abbiamo accettato solo perché pensavamo che Aizawa volesse spaventarti un po’».

«Ma certo, lo so benissimo. Ecco perché non trovo giusto che siate voi ad essere puniti».

«Taci, sgualdrina! Ho capito cosa stai cercando di fare. Satō, Morikawa, non ascoltatela. Sta solo cercando di confondervi per salvarsi».

«E tu invece, Aizawa, cosa stavi cercando di fare? Non volevi forse usare questi due ragazzi e sacrificarli al tuo posto? Satō, Morikawa, pensateci bene. Che male vi ha fatto Eiko? Voi non avete nulla contro di lei, dico bene?».

«In effetti, prima di oggi non ti abbiamo mai rivolto la parola».

«Esatto. Quindi non avete alcun motivo per farle del male. Eiko è sicuramente una buona a nulla, ma non ferirebbe nessuno intenzionalmente. Non ne avrebbe il coraggio. La verità, ragazzi, è che siete stati trascinati nella vendetta di Aizawa. Nella sua gelosia. Siete anche voi delle vittime».

«Sta’ zitta, sgualdrina! Sei soltanto un rifiuto. Non meriti di vivere».

«Sgualdrina. Rifiuto. L’unica cosa che sai fare è offendere, ma posso capirti. Il vero motivo per cui odi così tanto Eiko è perché sei invidiosa. Perché sai di essere un’incapace. Per tutto questo tempo ti sei limitata a guardare Akashi da lontano perché non avevi il coraggio di avvicinarti a lui. Una buona a nulla come Eiko, invece, non solo gli ha rivolta la parola, ma è riuscita a conquistare la sua fiducia e la sua amicizia. E questo ti ha costretta ad ammettere la tua inferiorità».

«Che diavolo ne sai di me?! E comunque, se fossi in te non farei tanto la spaccona. Ti ricordo che sei sola e che io sono armata».

«Il coltellino? Si, l’ho visto, ma ti dirò una cosa: non avrai occasione di usare quella lama su di me. Ecco la mia proposta, ragazzi. A questo punto è evidente che Aizawa cercherà di scaricare il suo crimine su di voi, a meno che voi non le impediate di parlare».

«E come possiamo fare?».

«Uccidendola».

«Sei impazzito, Satō! Vuoi davvero ammazzarla?!».

«Perché no? Se non la mettiamo a tacere, prima o poi andrà dai professori e noi saremo accusati di un crimine che non abbiamo commesso».

«Ma se la uccidiamo, diventeremo davvero dei criminali!».

«Di questo non dovete preoccuparvi. In questa stanza ci siamo solo voi, Aizawa, e io. Ad essere sincera sono arrabbiata quanto voi e voglio vendicarmi. Aizawa stava progettando di uccidermi e non è giusto che la passi liscia. Se ci diamo una mano a vicenda, nessuno di noi si farà male. Nessuno a parte Aizawa, ovviamente. Voi fate ciò che ritenete giusto e io vi prometto che non una sola parola uscirà dalla mia bocca. Di me potete fidarvi. Sono dalla vostra parte».

«Non ascoltatela. È una bugiarda! Vi sta mentendo!!  Se mi aiuterete ad ucciderla, vi pagherò il doppio. No, il triplo».

«Sei davvero patetica. Stai ancora cercando di comprarli? Pensi davvero che questi due ragazzi siano così stupidi da cedere ancora alla tentazione del denaro?».

«Infatti. Aizawa, tu hai cercato di approfittarti di noi e se adesso ti lasciassimo andare ci tradiresti alla prima occasione. Se c’è qualcuno di cui non possiamo fidarci, quella sei tu».

«Sono d’accordo con Morikawa. Non possiamo rischiare che tu vada a denunciarci alla polizia. Va bene, Wadsworth. Se giuri di non parlare, ci occuperemo noi di sistemare Aizawa una volta per tutte».

«Sei sicuro, Satō?».

«Non abbiamo scelta, Morikawa. Se non la togliamo di mezzo adesso, saremo noi ad essere sacrificati».

«Il tuo amico ha ragione, Morikawa. Sareste solamente voi due a finire dietro le sbarre. Non preoccupatevi, avete la mia parola assoluta. E comunque io, a differenza di Aizawa, non avrei alcun motivo di fare la spia. Non mi gioverebbe a niente».

«Questo è vero… D’accordo. Non credo che ci siano problemi. Nessuno ci ha visti entrare qui. Se facciamo attenzione, nessuno verrà a saperlo».

«Non vi avvicinate o vi ammazzo!!! È tutta colpa tua, Eiko!».

«Non addossarmi colpe che non merito, Aizawa. Io ho semplicemente detto che avrebbero dovuto trovare un modo per non farti parlare. Li ho solamente incoraggiati a fare la cosa giusta. Ma sono stati loro a decidere quale fosse la cosa giusta da fare. Quella di toglierti di mezzo è stata una conclusione a cui sono giunti da soli».

«Proprio così, Aizawa. Questa ragazza non c’entra niente, non prendertela con lei. Anzi, se non fosse stato per le sue parole, sia io che Morikawa saremmo caduti nel tuo tranello».

«Idioti! Non capite che state facendo il suo gioco perverso?».

«Sei tu a non capire, Aizawa. Se non ti fermiamo, qualcun altro finirà col credere alle tue bugie. Come hai detto tu stessa, anche se andassimo a raccontare tutto ai professori, non ci crederebbero, ma solo perché fino a questo momento sei stata capace di nascondere la tua vera natura».

«Adesso che sappiamo chi sei veramente, non possiamo lasciarti andare. Tu non sei normale, Aizawa. Hai provato ad uccidere questa ragazza solo per gelosia! Hai dei problemi».

«Voi non siete migliori! Non appena vi è stata offerta una scappatoia, non avete esitato a rivoltarvi contro di me».

«Sei stata tu ad ingannarci per prima. Wadsworth ci ha soltanto aiutati ad aprire gli occhi. Morikawa, sbarra la porta!».

«Subito».

«Mi spiace che tu debba assistere alla scena, Wadsworth, ma non possiamo rischiare che Aizawa scappi».

«Oh non preoccupatevi per me. Aspetterò in quell’angolo che abbiate finito».

Si, aspetterò che abbiate finito di intrattenermi.

 

***

 

È durata meno di quanto sperassi. Devo però ammettere che Aizawa mi ha stupita: non credevo sarebbe riuscita a tenere testa a due ragazzi. Immagino che il suo spirito di sopravvivenza fosse più forte del suo odio verso quella buona a nulla di Eiko. In ogni caso, farò meglio a lasciare questo posto prima che arrivi qualcuno. Ah, già, devo pulire la mia divisa, non posso uscire così. Questa stanza ha tutta l’aria di essere un magazzino. Se guardo in giro forse troverò qualcosa per lavare via queste macchie.

«Eiko! Dove sei?!».

Accidenti. Mi hanno già trovata? E va bene, cambio di programma.

«Sono qui! Aiutatemi!».

«Eiko! Satsuki, presto, chiama gli altri! L’ho trovata! Va tutto, bene amica mia, non preoccuparti».

Questa ragazza deve essere Mayumi. Per ora mi fingerò quella buona a nulla di Eiko. Meglio non aggravare la situazione.

«Ma-yumi?».

«Si, Eiko, sono io. Sono qui. Che cosa ti è successo? Sei ferita?».

«Mayumi, dov’è Eiko!».

«Satsuki! E’ qui, ma credo che sia ferita».

«Eiko! Eiko, sono io, Satsuki. Mi riconosci?».

«Sa-tsuki. Non preoccuparti, sto bene»

«Satsuki, guarda. Questo non è…sangue? Oh mio Dio, Eiko! Dobbiamo portarti subito all’ospedale!».

«Mayumi, no. Sto bene, davvero. Questo non è il mio sangue. Piuttosto, dobbiamo pensare a loro».

«Mayumi, c’è qualcuno laggiù. Aizawa? Cosa ci fa qui? Ci sono anche due ragazzi. Sembrano tutti in condizioni gravi. Dobbiamo avvertire i custodi della scuola e chiamare un’ambulanza».

«Eiko, cos’è successo qui?».

«Ve lo spiego dopo. Per adesso occupiamoci di Aizawa e degli altri».

«Aspetta, non alzarti».

«Te l’ho detto, Mayumi, io sto bene. Non devi preoccuparti».

«Stai tremando come una foglia. Come puoi stare bene?».

«Sono solo scioccata, tutto qui».

«Ragazze, abbiamo avvertito i custodi. Dov’è Eiko-cchi?».

«Sono qui, Kise, e come vedi sto bene».

Uff. Recitare la parte di quella buona a nulla è sfiancante. Quante volte ancora dovrò ripetere che sto bene? E perché diamine continua ad arrivare gente?

«Oh, Akashi-cchi.  Per fortuna Eiko sta bene, non preoccuparti. Eiko-cchi, il capitano era davvero in pensiero per te. Non appena si è accorto che eri sparita si è messo subito alla tua ricerca».

«Davvero? Beh, immagino di doverti ringraziare allora».

«Stai davvero bene? Mi dispiace. È tutta colpa mia».

          Almeno ne sei consapevole. Se avessi mostrato la tua vera natura, ora non mi troverei in questo casino. Ma forse, non mi troverei nemmeno qui. A pensarci bene, è anche merito tuo se sono riuscita a liberarmi.

          «Ho avvertito Arthur».

Che cosa hai fatto?! Ritiro quello che ho appena detto. Sei un idiota! Come hai potuto chiamare Arthur? È l’ultima persona che voglio incontrare in questo momento. Accidenti, se adesso mi vede, rischia di far saltare la mia copertura. Non penso di poterlo convincere con la mia recitazione. Quel ragazzo è troppo sveglio. Non mi è mai piaciuto. Aspetta. Magari mi sto preoccupando inutilmente. Arthur farebbe qualunque cosa per proteggere quella buona a nulla di Eiko perciò, anche se dovesse riconoscermi, sono piuttosto certa che terrebbe la bocca chiusa. Penserò ad Arthur quando arriverà, per ora voglio solo uscire da questa stanza.

«Mayumi, accompagnami fuori».

«Certo, Eiko. Hai bisogno di calmarti. Meglio uscire di qui».

Non vedo l’ora di tornare a casa. Ma come diavolo faccio a liberami di questi parassiti? Mayumi non mi molla un attimo. Quella Satsuki, poi, continua a piangere come se avessero pestato lei, invece di Aizawa. Per non parlare di Akashi. Da quando è arrivato non mi ha tolto gli occhi di dosso. In questo momento il senso di colpa lo starà consumando – in fondo aveva promesso di proteggere quella buona a nulla di Eiko – ma io non sono lei, anche se abbiamo la stessa faccia. Se non la pianta di fissarmi con quello sguardo da fallito, giuro che lo prendo a pugni. So benissimo che anche la tua è solo una farsa. Io e te, in fondo, siamo uguali.

«Signorina Eiko».

È già arrivato? Mah, suppongo di dovermi ritenere fortunata. Se gioco bene le mie carte, potrò lasciare questo posto e andare a casa. Pensa…Pensa…Cosa direbbe ora quella buona a nulla di Eiko? Si, questo potrebbe andare.

«Arthur, mi dispiace. Mi dispiace tanto. Non volevo che accadesse tutto questo».

«L’importante è che lei stia bene».

«Si, sto bene, ma quei ragazzi…».

Oh, ti prego, fa’ che se la sia bevuta. Se sarò costretta a dire ancora una volta che sto bene, vomiterò.

«La porterò ugualmente in ospedale, per essere sicuri. Dovrò avvisare anche la sua famiglia».

Tanto prima o poi devo incontrarli. Meglio togliersi subito il pensiero. In fondo da adesso in poi trascorreremo un sacco di tempo insieme.

«Non mi guardi così. Le avevo detto che avrei coinvolto i suoi genitori se le fosse accaduto qualcosa».

«Ma non mi è successo niente. Sto benissimo».

«Questo saranno i medici a stabilirlo».

Lo ripeto: questo ragazzo non mi piace. È più testardo di un mulo. Ma non è ancora il momento giusto. Per adesso devo comportarmi come farebbe la vera Eiko.

«Inoltre, signorina, dovrà prepararsi a testimoniare».

Non l’ho dimenticato. In realtà, ho già pensato ai dettagli della storia che racconterò alla polizia. Una promessa è una promessa. Ho dato la mia parola a quei due che non li avrei traditi e ho intenzione di mantenerla. Dopotutto, non mi interessano i piccoli rifiuti. Incriminare i due ragazzi sarebbe un finale troppo scontato.

 

***

 

Ho continuato a rispondere alle domande della polizia per due ore: sono esausta. Mayumi e tutti gli altri sono tornati a casa dopo avere avuto conferma che stessi davvero bene. Solo Akashi ha insistito per restare e coprire le spese mediche. Non so a quanti esami ho dovuto sottopormi prima che Tatsuo potesse ritenersi soddisfatto. Non ha impiegato molto a raggiungere l’ospedale dopo aver ricevuto la chiamata di Arthur.

«Lascia, ti aiuto io».

«Ti ho detto che non c’è n’è bisogno. Posso benissimo mettermi le scarpe da sola».

Non importa quante volta lo ripeta: Tatsuo non mi lascerà in pace fino a quando non saremo a casa. Che seccatura. Fra tutti i membri della famiglia, lui è di sicuro il più fastidioso. Ma ora come ora vorrei che Akashi, più di chiunque altro, si levasse dai piedi e tornasse a casa.

«Ti restituirò i soldi che hai anticipato per coprire le cure di Eiko».

«Non è necessario. È il minimo che potessi fare. Dopotutto, è colpa mia se Eiko è stata aggredita. Qualunque cosa faccia, non sarà abbastanza per farmi perdonare».

Ecco che si inchina di nuovo. Quante volte lo avrà già fatto? Dieci? Venti? Ormai ho perso il conto. Se non altro la polizia ha subito creduto al mio racconto, quindi, almeno un problema sembra risolto. Pare che le condizioni di Aizawa fossero critiche: al momento si trova in coma. Alcuni medici hanno detto che anche se dovesse svegliarsi, ci sono pochissime probabilità che ricordi cosa le è accaduto. L’ultimo colpo alla testa che le ha inflitto Satō ha sicuramente giocato un ruolo importante. Le tracce di anestetico che hanno trovato nel mio sangue, infine, sono servite a rendere più credibile la mia storia. Ovviamente la scuola ha deciso coprire la faccenda: solo i due custodi e il direttore sono a conoscenza dei dettagli. Dettagli che, tra l’altro, io stessa ho fornito loro. Quanto a Satō e Morikawa, ho sentito che sconteranno una pena ridotta non appena saranno dimessi dall’ospedale. Ovviamente devono ringraziare me: secondo la versione che ho rilasciato alla polizia, hanno agito solo per fermare Aizawa. In poche parole, mi hanno salvato la vita.

Tatsuo ha appena finito di parlare con il dottore che mi ha esaminata.

«Sorellina, possiamo tornare a casa».

«Finalmente. Te l’ho detto che non avevo nulla».

«La sicurezza non è mai troppa. Ah, assicurati di ringraziare Akashi appena entra».

«È ancora qui?! Che diavolo ci fa ancora qui?».

Accidenti! Sono stata troppo diretta. Spero di non aver insospettito Tatsuo.

«Mi ha raccontato delle lettere».

Perfetto. Altre seccature.

«È molto preoccupato per te. Vi lascio qualche minuto per parlare».

E cosa dovrei dirgli? Ma perché non può semplicemente andarsene a casa?

Non appena Tatsuo lascia la stanza, Akashi prende il suo posto. Il suo busto si piega subito in avanti in un profondissimo inchino.

«Perdonami, Eiko. Perdonami».

«Ti ho detto che non devi scusarti. Non è stata colpa tua».

«Avrei dovuto proteggerti, come avevo promesso».

Patetico. Il vero Akashi non si abbasserebbe mai ad implorare perdono in questo modo, ma soprattutto non ammetterebbe mai di aver fallito. Anche se non ci siamo mai incontrati di persona fino ad oggi, io l’ho sentito. Mentre ero prigioniera, ho avvertito una presenza agitarsi dentro questo ragazzo. L’ho capito immediatamente: Akashi è come Eiko. È debole. È codardo. Sta mentendo. Ma io l’ho sentito. Ho sentito il vero Akashi. L’ho sentito urlare, proprio come me. Anche lui è un prigioniero. Anche lui sta lottando. Forse è per questo che trovo la presenza di Akashi particolarmente fastidiosa: siamo troppo simili e per questo non andremo mai d’accordo. Visto che siamo soli, farò meglio a mettere le cose in chiaro.

«Basta così, Akashi. È inutile che continui a scusarti. Non so perché ti rifiuti di andare a casa ma lascia che ti dica una cosa: non so che farmene delle tue scuse. Se avevi il tempo di pensare a come giustificarti per la tua incapacità, avresti dovuto usarlo per mantenere la tua promessa. In tutta onestà, ti trovo insopportabile, ma se proprio vuoi il mio perdono, porta la tua odiosa faccia da qualche altra parte, in modo che non possa vederla. Il solo averti di fronte a me mi nausea. E tu saresti il rampollo della famiglia Akashi? Non capisco come quella buona a nulla di Eiko ci tenesse così tanto ad essere tua amica. Forse perché, dopotutto, siete della stessa pasta. Ma io non sono disperata quanto lei. Noi due non saremo mai amici e presto lo capirai anche tu. Invece di preoccuparti degli altri, dovresti pensare a te, se non vuoi rischiare che il tuo tempo venga rubato da qualcun altro. Dimenticati di Eiko: lei non tornerà. Ma soprattutto, stai alla larga da me».

Esatto. Ogni volta che Akashi è nei paraggi, sento come se la mia energia venisse prosciugata. Questo ragazzo è come un buco nero che tenta di risucchiarmi nel suo vortice. Se gli resto troppo vicino, potrei sparire di nuovo. Devo lasciare subito questa stanza. Ne approfitterò mentre è ancora sconvolto. Tatsuo e Arthur dovrebbero essere qui fuori.

Cosa mi succede all’improvviso? Cos’è questa terribile sensazione? Mi sento…debole? Io? È come se tutte le mie forze venissero prosciugate. Prosciugate? Non dirmi che…?

«Cosa diavolo pensi di fare?! Lasciami subito!!».

«Hai detto quello che volevi e credi potertene andare via come se nulla fosse?».

Lo sapevo. Questo è il vero Akashi. Sta di nuovo cercando di prendere il comando. Ricordo quello sguardo. È lo stesso che ha mostrato ad Eiko quella sera, a casa sua. Le mie parole devono averlo provocato. Per ora sono ancora io la più forte. Non ho alcuna intenzione di farmi sopraffare.

«Se non mi lasci immediatamente, mi metto ad urlare. Tatsuo e Arthur sono proprio dietro questa porta. Pensi di poter tenere testa ad entrambi?».

«Se è così, tutto quello che devo fare è impedirti di parlare».

Dannazione. Se adesso mi tappa la bocca con la mano stabilirà un contatto più forte con me. Non ho alcuna intenzione di tornare in quella prigione.

«Levati…di mezzo!».

Bene, sono riuscita ad allontanarlo con un calcio. Mi basta aprire la porta e sarò al sicuro. Eh? No! Non è possibile! Non deve succedere!! Non voglio sparire di nuovo. Non è giusto! Maledetto Akashi! Che tu sia dannato!!

«Eiko! Sorellina che cos’hai?».

Ta…tsuo…Sto perdendo il controllo di questo corpo. I miei occhi sono pesanti. Non riesco a muovere nemmeno un muscolo. Sta diventando…tutto…buio. Non voglio…non…voglio…sparire.

 

***

 

«Eiko! Mi senti? Ti prego, svegliati!».

«Signorina Eiko!».

Arthur. E…Tatsuo? Perché Tatsuo è qui? Dove sono? Sono di nuovo svenuta? Non ricordo niente.

«Sorellina, sono io. Mi riconosci?».

«Tatsuo…che cosa è successo?».

«Grazie al cielo hai aperto gli occhi», Tatsuo mi attira a sé, stringendomi fra le sue braccia. Con l’orecchio appoggiato al suo petto, sento il suo cuore battere: sembra piuttosto agitato. I miei occhi catturano quindi l’immagine di Arthur, appena dietro di lui: l’espressione rammaricata e sollevata allo stesso tempo.

«Come ti senti?».

Conosco questa voce. Con le mani allontano lievemente mio fratello per sciogliermi dal suo abbraccio abbastanza da poter ruotare il corpo.

«Akashi, sei tu?».

Il ragazzo annuisce, mentre i suoi occhi di rubini luccicano come gemme bagnate dalla rugiada. Le sue labbra si dischiudo articolando un’unica parola muta: «Perdonami». Quindi, dopo aver rivolto il proprio saluto a mio fratello, si allontana per non tornare più. Confusa e stordita, cerco ancora una volta le attenzioni di Tatsuo.

«Mi dici che cosa è successo? Perché sono in ospedale? Perché Akashi era qui? Ma, soprattutto, perché tu sei qui?».

«Una domanda alla volta, sorellina. Prima di tutto assicuriamoci che tu stia bene».

Senza manifestare il minimo sforzo, Tatsuo mi solleva dal pavimento, come un fiero principe giunto a soccorrere la principessa in pericolo, e mi adagia dolcemente sul letto. Quindi preme il pulsante dietro il cuscino e subito un’infermiera compare nella stanza. Pochi attimi dopo, un uomo in camice bianco e stetoscopio al collo inizia ad esaminarmi con  molta attenzione.

«Non c’è nulla di cui preoccuparsi. Lo svenimento è con ogni probabilità una conseguenza dello shock. Ci vorrà qualche giorno prima che il suo inconscio riesca a “digerire” questa esperienza, ma non è nulla di allarmante».

L’uomo in camice bianco si allontana da me per rassicurare Tatsuo. Infine il colore torna sul volto insolitamente pallido di mio fratello, mentre il dottore conferma la mia dimissione e il permesso di lasciare l’ospedale. Prima di metterci in macchina, Tatsuo  insiste per guidare, dopodiché non apre più bocca fino a casa.

 

***

 

L’atmosfera che ha dominato l’intero viaggio era talmente pensate che quasi avevo paura di respirare. Non ho mai visto mio fratello così. Per la prima volta in tutta la mia vita mi sono sentita a disagio vicina a lui. Di tanto in tanto spiavo il suo volto attraverso lo specchietto dell’auto: i suoi occhi, fissi sulla strada notturna, erano freddi, rabbiosi, irriconoscibili. Senza rendermene conto, mi sono ritrovata a tremare più volte. Non avrei mai pensato che Tatsuo potesse emanare un’aura tanto spaventosa. Ho visto le sue dita stringersi attorno al volante con una violenza tale da cancellare qualunque traccia di colore sulla pelle.

Ancora una volta non ho fatto che causare problemi alle persone a cui tengo. È solo colpa mia se Tatsuo ha mostrato questo lato di sé. La mia incoscienza ha turbato la serenità della mia famiglia, privandoli del sonno, testando crudelmente il loro autocontrollo. Il ricordo dei loro occhi sconvolti; il viso sciupato, provato dalla disperazione, di mia madre dopo avere ascoltato il racconto di Arthur, la sua confessione su Aizawa, sulle lettere minatorie, sul mio rapimento. L’avvilimento di mio padre per non essere riuscito a proteggere la più piccola dei suoi figli e il senso di fallimento. Il dispiacere nello sguardo di Shizuka e Naoko per il mio silenzio, per essermi rifiutata fino all’ultimo di chiedere il loro aiuto. La sfiducia, causata dal mio tradimento, che ha ammutolito Haruka; la rabbia che ha spinto Yoichi a meditare vendetta; la tristezza che ha scatenato il pianto di zia Azumi e di Mikio. Ma ciò che,  più di ogni altra cosa, mi ha fatto realizzare la gravità delle mie azioni è stata l’indifferenza di Tatsuo. Una volta tornati a casa, è salito in camera sua senza degnarmi di uno sguardo, senza rivolgermi una sola parola.

Come ho potuto ripagare l’amore della mia famiglia con una simile crudeltà? Sono una persona orribile. E quel che è peggio, è che non ricordo assolutamente nulla di quello che è successo. Nella mia memoria c’è un enorme vuoto che non riesco a colmare in alcun modo. Non solo, da quando ho ripreso i sensi in ospedale, avverto qualcosa di diverso dentro di me, qualcosa che prima non esisteva e che adesso sembra aver lasciato una macchia indelebile sulla mia coscienza, prima di sparire. Nonostante sia nel mio letto, tra le mura che conosco, le mie mani non cessano di tremare. Sulla mia pelle è rimasto un odore nauseante, di ruggine. L’unico indizio che ho, è un alone brunastro sul polpastrello del mio indice. Terra? Ruggine? Polvere? Cosa mai avrà lasciato questa macchia sul mio dito? Ho implorato Arthur più volte, ma non ha voluto dirmi nulla. L’unica risposta a cui riesco a pensare è che abbia ricevuto ordine da mio padre di mantenere il silenzio. Ma perché? Cos’è che non vogliono dirmi? È inutile rimanere a letto, non riuscirò comunque ad addormentarmi.

L’orologio sul comodino segna le 02:38. È notte fonda. Dovrebbero ormai dormire tutti a quest’ora. Prendo con me il cellulare. Nonostante sia buio pesto, la villa non mi spaventa. Questo è il luogo in cui sono cresciuta, in cui sono stata amata, il luogo in cui mi sono rifugiata trovando protezione.

Discendo l’elegante scalinata, illuminata in parte dal bagliore argenteo della luna che mi osserva dall’immensa vetrata dell’atrio. Mi soffermo qualche istante a contemplarla. Durante la mia infanzia, ricordo una volta di essere sgattaiolata dalla mia camera per correre in giardino, nel cuore della notte. Era la prima volta che vedevo la luna piena. Sono rimasta a guardarla fino all’arrivo di Naoko. Mi aveva cercata per tutta la tenuta, preoccupata, ma, una volta trovatami, mi ha abbracciata e mi ha sorriso con tenerezza. Allora io ho puntato il dito verso il cielo, indicando la luna e lei ha steso una coperta sul prato facendomi sedere sulle sue ginocchia. Insieme abbiamo iniziato a fantasticare sui buffi e bizzarri abitanti della luna, su come sarebbe stato bello poter volare fin laggiù per incontrarli e stringere con loro amicizia. Poi mi sono addormentata e nei miei sogni ho incontrato delle piccole creature dalla pelle d’argento, gli occhi di diamanti e i capelli di neve e con loro ho giocato fino al sorgere del sole.

Prima di oggi, non avevo mai visto il volto di Naoko senza sorriso. Sono stata io a rubarglielo; a soffocare la gioia di questa casa con la mia sconsideratezza. Riuscirò mai a farmi perdonare?

Abbasso lo sguardo, lasciandomi la luna alle spalle, e mi incammino verso la cucina per preparami una tisana che possa concedermi il sonno. Rovisto nella credenza, cercando una tazza, mentre l’acqua inizia a bollire. Mi siedo nella penombra e osservo il filtro colorare lentamente l’acqua. Inspiro profondamente, catturando l’aroma delle erbe,  e la tensione nelle mie spalle si scioglie, liberando i miei sensi. Quando infine porto la tazza alle labbra per bere, un brusio indistinto cattura la mia attenzione, mettendomi in allerta.

A quest’ora dovrebbero essere tutti a letto. Eppure mi sembra di udire delle voci provenire dal salone. Ladri? In questa casa? Non è possibile, il sistema di sicurezza che mio padre ha fatto installare è tra i più sofisticati e affidabili che il mercato di oggi possa offrire. Questo può voler dire una sola cosa: c’è ancora qualcuno sveglio.

Un po’ a malincuore, lascio la tisana ancora calda sul bancone e inizio a seguire le voci. Mentre avanzo i suoni diventano sempre più chiari e riconoscibili fino a quando raggiungo il salone. Un velo di luce filtra tra le fessure della porta appena socchiusa. Mi avvicino e dischiuso un’anta quel tanto che basta per sbirciare all’interno.

«Ti ripeto che è una pessima idea!».

L’esclamazione improvvisa mi fa sussultare, ma riconosco la voce: Haruka. Mi sporgo, cercando di allargare il mio campo visivo. Seduto accanto ad Haruka, Yoichi gesticola animatamente contro di lei. Sembra che stiano litigando.

«Calmatevi, adesso», Naoko interviene ad interrompere la lite. «È un problema che prima o poi avremmo dovuto affrontare, ma l’unica cosa a cui dovremmo pensare adesso è prendere la decisione migliore».

«È esattamente quello che sto cercando di fare», Haruka torna a sedersi senza reprimere uno sbuffo annoiato.

Di cosa stanno parlando così animatamente? La mia famiglia si riunisce spesso per discutere di questioni importanti. Mio padre dice sempre che è fondamentale, per i membri della famiglia, esprimere la propria opinione; che le questioni famigliari devono essere discusse tutti insieme. Allora perché io sono l’unica a non essere stata avvisata?

«Personalmente, sono d’accordo con Yoichi», Naoko riprende la parola, rivolgendosi all’intera assemblea.

«Infatti. Eiko ha il diritto di sapere».

Io? Stanno parlando di me? Che cos’è questa storia?

«Comprendo il tuo punto di vista, ma come credi reagirebbe se scoprisse la verità?», adesso è Seiichi a parlare. La sua figura elegante e dignitosa non si scompone neppure di fronte all’irruenza di Yochi. «Eiko ha un animo estremamente sensibile, che la porterebbe a coltivare dentro di sé il senso di colpa. Col trascorrere dei giorni e degli anni, l’amore che prova per ognuno di noi la indurrebbe ad allontanarsi, a chiudere per sempre le porte del suo cuore».

«E come si sentirebbe, invece, se un giorno scoprisse che la sua famiglia le ha mentito per tutto questo tempo?».

«Non è corretto affermare che le abbiamo mentito».

«Mantenere il silenzio è come mentire».

«La fiamma della rabbia non si è ancora estinta. Se continuiamo ad ignorarla si vendicherà», Mikio si intromette nella discussione. Le sue parole criptiche sono accompagnate, come al solito, da un’atmosfera di mistero. È come se stesse annunciando l’avvicinarsi di una terribile maledizione.

«Mikio, ha ragione. Dobbiamo prendere la situazione di petto. Questo significa che dovremo raccontare la verità ad Eiko. Deve sapere dell’esistenza di quella ragazza».

Di chi stanno parlando? Chi è questa ragazza? È forse qualcuno che conosco?

«Mi dispiace, Lydia, ma non sono d’accordo».

Non credo di aver mai visto zia Azumi così infuriata. Il modo in cui sta guardando mia madre mi è del tutto sconosciuto. Non pensavo fosse in grado di mostrare una simile espressione.

«Mettere Eiko al corrente della situazione significa accettare l’esistenza di quella ragazza, darle una possibilità per farsi ascoltare da tutti noi. Se le facciamo capire che ha qualche speranza di prendere il posto di Eiko, finirà col non volersene più andare».

Prendere il mio posto? Che cosa sta succedendo? E chi è questa persona che continuano a menzionare?

«Akihiko, di’ qualcosa anche tu», zia Azumi si rivolge ora a mio padre. L’opinione del capo dell’assemblea è sempre tenuta in grande considerazione da tutti. In fondo, mio padre è un uomo molto saggio.

           Il suo capo si solleva lentamente e i suoi occhi iniziano a scorrere sui membri della famiglia, per fermarsi infine su Tatsuo.

          «Tu cosa pensi? Non hai ancora espresso la tua opinione, ma ci terrei particolarmente a conoscere il tuo parere».

          Le palpebre di Tatsuo si allargano per un attimo. Durante tutta la riunione non ha provato minimamente ad inserirsi nella disputa. Al contrario, è rimasto in disparte, in piedi, appoggiato alla parete con lo sguardo sul pavimento di marmo. Non è da lui essere così silenzioso. Che sia ancora arrabbiato per colpa mia?

          «Io…credo che non spetti a noi prendere una decisione».

          La voce di Tatsuo è così flebile, svigorita. Le sue pupille spente sembrano guardare a una dimensione lontana, inaccessibile a chiunque altro. Persino la sua risposta sembra distaccarsi dal resto della famiglia.

          «È esattamente quello che penso anch’io», dichiara subito dopo mio padre, distendendo le labbra in un sorriso di approvazione. «Eiko è ormai abbastanza grande da poter fare la sua scelta da sola. Il nostro unico dovere è sostenerla, qualunque strada deciderà di percorrere».

          Haruka trattiene un commento di dissenso fra i denti mentre Yoichi si limita a schioccare la lingua, rassegnato. Mikio e Shizuka annuiscono silenziosamente rivolgendo poi lo sguardo a Naoko e Seiichi che, a loro volta, si dimostrano ben disposti ad accettare la proposta del capofamiglia. Infine anche mia madre concede il proprio consenso rivolgendo uno sguardo di gratitudine verso mio padre.

«Sei davvero convinto che sia la soluzione migliore?».

La voce di zia Azumi tradisce apprensione ma i suoi occhi sono pronti a seguire il volere generale dell’assemblea.

«Dal momento che siamo giunti a una decisione unanime, resta solo una cosa di cui occuparsi. Arthur».

Arthur? Anche lui è qui? Non che la notizia mi sorprenda. Dal momento che è considerato da tutti noi un membro ufficiale della famiglia, non è la prima volta che viene invitato a prendere parte a queste riunioni.

Non appena mio padre pronuncia il suo nome, abbandona la sua posizione e dal fondo della sala si avvicina al resto dell’assemblea. Con un inchino di formalità, accoglie la richiesta di mio padre.

«Ho un favore da chiederti, ma prima, alza la testa. Tu sei un membro di questa famiglia. Dimentica le formalità per un momento».

Arthur solleva il capo, ubbidendo a quello che sicuramente ha interpretato come un ordine. Ovviamente, nelle parole di mio padre vi era soltanto l’affetto di un genitore.

«Tutti noi abbiamo un’immensa fiducia in te ed è per questo che ritengo che tu sia la persona più adatta all’incarico».

«Mi sta sopravvalutando, signore».

«Affatto. Se così non fosse, non ti avrei invitato a prendere parte a questa riunione. Ascolta, figliolo: se Eiko deciderà di conoscere la verità avrà bisogno di qualcuno che la assista e che la guidi. Qualcuno che possa essere al suo fianco durante tutto il giorno. Ma soprattutto qualcuno che sappia comunicare con lei. Di tutti noi, tu sei colui con cui quella persona ha interagito di più. A differenza nostra, non sei un estraneo e gli avvenimenti di questa sera ne sono una conferma».

«Se mi permette, non penso di meritare tanta fiducia».

«Arthur», con grande sorpresa del ragazzo, mia madre prende il suo volto tra le mani. «Sei come un figlio per noi e hai già ripagato il tuo debito il giorno in cui ti sei presentato ai cancelli di questa tenuta. Il solo vederti ha riempito il mio cuore di una gioia che non potresti mai immaginare e l’unico motivo per cui ti abbiamo assunto come dipendente di questa famiglia è perché abbiamo creduto di dovere onorare la tua dignità di uomo. Potresti esprimere il desiderio di lasciare il tuo lavoro in qualsiasi momento e tutti noi ti accoglieremmo a braccia aperte. Ma se non ti senti ancora pronto ad accettarci quale tua famiglia, concedici almeno una piccola richiesta. So bene quanto tu sia affezionato ad Eiko perciò potresti, da adesso in poi, pensare a lei semplicemente come alla tua sorellina e prendertene cura?».

All’improvviso la scena davanti ai miei occhi inizia a sfocare. Calde e silenziose lacrime bagnano le mie guance al pensiero di poter finalmente vedere realizzato il mio più grande desiderio. L’onestà di mia madre, la sincerità dei suoi sentimenti potrebbero infine convincere Arthur a considerare tutti noi come parte della sua famiglia. Questa sola speranza è sufficiente a farmi dimenticare il vero motivo della riunione. Assicurandomi di non fare rumore, chiudo la porta per fare ritorno in camera mia. Non appena mi infilo nel letto, le ombre della notte calano sui miei occhi, trascinandomi in un sonno profondo.

 

°°°

Nota d’Autrice: Buona domenica a tutti! Vi porto un nuovo capitolo. Come forse avrete capito, la prima personalità di Eiko ha finalmente fatto la sua comparsa. Con l’introduzione di questa co-protagonista anche lo stile di scrittura è cambiato. Ho infatti dato molto più spazio ai pensieri interiori e ai dialoghi piuttosto che alle descrizioni.

Come sempre vi ringrazio per il tempo che mi dedicate leggendo queste pagine e spero di leggere presto le vostre impressioni. Un abbraccio.

 

Lady L.

^^

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Capitolo 22
*** Tu non sei un mostro ***


Capitolo 11

Tu non sei un mostro”

 

 

 

 

 L’indomani mattina, mentre siamo tutti a tavola per consumare la colazione, mio padre annuncia che non dovrò prepararmi per andare a scuola.

«Ma oggi non è giorno di festa», gli ricordo, pensando che forse possa aver fatto confusione con le date.

«Lo so, piccola mia, ma è comunque un giorno speciale e vorrei che lo trascorressimo insieme».

Incerta su cosa rispondere, mi guardo attorno, chiedendo spiegazioni con lo sguardo. Naoko mi sorride, come a volermi dire di non preoccuparmi. I miei cugini mi rivolgono a turno breve occhiate, senza tuttavia parlare. Quando infine mi volto verso Tatsuo, rimane con il capo chino, ignorandomi completamente. D’istinto apro la bocca per chiamarlo e attirare così la sua attenzione, ma un secondo pensiero mi convince a fermarmi e a rinunciare. È da ieri sera che non sento la sua voce. Di solito, tutte le mattine irrompe nella mia stanza, svegliandomi con la sua allegria, spolverando le prime ore della mia giornata con il suo contagioso buon umore. Oggi, invece, non si è presentato alla mia porta, nonostante mi sia trattenuta in stanza, aspettando il suo arrivo. So che è arrabbiato con me e il motivo per cui non ho voluto raccontare a nessuno di Aizawa era perché non volevo che si preoccupassero. Volevo solo dimostrare di non essere un peso, di potermela cavare da sola. Invece ho provato, ancora una volta, di essere un’incapace e una presuntuosa. Non solo ho fatto preoccupare tutti quanti, ma ho fatto credere loro, con il mio comportamento, di non avere fiducia nell’amore che provano per me. È normale che Tatsuo non voglia vedermi: al suo posto, anche io mi sentirei tradita.

«Io ho finito», senza aggiungere altro, mio fratello si alza da tavola. Pochi minuti dopo, il portone nell’atrio si apre e un’eco di passi sfuma rapidamente al di fuori della residenza.  

Rattristata e in colpa, fisso la coppa azzurra davanti a me, senza alcuna desiderio di continuare a mangiare. Oggi, più che mai, vorrei salire in camera, finire di prepararmi e correre a scuola, invece rimango seduta, senza sapere cosa fare.

«Va tutto bene, Eiko».

Impietosita dal mio stato d’animo, Naoko prova a consolarmi. Non volendo darle altro pensiero, riprendo la mia colazione in silenzio.

 

***

Poco per volta tutti quanti lasciano casa per dirigersi a scuola, all’università o al lavoro. Soltanto mio padre, come promesso, rimane alla villa. Prima di separarci al termine della colazione, ha detto che mi avrebbe aspettata nel giardino delle rose. Oggi il sole è caldo e luminoso, ideale per una passeggiata. Mentre mi lavo i denti, non posso fare a meno di chiedermi a cosa stesse pensando nel momento in cui si è incamminato verso il parco della tenuta. Non mi sarei mai aspettata che mi incoraggiasse a saltare la scuola solo per passare del tempo insieme. Ovviamente non posso dirmene dispiaciuta, ma continuo a credere che debba esserci un’altra ragione dietro il suo improvviso invito.

Raggiungo il parco con il cuore in trepidazione. Intorno a me è una festa di colori e di profumi, ma le corolle arancioni delle rose coltivate da mia madre conquistano presto il mio sguardo. I miei occhi si posano sull’uomo che, seduto placidamente sulla panchina di pietra bianca, le contempla ora con amore. Mi avvicino e, senza disturbarlo, prendo posto accanto a lui.

«Il giorno in cui tua madre decise di piantare queste rose, tu avevi tre anni».

Mio padre inizia la sua storia, sorridendo con nostalgia a un passato del quale io non possiedo alcuna memoria. I ricordi che ancora conservo della mia infanzia sono frammentari e non sempre nitidi. Per la maggior parte, si tratta più che altro di racconti condivisi e tramandati dai miei genitori o dai miei fratelli. Stranamente, però, non sono mai stata curiosa al riguardo, non ho mai mostrato un reale desiderio di conoscere i primi anni della mia vita. Dentro di me, al contrario, ho sempre percepito quel capitolo della mia esistenza come estraneo. Per quanto mi riguarda, la mia storia è iniziata dieci anni fa. I quattro anni che precedono questa data non sono altro per me se non carte scritte da una mano sconosciuta, da un’anima indipendente. Questo è quello che ho sempre creduto ogni volta che provavo a sfogliare quelle pagine scritte in una calligrafia che non riconoscevo, intrise di eventi di cui non ero io la protagonista.

«Quel giorno ha cambiato le vite di tutti noi», mio padre continua a parlare, senza distogliere lo sguardo dai giardini in fiore, «e adesso potrebbe cambiare anche la tua, se è ciò che vorrai».

Finalmente il suo viso ruota verso di me e il mio cuore sussulta per un attimo. E’ la prima volta che tra noi due viene a crearsi un’atmosfera tanto grave. In passato mi è già capitato di affrontare conversazioni importanti con mio padre, ma oggi l’espressione nei suoi occhi è decisamente più intensa. Le sue parole sono ben studiate – me ne sono accorta dalle brevi ma frequenti pause che ha inserito tra l’una e l’altra. Probabilmente non vuole condizionarmi dicendo qualcosa che possa alla fine influenzare la mia decisione. Tutta questa formalità, questa cautela nel parlarmi mi impensieriscono. È come se mio padre volesse farmi credere che dalla mia scelta dipenderà tutto il mio futuro.

«Hai detto che solo io posso scegliere», mi rivolgo infine a lui, desiderosa di comprendere, «ma cosa dovrei scegliere esattamente? Quali sono le opzioni?».

«Prima di rispondere alla tua domanda, lascia che ti chieda una cosa», domanda lui, valutando attentamente la mia reazione. «Non hai notato nulla di strano in queste ultime settimane? Nulla di diverso?».

Sorpresa dalle sue parole, inizio a riflettere. Ad essere onesta, mi stanno accadendo molte cose a cui non riesco a dare una spiegazione, ma una in particolare mi preoccupa.

«In effetti, c’è qualcosa di cui vorrei parlare», rispondo quindi, confidando nella saggezza di  mio padre. «Dopo quello che è successo ieri, ho come l’impressione che tutti stiano cercando di evitarmi, quasi avessero paura di rivolgermi anche solo uno sguardo, soprattutto Tatsuo. So che è arrabbiato con me perché ho agito da sconsiderata e capisco che non voglia vedermi, ma vorrei avere una possibilità per chiedergli scusa e farmi perdonare». Gli occhi di mio padre si allargano, sbalorditi. Forse non ero questo che si aspettava di sentire ma, dal momento che ne ho l’opportunità, preferisco chiedere il suo aiuto. «Il problema, però, è che non saprei da dove iniziare a scusarmi. La verità è che non ricordo nulla. Cosa è accaduto dopo che sono svenuta? Come sono finita in ospedale? Cos’è successo ad Aizawa e a quei due ragazzi che erano con lei? Perché…perché sui miei vestiti…c’erano tracce di…sangue?», la sola parola mi fa rabbrividire, ma riesco ugualmente a pronunciarla. «Certo, Arthur mi ha raccontato, eppure continuo a non ricordare. Se dovessi rispondere alla tua domanda, papà, allora direi che ultimamente ci sono un’infinità di cose strane che mi stanno accadendo e che non riesco a spiegarmi. L’ultima cosa che ricordo è che ieri sera, dopo essere stata avvicinata da Aizawa, subito prima di perdere i sensi, ho sentito una voce. Era fredda, cinica, impaziente. Ho cercato di guardarmi intorno credendo ci fosse qualcun altro insieme ad Aizawa e i suoi due compagni, ma non ho visto nessuno. Però sono certa di aver sentito quella voce. Continuava a ripetermi di non essere debole e voleva che mi facessi da parte, ma non so cosa volesse dire esattamente. Sto forse impazzendo, papà? In questi giorni mi sento sempre fiacca e assonnata. Mi capita di svenire e di non ricordare nulla. Vorrei solo sapere se ho qualcosa che non va. Perché Tatsuo non vuole parlarmi? Perché mi odia tanto? Solo perché ho mentito? Solo perché non ho confessato subito di aver ricevuto quelle lettere? Non volevo farvi preoccupare, pensavo di potermela cavare da sola. Volevo dimostrare a me stessa di essere cresciuta, di essere cambiata. Solo questo, davvero!».

«Adesso calmati, Eiko», le mani di mio padre afferrano dolcemente le mie spalle. «Lo so che non avevi cattive intenzioni, perciò lasciami chiarire una cosa: Tatsuo non è affatto arrabbiato con te. Piuttosto, è in collera con se stesso. Tutti noi lo siamo. Ognuno, a modo suo, si sente colpevole nei tuoi confronti. Ecco perché hai avuto l’impressione che ti stessero evitando, ma fidati di me, nessuno in questa casa ti odia e mai ti odierà, qualunque cosa accada. Tu sei e sarai sempre la nostra piccola Eiko. Nulla potrà cambiare questa verità». Per un attimo sono certa di aver visto un luccichio negli occhi di mio padre. Una compassione diretta forse non soltanto a me. «Se vuoi conoscere la verità, te la racconterò», superato il momento di commozione, la sua voce si carica di una nuova gravosità, in attesa della mia risposta.

«Tu sai che cosa mi sta succedendo, papà? E sei disposto a dirmelo?».

«Si, se è quello che vuoi».

Le sue parole sono pesanti, sofferte. Quanto grave potrà mai essere il segreto che custodisce? È così terribile da indurlo a mostrare quell’espressione? Ma non voglio continuare ad essere l’unica a non sapere. Se scoprissi di avere una malattia o di essere semplicemente pazza lo accetterei e, per il bene della mia famiglia, mi sottoporrei a qualunque tipo di trattamento per guarire. Rimanere nell’ignoranza non è più una alternativa accettabile.

«Papà, ho deciso:», mio padre trattiene il respiro, attendendo il verdetto finale, «io voglio sapere».

Le spalle di mio padre si abbassano lentamente ed egli, con un cenno del capo, annuisce. «Capisco. Se è quello che vuoi, ti racconterò ogni cosa dall’inizio».

Pensavo che avrebbe cercato di farmi cambiare idea o di convincermi a pensarci più attentamente. Vederlo accettare la mia richiesta senza opporre resistenza mi ha un po’ delusa. La mia decisione non sarebbe ugualmente cambiata, ma non è esattamente questa la reazione che mi aspettavo. Se questo segreto è davvero così terribile, non avrebbe almeno dovuto provare a discutere un po’ con me? Oppure, in fondo in fondo, sperava che le cose andassero in questo modo e che io esprimessi la volontà di sapere? Ad ogni modo, anche se non è stupito né sconvolto dalle mie parole, vedo chiaramente quanto sia preoccupato per me ma, come promesso, inizia il suo racconto partendo proprio da quel passato di cui non conservo ricordi.

 

***

 

«Ora sai la verità, Eiko. Ma prima che tu dica qualunque cosa, sappi che non è colpa tua. Non è colpa di nessuno».

Dopo aver ascoltato la sua confessione, non posso credere alle sue parole. Come può non essere colpa mia? Aizawa. Quei due ragazzi. Sarebbero potuti morire, e sarebbe stato solo a causa mia. Come è accaduto? No, perché è accaduto? Perché proprio io? Da un po’ di tempo sospettavo ci fosse qualcosa di sbagliato in me, ma la realtà è peggio di quanto avessi immaginato. Ora capisco perché Tatsuo non vuole parlarmi. Neanche io vorrei avere nulla a che fare con un….mostro come me. Pensavo di essere una ragazza normale, una come tante altre. Ho accusato Aizawa senza sapere di essere io stessa un pericolo.

Cosa dovrei fare? Cosa dovrei dire? Come dovrei reagire? Cosa dovrei pensare di me stessa? A questo punto non so più chi sono. Non ho neppure la certezza che questi pensieri siano miei. Personalità multipla? Io? Avrei preferito scoprire di essere pazza, ma questo…. Come si cura una simile malattia? E’ curabile almeno? Fino ad oggi ne avevo sentito parlare solo in televisione, nei libri, nei film. Per me non era neanche reale, solo un’invenzione cinematografica o letteraria. Dovrei arrabbiarmi? O forse sentirmi umiliata? Dovrei disprezzare me stessa? O dovrei accettarlo? Dovrei avere paura?

Se non altro adesso so che cosa è successo ieri sera. So a cosa erano dovuti gli svenimenti e i vuoti di memoria, gli sbalzi d’umore e tutto il resto. Ma non mi sento affatto sollevata. E se accadesse di nuovo? Dentro di me esiste davvero un’altra Eiko? Questo vuol dire che in fondo sono una persona a cui piace bearsi delle disgrazie altrui? Che prova piacere nel tormentare chi è confuso o insicuro? Che si compiace delle proprie menzogne? No, mi rifiuto di accettare una simile Eiko. Io non sono così. Non istigherei nessuno a commettere un crimine. La sola idea mi disgusta. Ma mio padre non mi mentirebbe mai, quindi significa che tutto ciò che mi ha raccontato è la verità.

«Capisco che tu sia sconvolta, bambina mia, ma non darti pena. Ricorda che non sei sola. Insieme troveremo una soluzione».

«Insieme?!», la mia voce esplode in un grido stridulo e frustrato. «Questo è impossibile, papà! Hai dimenticato che mi stanno tutti evitando? Soprattutto Tatsuo. Come posso chiedergli di aiutarmi? È assolutamente normale che non voglia avere a che fare con me, con un…»

«Eiko! Adesso basta!».

Sussulto. Mio padre non aveva mai urlato in questo modo, perché non è una persona che urla o perde la pazienza facilmente. Questo vuol dire solo una cosa: è di nuovo colpa mia. Ho di nuovo ferito un membro della mia famiglia costringendolo a mostrarmi un lato di sé che mai avevo visto prima. Perché le mie azioni non coincidono mai con i miei desideri? Forse è vero. Forse non sono io ad avere il controllo del mio corpo. Non voglio ferire le persone che amo. Un abominio come me non merita di essere amata. Perché? Perché non posso essere una ragazza qualunque? Perché devo costringere i miei genitori a questa tortura?

«Tu non sei un mostro. Sei la nostra piccola Eiko».

Le braccia protettive di mio padre mi attirano a sé, soffocando il mio pianto contro il suo petto. La sua mano mi accarezza con amore, cullando la mia disperazione.

«Non pensarlo mai più, bambina mia, perché nessuno di noi lo pensa».

La pacatezza della sua voce fa vibrare il suo petto contro la mia guancia. Stretta al mio papà, continuo a piangere. I miei singhiozzi sono l’unico suono udibile in tutto il parco. In questo momento non riesco a pensare ad altro che a versare lacrime.

«Tatsuo non è arrabbiato con te. È in collera con se stesso. Il motivo per cui ti sta evitando è perché non ha il coraggio di guardarti. Tuo fratello non potrebbe mai odiarti, ma la consapevolezza di non essere riuscito a proteggerti è una vergogna troppo grande per lasciarti incrociare il suo sguardo».

«Ma non ha nulla di cui vergognarsi! Non è colpa sua se sono così! Perché dovrebbe sentirsi responsabile?!».

«Perché tuo fratello ti ama immensamente e non potrebbe sopportare di vederti piangere in questo modo. Tutti noi ti amiamo e, sebbene ognuno a modo suo, proviamo quello che prova Tatsuo. Ma come ho detto prima, non è colpa di nessuno. Né tua, né di tuo fratello. Dagli solo un po’ di tempo per calmarsi».

Non è giusto che pianga, che sia io l’unica a sfogare la mia frustrazione. Tatsuo. Naoko. Mia madre. In questo momento sono confusi quanto me. Non posso farmi vedere così debole. Non voglio farli preoccupare più di quanto abbia già fatto. Ma soprattutto non voglio perderli. Se il prezzo da pagare per riavere mio fratello è nascondere i miei sentimenti, reprimere la mia paura, accettare a testa alta la realtà, allora sia. La mia condizione potrebbe non essere così grave. La mia maggiore virtù è conoscere bene i miei limiti. Io ho bisogno della mia famiglia, di tutta la mia famiglia. ho bisogno di averli accanto a me, ora più che mai. Piangere non serve. Adesso che conosco la verità posso fare la mia scelta. È una scelta egoistica, ma è la migliore per me.

«Papà, ho deciso», mi sciolgo dal suo abbraccio e asciugo le ultime lacrime prima di sollevare lo sguardo. «Voglio che Tatsuo torni a guardarmi e a parlarmi, perciò non posso mostrarmi debole. Non piangerò, poiché non cambierebbe la situazione in cui mi trovo, ma non sono abbastanza forte da poterne uscire da sola. Ecco perché ho bisogno del tuo aiuto, di quello di Tatsuo. Ho bisogno del supporto di tutta la mia famiglia per affrontare con coraggio questo momento. Ho deciso di fare tutto il possibile per migliore la mia condizione e guarire perciò, anche se è una richiesta egoistica, vorrei che rimaneste al mio fianco per darmi il vostro supporto. Avrei però una condizione».

Mio padre annuisce attendendo la mia dichiarazione. Infine dispiega le labbra in un caldo sorriso di approvazione.

 

***

 

Il giorno dopo mia madre mi accompagna a scuola. Insieme raggiungiamo l’ufficio del preside dove lei firma le carte per il mio trasferimento. Terminate le pratiche ufficiali, mi lascio la Teikō alle spalle. Abbandono l’edificio insieme a mia madre, senza incontrare Mayumi, né Satsuki, senza salutare i ragazzi. In silenzio, come sono arrivata, me ne vado, con la sola speranza di non incontrare mai più nessuno di loro. Nel mio cuore sono grata per la loro amicizia, ma non posso esprimere la mia gratitudine di persona. Se ora li incontrassi sarei obbligata a rivelare la mia vera identità, a confrontarmi con il loro disprezzo, la loro paura, il loro rifiuto. Non voglio che il mio ultimo ricordo qui alla Teikō sia legato ai volti delusi dei miei amici, alle loro parole di ripugnanza. Non lo sopporterei. So che andare via senza incontrarli significa scappare, ma questa è la cosa migliore per me. Dopotutto, io sono un’egoista.

Mi infilo nella limousine bianca, resistendo alla tentazione di voltarmi indietro a guardare per l’ultima volta il profilo della scuola.

«Sei sicura di non voler salutare i tuoi amici?», domanda mia madre, ritardando la partenza.

«E’ meglio così», rispondo, abbozzando un sorriso. «Incontrarli renderebbe tutto più difficile».

Rispettando la mia decisione, mia madre chiede infine ad Arthur di mettere in moto l’auto.

 

***

 

Durante i mesi successivi ho continuato i miei studi a casa, grazie all’aiuto degli insegnati assunti da mio padre. Nei primi giorni dopo il mio trasferimento, Mayumi e Satsuki si sono presentate una volta davanti ai cancelli della villa, ma sono state accolte da mia madre che ha raccontato loro del mio viaggio in periferia, verso la residenza dei miei nonni paterni. Ovviamente era una bugia per convincerle a non tornare più a cercarmi. Nel frattempo ho iniziato a frequentare regolarmente uno psicologo, oltre a sottopormi a controlli di routine in ospedale. La terapia da seguire non è facile, dal momento che lo scopo principale delle sedute è aiutarmi a ricordare quella parte del mio passato che avevo inconsciamente deciso di dimenticare.

Grazie ad Arthur sono riuscita a scoprire qualcosa in più sulla misteriosa personalità che ha preso il controllo durante l’incidente di Aizawa. A quanto pare, si è manifestata per la prima volta durante la mia infanzia, proprio durante quel periodo della mia vita di cui non conservo alcun ricordo.

«Mi ha detto di chiamarsi Meiko», mi ha rivelato Arthur. Secondo il suo racconto, è stato l’unico ad incontrarla e a parlare con lei. A prima vista, gli è parsa una ragazza molto orgogliosa, con un grande risentimento nei miei confronti.

«Ciò che mi ha subito colpito, sono stati i suoi occhi. Erano colmi di malizia, troppo audaci, provocanti, ma non in modo sessuale. No, niente di tutto questo. Erano vispi e attenti. Cercavano di scrutare nell’animo per carpirne le debolezze e sfruttarle per il proprio divertimento. Ho riconosciuto immediatamente quegli occhi. Quella sera, a scuola, ho capito immediatamente che la ragazza impaurita, coperta di sangue, non era più lei, signorina, Eiko».

«Hai capito che non ero io?», gli ho chiesto, stupita.

«Ho subito pensato che dietro l’incidente ci fosse Meiko, ma ho deciso di assecondare il suo gioco, fingendo di credere alla sua messinscena. Non sono mai riuscito a dimenticare quegli occhi».

Mentre Arthur mi parlava di Meiko, le sue labbra si sono più volte curvate in una smorfia di rabbia. Non so ancora bene quale rapporto esista fra tutti e due, ma da quanto ho visto, la ricomparsa di questa pericolosa personalità ha reso Arthur molto inquieto.

Dopo quella sera, Meiko non si è più fatta vedere, ma io so che non è sparita. Di tanto in tanto ho l’impressione di sentire i suoi pensieri. Percepisco la sua minacciosa presenza nel mio subconscio perciò non posso abbassare la guardia nemmeno durante il sonno. So che al minimo segno di cedimento tenterebbe di riprendere il controllo.

Per fortuna non solo sola e, ora che Tatsuo è tornato a parlarmi, sento di essere diventata più forte e sicura di me. Gli ultimi pensieri della mia vita da studentessa delle medie sono positivi e pieni di speranza per il mio futuro. Tutto ciò che mi resta da fare è cominciare a camminare, stringendo senza timore le mani delle persone che amo.

 

°°°

 

Ciao a tutti! ^^

Con questo capitolo si conclude la prima delle tre parti di questa storia. Vi ringrazio per avermi seguita fino a questo punto e spero continuiate a leggere con interesse i prossimi capitoli. Vi auguro una buona domenica.

 

Un bacione

 

Lady L.

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Capitolo 23
*** Benvenuta alla Seirin! ***


Capitolo 12

“Benvenuta alla Seirin!”

 

 

 

 «Eiko, sbrigati o faremo tardi!».

In piedi davanti alla porta spalancata della mia stanza, Haruka continua a tamburellare nervosamente il piede a terra. A intervalli regolari controlla l’ora sul display del cellulare fino a quando, esasperata, mi agguanta per il polso e mi trascina giù per la scalinata. Ho appena il tempo di afferrare la cartella prima di ritrovarmi nella limousine bianca, seduta accanto alla mia esuberante cugina.

«Non ho avuto neanche il tempo di fare colazione», mugugno, provando a sistemare il fiocco verde sulla mia nuova divisa scolastica.

«Mangia questo».

Senza molte cerimonie, Haruka infila un croissant nella mia bocca ancora aperta e mi ordina di masticare. Ubbidisco e la ringrazio con un cenno del capo mentre l’auto si mette in moto.

«Visto che oggi è il tuo primo giorno di scuola, ti porterò in giro a dare un’occhiata», commenta Haruka con evidente sicurezza. «Sono certa che ti ambienterai subito, ma se dovessi trovarti in difficoltà vieni a cercarmi. Di solito nel pomeriggio ho gli allenamenti con il club di pallavolo perciò mi trovi in una delle palestre. Durante la pausa pranzo vengo a prenderti in aula, perciò aspettami lì e non muoverti. Cerca di non attirare troppe attenzioni, ma questo non sarà un problema per te. Se qualcuno ti parla sii amichevole ma non dare troppa confidenza. Ricorda che da oggi inizia la tua nuova vita perciò non menzionare, per nessun motivo, la Teikō. Non abbassare mai la guardia: non appena gli altri studenti scopriranno che siamo cugine, inizieranno a ronzarti intorno come api per diventare tuoi amici. Ovviamente il loro obiettivo sarà solo ingraziarsi un altro membro della nostra famiglia. Luridi parassiti», sulle ultime due parole, la mano di Haruka si stringe in un pugno, pronto a rilasciare un potente colpo.

«Ho capito, calmati adesso», la incoraggio ad abbassare il braccio e a rilassare i muscoli tesi. «Non devi preoccuparti. Non ho intenzione di commettere lo stesso errore dell’anno scorso».

Chino il capo ripensando agli avvenimenti dell’anno passato, quando ho scoperto di soffrire di Disturbo Dissociativo dell’Identità. Quando mio padre mi ha rivelato che dentro di me vive un’altra persona, non volevo credere alle sue parole. Questa ragazza pericolosa è comparsa per la prima volta davanti ad Arthur, durante la mia infanzia, dicendo di chiamarsi Meiko. Pochi mesi fa, a causa sua, tre studenti della Teikō sono stati ricoverati in ospedale in condizioni piuttosto gravi. Tra di loro c’era anche Aizawa, l’artefice delle lettere minatorie che, da un po’ di tempo, trovavo ormai nel mio armadietto. La ragione di tale odio nei miei confronti è stata la mia amicizia con Akashi e i ragazzi della squadra di basket.

Dopo aver lasciato la Teikō ho continuato i miei studi a casa e mi sono diplomata privatamente. Inoltre ho iniziato il ciclo di cure che dovrebbero aiutarmi a riprendere il pieno controllo su me stessa. Anche se da quella sera non si è più manifestata, Meiko non è sparita. È ancora presente da qualche parte nel mio subconscio e io non posso dirmi al sicuro. Di conseguenza è comprensibile l’ansia di Haruka.

Oggi inizia la mia vita da liceale e tutta la mia famiglia ha deciso perché io frequentassi la stessa scuola di Haruka. Mia cugina è più grande di me di un anno, quindi ora è una mia senpai. Ma in realtà le è stato affidato il compito di tenermi d’occhio. Avere un membro della famiglia vicino a me, ha spiegato lo psicologo, mi aiuterà ad affrontare il nuovo contesto scolastico con più serenità e a mantenere stabili le mie emozioni. Inoltre ho deciso di fare del mio meglio per non fare più preoccupare nessuno. Per questo mi assicuro di arrivare sempre in orario agli incontri con la mia psicologa e di assumere ogni giorno i medicinali prescritti. Voglio evitare a tutti i costi che si ripeta quanto successo l’anno scorso. Affronterò questo nuovo anno come farebbe la vera Eiko, senza attirare attenzioni inutili, senza pretendere di trovare un posto nella piccola società scolastica ma, soprattutto, senza stringere amicizie. In questo modo non dovrò temere di coinvolgere persone innocenti nei miei problemi. In fondo, non ho bisogno di amici.

«Che cos’è quell’aria depressa?».

La voce di Haruka richiama la mia attenzione.

«Non è niente, stavo solo ripetendo le regole. Come ho detto, non devi preoccuparti. Questa volta farò attenzione a non stringere amicizia con nessuno».

Alla mia dichiarazione, Haruka sospira infastidita, quindi si gira verso di me e colpisce la mia fronte con un dito.

«Ti dirò una cosa: tu sei una stupida!», dichiara infine esasperata, facendo sussultare persino Arthur seduto al volante. «Stammi bene a sentire, Eiko. Nessuno ha detto che devi vivere la tua nuova vita da liceale come un reclusa o un’asociale. Hai dimenticato cosa ha detto la dottoressa: l’auto-isolamento è assolutamente vietato. Non pensare nemmeno lontanamente di chiuderti in te stessa e rinunciare a farti degli amici, o ti prendo a pugni il primo giorno di scuola», di nuovo la sua mano si chiude minacciosa. «Ok, prima ho esagerato con le raccomandazioni ma volevo solo ricordarti di essere prudente, per il tuo bene. Invece tu non hai capito niente. Conosco quella faccia. Stavi di nuovo pensando a quello che è successo l’anno scorso, ammettilo!!!».

«No, io…», incapace di discolparmi, infine confesso, piena di vergogna.

«Eiko», Haruka posa una mano sulla mia spalla e la sua voce si addolcisce. «Ne abbiamo già parlato e nessuno pensa che sia colpa tua, perciò smettila di fare l’insicura e abbi più fiducia in te stessa. E poi ci sono io con te. Vedrai: quest’anno sarà il migliore della tua vita e tu conoscerai un sacco di nuovi amici. So che sei ancora legata ai tuoi compagni della Teikō, ma adesso devi guardare avanti», dispiegando un larghissimo sorriso, mi dà un colpetto sulla spalla e io ritrovo fiducia.

L’auto si ferma e Arthur annuncia che siamo arrivati a destinazione. Esco dall’abitacolo insieme ad Haruka e uno sbuffo di vento corre tra i miei capelli. È di nuovo primavera e i ciliegi sono fioriti ancora una volta.

«Sei pronta?», si assicura Haruka dopo essersi sistemata la gonna, arruffata dal vento. Le rispondo con tutta la decisione di cui sono capace quindi, solleviamo entrambe lo sguardo sull’imponente edificio che si staglia davanti a noi. «Benvenuta alla Seirin!».

 

 

***

 

I cortili della scuola pullulano di stand. Ovunque è un energico vociare di studenti impegnati a conquistare l’attenzione delle nuove leve. Come all’inizio di ogni nuovo anno, i membri di tutti i club gareggiano ferocemente tra loro per strappare agli avversari nuovi iscritti. Io e Haruka avanziamo intrepidamente attraverso il campo di battaglia, ma senza eludere gli ostacoli. Proteggendomi dall’assalto simultaneo dei rappresentati di diversi club, mia cugina si assicura di collezionare un volantino da ognuno di loro per poi cedermelo.

«Prenditi del tempo per dare un’occhiata a tutti. Magari trovi qualcosa che ti interessa».

Seguendo il suo consiglio, inizio a sfogliare i depliant: club di letteratura, club di shogi e scacchi, club di fotografia, club di recitazione, club di giardinaggio, club di calcio, club di scherma, club di nuoto, club di scienza. I miei occhi si soffermano infine sul volantino del club di scrittura. Da quando sono iniziate le sedute terapeutiche scrivo regolarmente in un diario. È stata la mia psicologa ad assegnarmi questo compito che devo svolgere ogni giorno. Non avevo mai scritto nulla di personale prima e non avevo mai pensato di comporre testi di alcun genere. Non avevo idea di quanto benefico e liberatorio fosse scrivere, riportare sulla carta bianca i propri pensieri e le proprie emozioni. È un ottimo metodo per fare chiarezze nella mia mente e nel mio cuore e adesso non riesco più a farne a meno. Questa mattina ho deciso di infilare nella cartella anche il mio diario, sebbene Haruka non fosse d’accordo. Mi rendo conto che sia rischioso: se qualcuno dovesse leggerlo verrebbe a conoscenza del mio segreto e sapere che l’ultima erede della famiglia Wadsworth soffre di personalità multipla offrirebbe solo un succulento spunto per il prossimo gossip dei media. Ecco perché da domani lo lascerò di nuovo ben custodito nel cassetto della mia scrivania, nella mia camera. Oggi è il mio primo giorno di scuola e volevo assicurarmi di registrare tutte le mie emozioni prima di dimenticarle.

«Il club di scrittura?», Haruka si sporge sul foglio di carta, appoggiando il mento sulla mia spalla. «Potrebbe essere una buona idea provare a scrivere qualcosa di diverso. Magari scopri di essere una grande scrittrice e di avere del talento».

«Io? Del talento?».

Sentire questa parola accostata al mio nome provoca una smorfia di assurdità sul mio viso.

«Perché? Non puoi saperlo», riprende Haruka, disapprovando la mia reazione. «Hai dimenticato? Non rinunciare prima di aver provato. Mah, siamo solo al primo giorno, quindi hai tutto il tempo per decidere col calma».

Il suo braccio mi attira a sé mentre la sua mano scompiglia affettuosamente i miei capelli.

«Haru-chan! Da questa parte!».

Una voce femminile e squillante si alza tra la confusione. Haruka solleva il braccio salutando una ragazza che stringe in mano un pallone da pallavolo. Mi fa cenno di seguirla e ci avviciniamo a quello che sembra essere lo stand del club di pallavolo.

«Non avevi detto di non poterci aiutare perché avevi da fare? Cosa ci fai a scuola così presto?», domanda la ragazza imbronciando le labbra. «Aspetta, chi è questa ragazza? E’ così carina! Sembra una bambola. La conosci?».

«E’ mia cugina e oggi è il suo primo giorno», risponde Haruka in tono svogliato.

«Impossibile!», dichiara la ragazza scuotendo energicamente la testa in segno di negazione. «Come può un maschiaccio come te avere una cugina tanto graziosa? Come ti chiami?», chiede infine rivolgendosi direttamente a me e ignorando gli insulti di Haruka.

«Mi chiamo Eiko Wadsworth. Molto piacere».

Non appena termino la presentazione non solo la ragazza davanti a noi, ma anche le altre compagne di squadra di Haruka si avvicinano piene di curiosità. Dopo avermi guardata, iniziano a squittire e urlare in coro, prendendomi a turno fra le loro braccia e accarezzandomi come fossi un cagnolino. È la prima volta che il mio volto da bambina scatena una reazione tanto veemente.

«Capitano, possiamo tenerla?», implora una giocatrice.

«Si, si. La voglio assolutamente in squadra!», le fa eco una seconda.

«Potremo coccolarla e accarezzarla quando vorremo!», minaccia infine una terza.

«Che diavolo state dicendo, cretine! Eiko non è mica un cane!!».

Haruka esplode strappandomi dalle grinfie delle sue scalmanate compagne.

«Mi dispiace, ma purtroppo io non sono brava come Haruka. Non sono portata per gli sport», confesso subito dopo nella speranza di soffocare l’entusiasmo del gruppo.

 «Questo non è un problema», controbatte il capitano. «puoi diventare la nostra manager».

«Temo che finirei solo col combinare pasticci».

«Nooo! È anche impacciata! E’ assolutamente adorabile!!!».

A quanto pare, qualunque cosa dica non servirà a demotivarle. Per fortuna Haruka interviene prima che la situazione degeneri.

«Vi avverto: state lontane da Eiko o dovrete vedervela con me. Maniache!».

«Sei sicura di poter parlare così al tuo capitano e alle tue compagne?», le chiedo preoccupata. Apprezzo le sue intenzioni, ma forse ha esagerato.

«Non preoccuparti, siamo abituate al linguaggio di tua cugina», interviene il capitano con una risata. «Beh, non posso obbligarti a entrare nel club se non vuoi. Ma sappi che se dovessi cambiare idea, sarai sempre la benvenuta».

Approfittando della distrazione di Haruka, impegnata a tenere a bada il resto della squadra, il capitano mi fa l’occhiolino per poi richiamare all’ordine le ragazze. Dopo un breve saluto alle compagna di squadra, Haruka mi prende con sé e ci lasciamo alle spalle lo stand.

«Sembrano delle ragazze simpatiche», commento quando ormai siamo lontane.

«Si, ma non abbassare la guardia o ti divoreranno. Adesso che sanno che sei mia cugina, proveranno in tutti  modi a convincerti a entrare nella squadra. Se dovessero infastidirti le sistemerò io».

Non ho dubbi al riguardo e non posso che sentirmi in ansia. E’ chiaro a questo punto che Haruka non perderà di vista le sue compagne. Inizio ad essere un po’ preoccupata per loro. Il mio primo incontro qui alla Seirin ha sicuramente lasciato un forte impatto e più tardi devo ricordarmi di riportarlo nel mio diario. Sono felice di aver conosciuto le compagne di squadra di Haruka. E’ un bel gruppo affiatato e ora sono impaziente di assistere alle loro partite.

 

***

 

Arriva il momento di separarmi da mia cugina e raggiungere la mia aula. Purtroppo la sua classe si trova al piano superiore, quello riservato al secondo anno. Prima di varcare la soglia prendo un bel respiro e nella mente ripeto le parole di incoraggiamento di Haruka. Non posso cambiare quello che è successo in passato, ma non devo lasciare che condizioni il mio presente. Preferirei dimenticare la mia esperienza alla Teikō ma so che non accadrà mai. Il ricordo di quella sera è ancora nitido nella mia memoria, così come i volti di Mayumi, Satsuki, Akashi. Ma ho promesso di guardare avanti e non tormentarmi. In questa scuola non mi conosce ancora nessuno quindi posso ricominciare da zero, procedendo con cautela. Anche se Meiko non è più ricomparsa, i dottori hanno detto che la mia condizione è ben lontana dal definirsi stabile. Se non altro so che la mia seconda personalità tende a riemergere quando mi trovo in un forte stato emotivo o psicologico. Di conseguenza mi basterà evitare le situazioni estreme e rimanere in un contesto il più tranquillo possibile.

Una volta ritrovata la calma compio il primo passo verso la mia nuova vita. Un vento impetuoso di voci mi travolge. Schiamazzi e risate, ovunque è una festa di suoni che colpiscono le mie orecchie, di gesti teatrali che catturano il mio sguardo. Intimidita dall’atmosfera giocosa e incredibilmente vivace che domina l’aula, mi infilo tra la massa informe. Grazie alla mia statura minuta riesco ad avanzare senza intoppi. I miei chiassosi compagni di classe non sembrano accorgersi di me, immersi come sono nelle loro conversazioni. Sono per lo più divisi in piccoli gruppi sparsi per la stanza, intenti a condividere le prime impressioni sulla nuova scuola, su qualche senpai avvicinatosi per promuovere il proprio club o su qualche possibile interesse romantico appena sbocciato. Ciò che però accomuna ogni studente è sicuramente il desiderio di socializzare e familiarizzare il prima possibile con i nuovi compagni di classe e approfittarne magari per stringere qualche alleanza che potrebbe rivelarsi fruttuosa durante l’anno.

Dentro di me cresce un’agitazione mescolata all’entusiasmo. Mi sento combattuta fra una miriade di sentimenti differenti per natura e intensità. Per quasi un anno mi sono tenuta a debita distanza da qualunque tipo di luogo pubblico. Dietro ordine dei medici, mi trovo di nuovo in balia di questa burrascosa tempesta che chiamano società, con il compito, o forse sarebbe più appropriato dire missione, di infiltrarmi e diventare parte di essa. Se da una parte è un bene che non ci siano volti conosciuti tra quelli dei miei compagni, che potrebbero riportare alla mente la mia terribile esperienza alle scuole medie, dall’altra sapere di dover ripartire dalle basi per instaurare una qualsiasi relazione mi fa sentire incredibilmente insicura. Tuttavia, ora che so quanto ancora instabile sia la mia condizione, non posso permettermi il lusso di cedere allo sconforto e abbattermi alla prima difficoltà.

Ma il destino sembra avere in serbo per me la più devastante delle prove. Proprio quando penso di aver trovato la serenità giusta ad affrontare la mia nuova vita, un’altra matricola, di cui non mi ero accorta fino a questo momento, mi passa accanto sfiorandomi. Il contatto è minimo ma sufficiente a farmi voltare per incrociare lo sguardo del ragazzo. Due iridi, splendenti e chiare come geme di topazio, bloccano il respiro nella mia gola. Il cuore quasi mi schizza in bocca per la sciagurata coincidenza ordita dal Fato. Ero sicura che non avrei più rivisto nessuno di loro, che avrei potuto voltare pagina e ricominciare da zero. Invece, l’improvvisa apparizione di Kuroko Testuya davanti ai miei occhi mi risveglia bruscamente dal mio sogno, affogando i miei pensieri in un caos primordiale da cui, sento, non riemergerò facilmente. Se il mio cervello ha congelato la sua capacità razionale, l’istinto è ancora abbastanza valido da precipitarsi in mio soccorso. Appena un attimo prima che Kuroko dischiuda le labbra per rivolgermi la parola, i miei piedi si mettono in moto e mi portano lontano da lui.

Non importa che la sorte abbia deciso di prendersi gioco di me facendomi incontrare uno dei miei vecchi amici. Durante questi mesi mi sono preparata a fronteggiare anche questa possibilità. Dopo il mio trasferimento, tra i corridoi della Teikō ha iniziato a circolare la voce che avessi perduto parte della mia memoria a causa di un incidente. Un pettegolezzo che lo stesso preside, col consenso dei miei genitori, si è prodigato a diffondere per giustificare la mia improvvisa partenza. Ma questa bugia è stata approvata da tutta la mia famiglia soprattutto per far fronte a una crisi imprevista, e l’incontro con un vecchio membro della squadra di basket rientra, senza ombra di dubbio, nella categoria degli incontri critici. Fingere. Fingere di non riconoscere. Fingere di non ricordare. Fingere di non vedere, di non sentire. Ogni giorno trascorso mi sono allenata con l’obiettivo di risultare credibile. So bene che è una tattica meschina, ma nella mia condizione attuale rappresenta l’unico appiglio abbastanza sicuro per me. L’unica strategia che possa tenermi ancorata ad una realtà stabile, a una dimensione in cui sono ancora io ad avere il controllo.

          Accelero il passo e la mia camminata si trasforma presto in corsa. La mia testa è annebbiata dall’improvviso incontro con Kuroko. Come giustificherò il mio comportamento? Riuscirò a convincerlo di aver perso la memoria? Sono stata sicuramente sfortunata ad incontrarlo, ma sono ancora in tempo per entrare nel personaggio e interpretare il ruolo. Le mie riflessioni vengono violentemente interrotte. La mia fuga si arresta contro la schiena di uno studente e la potenza dell’impatto mi fa cadere all’indietro, sul pavimento.

          «Tutto bene?».

          «Si, grazie», rispondo afferrando la mano tesa. È molto più grande della mia e la sua stretta vigorosa.

          Di nuovo in piedi, solevo lo testa. Un ragazzo dallo sguardo arcigno, tanto intenso da conferirgli un’aria più matura della sua età, mi osserva dalla cima della sua eccezionale statura. I due occhi, sormontati da un paio di bizzarre sopracciglia biforcute, splendono come due cristalli di granato rosso.

«Sei davvero piccola», commenta con una voce lievemente graffiata. Per qualche curiosa ragione, quel suono evoca subito nella mia mente l’immagine di una tigre selvaggia, il cui riposo sia stato interrotto dal festoso gioco di due goffi cuccioli.

«Mi spiace», rispondo d’istinto, dimenticando per un attimo che il ragazzo davanti a me non è affatto un predatore della savana e che io non sono un esuberante tigrotto.

«Eh?! Non devi scusarti. Non è colpa tua se sei piccola».

Cosa? Le parole del ragazzo mi risvegliano dalle mie fantasie. Ovviamente non posso rivelare il vero motivo per cui mi sono scusata, o mi prenderebbe per pazza, ma non voglio che questo ragazzo fraintenda.

«No, volevo dire che mi spiace di esserti venuta addosso. E’ colpa mia, stavo correndo nei corridoi».

Sul volto dello studente compare il colorito della vergogna e la severità che prima aveva dominato il suo sguardo lascia ora il posto all’imbarazzo.

«Pensavi che mi fossi scusata per essere così piccola?», gli chiedo, sondando i miei dubbi. Il suo silenzio impacciato mi spinge a sorridere. «Se la metti così, allora anche tu dovresti scusarti…per essere così alto», concludo indicando la sua statura decisamente fuori dal normale. «Sei giapponese?».

«Si, lo sono, ma ho vissuto in America fin da bambino. Non volevo offenderti, è che non sono abituato a vedere studentesse così piccole», confessa il ragazzo portando una mano dietro la nuca. «Tu invece non sembri giapponese».

«Sono di famiglia mista. Mio padre è giapponese mentre mia madre è britannica. Neanche tu però sembri il tipico adolescente giapponese. Per caso pratichi sport?».

«Mi sono appena iscritto al club di basket».

Basket? Questo vuol dire che prima o poi incontrerà Kuroko e magari diventeranno compagni di squadra. Fino a che punto può arrivare la sfortuna di una persona? Se avessi saputo che questo ragazzo era un giocatore di basket, non gli avrei rivolto la parola. Non è prudente per me avere troppi contatti con questo sport. Farò meglio a troncare qui la conversazione.

«Scusa ma ora devo tornare in classe», senza attendere una risposta ruoto su me stessa e ripercorro la strada da cui sono venuta. Tornata al punto di partenza, spalanco la porta dell’aula ma appena prima di varcare la soglia, una presenza imponente compare alle mie spalle.

«Così siamo compagni di classe».

Lo stesso ragazzo che credevo di aver lasciato nel corridoio attende ora di entrare in aula, la mia aula. Mi faccio da parte e lo lascio passare. Lo seguo con lo sguardo mentre prende posto nel banco dietro il mio. Il suo arrivo ha destato la curiosità di tutti gli altri studenti. La prima impressione non è certo la migliore. Questo tipo incute davvero paura e intorno a lui si respira un’aura opprimente, così intensa da mettere in soggezione chiunque si trovi nelle vicinanze. Non mi sorprende che i miei compagni di classe si tengano a debita distanza da lui. E la stessa cosa ho intenzione di fare anch’io, sebbene per un motivo diverso. Stringere amicizia con lui mi porterebbe ad incrociare nuovamente il mio cammino con quello di Kuroko e, più in là, con quello di tutti gli altri vecchi miei amici.

Anche se il Fato ha deciso di mettermi a dura prova, non cadrò nella sua trappola. Non sono sola, Haruka è in questa scuola, insieme a me e io non sono più la stessa Eiko dell’anno scorso. È vero, l’incontro con Kuroko mi ha colta di sorpresa ma da adesso in poi non mi farò trovare di nuovo con la guardia bassa. Si tratta solo di resistere tre anni, i prossimi tre anni. Da questo momento in poi avrò la possibilità di mettere in pratica i frutti del mio addestramento. A parte Kuroko, nessun altro è a conoscenza del mio passato alla Teikō e solamente Haruka sa del mio segreto. Un segreto che potrebbe disonorare il nome Wadsworth. So che nessun membro della mia famiglia teme di perdere la faccia a causa della mia malattia. La loro unica preoccupazione è che io sia in grado di vivere serenamente la mia vita. I miei genitori non hanno mai badato a cose come la reputazione, il prestigio. Per loro sono altri i valori importanti, ecco perché non hanno paura che il mio segreto diventi di dominio pubblico. Il loro unico timore è che potrebbe condizionare la mia vita ed espormi al giudizio della gente. In poche parole si preoccupano solo di me, senza badare affatto all’influenza negativa che il mio disturbo potrebbe avere sul nome della famiglia. Ma io la penso diversamente. Dal momento che non posso contribuire ad accrescere il prestigio della compagnia poiché non ho talenti, voglio almeno proteggerla dalle malelingue. Ecco perché la missione che io stessa mi sono imposta è quella di impedire, in qualunque modo e con qualunque mezzo, che il mio segreto venga rivelato. Non posso esporre alla vergogna le persone che amo.

Sicura di aver preso la giusta decisione, rinnovo infine, nel silenzio, il mio voto. Entro in aula e con passo saldo  mi avvicino al mio banco. Intanto il resto della classe accompagna la mia avanzata con bisbigli preoccupati di sottofondo, dovuti alla presenza del ragazzo giunto dall’America. Da parte mia, invece, ignoro l’unico paio d’occhi puntato sulla mia figura. Da quando sono ritornata, infatti, lo sguardo silenzioso di Kuroko non si è sollevato da me. Facendo appello alla mia determinazione, sfilo davanti al mio vecchio amico e, ignorandolo, prendo posto di fianco a lui.

 

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Capitolo 24
*** Io continuerò a credere in te ***


Capitolo 13

“Io continuerò a credere in te”

 

 

 

 

 

La mia vita da liceale è iniziata ufficialmente dieci giorni fa con una sorpresa, invero non molto gradita: ho infatti scoperto che tra i miei compagni di classe c’è anche Kuroko. L’idea di trascorrere il resto dell’anno insieme a lui non mi entusiasma affatto, al contrario mi preoccupa. L’essermi riunita ad uno dei miei vecchi amici della Teikō mi ha costretta fin da subito ad alzare le mie difese e rinforzarle. Eppure qualcosa mi infastidisce. Dopo l’ultimo tentativo da parte sua di iniziare una conversazione e il mio consequenziale rifiuto, Kuroko non ha più cercato di avvicinarsi a me. Non l’ha presa bene quando gli ho detto di non ricordare chi fosse, ma non sembrava arrabbiato, piuttosto dispiaciuto. La cosa positiva è che, almeno per ora, sono riuscita a convincerlo a starmi lontano. Ho dovuto calcare un po’ la mano e confesso che non è stato facile fingere di trovare la sua presenza inquietante e ordinargli di lasciarmi in pace. Ma non mi pento affatto di quello che gli ho detto. Sono tuttavia contenta che si tratti di Kuroko. Per fortuna è un ragazzo che passa facilmente inosservato e che non ama spettegolare, perciò non devo preoccuparmi che racconti a qualcuno del mio passato. Inoltre non è una persona invadente e questo significa che non proverà a riallacciare i rapporti con me contro la mia volontà. Come avevo previsto, è entrato nella squadra di basket. Era inevitabile, del resto.

«Kiseki no Sedai?».

«Che cosa hai detto?», chiedo a Haruka.

Anche oggi siamo insieme sul terrazzo della scuola per la pausa pranzo. Questo è il terzo giorno consecutivo che veniamo qui per sfuggire alle ragazze della squadra di pallavolo: a quanto pare mi hanno eletta mascotte ufficiale a mia insaputa. Spero che cambino presto idea perché non ho intenzione di unirmi al loro club.

Riporto le mie attenzioni su Haruka. Sono diversi minuti che sfoglia una rivista sportiva, senza troppo interesse, a dire il vero. Ma la sua espressione sembra ora cambiata. Forse ha finalmente trovato un articolo degno della sua attenzione. Incuriosita mi sporgo sul giornale per dare un’occhiata.

«Non si può dire che non si siano dati da fare nel frattempo», commenta mia cugina, osservando l’immagine in primo piano.

Immortalati nella fotografia che accompagna l’articolo, i volti dei miei vecchi amici. Akashi, Midorima, Aomine, Kise, Murasakibara e, infine, Kuroko posano davanti all’obiettivo.

«L’articolo si riferisce ai campionati nazionali dell’anno scorso. A quanto pare la Teikō si è riconfermata come la scuola migliore del torneo», commenta Haruka con sufficienza. «Chiunque abbia scritto il pezzo, non poteva scegliere un titolo più stupido di questo. Kiseki no Sedai? La Generazione dei Miracoli? Che idiozia! È chiaro che si tratta solo di un altro squallido tentativo di fare pubblicità alla scuola».

Haruka chiude la rivista e con un gesto annoiato la getta ai suoi piedi per riprendere a mangiare. Avendo terminato il mio pranzo, la raccolgo e inizio a sfogliarla fino ad arrivare alla pagina che mi interessa. Ancora una volta i miei occhi si concentrano sui volti dei sei ragazzi. Questa foto è stata scattata solo qualche mese dopo il mio trasferimento dalla Teikō, eppure tutti loro sembrano così diversi. Nei loro sguardi non c’è la gioia di chi ha vinto un importante campionato. Non c’è passione. Al contrario, sembrano tutti pallidi come fiori appassiti. L’espressione nei loro occhi si è indurita, maturando prima del tempo. Ha perso la sua freschezza. Ma fra tutti quanti, Aomine sembra particolarmente infelice. La sua luce si è affievolita. Ricordo bene il sorriso che mostrava sempre quando giocava, lo scintillio nei suoi occhi entusiasti. Ma in questa foto, nonostante i colori con cui è stata scattata, la sua figura appare sbiadita, opaca. Non voglio essere tanto presuntuosa da credere che questo cambiamento sia stato provocato dalla mia improvvisa scomparsa. Sono invece sicura che sia successo qualcosa che ha costretto tutti loro a cambiare così profondamente. Se anche dovessi incontrali, non sarebbero le stesse persone che ricordo. Forse è un bene che le nostre strade si siano separate.

«Ho sentito che sono stati ingaggiati da scuole differenti», pronuncia Haruka alzando lo sguardo sul cielo terso. «Questo vuol dire che presto dovranno giocare sullo stesso campo come rivali. Sei preoccupata per loro?».

«Non saprei», rispondo abbassando la rivista sulle mie gambe distese. «Fino adesso l’idea che potessero diventare avversari e giocare gli uni contro gli altri non mi era mai passata per la testa. Ma se devo essere onesta, non è questo a preoccuparmi. Credo che sia successo qualcosa dopo il mio trasferimento dalla Teikō. Qualcosa che ha cambiato profondamente tutti loro. Ovunque siano, spero solo che continuino a divertirsi giocando a basket», anche se i volti in questa fotografia sembrano tutta’altro che gioiosi.

«Forse non è vero che sono tutti cambiati», continua Haruka, portando lo sguardo sul giornale.

Seguendo i suoi occhi, le mie pupille si soffermano sulla figura minuta di Kuroko. Non sono sicura che Haruka abbia ragione. Almeno in questa fotografia, anche l’espressione sul suo volto sembra in qualche modo avvilita, piena di rimpianti. Da quando è iniziato il nuovo anno qui alla Seirin, però, e soprattutto da quando è entrato nel club di basket, Kuroko sembra più sereno, quasi avesse trovato un nuovo proposito per cui lottare. E non penso che il suo incontro con il ragazzo venuto dall’America sia del tutto casuale. Se ricordo bene il suo nome è Kagami. Non conosco il suo modo di giocare ma pare andare molto d’accordo con Kuroko. A volte, guardandoli insieme, mi torna in mente l’affiatamento che c’era con Aomine. Forse lo stile di gioco di Kagami è più simile a quello di Aomine di quanto possa apparire. In ogni caso non voglio lasciarmi coinvolgere. Se dicessi di non essere nemmeno un pochino curiosa su quei due mentirei, ma incrociare ancora una volta il mio cammino con quello di Kuroko renderebbe solo più difficile la mia guarigione.

«Uffa, è già ora di tornare».

Con uno sbuffo Haruka di solleva dal pavimento raccogliendo alla rinfusa la scatola del pranzo. Ora che la pausa è terminata dobbiamo rientrare per le attività del pomeriggio. Le restituisco quindi la rivista e mi incammino al suo fianco verso la prossima lezione.

 

***

 

Haruka è ancora impegnata con gli allenamenti ma ha detto che dovrebbe finire fra un’ora. Dopo averle promesso che l’avrei aspettata per tornare a casa insieme, decido infine di passare il tempo che resta al Maji Burger. È un fast-food a pochi passi dalla scuola, dove si radunano spesso anche altri studenti della Seirin. Personalmente non ci sono mai stata prima di questa sera, ma dovendo aspettare Haruka e avendo un po’ di fame ho alla fine deciso di entrare, accompagnata da Arthur.

Una folla di studenti e famiglie attende di avvicinarsi alla cassa per ordinare. Mi aggrego alla coda e inganno la lunga attesa scorrendo la lista dei vari menù riportata su alcuni tabelloni. Non posso dire di essere un’amante dei fast-food dal momento che preferisco cibi più salutari, quindi decido di ordinare solo una porzione di bocconcini di pollo fritto e un piccolo toast al prosciutto. Arthur invece rifiuta di prendere qualsiasi cosa e si limita a seguirmi da vicino mentre prendo posto ad un tavolo davanti a una delle finestre.

«Yo!».

Un ragazzo dalla statura imponente mi rivolge il saluto e mi basta una rapida occhiata alle sue sopracciglia biforcute per capire che si tratta di Kagami, il ragazzo venuto dall’America.

«Ciao, Kagami, anche tu qui?», rispondo spalancando subito dopo gli occhi alla vista della montagna di hamburger sul suo vassoio. Non dovrei sorprendermi: dato il suo fisico è piuttosto normale che il suo appetito sia proporzionato alla sua corporatura.

«Non ti ho mai vista da queste parti», continua alzando un sopracciglio, perplesso.

«In effetti non amo molto i fast-food ma oggi ho deciso di fare un’eccezione. Sto aspettando mia cugina», spiego brevemente.

Notando quindi lo sguardo diffidente di Arthur mi affretto nelle presentazioni.

«Questo ragazzo è un mio compagno di classe. Si chiama Kagami Taiga».

«Sei un amico della signorina Eiko?», lo interroga Arthur con aria poco amichevole.

«Non direi», risponde Kagami con naturalezza. «Questa è la terza volta che parliamo».

Se Kagami non fosse intervenuto probabilmente avrei risposto io al suo posto e avrei usato le stesse parole. Tuttavia sentire quella frase uscire dalla sua bocca con tanta spontaneità, come fosse la cosa più ovvia del mondo, mi ha in qualche modo infastidita. Non che mi aspettassi una reazione diversa, ma avrebbe almeno potuto esitare un po’.

«Beh, non credo che lei mi consideri suo amico, almeno», pronuncia subito dopo, portando una mano dietro la testa per nascondere l’imbarazzo. «Il fatto è che non abbiamo avuto molte occasioni per parlare perciò…»

«In effetti non sono molto socievole. Perdonami».

«No-non devi scusarti. Non è colpa sua se sei timida. Credo».

«Credo?».

Il tono di Arthur è improvvisamente ostile e la sua guardia è chiaramente alta in questo momento. Sono quasi certa che percepisca Kagami come una minaccia o, se non altro, come un individuo poco affidabile.

«A-Arthur, non fare quella faccia, in fondo Kagami non ha tutti i torti. E comunque sono sicura che non volesse offendermi. È stato solo molto sincero, giusto?».

Kagami annuisce alla mia domanda.

«Se sei da solo, perché non ti siedi con noi», propongo infine.

La prima impressione che ho avuto di Kagami non è stata la migliore, lo ammetto, ma guardandolo adesso non riesco a credere ai pettegolezzi che giravano sul suo conto fino a qualche giorno fa. Non sembra affatto una persona pericolosa e terribile. Certo ha uno sguardo sempre corrucciato, troppo maturo per la sua età, e la sua statura incute un po’ di paura, ma parlando con lui è facile intuire che tipo di ragazzo sia in realtà. Questa potrebbe essere un’occasione per chiacchierare e conoscerci meglio, dopotutto ho promesso ad Haruka che avrei provato a farmi dei nuovi amici.

«Ehi, Kuroko, a te sta bene?».

Al nome del mio vecchio compagno un brivido percorre la mia schiena, facendomi irrigidire sulla sedia.

«Hai detto Kuroko?», le mie labbra si muovono a stento mentre i miei occhi si spostano sulla piccola figura giunta ora al fianco di Kagami.

«Salve, Eiko-san».

Il nuovo arrivato mi rivolge un breve inchino. La mia risposta al suo saluto è puramente istintiva: con uno scatto abbasso la testa interrompendo il contatto visivo. Non mi aspettavo un confronto diretto con Kuroko così presto. Sono stata ingenua. Avrei dovuto prendere in considerazione la possibilità che Kagami fosse venuto qui con qualche membro della squadra di basket, ma fra tutti i possibili candidati doveva trattarsi proprio di Kuroko.

«C’è qualche problema?».

Notando forse la tensione fra me e Kuroko, Kagami interviene ad interrompere l’improvviso silenzio.

«N-No, nessun problema», balbetto io, cercando di controllare l’ansia.

«Forse dovremmo sederci da un’altra parte».

La proposta di Kuroko è troppo invitante perché io la respinga. Non sono ancora pronta ad affrontarlo. Se ora sedesse al mio tavolo non sarei in grado di iniziare alcun tipo di conversazione e l’atmosfera diventerebbe presto insostenibile, non solo per me.

«Potete sedervi qui, tanto io e Arthur stavamo per andare. A quest’ora mia cugina avrà finito con gli allenamenti».

Con evidente fretta mi alzo dalla sedia e mi allontano dai due ragazzi senza preoccuparmi di salutarli. Kagami penserà sicuramente che sono una ragazza strana e non avrà una buona opinione di me, ma in questo momento non c’è altro che possa fare. Purtroppo ho perso la mia occasione di rafforzare la mia relazione con lui ma ho troppa paura dell’influenza che potrebbe avere su di me la presenza di Kuroko. Sono una codarda, ma non me ne vergogno. Non ancora almeno. Scuoto la testa per scacciare ogni ripensamento dalla mia mente mentre, dall’altro lato della strada, Haruka, libera di tornare finalmente a casa, agita il braccio in aria chiamando il mio nome.

 

***

 

La scorsa notte ho sognato Kagami. Non ricordo esattamente il sogno, ma so per certo di aver visto il suo volto. Quando mi sono svegliata ho provato una strana delusione. Ultimamente mi sta succedendo qualcosa di strano e poco piacevole. Non saprei dire quando è iniziato, né per quale assurdo motivo, ma mi capita sempre più spesso di pensare a lui. Anche a scuola, prima che me ne renda conto, i miei occhi cercano la sua figura e le mie orecchie reagiscono alla sua voce. Di una cosa però sono assolutamente sicura: non mi sono innamorata di lui! Sono giunta a questa conclusione poiché parlare con lui non mi fa sentire imbarazzata; quando i nostri sguardi si incrociano non sento la necessità di fuggire; ma soprattutto quando mi è vicino il mio cuore non batte all’impazzata, il respiro non mi muore in gola e non sento le farfalle nello stomaco. Qualunque sia la natura del mio interesse nei suoi confronti, dunque, non ha nulla a che fare con il romanticismo. Semplicemente, c’è qualcosa in lui che mi attira e mi incuriosisce. Qualcosa di famigliare, il che è assurdo. Come potrebbe essermi famigliare un ragazzo che ho incontrato per la prima volta poche settimane fa? Eppure non riesco a reprimere questa curiosità che sta ormai diventando un’ossessione, a tal punto da farmi incontrare Kagami perfino nei miei sogni.

Oggi Haruka non è venuta a scuola. Ieri sera abbiamo deciso di vedere un film insieme a Shizuka e Naoko – una serata tra sole ragazze – e abbiamo ordinato del cibo da un ristorante tailandese che conosce Haruka. Il problema è che ha finito col mangiare quasi tutto lei e questa mattina non riusciva neanche ad alzarsi dal letto a causa dei crampi allo stomaco che l’hanno tenuta in bagno tutta la notte. Di conseguenza sono venuta a scuola da sola e ho dovuto avvertire i professori e il capitano della squadra di pallavolo al suo posto. Le mie lezioni sono appena terminate ma il giorno è ancora luminoso e non mi va di tornare a casa.

Il mio pensiero vola improvvisamente a lui, il ragazzo venuto dall’America che tormenta i miei sogni. Oggi pomeriggio ci sono gli allenamenti del club di basket e ho sentito che tra qualche giorno è prevista una partita amichevole con un’altra scuola, ma al momento non ricordo il nome. La mia testa dice che non dovrei farlo, che non dovrei avvicinarmi alla palestra, ma il mio cuore è di tutt’altra opinione. Perciò continuo a camminare verso la struttura, consapevole che Arthur mi stia aspettando fuori ai cancelli. Ho intenzione di sbirciare solo per un attimo, giusto il tempo di mettere a tacere questa insana curiosità che martella dentro di me. Kuroko sembra andare molto d’accordo con Kagami, ma soprattutto sembra rispettarlo. Non ho mai visto Kagami sul campo, ma se in qualche modo ha ottenuto l’approvazione di Kuroko deve essere un giocatore di talento.

Un groviglio di voci e lo stridere delle scarpe mi avverte che sono giunta a destinazione. Avendo deciso di dare solo una rapida occhiata e andarmene subito, socchiudo la porta e mi infilo nella palestra. La luce del sole che filtra dai finestroni illumina la polvere sospesa nell’aria creando una nebbiolina sottile che solletica le mie narici spingendomi quasi a starnutire. L’odore del legno del parquet investe il mio olfatto mentre con lo sguardo inizio a familiarizzare con il nuovo ambiente.

È in corso una partita di allenamento. I ragazzi sono concentrati sul pallone e sugli avversari, di conseguenza non si sono accorti di me. Io, al contrario, non  ho impiegato molto a individuare la figura di Kagami sul campo di gioco e ora tutte le mie attenzioni sono su lui. Adesso che è finalmente davanti a me mi sento sollevata e più tranquilla. La tensione ha abbandonato i miei nervi, come se mi fossi appena liberata di un peso.

Senza perdere di vista Kagami, vado a sedermi a bordo campo. Appoggio la schiena al muro e la frescura della parete mi provoca un piccolo brivido sottopelle. Per diversi minuti osservo semplicemente il mio compagno di classe correre da un estremo all’altro del campo, senza badare a ciò che lo circonda, senza soffermarmi sulle sue azioni. Mentre cerco di capire per quale motivo mi senta così attratta da lui, i miei occhi colgono un’ombra appena dietro la sua figura. Stringo le palpebre per ottimizzare la vista e il profilo di Kuroko prende forma accanto a quello di Kagami. Un’improvvisa realizzazione scoppia dunque nella mia mente, come una bolla di sapone: Aomine.

Il paragone tra il mio vecchio amico e Kagami è inevitabile. Vedere quest’ultimo insieme a Kuroko ha rievocato il ricordo di Aomine. Lo stesso entusiasmo. La stessa passione. La stessa luce negli occhi. Kagami è esattamente come Aomine.

Finalmente capisco per quale motivo mi sentivo così attratta da lui. Il mio istinto aveva capito da tempo ciò che la ragione si rifiutava di vedere. Che sia un’altra coincidenza? Un’altra trama ordita dal Fato? A questo punto non importa quanto io provi a tagliare i ponti col passato poiché esso troverà sempre un modo per incatenarmi di nuovo. Forse è arrivato il momento di farmene una ragione e accettare l’indissolubilità di questo legame. Del mio legame con Kuroko, Aomine e gli altri miei amici della Teikō. Kagami potrebbe essere il ponte di collegamento eretto dal destino per incoraggiarmi ad attraversare la corrente e raggiungere l’altra sponda del fiume dove tutti loro aspettano. Essermi riunita a Kuroko in questa scuola e aver incontrato Kagami sono due messaggi inequivocabili. Ma non riesco ancora a prendere la mia decisione. Ho così tanto da nascondere, così tanto da temere. Il segreto che porto con me e che devo custodire ad ogni costo mi rende troppo vulnerabile. Mayumi, Satsuki, Aomine, Kise, Akashi, Midorima, Murasakibara e ovviamente Kuroko, tutti loro mi mancano. Ma il presente è più spaventoso del passato. Ora che so cosa è successo quella notte non ho il coraggio di rischiare solo per assecondare un mio desiderio egoistico. In fondo non sono cambiata: sono sempre la vecchia Eiko debole e insicura.

Col cuore gonfio di rammarico, mi sollevo dal pavimento e lascio la palestra. La mia determinazione vacilla come mai prima. Sono combattuta tra i miei sentimenti e i miei doveri a tal punto da non accorgermi della presenza alle mie spalle.

«Eiko-san».

I miei piedi si arrestano senza tuttavia ruotare verso colui che ha pronunciato il mio nome.

«Non fraintendere, ero qui solo di passaggio», le parole escono dalle mie labbra in un unico respiro affrettato. Mettere le mani avanti è da codardi ma ammettere la verità sarebbe umiliante.

«L’hai notato anche tu, vero?».

Non è difficile intuire il significato delle parole di Kuroko. Si, ho notato quanto Kagami assomigli ad Aomine.

«Capisco perché ti piace tanto», pronuncio abbassando le spalle ed emettendo un profondo sospiro. «Quel ragazzo emana una luce accecante. Sarai felice di aver trovato un degno sostituto di Aomine».

«Kagami-kun non è un sostituto. Lui è…la mia speranza. Dopo che te ne sei andata dalla Teikō, Aomine-kun e gli altri sono cambiati. Il loro basket è ora molto diverso da quello che ricordi».

«Vuoi dire che tu non sei cambiato, invece?».

«Credo ancora in tutti loro».

Dunque non sei cambiato. Hai sempre avuto fiducia nei tuoi compagni di squadra, questo non l’ho dimenticato. Il tuo legame con ognuno di loro è più solido del mio e infondo è giusto che sia così.

«Sai, Kuroko, ti confesso che ho sempre un po’ invidiato il tuo ottimismo. Sono sicura che Aomine sarebbe felice di sapere che tieni ancora così tanto a lui». Lo penso veramente.

«Eiko-san, tu non credi più nella nostra amicizia?».

Un palpito violento scuote il mio petto. A una domanda così diretta cosa dovrei rispondere? Dal punto di vista di Kuroko potrebbe sembrare che abbia deciso di abbandonarlo. Da quando è iniziato il nuovo anno scolastico, poi, mi sono data un gran da fare per evitarlo, ho persino mentito – e da attento osservatore qual è, lo avrà notato sicuramente    quindi è normale che ora pensi questo di me.

«Kuroko, anche io sono cambiata», non è facile per me ammettere questa verità. «Sono successe tante cose e io non sento di essere la stessa persona», quanta pateticità nella mia voce. Da dove nasce tutta questa disperazione? Ogni mia parola suona come una miserabile richiesta di aiuto.

«Io continuerò a credere in te».

«Sei davvero un ragazzo ottimista», le mie labbra si distendono in un sorriso di auto-commiserazione. Sono proprio patetica: trovare consolazione nelle parole di un amico che ho tradito e abbandonato. La mia piccolezza è pari solo alla mia vergogna. Se prima ero indecisa, adesso è impossibile per me incontrare il suo sguardo. Non ho bisogno di vederlo per sapere che i suoi occhi stanno brillando di gentilezza e onestà ed proprio questo a farmi sentire miserabile e fortunata allo stesso tempo.

«Domani abbiamo una partita contro la scuola Kaijō».

«Quella nella prefettura di Kanagawa? So che hanno una squadra di basket molto forte», rispondo pensando all’articolo sulla rivista di Haruka.

«Anche se si tratta di un’amichevole, ho intenzione di vincere insieme ai miei compagni».

«Lo so. Dai sempre il massimo in campo e sono sicura che tu e Kagami ce la farete», a questo punto non ha più senso fingere di non ricordare.

«Il nostro avversario è Kise-kun».

Il nome del mio ex compagno di classe non mi lascia indifferente, ma non sono sicura del perché.

«Per quale motivo me lo stai dicendo?», domando, invece, nascondendo la mia agitazione. «Speri forse che venga alla partita e che magari decida di incontrarlo?».

«Kise-kun sarebbe felice di vederti», ribatte Kuroko, fermo nella sua posizione.

«Se è vero che è cambiato, come hai detto, probabilmente ti sbagli. Perché dovrebbe essere contento di vedere una ragazza che se n’è andata senza neanche dirgli addio?».

«Perché non sei tu la causa del suo cambiamento».

«Allora qual è?».

«Io…non lo so». La voce di Kuroko trema per un breve istante, seguito dal suo silenzio.

Cosa può essere successo di così terribile da rattristarlo tanto? Se nemmeno Kuroko ha una risposta, la situazione deve essere estremamente complicata. Se fossi rimasta alla Teikō con i miei amici, sarebbero cambiati? Kuroko ha detto che non sono io la causa di questo mutamento, eppure non mi sento di escludere la possibilità. L’incidente di quella sera avrà sicuramente avuto qualche effetto su di loro. Mi basta ricordare il volto pallido e terrorizzato di Satsuki per non avere dubbi. Nessuno potrebbe rimanere impassibile davanti a tre giovani corpi esanimi, o davanti alla visione di un’amica coperta di sangue. E non è sufficiente a discolparmi il fatto che sia stato il mio alter ego a manipolare quei due ragazzi affinché aggredissero Aizawa.

L’aria si è appesantita. Né io né Kuroko osiamo parlare. Forse anche lui, come me, non sa cosa dire. Purtroppo, a differenza sua, io non ho parole di conforto per lui perciò è meglio che sia io a terminare qui la conversazione.

«Perdonami, Kuroko ma…».

«Ku-ro-ko!».

Kagami emerge dalla palestra, palesemente irritato. Incurante della tensione che domina il momento, avanza verso di noi a grandi falcate, come un toro inferocito pronto a caricare il matador. Quando il minuto compagno di squadra è infine alla sua portata, la sua mano cala violentemente sulla sua testa, stringendola energicamente.

«Per quanto ancora vuoi battere la fiacca, eh?».

«Kagami-kun, potresti lasciarmi adesso?».

La piccola vena sulla tempia di Kagami inizia a pulsare furiosamente. Nonostante lo sforzo sovraumano, la collera di Kagami esplode alla reazione assolutamente composta di Kuroko. Il tono pacato della richiesta non rende giustizia alla crudeltà della tortura.

«Cosa diamine ci fai qui fuori?».

«Stavo parlando con Eiko-san».

Mi volto lentamente, non potendo evitare di dedicare le mie attenzioni al nuovo arrivato, se non altro per cortesia. Alla realizzazione della mia presenza, un sopracciglio del ragazzo si solleva, disegnando un arco sopra l’occhio.

«Ciao, Kagami», esordisco. «Stavo giusto per andarmene, non avevo intenzione di interrompere il vostro allenamento».

Kagami allenta la presa su Kuroko che, prontamente, inizia a sistemarsi i capelli in disordine. I suoi grandi occhi turchesi si posano quindi sul mio volto per la prima volta. Sono pieni di aspettativa e incondizionata fiducia.  

«È meglio che vada adesso», pronuncio sbrigativa, non sopportando più la pressione.

Do le spalle ai due ragazzi, ma prima che riesca ad allontanarmi le parole di Kuroko mi trattengono per un attimo.

«Ti aspetto domani mattina».

«Non ti prometto nulla», gli rispondo, incamminandomi verso i cancelli.

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Capitolo 25
*** Non sono abbastanza maturo da lasciar correre ***


Capitolo 14

“Non sono abbastanza maturo da lasciar correre”

 

 

 

 

 

          L’indomani mattina cammino avanti e indietro nella mia stanza, incapace di prendere una decisione. L’invito di Kuroko ronza nella mia testa come un fastidioso insetto estivo, alterando continuamente i miei stati d’animo. Qualunque forza soprannaturale abbia operato il suo sortilegio su di me, può ora dirsi soddisfatta: senza pensare oltre, raccolgo le mie cose ed esco dalla stanza.

          Il mio arrivo a scuola è presto accolto dagli occhi ridenti e compiaciuti di Kuroko. Ma non è lui a venirmi incontro, bensì una ragazza con i capelli corti e un fischietto appeso al collo.

          «Mi chiamo Aida Riko e sono il coach della squadra», si presenta. Ha uno sguardo brillante, che suggerisce un ottimo spirito di osservazione.

          «Io sono Eiko Wadsworth, molto piacere».

          I suoi occhi si illuminano dopo avermi osservata con più attenzione e un sorriso di pura simpatia mi conferma che ancora una volta il mio tenero aspetto è riuscito a conquistare un’altra ragazza.

          «Kuroko mi ha parlato di te», riprende subito dopo aver recuperato una certa compostezza.

«Spero di non essere stata troppo indiscreta nel presentarmi qui senza preavviso».

          «Chiunque ami il basket è il benvenuto e poi fa piacere avere un’altra ragazza nel gruppo».

          Dopo un breve giro di presentazioni generali, il capitano, Hyūga senpai, annuncia che raggiungeremo la scuola Kaijō usando i mezzi pubblici. Ovviamente Arthur non è felice della notizia e tenta in tutti modi di convincermi a salire sulla limousine.

          «Non sarebbe gentile da parte mia utilizzare la limousine e purtroppo l’auto non è abbastanza spaziosa per ospitare tutta la squadra. Oggi sono solo un ospite e non voglio creare problemi a nessuno», confesso sinceramente, sperando di dissuaderlo.

«In questo caso non mi lascia altra scelta, signorina: verrò insieme a lei», dichiara Arthur, irremovibile. «Ho il dovere di accompagnarla personalmente ovunque vada quindi, se è decisa a prendere i mezzi pubblici, lo farò anch’io».

          Concordando con lui che sia la soluzione migliore, ci aggreghiamo alla squadra per raggiungere insieme la meta.

 

***

 

          La prima impressione che la scuola ha lasciato su di noi è assolutamente positiva. Tutti i membri della squadra non smettono di guardarsi attorno con aria di meraviglia e, forse, un po’ di invidia. Il complesso scolastico sembra di costruzione abbastanza recente ed attrezzato per ospitare le più disparate discipline sportive. Assomiglia a uno di quei campus gestiti dalle grandi associazioni agonistiche che ogni anno preparano quelli che saranno sicuramente dei futuri campioni mondiali. Ho convinto Arthur ad aspettarmi fuori ai cancelli: la sua divisa avrebbe dato troppo nell’occhio e tradito immediatamente il mio status sociale. Non riesco ancora a capacitarmi di essere qui, insieme a Kuroko, nella stessa scuola di Kise. Sta succedendo tutto troppo in fretta e comincio a pentirmi di essere venuta. Mi sento angosciata all’idea di non sapere come reagirà Kise vedendomi. Prendo un lungo respiro sperando che mi aiuti a calmarmi ma il suono che odo subito dopo fa schizzare il mio cuore in gola.

          «Ehi, ragazzi!».

          Mossa dall’istinto, mi porto dietro Kagami, per nascondere la mia presenza. Se potessi rimpicciolirmi come Alice mangiando semplicemente un pezzetto di fungo. Ma questo non è il paese delle meraviglie e io non sono l’eroine di un romanzo. Sono solo una ragazza che ha commesso un errore e che ora dovrà accettarne le conseguenze.

          «Kise!». La voce di Kagami riporta la mia attenzione sul ragazzo che ora corre verso di noi.

          «Questo posto è enorme così ho pensato di venirvi a prendere».

          «Ti ringrazio». Aida-senpai si fa avanti per esprimere la propria gratitudine a nome della squadra, ma viene completamente ignorata.

          Senza degnare di uno sguardo gli altri ragazzi, Kise indirizza il suo esclusivo interesse a Kuroko.

          «Kuroko-cchi, da quando hai rifiutato il mio invito, ho passato tutte le notti a piangere nel letto».

          Come un bimbo capriccioso, incurva le labbra in una smorfia di delusione. Il piagnisteo è prontamente accompagnato da qualche lacrima di scena, degna del più esperto attore, mentre il tono petulante della lamentela si guadagna presto un commento del capitano Hyūga.

          «Si può sapere qual è il suo problema?».

          Dall’espressione irritata che sta mostrando, direi che la sua prima impressione di Kise non è delle migliori.

          «Piantala e facci strada!».

          «Nemmeno una ragazza mi ha mai rifiutato», continua Kise, senza badare minimamente al commento di Kagami.

          Al contrario, per nulla turbato dall’atmosfera, Kuroko prende infine la parola.

          «Potresti evitare di fare del sarcasmo?».

L’espressione nei suoi occhi è rilassata, ma non indulgente. Il suo atteggiamento nei confronti di Kise non è mutato nemmeno per un secondo. L’impassibilità con la quale ha pronunciato il suo implicito rimprovero mi lascia perplessa. Davvero Kuroko non è capace di esprimere alcuna emozione?

          «Ora sono proprio curioso di saperne di più sul ragazzo che è riuscito a far parlare Kuroko-cchi in questo modo».La voce di Kise è ora improvvisamente grave e seria. Nei suoi occhi c’è un intenso luccichio di gelosia e curiosità mentre si rivolge a Kagami. «Non mi importa molto del titolo Kiseki no Sedai, ma non posso certo ignorare una sfida tanto ovvia. Non sono abbastanza maturo da lasciar correre. Perdonami, ma ho intenzione di distruggerti usando tutte le mie forze».

          L’atmosfera scherzosa e infantile di pochi attimi fa ha lasciato il posto a una pericolosa e palpabile tensione. Kagami è riuscito a catturare l’interesse di Kise e dalle sue parole traspare già una profonda rivalità nei suoi confronti.

          «Interessante», appoggiata alla schiena di Kagami, sento vibrare le sue parole sotto la sua pelle.

          Lanciata la dichiarazione di guerra, Kise sembra finalmente pronto a dare le spalle a Kagami per scortare la squadra all’interno della palestra dove si terrà la partita. Pensando di aver scampato il pericolo, mi rilasso emettendo un sonoro sospiro, ma la mia imperdonabile leggerezza diventa presto causa della mia rovina.

          «Uh, Eiko-cchi?».

          Al pronunciare del mio nome il mio corpo inizia a tremare.

          «Eiko-cchi, sei davvero tu!».

Ancora una volta la voce di Kise cambia per passare a toni euforici. Sapevo che venire qui sarebbe stata una pessima idea. Kise sarà infuriato di vedermi e non posso dargli torto. Speravo almeno di non dovermi esporre davanti ai membri della squadra. Cosa penseranno di me dopo che Kise avrà spiattellato del mio passato alla Teikō per vendicarsi del mio tradimento? Potrei provare a scappare per attirarlo lontano e vedermela poi con lui in privato, ma con le sue abilità atletiche mi catturerebbe dopo il primo passo. A questo punto non posso fare altro che accettare stoicamente la mia sorte e preparami al peggio.

Mi stringo nelle spalle, serrando i pugni lungo i fianchi in attesa che Kise faccia qualunque cosa abbia in mente di fare. La sua reazione, però, mi lascia assolutamente di stucco. Le sue braccia si stringono attorno alla mia vita e mi sollevano in aria. Prima di rendermene conto, la bocca di Kise è incollata alla mia guancia in un bacio pieno di affetto.

«Ki-Kise, per favore, mettimi giù adesso», lo imploro dopo aver notato gli sguardi sbigottiti dei miei compagni di scuola. L’unico che sembra invece compiaciuto della situazione è Kuroko.

«Pensavo che non ti avrei mai più rivista», piagnucola Kise con il solito tono infantile, accettando di rimettermi sulla terraferma, sebbene contro voglia.

«Io…non so che dire. Non sei arrabbiato con me?», lo interrogo, confusa.

«Arrabbiato? Semmai ero preoccupato. Dopo che te ne sei andata, non abbiamo avuto più notizie di te. Avevo paura che ti fosse successo qualcosa di terribile. Sai dopo quella sera…». I suoi occhi d’ambra si socchiudono in un’espressione di tenera compassione. «Sono così felice di vedere che stai bene».

Una lacrima scivola sulla sua guancia e so che questa volta è vera. Fino a questo momento ho temuto di incontrarlo e fino all’ultimo ho pensato di fuggire. Senza sapere nulla, ho immaginato le più terribili parole uscire dalle sue labbra. Mi sono focalizzata così tanto sul mio senso colpa da non prendere in considerazione neanche una volta le persone che ho tradito. Non mi sono mai soffermata davvero sulle loro emozioni, sulla tristezza generata dal mio comportamento egoistico. Ogni volta che immaginavo il mio incontro con ognuno di loro, vedevo soltanto la mia sofferenza, la mia paura di essere rifiutata, disprezzata, odiata. Ero ossessionata dall’opinione che avrebbero avuto di  me e dalla prospettiva di un futuro senza amici, perciò ho mentito. Ho mentito a me stessa ripetendomi che il cambiamento non era nella mia natura, che non avevo bisogno di loro, né di diventare una persona diversa, migliore. Ma erano solo menzogne per nascondere la mia solitudine e la mia insicurezza. Se, nonostante i miei errori, Kuroko e Kise mi considerano ancora loro amica, che diritto ho di privarli di questa piccola gioia? Loro non mi hanno mai abbandonata, neppure quando ho voltato loro le spalle per andarmene. Li ho feriti, li ho respinti quando hanno provato a raggiungermi di nuovo, eppure riescono a versare lacrime di gioia per me.

«Mi dispiace, Kise. Se puoi, perdonami», mi piego in avanti, portando la testa il più in basso possibile. Mi sento così piccola davanti alla sincerità di Kise.

«A-Ah, che cosa fai, Eiko-cchi? Alza la testa!».

Il mio amico prova a risollevare il mio busto afferrandomi per le spalle, ma io oppongo resistenza per rimanere in posizione. Ho troppa vergogna per guardarlo negli occhi e troppa riconoscenza per esprimerla a parole.

«E va bene, allora mi scuso anch’io».

La testa di Kise si abbassa fino al mio stesso livello in un inchino profondissimo.

«Kise, no! Perché…», non ho il tempo di finire la frase.

«Perché anch’io voglio chiederti scusa. Non sono stato in grado di proteggerti quando ne hai avuto bisogno. Sono un pessimo amico!».

«Non è vero! Sei il migliore amico del mondo, invece. Quando Kuroko mi ha inviata qui oggi, non ho accettato subito perché avevo paura di incontrarti. Temevo che mi avresti odiata e che non avresti voluto più avere nulla a che fare con me».

«Eiko-cchi».

«In tutta onestà, non sono ancora sicura di meritare il tuo perdono o quello di Kuroko, ma la vostra generosità mi ha ridato speranza . Perciò posso solo esservi grata di avermi concesso una seconda possibilità».

Un groviglio di emozioni si addensa nella mia gola e nel mio cuore. So purtroppo di non poter ricambiare pienamente la loro sincerità a causa del segreto che devo custodire, ma questo non vuol dire che il mio affetto sia una menzogna. Voglio davvero bene a questi due ragazzi, se non latro per la fiducia che hanno avuto in me fino a oggi, ed è quindi giusto che mi impegni a ricambiare provando a ricostruire la nostra amicizia.

«Ora che è tutto chiarito, vi faccio strada», sollevato dalle mie parole, Kise mi rivolge un largo sorriso e ci invita a seguirlo verso il luogo del match.

 

***

 

Il primo incontro con il coach del Kaijō non è per nulla amichevole, come invece prevedeva il contesto della partita. Al nostro arrivo in palestra, infatti, il campo di gioco era diviso in due mezzi campetti. Questo perché l’allenatore della squadra avversaria non ha ritenuto necessario utilizzare il campo regolare per una partita contro una squadretta di seconda categoria come il Seirin. Come era facile prevedere, né Aida-senpai né Hyuga-senpai hanno preso bene l’affronto. Come se non bastasse il coach Takeuchi ha impedito a Kise di giocare, reputando la sua presenza in campo eccessiva. Di sicuro l’inizio non è stato promettente per i ragazzi del Seirin, in modo particolare Kagami sembrava sul punto di scoppiare per la rabbia e l’evidente umiliazione. Tuttavia, pochi secondi dopo il fischio d’inizio, è stato proprio lui a mandare a segno il primo punto della partita, portando così in vantaggio la nostra scuola. L’unico problema è che adesso la nostra squadra deve un canestro nuovo al Kaijō. Nonostante Aida-senpai sia corsa a scusarsi con il coach Takeuchi, sta trattenendo a stento un sorriso compiaciuto e soddisfatto. A questo punto saranno costretti a giocare sul campo regolare. Aida-senpai torna a sedersi sulla panchina mentre Kise fa il suo ingresso in campo. I suoi occhi si focalizzano sul nuovo giocatore e le sue labbra si lasciano scappare un commento di preoccupazione.

«C’è qualche problema, senpai?», la interrogo.

«Kise è un atleta fuori dal comune. Non sarà facile avere la meglio su di lui».

Che Kise avesse del talento, non era un segreto, ma gli occhi esperti della senpai devono aver sicuramente notato qualcosa che nessun altro sarebbe in grado di cogliere.

L’arrivo in campo di Kise ha dato una svolta definitiva all’andamento del match. Perfino io sono in grado di capire quanto il ritmo di gioco sia vertiginosamente aumentato a tal punto da costringere Aida-senpai a chiedere un timeout a soli cinque minuti dall’inizio. I ragazzi sembrano già stremati e mi domando se riusciranno a reggere fino alla fine. L’umore generale è piuttosto basso, ma non disperato. Purtroppo gli avversari si stanno rapidamente abituando allo stile di gioco di Kuroko e questo costringerà il Seirin a rivedere i propri schemi.

Passata una prima fase di assestamento, la partita prende una nuova piega. Le azioni combinate di Kuroko con il resto della squadra riportano il Seirin in una posizione vantaggiosa. Hyūga-senpai ha appena segnato un canestro da tre punti, accorciando così le distanze dal Kaijō. L’improvvisa rimonta del Seirin ha sicuramente impressionato gli avversari, ma è soprattutto Kise ad essere stato colto di sorpresa dal gioco di squadra di Kuroko. Non capisco bene, ma Kise sembra davvero scosso dal comportamento di Kuroko, dal suo cambiamento. Non so a cosa si stia riferendo, ma potrebbe avere a che fare con quanto successo alla Teikō dopo il mio trasferimento. In tal caso è normale che io non sia a conoscenza dei dettagli.

La tensione agonistica fra Kise, Kuroko e Kagami non ha fatto che crescere negli ultimi minuti di gioco. I miei due compagni di classe sono incredibilmente affiatati e la loro sintonia è riuscita a mettere sotto pressione gli avversari. Kise appare visibilmente frustrato, soprattutto dopo l’ennesimo tentativo di attacco andato a vuoto. È troppo ansioso, non ha più il controllo della situazione. il ritmo frenetico del gioco ha condizionato anche me. Mi sembra di camminare su una lastra di ghiaccio scricchiolante. Ogni passo rischia di farmi sprofondare nelle acque gelide, ma è il fischio dell’arbitro, invece, a gelare il sangue dì nelle mie vene.

«Kuroko-kun!».

Il grido di Aida-senpai guida i miei occhi fino al centro del campo. Kuroko giace sul pavimento, immobile. Senza volerlo, Kise lo ha colpito violentemente alla testa e probabilmente non sarà in gradi di continuare a giocare. Osservo il mio compagno mentre viene riportato a bordo campo dal capitano. È molto pallido e a stento si regge sulle proprie gambe. Una macchia di sangue fresco copre metà del suo volto e la sola visione è sufficiente a farmi sussultare di paura. Prima di oggi, non avrei mai creduto il basket uno sport tanto pericoloso.

Per fortuna le condizioni di Kuroko sono migliorate e Aida-senpai ha accettato di farlo rientrare. Confesso di non essere molto d’accordo con la sua decisione, ma al so posto avrei forse fatto la stessa cosa. Questa partita ha un significato speciale per Kuroko e, conoscendo la sua testardaggine, non sarei riuscita ad impedirgli di rientrare in gioco. Ma questa volta è Kise a preoccuparmi. Dopo gli ultimi minuti di smarrimento, dovuti forse al senso di colpa per aver ferito Kuroko, il suo sguardo è cambiato. La provocazione lanciata dal ritorno di Kuroko ha infiammato il suo spirito combattivo. Non ha alcuna intenzione di perdere e francamente mi sembra un po’ strano. Non l’ho mai visto dare così tanta importanza alla vittoria. Il suo desiderio di trionfare su Kagami e Kuroko è quasi morboso. Da quando vincere è l’unica cosa che conta? Forse è a questo che si riferiva Kuroko quando ha detto che erano cambiati, che il loro modo di giocare non era più quello che ricordavo. In effetti in questo momento non riconosco il mio vecchio compagno di classe. Mi sembra di vedere una persona completamente diversa. Il ritmo di gioco è di nuovo frenetico. Mancano pochi secondi al fischio di chiusura e nessuna squadra è intenzionata a cedere. Il punteggio è di 98 a 98, con meno di venti secondi alla fine. Il cuore potrebbe scoppiarmi da un momento all’altro per la tensione. Porto le mani al petto e inizio a tamburellare nervosamente con il piede. Dieci secondi è sarà tutto finito.

Kagami avanza col pallone alla mano, affiancato da Kuroko. Kise è subito davanti a loro per fermarli, ma è da solo, i suoi compagni si trovano all’altro lato del campo. I miei occhi si dilatano alla scena che segue. Kuroko è sotto il quadrato e sembra prepararsi a tirare. Kuroko non ha mai tirato a canestro e con tre secondi tempo non ha alcuna possibilità di segnare. Il pallone lascia le sue mani e vola fino alla rete, ma il tiro è troppo corto. L’intera panchina resta col fiato sospeso, pregando per un miracolo.

Quando tutto sembra perduto, una luce arriva a portare speranza. Kagami è sospeso in aria. Il suo braccio teso intercetta il pallone catturandolo nella sua solida presa. Il tempo attorno a lui sembra essersi congelato. Solo l’ultimo fischio dell’arbitro spezza l’incantesimo decretando la fine del match.

 

***

 

Kise. Devo trovare Kise. Nella mia testa non c’è altro pensiero, nonostante Kuroko, Kagami e il resto della squadra stiano ancora esultando per la vittoria. Niente di tutto questo è importante per me. Devo vedere Kise. I miei occhi cercano frenetici la sua figura in mezzo al campo. Quest’ansia non è normale. In fondo è solo una partita, perché dovrebbe preoccuparmi tanto? Eppure l’idea di vedere la disperazione sul volto di Kise mi angoscia.

Eccolo laggiù. Le sue spalle sono leggermente curvate in avanti e le sue mani coprono il viso. Stringo una mano sul petto, per soffocare la fitta al cuore. Le lacrime sgorgano dai miei occhi, condizionate dal pianto del mio amico. Non ho mai visto tanta disperazione sul suo viso. Era davvero così importante vincere? Cosa è successo da farti pensare che la vittoria sia tutto? Come può una piccola sconfitta farti piangere in quel modo? Il ragazzo che ricordo non avrebbe mai mostrato un’espressione tanto avvilita. Non si sarebbe lasciato piegare dallo sconforto. Allora perché? Ogni lacrima che nasce dai suoi occhi d’ambra appesantisce il mio cuore. Non riesco a pensare lucidamente. Mi sento strana. Perché la sofferenza di Kise mi opprime al punto che mi sento mancare il respiro nei polmoni? Non riesco a fermare queste lacrime, questi pensieri, questi sentimenti. Il pianto sgorga dai miei occhi ma sembra nascere contro la mia volontà. La mia mente è confusa. Se provo a concentrarmi su qualcosa, il mio pensiero è costretto a ritornare su Kise. Non mi è permesso distogliere lo sguardo dalla sua figura perfetta, dai suoi capelli dorati, dai muscoli definiti che risaltano sotto il tessuto della divisa. Vorrei toccare le sue mani, bagnate dalle lacrime, e intrecciare le sue dita alle mie. Vorrei accarezzare la sua guancia e asciugare il suo pianto con la mia pelle. Vorrei portare la sua testa sul mio petto e nascondere il suo bellissimo volto. Vorrei che fosse mio, solo mio. Vorrei sentire il calore del suo corpo contaminare il mio mentre le sue braccia mi attirano a sé. Vorrei che le sue labbra desiderassero le mie e…

«Eiko-san, dobbiamo andare».

A cosa stavo pensando? Cos’erano quelle immagini così imbarazzanti? Perché sto piangendo? Kuroko? Da quanto tempo è qui? non ricordo cosa stavo facendo. Abbiamo vinto la partita, allora perché non stavo festeggiando con i miei compagni. Perché mi sento così triste?

«Va tutto bene?».

La mia testa si abbassa lentamente sulla mia spalla, sulla mano di Kuroko.

«Certo che sto bene: abbiamo vinto!», esclamo con un largo sorriso. Non ho tempo di pormi domande. Devo riprendermi o rischio di insospettire qualcuno.

«Stiamo per andare via», mi avvisa Kuroko.

Nonostante la vittoria sembra piuttosto tranquillo. Beh, non dovrei meravigliarmi ma, considerando quanto importante fosse per lui questa partita, mi sarei aspettata una reazione un po’ più energica. Alzando le spalle rassegnata, seguo Kuroko all’esterno della palestra.

«Visto che siamo in due distretti diversi, se ci incontreremo di nuovo sarà all’Inter High».

«Ci saremo sicuramente. Non voglio confessare il mio amore con le chiappe al vento», dichiara Hyūga-senpai, tremando al pensiero dell’umiliante punizione.

I due capitani si stringono infine la mano e ogni squadra prende la propria strada. Quanto a Kise, è sparito subito dopo la partita e non si è più fatto vedere. Spero solo che stia bene.

Il rientro a casa non è per me dei più sereni. Non riesco infatti a togliermi dalla testa quello che è successo in palestra, al termine del match. Più ci penso e più sono spaventata. Ricordo perfettamente la sensazione. La situazione di questa mattina è la stessa di quella sera e non promette nulla di buono. Di una cosa, però, sono abbastanza sicura: non credo che c’entri Meiko. Anche se si è trattato di pochi secondi, i sentimenti di quel momento erano completamente diversi da quelli provocati dal risveglio di Meiko. Ma sono ancora troppo confusa per sostenere con certezza la peggiore delle ipotesi. Per questa sera andrò a dormire, cercando di non rimuginarci troppo su.

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Capitolo 26
*** Non distruggerai il mio sogno d’amore ***


Capitolo 15

“Non distruggerai il mio sogno d’amore ”

 

 

 

 

 

Oggi è domenica e mio cugino Seiichi ha insistito perché lo accompagnassi in centro, in un negozio di musica in cui lavora un famoso liutaio italiano. Quando abbiamo lasciato la villa, Seiichi sembrava particolarmente di buon umore, non che non lo sia normalmente, ma è chiaro che questo piccolo viaggio sia legato a un evento importante. Quello che mi ha sorpresa, però, è stato ricevere un invito diretto da lui. Di solito non ama avere compagnia quando si reca in città per qualche commissione particolare. Non perché non sopporti di portare con sé qualcuno della famiglia, quanto per una “dimostrazione di riguardo”, come dice lui. Seiichi è consapevole di isolarsi completamente dal mondo quando trova qualcosa di suo interesse, soprattutto se si parla di arte o di musica. Mio cugino non è un genio solo col pennello, ma anche con l’archetto. È infatti un “violinista raffinato e di carattere”, come lo ha definito qualcuno. Ora, io non sono un’esperta del settore, ma non posso negare il suo talento musicale.

«Non mi hai ancora detto dove stiamo andando», pronuncio iniziando così una breve conversazione che possa allietare il viaggio.

«Ritengo che mantenere il segreto renderà la sorpresa maggiormente gradita», ribatte Seiichi, scansando elegantemente la questione.

«Dimmi almeno perché hai voluto che ti accompagnassi», insisto io, decisa a vedere soddisfatta almeno una delle mie curiosità.

Per qualche istante Seiichi mi osserva con una gentile premura negli occhi, quindi risponde: «Ho il sospetto che qualcosa ti turbi profondamente».

Con uno scatto abbasso la testa per interrompere il contatto visivo. Le mie mani si chiudono sulle mie ginocchia e le mie spalle si irrigidiscono.

«Non temere, mia cara, non ho in me di persuaderti a condividere le tue angosce, dal momento che non lo desideri».

Le parole di Seiichi sono strane come al solito, ma ho capito che non mi costringerà a parlare, a meno che non sia io a volerlo fare. È una grande consolazione per me, poiché non saprei cosa dire. Ma adesso mi è finalmente chiaro per quale motivo mi ha chiesto di accompagnarlo: vuole farmi distrarre in modo che non mi tormenti con le mie preoccupazioni. Sono felice di avere accettato il suo invito, perché non sono molte le occasioni per trascorrere del tempo insieme a lui. E poi, desidero davvero conoscere meglio il suo mondo. Seiichi è molto saggio e sono sicura di poter imparare qualcosa di utile stando al suo fianco.

Il negozio si trova ad Asakusa, un quartiere del distretto speciale di Taitō, nella parte nord-est di Tōkyō. È una struttura che non passa inosservata, non tanto per le dimensioni, quanto per l’aspetto. La sua architettura, infatti, non ha nulla dello stile tradizionale giapponese, bensì rimanda chiaramente al gusto italiano del XVI secolo. 

«Non sapevo che in Giappone ci fossero negozi come questo», pronuncio, osservando meravigliata l’edificio a due piani in pietre e mattoni. «Sembra una vecchia bottega italiana del Tardo Rinascimento».

«In vero lo è», risponde Seiichi. «O almeno lo è la sede originaria che si trova in Italia. Ma vieni, entriamo».

L’interno del negozio mi lascia assolutamente a bocca aperta. Un piccolo mondo antico sembra aprirsi davanti ai miei occhi. Avevo visto luoghi simili solo nelle vecchie pitture dei libri di mia madre e mai avrei creduto di mettere un giorno piede in una vera bottega di liutai. La stanza è avvolta in una calda luce color fiamma, che conferisce alle pareti, rivestite di pannelli di legno, e al pavimento, in mattonelle di terracotta rossa, un velo di antichità. Il soffitto, in legno più scuro e incredibilmente basso rispetto agli standard moderni, è a cassettoni e in ogni quadrato è scolpito un piccolo fiore in bassorilievo. L’ambiente è pervaso da un profumo silvestre e dalle note classiche di un allegro motivetto barocco. Ai muri della sala e al centro sono posizione delle bacheche all’interno delle quali fanno bella mostra di sé decine di strumenti, dai violini ai violoncelli, alle chitarre. Mentre mi guardo intorno con occhi colmi di meraviglia, un uomo emerge dalla porta che dà probabilmente sul laboratorio vero e proprio. Cammina con passo lento e claudicante. Il suo corpo rotondo mortifica un’altezza per natura non eccezionale. Ma sono i tratti del suo viso a catturare il mio maggiore interesse e a suggerirmi che non si tratta di un uomo asiatico.  

«Seiichi, figliolo!», esordisce abbracciando mio cugino.

«Mastro Rampini, mi permetta di ringraziarla ancora», risponde Seiichi, piegandosi subito dopo in un profondo inchino ossequioso.

«Su, su ragazzo, conserva queste formalità per i signori locali. Io sono solo un umile liutaio venuto anni or sono dall’Italia per onorare la richiesta di un amico».

L’anziano artigiano sorride imbarazzato. I suoi occhi sono gentili e pieni di vita, non sembrano affatto quelli di un uomo che ha superato il mezzo secolo di vita. In compenso gli occhiali appoggiati sul naso curvo tradiscono qualche acciacco dovuto all’età e ai numerosi anni di lavoro.

«Chi è questa adorabile signorina?», le attenzioni dell’uomo si spostano all’improvviso su di me.

«E’ mia cugina», risponde Seiichi, incoraggiandomi a presentarmi.

«Mi chiamo Eiko Wadsworth e sono onorata di conoscerla, Mastro Rampini».

«Ah, ah. Non seguire il cattivo esempio di tuo cugino. Puoi chiamarmi tranquillamente Luigi».

«Oh, non potrei mai mancarle di rispetto».

«Vedo che sei testarda quanto Seiichi, ah, ah! Ma puoi tralasciare tranquillamente il Mastro. Per i miei affezionati clienti sono semplicemente il signor Rampini». Il buon uomo torna dunque a rivolgersi a Seiichi. «Concedimi qualche minuto, ragazzo mio. Voglio controllare un’ultima volta che il tuo nuovo violino sia perfetto».

«Nuovo?», ripeto guardando mio cugino.

«Qualche mese fa ho commissionato un nuovo strumento all’illustrissimo Mastro Rampini. L’abilità delle sue dita e la solidità della sua esperienza non conoscono pari in tutto il Giappone».

«Così mi fai arrossire», commenta il signor Rampini. «Sarà meglio che vada a ultimare il lavoro, adesso». Quindi si ferma un attimo per consultare il grande orologio a pendolo. «Tra poco dovrebbe arrivare anche lui».

«Si riferisce al giovane chitarrista?», lo interroga Seiichi.

«E’ qualcuno che conosci?», gli chiedo a mia volta, curiosa.

«Non particolarmente. È anche egli un cliente fedele del negozio».

«Dovrebbe avere più o meno la tua età», aggiunge il signor Rampini. «Viene tutte le settimane per controllare se è arrivato qualche nuovo cd. È un ragazzo molto disciplinato e ben educato. Inoltre è anche un bel giovanotto», conclude il signor Rampini con un occhiolino allusivo.

Il cigolio della porta del negozio interrompe la conversazione. Con un impeccabile sincronismo, ci voltiamo tutti e tre verso l’ingresso della bottega attendendo che il nuovo cliente si riveli. Quando la sua figura entra infine nella stanza, i miei occhi si allargano, increduli.

«Sei puntuale come al solito, figliolo!», sorride il signor Rampini, accogliendo il ragazzo.

«E’ un po’ imbarazzante sapere che mi stava aspettando», risponde il nuovo arrivato, portando una mano dietro la testa. Quindi, i suoi bellissimi occhi grigio-azzurri scivolano su Seiichi.

«Buongiorno», pronuncia mio cugino, ricambiando le attenzioni.

Ancora sorpresa, dimentico di rivolgere il mio saluto al giovane. Il mio sguardo rimane invece immobile su di lui. Nonostante sia consapevole che il mio comportamento sia inappropriato, non posso fare a meno di fissare con insistenza il suo volto.

Al contrario, il ragazzo rifiuta di incontrare i miei occhi, mostrandosi evidentemente a disagio.

Il signor Rampini si piega verso di me per sussurrarmi all’orecchio: «Te l’avevo detto che era un bel giovanotto, ma è piuttosto timido con le ragazze. Forse non dovresti fissarlo in quel modo».

«Cos…io…mi…mi dispiace è solo che…non mi aspettavo di incontrare qui il capitano del Kaijō», confesso infine, provando a mascherare l’imbarazzo come meglio posso.

«Kasamatsu-san è dunque una tua conoscenza», osserva Seiichi, sorpreso almeno quanto me.

«L’ho incontrato l’altro giorno, durante l’amichevole contro la scuola Kaijō, ma non ci siamo mai presentati ufficialmente», quindi, ricordando le buone maniere, rivolgo finalmente il mio saluto al ragazzo. «Mi chiamo Eiko Wadsworth. Io e Kise eravamo compagni di classe alla Teikō. Piacere di conoscerti».

«Ah…Ehm…Io…io sono…Ka-Kasamatsu Yu-Yukio. Pi-Piacere mio».

Non credo di esagerare se dico che il ragazzo che ho ora davanti a me non ha nulla in comune con il capitano della squadra che, l’anno scorso, si è dimostrata degna di partecipare ai campionati dell’Inter High. Se non fosse per il meraviglioso colore dei suoi occhi, che è rimasto impresso nella mia memoria come una macchia di inchiostro indelebile, e il suono della sua voce, penserei di trovarmi in presenza di una persona completamente diversa. Il balbettio nervoso della sua presentazione non ricorda in alcun modo il tono sicuro e deciso con cui, solo l’altro giorno, spronava i suoi compagni di squadra sul campo di gioco.

«Du-dunque, Eiko, sei…un…un’amica di Ki-Kise?».

«E-Eiko? Mi…Mi hai chiamata per nome?».

Contagiata forse da Kasamatsu, non passa molto tempo prima che anche io inizi a balbettare. La mia osservazione, tuttavia, provoca l’immediata reazione del capitano.

«Per-perdonami!!! Non…non so come mi sia ve-venuto in mente. Non avevo intenzione di…di offenderti», in balia del proprio imbarazzo, Kasamatsu compie un paio di passi all’indietro urtando un piccolo scaffale sul quale sono esposti, in modo molto ordinato, diversi spartiti. L’impatto improvviso dapprima fa oscillare il mobiletto che infine cade a terra con un tonfo sordo, sparpagliando sul pavimento di terracotta i numerosi fascicoletti. Senza pensare, mi inginocchio a raccoglierli. Il mio corpo si muove prima del mio cervello e quando finalmente realizzo che la reazione di Kasamatsu è stata tanto rapida quanto la mia è ormai troppo tardi. Le nostre teste cozzano l’una contro l’altra con una forza tale da far ricadere entrambi all’indietro sul fondoschiena.

«Oh caspita! State bene ragazzi?», il signor Rampini si prodiga immediatamente per aiutarmi a rimettermi in piedi.

«Si, credo di si», rispondo accettando il suo aiuto.

«So-sono mortificato! Ti sei fatta male?», nonostante anche lui sia una vittima del buffo incidente, Kasamatsu non sembra avere accusato minimamente il colpo. Al contrario si rialza immediatamente solo per implorare il mio perdono con una serie di profondissimi inchini.

«Sto…sto bene. Dico davvero. Ecco, guarda!», sperando di convincere il capitano a rialzare la testa, mi sporgo in avanti e scopro la fronte alzando la frangia con una mano. «Visto? È solo un piccolo bernocc…».

Ancora una volta agisco senza pensare. Prima di riuscire a terminare la frase, il volto di Kasamatsu si solleva alla stessa altezza del mio. La distanza tra di noi è ora talmente ridotta che, nel momento in cui i nostri sguardi si incontrano, i nostri nasi si sfiorano. Il lievissimo contatto fisico ammutolisce entrambi e le guance del capitano si colorano rapidamente di un intenso colorito roseo. Sospettando che la stessa cosa stia accadendo anche a me, compio un passo all’indietro per allontanarmi, ma il mio piede si posa sulla copertina plastificata di uno spartito facendomi perdere così l’equilibrio. Mentre precipito all’indietro, agguanto, d’istinto, il filo delle grandi cuffie posizionate attorno al collo di Kasamatsu, trascinando anche lui con me nella rovinosa caduta. Preparandomi all’impatto con il pavimento, chiudo infine gli occhi.

Il freddo delle mattonelle di terracotta trapassa i miei vestiti e si diffonde su tutta la mia schiena. Tuttavia, due punti del mio corpo emanano un vivido calore. Il retro della mia testa, che dovrebbe giacere sul gelido pavimento e dolere per la collisione con la dura superficie,  è invece illeso. Durante la caduta, la mano del capitano è rapidamente scivolata dietro la mia nuca per proteggerla. I suoi riflessi mi hanno salvato la vita. Mentre penso che dovrò assolutamente sdebitarmi con lui, riapro gli occhi e quello che vedo quasi mi strappa il respiro dalla gola. Il volto di Kasamatsu copre interamente la mia visuale. I suoi occhi sono così vicini che riesco a vedere la mia immagine riflessa nelle sue pupille. Ma, soprattutto, le sue labbra sono ora premute sulle mie in quello che a chiunque apparirebbe come un bacio. Il mio primo bacio.

«Però, sei più audace di quello che sembri, figliolo», chiaramente divertito dalla situazione, il signor Rampini spezza l’imbarazzante silenzio con la sua gioiosa risata.

Risvegliato dal commento dell’anziano artigiano, il capitano torna finalmente in sé e si allontana da me, liberandomi dal peso del suo corpo e premettendomi di rialzarmi. Il mio cuore galoppa come un cavallo selvatico, senza redini né freni. Le mie orecchie catturano appena la voce lontana e ovattata di Kasamatsu che ancora una volta implora il mio perdono e mi basta uno sguardo per capire che, grazie a questo incidente, il suo livello di mortificazione ha infine raggiunto il picco. Non sono nemmeno sicura che in questo momento stia pronunciando parole di senso compiuto, quanto piuttosto una serie di sillabe incompiute e totalmente scollegate fra di loro. Probabilmente si aspetta che io dica qualcosa, o reagisca comunque in qualche modo. Invece resto completamente immobile, con lo sguardo vago e la mente incapace di formulare anche il più semplice dei pensieri. La verità è che, se ora decidessi di aprire bocca, tutto ciò che ne uscirebbe sarebbe solo una successione di mugugni indecifrabili, versi primitivi e suoni ben lontani dal definirsi umani.

«È meglio che me ne vada! Rampini-san, la prossima volta la ripagherò per lo scaffale».

«Non è necessario, figliolo. Piuttosto, sei sicuro di stare bene?».

«S-si, sto benissimo, ma ora devo proprio andare. A-Arivederci!!!».

Il saluto disperato di Kasamatsu spezza la trance in cui ero caduta e per la terza volta il mio corpo agisce prima di ricevere il comando dal cervello. La mia mano cattura la felpa del capitano, impedendogli di fuggire. «Aspetta!». I miei occhi scendono quindi sulla sua mano. Le nocche delle dita sono ricoperte di numerosi graffi. Dalle piccole ma profonde ferite, il sangue scorre, disegnando sulla pelle tanti sottili ruscelli che gocciolano sul pavimento creando una densa macchia rossa. Consapevole che tutto questo sia successo nell’attimo in cui la sua mano ha protetto la mia testa e mettendo da parte l’imbarazzo per un attimo, mi faccio coraggio.

«Per favore, lascia almeno che mi prenda cura della tua mano».

«No, non…non serve».

«Ti prego».

La mia supplica sincera mi guadagna il consenso del capitano il quale, dopo aver preso un lungo respiro ed essersi calmato, chiude la porta del negozio e rivolge la propria richiesta al signor Rampini.

«Possiamo usare il suo kit del pronto soccorso?».

«Non devi neanche chiederlo, figliolo. Corro subito a prenderlo».

Lesto come una lepre, seppur zoppicante, il signor Rampini scompare nel retro della bottega per ricomparire pochi minuti dopo con una cassetta bianca tra le mani.

«La ringrazio», prendo con me la scatoletta e raggiungo Kasamatsu nella sezione dei cd.

Il capitano siede su una poltrona antica, usata probabilmente per la consultazione delle riviste musicali che si trovano nella saletta accanto. Il suo profilo per un momento mi lascia senza fiato. I gomiti appoggiati sulle ginocchia sorreggono il busto completamente rilassato. La mano sinistra stringe quella gemella e ferita, in un pugno gentile, che non impedisce però al sangue di infilarsi nelle sottili fessure tra un dito e l’altro e gocciolare sul pavimento. Gli occhi, sormontati da due sopracciglia corrucciate e scure come l’espressione nello sguardo di Kasamatsu, fissano un punto indefinito davanti a loro, inducendomi, per la loro intensità e bellezza, ad ammirarli in segreto. Il mio vagheggiamento dura però poco. Ricordando il vero motivo per cui mi trovo qui, annuncio infine la mia presenza.

«Ho portato la cassetta del pronto soccorso».

Distratto dalla mia voce, Kasamatsu riemerge dalle sue riflessioni per accogliere il mio arrivo con un improvviso rossore sulle guance. Le sue pupille vagano sulla mia figura senza però salire mai all’altezza dei miei occhi.

«Non dovevi disturbarti, sono solo graffi», pronuncia balbettando ogni singola sillaba.

«È solo colpa mia se ti sei ferito. Permettimi almeno di rimediare».

Mi avvicino quindi tenendo ben stretta la cassetta al petto, immaginando che sia un potente talismano capace di tramutare il mio imbarazzo in spavalda sicurezza. Contagiata dal disagio del capitano, avverto a mia volta l’agitazione crescere dentro di me. Mi inginocchio di fronte al mio salvatore osservando la piccola pozza di sangue ai suoi piedi. Usando diversi fazzoletti di carta, la ripulisco, incolpandomi per l’accaduto. Il silenzio assoluto scandisce ogni mio gesto mentre cospargo l’unguento sulle ferite aperte, mentre ripongo il tubetto nella cassetta e mentre avvolgo in bende pulite la mano del capitano. L’imbarazzo che ho provato poco prima ha ora lasciato il posto al rimpianto e al senso di colpa. Kasamatsu è proprio qui, davanti a me, eppure non ho il coraggio di alzare lo sguardo sul suo volto. Se ora incontrassi i suoi meravigliosi occhi non riuscirei più a trattenere le lacrime. Mentre mi prendo cura delle sue ferite, penso a come la mano che sto tenendo in questo momento tra le mie appartenga allo stesso ragazzo che senza esitazione mi ha protetta mettendo a repentaglio la sua stessa incolumità. Mi sento così sciocca e incapace. Come è potuto succedere?

«Mi…mi dispiace», Kasamatsu prende timidamente la parola.

«Perché ti scusi con me? Sono io a doverti chiedere perdono», confesso assicurando l’estremità del bendaggio con un piccolo nodo sul dorso della mano. «Se cadendo non ti avessi trascinato con me, non ti saresti fatto male».

La mia voce è fioca, ridotta quasi ad un soffio di rimpianto, mentre mi accingo a rimettere in ordine, assicurandomi di mantenere lo sguardo basso, come un servitore alla presenza del suo signore.

«Mi dispiace…averti chiamata per nome», dichiara Kasamatsu. Per un ragazzo rispettoso come lui, è sicuramente una mancanza imperdonabile nei miei confronti.

«Non preoccuparti, ci sono abituata. Le persone mi chiamano sempre per nome la prima volta. A quanto pare è un riflesso incondizionato e a me non dà fastidio».         

In verità, mi ha fatto piacere sentirlo pronunciare il mio nome con tanta naturalezza. Anche se solo per un breve attimo, mi ha fatto credere che fossimo amici.

«Puoi continuare a chiamarmi per nome, se vuoi», aggiungo sperando in una risposta positiva. Ma come avevo immaginato, Kasamatsu è troppo legato alle regole per infrangerle una seconda volta intenzionalmente.

«Anche se sei amica di Kise, non posso prendermi questa libertà. Non dopo quello che ho fatto prima».

«Prima? Intendi salvarmi la vita?», domando confusa, sollevando la testa.

I nostri occhi si incontrano in un nuovo silenzio. Dall’espressione imbarazzata di Kasamatsu capisco che i suoi pensieri sono diversi dai miei, fino al momento in cui un’intuizione si accende nella mia mente. Porto allora entrambe le mani alla bocca ricordando la sensazione delle sue labbra sulle mie. Il mio primo bacio è avvenuto per sbaglio, con un ragazzo incontrato per caso. Per fortuna non ho vissuto la mia vita credendo al principe azzurro e attendendo che arrivasse in sella al suo cavallo bianco. Sarebbe comunque normale se ora mi sentissi triste o arrabbiata o delusa. Non solo il mio primo bacio è stato un imprevisto, ma è stato preso praticamente da uno sconosciuto.

Eppure è strano. A parte un enorme senso di vergogna, non mi sembra di provare rabbia, né tristezza, né delusione. Forse è perché non ho mai fantasticato sul mio primo bacio. Se non fosse stato per le parole di Kasamatsu non me ne sarei neanche ricordata. Del resto, tutti i miei pensieri erano solo per la sua mano ferita e sanguinante. Ma adesso che la reazione del ragazzo davanti a me ha riportato in vita il ricordo che sembrava sepolto in profondità, non posso ignorare che sia successo. In fondo me ne sono accorta fin dal primo istante in cui i miei occhi si sono posati sul capitano del Kaijō: lui mi piace. Magari sarebbe più giusto dire che qualcosa di lui mi piace. Di sicuro mi ha lasciato una forte impressione il nostro incontro e non penso sia solo per il colore dei suoi bellissimi occhi. Inoltre, dopo il piccolo incidente, sono decisamente più consapevole della sua presenza, soprattutto in questo momento. È vero, sono a disagio, ma non è quel tipo di situazione dalla quale, solitamente, cercherei di fuggire. Al contrario, vorrei che il tempo rallentasse per darmi l’opportunità di approfondire questi miei sentimenti. Per la prima volta, ho il desiderio di conoscere davvero qualcuno, di guardarlo negli occhi e di essere guardata a mia volta. Chiacchierare scegliendo gli argomenti più quotidiani, senza pretese, senza aspettative. Semplicemente chiacchierare per scoprire la persona che ho davanti. Provare una curiosità tanto genuina e incondizionata verso qualcuno è per me una gradevole novità. L’anno scorso non mi sarei mai immaginata così. Che stia cambiando? Se questo cambiamento è il risultato della terapia, non mi dispiace.

«Ti ringrazio. Per avermi protetta».

Il mio animo è sereno, come il sorriso sulle mie labbra.

«Fi-figurati».

Impacciato, Kasamatsu continua a parlarmi tenendo lo sguardo su un punto vago della stanza. Non importa se i suoi occhi non sono ancora pronti per incontrare i miei, poiché non ho fretta. La sua timidezza è solo un altro richiamo per la mi curiosità.

 Questo incontro è forse l’indizio che stavo aspettando per ritrovare me stessa, per riscoprire chi sono veramente ed esserne grata. Se la vera Eiko è capace di provare simili emozioni, vale la pena darle un’opportunità. Fino ad oggi ho vissuto senza propositi né ambizioni, ma l’avere incontrato questo ragazzo potrebbe finalmente avere acceso dentro di me una fiamma, piccola, è vero, ma viva. Se voglio capire chi sono ed evitare che altre entità si impadroniscano del mio tempo, devo imparare ad essere abbastanza egoista da non volerlo dividere con nessun altro. Devo imparare ad assecondare questo nuovo desiderio, questa nuova voglia di conoscere e scoprire, di confrontarmi sinceramente con chi è riuscito ad risvegliare in me emozioni che credevo di non possedere.

 

***

 

Il tempo insieme a Kasamatsu vola e, prima che me ne accorga, Seiichi esce dal retrobottega stringendo tra le mani un violino nuovo di zecca. L’adorazione che luccica nei suoi occhi mentre contempla lo strumento è stata sufficiente a descrivermi quanta ammirazione mio cugino nutra nei confronti del signor Rampini.

«Spero che tornerai a trovarmi», confessa infine l’abile artigiano, porgendomi un vasetto di vetro.

«Che cos’è?».

«Solo una pomata per bernoccoli», mi sorride gentile, indicando la mia fronte.

«La ringrazio e mi dispiace tanto per quello che è successo».

«Al contrario, è stato molto divertente. Non vedevo quel ragazzo così agitato dalla prima e unica volta che ha parlato con Maria», dal fondo della sala una ragazza, intenta a riordinare le riviste sullo scaffale, sentendo pronunciare il proprio nome, accenna un saluto.

«Sono felice che l’abbia presa così bene», rispondo, imbarazzata.

«Yukio è un bravo ragazzo, ma ha poca esperienza con il gentil sesso perciò sii paziente con lui».

«Neanche io sono un’esperta quando si tratta di ragazzi».

«Meglio così. Avrete modo di imparare insieme, l’uno dall’altra».

«I-insieme? No, aspetti, non è come crede».

«E perché no? Non c’è nulla di male. Siete giovani, divertenti e, da quanto ho visto, avete una splendida intesa».

«È stato solo un incidente e sono certa che non vorrà rivedermi tanto presto».

«Di questo non ne sarei tanto sicuro», dichiara il signor Rampini, nutrendo le mie speranze.

Dopo essermi scusata un’ultima volta, io e Seiichi lasciamo infine le atmosfere rinascimentali della bottega per ritornare alla modernità del Giappone. Arrivati a casa, corro in camera mia, per trascrivere sulle pagine del mio diario gli avvenimenti di questo incredibile giorno, anticipando con trepidazione il mio prossimo incontro con il capitano del Kaijō.

 

***

 

L’indomani mattina, al mio risveglio, cerco il mio diario per rileggere quanto vi ho scritto la sera prima. Le emozioni sono ancora vivide dentro di me e ho bisogno di vedere con i miei occhi l’inchiostro nero sulla carta, per assicurarmi che non sia stato un sogno, che il mio incontro con Kasamatsu non sia stato solo il frutto di una mia fantasia.

Per fortuna la mia confessione è ancora immortalata tra le preziose pagine del diario, come l’imbarazzante ma divertente descrizione del mio primo bacio. Tuttavia, proprio mentre sto per richiudere il quaderno, mi accorgo di una nuova pagina subito dopo quella che ho compilato di mio pugno. Nonostante mi sforzi di ricordare, sono certa di non aver parlato d’altro all’infuori della mia visita al negozio del signor Rampini. Dunque chi può avere aggiornato il mio diario senza che me ne accorgessi? Nessun membro della mia famiglia oserebbe violare la mia privacy sapendo quanto questo quaderno sia importante per me. E comunque, l’unica persona che ha accesso alle sue pagine sono io. Possibile che ieri abbia scritto qualcos’altro dopo essere tornata  a casa? No, non lo è. Ricordo perfettamente quali sono state le mie ultime parole su questo diario e chiunque abbia avuto il coraggio di scrivere sul mio diario senza il mio permesso sapeva dove trovarlo. Ma l’unica a conoscere la combinazione per aprire il lucchetto sono io, dunque vuol dire che sono stata io a scrivere? Allora perché non lo ricordo? Questo aggiornamento è stato aggiunto alle 03:27. Perché mai mi sarei svegliata nel cuore della notte per scrivere nel mio diario? Dal momento che non ricordo, non mi resta che leggere per scoprire la verità.

 

Lunedì, 8 maggio 03:27

È notte fonda e non c’è nessuno sveglio a darmi il benvenuto. Non sopporto di essere sola, circondata dal silenzio e dalle ombre: è deprimente. Io sono una ragazza solare e gioiosa. La notte non mi si addice per nulla. Avevo così tanti progetti per il mio primo giorno qui fuori: andare a fare shopping, visitare un centro estetico, cambiare colore di capelli, fare colazione in centro e, naturalmente, incontrare il mio bellissimo Ryōcchi. Non riesco a togliermi dalla testa il suo volto perfetto, le sue lunghe ciglia, quei luminosi occhi d’ambra. Darei qualsiasi cosa per averlo qui, tra le mie braccia. Se solo non fossi costretta a dividere questo corpo. Come se non bastasse Eiko sembra essersi presa una bella cotta per quell’insopportabile capitano. Come si è permesso di prendere a calci il mio Ryōcchi? Non lo sa che per un modello il corpo è tutto? Un ragazzo tanto violento e rozzo starebbe meglio in uno zoo. Come ha fatto Eiko ad innamorarsi di lui?

Leggi bene queste righe, Eiko: se pensi che ti lascerò frequentare quell’incapace di un capitano con la fobia del sesso femminile ti sbagli di grosso. Ha già commesso un imperdonabile peccato: come ha osato prendersi il mio primo bacio prima di Ryōcchi? Solo perché per un po’ dovremo dividerci questo corpo, non significa che puoi fare quello che vuoi, hai capito? Queste labbra appartengono solo a Ryōcchi! Una principessa dovrebbe essere toccata solo da un principe. Non dimenticartelo mai più!!!

Adesso che so che sei una traditrice, non posso fidarmi di te. Ti sei schierata con Tecchi e per colpa sua Ryōcchi è stato umiliato. Nessuno osa far piangere il mio principe senza pagarne le conseguenze. E pensare che Ryōcchi è stato così generoso con te da concederti una seconda possibilità. Tu non meriti affatto di essere sua amica. Quando lo incontrerò, gli racconterò di persona del tuo tradimento e alla fine ti odierà.

Ma perché sto scrivendo in un diario? Siamo nel XXI secolo e nessuno usa più carta e penna per comunicare!! Mi verranno i calli alle dita se scrivo un’altra parola! Per questa notte mi ritiro, ma sappi che la prossima volta che abbasserai la guardia, Eiko, prenderò il tuo posto e andrò ad un appuntamento con Ryōcchi. Ho aspettato troppo per lasciarti rovinare tutto con la tua stupida cotta per quel capitano da strapazzo. Non distruggerai il mio sogno d’amore.

♥SEIKO ♥

°°°

 

Buona settimana, ragazzi! È comparsa una nuova personalità che farà di tutto per complicare la vita della povera Eiko. Se siete arrivati fino a questo punto, grazie! >_<

Come sempre, se questa storia vi sta piacendo, sarei felice di leggere qualche vostro commento. Intanto vi lascio un abbraccio e vi aspetto al prossimo capitolo. ^^

 Lady L.

 

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Capitolo 27
*** Sta’ lontano da Eiko! ***


Capitolo 16

“Sta’ lontano da Eiko!”

 

 

 

 

 

«Sei sicura di non essere stata tu a scriverlo?».

«Quante volte devo ripetertelo, Yoichi? Non ho scritto io questa pagina del mio diario. E se anche fossi stata io, perché avrei dovuto firmare con un altro nome?».

«Hai detto che erano le tre di notte. Magari eri ancora addormentata e hai messo un nome per un altro. Trattandosi di te, non mi sorprenderei».

«Così non mi sei affatto d’aiuto. Sapevo che coinvolgerti non avrebbe portato a nulla di buono. Non prendi mai niente sul serio, tu».

«Va bene, adesso non agitarti, Eiko. Vieni, siediti», Naoko indica il posto accanto a lei.

Prendendo in considerazione il suo consiglio, mi sistemo anch’io sul divano. Non posso certo dire di essere tranquilla in questo momento. Stamattina, al mio risveglio, ho infatti scoperto che qualcuno, a notte fonda e a mia insaputa, ha scritto nel mio diario. Ma la cosa davvero terribile è che questa ragazza, che si fa chiamare Seiko, altri non è se non una nuova personalità emersa dal mio subconscio. Non appena ho capito cosa fosse accaduto, mi sono precipitata in camera di Naoko per chiedere aiuto. Mentre parlavo con lei, Yoichi è entrato nella stanza cercando mia sorella e ha finito col leggere il mio diario, così ho dovuto mettere anche lui al corrente della situazione. Non volendo allarmare il resto della famiglia, ho pregato entrambi di mantenere il silenzio, almeno per ora. Di conseguenza, ci siamo riuniti tutti e tre nel solone per una riunione strategica.

«Penso che dovremmo rileggere con attenzione questa pagina. Potremmo trovare delle informazioni utili», propone Naoko, aprendo nuovamente il diario. «Se, come sospettiamo, si tratta davvero di una nuova personalità, direi che è in qualche modo collegata a questo Ryōcchi. Nel testo viene menzionato diverse volte e Seiko sembra tenere molto a lui. Sorellina, hai idea di chi possa essere?».

«Io credo si tratti di Kise. Ryōcchi potrebbe essere il diminutivo di Ryōta. E poi, anche Kise ha l’abitudine di chiamare con lo stesso soprannome le persone che gli piacciono».

«Io invece penso che sia tutt’altra l’informazione su cui dovremmo concentrarci», dichiara Yoichi, estraniandosi dalla conversazione. «Andiamo, qui c’è chiaramente scritto che Eiko si è innamorata di un ragazzo. Questa notizia da sola è sufficiente ad aprire un’intera indagine!».

Avrei dovuto aspettarmelo. Con mio cugino Yoichi finisce sempre così. Non ho ancora capito se questo suo prendere tutto alla leggera sia un modo per sdrammatizzare e alleggerire un’atmosfera pesante o se sia semplicemente parte del suo carattere frivolo e superficiale.

«Tanto perché tu lo sappia, Yoichi, non è affatto come pensi. Solo perché ho incontrato un ragazzo che è riuscito a catturare il mio interesse non vuol dire che mi sia innamorata. E comunque ho un problema più grave al momento, quindi, se non ti dispiace, cerca di dire qualcosa che possa essere utile alla situazione. Ah, e non ti azzardare a parlarne con nessuno, capito?».

«Va bene, va bene. Lascerò perdere per ora. Ma non finisce qui. Ritorneremo sulla questione», minaccia mio cugino con un ghigno divertito.

«Ragazzi, restate concentrati. Eiko, dobbiamo raccogliere più informazioni. Ricordi se negli ultimi giorni è successo qualcosa che possa aver incoraggiato Seiko a manifestarsi?».

«Non so se abbia a che fare con lei», inizio a raccontare, «ma il giorno della partita contro il Kaijō mi è successa una cosa strana. Alla fine dell’incontro sono corsa a cercare Kise e per qualche motivo non riuscivo a smettere di pensare a lui. Ero attratta da lui, ma non come amico. Desideravo solo correre da lui, confortarlo, toccarlo e…baciarlo. Ma ve lo ripeto, non ero in me in quel momento, lo giuro! Per me Kise è solo un amico!!».

Sorvolando sul mio imbarazzo, Naoko inizia a riflettere. «E’ possibile che i pensieri di Seiko si siano per un attimo sovrapposti ai tuoi e che tu abbia provato le sue emozioni».

«In effetti, quando sono tornata in me, stavo piangendo e mi sentivo molto triste, senza un reale motivo».

«Questo è un bel casino», Yoichi emana un sospiro lasciandosi cadere indietro sulla poltrona. «A questo punto, ogni volta che Kise è nei paraggi, c’è il rischio che Seiko prenda il tuo posto».

Non avevo preso in considerazione questa possibilità, semplicemente perché non volevo prendere in considerazione l’idea di dovermi tenere a debita distanza da Kise. Adesso che sono finalmente riuscita a ottenere il suo perdono e che siamo tornati ad essere amici, risulterei sospettosa se iniziassi ad evitarlo. Ma il ragionamento di Yoichi potrebbe avere un fondo di verità e, se non voglio correre il rischio di farmi rubare di nuovo il tempo, devo riconsiderare la mia relazione con Kise.

«Per fortuna frequentate due scuole diverse, quindi non dovreste avere molte occasioni per incontrarvi», sottolinea mio cugino, alzandosi dalla poltrona.

«Dove stai andando?».

«Tra poco si sveglieranno anche gli altri. Non vorrai che ci vedano qui e che inizino a fare domande?».

«Yoichi ha ragione», concorda Naoko apprestandosi a lasciare il salone a sua volta. «Preferirei mettere al corrente della situazione anche mamma e papà, ma rispetterò la tua decisione, Eiko. Tuttavia sarei più tranquilla se informassi almeno Haruka. Se dovesse succedere qualcosa mentre sei a scuola, potrai almeno avere qualcuno a cui chiedere aiuto. Inoltre credo che dovresti parlare anche con Arthur: dopotutto ha il compito di proteggerti».

«D’accordo. Parlerò con entrambi più tardi».

I primi raggi del giorno si spandono nella sala. Non mi sento affatto tranquilla sapendo che la mia serenità è di nuovo minacciata. L’unica consolazione è che Seiko non sembra pericolosa, almeno se paragonata a Meiko. Yoichi e Naoko non appaiono particolarmente allarmati ma io credo che stiano solo nascondendo i loro pensieri per non farmi preoccupare. Ad ogni modo, non c’è nulla che possa fare al momento se non evitare di incontrare Kise e confidare nel giudizio di Yoichi.

 

***

 

Come promesso, in macchina verso la scuola, racconto quanto accaduto ad Haruka e ad Arthur. Consegno il mio diario ad Haruka così che possa leggere da sé le parole lasciate da Seiko.

«Come ti senti?», domanda mia cugina, restituendomi il quaderno.

«Per ora mi sento ancora me stessa. Yoichi crede che se rimango lontano da Kise non dovrei correre pericoli».

«È assurdo, totalmente senza senso! Vuol dire che tutti gli sforzi che hai fatto fino adesso sono stati inutili? Per non parlare delle terapie e dei continui controlli in ospedale».

«Mi dispiace».

«Non è certo qualcosa per cui ti debba scusare, Eiko. Non è colpa tua, ma sono infuriata», in un impeto di frustrazione, Haruka colpisce il finestrino della limousine con il pugno. «Sono preoccupata per te e non so cosa fare per aiutarti».

«Stai facendo già molto, invece», la smentisco, «Senza di te, non so come me la sarei cavata a scuola. È solo merito tuo se mi sto ambientando e se ho trovato il coraggio di parlare di nuovo con Kuroko».

Haruka sospira esasperata. Nei suoi occhi vedo il senso di colpa, la rabbia, l’impotenza. Vorrei che si accorgesse di quanto preziosa e insostituibile sia per me la sua presenza, fuori e dentro la scuola, e vorrei trovare le parole giuste per rassicurarla. In verità, però, non so nemmeno come rassicurare me stessa. Non ho più certezze sul mio futuro, su questa giornata. Non che prima ne avessi, ma se non altro mi restava ancora la speranza.

«Scusami, Eiko», Haruka riprende a parlare con più calma. «In questo momento dovresti essere tu a urlare e io a consolarti, invece non riesco a controllare la rabbia che ho dentro».

«Non fa niente, ti capisco. In fondo sei preoccupata per me. E comunque, per adesso sto bene», provo ad essere più convincente mostrando il mio sorriso migliore.

«Oh, Eiko», Haruka mi attira a sé abbracciandomi con energia e scompigliando affettuosamente i miei capelli. «Arthur, da questo momento sei anche tu nostro complice, perciò hai l’obbligo di mantenere il segreto. Non una parola su Seiko, hai capito? Mamma e papà non devono saperlo».

«Come desidera, signorina Haruka», assicura Arthur, rispondendo attraverso lo specchietto retrovisore.

La promessa che mia cugina è appena riuscita a strappare ha dell’incredibile. Arthur non ha mai avuto segreti per mia madre e anche l’anno scorso, con la minaccia di Meiko, ha dichiarato più volte che non avrebbe esitato ad avvertire i miei genitori se mi fossi trovata in pericolo. Il fatto che ora non abbia aggiunto la stessa clausola all’accordo è in un certo senso sospetto. Ma forse questa volta è così accondiscendente perché non sono sola. Naoko, Yoichi e Haruka sono al corrente della situazione e cinque persone che lavorano insieme hanno sicuramente più possibilità di superare con successo una crisi.

La limousine si ferma davanti all’edificio scolastico. Nascondo il mio diario nella cartella, tra i quaderni. So che è rischioso portarlo a scuola, ma oggi farò un’eccezione. Arthur mi avverte che resterà tutta la mattina nei pressi della scuola, come al solito. Prima di scendere dall’auto, lancio una fugace occhiata allo specchietto retrovisore. Arthur è immerso nei suoi pensieri, tanto da non accorgersi di me ed Haruka mentre lasciamo l’abitacolo. Varcati i cancelli della scuola, mi volto indietro: la limousine è ancora ferma nello stesso punto, così come Arthur, ancora immobile con le mani sul volante e lo sguardo assorto. E la colpa è di nuovo mia.

 

***

 

Sullo schermo del mio cellulare compare un nuovo messaggio.

 

Eikocchiii, perché non rispondi? >_<

 

Per tutta la mattina Kise non ha fatto che inviarmi sms che io ho regolarmente ignorato. Sono passati diversi giorni dall’amichevole con il Kaijō e oggi si è messo in contatto con me per la prima volta dopo molto tempo per invitarmi sul set del suo prossimo servizio fotografico.

Il mio telefono vibra di nuovo.

 

Eikocchi! Eikocchi!! Eikocchiiii!!!

 

Se continua così dovrò riformattare il cellulare. A dire la verità ho risposto al primo messaggio scrivendo che il giorno del servizio avrei avuto da fare, ma Kise non ha preso bene la notizia e non smetterà di tempestarmi con i suoi sms fin quando non cambierò idea. Purtroppo, benché mi farebbe davvero piacere accettare il suo invito, per ovvie ragioni non posso. Ho infatti promesso a Yoichi che mi sarei tenuta a distanza dal mio amico per un po’ di tempo. Se Kise è davvero l’interruttore di Seiko, non è saggio rimanergli vicino. Spero solo che Kise non mi odi per questo.

 

***

 

Allo scoccare della pausa pranzo mi preparo a raggiungere Haruka sul tetto della scuola. Mentre sto per uscire dall’aula, Kuroko chiama il mio nome, attirando la mia attenzione. Quindi mi si avvicina ed emette un profondo sospiro.

«Eiko-san, hai da fare questo venerdì? Kise-kun ci ha invitati sul set fotografico».

«Si, lo so. Ho ricevuto i suoi messaggi, ma gli ho già detto che purtroppo questo venerdì, dopo la scuola, sono impegnata. E così ha chiesto a te di convincermi?».

«Kise-kun a volte sa essere davvero insistente. Comunque non preoccuparti. Se hai già un impegno non puoi farci niente».

«Mi dispiace», lascio quindi Kuroko e mi affretto a raggiungere Haruka.

Al mio arrivo, mia cugina alza le braccia al cielo.

«Finalmente, Eiko, ma dove eri finita? Sto morendo di fame».

«Scusa ma Kuroko mi ha trattenuta».

«È tutto a posto?», domanda Haruka, preoccupata.

«Si, è solo che Kise mi ha invitata questo venerdì sul set fotografico del suo prossimo servizio. Ovviamente gli ho detto che non posso perché ho un altro impegno, ma non l’ha presa bene ed è tutta la mattina che mi bombarda di messaggi. Visto che non rispondevo, ha chiesto a Kuroko di provare a convincermi».

«Non poteva scegliere momento peggiore per invitarti. Tu come ti senti?».

«Per ora bene, ma ho paura che se continuerò a rifiutarlo, potrebbe odiarmi».

Haruka si siede sul pavimento del terrazzo e alza le spalle. «Non puoi farci niente. Del resto non puoi dirgli la verità».

«Lo so, ma vorrei non dovergli mentire».

Prendo posto accanto ad Haruka e inizio a mangiare, anche se non ho molto appetito. Ogni boccone che ingoio è insipido, inconsistente. Avrei davvero voluto vedere Kise posare come modello. Sono proprio sfortunata. Mi domando per quanto tempo dovrò continuare ad evitarlo. Kise è stato il mio primo amico alla Teikō e averlo come compagno di classe rendeva ogni giorno allegro. E’ sempre stato facile parlare con lui. Diversamente dagli altri ragazzi, è sempre riuscito a mettermi a mio agio. In fondo posso capire perché Seiko gli sia così affezionata.

 

***

 

Durante il pomeriggio, Kise continua a mandarmi sms, distraendomi dalle lezioni. Benché non abbia risposto a nessuno di essi, non ho comunque avuto il coraggio di spegnere il cellulare. Non ricordo quasi nulla di quello che hanno spiegato i professori e ora mi toccherà studiare il doppio per compensare la mia mancanza di attenzione.

«Non preoccuparti, se c’è qualcosa che non hai capito, puoi chiedere a Naoko di spiegartela», mi ricorda Haruka, mentre percorriamo il cortile frontale della scuola.

«Non è questo il problema», le rispondo scuotendo la testa. «Il fatto è che non posso continuare ad essere distratta in classe. E se conosco Kise, domani non sarà diverso. Mi riempirà di messaggi come ha fatto oggi e io sono troppo curiosa per non leggerli, anche se poi non risponderò a nessuno. Potrei lasciare il cellulare a casa. No, non servirebbe. Anzi, sono sicura che mi farebbe sentire ancora più in ansia».

«Ci tieni davvero così tanto ad andare?».

Annuisco. «E’ la prima volta che Kise mi invita a trascorrere del tempo insieme a lui e, ti confesso, ero emozionata all’idea di vederlo al lavoro. Ma c’è un altro motivo: nel suo ultimo messaggio ha detto che c’è una persona che vuole farmi incontrare. Ecco guarda».

Apro la cartella e inizio a frugare tra i libri per trovare il cellulare. Tuttavia, mentre rovisto nel mucchio di quaderni, mi accorgo che il mio diario non è dove ricordavo di averlo messo.

«Non c’è! Il mio diario è sparito! Oh no, e adesso come faccio? Se qualcuno dovesse leggerlo, sarebbe la fine!».

«Va bene, torniamo in classe. Magari l’hai lasciato sotto il banco», Haruka afferra la mia mano e inizia a correre verso l’interno della scuola. «Non preoccuparti, lo troveremo».

Lo spero. Ma come ho potuto essere così sciocca da perderlo? Come se non bastasse, ho dimenticato il lucchetto nella limousine, perciò ora chiunque può aprirlo e leggere quello che ho scritto. Il mio più grande segreto rischia di diventare di dominio pubblico. Provo a scacciare il pessimismo dai  miei pensieri e mi concentro sulla corsa. Haruka è molto veloce e non è facile per me tenerle il passo. A complicare le cose, poi, ci pensano le ondate caotiche di studenti che avanzano verso di noi, diretti all’esterno dell’edificio. Haruka mi trascina su per le scale, facendosi strada tra urla e sgomitate. Sembra una forza della natura, un tornado che spazza via qualunque cosa abbia la sfortuna di intralciare la sua avanzata.

«Eiko, guarda!».

Haruka indica i due ragazzi che stanno uscendo dall’aula. Si tratta di Kagami e Kuroko e proprio quest’ultimo stringe tra le mani il mio diario. Lo osserva con attenzione, come se stesse cercando informazioni sul proprietario. Forse non l’ha ancora aperto. Le mie gambe iniziano a rallentare per la stanchezza.

«Non ce la faccio più, Haruka».

«Resisti, ormai ci siamo!», mia cugina serra la presa sulla mia mano.

«Non c’è più tempo!», esclamo terrorizzata alla vista di Kuroko che solleva lentamente la copertina del diario. È la fine.

«Accidenti», Haruka molla la presa su di me e scatta in avanti. In pochi secondi brucia la distanza che la divide dai due ragazzi con la stessa selvaggia agilità di un ghepardo che ha puntato la preda. «Non ci pensare neanche», ringhia prima di strappare furiosamente il diario dalle mani di Kuroko e sventare così la catastrofe.

Sopraffatti dallo sguardo rabbioso di Haruka, Kagami e Kuroko restano immobili per qualche secondo, troppo impauriti anche solo per sbattere le ciglia. Al contrario mia cugina ansima pesantemente come un toro furibondo.

Quando infine anch’io raggiungo il trio, i miei due compagni di classe riprendono a respirare.

«Eiko, tieni», Haruka mi consegna il diario, sfilando sotto lo sguardo terrorizzato di Kagami e Kuroko. Credo di dovere almeno una spiegazione ai due ragazzi.

«Kuroko, grazie per aver ritrovato il mio diario».

«Di niente», risponde Kuroko, ancora frastornato. «Era sotto il tuo banco. Devi averlo dimenticato».

«Se l’hai trovato sotto il suo banco, sapevi che era di Eiko. Non avevi alcun bisogno di aprirlo per leggere il nome del proprietario. Volevi solo soddisfare la tua curiosità leggendo i segreti di qualcun altro, ammettilo!!».

«O-ok, adesso calmati», Kagami interviene, ponendosi fra Kuroko e Haruka. «Non volevamo fare niente di male. Non c’è bisogno di scaldarsi così».

«Leggere il diario segreto di una ragazza lo chiami “niente di male”?», grugnisce Haruka, minacciando Kagami col pugno chiuso.

A questo punto c’è il rischio che mia cugina decida davvero di venire alle mani con i miei due compagni di classe. Mi intrometto quindi nella disputa e, tirando Haruka per un braccio, la richiamo a me.

«Va tutto bene, in fondo non è successo niente», pronuncio sforzandomi di sorridere per rassicurare Haruka. In realtà dentro di me sono così agitata che potrei vomitare. Il pensiero che il mio segreto stava per essere scoperto mi rende talmente nervosa e spaventata che mi riesce difficile rimanere in piedi sulle mie gambe.

«Non puoi essere indulgente. Non questa volta», lo sguardo negli occhi di Haruka è incandescente come un braciere.

«Dopotutto è colpa mia. Se non fossi così sbadata, non avrei perso il mio diario. Anzi, è stato un mio errore portarlo a scuola. Sono stata fortunata che siano stati Kuroko e Kagami a trovarlo». Si, voglio credere di essere stata davvero fortunata. Se i miei due amici avessero scoperto che soffro di personalità multipla, non mi avrebbero giudicata. Forse.

«Senpai», Kuroko prende la parola, dopo essere rimasto in silenzio fino a questo momento. Si volge verso Haruka e piega il busto in avanti. «Mi dispiace». Quindi sposta le sue attenzioni su di me. «Ti chiedo scusa, Eiko. Non avrei dovuto aprire il tuo diario. Perdonami».

«Non devi scusarti. Al contrario sono io che dovrei ringraziarti. Grazie di aver ritrovato il mio diario».

«Allora siamo ancora amici?», Kuroko solleva la testa e i suoi grandi occhi mi guardano pieni di speranza.

«M-ma certo che siamo…amici».

Dire questa parola ad alta voce mi risolleva. Anche se il pensiero che Kuroko potesse scoprire il mio segreto mi spaventava, mi terrorizza di più l’idea di perdere la sua amicizia. Sono perciò felice che tutto si sia sistemato.

«Non hai sistemato un bel niente, invece. Non ti permetterò mai di essere sua amica. Tecchi è un traditore».

Improvvisamente la mia testa è pesante, sovraccarica di pensieri. E non sono miei. Questa sensazione è fin troppo famigliare. Sta succedendo di nuovo, proprio come quella sera.

«Non puoi essere amica di un traditore. Forse tu l’hai dimenticato, ma io no. Non ho dimenticato l’umiliazione che il mio Ryōcchi ha dovuto sopportare a causa sua. Ho sempre saputo di non potermi fidare di te, Eiko, ma ora non ho più intenzione di starmene a guardare mentre tu ti schieri con il nemico».

La mia testa sfrigola come un cavo percorso da elettricità ad altissimo voltaggio. Le immagini davanti a me iniziano a sfocare.

«Eiko, va tutto bene?», Haruka è subito al mio fianco. La sua mano dolcemente appoggiata sulla mia schiena.

«È solo un mal di testa», mento per non insospettire i miei due compagni di classe. «Ma forse ora è meglio se andiamo».

«Certo».

Haruka raccoglie la mia cartella e vi infila dentro il mio diario. Con un cenno sbrigativo saluta i due ragazzi prima che possano fare domande e insieme ci affrettiamo alla limousine.

Una volta in macchina, il terribile dolore alla testa  si placa e io torno a respirare.

«Che cosa è successo?», si informa prontamente Haruka.

«Credo di aver sentito di nuovo i pensieri di Seiko».

«Cosa?! Perché dovrebbe farsi viva adesso?».

«Era arrabbiata con me e…con Kuroko».

«Kuroko? Quindi è colpa sua», conclude Haruka, abbandonandosi alla morbida pelle del sedile.

«Non è colpa di nessuno», la contraddico subito, per evitare che indirizzi ancora la sua collera verso il mio amico. «Il fatto è che Seiko è convinta che Kuroko abbia tradito Kise, anche se non so perché. L’unica cosa di cui sono certa è che lo considera un nemico».

«Questo significa che adesso anche Kuroko è un potenziale interruttore. Che casino!».

«Mi chiedo per quanto tempo riuscirò a mantenere il segreto».

Senza volerlo, esprimo le mie preoccupazioni ad alta voce. Dover mentire costantemente è sfiancante, così come dover tenere la guardia alta in ogni singolo istante della giornata. Se continuo di questo passo, la tensione mi farà presto crollare, per non parlare della mancanza di sonno. Ultimamente dormo sempre di meno. Più cerco di oppormi, più loro contrattaccano, prosciugando le mie energie fisiche e mentali. Prima Meiko e adesso Seiko. Non riuscirò a difendermi dai loro agguati ancora per molto, lo sento. Sento che la mia forza mentale si sta indebolendo. Tutto quello che posso fare ora è sospirare e scacciare momentaneamente da me la pressione.

«Andrà tutto bene», la mano di Haruka si posa sulla mia spalla. «Anche se il mondo venisse a sapere la verità e ti giudicasse per questo, noi continueremo a volerti bene. So che credi che la tua condizione possa danneggiare il nome della nostra famiglia, ma ricorda che non sei sola e che non devi prenderti tutto il peso sulle spalle. Se senti che è troppo difficile per te, dillo».

È come ha detto Haruka: qualunque cosa succederà in futuro, potrò contare sulle persone che amo. Da parte mia, ora, posso solo fare del mio meglio per tenere a bada queste ombre che minacciano la mia esistenza perché, fino a prova contraria, sono ancora io la padrona del mio corpo e del mio tempo.

 

***

 

Come ho fatto a finire in questa situazione? È talmente assurda che non l’avevo neanche presa in considerazione. Ma, forse, conoscendo Kise, avrei dovuto aspettarmelo. Si, avrei dovuto aspettarmi che si sarebbe presentato ai cancelli della scuola. Oggi è venerdì. È il giorno del servizio fotografico e, non avendo cambiato idea, Kise ha deciso di passare al contrattacco e venire fino alla Seirin. Questo significa che non ha creduto alla mia bugia.

«Che diavolo ci fa lui qui?», Haruka punta il dito contro Kise, posizionandosi immediatamente davanti a me.

«Ho paura che sia venuto a prendermi per portarmi sul set del servizio fotografico», rispondo in preda al panico.

«Stai scherzando, vero? Non gli avevi detto che eri impegnata?».

«Si e lui non mi ha creduto. Che cosa faccio adesso?».

Mentre io e Haruka pensiamo a come togliermi da questo pasticcio, i miei occhi incontrano quelli di Kise. Il mio amico inizia allora ad agitare un braccio in aria e a correre verso di me gridando il mio nome. Prima che le sue braccia si stringano intorno a me, però, Haruka gli si para davanti, facendomi da scudo.

«Sta’ lontano da Eiko», ringhia allargando le braccia.

Intimidito, Kise compie un passo indietro. Tuttavia, dopo un’occhiata attenta ad Haruka, la sua espressione cambia, addolcendosi, e un sorriso galante si apre sulle sue labbra.

«Non mi sono presentato. Mi chiamo Kise Ryōta e sono…».

«So benissimo chi sei», abbaia Haruka interrompendo la presentazione del mio amico. «Eiko ti ha detto che non può venire, quindi puoi tornare da dove sei venuto».

Le labbra di Kise si curvano in un’espressione rattristata. «E’ la prima volta che una bella ragazza mostra tanta ostilità nei miei confronti».

«Adularmi non ti servirà a niente. E adesso sparisci!».

Kise abbassa la testa per un attimo, scoraggiato. Vederlo così abbattuto mi mortifica, ma non sarebbe dovuto venire fino a qui.

«La verità è che ero così felice di rivederti, Eikocchi», lo sguardo di Kise si solleva lentamente su di me. «Non potevo più aspettare e così ho convinto la mia manager a venire qui. Non era mia intenzione crearti problemi. Mi dispiace».

Oh, no. Se mi guardi con quegli occhi malinconici non posso che sentirmi in colpa.

«Dovrò dirlo a Mayumi. Non la prenderà bene. E pensare che era così entusiasta»., mormora Kise tra sé e sé.

«Mayumi? Hai detto proprio Mayumi?».

«Oh, ricordi quanto ti ho detto che volevo che incontrassi qualcuno? Io e Mayumi lavoriamo per la stessa agenzia e quando ha saputo che ti avevo ritrovata, mi ha implorato di invitarti sul set. In fondo eravate migliori amiche».

All’improvviso tutta la mia determinazione a rifiutare l’invito di Kise inizia a vacillare. Quando ho lasciato la Teikō, l’ho fatto senza salutare nessuno, senza dare spiegazioni. Sono semplicemente sparita poiché non avevo il coraggio di dire addio a Mayumi e a Satsuki. Sono stata vigliacca e sono scappata, rassegnandomi al pensiero di perdere così le mie due migliori amiche. Anche se mi sono comportata da codarda, Mayumi ha chiesto a Kise di invitarmi per incontrarmi.

«Haruka», la mia voce è piena di rammarico per la mia richiesta egoistica.

«Non hai bisogno di  aggiungere altro», risponde mia cugina abbassando le braccia e sospirando con rassegnazione. «Se è così importante per te, non posso che lasciarti andare». I miei occhi si illuminano di gratitudine. «Se ti accompagniamo anche io e Arthur non dovrebbero esserci problemi, giusto?».

«Questo significa che hai cambiato idea?», domanda Kise speranzoso.

Annuisco e subito il mio amico si lancia in un abbraccio, che però viene immediatamente intercettato da Haruka.

«Tieni giù le mani da Eiko!!».

«E’ da prima che volevo chiedertelo: ma tu chi sei?», la interroga Kise, inclinando la testa perplesso.

«Mi chiamo Haruka Wadsworth e sono la cugina di Eiko. Inoltre sono più grande di te, quindi portami rispetto, moccioso».

Moccioso? Haruka è più grande di Kise solo di un anno ma, data la sua altezza, Kise sembra più grande quindi, forse, dargli del moccioso è un po’ esagerato. Ma in fondo questo è il modo di Haruka per far capire al mio amico qual è il suo posto. Mia cugina non ha paura di nessuno e non ha problemi a mostrarsi aggressiva quando crede di dover proteggere qualcuno. Tutto questo prova quanto mi voglia bene e quanto tenga a me. E comunque comprendo bene la sua diffidenza: dopotutto Kise rappresenta al momento una minaccia, poiché la sua vicinanza potrebbe risvegliare Seiko in qualunque momento. Ma mi dispiace ugualmente per il mio amico. Spero che Haruka non se la prenda troppo con lui.

 

 

♥ ♥ ♥

 

Finalmente riesco a portarvi un nuovo capitolo! >_<

Perdonatemi per la lunga attesa, ma diventa sempre più difficile trovare del tempo per scrivere. Come sempre vi ringrazio per avermi seguita fino a questo capitolo e vi auguro un buon fine settimana.

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Capitolo 28
*** Non dimenticarmi, Ryōcchi ***


Capitolo 17

“Non dimenticarmi, Ryōcchi”

 

 

 

 

 

 

La location del servizio fotografico si trova all’interno di un centro commerciale di Shibuya. Appena arrivati, saliamo subito all’ultimo piano. L’equipe è già sul posto, intenta a preparare il set per i modelli. Kise si precipita a salutare il direttore per poi farmi un cenno e incoraggiarmi ad avvicinarmi. Io e Haruka veniamo così presentate a un uomo di mezza età, estremamente carismatico e socievole. Arthur è poco distante da noi. È rimasto in disparte ma i suoi occhi vegliano costantemente su di me. Sono più tranquilla sapendolo al mio fianco. Mentre sto ancora sorridendo tra me e me rasserenata, avverto il tocco di una mano sulla mia spalla. Di riflesso mi volto indietro e quasi non credo a quello che vedo. Una ragazza bellissima dischiude le labbra e pronuncia il mio nome con occhi colmi di commozione. Non sono sicura se il luccichio nelle sue pupille sia dovuto ai fari montati sul set o ad un sottile velo di lacrime.

«Sei venuta», sussurra prendendomi affettuosamente tra le sue braccia. La mia nuca si posa sul suo petto caldo e una fragranza di vaniglia invade i miei sensi. «Quanto mi sei mancata. Sono felice di sapere che stai bene».

«Mi dispiace», rispondo a mia volta con il groppo alla gola. Poter risentire la voce di Mayumi è per me una gioia immensa e allo stesso tempo fonte di rammarico. Forse perché riesco ad avvertire in essa la consolazione, quel senso di sollievo che soltanto il mio essere qui, in carne ed ossa, tra le braccia della mia migliore amica ha potuto donare al suo cuore in pena. Nel suo stringermi a sé, quasi non volesse più lasciarmi andare, riesco a sentire tutto l’affetto di Mayumi, la sua amicizia ma anche l’inquietudine che l’ha turbata dal giorno in cui l’ho lasciata senza neanche una parola.

«Mi dispiace», continuo a ripetere, sperando che questo basti ad assolvermi dal mio peccato. «Mi dispiace».

«Il passato è passato. Ciò che conta è che tu sia qui adesso».

Trattenendo le lacrime che altrimenti rovinerebbero l’impeccabile trucco, Mayumi scioglie l’abbraccio e si prende qualche istante per osservare il mio volto. Infine, con un sorriso nostalgico, dichiara: «Non sei affatto cambiata».

«Non posso dire lo stesso di te», rispondo alzando lo sguardo. «Sei diventata più alta. La tua pelle sembra porcellana e il tuo corpo sembra quello di una modella».

«Perché lo sono», commenta strizzandomi l’occhio.

«Alla fine hai realizzato il tuo sogno», i nostri occhi si spostano su Kise, circondato da truccatori e stilisti.

«E’ vero che adesso trascorro molto più tempo insieme a lui, ma Kise continua a vedermi solo come un’amica, perciò sono ancora lontana dal realizzare il mio sogno», dichiara con un po’ di delusione.

Quando infine viene richiamata dal direttore per iniziare le riprese, con un gesto amichevole si allontana. Io e Haruka ci sistemiamo su un lato del set per non disturbare i due attori protagonisti. Sebbene non sia io a dover recitare davanti ad una telecamera, mi sento emozionata e tesa allo stesso tempo. Non posso che provare ammirazione per Kise e Mayumi, per la professionalità con cui svolgono il proprio lavoro. Sembrano così diversi dai due compagni di classe con cui ero solita trascorrere le giornate tra i vecchi banchi di scuola. Entrambi hanno un’aria molto più matura e forse è proprio questo a farmi provare un lieve disagio. Guardandoli mi sembra di essere rimasta indietro.

E invece sono proprio io ad essere cambiata così profondamente da temere di perdere me stessa da un momento all’altro e scomparire per sempre da questo mondo. Persino ora sento di non essere al sicuro. I miei occhi continuano a cercare Kise. Indugiano sulle sue braccia strette attorno alle spalle di Mayumi; sui suoi occhi d’ambra socchiusi in una tenera devozione; su quelle provocanti labbra che accendono un desiderio che non ha nulla di pudico, che è puramente carnale. Un desiderio che non è mio ma che brucia nel mio corpo e nella mia testa con una intensità insopportabile. E ogni mio sforzo di reprimerlo non fa che intensificarlo, facendomi tremare di passione. Sono stata ingenua a pensare che sarei riuscita a soffocare i sentimenti di Seiko con la mia sola forza di volontà, dopo averla portata io stessa così vicina a Kise. A cosa stavo pensando quando ho accettato di venire qui, ignorando l’avvertimento di Haruka?

Le mie gambe perdono improvvisamente forza facendomi cadere sulle ginocchia. Kise attira a sé Mayumi, annullando la distanza tra i loro corpi. Il battito del mio cuore accelera e le mie mani si chiudono sul mio petto. Sento lo stomaco salirmi in gola e il cervello vibrare con violenza nel mio cranio. Senza volerlo mi mordo le labbra finché i miei denti bucano la morbida carne facendola sanguinare. Una rabbia devastante cresce rapidamente dentro di me, ma è solo quando le labbra di Kise si posano su quelle di Mayumi per un leggero bacio che riesco a focalizzare con chiarezza il sentimento che pulsa in ogni singola cellula del mio corpo. Gelosia. La gelosia di Seiko. Il suo desiderio di allontanare Mayumi da Kise. L’irrazionalità del suo odio per la ragazza che ha osato macchiare il suo principe.  

«Stupida sciacquetta».

I suoi pensieri si sovrappongono rapidamente ai miei, troppo in fretta per darmi la possibilità di ricacciarli indietro e, prima che possa avvertire Haruka, l’oscurità cala davanti ai miei occhi.

 

***

 

Stupida. Stupida sciacquetta. Non la perdonerò mai. Pagherà caro questo affronto. Solo perché non sono libera di prendere il controllo di questo corpo quando voglio, pensa di poter mettere le sue sudice mani sul mio Ryōcchi? Eiko potrà anche considerarla sua amica ma io non sono come lei. Questa sciacquettta è finita sulla mia lista nera nel momento in cui ha dichiarato di essere innamorata di lui, del mio principe. E oggi ha decisamente oltrepassato il limite. Ha approfittato del lavoro per raggiungere il suo diabolico scopo. Ma da adesso non avrà altre occasioni di giocare sporco. Ora che ho di nuovo il controllo di questo corpo si pentirà della sua sfacciataggine. Le mie mani tremano ancora di rabbia e la mia mente è piena di vendetta. La fortuna sembra favorirmi. Il direttore ha appena mandato in pausa l’intero staff  e la piccola sciacquetta si sta dirigendo da sola verso i bagni. E’ la mia occasione.

Senza indugiare un secondo, mi rimetto in piedi e inizio a camminare con decisione. Devo allontanarmi prima che Ryōcchi si accorga di me. Per fortuna i bagni si trovano sul lato opposto del piano, lontano dal set. Affretto il passo e raggiungo la piccola sciacquetta ignara non appena varca la porta della toilette riservata alle donne. La mia mano si allunga in avanti, pronta ad afferrare i suoi capelli, se non fosse per un paio di braccia che mi tirano indietro, facendomi quasi perdere l’equilibrio. Mi libero dalla stretta con uno gesto brusco e, livida in volto, mi preparo ad inveire contro chiunque abbia osato interferire con la mia vendetta.

«Che cosa pensi di fare?», strillo al culmine della collera.

«Questo dovrei chiedertelo io», risponde l’altra ragazza e mi basta un attimo per riconoscere Haruka. Con le braccia incrociate al petto, mi fissa con diffidenza, in attesa di una risposta.

«Non sono affari tuoi. Sparisci!», le ordino, per nulla intimorita.

«E’ chiaro che non sei Eiko», mormora per un istante fra i denti, per riportare subito dopo le sue attenzioni su di me. «Chi sei?».

La sua insistenza è fastidiosa. «Ti ho detto che non sono affari tuoi».

In un moto di irritazione, Haruka schiocca la lingua. «E’ qui che ti sbagli. Non si può certo dire che tu abbia uno sguardo amichevole in questo momento. E se non hai intenzioni amichevoli allora, si, sono affari miei. Che cosa volevi fare a Mayumi?».

«Darle la lezione che merita. Quella piccola sciacquetta ha osato toccare il mio Ryōcchi e deve pagare!».

 Nonostante il mio tono infuriato, Haruka non si scompone, limitandosi a rivolgermi uno sguardo perplesso.

«Ryōcchi? Dov’e che ho già sentito questo nome?». I suoi occhi ruotano verso l’alto, come a cercare la risposta su un punto impreciso del soffitto. Quando la lampadina si accende infine nella sua testa, l’espressione sul suo volto muta in una smorfia di delusione. «Seiko?».

Sentirla pronunciare il mio nome come se fossi l’ultima miserabile di questo mondo fa ribollire il sangue nelle mie vene. Come se non fosse abbastanza, un lungo sospiro di noia lascia le sue labbra ed è abbastanza per farmi capire con quanta sufficienza stia ora guardando alla mia persona. È evidente che ai suoi occhi non appaio come una minaccia, quanto piuttosto come una bambina petulante e viziata, difficile da trattare solo a causa dei suoi continui capricci. Mi sento così umiliata e oltraggiata. Se al mio posto ci fosse Meiko, lo sguardo nei suoi occhi sarebbe diverso. Solo perché io non ho mandato tre studenti in fin di vita all’ospedale pensa che sia meno pericolosa? Crede di potermi ridicolizzare in questo modo?

«E’ meglio che vieni con me, prima che qualcuno si faccia male». La sua impazienza e ora più visibile ma la sua minaccia non mi spaventa. Tuttavia sono le sue prossime parole a farmi davvero infuriare. «Sedare una stupida lite tra due ragazze, che si prendono per i capelli per il solito belloccio di turno nei bagni di un centro commerciale, è l’ultima cosa che voglio fare oggi».  

Accecata dall’umiliazione, mi scaglio su di lei, afferrandole i capelli con entrambe le mani. Con tutta la forza che ho, inizio a scuotere la sua testa inveendo contro di lei.

«Stupida lite? Stupida lite?! Cosa ne puoi sapere tu? Non hai mai avuto uno straccio di ragazzo e non ti sei mai innamorata. Sei solo un maschiaccio che crede di poter risolvere tutti i problemi con minacce e risse. Non hai il diritto di parlarmi così».

«Allora siamo più simili di quanto credi», le dita di Haruka catturano i miei capelli in una stretta dolorosa e tenace.

«Lasciami subito andare, strega!», le ordino serrando a mia volta la presa.

«Prima tu, mocciosa!».

«Sei più grande di me solo di un anno, non darti tante arie».

«Ma sono sempre più grande, perciò molla la presa».

«Non mi sei mai piaciuta, lo sai? Il tuo modo di guardare tutti dall’alto verso il basso mi dà sui nervi».

«Neanche tu mi sei particolarmente simpatica, se è per questo».

Con uno strattone, Haruka mi spinge contro uno dei lavandini, tenendomi sempre per i capelli. Nonostante il dolore inizi a propagarsi per la mia testa, non intendo dargliela vinta. In un momento di lucidità, il suo piede entra nel mio campo visivo e decido di passare al contrattacco. Approfittando della sua vicinanza, utilizzo tutta la forza di cui dispongo per pestarglielo, cercando di indirizzare il colpo sulle dita. Con un urlo, Haruka tira indietro la gamba, allentando così la presa su di me. Approfittando del suo sbilanciamento, la spingo verso la porta chiusa di uno dei bagni. Purtroppo la mia statura non è di grande aiuto in situazioni del genere e non passa molto prima che quella strega di Haruka decida di vendicarsi.

«Sei…davvero una ragazzina insopportabile», grugnisce appena prima di mordere il mio braccio.

«E tu sei una selvaggia!», le urlo contro cercando di domare il dolore. Riconosco che è un’avversaria tenace, ma non sarò io a lasciare il campo di battaglia per prima. «Pensi che non sia capace di giocare sporco anch’io?». I miei denti si chiudono allora sul suo braccio mentre con le mani riprendo a scuotere la sua testa, sperando di farle mollare la presa.

«Eiko!».

All’improvviso, da una delle porte chiuse dei gabinetti, emerge Mayumi.  In un attimo è fra me e Haruka. Il suo corpo statuario riesce infine a separarci ma non prima che io sia riuscita a ottenere il mio piccolo premio. Tra le dita delle mie mani, infatti, spuntano alcune ciocche di capelli. In un gesto di vittoria, porto il braccio in aria per mostrare alla mia rivale il trofeo che attesta la mia vittoria. Tuttavia il suono della voce di Mayumi mi fa rinsavire.

«Eiko, cosa sta succedendo?».

Tra le mie mani sarebbero dovuti esserci i suoi capelli. Dopotutto era questo il piano originale.

«Tu! Oggi ti è andata bene, ma la prossima volta non sarai così fortunata. Azzardati ad avvicinarti ancora al mio Ryōcchi e la prossima testa che prenderò fra le mani sarà la tua, piccola sciacq…».

Prima che possa terminare la frase, la mano di Haruka è sulla mia bocca per zittirmi e trascinarmi lontano da Mayumi.

«Tu adesso vieni con me senza fare storie», la sua voce è poco più di un sussurro al mio orecchio.

«Va tutto bene, ragazze?».

Haruka solleva lo sguardo su Mayumi, visibilmente confusa e preoccupata.

«Si, tutto bene. Io e Eiko abbiamo avuto solo una piccola discussione. Ogni tanto capita tra cugine, no?».

«Non sembrava una piccola discussione», osserva Mayumi, poco convinta.

«Lo era, fidati. Non è la prima volta. Non devi preoccuparti. Forse è meglio se ora torni sul set».

Il tentativo di Haruka di allontanare Mayumi è fin troppo palese. Continua a stringermi a sé e ad indietreggiare come se fossi una bomba pronta ad esplodere da un momento all’altro. Farmi vedere da Mayumi in questo pietoso stato è imperdonabile. Provo a scalciare e ad agitare le braccia per opporre resistenza, ma quella selvaggia di Haruka è più forte di me e non ci impiega molto a trascinarmi fuori dai bagni. I miei occhi bruciano di rabbia mentre guardo il mio reale obiettivo allontanarsi da me. In questo momento non so chi odiare di più: se Haruka per essersi intromessa nella mia vendetta e avermi umiliata di fronte al mio nemico; o Mayumi per il suo sguardo di compassione, per quella finta apprensione nelle sue parole, per quella sua aria di superiorità. Mi sento terribilmente frustrata.

Una volta sole, Haruka mi lascia finalmente andare. La sua unica preoccupazione è assicurarsi che il mio comportamento non abbia insospettito Mayumi e ancora una volta non posso fare a meno di sentirmi sminuita. Sono pur sempre sua cugina anch’io. Solo perché non parlo come quella perdente di Eiko, non vuol dire che la mia esistenza sia meno importante della sua. O che lei sia più reale di me. Io sono io. Avremo anche la stessa faccia, ma siamo due persone completamente diverse. Pensa forse che sia stato facile per me mettere Eiko a dormire e prendere il suo posto? Il mio posto. Si, perché anch’io ho lo stesso diritto di usufruire di questo corpo, nessuno ha mai detto che fosse solo di Eiko. Non chiedo tanto, in fondo. Solo un po’ di considerazione da parte della mia famiglia.

«Hai messo su il broncio?».

L’improvvisa domanda di Haruka mi fa realizzare ciò di cui non mi ero accorta: le mie labbra sono curve in una smorfia di risentimento, come una bambina a cui hanno portato via il giocattolo preferito.

«E a te che importa?», ribatto voltando la testa di lato nel tentativo di ignorare mia cugina. «Scommetto che non vedi l’ora di liberarti di me per riavere indietro Eiko».

Non immaginavo che le mie parole sarebbero suonate tanto infantili. Sembro davvero una ragazzina immatura, ma cos’altro dovrei fare? Io non sono come Meiko, non ho la sua stessa aura intimidatoria. E non ho alcuna intenzione di somigliarle. Non voglio essere presa in considerazione usando la paura. Ma nemmeno desidero essere trattata come un ospite indesiderato. Voglio solo avere la mia possibilità con Ryōcchi. È tanto difficile da capire?

«Dove è Eiko? Sta bene?», domanda Haruka.

Eiko. Eiko. Sempre Eiko. Non ne posso più di sentire il suo nome.

«Eiko non c’è e ti posso assicurare che non la rivedrai tanto presto!», la mia risposta esplode dal mio petto con lo stesso impeto di uno scoppio di fucile e provoca una reazione infastidita di Haruka. Del resto non è mai stata una ragazza paziente. Eppure rinuncia a rispondere alla mia provocazione, prendendo un lungo respiro.

«Torniamo a casa», dichiara infine. «Non posso rischiare che tu faccia qualcosa di stupido come prima e metta nei guai Eiko».

«Aspetta!», la parola irrompe dalle mie labbra prima che il mio cervello riesca a formularla.

C’è un attimo di silenzio, durante il quale Haruka cerca di scoprire le mie intenzioni. A questo punto non ho altra scelta che essere onesta con lei.

«Non portarmi via, per favore. Prometto di non fare niente di…stupido, ma fammi restare fino alla fine delle riprese».

«Dammi un buon motivo per cui debba accontentarti».

«Perché…te l’ho chiesto con gentilezza? E perché ho promesso? Mi sembrano due motivi abbastanza validi. No?».

Un sopracciglio di Haruka si alza, manifestandomi la sua incertezza nell’accogliere la mia richiesta. Non mi importa di apparire disperata, perché lo sono. Se per convincerla devo inginocchiarmi davanti a lei, lo farò, ma spero davvero di non dovere arrivare a tanto. Non sarebbe salutare per le mie ginocchia.

«E’ solo che…», riprendo a parlare in tono incredibilmente affabile per non rischiare di innervosirla, «ho aspettato così a lungo questo giorno. Adesso che sono finalmente riuscita a prendere il controllo di questo corpo, non voglio perdere l’occasione di vedere Ryōcchi con i miei occhi, anziché attraverso gli occhi di Eiko o di qualcun altro. Ti chiedo solo di lasciarmi trascorrere qualche ora vicino a lui, giusto il tempo di ammirarlo mentre lavora e di rivolgergli la parola per la prima volta».

Haruka rimane in silenzio. Dopo quello che ho appena fatto, non posso biasimarla se ha qualche difficoltà a fidarsi di me. Il suo piede inizia a tamburellare nervosamente per poi fermarsi di colpo. Mi sento come un criminale in tribunale. Pensare che il mio futuro dipenda dalla sua decisione non mi rende affatto tranquilla. In fondo ha detto che non le sono molto simpatica e non mi stupirei se adesso mi afferrasse per un braccio e mi trascinasse fuori dal centro commerciale senza sentire ragioni.

Il cuore mi schizza in gola quando infine dischiude le labbra per emettere il verdetto finale ma, al posto della sua voce, a raggiunge le mie orecchie è invece una voce maschile, sopraggiunta inaspettatamente alle mie spalle.

«Credo che la signorina Seiko non abbia cattive intenzioni».

Non avrei mai immaginato che il semplice suono del mio nome potesse farmi sentire tanto felice. Riesco chiaramente a percepire il mio viso illuminarsi alla vista di Arthur che avanza verso di me sorridendomi benevolo. Nel mio cuore sento sbocciare un dolce calore confortevole che scioglie presto ogni nodo di tensione formatosi durante la terribile attesa. In questo momento non potrei desiderare di avere un alleato migliore. Come faccio ad esserne tanto sicura? È semplice: Arthur mi ha chiamata con il mio vero nome e lo ha fatto guardandomi negli occhi. Diversamente da Haruka sembra avere accettato in qualche modo la mia esistenza, anche se forse solo temporaneamente. Ma che importa, se posso avere la mia occasione con Ryōcchi?

Tuttavia, nonostante l’intervento di Arthur, Haruka si affretta a controbattere.

«Solo perché potrebbe non avere cattive intenzioni, non significa che non possa diventare un problema».

Abbandonando l’idea di riuscire a convincere Haruka, dirigo tutte le mie attenzioni su Arthur, implorandolo silenziosamente con il mio migliore sguardo da “adorabile cucciolo fiducioso”.

«Se lei è d’accordo, sono pronto ad assumermi la piena responsabilità della signorina Seiko», dichiara Arthur in tono formale.

Sono felice che abbia deciso di prendere le mie parti, ma non mi aspettavo che si spingesse a tanto. Voglio dire, chiunque al suo posto avrebbe cercato di liberarsi di me in favore di Eiko: in questa situazione sarebbe la cosa più logica da fare. Ma non per Arthur. Sono confusa: dovrei essergli grata o preoccuparmi? La sua risposta alla mia preghiera è stata troppo…veloce.

«Dopotutto la signorina Seiko ha promesso di comportarsi bene, giusto?».

Questa volta la domanda è rivolta a me, ma nei suoi occhi non vedo alcun rimprovero, solo molta complicità.

«Assolutamente!», rispondo quindi con sincerità, quasi senza rendermene conto. Posso solo pensare che la fiducia di Arthur mi abbia in qualche modo indotta a seguire il suo piano, qualunque sia. È vero che non ho cattive intenzioni, anche se forse prima ho un po’ esagerato. Non volevo certo fare davvero del male a Mayumi. Ero solo arrabbiata e…gelosa. E una ragazza gelosa a volte può commettere qualche piccolo errore.

«E’ come ha detto Arthur», ribadisco con maggiore convinzione. «Non farò niente di male e mi comporterò bene, lo prometto, perciò fammi restare. In fondo Eiko sta dormendo adesso e ci vorrà un po’ di tempo prima che si svegli di nuovo».

Forse non avrei dovuto menzionare Eiko, visto che il suo nome ha di nuovo messo Haruka sulla difensiva, ma è la verità. Tuttavia non posso fare a meno di compiere un passo indietro timorosa. Haruka sembra notare la mia paura e tira un lungo sospiro, forse per comunicarmi che, almeno per ora, sono fuori pericolo.

«Ti concedo fino alla fine delle riprese e resterai incollata a me per tutto il tempo, hai capito bene?».

Le mie labbra si allargano in un grande sorriso. «Sissignora!».

Haruka sbuffa annoiata e con un cenno mi ordina di seguirla. Ubbidisco e la raggiungo saltellando di felicità. Passando di fianco ad Arthur, però, mi fermo un istante e, prima che egli mi rivolga la parola, le mie braccia sono attorno a lui.

«Grazie», esclamo. Sento il suo corpo irrigidirsi nel mio abbraccio ma, pur comprendendo il suo disagio, mi concedo qualche secondo in più per esprimergli la mia gratitudine. Dopotutto, Arthur è la prima persona ad avermi trattata come una di famiglia.

 

***

 

Con l’umore alle stelle, ritorno sul luogo delle riprese e, come promesso, mi siedo in silenzio vicino ad Haruka. Ancora non riesco a credere di essere qui, a un passo dal mio Ryōcchi. Ora che posso guardarlo di persona non posso che ammirare la sua perfezione, la sua eleganza, la sua indescrivibile bellezza. Il mio cuore freme di gioia ed eccitazione e sono troppo felice per soffermarmi sul fatto che Mayumi sia la sua partner in questo lavoro. Ogni mio pensiero ruota intorno alla sua immagine e, prima che me ne accorga, il direttore si congratula con i due attori per l’ottimo lavoro svolto. Tecnici e stilisti si adoperano per smontare le varie strutture di illuminazione e raccogliere i costumi di scena. Purtroppo questa giornata è giunta al termine più in fretta di quanto avessi sperato e io non sono ancora riuscita a parlare con il mio principe. Ma forse non tutto è perduto.

«Si è fatto piuttosto tardi», commenta Haruka osservando il display del cellulare. «Il sole è ormai calato quasi del tutto».

La guardo raccogliere la cartella e incamminarsi verso le scale mobili, ma non la seguo: non posso ancora andarmene via. Notando la mia esitazione, Haruka mi indirizza uno sguardo severo, ma io rimango dove sono.

«Lascia almeno che lo saluti», la supplico.

«E’ fuori questione. Se aprissi bocca potresti dire qualcosa di stupido o sbagliato e destare sospetti. Kise e Mayumi credono che tu sia Eiko, ricordi? Per quanto detesti ammetterlo, tu non sei lei, e questo significa che non parli e non ti comporti come Eiko, quindi non possiamo rischiare. Torniamo a casa».

«Non è giusto!», la mia protesta esce fuori con più veemenza di quanto avessi programmato e mi guadagna immediatamente un’occhiataccia di Haruka. «Non è…giusto», ripeto questa volta moderando il tono della mia voce. «Ho fatto quello che mi hai chiesto, me ne sono rimasta buona per tutto il tempo come promesso. Merito una ricompensa. È solo un saluto, in fondo. E poi, come pensi che la prenderebbe Ryōcchi se Eiko se ne andasse via senza dire una parola?».

La mia ultima osservazione sembra fare presa su Haruka, sebbene non sia contenta che sia stata io a farglielo notare.  

«Tu cosa ne pensi?», Haruka distoglie lo sguardo da me per interrogare Arthur.

«Penso che la signorina Seiko non abbia tutti i torti. La signorina Eiko è una buona amico del signorino Kise».

«Sapevo che tu mi avresti capita. Sei il migliore, Arthur!», esclamo piena di entusiasmo.

Sono così felice di avere un alleato tanto persuasivo dalla mia parte che potrei abbracciarlo di nuovo. Ma rinuncio prontamente non appena i miei occhi si posano sull’immagine sublime di Ryōcchi che mi viene incontro sorridendomi con affetto.

«Eikocchi!»

Non importa se il nome che esce dalle sue labbra non è il mio, né se la ragazza che stanno guardando i suoi bellissimi occhi d’ambra non sono io. Ciò che conta è che lui sia finalmente qui, davanti a me e che mi abbia rivolto la parola. Non ho bisogno di altro per corrergli incontro, gettargli le braccia intorno al collo e posare le mie labbra sulle sue per donargli il mio primo bacio. Si, ho baciato Kise Ryōta e non mi pento assolutamente di averlo fatto, poiché questa potrebbe essere la mia prima e ultima occasione. So di avere promesso, ma una ragazza innamorata è capace di qualsiasi follia.

Non voglio sentire nulla. Non voglio vedere nessuno. Non voglio preoccuparmi di quello che mi succederà o delle conseguenze che Eiko dovrà affrontare al mio posto. Ryōcchi è fra le mie braccia. Posso toccarlo, accarezzare i suoi capelli con le mie mani. Posso sentire il profumo della sua pelle che inebria i miei sensi, il suo respiro che riscalda il mio volto. In questo momento lui è mio. Fra i nostri corpi non c’è distanza a separarci. Riesco a sentire il battito del suo cuore che pulsa freneticamente. Percepisco il suo imbarazzo provocato dai miei piccoli seni che premono contro il suo petto. È a disagio, confuso e non mi sorprende che lo sia. La vera Eiko non avrebbe mai osato tanto. Ma io non sono Eiko e non voglio nascondere i miei sentimenti. Quello che provo per Ryōcchi è reale, come il profondo bacio che stiamo condividendo.

«Accidenti!».

Sento la voce di Haruka esplodere alle mie spalle: è infuriata. Tra pochi secondi proverà a separarmi da Ryōcchi, mi trascinerà lontano da lui e forse non lo rivedrò mai più. Inoltre, Eiko sta per svegliarsi. Presto mi sostituirà in questo corpo e chissà se riuscirò di nuovo a tornare. Il mio futuro con Ryōcchi è così incerto forse perché io stessa non ho un futuro. Eiko è fortunata: quando riaprirà gli occhi la prima persona che vedrà sarà Ryōcchi. Ma io? Cosa ne sarà di me? Di questi miei sentimenti che non verranno mai ricambiati? Di questo intenso desiderio che non verrà mai appagato? Perché devo rinunciare al mio sogno d’amore proprio ora che riesco finalmente a stringerlo tra le mie mani? Non è giusto. Se sono destinata  a sparire, voglio assicurarmi di portare con me almeno il ricordo del ragazzo che amo. Il primo e ultimo ricordo.

Mi sento più debole e questo vuol dire che Eiko sta per tornare. Mi stringo a Ryōcchi con le forze che mi rimangono. La sua bocca si allontana dalla mia, interrompendo così il bacio. Ha di nuovo il controllo di sé e i suoi occhi mi guardano con sgomento. Le sue mani afferrano le mie spalle.

«Eikocchi…».

«Ti prego, non respingermi», lo interrompo prima che possa rifiutarmi.

Calde lacrime scivolano sulle mie guance. Non ho più niente da perdere, tanto vale essere onesta. La mia è una supplica disperata. Riesco a vederla riflessa negli occhi di Ryōcchi. Mi osserva, desideroso di comprendere. Non è arrabbiato. Non mi odia per quello che ho fatto. È preoccupato. Per Eiko. Per la sua preziosa amica che improvvisamente sembra non riconoscere più. Non riesco a sopportare che i suoi pensieri siano per lei, nonostante ora stia guardando me. Perché non posso essere io Eiko? Non è giusto. Non è giusto che Ryōcchi non riesca a vedermi, quando io non ho occhi che per lui.

«Non è giusto», le mie parole sommesse si mescolano alle mie lacrime.

Il volto del mio principe è davanti a me eppure sembra così distante. Il calore del suo corpo si sta estinguendo e la sensazione dei suoi capelli fra le mie dita è quasi impalpabile. Non voglio andare. Non voglio addormentarmi di nuovo. Ma come posso evitarlo quando le ombre sono così vicine? Se soltanto riuscissi a strappargli una promessa.

«Non dimenticarmi, Ryōcchi», sussurro infine sulle sue labbra.

Per un breve istante, le sue pupille si allargano e la sua bocca si muove, ma la mia coscienza è ormai troppo lontana perché io riesca a sentire le sue ultime parole per me.

 

***

 

Una spiacevole sensazione accompagna il mio risveglio. Mi sento frastornata e ho un mal di testa terribile. Provo a sollevare le braccia per toccarmi le guance, da cui sento divampare un intenso calore, ma le mie mani si posano su qualcos’altro. Le mie dita iniziano a scorrere lentamente sul tessuto, bloccandosi su quello che sembrerebbe essere un nodo. Mi ci vogliono qualche secondo e parecchi sbattimenti di palpebra per mettere  a fuoco l’immagine. Una cravatta. La osservo con più attenzione, notando in essa una certa famigliarità. L’ultima volta che ho visto una cravatta simile a questa è stato poco prima che Kise si togliesse la divisa scolastica per indossare gli abiti di scena e iniziare le riprese dello spot pubblicitario. Mentre provo a fare chiarezza sulla situazione, qualcuno mi afferra all’improvviso da dietro, facendomi ruotare su me stessa.

«Se pensi di passarla liscia, ti sbagli di grosso. Aspetta solo che arriviamo a casa e…»

«Haruka?», pronuncio confusa, ritrovandomi l’espressione imbufalita di mia cugina a pochi centimetri dal mio naso. Per qualche strano motivo i suoi occhi si assottigliano velenosi. Perché è così arrabbiata con me?

«Non provare a fare la finta tonta», minaccia.

«Aspetta, non capisco. Che cosa sta succedendo?», la interrogo, non potendo sopportare oltre la sensazione di disagio che rapidamente si fa strada dentro di me.

Haruka sembra pronta a ribattere in un tono affatto amichevole, ma si zittisce prima di proferire parola. Si prende invece qualche momento per studiarmi quindi, avendo confermato i propri dubbi, riprende sussurrandomi, in modo che nessun altro possa sentire: «Eiko? Sei tornata?».

«Tornata?», ripeto a mia volta, ma subito realizzo il vero significato dietro la sua domanda. «Non dirmi che è successo di nuovo?», le chiedo sentendomi venire meno per un istante.

«Non ti preoccupare», mi tranquillizza immediatamente, temendo che possa cadere nel panico. «Seiko ha combinato un bel casino, ma nulla che non possa sistemare. Tu resta calma e lascia parlare me».

Incapace di pensare lucidamente, mi affido a mia cugina, assecondandola nel suo gioco mentre si presta ad affrontare Kise. Ad un tratto mi accorgo di quanto mi sia vicino e di quanto turbata sia l’espressione nei suoi occhi. Senza volerlo, abbasso lo sguardo, provando un’inspiegabile vergogna. Che cosa ha fatto Seiko per farmi provare tanto imbarazzo in presenza del mio amico?

Haruka gli rivolge infine la parola, usando molta cautela.

«Immagino che tu sia piuttosto confuso, e ne hai tutto il diritto, ma lasciami spiegare. Come forse avrai notato, oggi Eiko non si sente molto bene. La verità è che questa mattina aveva un po’ di febbre ma ha insistito per andare ugualmente a scuola». Le sopracciglia di Kise si increspano per un momento, mostrando la sua preoccupazione. «Mia cugina è di costituzione un po’ debole e temo che durante la giornata le sue condizioni siano peggiorate portandola a…delirare».

Cosa?! Delirare? Cosa sta cercando di fare Haruka? Vuole farmi passare per pazza?

«E’ chiaro che non era in sé poco fa quindi ti chiedo di perdonarla e di comprendere la situazione», conclude mia cugina, sperando di essere riuscita a convincere Kise.

Con mia grande sorpresa, il mio amico annuisce e sospira sollevato. «Confesso che per un attimo non sapevo cosa pensare», ride imbarazzato. «Se non stava bene, poteva dirmelo».

«In realtà lo ha fatto», gli ricorda immediatamente Haruka, «ma tu non hai voluto sentire ragioni e hai continuato a mandarle messaggi per tutto il giorno».

Un altro risatina imbarazzata si libera dalle labbra di Kise. «Mi dispiace, è tutta colpa mia. Non avrei dovuto insistere».

Le sue attenzione si spostano quindi su di me. «Ti chiedo scusa, Eikocchi. Ti ho obbligata a venire nonostante stessi così male da avere le allucinazioni».

Allucinazioni? I miei occhi cercano prontamente Haruka, domandando spiegazioni, ma mia cugina scuote la testa invitandomi semplicemente a reggerle il gioco, per il momento.

«Ehm…non ti preoccupare», rispondo dunque provando a mettere una buona dose di convinzione nelle mie parole. «Credo, comunque, di dover essere io a scusarmi per…qualunque cosa abbia fatto».

L’espressione di Kise muta in una sguardo pietoso e il suo tono diventa più compassionevole. «Devi sentirti davvero male per non ricordare nemmeno quello che è successo. Ma forse è meglio così», mormora infine l’ultima frase fra sé e sé. Le sue mani si posano allora sulle mie spalle.«Eikocchi, torna a casa e pensa solo a riposarti. Non preoccuparti per me, ti prometto che dimenticherò tutto, così non ti sentirai a disagio la prossima volta che ci vedremo».

Va bene, adesso sono davvero preoccupata. Perché dovrei sentirmi a disagio? Se non scopro subito che cosa ha combinato Seiko durante la mia assenza, credo che impazzirò.

«Perfetto!», esclama Haruka, prendendomi in custodia. «Adesso che abbiamo chiarito tutto, sarà meglio che riporti Eiko a casa».

«Certo, andate pure e, Eiko», questa volta è Mayumi a parlarmi. «Spero che tu ti rimetta presto».

Sia lei che Kise mi rivolgono un ultimo sorriso gentile mentre mi incammino con Haruka e Arthur verso le scale mobili. Appena prima di dare le spalle a Kise, però, i miei occhi catturano un lieve mutamento nel suo sguardo. Tristezza? Preoccupazione? Qualunque cosa abbia fatto Seiko, ha avuto su Kise un impatto sicuramente molto più profondo di quanto il mio amico voglia dare a vedere. Spero solo che questo non intacchi la nostra amicizia.

Quella sera, dopo cena, Haruka ha convocato una piccola riunione segreta in camera mia, alla quale hanno preso parte anche Naoko e Yoichi. Ovviamente anche Arthur era presente. Al termine del suo dettagliato rapporto ho pregato che il pavimento si aprisse sotto i miei piedi e mi inghiottisse, facendomi sparire definitivamente. Come potrò incontrare di nuovo Kise ora che Seiko l’ha baciato?!

 

♥♥♥

 

Salve, ragazzi! ^^

Con questo nuovo capitolo vi auguro uno splendido 2018 e una magnifica settimana.

 

Un bacione a tutti.

Lady L.

 

 

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Capitolo 29
*** Diventa la sua ragazza ***


Capitolo 18

“Diventa la sua ragazza”

 

 

 

 

 

 

Nonostante il trambusto creato da Seiko, il finesettimana sopraggiunge, permettendomi di riprendere fiato e riorganizzare i miei pensieri, o almeno ciò che ne resta. La confusione che alberga dentro di me è infatti paragonabile ad un gomitolo dimesso di fili di lana ingarbugliati. Ogni volta che la mia mente formula un pensiero, non posso fare a meno di domandarmi se sia il frutto della mia coscienza o se appartenga a qualcun altro. Ma ho promesso di essere positiva, se non altro per non offrire a Seiko e a Meiko un pretesto per tentare di reclamare il mio corpo e il mio tempo.

Abbandono il tepore confortevole del letto per iniziare la mia giornata. Non ho nulla di speciale in programma per oggi perciò mi prenderò le prime ore della mattina per pensare a qualche attività che possa mantenere la mia mente occupata. Potrei proporre a Naoko, Haruka e Shizuka di fare acquisti durante il pomeriggio. Non sono esattamente un’amante dello shopping compulsivo, ma almeno avrò una scusa per passare un po’ di tempo con mia sorella e le mie cugine. Mentre mi appresto a scendere in sala per la colazione, però, il mio cellulare iniziare a squillare. Mi arresto sulla soglia della camera e richiudo la porta per recuperare il telefono. Il cuore mi sobbalza in petto non appena leggo il nome di Mayumi sul display, ma premo ugualmente il tasto verde per ricevere la chiamata.

«Pronto, Eiko?», la voce della mia amica trilla dall’altra parte dell’apparecchio.

«Si, sono io. Non mi aspettavo una tua telefonata», confesso in imbarazzo.

«Perdonami se ti chiamo all’improvviso, ma volevo chiederti un favore. Se non hai altri impegni, ti andrebbe di vederci tra un paio di ore?».

«E’ successo qualcosa?», domando con cautela. La sua improvvisa richiesta mi ha resa inspiegabilmente nervosa.

«Niente di particolare. Volevo solo passare un po’ di tempo con te. Mi ha resa davvero felice poterti rivedere», il suo tono è gioviale e la sincerità nelle sue parole sembra genuina. Forse mi sono allarmata inutilmente.

«Mi farebbe piacere stare un po’ insieme. Hai già in mente un posto in particolare?».

«In effetti si. Stavo pensando alla caffetteria vicino alla stazione, se per te va bene».

«Va benissimo. Allora ci vediamo più tardi».

Interrompo la chiamata e inizio a vestirmi. Quando sono pronta raggiungo il resto della mia famiglia al piano inferiore. Sono già tutti nella sala da pranzo ma al mio arrivo mi rivolgono le loro attenzioni per darmi il buongiorno. Terminato il pasto, lascio casa, non senza qualche intoppo. Non è stato facile ottenere il permesso di Haruka e Naoko di incontrare Mayumi da sola, ma alla fine hanno ceduto sapendo che Arthur mi avrebbe accompagnata. Comprendo perfettamente la loro preoccupazione dopo quello che ha combinato Seiko, ma essendo colpa mia desidero gestire la questione da me, o almeno provarci. Non posso aspettarmi che la mia famiglia mi tiri sempre fuori dai guai.

 

***

 

Chiedo ad Arthur di farmi scendere appena fuori il centro abitato in modo da poter fare un po’ di strada a piedi. Camminando mi fermo ad osservare qualche vetrina per allentare la tensione. Ovviamente ho preso in considerazione la possibilità che Mayumi abbia chiesto di vedermi per parlare di Seiko.

Mentre sono assorta nei miei pensieri, qualcuno mi viene addosso, facendomi cadere all’indietro. Arthur è subito al mio fianco per aiutarmi e quando sono di nuovo sulle mie gambe ciò che vedo quasi mi toglie il respiro. Davanti a me un ragazzo con il busto piegato in avanti sta implorando il mio perdono e, nonostante il suo volto non mi sia visibile, il suono della sua voce è più che sufficiente a farmi capire di chi si tratta: Kasamatsu Yukio, capitano della squadra di basket del Kaijō e l’ultima persona che speravo di incontrare.

«Ehm…è colpa mia. Ero distratta e non guardavo dove andavo», il minimo che possa fare in questa situazione è scusarmi.

Dopo un’interminabile serie di inchini e ammende, Kasamatsu alza la testa e i nostri occhi infine si incontrano e non posso dirmi stupita della sua reazione.

«T-Tu sei…», balbetta appena prima di diventare rosso come un semaforo.

Da parte mia provo a formulare qualche parola di risposta ma tutto ciò che esce dalla mia bocca è solo un mugugno sommesso e incomprensibile. L’imbarazzo ha sicuramente preso il sopravvento su entrambi e questo può voler dire che anche Kasamatsu ricorda ancora il piccolo incidente nel negozio del signor Rampini. All’improvviso sento le mie labbra pulsare e una scarica di calore salire dalle guance fino alla fronte. Come era facile prevedere, il silenzio cala sulla conversazione. Ognuno dei due, perso nei propri pensieri, cerca disperatamente di evitare lo sguardo dell’altro. Quanto vorrei che Mayumi comparisse dal nulla e mi salvasse da questa assurda situazione. Il caffè in cui ho promesso di incontrarla non è molto distante da qui.

Quando infine mi convinco a fare la prima mossa e a congedarmi, un nuovo ostacolo sopraggiunge a complicare le cose. Alle spalle di Kasamatsu compare Kise con un volto imbronciato.

«Kasamatsu-senpai! Perché te ne sei andato senza aspettarmi? Oh! Eikocchi!».

Gli occhi del mio amico si illuminano non appena si accorgono della mia presenza ma, diversamente dal solito, Kise non accenna a farsi incontro per abbracciarmi. Da una parte gli sono grata poiché non saprei come comportarmi se dovessi avere un contatto fisico con lui. Mi sento come la protagonista di un triangolo amoroso, anche se in teoria non sto tradendo nessuno. Il bacio con Kasamatsu, il mio primo bacio, è stato solo uno sfortunato incidente, mentre quello con Kise… In realtà è stata Seiko a baciarlo anche se l’ha fatto usando la mia faccia, ma Kise pensa che sia stata io perciò…

 L’unica cosa che so è che non ho coraggio di affrontare nessuno di questi due ragazzi. Forse la cosa migliore da fare è agire con naturalezza, salutarli e proseguire per la mia strada. Forse risulterò un po’ maleducata ma non ho intenzione di restare qui un minuto di più.

«Ki-Kise. Che coincidenza trovarti qui. Mi fermerei volentieri a chiacchierare, ma vado un po’ di fretta, quindi vi prego di scusarmi».

Non posso biasimarli se penseranno male di me, ma non ho altra scelta. La mia priorità è allontanarmi da entrambi. Mantenendo lo sguardo basso mi metto in marcia per raggiungere il luogo del mio appuntamento con Mayumi ma nell’attimo in cui la mia spalla sfiora involontariamente quella di Kise, la sua mano afferra il mio polso. Il calore delle sue dita sulla mia pelle mi fa sussultare e senza pensarci mi libero dalla sua presa con uno strattone. La mia reazione lascia Kise senza parole ma lo sgomento nei suoi occhi viene subito sostituito da un sorriso amichevole.

«Sono felice di vedere che stai meglio». Per qualche secondo guardo il mio amico confusa. «Mi dispiace per l’altro giorno. Ti ho costretta ad accompagnarmi sul set quando non stavi bene. Ti chiedo scusa, Eikocchi!».

Mi sento in colpa per la bugia che Haruka ha dovuto raccontargli per coprire il comportamento di Seiko.

«A-Ah, non preoccuparti. Ti chiedo scusa anch’io per aver creato dei problemi a te e a Mayumi. A proposito, ho promesso di incontrarla e sono in ritardo. Sarà meglio che vada ora».

«Eh? Mayumi ha invitato anche te?».

Il mio corpo si irrigidisce all’istante. Come sarebbe a dire “anche”? Mayumi non mi ha detto che ci sarebbe stato anche Kise. Cosa significa? Perché mi ha mentito? Aveva forse paura che non avrei accettato?

«Vuoi dire che Mayumi ti ha chiesto di incontrarla alla caffetteria vicino alla stazione?», domando a mia volta per sedare ogni dubbio.

Kise annuisce, sorpreso quanto me. Mi rifiuto di pensare che Mayumi abbia mentito a entrambi per un secondo fine, ma d’altro canto sia Naoko che Haruka questa mattina sembravano piuttosto diffidenti. E se avessero avuto ragione entrambe? Forse non avrei dovuto accettare il suo invito. Ma se adesso mi tiro indietro Kise penserà di certo che è per colpa sua. Che cosa posso fare?

Mentre cerco di trovare una soluzione al mio problema, Kise si fa avanti e propone la peggiore di tutte.

«Visto che ci siamo incontrati qui, non ci resta che continuare la strada insieme».

Adesso non ho proprio alcuna possibilità di rifiutare. Ma è proprio quando credo che la buona sorte mi abbia completamente abbandonata che mi ricordo di lui, di Kasamatsu. Fino adesso è rimasto in silenzio senza intervenire ma mi domando cosa farebbe se gli chiedessi di unirsi a noi. Io stessa non riesco a credere a quello che sto pensando ma sono pronta a trascinare con me chiunque pur di non rimanere da sola con Kise e Mayumi.

«Visto che non hai più bisogno di me, me ne vado», annuncia invece Kasamatsu mandando all’aria i miei piani di coinvolgerlo. Per mia fortuna Kise sembra determinato a portarlo con noi, ma il capitano mi ha già dato le spalle quando mi decido a prendere l’iniziativa. Quello che sto per fare non è assolutamente da me, ma desidero davvero che Kasamatsu venga con noi. Senza preoccuparmi delle conseguenze, mi allungo quindi in avanti e con entrambe le mani afferro il suo braccio per trattenerlo.

«Per favore, unisciti a noi!», esclamo, infine, al culmine della vergogna.

Il silenzio che segue la mia supplica è devastante. Le mie mani iniziano a tremare ma non lasciano la presa. Nemmeno io capisco cosa mi stia succedendo. Se ora lasciassi andare Kasamatsu avrei sempre Arthur al mio fianco. Eppure, nemmeno la sua presenza in questo momento sembra darmi il conforto di cui ho bisogno. Qualcosa dentro di me continua a ripetermi che mi sentirei più tranquilla solamente se Kasamatsu accettasse di venire con me e Kise. Mentre penso che il capitano potrebbe rifiutare e andarsene, le mie dita si stringono intorno al suo braccio con disperazione.

«H-ho capito, verrò con voi. O-ora però lasciami andare».

«Davvero?!», esclamo alzando la testa. Non appena il mio sguardo si posa sul volto imbarazzato di Kasamatsu, il tremore nelle mie mani sparisce e un senso di profonda calma invade il mio cuore. Per quanto mi senta felice, non voglio che lui si senta a disagio, perciò lascio il suo braccio solo per incontrare l’espressione perplessa di Kise.

«Eikocchi…quando sei diventata amica di Kasamatsu-senpai?».

Ci volevano le parole del mio vecchio compagno di classe per farmi realizzare la sfrontatezza del mio gesto. Non avrei dovuto essere tanto avventata, con un ragazzo che conosco appena. Anche se ha accettato il mio invito, non credo affatto che Kasamatsu mi consideri sua amica. Non so neanche io come definire la nostra relazione, ammesso che ne abbiamo una. L’espressione più corretta forse sarebbe conoscenti, ma possono definirsi tale due persone che hanno condiviso qualcosa di tanto intimo come un bacio? È vero che si è trattato di un incidente ma le sue labbra hanno toccato le mie senza alcun dubbio. Ma se io non lo avessi trascinato con me nella mia caduta, dubito che Kasamatsu avrebbe mai osato tanto con una ragazza come me. Se non siamo conoscenti, né amici allora come devo rispondere alla domanda di Kise?

«A quanto pare io e suo cugino frequentiamo lo stesso negozio di musica».

Non so se Kasamatsu abbia notato la mia indecisione, ma alla fine ha deciso di rispondere a Kise per entrambi. Quello che non ho però potuto fare a meno di notare e che non ha negato di essere mio amico. Forse non ha nemmeno fatto caso alla parola, ma non posso evitare di provare un po’ di gioia. In fondo ho già ammesso di voler diventare amica di Kasamatsu il giorno in cui ci siamo incontrati per la prima volta.

 

***

 

«Non avevo intenzione di mentirti, Eiko. Quando ti ho chiamata questa mattina non avevo ancora invitato Kise. È stata una decisione dell’ultimo momento, spero che tu non sia arrabbiata».

Seduta di fronte a me, Mayumi si prodiga in una serie di scuse. Se questa mattina non avessi parlato con Naoko e Haruka prima di uscire, le avrei creduto all’istante, tuttavia i dubbi di mia sorella e di mia cugina ora sembrano essere anche i miei. Si è trattato davvero di una decisione presa all’ultimo minuto? Per qualche motivo non riesco a fidarmi completamente delle parole di Mayumi.

«Non sono arrabbiata e non vorrei che neanche tu lo fossi», le rispondo a mia volta desiderando chiarire l’equivoco. Benché non possa parlarne apertamente a causa della presenza di Kise, non voglio che Mayumi pensi a me come a una sua rivale in amore. Seiko ha agito contro la mia volontà ma l’ha fatto usando la mia faccia quindi sarebbe più che normale se ora la mia amica si sentisse tradita. Quando eravamo alla Teikō ho sempre appoggiato il suo amore segreto per Kise poiché speravo sinceramente che un giorno le cose tra loro funzionassero. Ma dopo quanto successo non potrei biasimare Mayumi se ora mi vedesse come un potenziale pericolo per la sua relazione con Kise.

«Purtroppo ho un ricordo molto vago di quanto è accaduto l’altro giorno», riprendo a parlare rivolgendomi a entrambi i miei vecchi compagni di classe, «ma vorrei scusarmi ancora per essermi comportata in quel modo. Anche se non stavo bene, mi rendo conto che il mio comportamento ha creato dei problemi a entrambi e quindi vi chiedo di perdonarmi».

«E’ stata colpa mia, Eikocchi. Non avrei dovuto insistere. Ad ogni modo io e Mayumi abbiamo già dimenticato tutto, giusto?», pronuncia Kise interrogando Mayumi, seduta accanto a lui.

«Certo, non preoccuparti».

Nonostante stia sorridendo, Mayumi non sembra molto a suo agio. Probabilmente le servirà ancora un po’ di tempo per convincersi che non ho alcuna intenzione di ostacolarla nella sua relazione con Kise.

Chiarito quindi il malinteso, per diversi minuti la conversazione si sposta su toni più allegri. Io e Mayumi chiacchieriamo del più e del meno soprattutto per recuperare il tempo perduto. Di tanto in tanto Kise si inserisce nella conversazione e per un attimo mi sembra di essere ritornata all’anno scorso, quando sedevamo tutti e tre nella stessa aula, quando la mia vita non era così complicata, quando non avevo segreti per i miei amici. Nonostante tutto, sono felice di avere ritrovato Mayumi.

Ad un tratto la mia attenzione si sposta su Kasamatsu. Per tutto questo tempo ho percepito la sua presenza accanto a me ma solo adesso mi rendo conto di non avergli rivolto la parola da quando siamo entrati in caffetteria. È strano: questa è la prima volta che lo rivedo dopo il piccolo incidente nel negozio del signor Rampini eppure mi sento piuttosto calma. Credevo che mi sarei sentita troppo imbarazzata anche solo per guardarlo, invece provo una grande tranquillità. L’ho trascinato qui con me senza esitare, senza preoccuparmi di metterlo a disagio, senza mostrare alcuna attenzione per i suoi sentimenti, ma lui non si è rifiutato. Non ha rifiutato me, la mia richiesta. Quando ho afferrato il suo braccio per impedirgli di andarsene pensavo che si sarebbe liberato dalla presa per allontanarsi il più velocemente possibile da me, ma non l’ha fatto. Ha seguito me e Kise e, quando Mayumi ha insistito per prendere il posto al fianco di Kise, ha accettato di sedersi accanto a me senza lamentarsi. Nonostante abbia fatto tutto questo, però, non posso affermare che sia stato per il mio bene, né che trovi piacevole la mia compagnia. Dopotutto non ha cercato di interagire con me neanche una volta e i suoi occhi non hanno mai guardato nella mia direzione. Sembrerebbe che si stia impegnando in tutti i modi ad evitarmi e questo mi confonde. Sono felice che sia qui, anche se trovo inspiegabile come la sua vicinanza riesca a rendere il mio cuore tanto sereno, ma vorrei non essere l’unica a sentirsi così. Sono stata troppo sfacciata nell’implorarlo di accompagnarmi ed, essendo un ragazzo in fondo gentile, Kasamatsu forse non se l’è sentita di rifiutare. D’altro canto Kise mi ha detto che come capitano si prende davvero molta cura di tutti i membri della squadra, seppure a modo suo. Vorrei tanto parlargli ma ho paura di infastidirlo e di sembrare troppo invadente. Se soltanto mi rivolgesse lui per primo la parola.

«Senpai, dove stai andando?».

La voce di Kise mi fa riemergere dai miei pensieri. Kasamatsu si è alzato dalla sedia, dandomi le spalle.

«Vado in bagno», risponde senza guardare Kise. Nella sua voce c’è qualcosa di strano. Sembra irritato e imbarazzato allo stesso tempo, ma non ho modo di soffermarmi oltre poiché la sua figura sparisce dal mio campo visivo, lasciandomi con un lieve senso di inquietudine.

Mayumi riprende a chiacchierare con Kise. Improvvisamente sembra essere diventata più audace nelle sue interazioni. Le sue mani sono strette intorno al braccio del nostro amico e il suo modo di parlare si è fatto civettuolo. Kise sembra non aver notato il cambiamento e continua a parlare con lei con la solita naturalezza. Soddisfatta di avere tutte le attenzioni del ragazzo, inizia a discutere di lavoro con lui e non passa molto tempo prima che io mi senta completamente esclusa. Ogni piccolo argomento di conversazione è inteso a farmi realizzare quanto lontani siano ora i nostri mondi. Del resto di cosa potrei parlare io? Gli ultimi ricordi che condivido con Kise e Mayumi appartengono al giorno in cui ho scoperto che c’è qualcosa di sbagliato in me, qualcuno estremamente pericoloso che sta minacciando la mia esistenza. Anche se volessi provare ad inserirmi nella loro conversazione non saprei come fare. Non potrei. L’insicurezza si fa lentamente strada nel mio cuore. Mi sento così fuori posto, in un luogo a cui non appartengo, e vedere Kise e Mayumi così uniti mi rattrista. No, mi infastidisce. Mi rende nervosa. Mi fa infuriare.

Kise si è completamente dimenticato di me. E’ come se non esistessi. Nonostante sia proprio di fronte a lui non riesce a vedermi e la colpa è solo sua, di Mayumi. Avrei dovuto sbarazzarmi di lei l’altro giorno. Se Haruka non si fosse intromessa ora ci sarei io seduta su quella sedia, abbracciata al mio principe. Kise guarderebbe solo me, parlerebbe con me, tutte le sue attenzioni sarebbero per me! Se avessi la forza di muovermi liberamente le strapperei tutti i capelli e allora potrebbe dire addio alla sua carriera di modella. Non avrebbe alcuna scusa per avvicinarsi a Kise. Se fossi padrona della mia voce urlerei a Kise il mio nome così che non possa dimenticarlo. Se non fossi così debole, proteggerei la persona che mi è più cara e non permetterei a nessuno di portarmela via.

Invece sono inerme, costretta ad osservare la mia rivale che tenta di rubare il ragazzo che amo, mentre mi guarda soddisfatta e compiaciuta della mia impotenza. La sua perfidia non ha limiti e ora le sue intenzioni mi sono chiare come il sole: l’unico motivo per cui mi ha invitata qui è stato per dichiararmi guerra. Ma ciò che non posso accettare è di doverle riconoscere la vittoria nella battaglia di oggi poiché, per quanto desideri alzarmi da questa sedia e prendere la sua testa tra le mie mani, so che non succederà. Questo corpo non risponde al mio volere ma insiste nel mostrarmi ciò che non vorrei vedere. A cosa serve provare rabbia quando non puoi riversarla su chi l’ha provocata? A cosa serve provare sentimenti se la persona che ami non può vederti, né sentirti? Davvero il mio bacio è stato così insignificante? Come può il mio principe mostrare un sorriso tanto meraviglioso a un’altra donna, a una sciacquetta che probabilmente lo sta solo usando? Mi sento terribilmente sola in questa prigione. Vorrei piangere ma non ho occhi da cui versare lacrime. Vorrei gridare ma non ho bocca per parlare. Vorrei lottare ma non ho mani che possano colpire. Se soltanto sapessero cosa si prova ad essere come me. A non essere padrona del proprio tempo. A non possedere un corpo che sia soltanto mio. A non essere nemmeno libera di addormentarmi per non vedere, né sentire.

«Wadsworth, che cos’hai?».

Gia, perché sto piangendo? Quando è ritornato Kasamatsu? No, quanto tempo è passato da quando è andato via? Sono confusa.

«Va tutto bene?».

Kasamatsu mi ha finalmente rivolto la parola e mi sta guardando. Sono felice. Mi sento così serena e…al sicuro. All’improvviso mi sono rattristata ma ora non avverto più alcun desiderio di piangere.

«Eiko-cchi, perché stavi piangendo?! Ti senti forse male?!».

«Non sarà mica una ricaduta». La voce di Mayumi è di nuovo cambiata. Il suo sguardo sembra sinceramente preoccupato per me. E’ così diverso da quello di poco fa. Credo proprio che Naoko e Haruka avessero ragione: dopotutto Mayumi aveva davvero un secondo fine. Ho un ricordo vago dei pensieri di Seiko, ma le sue emozioni sono ancora vivide nel mio cuore. Le lacrime che sento scorrere dagli occhi sono le sue, ma questa tristezza è in parte anche mia. La sua coscienza è riemersa per un attimo affinché venissi a conoscenza della sua solitudine. Se non fossi stata richiamata nel mondo reale, probabilmente le avrei ceduto questo corpo di mia volontà. Non posso credere di aver quasi preso questa decisione.

«Mi dispiace ma penso che tornerò a casa. Mi sento molto debole e ho un po’ di mal di testa», non sto mentendo.

«Aspetta, ti accompagno», Kise si alza immediatamente per raggiungermi ma io glielo impedisco.

«Non ce n’è bisogno. Arthur è proprio qui fuori», quindi, facendomi coraggio, mi rivolgo a Mayumi. «Mi ha fatto piacere averti rivista. Spero che usciremo di nuovo insieme quando mi sarò ripresa del tutto».

Quasi certamente non sono le parole che si aspettava di sentirmi pronunciare poiché i suoi occhi si allargano increduli, ma è il minimo che posso fare. Non voglio infatti che mi veda lasciare questo posto pensando di aver vinto. Forse è colpa di Seiko o forse è il mio orgoglio a parlare. In ogni caso ora ho la certezza che Mayumi mi considera una sua rivale e che è pronta a conquistare l’affetto di Kise con ogni mezzo.

 

***

 

Naoko, Haruka, Yoichi e Arthur hanno risposto prontamente al mio appello e mi hanno raggiunta nel gazebo che si trova nel giardino delle rose arancioni. Riflettendo su quanto mi è accaduto questa mattina, ho ritenuto saggio condividere con loro il mio incontro con Mayumi.

«Dunque era come sospettavamo. Quella ragazza ti ha invitata per uno scopo preciso», conclude mia sorella dopo aver ascoltato con attenzione il mio racconto.

«Almeno non sospetta dell’esistenza di Seiko», osserva Yoichi, mostrandosi insolitamente concentrato sulla discussione.

«Se avessi saputo che era quel tipo di persona», continua Haruka in tono poco amichevole, «quel giorno, al centro commerciale, le avrei dato io stessa una bella lezione. Quella piccola…»

«Haruka, per favore, cerca di rimanere calma». Per fortuna mia sorella interviene prima che mia cugina possa terminare la frase. Le espressioni di Haruka sono sempre molto colorite ma poco adatte a una fanciulla di buona famiglia. Naoko riporta quindi la sua attenzione su di me.

«Prima hai detto che i pensieri di Seiko si sono di nuovo sovrapposti ai tuoi e che per un momento hai perso la cognizione del tempo. Come hai fatto a ritornare in te? Credo che questo sia un punto importante sul quale dovremmo soffermarci».

Mia sorella ha ragione. Tuttavia sono piuttosto confusa io stessa. Benché sia quasi sicura che il merito sia di Kasamatsu, non riesco a capacitarmene. Perché proprio lui? E’ davvero possibile per una persona che ho conosciuto solo di recente avere già un’influenza tanto forte sulla mia coscienza da respingere una delle mie personalità? Nonostante gran parte di quanto accaduto sia solo un ammasso di sensazioni e memorie sbiadite, al contrario ricordo perfettamente il momento in cui sono ritornata in me. Mi è bastato sentire la voce del capitano per riemergere dal mio subconscio e riprendere il controllo della mia mente. Ma forse si è trattato solo di una coincidenza.

«Ad essere onesta», inizio dunque a parlare per condividere le mie conclusioni, «qualcosa è successo. Come ho già detto non ricordo quasi nulla della conversazione avvenuta tra Seiko e Mayumi, ma ricordo con esattezza il momento in cui mi sono risvegliata. È stato subito dopo aver sentito la voce di Kasamatsu che sono uscita dallo stato di incoscienza e sono tornata in me».

Naoko, Haruka e Yoichi si scambiano una lunga serie di sguardi silenziosi. I loro occhi concordi sembrano essere giunti tutti alla stessa realizzazione, seppure con sentimenti differenti.

«Credo di aver già sentito questo nome», dichiara Naoko.

«Si, è il capitano della squadra di basket del Kaijō, la scuola frequentata da Kise. È il ragazzo che ho incontrato al negozio del signor Rampini quando ho accompagnato Seiichi», la aiuto a ricordare.

«Che relazione hai con lui, Eiko? Siete amici?».

La domanda di mia sorella mi coglie di sorpresa. Le occasioni in cui ci siamo parlati si contano sulle dita di una mano, e neanche tutte, quindi forse non sarebbe esatto definire la nostra relazione come amicizia. Per ora siamo conoscenti. Tuttavia è anche vero che vorrei approfondire questa “conoscenza” prima o poi per potermi un giorno definire a pieno titolo amica di Kasamatsu. E forse qualcosa di più.

«Mi chiedo proprio a cosa tu stia pensando, cuginetta. La tua faccia all’improvviso è diventata più rossa di un semaforo».

Yoichi inizia a sogghignare con fare allusivo ed io divento consapevole del calore che si propaga sulle mie guance. Ma la sua risatina muta presto in una esclamazione di sbalordimento.

«E’ lui! Ma certo! E’ il tipo per cui ti sei presa una cotta! Il capitano con la fobia del sesso femminile. Ho indovinato?».

Non so se essere più sorpresa del fatto che Yoichi ricordi le esatte parole usate da Seiko nel mio diario per descrivere Kasamatsu, o che mia cugino sia riuscito ad arrivare da solo alla verità.

«No, aspetta, dici davvero?!», Haruka non si lascia scappare l’occasione di interrogare Yoichi per saperne di più. «Sei proprio sicuro che sia lui?».

Prima che possa riprendere in mano la situazione, Yoichi e Haruka si sono ormai completamente dimenticati di me e per me non sembra esserci posto nella loro conversazione. Per mia fortuna è mia sorella Naoko  a riportare l’ordine.

«Questa informazione è più preziosa di quanto credi, Eiko».

«Cosa vuoi dire?», le chiedo sinceramente confusa.

«Davvero non capisci?», Yoichi ha di nuovo portato le sue attenzioni su di me. Il suo volto è di nuovo solcato da una seriosa espressione. «Ragiona. Fino adesso sapevamo per certo che Kise è l’interruttore di Seiko e che lei tende a manifestarsi quando c’è di mezzo il bel biondino. Ma ora, grazie a quello che hai appena detto, sappiamo invece

chi potrebbe diventare il tuo interruttore; l’unica persona in grado di richiamare la tua coscienza in questo mondo».

«Ammetto che è prematuro giungere a una conclusione definitiva basandoci su un unico episodio», continua Naoko, «ma vale la pena tentare».

«Tentare cosa? Non riesco a seguirvi».

«Eiko», Haruka mi afferra saldamente per le spalle e, guardandomi dritta negli occhi, comanda: «devi stringere amicizia con Kasamatsu. No. Meglio ancora: diventa la sua ragazza».

 

♥♥♥

 

Sono tornata! Dopo questo lungo periodo di silenzio sono finalmente in grado di portarvi un nuovo capitolo. Se avete seguito la storia fino a questo punto, avete tutta la mia gratitudine. ^. ^

Vi abbraccio tutti e vi do appuntamento al prossimo capitolo, sperando di non farvi aspettare di nuovo così a lungo, eheh. ^_^’

 

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